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UNDICESIMA SERIE

AVVERTENZA

Con questo volume ha inizio la serie undicesima della collezione dei Documenti Diplomatici Italiani dedicata alla pubblicazione del materiale relativo alla prima legislatura repubblicana. Questo volume affronta i temi riguardanti la politica estera del primo governo repubblicano costituito dopo l 'entrata in vigore, il 1° gennaio 1948, della Costituzione repubblicana. A partire da questa serie undicesima infatti, la collezione assume, come criterio organizzativo per la pubblicazione, la suddivisione del materiale documentario secondo la durata dei singoli governi repubblicani, salvo casi eccezionali, di sovrabbondanza della documentazione (come proprio questo volume d'esordio mostra), di importanza del periodo storico al quale essa si riferisce e di durata non breve del governo in carica. Il Parlamento eletto il 18 aprile iniziò i suoi lavori 1'8 maggio 1948. Il 12 maggio Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, presentò le sue dimissioni, che vennero respinte; tuttavia De Gasperi operò un profondo rimpasto nel suo Gabinetto, mantenendo l'alleanza quadripartita con i partiti repubblicano, liberale e socialdemocratico e impegnando ancora il conte Carlo Sforza a ricoprire la carica di ministro degli esteri. Il «nuovo» governo durò sino al 12 gennaio 1950 e ciò spiega la necessità di una cesura per questo volume al 31 dicembre 1948. Del resto il periodo allora attraversato dall'Italia imponeva scelte di fondo sul piano internazionale, scelte rispetto alle quali le carte disponibili hanno una mole tale da imporre, nonostante rigorosi criteri di selezione, la pubblicazione di una serie assai cospicua di documenti e da rendere necessaria la loro suddivisione in più di un volume.

Circa l'importanza del periodo, è appena il caso di ricordare che da almeno un anno il conflitto che divideva l 'Europa in due blocchi contrapposti, legati l 'uno agli Stati Uniti d'America e l'altro all'Unione Sovietica, stava avviandosi verso le scelte di fondo più impegnative. Il piano Marshall, annunciato nel giugno 194 7, era sul punto di entrare in applicazione pratica, dopo che nell'aprile 1948 il Congresso americano aveva creato l'E.C.A. (Economie Cooperation Administration). l'organizzazione alla quale era affidato il compito di porre in essere l'E.R.P. (European Recovery Program), cioè il progetto di aiuti che il Congresso americano aveva trasformato in legge nel febbraio dello stesso anno. Tuttavia gli aiuti economici erano frattanto divenuti solo una parte dell'impegno americano. Dal gennaio 1948 il ministro degli Esteri britannico, Ernst Bevin, aveva posto pubblicamente sul tappeto un tema già oggetto di negoziati militari riservatissimi, la questione dell' organizzazione di un sistema di difesa militare dell'Occidente. Era il progetto dal quale, il 17 marzo 1947, nacque il Patto di Bruxelles, l'alleanza tra Gran Bretagna, Francia e Benelux; ma era anche il primo passo del complesso negoziato che subito dopo sarebbe iniziato, in vista della creazione di una più vasta alleanza, rispetto alla quale la posizione italiana rimase imprecisata sino all'inizio del 1949. Parallelamente, quei mesi segnavano anche l'emergere delle prime manifestazioni europeistiche di una

IX

certa risonanza. Nel maggio 1948 ebbe luogo all' Aja, quel Congresso europeo dal quale sarebbe poi nato il Consiglio d 'Europa ma che al momento contribuì non poco a confondere la percezione dei problemi sul tappeto da parte dell'opinione pubblica: se i negoziati riguardassero la creazione di un sistema integrato europeo oppure di un'alleanza militare atlantica, oppure, ancora, di alleanze collegate da qualche altra formulazione giuridica.

Mentre il «sistema» occidentale procedeva abbastanza speditamente verso il proprio rafforzamento, anche l'Un ione Sovietica cercava, sebbene con minor successo, di rafforzare il suo controllo sull'Europa orientale. Dopo che, all'inizio del 1948, la Cecoslovacchia aveva cessato di essere governata da una coalizione di partiti abbastanza eterogenea e non collimante alla perfezione con «l'internazionalismo socialista» (cioè l'alleanza con l'URSS) che costituiva il principio unificante delle alleanze sovietiche, per divenire un pieno e fedele satellite di Mosca, sotto la guida di Klement Gottwald, due erano i temi che condizionavano il consolidamento della politica sovietica: la questione tedesca e la coesione del Cominform. Per quanto riguardava la questione tedesca, il governo di Mosca doveva ancora assumere le proprie definitive determinazioni e, in tale frangente, la questione di Berlino rappresentava uno dei passaggi critici più ardui, poiché essa consentiva l'esistenza, nella zona d'occupazione sovietica, di un'area di libertà, essendo, come è noto, Berlino costituita in «corpo separato» diviso in quattro zone d 'occupazione, tre delle quali collegate alle zone occidentali della Germania. Parallelamente, anche le potenze occidentali si preparavano a porre le basi politiche e istituzionali sulle quali sarebbe nata, l'anno successivo, la Repubblica federale di Germania. Si colloca in tale contesto la crisi determinata dal cosiddetto «blocco di Berlino», cioè dalla decisione assunta dai Sovietici nel giugno 1948, una decisione che nel presente volume viene presentata nella sua portata per la diplomazia italiana, di impedire i liberi traffici tra le zone occidentali dell'antica capitale tedesca e le rispettive zone d'occupazione. Questa crisi, che sarebbe terminata solo nel maggio 1949, metteva in luce una delle persistenti difficoltà sovietiche: quella riguardante i rapporti con la Germania orientale. Accanto a questo tema, e forse ancora più rilevante per i suoi riflessi sulla politica estera italiana, va ricordata la frattura tra la Yugoslavia e l'Unione Sovietica. L'espulsione della Yugoslavia dal Cominform, alla fine del giugno 1948, se non portò a una completa rottura diplomatica fra i due paesi, mise in luce la divaricazione esistente tra l'esigenza sovietica di ottenere che i paesi satelliti seguissero una politica interna e internazionale perfettamente coerente con il dettato staliniano e, per contro, la tenace propensione del presidente yugoslavo, il maresciallo Tito, a seguire una propria visione della politica balcanica e europea della Yugoslavia. Questa frattura, che rendeva la Yugoslavia assai preziosa agli occhi delle potenze occidentali, aveva riflessi sulla situazione italiana rispetto alla questione del Territorio Libero di Trieste e alla possibilità che la dichiarazione tripartita del marzo 1948, relativa alla volontà delle potenze occidentali di restituirlo tutto ali' italia, fosse ancora attuabile.

Dinanzi a questa situazione l'Italia, che aveva appena subito l'umiliazione del trattato di pace e che a fatica ristabiliva relazioni regolari con tutti i paesi del mondo, doveva anzitutto affrontare i temi relativi alla completa applicazione delle clausole non ancora definite del trattato di pace e doveva, al tempo stesso, prendere posizione rispetto al processo di formazione del «blocco occidentale». Per quanto riguardava il primo aspetto, la novità della situazione yugoslava metteva la diplomazia italiana in una situazione più che mai critica e proiettava verso un avvenire poco definibile la necessità di trovare un compromesso che non inducesse Tito a ritornare alla piena lealtà verso l'URSS. Ma questo era un tema che non poteva essere guardato se non in una prospettiva di medio termine, se è vero che solo nel 1954 esso trovò una prima soluzione di compromesso.

Ben più complesso era l'insieme dei temi riguardanti l'applicazione delle altre clausole del trattato di pace. I documenti pubblicati in questo volume illustrano i tentativi italiani di ottenere un alleggerimento delle clausole riguardanti la consegna di navi italiane ai vincitori e, in particolare all'Unione Sovietica; ma soprattutto documentano in maniera quanto mai ricca i negoziati riguardanti il futuro delle colonie prefasciste dell'Italia. Mentre non si nutrivano serie speranze su un recupero dell'Eritrea, molto si discuteva della situazione della Somalia e di quella della Libia. Circa la Somalia, dopo la crisi itala-britannica del gennaio 1948 per i sanguinosi incidenti avvenuti a Mogadiscio, affiorava l'ipotesi di un'Amministrazione fiduciaria che l'O.N.U. avrebbe potuto affidare all'Italia. Più complessa la questione libica, circa la quale le ambizioni italiane di ottenere una parte del territorio (la Tripolitania) in amministrazione fiduciaria si intrecciavano con le ambizioni britanniche sulla Cirenaica e francesi sul Fezzan. Ma più ancora rilevante era il fatto che da parte statunitense fosse già evidente una ferma opposizione rispetto a ogni rafforzamento della presenza inglese nel Mediterraneo orientale e da parte sovietica riaffiorassero le ambizioni a acquisire un ruolo nell'antica colonia italiana. Solo nel tardo autunno del 1948 la questione libica venne direttamente affrontata in un negoziato diretto fra Roma e Londra. La documentazione di questa prima fase del negoziato (che avrebbe portato a un effimero accordo nel maggio 1949) è riprodotta nel presente volume.

La questione dominante l'azione internazionale dell'Italia fu però, in quei mesi come nei primi mesi del 1949, l'atteggiamento da assumere verso il movimento europeo e, più ancora, verso i negoziati da tempo avviati in maniera preliminare ma iniziati segretamente nel luglio 1948 a Washington. Il tema si proponeva in una serie di aspetti in parte derivanti dalle difficoltà interne a prendere posizioni troppo nette anche sul piano internazionale; in parte derivanti dalla necessità in cui l 'Italia ancora si trovava, di non compiere scelte troppo esplicite nel momento in cui appariva ancora utile non partecipare apertamente a uno schieramento che l'Unione Sovietica giudicava ostile; infine, ma soprattutto, derivanti anche dalla diversità di opinioni esistente fra i paesi occidentali rispetto alla posizione da assegnare ali' Italia, che solo con un certo sforzo di immaginazione geografica poteva essere considerato un paese «atlantico» ma che politicamente era già integrata nel sistema occidentale grazie alle posizioni assunte rispetto al piano Marshall e ai movimenti europei. Questi temi, che sono stati oggetto di studio da parte di molti autori, i quali hanno pubblicato anche un buon numero di documenti riprodotti nel presente volume (basti qui ricordare, tra gli altri, B. Bagnato, O. Barié, M. De Leonardis, G. Formigoni, L. Nuti, P. Pastorelli, M. Toscano, B. Vigezzi) questi temi trovano ora una sistemazione coordinata che permette di cogliere tutte le sfumature del problema e consente anche di scorgere aspetti che nella loro complessità e nelle intersezioni che li caratterizzarono, in definitiva, sono ancora poco conosciuti o non sono stati adeguatamente messi in rilievo.

Sul piano della politica interna, al quale in questa sede è necessario solo alludere, occorre rilevare che i partiti politici italiani, appartenenti alla coalizione di governo o all'opposizione, erano in gran parte impreparati a affrontare un tema così ostico come quello di aderire a un'alleanza politico-militare. Forse solo i maggiori protagonisti della vita italiana, uomini come De Gasperi o Sforza, avevano la chiara percezione della necessità di affrontare un tema che viceversa, sul piano diplomatico, veniva con insistenza messo in evidenza, benché con opinioni divergenti, da tutti gli ambasciatori presso le grandi capitali occidentali e a Mosca. Tuttavia, proprio gli aspetti diplomatici della vicenda presentavano esigenze contraddittorie. Appariva prematuro partecipare a intese formali che avrebbero approfondito il distacco dell'Italia dalla politica sovietica proprio quando era invece necessaria quella normalizzazione che venne affidata all'ex ministro del commercio con l'estero, on. U go La Malfa al quale fu affidato il compito di guidare una delegazione a Mosca, dove La Malfa rimase a lungo, non senza suscitare l'allarme degli occidentali rispetto alla coerenza delle scelte di fondo italiane, ma raggiungendo il risultato di stipulare un accordo commerciale, firmato alla metà del dicembre 1948. Questo accordo, che nel presente volume trova accurata documentazione, non modificava l'orientamento occidentale dell'Italia eppure esso, anche per il momento in cui veniva sottoscritto, era un primo, misurato segnale dato dal governo di Roma, circa la sua intenzione di non legare completamente l'avvenire economico della penisola alle sorti dei negoziati per l'alleanza occidentale.

Tali negoziati proseguivano frattanto nell'incertezza circa la posizione italiana. Le pressioni di Pietro Quaroni, ambasciatore a Parigi, Tommaso Gallarati Scotti, ambasciatore a Londra e soprattutto quelle di Alberto Tarchiani, ambasciatore a Washington erano solo sommessamente bilanciate dalle reticenze di Manlio Brosio, che da Mosca rilevava i vantaggi di una politica di neutralità. Il problema vero stava nel fatto che sebbene Sforza e Tarchiani con De Gasperi (che era tuttavia condizionato dalle resistenze interne al partito della Democrazia cristiana) fossero convinti della necessità che l'Italia assumesse una posizione risoluta, la scelta era resa difficile non solo dalla esitazioni interne ma anche dall'incertezza delle maggiori (e minori) potenze occidentali sul ruolo da destinare alla Penisola. Si discuteva del contributo effettivo che l'Italia avrebbe potuto dare alla difesa dell'Occidente e molti giudicavano tale contributo fosse «more a liability than an asset». Si pensava perciò a un accordo mediterraneo, nel quale includere forse la Grecia e la Turchia e magari anche la Spagna. Alla fine del 1948 la situazione non era ancora del tutto chiara. Tuttavia questo volume suggerisce già il momento di svolta messo in evidenza dalla storiografia, indicando l'avvicinamento i tal o-francese, sanzionato dal viaggio di De Gasperi a Bruxelles e Parigi (20-23 novembre) e dall'incontro tra Sforza e Schuman a Cannes, (20-21 dicembre) come il momento in cui il governo di Parigi, per ragioni proprie, assumeva come obiettivo francese la piena partecipazione dell'Italia al Patto atlantico, come le settimane successive avrebbero reso manifesto.

I documenti pubblicati in questo volume provengono da diversi Archivi pubblici e privati, In primo luogo, e per la maggior parte, essi provengono dall'Archivio storico del Ministero degli Esteri utilizzato, come di consueto, in tutte le sue componenti (Telegrammi segreti ed ordinari 1 , Segreteria Generale, Gabinetto, Affari politici, Affari economici, Ambasciate d'Italia a Washington, Parigi, Londra e Mosca). La ricerca è stata completata con la consultazione delle carte conservate presso l'Archivio Centrale dello Stato e presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, nonché dei documenti dell'Archivio privato Sforza (per la parte non versata all'Archivio Centrale dello Stato), e dell'Archivio privato De Gasperi messo gentilmente a disposizione della signora Maria Romana De Gasperi che, unitamente al prof. Pastorelli, ringrazio sentitamente.

La pubblicazione di questo volume, come di molti volumi dei Documenti Diplomatici Italiani, non sarebbe stata possibile senza la risolutiva collaborazione delle dott.sse Antonella Grossi e Francesca Grispo cui si devono la ricerca archivistica del materiale, la sua preparazione per la stampa e la predisposizione dell'indicesommario e della tavola metodica. L'indice dei nomi è opera della dott.ssa Paola Tozzi Condivi che ha anche collaborato alla ricerca archivistica ed alla preparazione del materiale per la stampa. La trascrizione dei manoscritti è stata effettuata dalla sig.a Andreina Marcocci.

Un ringraziamento particolare debbo anche al prof. Pastorelli, Presidente della Commissione per il riordino e la pubblicazione dei DDI. Senza tale collaborazione il volume sarebbe stato privo di alcuni documenti importanti provenienti dalla carte De Gasperi, che il prof. Pastorelli è riuscito invece ad ottenere, così da rendere la documentazione del tutto esauriente.

È impossibile dunque licenziare il volume per la stampa senza esprimere la più profonda gratitudine per la dedizione, la passione e la competenza con cui il lavoro è stato condotto a termine.

ENNIO DI NOLFO

1 Si ricorda che nei telegrammi pervenuti dall'estero l'ora di partenza è qulla del fuso orario

locale.


DOCUMENTI
1

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 4404/1675. Washington, 8 maggio 1948 1•

Come ho già telegrafato a V.E.2 , ho avuto oggi3 una lunga conversazione col segretario di Stato.

Essendo questo il nostro primo incontro dopo le elezioni italiane, la prima parte del colloquio è stata naturalmente dedicata ai risultati di queste. Marshall, come già il presidente Truman4 , ha tenuto a rallegrarsi vivamente del successo del Governo e mi ha detto di aver molto gradito il telegramma che il presidente del Consiglio gli aveva inviato a Bogotà in occasione dell'approvazione dell'E.R.P. 5 .

Mi ha quindi intrattenuto lungamente sulla opportunità che il nostro Governo dia efficace corso all'opera di riforme promessa durante il periodo elettorale. La necessità di seguire una ferma linea di politica estera e le altre gravi incognite della situazione internazionale erano tali da rendere assolutamente indispensabile per ogni Governo di assicurarsi il continuo ed efficace appoggio dell'opinione pubblica. Nell'espormi tali principì generali applicati alla situazione post-elettorale italiana, Marshall mi è sembrato in realtà molto preoccupato delle attuali condizioni della Grecia e tutt'ora sotto l'influenza dei moti di Bogotà che egli ha attribuito pubblicamente, come è noto, alla sobillazione comunista ma che hanno trovato un fertile terreno nel malcontento della popolazione colombiana e che potrebbero trovame domani uno altrettanto fertile nelle altre repubbliche latino-americane. Non ho voluto, rispondendogli, sottovalutare i pericoli tuttora esistenti in Italia, ma ho invece cercato di spiegargli come le differenze sociali non siano così stridenti nel nostro paese come in quasi tutti i paesi dell'America latina, e come d'altra parte le recenti elezioni avevano dimostrato che la mag

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 649.

3 L'incontro con Marshall ebbe luogo il 6 maggio, data in cui probabilmente Tarchiani redasse questo rapporto poi spedito 1'8.

4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 648.

5 Ihid., D. 515.

3 gioranza della popolazione italiana aveva liberamente affermato la propria volontà contraria al comunismo. Ho aggiunto che non dubitavo che il Governo vittorioso nelle elezioni, guidato da uomini dotati di coscienza e di patriottismo, avrebbe fatto il massimo sforzo per cominciare a risolvere i più annosi e difficili problemi italiani. Gli ho detto che speravo di portargliene la prova al mio ritorno, almeno nel campo delle iniziative, che in gran parte dipendono dalle possibilità che ci apre il piano Marshall. Gli ho parlato a lungo della sovrappopolazione italiana e della nostra necessità di porre riparo a tale difficilissimo problema mediante una sana e bene indirizzata emigrazione. Marshall mi ha ascoltato con molta attenzione e mi ha detto di riparlargli di tale problema al mio ritorno dall'Italia.

Ho richiamato l'attenzione del segretario di Stato sui problemi della quota di naviglio italiano da cedersi alla Francia e del Territorio Libero di Trieste; Marshall non era evidentemente molto al corrente dei dettagli delle due questioni: mi ha però detto che avrebbe raccomandato agli uffici competenti l'attento esame dei nostri punti di vista. Riferisco a parte sui risultati delle altre conversazioni avute al Dipartimento su tali argomenti.

Siamo quindi venuti a parlare del problema delle garanzie e degli aiuti che gli Stati Uniti si propongono di dare ai paesi dell'Europa occidentale. Marshall mi ha detto che tutto il piano è allo studio e se ne stanno delineando i termini tanto teorici quanto pratici. Una decisione riguardante tutta l'Europa occidentale dovrebbe però essere presa tra breve. L'amministrazione stava compiendo un preciso inventario delle forze e delle possibilità del paese e soprattutto si attendeva al riguardo una ferma risoluzione del Congresso. Per quanto l'annata elettorale rendesse sempre possibili resistenze di parlamentari meno dotati di una ampia visione dei problemi mondiali, o speculazioni di demagoghi, il Congresso e l'opinione pubblica si sono mostrati e si dimostrano favorevoli ad un programma di ingenti armamenti e di aiuti all'Europa occidentale. Marshall era portato ad attribuire ciò specialmente alla politica seguita dal Governo sovietico. Egli aveva più volte temuto che Mosca, non per convinzione ma per indurre gli altri in inganno, avrebbe cercato di apparire amichevole e conciliante, addormentando così il Congresso, ammansendo l'opinione pubblica ed impedendo in tal modo al Governo statunitense di disporre un adeguato riarmo. Ciò non è avvenuto e, nonostante il felice risultato delle elezioni italiane (prima delle quali il Dipartimento era stato assillato da autorevoli e pressanti sollecitazioni per un'azione decisa contro il comunismo) l'amministrazione continua ad essere sotto il pungolo del Parlamento e di larghi strati della popolazione perché si compia lo sforzo di potenti e ben visibili misure precauzionali.

Nel quadro di questa sua esposizione della questione generale degli aiuti americani ai paesi dell'Europa occidentale gli ho domandato che cosa pensasse della eventuale organizzazione difensiva italiana, in accordo naturalmente, ove si verifichino certe condizioni e certe circostanze, con il gruppo di Bruxelles e con gli Stati Uniti. Mi ha detto che l'Italia è appunto uno degli elementi del problema che si stanno qui considerando più attentamente, per assicurarle, per quanto è possibile, un massimo di sicurezza. Analogamente a quanto dettomi dal presidente Truman egli ha dichiarato che il Governo americano si è posto e si pone il problema italiano in termini simili a quello della Francia.

Da queste sue dichiarazioni e da altre informazioni raccolte in diversi ambienti ho tratto l'impressione, che conferma quanto detto da Chauvel all'ambasciatore Quaroni (telespresso di V.E. n. 12675/c. del 22 aprile u.s.)6 , che i francesi debbono avere esercitato qui una forte pressione per ottenere assicurazioni sia che gli Stati Uniti non spingeranno le cose con l'U.R.S.S., sia che, in ogni caso, faranno il massimo sforzo per proteggerli, se aggrediti.

Il segretario di Stato ha aggiunto che qui ci si rendeva evidentemente conto della necessità che anche l'Italia come la Francia dovesse essere messa in grado di possedere forze armate equilibrate ed efficienti, ma che i termini precisi di questa assistenza erano tuttora allo studio e che egli non poteva darmi nessun elemento preciso. Teneva comunque ad assicurarmi che in caso di deprecata necessità, una forma di protezione immediata avrebbe potuto essere assicurata dalle importanti forze navali che l'America aveva nel Mediterraneo, alle quali potevano rapidamente aggiungersi incrociatori e portaerei. Egli non era portato ad esagerare il valore offensivo degli apparecchi che si trovano a bordo della portaerei ma riteneva che questi potevano costituire un buon elemento di difesa immediata delle zone eventualmente attaccate.

Ho ricordato anche al segretario di Stato la difficile situazione in cui ci troviamo nel settore di Trieste specie in relazione al recente notevole aumento del bilancio jugoslavo nella parte dedicata alle spese per gli armamenti. Gli ho accennato, sulla base delle informazioni fornitemi da questo addetto militare, alla scarsezza e all'insufficiente armamento delle nostre unità di prima copertura in quella zona. Marshall, abbandonandosi ad una dissertazione nella quale si sentiva più l'ex capo di Stato Maggiore che non il segretario di Stato, ha commentato l'eccessivo costo delle divisioni corazzate e l'utilità di disporre invece di bene armate e addestrate divisioni di fanteria. Ha anche sottolineato la necessità di disporre di un efficiente Stato Maggiore e di una adeguata aviazione.

Gli ho risposto che l'Italia avrebbe naturalmente tenuto conto, nella pratica, di quanto gli americani e le altre nazioni dell'Occidente europeo avrebbero deciso in fatto di difesa nazionale e comune e che, avendo bisogno di armi, ne avremmo certo concordato con essi il numero e le caratteristiche per organizzare delle forze armate ben bilanciate ed efficaci. Marshall mi ha risposto che eventuali contatti di carattere tecnico si sarebbero potuti avere, se del caso, al mio ritorno quando le varie possibilità pratiche saranno state chiarite sia qui sia da noi.

Nel congedarmi mi ha detto di recare al Governo italiano l'assicurazione dell'amicizia cooperante degli Stati Uniti e mi ha raccomandato di ricordare al presidente del Consiglio, ed ai suoi collaboratori nel Governo, il suo consiglio di creare una vera, forte e costante maggioranza nel paese con l'attenuare, quanto più coraggiosamente possibile, quelle ragioni di malcontento che il successo elettorale non può da solo eliminare.

l 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

l 6 Non pubblicato, ritrasmetteva il Telespr. 482/5055/1270 del l" aprile per il quale vedi serie decima, vol. VII, D. 507.

2

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

L. 0551. Roma, 9 maggio 1948.

Ho letto il promemoria Giannantoni relativo ai contatti con Boshir es Saadawi e richiamo la lettera del 20 aprile n. 05001 , con la quale ti veniva comunicato il resoconto di colloqui avvenuti a Tripoli fra i nostri funzionari e il fratello di Mohamed Muntasser.

Entrambi i documenti confermano le impressioni registrate in questi giorni e cioè che gli arabi della Tripolitania, fallite le trattative per una Libia unita sotto l 'autorità del Senusso al quale i vari partiti tripolini sono ostili, e vedendo scemare la possibilità di ottenere subito l'indipendenza, non sono alieni dal ricercare contatti e dall'avviare conversazioni con noi. Ciò conferma quanto fosse opportuna la prudenza da noi usata nei contatti da noi avuti con gli esponenti tripolini nello scorso anno, tramite Lisi, durante i quali pur dimostrando la nostra buona e sincera volontà di venire con essi ad un accordo preferimmo !imitarci ad enunciare alcuni principi su cui intendevamo basare una eventuale intesa, ma ci astenemmo dallo spingere le cose a fondo, persuasi come eravamo che il tempo avrebbe lavorato per noi.

Ritengo che anche ora convenga, fare sì un passo innanzi, ma usare la stessa prudenza: conservare cioè e possibilmente intensificare i contatti, mantenendo tuttavia ad essi carattere di sondaggio ed esplorativo, sino a quando non si abbiano sufficienti elementi per vedere se convenga o meno esporsi ad un negoziato, e ciò anche per riflessi di carattere internazionale che un simile negoziato potrebbe eventualmente avere.

In tali contatti sarà bene assicurare i nostri interlocutori che essi nulla hanno da temere dall'Italia la quale è animata dagli stessi intendimenti che hanno ispirato i principi sanciti nella Carta di San Francisco. Le dichiarazioni che in tal senso sono state fatte nei nostri «memorandum» hanno a questo riguardo carattere di impegni formali. Si potrà aggiungere che l'Italia, in questo dopoguerra, ha già dato prova di una ingegnosità e liberalità che le hanno permesso di superare, con soddisfazione generale, situazioni complicate: vedi ad esempio Alto Adige e relativo Statuto. Quello che noi abbiamo in mente per la Tripolitania non è una «amministrazione» nel senso burocratico di questa parola, ma una larga autonomia (si può citare l'esempio dello Statuto per la Sicilia) che le permetta di organizzarsi, vivere e prosperare in associazione con l'Italia. Quando il territorio potrà proseguire da sé sul binario dell'indipendenza, allora potranno venir recisi quei «cordoni ombelicali» che nel periodo della preindipendenza, o autonomia, sarà necessario stabilire fra l'Italia e la Tripolitania con lo scopo di aiutare quest'ultima, economicamente, finanziariamente, tecnicamente, socialmente e politicamente, a diventare adulta.

Naturalmente nostra speranza è che, in quel giorno, i tripolini si trovino così soddisfatti dell'esperimento, che preferiscano continuare a rimanere associati all'Italia anziché staccarsene, ma questa naturalmente è cosa da non dir loro: a noi sta creare le premesse perché questo fatto possa un giorno avverarsi, ai nostri successori competerà, nel quadro degli accordi raggiunti, se si raggiungeranno, di svolgere a quel fine una politica lungimirante.

Se la formula su accennata incontrerà il favore dei capi arabi con cui siamo o potremo venire in contatto, non dovrebbe poi essere difficile riempirla nei dettagli. Allora potremo anche pensare ad incaricare persone qualificate a trattare, cosa che oggi sembra ancora prematura2 .

2 1 Non pubblicata.

3

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 6077/254. Londra, 10 maggio 1948, ore 22 (per. ore 7,15 del/'11).

Mio 25Jl.

Dopo ulteriori sondaggi e conversazioni avute con persone Foreign Office vicine a Bevin sono in grado precisare maggiormente suo atteggiamento circa nostra eventuale adesione Unione Occidentale.

I «gravi ostacoli» cui Bevin ha accennato alla Camera dei Comuni provengono in parte da potenze firmatarie Patto Bruxelles, in parte da atteggiamento italiano. Circa primo punto: Stati Benelux sono in massima contrari nostra partecipazione essendo restii assumere impegni in settore lontano e che essi giudicano trovarsi in situazione delicata. Inoltre vi è da parte britannica (e, mi è sembrato di capire, anche francese) desiderio procedere ulteriore consolidamento Unione e verificarne funzionamento prima di ammettere nuovi membri.

Circa secondo punto: Bevin pensa che occorre prima di tutto volontà decisa da parte italiana di entrare a far parte Unione senza riserve esplicite o mentali. Finché questa volontà non esiste questione non si pone e Governo britannico non farà nulla per sollecitare nostra adesione.

Essendo stato fatto presente che nessun Governo italiano, comunque ben disposto, potrebbe permettersi ignorare problemi vitali: a) della sicurezza delle frontiere; b) dell'eccesso di popolazione; è stato risposto con:

a) questione revisione sia pure parziale del trattato di pace (per esempio della sezione relativa disarmo) non può oggi essere sollevata pubblicamente. A parte evidente difficoltà che essa incontrerebbe e reazioni che potrebbe provocare in

3 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 645.

sede internazionale, è dubbio se opinione pubblica sia in Gran Bretagna, sia in alcuni Dominions, sia in altri paesi non reagirebbe in modo da paralizzare azione governativa. Occorrono quindi discrezione e tempo, tenendo presente che riarmo Stati Unione Occidentale è oggi appena all'inizio;

b) questione sovrappopolazione Italia in relazione restituzione colonie è stata considerata da Bevin già da tempo. Basandosi su dati statistici e geografici egli non ritiene che restituzione antiche colonie (a parte ogni altro aspetto della questione) potrebbe conseguire altro che in minima parte alla soluzione del problema. Egli sta invece considerando possibilità associare Italia sviluppo risorse Africa nel senso di creare con lavoro italiano grandi centri industriali (per esempio acciaierie) in quelle regioni (per esempio Rhodesia) dove esistono materie prime e giacimenti minerari. Fra i pionieri, che dovrebbero ripetere in quelle regioni lavoro compiuto da pionieri Stati Uniti nel secolo scorso, italiani potrebbero avere parte preponderante.

Da quanto precede si possono trarre alcune conclusioni: l) Governo britannico, e così verosimilmente altri firmatari Patto Bruxelles, non ha nessuna fretta di vederci entrare nell'Unione; sembra quindi che possibilità di negoziare nostra adesione siano oggi piuttosto scarse; 2) questione nostro riarmo dovrebbe essere, se mai, abbordata al momento opportuno e con la massima discrezione e riservatezza possibili; 3) potrebbe invece essere opportuno cominciare a studiare fin da ora effettive possibilità nostra partecipazione progetto Bevin circa industrializzazione Africa allo scopo di fare la tara di quello che può essere visione poco realistica e di concretare richieste e garanzie necessarie per l'eventualità che si giunga in avvenire a discuterne seriamente con questo Governo.

2 2 Per la risposta vedi D. 123.

4

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 6172/033. Bruxelles, l O maggio 1948 (per. il 12).

Spaak mi ha detto che durante il suo soggiorno a Washington 1 gli era stata da più di uno rivolta richiesta circa l'eventuale adesione dell'Italia al Patto di Bruxelles, e che egli aveva risposto che in quel momento, ossia alla vigilia delle elezioni italiane, la questione non sembrava di attualità, e che dopo le elezioni spettava soltanto al Governo ed al popolo italiano decidere circa la convenienza o meno di aderire al Patto suddetto.

Ho osservato che forse in nessun altro paese le iniziative per la collaborazione economica fra le potenze europee erano state accolte con tanto favore quanto in Italia e che il risultato delle recenti elezioni aveva chiaramente indicato la scelta del popolo italiano fra Occidente ed Oriente; mi sembrava tuttavia che per l'eventuale adesione al Patto di Bruxelles, oltre naturalmente la libera decisione del Governo e del popolo italiano, occorreva anche un invito unanime da parte delle cinque potenze contraenti, come stabilito dall'art. 9 del Patto. Ora dovevo dirgli con tutta franchezza che, mentre avevo ragione di ritenere che a Parigi ed a Londra vi fosse stato con quei nostri ambasciatori qualche approccio e scambio di idee a titolo privato ed ufficioso, avevo rilevato che da parte belga nessun accenno mi era stato fatto in proposito. E ciò mi aveva sorpreso dato che egli Spaak era a giusta ragione considerato in un certo modo il padre spirituale del Patto ed uno dei più convinti fautori di una sincera e completa collaborazione fra le potenze dell'Europa occidentale.

Il ministro ha replicato che durante tutti i lavori preparatori l'eventualità di una adesione italiana era stata sempre tenuta presente da tutti e da tutti auspicata, era stato peraltro ritenuto opportuno di rimandare la questione dopo il risultato delle elezioni italiane, per non avere l'aria di volere esercitare una indebita pressione nelle nostre questioni di politica interna. Egli doveva aggiungere che invero da talune delegazioni era stata prospettata l'utilità di addivenire in un primo momento, quasi a titolo di esperimento, ad una unione ristretta di carattere regionale e territorialmente limitata, fra le cinque potenze che per essere state alleate in guerra erano meglio fatte per comprendersi ed assistersi a vicenda, ma era stato convenuto che questa unione ristretta doveva essere il nocciolo intorno a cui avrebbero dovuto presto raggrupparsi altre potenze. L'adesione dell'Italia presentava poi il problema dell'estensione degli impegni che essa sarebbe stata desiderosa ed in grado di assumere, ed il problema quindi della eventuale revisione delle clausole militari del trattato di pace.

Ho detto che in questo momento l'attenzione in Italia era particolarmente rivolta alle questioni di carattere interno ed all'ordinamento del nuovo Stato costituzionale, ma che recenti dichiarazioni del presidente De Gasperi e del conte Sforza, nel confermare la volontà di collaborazione dell'Italia con l'Europa occidentale, avevano chiaramente indicato che l'Italia non avrebbe potuto partecipare a nessuna riunione o trattato se non in condizioni di piena assoluta parità di diritti. Proprio due giorni or sono il ministro Bevin aveva da parte sua dichiarato in Parlamento «chiunque aderisca ali 'Unione Occidentale deve essere posto in condizioni di assoluta eguaglianza» e la mia impressione era che quella affermazione volesse significare esplicito consenso britannico alle esigenze formulate dall'Italia.

Spaak ha allora detto che personalmente egli riteneva indispensabile la collaborazione dell'Italia per la ricostruzione dell'Europa, e così pure il concorso italiano per la difesa dell'Occidente; era perciò quanto mai utile e desiderabile la sua adesione al Patto di Bruxelles, ma quanto alla delicata questione della revisione delle clausole militari una soluzione doveva essere trovata dalle grandi potenze su cui ricadeva principalmente, anzi esclusivamente, la responsabilità delle condizioni di pace. Si trattava di questione molto delicata perché bisognava certamente attendersi una decisa opposizione da parte di alcuni Stati che era superfluo nominare; quanto al suo personale atteggiamento, i suoi sentimenti erano ben noti, e fin dalle riunioni di Parigi al momento della elaborazione del trattato egli aveva apertamente rilevato l'ingiustizia e la durezza di alcune clausole, voleva ora confermarmi pienamente tale suo modo di vedere.

Con tali cordiali dichiarazioni il ministro ha posto termine al colloquio, dicendomi che avremmo poi avuto occasione di rivederci e di riparlame.

4 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 592.

5

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 6173/034. Bruxelles, 10 maggio 1948 (per. il 12).

In una conversazione con il ministro Spaak egli mi ha accennato alle conversazioni avute a Washington a riguardo dell'assistenza militare nord-americana all'Europa. Mi ha detto che non si era giunti a conclusioni concrete perché come era noto egli non aveva ricevuto nessun incarico per trattative ufficiali, e che le sue conversazioni avevano avuto soprattutto scopo illustrativo delle attuali condizioni e necessità campo militare delle potenze europee e missione esplorativa delle intenzioni nord-americane. Aveva riportato l'impressione che in definitiva si finirebbe per addivenire ad una ripresa del sistema !end and lease.

Da talune personalità americane gli era stato prospettato come fosse difficile per gli Stati Uniti assumere un formale impegno di garanzia ed assistenza nei riguardi delle potenze del Patto di Bruxelles, e trascurare le altre potenze europee che si trovavano esposte agli stessi rischi d'aggressione e provenienti dalla stessa parte. Un eventuale impegno limitato soltanto agli Stati del Patto di Bruxelles avrebbe potuto quasi significare un incoraggiamento a tentare atti di aggressione in altre regioni europee non coperte dalla garanzia americana e dove la situazione era oggi forse ancora più delicata che non in Occidente. Spaak ha anche detto che personalmente egli non ritiene di particolare importanza la questione di un impegno formale da parte americana. La situazione oggi è tale che se una aggressione da parte dell'U.R.S.S. dovesse verificarsi, le prime vittime dell'aggressione sarebbero appunto le truppe americane dislocate in Germania, Austria, ecc. Gli Stati Uniti sarebbero quindi i primi ad entrare in un conflitto armato, e la situazione risulterebbe in un certo modo capovolta: non sarebbero gli Stati Uniti ad accorrere in aiuto delle potenze europee, ma piuttosto queste costrette a prestare assistenza alle truppe americane. L'importante secondo il ministro Spaak è che le potenze europee siano preparate a resistere all'aggressione, e per questa preparazione è necessario un tempestivo coordinamento delle forze di cui ciascuna di esse dispone; ed è questo coordinamento che si sta appunto cercando ora di organizzare nelle riunioni di esperti che hanno attualmente luogo a Londra. Dopo di che sarà il turno dell' America ad assumere le sue responsabilità.

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6

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 6431/026. Lisbona, l O maggio 1948 (per. il 17).

Riferimento telegramma 5207 /c. 1 . Come è noto applicazione legge E.R.P. non prevede per ora aiuti a Portogallo, che vi è poco interessato. Direzione affari economici questo Ministero esteri ha fatto conoscere che non sono state ancora prese decisioni circa struttura organizzazione portoghese che dovrà partecipare lavori organismo cooperazione europea di Parigi. Per quanto riguarda organizzazione interna è possibile che attività e progetti riferentisi all'E.R.P. vengano accentrati in una speciale sezione della Direzione generale del commercio di questo Ministero economia. Predetta Direzione generale affari economici ha fatto presente che, per sua parte, sarebbe lieta poter avere ogni possibile dettaglio su struttura nostre organizzazioni create in relazione a E.R.P.

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

TELESPR. 14387/97. Roma, l O maggio 1948.

Si ringrazia V.E. del rapporto n. 786/164 del 14 aprile 1 , giunto solo adesso alla Direzione generale scrivente, col quale V.E. prospetta talune considerazioni e proposte che saranno di grande utilità ai fini dei negoziati da intraprendere prossimamente con l'Unione Sovietica.

Occorre premettere che dopo lo scambio di note il cui contenuto è stato recato a conoscenza di V.E., questo Ministero aveva sentito già la necessità di uscire dal campo delle comunicazioni scritte per chiarire in via diretta coi rappresentanti dell'ambasciata sovietica taluni punti fermi che debbono servire di base al negoziato, e ciò appunto perché l'invio di una delegazione a Mosca non può avvenire se non quando siano stati chiarificati i punti basilari, di maniera da ridurre (per quanto possibile) le incertezze di un negoziato che si presenta indiscutibilmente lungo e difficile.

A tale uopo il consigliere dell'ambasciata sovtetJca ebbe un colloquio col segretario generale di questo Ministero, nel corso del quale gli vennero convenientemente illustrati i punti di vista italiani quali risultavano dalle comunicazioni scritte, perché non sorgessero errate interpretazioni sui capisaldi sostenuti dai due Governi.

Venne anzi redatto un appunto2 , di cui copia è qui unita, nel quale sono contenuti gli elementi che furono esposti durante tale conversazione. Il consigliere sovietico dichiarò di condividere pienamente il contenuto di tale documento.

Da esso V.E. potrà rilevare che la questione delle riparazioni sembra ormai essere stata accettata dai sovietici quale noi l'abbiamo impostata: cioè non solo nessuna consegna ma anche nessuna messa in lavorazione prima del 15 settembre 1949. Può rilevarsi -sia detto incidentalmente -che questa questione di principio può ad un dato momento diventare non rilevante, qualora raggiunto un programma di commesse speciali, quali vengono oggi eseguite con la Polonia e con la Jugoslavia, cioè con anticipo delle materie prime, il pagamento sia stipulato in dollari o in lire, rimandandosi ad un secondo momento la scelta fra le due monete che dovrebbero pagare la mano d'opera delle commesse stesse. Quanto precede viene detto soltanto per sua personalissima notizia.

Quanto ai beni italiani nei Balcani è nostro interesse che i sovietici li assorbano al più presto in quanto noi rischiamo di perderli senza vantaggio alcuno, attraverso le nazionalizzazioni locali. Due punti andranno però sostenuti: anzitutto che il complesso di tali beni, secondo il trattato di pace, forma un blocco che i sovietici debbono accettare come tale in pagamento di riparazioni, senza cioè scegliere questo

o quello dei beni stessi abbandonando l'altro o gli altri, sempre a motivo del fatto che questi ultimi andrebbero per noi egualmente perduti e che ci conviene pertanto scalare al massimo il montante delle riparazioni da pagare in produzione corrente. Il secondo punto è che la valutazione dei beni medesimi non deve essere eseguita a Mosca, dove si dovrebbero scambiare soltanto, per così dire, gli inventari, bensì dalla commissione dei quattro ambasciatori a Roma. Ciò per motivi evidenti sui quali è superfluo dilungarsi: d'altro canto la base giuridica su cui si basa tale nostra pretesa è a tal punto fondata sul trattato di pace che non dovremmo trovare obbiezioni.

Più difficile è invece determinare a priori l'ordine di grandezza delle nostre forniture. È da chiedersi se ci convenga determinarlo in rapporto alle possibilità sovietiche di forniture di grano o alle nostre capacità lavorative. È infatti da tener presente che le nostre industrie hanno già preso cospicui impegni con vari paesi (Argentina, Jugoslavia, Polonia, ecc.) talché talune di esse almeno hanno una capacità di produzione disponibile assai ridotta. Altre per contro (ad esempio Cantieri) hanno una disponibilità ben maggiore.

Infine, estremamente complessa si presenta la questione del trattato di commercio e navigazione. Non è stata ancora presa circa il contenuto e la portata di esso veruna decisione, in quanto essa come tutte le altre che sono connesse ai punti precedenti, non potranno essere determinate che da una commissione interministeriale, la quale inizierà i suoi lavori presso la Direzione generale scrivente non appena

sarà stato prescelto il presidente della delegazione, il quale ha diritto ad intervenire sino dall'inizio alle riunioni in parola, tanto per suo orientamento quanto per le decisioni da prendere. Che tale presidente debba essere prescelto tra i parlamentari più autorevoli non v'ha dubbio, e questo Ministero si era a tal riguardo già indirizzato sulla linea indicata da V.E.; a concretare la scelta occorre attendere la formazione del nuovo parlamento, cioè, brevi giorni. Non appena iniziate le riunioni interministeriali sarà possibile determinare quanto tempo esse dovranno continuare, e pertanto quale epoca, la più ravvicinata possibile, potrà essere proposta a Mosca per l'inizio delle trattative.

Ci si riserva pertanto ulteriori comunicazioni non appena possibile. Si è preso comunque buona nota di quanto suggerisce V.E. circa la composizione della delegaziOne.

6 1 Del 4 maggio, con il quale Grazzi aveva chiesto di essere informato sul modo in cui i vari paesi intendevano organizzarsi per la gestione degli aiuti americani.

7 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 566.

7 2 Del 24 aprile, non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2499/950. Londra, l O maggio 1948 (per. il 15).

Il problema della nostra adesione all'Unione Occidentale non può essere considerato che nel quadro più largo della situazione dell'Europa-e di quella particolare delle potenze firmatarie del Patto di Bruxelles -di fronte ai rapporti fra Stati Uniti e Unione Sovietica che oggi dominano il mondo.

Nell'eventualità che discussioni possano aver luogo in avvenire con il Governo britannico (oltre che con gli altri firmatari del Patto di Bruxelles) circa la nostra adesione all'Unione sarà utile a codesto Ministero conoscere nelle grandi linee l'opinione qui prevalente circa i più vasti problemi accennati sopra.

La situazione del mondo è almeno in apparenza così instabile che qualsiasi tentativo di tratteggiarla deve fare tutte le riserve per quello che potrà succedere domani. Le elezioni presidenziali del novembre prossimo negli Stati Uniti e la possibilità che entro il 1949 si facciano nuove elezioni generali in Gran Bretagna con chi sa quale risultato sono due fra le numerose incognite che danno a qualsiasi esame della situazione un valore del tutto relativo e temporaneo. D'altra parte dobbiamo per forza tenere conto del presente e degli elementi meno suscettibili di trasformazioni radicali che esso presenta.

Premesso questo, si attira l'attenzione sulle dichiarazioni fatte il 5 maggio dal segretario di Stato americano dinanzi al Comitato degli affari esteri della Camera dei rappresentanti circa l'atteggiamento del Governo degli Stati Uniti verso l'O.N.U. Esse sono doppiamente importanti: da un lato vi si nota una reazione dello State Department all'isterismo bellicoso che ha invaso il Congresso il quale vorrebbe riformare l'O.N.U. in modo da forzare la Russia e i suoi satelliti ad uscirne. L'amministrazione vuole invece conservare in vita l'Organizzazione così com'è nella

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speranza che le condizioni generali del mondo migliorino nei prossimi anni e che si possa finalmente giungere ad un'intesa con l'Unione Sovietica. Si ritiene che questo atteggiamento più conciliante sia in parte il frutto di pressioni degli Stati dell'Unione Occidentale i quali vedono con ansietà le manie bellicose del Congresso accompagnate dali' evidente proposito di far la guerra soprattutto per mezzo d eli' aviazione ossia «fino all'ultimo francese e all'ultimo inglese e al di là». Questi Stati non desiderano la garanzia che saranno alla fine «liberati» dall'occupazione sovietica ma che avranno i mezzi di fronteggiare l'invasione.

Ma le dichiarazioni di Marshall sono importanti sotto un altro aspetto. Egli riconosce francamente che il meccanismo di sicurezza collettiva dell'O.N.U. è oggi nell'impossibilità di funzionare e che siamo tornati al sistema della balance of power. Gli Stati Uniti debbono nell'interesse della sicurezza internazionale riarmare fino al limite necessario per ristabilire questo equilibrio nella speranza che sia possibile in seguito giungere ad un'intesa con l'U.R.S.S.

Si tende dunque oggi ad un regime di equilibrio paragonabile, proporzioni a parte, a quello che esisteva in Europa prima del 1914: Triplice Alleanza-Triplice Intesa.

Marshall ha aggiunto che nel quadro dell'equilibrio di forze potranno prender posto accordi regionali per il mantenimento della pace e per la difesa, secondo gli articoli 51-54 della Carta delle Nazioni Unite. Tali sono il Patto di Rio de Janeiro e quello di Bruxelles: noi -ha detto Marshall -incoraggeremo accordi di questo genere.

In questo regime di balance of power non sembra che uno Stato qualsiasi dell'Europa occidentale, faccia esso parte o no di intese regionali, possa avere maggiori probabilità di essere riconosciuto e rimanere neutrale di quelle che potesse avere per esempio la provincia di Leopoli prima del 1914. Infatti la neutralità, a parte un concorso di circostanze puramente fortuite e imprevedibili, potrebbe appoggiarsi: a) su un accordo internazionale firmato almeno dalle grandi potenze; b) su una forza armata autonoma tale da poter da sola rompere l'equilibrio fra i due blocchi. La prima ipotesi non è probabile per quanto riguarda sia la conclusione dell'accordo, sia il rispetto degli impegni presi. Quanto alla seconda ipotesi si osserva che nessun paese europeo si trova oggi in condizioni neanche lontanamente paragonabili a quelle richieste date le dimensioni dei due blocchi opposti. Ciascun paese europeo ha la propria economia legata, per ora, a un sistema o all'altro e, data la standardizzazione degli armamenti in corso dalle due parti, deve orientare anche le sue forze armate per quanto modeste verso un sistema piuttosto che l 'altro. E questo basta oltre tutto per prender posizione nell'atmosfera di sospetto che regna oggi nel mondo.

Escluso dunque che uno Stato qualsiasi dell'Europa occidentale possa parlare sul serio e in buona fede di rimanere neutrale (nel senso di rimanere fuori sia dell'uno che dell'altro dei due blocchi che si sono spartiti il mondo) rimane la questione di aderire o meno ad uno degli accordi regionali che dovrebbero realizzare le idee di Lippmann che lo State Department sembra aver adottato. Questi sono appena in via di formazione ma è probabile che mano a mano che andranno delineandosi rimanerne fuori sarà, per gli Stati che vi appartengono geograficamente, quasi altrettanto difficile quanto rimanere fuori del blocco più grande entro cui l'accordo regionale si sviluppa. Non bisogna dimenticare che, in una situazione di ba/ance ofpower che abbraccia tutto il mondo o quasi, la libertà di movimenti delle singole unità è naturalmente ristretta, appunto per il peso trascurabile che ognuna di esse rappresenta di fronte a un blocco. E del resto la ragion d'essere degli accordi regionali, a parte la difesa immediata, è soprattutto quella di costituire col tempo delle unità capaci di alterare l'equilibrio, ossia possibilmente di sostituire ad una situazione di equilibrio a due un equilibrio a tre: in altre parole di creare una situazione che permetta di assicurarsi se non la neutralità almeno una certa libertà di movimenti. Questa è la considerazione che, mentre spinge la Gran Bretagna a partecipare attivamente-almeno in apparenza-all'Unione Occidentale, la induce a fare il possibile per mantenere intatti i legami con il Commonwealth che gli inglesi considerano un complesso regionale non meno solido, almeno economicamente, dell'Unione di Bruxelles. La Gran Bretagna verrebbe così ad essere il punto di congiunzione di questi due sistemi (Europa Occidentale e Commonwealth) capaci di integrarsi economicamente; il primo offre una garanzia di sicurezza alle Isole britanniche; il secondo, mentre può fornire una base economica al primo, offre anche una linea arretrata su cui ripiegare in caso di crollo dell'Europa. Gli inglesi non si fanno illusioni circa la gravità del disastro che rappresenterebbe per loro avere un'altra volta il nemico sulle rive della Manica, senza parlare poi di una invasione delle Isole; però ritengono che finché rimarrà il Commonwealth di là il popolo britannico (quello che ne sarà rimasto) potrà partire alla riscossa. Soltanto un disastro che privasse la Gran Bretagna delle forze necessarie per difendere, dopo le Isole, il Commonwealth sarebbe dal loro punto di vista irreparabile. Quindi anche se saranno militarmente pronti non impegneranno mai la gran maggioranza delle loro forze soprattutto terrestri nella difesa della linea Lubeck-Trieste almeno nel primo periodo -quello più critico -della guerra.

Si vede quindi che l'atteggiamento britannico nel campo militare è analogo a quello nel campo economico. Gli inglesi hanno tutto l'interesse che l'Europa Occidentale raggiunga un grado di stabilità economica e politica e la forza militare sufficiente a difendere la linea strategica della cortina di ferro. Considerano d'altra parte che il Commonwealth, mentre può, in teoria, fornire all'Europa Occidentale almeno una parte dei prodotti che essa acquistava ad Est della cortina, offre alla Gran Bretagna -sempre entro certi limiti -la possibilità di una doppia libertà di movimenti: d'accordo con l'Europa Occidentale, la possibilità di avvicinarsi in avvenire a un equilibrio a tre: di fronte all'Europa Occidentale la possibilità di evitare impegni troppo precisi e di mantenere una posizione relativamente indipendente. Senza risalire più indietro di una settimana, il discorso di Churchill all' Aja e le dichiarazioni di Attlee ai Comuni sulla necessità di convocare al più presto una conferenza imperiale (chiesta da Eden) riaffermano pubblicamente questi due aspetti della politica britannica su cui nelle grandi linee laburisti e conservatori sembrano per ora d'accordo. A parte i legami economici e sentimentali con il Commonwealth quasi tutti gli inglesi sono convinti che se gettassero le loro intere risorse, sia di sterline che di uomini, nel pool europeo potrebbero compromettere irreparabilmente sé stessi senza salvare l'Europa; quindi, qualunque sia il tono delle dichiarazioni pubbliche di uomini politici e anche di ministri responsabili, la collaborazione britannica sarà sempre parziale, condizionata e accompagnata da riserve mentali.

Questo atteggiamento britannico dà elementi importanti per valutare la portata dell'Unione Occidentale soprattutto nel campo militare. In conclusione esso può riassumersi così:

l) Nell'attuale regime di equilibrio di forze gli accordi regionali costituiscono l'unico mezzo per raggiungere un minimo di sicurezza e, d'accordo con gli altri Stati membri, un minimo di libertà di movimenti. Sotto certi aspetti il Commonwealth può essere paragonato a un accordo regionale.

2) Finché sta in piedi il Commonwealth la Gran Bretagna, mentre può offrire all'Europa Occidentale un apporto superiore a quello degli altri firmatari del Patto di Bruxelles, può anche permettersi (o in ogni modo si permetterà anche se è un errore) maggior indifferenza circa gli sviluppi dell'Unione, in particolare circa l'adesione di nuovi Stati. Non che l'allargamento dell'Unione in certe direzioni e entro certi limiti non possa essere desiderato a Londra; ma mentre si tende ad esigere alcune garanzie di sincerità (per quanto possono valere in politica estera) da parte dei nuovi aderenti, non si sembra disposti in generale a pagare un prezzo per la loro adesione. Questo tanto più in quanto nessuno dei possibili candidati ~ad eccezione della Germania e la Germania è un caso a parte ~può dare un contributo economico o militare tale da migliorare sensibilmente la posizione della Europa Occidentale almeno a breve scadenza. E gli inglesi sono sempre stati contrari, e oggi più che mai, a basare la loro politica su un avvenire incerto e remoto.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 646/9038/1782. Parigi, l O maggio 19481•

Circa la riunione di Londra dei cinque ministri della difesa Chauvel mi ha detto che essa si era limitata a mettere in piedi il meccanismo necessario allo studio dei problemi. Il meccanismo era stato così concepito:

l) il Consiglio dei ministri della difesa e, in loro assenza, i cinque ambasciatori incaricati della coordinazione generale politica dei lavori; 2) il Consiglio dei cinque capi di Stato Maggiore, a carattere puramente tecnico, con il compito di delibare il lavoro compiuto dal

3) comitato tecnico, composto di ufficiali di grado elevato, delegati ad hoc, incaricato di studiare i problemi e di preparare dei rapporti, che avrebbero poi dovuto avere la superiore sanzione politica.

Tutto quello che aveva pubblicato la stampa sulla riunione di Londra era intanto inesatto in quanto essa aveva elencato, come già presi in esame, una serie di problemi che avrebbero dovuto formare un primo argomento di studio da parte del comitato n. 3: in primo luogo il comitato tecnico avrebbe dovuto pronunciarsi sulla loro necessità, possibilità ed ordine di precedenza. I problemi sostanzialmente erano: precisazione della linea da difendere, presumibilmente l'attuale linea di demarcazione in Germania, delle forze che i cinque Stati erano in grado di mettere in campo, delle risorse industriali disponibili per l'equipaggiamento. In un secondo tempo avrebbero dovuto essere studiati, l'opportunità di una standardizzazione degli armamenti, comando unico, razionalizzazione degli impianti industriali etc. Egualmente quanto era stato pubblicato circa presunti contrasti (su nome e nazionalità del comandante in capo, prevalenza francese per le forze di terra e inglese per quelle di aria etc.) poteva essere considerato come un guess circa probabili atteggiamenti dei principali paesi interessati e delle divergenze che ne avrebbero potuto derivare: probabilmente questi contrasti ci sarebbero stati, ma si era ancora ben lontani dall'aver raggiunto questo stadio.

A mia richiesta mi ha detto che i contatti politici stabiliti con Washington non avevano dato altro risultato che di constatare come gli americani fossero, in generale, in questo ordine di idee: ma non si vedeva ancora né come né quando le conversazioni e gli studi di Londra avrebbero potuto entrare nella fase della cooperazione con gli americani. Secondo Chauvel si stava procedendo, di fatto, come per il piano Marshall: il problema era stato posto, non c'era stato un discorso di Harvard, ma praticamente era stato posto lo stesso: lo si studiava adesso e da parte americana e da parte europea; un giorno il frutto dei due studi avrebbe dovuto essere comparato ed aggiustato. Da parte francese, soprattutto, si stava cercando, per perdere meno tempo, di stabilire un collegamento utile per tutti e due: ogni studio americano fatto senza conoscere, se non il pensiero, almeno le possibilità europee sarebbe stato manchevole; lo stesso, ogni studio europeo sarebbe stato illusorio senza avere una idea, anche approssimativa, delle idee e delle possibilità americane. Ma non credeva che si potesse ottenere qui qualche risultato effettivo a questo stadio: forse bisognava attendere che i lavori del comitato tecnico fossero stati avanzati al punto da poter sottomettere e discutere con gli americani un piano abbastanza concreto e definito. La situazione era oggi fluida e questo momento non sembrava vicino: «può essere che i russi ci aiutino ancora una volta».

Ho chiesto a Chauvel se nel redigere questo piano i cinque si preparassero a tenere conto anche dell'eventuale apporto tedesco alla difesa di una frontiera che copriva anche, in parte, il territorio tedesco. Mi ha risposto di no, aggiungendo però che evidentemente ci si sarebbe potuto pensare, soprattutto nel campo della produzione industriale.

«Ma non pensa lei -gli ho chiesto -che il giorno in cui voi presenterete il vostro piano agli americani, piano che, in breve, sarà: per difendere questa linea, come minimo ci vuole tanto: noi europei non possiamo dare che tanto, la differenza la dovete mettere voi, gli americani vi risponderanno: scusate, il vostro calcolo è sbagliato perché non tiene conto delle possibilità tedesche: rifatelo sotto questo punto di vista, e poi vedremo quale dovrà essere il nostro contributo».

Chauvel mi ha risposto che questo era prevedibile e che non mancava di sollevare certe preoccupazioni in Francia. Gli americani non ne avevano, finora, nemmeno accennato: ma certi accenni fatti da loro in sede di discussioni tedesche non lasciavano illusioni in proposito. Da parte francese si sarebbe cercato di fare tutto il possibile per evitare di congiungere i due problemi: per questo, fra l'altro, non era affatto sicuro che la linea di difesa dei cinque sarebbe stata portata all'Elba: evidentemente era di quella linea che, in ultima analisi, si sarebbe dovuto trattare, ma il piano militare occidentale avrebbe potuto benissimo riguardare in un primo tempo solo la frontiera dei cinque Stati, con qualche piccola avanzata strategica in territorio tedesco, lasciando agli americani di proporre loro una linea ulteriore.

9 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

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IL SEGRETARIO DELL'UFFICIO DI COORDINAMENTO, DAINELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, FRANSONI

APPUNTO. Roma, Il maggio 1948.

Il consigliere dell'ambasciata degli Stati Uniti ha fatto conoscere in via del tutto confidenziale che a seguito delle richieste di informazioni circa le ex colonie italiane, pervenute recentemente all'addetto militare di quell'ambasciata, anche dal Dipartimento di Stato, adesso si desiderano conoscere dati, cifre e circostanze che servano alla impostazione definitiva di quel problema da parte del Governo di Washington.

Il signor Byington ha detto che è impressione dell'ambasciata che a Washington si cerchi di trovare una soluzione che venga incontro agli interessi ed alle esigenze dell'Italia, nel quadro di una sistemazione di quei territori corrispondente all' interesse generale delle nazioni occidentali.

Pertanto egli ha chiesto di fargli pervenire i dati che concernono: l) il numero di italiani che si sono trasferiti nelle colonie nel periodo della dominazione italiana (distribuzione quantitativa e qualitativa); 2) l'entità dei capitali investiti dal Governo, da società e da privati nell'Impero coloniale ( qualitativamente e quantitativamente ); 3) l'entità di opere pubbliche e di trasformazione agricola e industriale tendenti a portare quei territori ad un livello di civiltà occidentale; 4) elementi che dimostrano, più che l'immediato rendiconto delle colonie, lo sbocco di energie e la creazione di nuovi nuclei di civiltà;

5) la legislazione riguardante lo «status» degli indigeni e le disposizioni che, pur rispettando usi e costumi, abbiano teso, attraverso il miglioramento del livello di vita, ad un graduale avvicinamento della civiltà occidentale: gli indigeni nei riguardi del Governo italiano, loro partecipazione alla vita di quei territori e loro amministrazione.

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L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ORTONA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6199/391. Washington, 12 maggio 1948, ore 12,40 (per. ore 3 del 13).

Mio 375 1•

In riunione odierna Comitato affari esteri Senato con partecipazione sottosegretario Stato Lovett, senatore Vandenberg presentata mozione da tempo allo studio avente duplice scopo incoraggiare paesi Europa occidentale a rispondere vivissime

pressioni questi ambienti parlamentari per riforma statuto O.N.U. Mozione che rivestirebbe carattere raccomandazione Senato a presidente Truman per condotta politica estera Stati Uniti e che dovrebbe essere seguita da analoga iniziativa Camera rappresentanti, prevederebbe perseguimento programma sei punti: l) tentativo raggiungere accordo volontario per eliminare veto in tutte controversie e questioni internazionali risolvibili senza ricorso forza e in questione ammissione nuovi membri; 2) progressivo sviluppo unioni regionali o collettive con carattere autodifesa individuale o collettiva, in accordo con scopi, principi e disposizioni Statuto O.N.U.; 3) partecipazione Stati Uniti, attraverso normale procedura costituzionale, a eventuali unioni regionali o collettive in quanto basate su autodifesa e mutua assistenza e in quanto coinvolgono sicurezza americana; 4) contribuire mantenimento pace mediante chiara esposizione determinazione Stati Uniti esercitare autodifesa individuale o collettiva in base art. 51 Statuto O.N.U. qualora dovesse verificarsi attacco armato compromettente sicurezza americana; 5) compiere massimo sforzo per dotare O.N.U. forze armate previste da Statuto e per ottenere accordo tra membri O.N.U. su regolamento e riduzione armamenti comprendente sufficienti garanzie contro ogni violazione; 6) se necessario, dopo aver compiuto adeguati sforzi per rafforzamento O.N.U., convocare, in base art. 109 Statuto O.N.U., conferenza generale per revisione Statuto stesso. Pur non contenendo nessuna diretta allusione patto Bruxelles e pur essendo dedicata massima parte rafforzamento O.N.U., mozione Vanderberg è ritenuta qui formula sufficiente ai fini eventuali iniziative da parte ramo esecutivo Governo in relazione Europa occidentale.

Malgrado, come già segnalato, mozione fosse da lungo tempo allo studio, presentazione e annuncio sommario in data odierna prima approvazione da parte Comitato affari esteri Senato, va posta in diretta relazione con questione passo Bedell Smith di cui miei telegrammi 388 e 3892 .

11 1 Non pubblicato, sull'argomento vedi serie decima, vol. VII, D. 630.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE. 6580/026. Bucarest, 12 maggio 1948 (per. il 20).

Mio telegramma 63 del 23 aprile u.s. 1• Ho già riferito circa il profondo disappunto che il risultato delle elezioni in Italia ha suscitato negli ambienti di Governo e comunisti -che è tutt'uno -in questo paese. Da una più attenta disamina di tale reazione, mi sembra poter dedurre che essa proviene da due distinti motivi: dalla speranza totalmente mancata, se non di una «main mise» comunista in Italia, quanto meno di una forte affermazione delle sinistre; e, soprattutto, dalla constatazione che la «presa» della propaganda comunista nei paesi di alta civiltà occidentale incontra ostacoli di ordine morale, sociale, di cultura, di tradizione e di religione che non fanno presumere la possibilità di superarli facilmente e di trovarvi un terreno favorevole come avvenne in Russia e come è avvenuto in paesi di più debole fondamento di civiltà e per giunta posti sotto l'immediata pressione della Russia. In altre parole, si teme dai dirigenti comunisti che l'espansionismo sovietico abbia forse toccato ormai i reali confini dell'Europa, varcare i quali è difficile impresa. Che ciò possa indurre il comunismo ad una rinuncia o quanto meno ad una attenuazione della sua azione appare del tutto lontano dal proposito dei suoi dirigenti; che, anzi, sembra evidente, e dalle loro aperte dichiarazioni di stampa e dai loro non celati sentimenti, la intenzione di moltiplicare gli sforzi, ricorrendo a tutti i mezzi, anche ai più violenti ed illegali, per forzare la situazione.

Queste le impressioni e le deduzioni che posso trarre qui e che ho creduto di segnalare, non tanto perché il pensiero di questi dirigenti comunisti abbia di per se stesso grande valore ma perché esso riflette senza dubbio l'opinione dei padroni di

Mosca.

Il 2 Dell'Il maggio, non pubblicati. Con T. 7743/466 del 12 giugno Tarchiani comunicò l'approvazione della risoluzione Vandenberg da parte del Senato statunitense.

12 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 600.

13

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, LONDRA E PARIGI, ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BEIRUT E DAMASCO E AL CONSOLATO GENERALE A GERUSALEMME

TELESPR. 11/14579/c. Roma, 12 maggio 1948.

Dall'esame delle notizie che pervengono da varie fonti di informazione sembra che la situazione palestinese possa attualmente venire caratterizzata come segue:

l. La controffensiva condotta dagli ebrei ha per effetto, e probabilmente per fine, di creare lo stato di fatto di un controllo della Agenzia ebraica, pronta a trasformarsi in Governo, sulle zone palestinesi che il progetto di partizione assegnava ai sionisti o quanto meno sulla maggior parte di tali zone.

2. -La reazione araba è inefficiente sia per difetto di organizzazione sia per le discordie e le rivalità esistenti fra i vari paesi arabi. 3. -Il re di Transgiordania appare il più incline ad intervenire, approfittando anche della favorevole posizione geografica del suo paese rispetto alla Palestina. La sua azione si limiterebbe tuttavia, sostanzialmente, alla occupazione del territorio palestinese che il progetto partizione riservava agli ebrei, ed avrebbe per fine di favorire l 'annessione del territorio stesso alla Transgiordania. 4. -Gli anglo-americani cercano di trattenere i vari Stati arabi dall'intervenire direttamente e ufficialmente in Palestina il che favorisce l'azione degli ebrei e quella del re di Transgiordania. 5. -La Gran Bretagna appare tuttora decisa ad abbandonare il mandato. La sua azione militare sembra incerta, ma tende grosso modo a salvaguardare i grandi centri sionisti da una occupazione.

Al tempo stesso gli inglesi non nascondono le proprie simpatie per le aspirazioni del loro alleato di Transgiordania e confidano di poter mantenere un certo controllo sulla Palestina appoggiando tali aspirazioni.

In tale situazione è da considerarsi come possibile, a più o meno prossima scadenza, una soluzione del problema palestinese attraverso la quale l'esistenza di uno Stato ebraico si consolidi internazionalmente anche se il suo riconoscimento non dovesse essere immediato, mentre la reazione araba potrebbe, opportunamente contenuta, avere come conseguenza l'estendersi della Transgiordania, e in parte minore del Libano, e dell'Egitto alle zone arabe della Palestina con essi confinanti. Questa soluzione allo stato attuale appare anche la meno nociva ai nostri interessi in quanto:

l) avrebbe come conseguenza di risolvere un problema che minaccia la stabilità e la pace nel Mediterraneo orientale;

2) consentirebbe il deflusso verso la Palestina delle decine di migliaia di ebrei attualmente profughi in Italia dove la loro presenza e il loro permanere costituiscono sempre più motivo di seria preoccupazione;

3) favorirebbe maggiori possibilità di collaborazione economica, tecnica, culturale, fra l'Italia e quei territori; 4) consoliderebbe la posizione della Gran Bretagna e, di riflesso, dell'Europa occidentale, nel Levante.

Avendo presenti le considerazioni che precedono, questo Ministero prega le ambasciate a Parigi e ad Ankara e la legazione in Atene di voler riprendere i contatti coi Governi francese, turco e greco sul!' argomento per conoscere se essi condividono l'apprezzamento della situazione fatto da questo Ministero e, in caso affermativo, per sondare il loro pensiero sulla sorte che dovrebbe essere riservata alla città di Gerusalemme: su questo ultimo punto il nostro suggerimento è che detta città abbia uno statuto internazionale (come già previsto dal progetto redatto dalla Commissione dell'O.N.U.) sul tipo di quello di Tangeri, nel quale cioè tutti gli Stati interessati siano rappresentati, e tra questi Stati poniamo naturalmente l'Italia che è legata alla Palestina ed alla Città Santa, oltreché da interessi molteplici di natura politica ed economica, da antichi e ben noti vincoli spirituali.

Questo Ministero prega inoltre l'ambasciata in Londra di volere, in via di conversazione, accennare alla questione con il Foreign Office facendo rilevare che, nello spirito di collaborazione con la Gran Bretagna, al quale intendiamo, come in più occasioni abbiamo ripetuto, informare la nostra politica nel Levante, vediamo con favore il consolidamento dell'influenza inglese in quel settore anche se esso dovesse risultare da una soluzione della questione palestinese nel senso sopra descritto.

Le legazioni a Damasco e Beirut sono invitate, ove se ne presentasse l'occasione in via di conversazione, a dare opportuni consigli di calma e di fiducia ai Governi siriano e libanese rappresentando ad essi la convenienza di assicurare il ristabilimento di condizioni di pace e prosperità nel Levante, tali da favorire il pacifico sviluppo dei paesi arabi ai quali le simpatie dell'Italia sono ovviamente assicurate, anche se ciò dovesse comportare, con il minor danno possibile per gli arabi, l'accettazione dello stato di fatto che si è creato in una determinata zona della Palestina, stato di fatto che in conseguenza della dichiarazione Balfour sarebbe comunque maturato nel tempo e che solo le vicende belliche e le persecuzioni sofferte dagli ebrei in molti paesi di Europa hanno accelerato e acutizzato.

Il consolato generale a Gerusalemme è per parte sua pregato di mantenere nel frattempo amichevoli rapporti tanto con il re Abdallah di Transgiordania quanto con l'Agenzia ebraica conformemente alle istruzioni già ricevute.

14

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 2518/966. Londra, 12 maggio 19481•

Telespresso ministeriale 5/4386/c. del 27 aprile u.s. 2•

14 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 605, nota l.

Ben prima della dichiarazione tripartita del 20 marzo3 mi era stato accennato al Foreign Office a un possibile orientamento britannico verso l'idea della spartizione del Territorio Libero di Trieste tra Italia e Jugoslavia (mio telegramma n. 2 del 2 gennaio u.s.)4 quale unica soluzione pratica per eliminare a tempo opportuno «l'assurdo politico, economico e strategico» che l'esistenza del Territorio ha provato di essere.

Nella sostanza pertanto si era quasi giunti a prendere atto, pur deplorandola, della situazione di fatto creatasi con la assimilazione della Zona B nel territorio jugoslavo.

La dichiarazione tripartita pre-elettorale, sull'effettivo seguito della quale non credo ci si facessero qui illusioni, non ha spostato i termini della questione pur rimettendola sul tappeto.

Praticamente quindi il Foreign Office non vede come la situazione nel Territorio Libero potrebbe essere mutata a breve scadenza e ritiene che quella di Trieste sia ormai da elencarsi tra le questioni di frontiera tra Europa occidentale ed Europa comunista, la cui soluzione non dipende più da circostanze locali ma dall'andamento generale dei rapporti tra l'Unione Sovietica e i suoi ex alleati.

Per quanto riguarda i possibili sviluppi procedurali, mi è stato detto al Foreign Office che il Governo britannico non ha intenzione di portare il problema di Trieste in discussione all'Assemblea generale delle N.U., senza escludere d'altra parte che esso possa essere ripreso dal Consiglio di sicurezza nella cui agenda è ancora iscritta la questione della nomina del governatore del Territorio Libero. Circa l'opportunità di riaprire la discussione in tale sede i pareri non sono concordi, temendosi che ciò si risolverebbe in uno sterile scambio di accuse che forse i russi (se non gli jugoslavi) vedrebbero con favore ai soliti scopi polemici, ma che non porterebbe ad alcun vantaggio pratico, anche in vista della difficoltà di fornire prove tangibili e di fonte non sospetta di quanto gli alleati occidentali sanno essere stato fatto dalla Jugoslavia per la incorporazione della Zona B.

Il Foreign Office non ritiene invece impossibile che, in un quadro generale, i russi accettino a un certo momento di negoziare anche la questione di Trieste, questione che da parte britannica ci si riserva intanto, d'intesa con gli Stati Uniti e la Francia, di mantenere formalmente in vita sollecitando di tanto in tanto il Governo sovietico a dare esauriente risposta al progetto che gli è stato sottoposto dai tre la cui ragione di essere, si vuole insistere, è dovuta alla mancata osservanza e alla pratica inapplicabilità delle clausole del Trattato, in particolare dell'art. 4 dello Statuto del Territorio Libero, per esclusiva colpa della Jugoslavia.

4 Jbid., D. 64.

14 3 Ibid., D. 468.

15

L'INCARICATO D'AFFARI AL CAIRO, ARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 1845/512. Il Cairo, 12 maggio 1948 (per. il 14).

I recenti avvenimenti in Palestina e l'aggravarsi della situazione per gli arabi continuano a produrre un senso di vivo scoramento negli ambienti egiziani, che non vedono ormai più come gli arabi stessi, da soli, possano arginare la situazione, già così compromessa.

È un fatto che -dopo la delusione qui verificatasi l'inverno scorso a seguito del progetto di spartizione della Palestina da parte dell'O.N.U. sotto gli auspici degli Stati Uniti d'America e dell'U.R.S.S.-quando giunse la notizia che il Governo di Washington non intendeva più concedere il suo appoggio al progetto stesso, un senso di euforia si determinò sia in Egitto che negli altri paesi membri della Lega araba, i quali tutti credettero vedere ormai tramontato per sempre il sogno sionista di costituire uno Stato indipendente in Palestina e considerarono la causa degli arabi ormai avviata ad un sicuro successo.

Il fatto che poche settimane dopo gli ebrei abbiano, nonostante ciò, preso l 'iniziativa delle operazioni militari e messo in scacco gli arabi, ponendo così nella più cruda luce tutte le manchevolezze della preparazione militare di questi ultimi, ha determinato un sentimento di vivissima depressione in tutti gli arabi, ha ridestato le gelosie dei vari Stati che compongono la Lega e, soprattutto, ha prodotto un senso di profonda sfiducia nei dirigenti della Lega stessa e nella politica da essi sostenuta negli ultimi tempi.

Per quanto la situazione permanga fluida e le notizie che circolano a proposito degli avvenimenti di Palestina siano sottoposte ad una rigorosa censura da parte di questo Governo, si ha nettamente l'impressione che la direzione della politica araba attuale sia ormai sfuggita dalle mani di coloro che fino ad oggi l 'hanno tenuta. Questo, non vi ha dubbio, è una prova di sfiducia degli Stati arabi nei confronti dell'Egitto, che si era assunto un ruolo di dirigente della politica araba in seno alla Lega e di fronte alle potenze straniere, e di Azzam Pascià, maggiore esponente di tale politica, da lui sovente consigliata ed imposta.

Oggi infatti la direzione della politica araba, almeno per quanto riguarda la questione palestinese, è passata nelle mani degli uomini di Governo siriani e libanesi e del re Abdallah di Transgiordania, i quali stanno esplicando una notevolissima attività, i primi per cercare di porre riparo alla situazione ed ostacolare il dilagare dell'espansione sionista in Palestina, il secondo per trame vantaggi diretti, sia pure mediante un'eventuale intesa con gli stessi sionisti.

Di Azzam Pascià si parla ormai solo in tono minore, cioè come di persona che più non rappresenta un fattore decisivo nella politica araba. È stata una rapida eclissi, determinata dalla dolorosa sorpresa prodotta dall'avanzata sionista, dalla constatazione dell'impotenza della Lega ad arginarla e dal depresso morale degli arabi in seguito a tali constatazioni.

Di questo nuovo stato di cose si possono constatare le conseguenze anche in altri settori della vita politica araba. Mi limiterò a riferire sui riflessi della crisi palestinese sul problema dell'avvenire delle nostre colonie e specialmente della Libia.

Al riguardo mi viene confidenzialmente riportato che taluni esponenti del Comitato di liberazione della Libia, sorto -come è noto -più di un anno fa per iniziativa di Azzam Pascià, sono ora assai preoccupati per gli avvenimenti palestinesi e non nascondono la loro delusione per aver fatto troppo assegnamento sulla Lega araba per la difesa dell'unità e dell'indipendenza della Libia. Essi sembrano ritenere che ormai convenga loro rivedere la loro posizione, dato che, nell'ipotesi di non poter più appoggiarsi esclusivamente sulla Lega araba, temono di restare alla mercé degli appetiti di potenze estere ed esposti per conseguenza ali' eventualità di una spartizione del paese.

In questo nuovo stato d'animo, essi dimostrano una grande incertezza sulla via da seguire e non fanno mistero della loro preoccupazione per l'avvenire della Libia.

Secondo quanto mi viene in pari tempo riferito, non sarebbe da escludere che i sentimenti di taluni di loro nei nostri confronti stessero evolvendo e che si guardasse all'Italia come alla potenza che, nell'attuale crisi che sta attraversando il mondo arabo, potrebbe forse permettere il raggiungimento di un'accettabile soluzione di compromesso per risparmiare alla Libia la spartizione.

Mi risulta altresì che i rapporti fra i dirigenti del Comitato di liberazione ed il Senusso permangono tesi ed ispirati a sensi di reciproca diffidenza, in quanto i primi vedono oggi più che mai nel Senusso un ostacolo al mantenimento dell'unità del paese ed il secondo considera il Comitato quale il maggiore ostacolo nell'interno della Libia per il raggiungimento delle sue aspirazioni.

16

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, FRANSONI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PORTO PRINCIPE, DE FERRARI

T. 5526/29. Roma, 13 maggio 1948, ore 15,45.

Suo 54 1 .

Riesame situazione consiglia non (dico non) interessare Governo americano questione. Ella potrà far concorrere nostri connazionali prestito limiti compatibili ottenendo contemporaneamente il necessario sblocco beni italiani e eliminando tal modo risentimento non giustificato Governo haitiano.

16 1 Del 6 maggio, con il quale De Ferrari aveva riferito sulle questioni dell'abolizione delle misure di guerra, dello sblocco dei beni italiani e della partecipazione della collettività italiana al prestito nazionale haitiano, suggerendo un eventuale interessamento americano.

17

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AJETA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, FRANSONI

APPUNTO RISERVATO 15026/c.1 . Roma, 14 maggio 1948.

In risposta ad una nota verbale indirizzata in data 3 aprile u.s. 2 alle ambasciate britannica e degli Stati Uniti, con cui questo Ministero faceva presente il punto di vista italiano circa l'inopportunità che l'accordo in corso di trattativa tra le autorità militari del Territorio Libero di Trieste e la Jugoslavia venisse stipulato, la predetta rappresentanza degli Stati Uniti di America ha rimesso ieri la nota verbale, avente carattere confidenziale, di cui si allega copia3 .

La Direzione generale scrivente ha il pregio di segnalare che, dal testo della medesima e dalle dichiarazioni verbali ricevute in occasione della consegna, risulta che i Governi di Washington e di Londra hanno accolto in pieno la tesi italiana considerando giustificate le richieste contenute nella nota verbale italiana e le obiezioni sollevate contro la stipulazione dell'accordo4 .

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE CONFIDENZIALE 1252. Roma, 13 maggio 1948.

The Embassy of the United States of America presents its compliments to the Ministry of Foreign Affairs and has the honor to refer to the Ministry's Note of Aprii 3, 1948 conceming a draft of a proposed Commerciai Agreement between the USIUK Zone of the Free Territory of Trieste and Yugosiavia. The Ministry invited the attention of the Government of the United States to number of considerations which, in the opinion of the Itaiian Government, wouid make such an agreement both unnecessary and undesirabie.

In this connection the Embassy is now instructed to inform the Ministry that negotiations regarding the aforementioned Commerciai Agreement have been suspended pending consultation by the Zone Commander with the Itaiian Mission at Trieste and pending further discussions between the Govemments of the United States and the United Kingdom.

17 1 Diretto per conoscenza alla Direzione generale degli affari politici e all'Ufficio confini. 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 517. 3 Vedi Allegato. 4 Per la nota verbale dell'ambasciata di Gran Bretagna vedi D. 23, Allegato.

The Zone Commander of the US!UK Zone of Trieste is being informed by the Govemments of the United States and the United Kingdom that the delay in further discussions with the Yugoslav Mission is not dependent upon official representation made to him by the Italian Govemment's representative at Trieste.

The Govemment of the United States desires, if possible, to avoid any arrangements with Yugoslavia which might be objectionable to ltaly and the comments of the Italian Govemment conceming the proposed Commerciai Agreement are being given full consideration.

18

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6409/22-23. Beirut, 16 maggio 1948, ore 2 (per. ore 9,30).

Questo ministro degli affari esteri ha convocato oggi [ 15] ore 18 tutti i ministri e capi missione qui accreditati per dar loro lettura memorandum che gli Stati arabi invieranno O.N.U. Documento ricorda a lungo precedenti storici questione Palestina mettendo in particolare rilievo responsabilità britannica presente situazione.

Memorandum conclude con seguenti affermazioni e decisioni Stati arabi che riassumo: a) popolazione Palestina ha diritto istituire libero governo, conformemente principi Covenant e O.N.U.; b) pace e ordine sono stati sconvolti da aggressioni ebraiche che hanno obbligato circa 250 mila arabi lasciare paese cercando rifugio Stati vicini, mentre decisioni Gran Bretagna porre termine mandato lascia Palestina senza alcuna autorità costituita per tutela legge e protezione abitanti; c) disordini derivanti da tale stato di cose possono estendersi Stati vicini; d) Stati arabi desiderano pertanto che pace sia ristabilita al più presto; e) essi sono responsabili pace in questa zona, essendo Lega araba organizzazione regionale, prevista dall'art. 8 carta O.N.U., e pertanto debbono prevenire presente minaccia alla pace; f) essi sono quindi obbligati ad intervenire in Palestina; g) poiché solo abitanti Palestina hanno diritto di istituire un Governo in quel paese, Stati arabi cesseranno loro intervento appena assicurata pace; h) come da essi affermato alla Conferenza di Londra ed all'O.N.U., Stati arabi desiderano creazione Stato unitario Palestina basato su principi democratici nonché protezione Luoghi Santi; i) queste sono le sole ragioni che inducono gli Stati arabi intervenire Palestina e che essi confidano saranno comprese ed approvate dall'O.N.U.

Ministro degli affari esteri in conversazione privata che ha seguito la riunione ha detto che il punto più importante del memorandum è quello «h» poiché con esso Stati arabi si impegnano istituire e rispettare un futuro Stato Palestina unitario (senza

quindi annessione da parte di Stati confinanti). Egli ha lasciato comprendere che tale Stato potrebbe anche essere federale.

Invierò per corriere testo memorandum che mi sarà consegnato domani.

19

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AVANA, DE FERRARI1 , AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6467/56. L 'Avana, 17 maggio 1948, ore 21 (per. ore 8 del 18).

Mio 54 e telegramma di V.E. 292 .

In ulteriori riunioni colonia italiana Haiti è stata unanimemente concordata nomina commissione tre membri maggiorenti colonia stessa incaricati raccogliere sottoscrizioni italiane a prestito nazionale Haiti.

Naturalmente tali sottoscrizioni non diventeranno effettive se non dopo e contemporaneamente revoca misure restrittive guerra.

Oltre a ciò proprietari beni sequestrati mi hanno pregato presentare a Governo haitiano proposte secondo cui qualora fosse autorizzata vendita alcuni dei loro immobili sequestrati essi si impegnerebbero convertire ricavato in titoli prestito e ciò contro restituzione da parte del Governo titoli proprietari beni sequestrati rimanenti.

Ministro esteri al quale ho presentato dette proposte ha concordato in linea di massima pur riservando risposta definitiva dopo esame questione da parte organi tecnici. Ministro esteri mi ha espresso in pari tempo desiderio Governo haitiano regolare mediante accordo generale questioni pendenti tra Italia ed Haiti. Detto accordo, [secondo] intenzioni da lui manifestate, potrebbe, su la traccia trattato di pace italo-cubano, comprendere seguenti punti: l) dichiarazione formale cessazione stato di guerra; 2) rinunzia reciproca a richiesta indennità per danni derivanti dallo stato di guerra; 3) revoca reciproca misure restrittive guerra e restituzione contraccambio sequestri; 4) rimessa in vigore convenzione commerciale 3 gennaio 1927 contenente clausola Nazione più favorita; 5) ristabilimento rapporti culturali e concessione a studenti haitiani borse di studio in università e scuole d'arte italiane.

Valendomi istruzioni di cui al telespresso ministeriale 41/5136/c. del 17 febbraio u.s. 3 , mi sono dichiarato in linea di massima d'accordo sul punto 4. Ministro degli affari esteri mi ha successivamente consegnato progetto accordo di cui trasmetterò testo con successivo telegramma4 .

2 Vedi D. 16.

3 Non pubblicato.

4 T. 6576/57 del 19 maggio, non pubblicato.

19 1 Incaricato d'affari anche ad Haiti.

20

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MOSCA, PARIGI E WASHINGTON E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

T. 5817/c. Roma, 18 maggio 1948, ore 23.

In data odierna è stata diretta a queste ambasciate Stati Uniti, Inghilterra, Francia ed U.R.S.S., e per conoscenza legazione Jugoslavia nota verbale 1 con cui -dopo aver ricordato numerosi sconfinamenti effettuati da truppe jugoslave linea provvisoria confine ed incidenti da essi originati (di cui ultimo avvenuto 26 aprile

u.s. causò morte nostro soldato) ed aver constatato impossibilità addivenire delimitazione definitiva confini attraverso negoziati diplomatici diretti -Governo italiano, avvalendosi disposizioni articoli 5 e 86 trattato di pace, chiede che ambasciatori quattro potenze garanti esecuzione trattato stesso provvedano ad assicurare nel modo ritenuto più opportuno regolamento intera questione delimitazione definitiva nuovi confini italo-jugoslavi.

21

IL CONSOLE MANZINI 1 AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6477/5. Mogadiscio, 18 maggio 1948, ore 7,30 (per. ore 12).

Sono stato ricevuto 15 corrente da amministratore capo Drew. Mi ha confermato che intende uniformare sua azione a principi enunciati in discorso di cui al mio telegramma 22 . Gli ho detto che sue dichiarazioni erano state favorevolmente accolte da elementi responsabili Gabinetto italiano, che tuttavia intendevano ora vedere quale ne sarebbe stata praticamente applicazione. In particolare nulla era stato fatto a tutt'oggi per punire assassini, mentre che non potevo tacere mia meraviglia trovare tuttora suo posto tenente colonnello Thorne che italiani considerano uno dei maggiori responsabili 11 gennaio. Così pure vittime sono sempre in attesa indennizzo promesso da Londra.

Ho poi accennato gravità situazione economica e necessità di favorire ripresa scambi commerciali fra l'Italia e la Somalia. Infine gli ho detto risultarmi che

punti principali del programma di azione del Governo britannico in Somalia.

politica verso italiani da parte ammm1strazione britannica Eritrea (da lui diretta durante i 18 mesi scorsi) era molto più liberale e comprensiva. Ho espresso speranza che sotto la sua guida Somalia raggiunga situazione analoga Eritrea.

Drew mi ha assicurato che tale è anche sua intenzione ma che sua azione è condizionata da scarsi uomini e mezzi B.M.A. il che purtroppo è esatto. Trattandosi nostro primo contatto mi sono limitato accennare varie questioni. Ho riportato impressione indubbia capacità, molta buona volontà e desiderio collaborazione. Ciò che mi viene confermato da commissario municipale Beriteli e altri esponenti collettività italiana che erano stati in precedenza ricevuti da Drew a titolo consultivo.

20 1 Vedi D. 33, Allegato.

21 1 Accreditato a Leopoldville, dal 14 gennaio ufficiale di collegamento a Mogadiscio come da accordi intercorsi con il Governo britannico per i quali vedi serie decima, vol. VII, DD. 571 e 581. 2 Del 16 maggio, in esso Manzini riferiva circa il discorso con il quale Drew aveva delineato i

22

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 64851171. Mosca, 18 maggio 1948, ore 14,43 (per. ore 17,15).

Poiché venerdì mattina dovrei vedere Vyshinsky prego comunicare urgenza se posso eventualmente toccare argomento trattative commerciali allo scopo di chiarire nel senso delle tesi da noi sostenute e sulla base delle indicazioni già ricevute le due questioni preliminari relative a termini iniziali esecuzione riparazioni e a valutazione beni danubiani o se invece è preferibile non entrare per ora in tali argomenti 1•

23

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AJETA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, FRANSONI

APPUNTO SEGRETO I 5492/c. 1• Roma, 18 maggio 1948.

A seguito dell'appunto n. 43115026/c. del I4 corrente2 si trasmette copia di nota verbale pervenuta dall'ambasciata di Gran Bretagna.

Si ha il pregio di render noto che il testo della nota stessa, nonché quello della precedente comunicazione dell'ambasciata degli Stati Uniti, sono stati portati a conoscenza del Ministero del commercio estero e della rappresentanza in Trieste.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 257. Roma, 13 maggio 1948.

His Majesty's Embassy presents its compliments to the Ministry of Foreign Affairs and, with reference to the Ministry's Note Verbale No. 43/10500/122 dated 3rd Apri! 3 Military Govemment of the British!U.S. Zone of the Free Territory of Trieste and the Federai Popular Republic of Yugoslavia, has the honour to make the following communication on instructions from His Majesty's Principal Secretary of State for Foreign Affairs.

Negotiations regarding the agreement in question have been suspended pending consultations by the Commander of the Zone with the ltalian Economie Mission at Trieste and further consultation between the United States Govemment and His Majesty's Govemment in the United Kingdom.

The comments of the ltalian Govemment are being fully considered, and His Majesty's Govemment wish to avoid arrangements objectionable to the ltalian Govemment.

The Allied Military Govemment of the British!U.S. Zone are being advised that discussion with the Yugoslav Mission should be held up irrespective of whether or not the Italian Representative at Trieste has submitted official representations.

22 1 Per la risposta vedi D. 25. 23 1 Inviato per conoscenza anche all'Ufficio IV della Direzione generale degli affari politici e all'Ufficio confini. 2 Vedi D. 17.

24

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. l 017/23 5. Mosca, 18 maggio 1948 (per. il 26).

Telespresso codesto Ministero 27 aprile 1948 n. 5/4386/c.'. Ho letto con interesse le impressioni della nostra rappresentanza in Trieste circa le intenzioni ulteriori degli Alleati sulla questione triestina.

Qui, per quel che riguarda la linea di condotta del Governo sovietico, non vi è nulla da aggiungere; questo Governo è e rimarrà in posizione negativa, fino a che non si sposti la situazione politica in generale o nei rapporti italo-russo

jugoslavi. A tale riguardo non posso che confermare quanto scrissi nel telespresso 3 aprile 1948 (n. 7311155)2 , col quale chiedevo anche taluni chiarimenti giuridici a proposito della competenza dell'O.N.U., che gradirei ricevere da codesto Ministero.

Questa ambasciata degli Stati Uniti non ha alcuna istruzione di ritornare sull'argomento e non si attende in alcun modo che esso venga ripreso tanto presto.

24 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 605, nota l. 2 Ibid., D. 521.

Non posso che condividere la giusta osservazione contenuta nel punto 5 del promemoria, là ove si segnala che «Trieste è per gli Alleati una comoda forma di casus belli, mentre il nostro interesse non è tanto di avere una garanzia, ossia una promessa di essere liberati a guerra finita, quanto una sicura protezione, al che finora il pensiero strategico americano non sembra sia giunto». Esse coincidono con analoghe osservazioni che ebbi occasione di fare io pure.

23 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 517.

25

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 5824/44. Roma, 19 maggio 1948, ore 12,45.

Suo 171 1• Riterrei preferibile non entrare argomento trattative commerciali fino a quando non sarà nominato presidente delegazione.

26

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 5851/123. Roma, 19 maggio 1948, ore 23,19.

Suo 105 1 .

Tenuto anche conto sue più recenti segnalazioni, si ritiene opportuno inviare per ora Belgrado ristretta delegazione composta ministro Vecchiotti, console generale Romano, prefetto Innocenti, dottor Barbosi (Tesoro), dottor Salabelle (Commercio estero), oltre personale segreteria, che giungerà costì tra 5 e l O giugno.

Detta delegazione è incaricata di impostare nei suoi primi contatti con delegazione jugoslava questione pregiudiziale circa ordine discussione vari argomenti assicurandosi adesione jugoslava nostro punto di vista che trasferimento beni optanti debba iscriversi numero l ordine del giorno. Ciò non impedirà che contemporaneamente conferenza possa trattare altri argomenti, sempre che ciò non pregiudichi rapida soluzione questione che più ci interessa e per la quale è fissato un termine che scade 15 settembre.

Altri esperti italiani partiranno allorché sarà chiarita impostazione negoziato e man mano che argomenti tecnici lo richiederanno. Quanto sopra le comunico anche per sua norma di linguaggio con codeste autorità.

25 1 Vedi D. 22.

26 1 Del 15 maggio, con esso Martino richiedeva notizie sulla compostztone della delegazione italiana nella Commissione per il trasferimento dei beni degli optanti.

27

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6568/113. Atene, 19 maggio 1948, ore 22 (per. ore 8 del 20).

Mio 87 e telegramma di V. E. 52 1• Scambio di note per rimessa in vigore note convenzioni alla data scambio stesse avrà luogo domani 20 maggio corrente.

Nessun riferimento è stato fatto art. 44 trattato di pace mentre invece è stata posta riserva eventuale aggiornamento ad attuali circostanze dette convenzioni ed accordi. Mi risulta che Tsaldaris apprezzerebbe moltissimo in tale occasione breve dichiarazione di V.E. in cui fosse posto in luce come Governo greco, nello spirito della rinnovata amicizia fra i due popoli, non abbia voluto seguire procedure stabilite da art. 44 ma abbia invece preferito dirette intese con l'Italia.

Mi riservo trasmettere per corriere testo note relative a: convenzione estradizione novembre 1877 e modifica art. 13 detta convenzione marzo 1905; scambio di note maggio 1928 per franchigia doganale rispettive missioni diplomatiche; scambio di note luglio 1938 per franchigia doganale materiale propaganda turistica; convenzione consolare novembre 1880; accordo gennaio 1942 per esenzione imposta reddito proventi imprese e trasporti marittimi.

28

L'AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6575/21. Città del Messico, 19 maggio 1948, ore 20,18 (per. ore 9 del 20).

Questo ministro degli affari esteri mi ha pregato oggi di proporre a V.E. di dare ad un funzionario di questa ambasciata incarico di incontrarsi con un funzionario di questo Ministero degli affari esteri allo scopo fare uno studio delle questioni pendenti in seguito all'adesione del Messico al trattato di pace di Parigi. I due funzionari dovrebbero cercare di trovare un terreno di accordo sulle questioni stesse avanzando poi le proposte relative. Nel caso si raggiungesse un accordo su tutte le questioni, i due Governi non avrebbero che da convalidarlo

mediante uno scambio di note; nel caso ciò non fosse possibile i due Governi dovrebbero allora entrare in discussione mediante scambio di note delucidative dei loro punti di vista salvo ad affidarne poi la soluzione a due delegazioni. Il ministro degli affari esteri aggiungeva che con il contatto diretto dei due funzionari predetti si eviterebbe pubblicità e si potrebbe più facilmente raggiungere un accordo conforme alle felici relazioni esistenti tra i due paesi.

Poiché questo consigliere commerciale Pietrabissa è già in rapporto con un funzionario di questo Ministero affari esteri per discutere l'accordo commerciale, esprimo il parere che si potrebbe confidargli incarico di cui alla proposta di questo ministro affari esteri. Tale proposta, fatta in via del tutto amichevole, ha evidentemente lo scopo di chiarire le questioni pendenti nel modo più amichevole e discreto senza arrivare poi ad un aperto contrasto che, dato il trattato di pace, metterebbe noi in condizioni di inferiorità e questo ministro affari esteri in condizione di fare una spiacevole imposizione.

I due funzionari non sarebbero muniti di pieni poteri poiché il loro lavoro si svolgerebbe sempre ad referendum. Occorrerebbe ad ogni modo che questo consigliere commerciale fosse assistito da un rappresentante degli armatori italiani e munito di tutte le necessarie istruzioni per la discussione tenendo presente soprattutto il mio ultimo rapporto n. 1224/262 del 29 aprile scorso 1•

Prego darmi un sollecito cenno di risposta2 .

27 1 Rispettivamente del 30 aprile e del 4 maggio, non pubblicati. Si riferivano alla questione della rimessa in vigore, al di fuori dell'art. 44 del Trattato di pace e d'intesa con il Governo italiano attraverso uno scambio di note Tsaldaris-Prina Ricotti, di una serie di accordi italo-greci.

29

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 6646/091. Ankara, 19 maggio 1948 (per. il 21).

A mano a mano che gli Stati arabi si andranno progressivamente ingolfando negli avvenimenti palestinesi e più se codesti avvenimenti non saranno loro propizi, mi par debba parallelamente alleggerirsi quella corrente di intransigenza che ha sinora prevalso nella politica della Lega e nell'opinione pubblica araba nei confronti della questione africana italiana. Potrebbero cioè, credo, maturare a breve scadenza occasioni e circostanze più propizie per rinnovati contatti sopratutto con l 'Egitto, che è il solo paese arabo ammesso alla conferenza per le nostre colonie. Il nostro atteggiamento nei riguardi della questione palestinese in generale e del riconoscimento dello Stato ebraico in particolare potrebbe dunque procedere forse parallela

mente al corso di codesti eventuali contatti ed essere subordinato -se è possibile al loro esito. È questa almeno l'impressione che mi danno qui gli ambienti arabi e che segnalo a V.E. a titolo di generica indicazione.

28 1 Non pubblicato. 2 Con T. 7277112 del 24 giugno Zoppi comunicò il nullaosta del Ministero alla proposta avanzata.

30

IL PRIMO SEGRETARIO GALLINA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 6715/022. Francoforte, 19 maggio 1948 (per. il 22).

Riferimento telegramma 73 1 di codesto Ministero. Fatta a questa autorità comunicazione confermante istituzione consolato generale e soppressione sezione italiana collegamento.

Comunicazione stessa è riuscita gradita perché risponde a direttive stabilite fin da anno scorso da Alleati di arrivare gradualmente a unificazione varie missioni e rappresentanze di ogni paese.

Interessi specifici Ministero difesa potranno essere tutelati secondo soluzione illustrata con rapporto 1500/615 in data 6 corrente2 e cioè con accreditamento temporaneo per compiti essenzialmente militari (escluse funzioni collegamento e coordinamento che verranno assunte da consolato generale) uno o due ufficiali. Questi potranno in seguito o essere assorbiti da missione da stabilire in Berlino o da Ufficio addetto militare che, secondo affidamenti avuti, potrebbe essere costituito presso consolato generale, nel caso in cui per nostra richiesta intesa ottenere missione collegamento nella capitale non potesse trovarsi nel frattempo una soddisfacente soluzione.

Ho illustrato pure motivi per i quali chiusura sezione italiana di collegamento -nota come Missione militare italiana -lascia impregiudicata nostra richiesta istituire appena possibile una missione Berlino.

Mi sono state prospettate in merito varie soluzioni che in un futuro prossimo potrebbero essere prese in esame. Riservomi riferime a parte.

Per organizzare servizi essenziali propri consolato generale e alcuni accessori ma urgenti, quali quello per alto-atesini, ho fatto presente infine minimo necessario sia di ambienti per ufficio come di personale accreditato e personale locale, su CUI riferisco con telegramma seguente3 .

2 Non pubblicato.

3 T. per corriere 6716/023 in pari data, non pubblicato.

30 1 Del 9 maggio. inviato anche a Washington con il numero di protocollo particolare 294. contenente le istruzioni di cui Gallina qui riferisce.

31

IL PRIMO SEGRETARIO GALLINA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO URGENTE PER CORRIERE 6717/024. Francoforte, 19 maggio 1948 (per. stesso giorno).

Riferimento telegramma 78 1 di codesto Ministero.

Uffici speciali alto-atesini Monaco, Francoforte e Berlino hanno cominciato da poco a funzionare e per ora soltanto con personale locale in attesa che Governo militare americano consenta due accreditamenti, da tempo richiesti, per Monaco, due per Francoforte ed uno per Berlino.

Non risulta ad ogni modo che alcuna domanda sia stata respinta. Spesso invece istanze mancano di dati essenziali ed uffici prestano assistenza interessati per completarle.

Situazione alto-atesini Germania è assai diversa da quelli Austria.

Qui godono tutti pienezza cittadinanza germanica.

Popolazione che con senso di ammirevole solidarietà umana ha accolto già milioni profughi provenienti da Germania orientale non incoraggia alto-atesini a rinunciare loro attuale cittadinanza né ad andarsene.

Nemmeno autorità locali e classe dirigente nuova Germania pensano ai vantaggi politici futuri che potrebbero derivare da consolidamento maggioranza etnica tedesca in provincia di Bolzano.

Potenze occupanti a loro volta ritengono che non spetti ad Austria ma a ciascuna di esse~ (anche come firmatarie trattato pace)~ diritto ed obbligo controllare esecuzione nostri impegni revisione opzioni alto-atesini residenti in Germania.

Negli ambienti americani in particolare si dice (come ho già accennato precedentemente) che siamo stati molto generosi (data anche nostra situazione demografica) e che qualche misura di cautela a prova lealtà verso Italia dei riammessi sarebbe pure giustificata, quale ad esempio periodo prova regolare condotta politica e morale prima di concedere loro anche diritti politici.

In conseguenza è questa rappresentanza che deve sollecitare queste autorità per poter far funzionare uffici alto-atesini e per poter dare a noto decreto anche quel minimo di pubblicità ufficiale che è doveroso da parte nostra, anche se praticamente forse superfluo.

In questi uffici governativi ho sentito esprimere opinione (che risponde oltre che a mentalità degli americani, anche a loro metodi diplomatici) che agli austriaci converrebbe fosse detto amichevolmente ma francamente fin d'ora che non devono attendersi che Italia spalanchi porte a tutti, ossia che il decreto sarà applicato con quei larghi poteri discrezionali che l'articolo 13 e connessi prevedono. Ciò per

36 evitare malintesi che potrebbero sorgere in seguito fra i due Governi e per prevenire risentimenti tra quanti non avendo chiari titoli per riacquistare cittadinanza italiana si possono ora illudere che loro domanda debba essere senz'altro accolta.

Sono soltanto i due noti Comitati di Monaco e Stoccarda che, forse per lo scarso entusiasmo finora dimostrato dalla massa degli optanti residenti questo paese, cercano di tenerne vivo l'interesse.

Anche console austriaco, con cui mi capita incontrarmi spesso, sembrami pienamente soddisfatto della nostra azione e della nostra direttiva. Secondo quanto questi mi riferisce, sembra che Vienna vada mutando atteggiamento per quanto riguarda alto-atesini residenti in Germania.

Sfrondata così di qualsiasi riflesso e finalità politica, applicazione decreto 23 del 2 febbraio u.s. può essere fatta ormai in Germania con criteri prevalentemente~ (se non proprio esclusivamente) ~giuridici e morali.

Nello istruire pratiche relative, perciò, oltre ad accertamenti previsti dal testo letterale decreto stesso secondo procedure suggerite da legazione Vienna, mi è sembrato opportuno raccomandare ad uffici di raccogliere possibilmente anche elementi atti a valutare caso per caso da un lato se opzione fatta a suo tempo a favore Germania sia stata influenzata da pressioni, coazioni o minacce tali da farla ritenere compiuta non liberamente e dall'altro se attuale revoca sia a sua volta dovuta a preponderante influenza, propaganda o pressioni terzi eventualmente interessati. Tali elementi saranno utili a Commissione Bolzano e quindi in definitiva a Ministero interno che potrà nel primo caso esaminare domande revoca con particolare benevolenza, mentre nel secondo potrà meglio valutare se decisione interessati sia stata presa liberamente.

Inoltre uffici cercano accertare bene anche condotta e qualità morali dei singoli, sembrando che risponda allo spirito della legge che revoca opzioni sia concessa a tutti quelli e soltanto a quelli che ~in concorrenza cogli altri requisiti previsti dal testo del decreto ~offrano garanzie di essere domani cittadini onesti, pacifici e leali verso il paese che li riaccoglie tra i suoi figli.

31 1 Del15 maggio, con il quale Fransoni, in seguito a lamentele della legazione d'Austria a Roma, chiedeva chiarimenti su presunti inconvenienti verificatisi circa la procedura di revisione delle opzioni.

32

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 7183/013. Buenos Aires, 19 maggio 1948 (per. il JU giugno).

Telespressi ministeriali 31/11307 e 31/12061 del lO e 16 aprile 1•

Ho svolto presso questo Ministero esteri passo prescrittomi2 . Ho ricevuto assicurazione che nostra richiesta sarebbe stata esaminata con massima simpatia. Allo stesso tempo è stato molto francamente fatto presente che Argentina stessa aspira ad uno degli otto posti elettivi e, come noi, sta cercando raccogliere preliminari adesioni tra altri Stati membri prima di prendere impegno verso di noi. Governo argentino avrebbe quindi dovuto esaminare quali prospettive vi fossero per elezione proprio rappresentante e, in funzione della medesima, quale libertà di azione gli rimanesse per appoggiare eventualmente nostra candidatura.

Questo direttore affari politici riteneva che risposta più concreta avrebbe potuto esserci data tra non molto. Non escludo d'altra parte che tale risposta possa aver carattere offerta di reciproco appoggio. Mi sarebbe pertanto utile conoscere quale accoglienza dovrei riservare ad eventuale proposta del genere3 .

32 1 Non pubblicati.

33

IL CAPO DELLA COMMISSIONE CONFINI DELLA SEGRETERIA GENERALE, CASTELLANI, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MOSCA, PARIGI E WASHINGTON E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

TELESPR. 5/4441/c. Roma, 19 maggio l 948.

Facendo seguito al telegramma ministeriale 18 corrente n. 5817/c1 , si trasmette qui unita copia della nota verbale diretta a queste ambasciate degli Stati Uniti, del Regno Unito, di Francia e dell'U.R.S.S. (e, per conoscenza, alla legazione di Jugoslavia) con la quale si chiede che gli ambasciatori delle quattro potenze garanti dell'esecuzione del trattato di pace provvedano ad assicurare, conformemente a quanto disposto negli artt. 5 e 86 del trattato stesso e nel modo che riterranno più opportuno, il regolamento di tutta la questione della delimitazione definitiva dei nuovi confini italo-jugos1avi.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLE AMBASCIATE DI FRANCIA, GRAN BRETAGNA, STATI UNITI D'AMERICA E UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE A ROMA

NOTA VERBALE 5/44362 Roma, 18 maggio 1948.

Il Ministero degli affari esteri ha l'onore di significare quanto segue:

Inviata per conoscenza anche alla legazione di Jugoslavia a Roma.

l. Come è noto, il 15 ottobre 194 7 ebbero inizio i lavori della Commissione mista italajugoslava incaricata di procedere alla demarcazione definitiva dei nuovi confini, conformemente a quanto disposto dall'art. 5, par. l del trattato di pace.

Questi lavori, protrattisi per circa quattro mesi e mezzo e nel corso dei quali sono state regolate numerose questioni di carattere tecnico ed amministrativo, non hanno potuto tuttavia superare la fase preliminare delle trattative, non essendo stato possibile -nonostante le concessioni fatte a varie riprese da parte della delegazione italiana al punto di vista della delegazione jugoslava -raggiungere un accordo su punti di importanza fondamentale circa la procedura da adottarsi per le operazioni di delimitazione del confine sul terreno.

Il 27 febbraio 1948 la Commissione mista era pertanto costretta ad aggiornare i lavori, dopo aver consacrato a verbale la riscontrata impossibilità di realizzare un accordo sulle questioni controverse. Una proposta della delegazione italiana di definire di comune accordo la procedura per deferire il regolamento delle divergenze agli ambasciatori in Roma degli Stati Uniti, del Regno Unito, di Francia e dell'U.R.S.S. non ebbe alcun seguito da parte della delegazione jugoslava.

2. Ulteriori passi fatti dal Governo italiano presso quello di Belgrado, allo scopo di ottenere che la delegazione jugoslava recedesse da una posizione di irrigidimento in aperto contrasto con la lettera e lo spirito del trattato di pace e si potessero quindi riprendere i lavori della Commissione mista, non sortirono alcun risultato.

Il Governo italiano è giunto pertanto alla convinzione non essere ormai possibile risolvere, attraverso negoziati diplomatici diretti, le divergenze relative alla delimitazione definitiva della nuova linea di confine.

3. D'altra parte, il Governo italiano è convinto della necessità che si addivenga al più presto a tale delimitazione definitiva, non soltanto perché sono ormai spirati i sei mesi previsti dall'art. 5 par. 2 del trattato di pace, ma e soprattutto perché il prolungarsi dell'attuale situazione ed il fatto che da parte jugoslava si mostra di non voler rispettare la linea provvisoria di confine possono dare origine ad incidenti le cui conseguenze potrebbero essere di più difficile controllo.

A partire dal giorno successivo all'entrata in vigore del trattato di pace si sono verificati infatti continui e sistematici tentativi da parte jugoslava di modificare a proprio vantaggio la linea di confine provvisoria a suo tempo stabilita per l'attestamento delle rispettive truppe, mediante la arbitraria trasposizione degli appositi picchetti, l'infissione di nuovi paletti e l'apposizione di altri contrassegni.

Tali sconfinamenti hanno portato in vari settori a notevoli alterazioni della linea anzidetta -talvolta per una estensione di più chilometri -ed hanno originato incidenti vari, alcuni dei quali di indubbia gravità.

4. Il più recente ed il più grave di questi incidenti si è verificato il 26 aprile u.s. nei pressi di quota 904 nella zona di La Giava, quando truppe jugoslave aprivano il fuoco, senza alcun preavviso e senza alcun fondato motivo, contro una pattuglia italiana che perlustrava la zona in prossimità della linea di confine, uccidendo un soldato e ferendone altri due.

La gravità del luttuoso incidente ha assunto poi proporzioni anche maggiori per il fatto che il rappresentante jugoslavo della Commissione mista d'inchiesta -che doveva accertare sul posto le circostanze e la precisa ubicazione dell'incidente-ha reso impossibile l'inchiesta, pretendendo che in via preliminare la delegazione italiana riconoscesse quale vera linea di confine quella arbitrariamente segnata dalle forze jugoslave in seguito ad uno dei soliti sconfinamenti e notevolmente diversa dal tracciato indicato con termini di assoluta precisione e chiarezza dal trattato di pace. Il delegato jugoslavo si opponeva inoltre a che le autorità italiane rccuperassero la salma del soldato ucciso e prendessero una documentazione fotografica della località ove era avvenuto l'incidente.

5. -Il Governo italiano richiama pertanto in modo particolare l'attenzione dei quattro ambasciatori sulla gravità dell'incidente sopraddetto che non può e non deve essere lasciato senza un regolamento e, mentre declina fin d'ora ogni responsabilità per eventuali ulteriori incidenti che dovessero verificarsi a causa degli arbitrari sconfinamenti jugoslavi, segnala i pericoli che tale intollerabile stato di cose, conseguente alla mancata demarcazione dei nuovi confini, potrebbe generare. 6. -Per le considerazioni sopraesposte, il Governo italiano, avvalendosi di quanto è disposto dall'art. 5, par. 3 e dall'art. 86 del trattato di pace, e desideroso com'è che si instaurino buone relazioni tra Italia e Jugoslavia, ritiene ormai necessario ed urgente sottomettere agli ambasciatori in Roma degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Francia e dell'U.R.S.S. tutta la questione della demarcazione definitiva dei nuovi confini italo-jugoslaviquali sono fissati dall'art. 3 e secondo la lettera e lo spirito dell'art. l del trattato-affinché essi, agendo di concerto, ne assicurino l'intero regolamento con quei mezzi che riterranno più opportuni.

A tale scopo il Ministero degli affari esteri prega l'ambasciata di .......... di volergli far conoscere appena possibile il giorno e l'ora limite fissati dai quattro ambasciatori entro cui il Governo italiano e quello jugoslavo potranno far pervenire un memoriale illustrante i rispettivi punti di vista. Nota identica alla presente viene contemporaneamente diretta alle ambasciate di . . . . . . .. .. e copia di essa viene rimessa per conoscenza alla legazione di Jugoslavia.

32 2 Si riferisce alla richiesta di appoggio alla candidatura italiana al Consiglio di amministrazione della Conferenza internazionale del lavoro. 3 Con T. 6501/103 del 4 giugno Zoppi rispondeva che una eventuale proposta di reciproco appog9io sarebbe stata accolta favorevolmente. 33 Vedi D. 20.

34

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 665/9629/1868. Parigi, 19 maggio 1948 1•

Al momento in cui l'E.R.P. sta per entrare nella sua fase esecutiva, ritengo necessario attirare l'attenzione deli'E.V. su alcuni aspetti generali del problema che vanno tenuti presenti, e ben presenti, se non vogliamo andare incontro a delle sorprese sgradevoli.

Lo ritengo soprattutto necessario perché, spero di sbagliarmi, ma non ho l'impressione che da noi, on high leve/, ci si sia completamente resi conto di che cosa è l'E.R.P. Mi sembra, cioè, che ci sia una forte tendenza a considerarlo più o meno come una continuazione degli aiuti americani. Se questo è, fino ad un certo punto, esatto, va tenuto presente che ciò rappresenta solo uno degli aspetti dell'E.R.P., ma non il più importante. Gli aiuti continuano ma mentre, fino ad ora, essi erano più o meno delle elemosine, da ora in poi essi sono destinati ad essere un mezzo per mettere, in un periodo relativamente breve, i vari Stati europei in condizione di fame a meno. Gli americani sono stati molto chiari: l'aiuto americano andrà agli Stati europei solo se e nella misura in cui questi mostreranno di essere fermamente decisi ad aiutarsi da sé.

Noi dovremo fra breve firmare il patto bilaterale: questo patto bilaterale, calcato sulla legge americana, comprende, da parte nostra, una serie di impegni che possono essere riuniti in tre gruppi:

l) riassestare il bilancio, la moneta ed il regime finanziario in genere; 2) sviluppare le risorse nazionali, sia metropolitane che coloniali, avendo in vista la rimessa in sesto della bilancia dei pagamenti dei singoli Stati;

3) integrazione delle varie economie dell'Europa occidentale in modo da raggiungere, complessivamente, quell'equilibrio della bilancia dei pagamenti, che non sarebbe possibile, individualmente, raggiungere.

Il gruppo terzo non dipende esclusivamente da noi; ma il gruppo uno e due dipendono invece da noi.

In sé e per sé non si tratta che dei soliti impegni che ogni Governo prenderebbe di fronte al suo Parlamento. Se non che, sul piano interno, il Governo sa di non prendere questo impegno sul serio: lo stesso sa il Parlamento. Invece questa volta si tratta di un impegno internazionale; noi pensiamo forse di poterei facilmente scapolare; gli americani sanno che noi lo pensiamo e non hanno nessuna intenzione di !asciarci scapolare.

Il non mantenimento di questi impegni ha già previsto la sua sanzione: la sospensione degli aiuti americani; ma, nel caso nostro, la sanzione è troppo forte perché possa essere operante. Gli americani sanno benissimo che se questo dovesse avvenire l 'Italia salta in aria e non desiderano che essa salti in aria; vuol dire quindi che la sanzione sarà un'altra; sarà cioè che gli americani si metteranno a fare direttamente loro quello che noi abbiamo dimostrato di non sapere o di non voler fare.

Ricadiamo cioè nella questione dei controlli. Dal nostro atteggiamento generale (non solo nostro per la verità) dovrei dire che noi pensiamo di parare al pericolo dei controlli cercando di modificare qua e là la dizione del patto bilaterale. Vogliamo cioè difenderci sul terreno giuridico, colla nostra mentalità giuridica. Ma gli americani hanno una mentalità giuridica differente dalla nostra: noi potremo inventare e fare loro accettare una bellissima formula; al momento opportuno essi ci diranno: ci dispiace ma noi non la intendevamo così.

La difesa dal controllo è invece esclusivamente nella mani nostre, ossia nella nostra efficienza; teniamolo bene presente. Gli americani, per i primi sei o sette mesi, ci lasceranno fare, secondo i nostri lumi; staranno a vedere se lo facciamo sul serio, se lo facciamo bene. Se saranno soddisfatti di quello che stiamo facendo, continueranno a !asciarci fare da soli ed i controlli, previsti o minacciati, per grandi che siano non ci daranno, in pratica, nessun fastidio; ma se non saranno soddisfatti, alla fine di questo periodo, essi si sostituiranno a noi: ed allora il controllo potrà alla fine dei conti essere anche benefico ma ci darà grossi fastidi.

Cito un esempio, per essere meglio compreso: il caso dell'equilibrio del bilancio. I francesi, con uno sforzo deciso, hanno equilibrato il loro bilancio, sia ordinario che straordinario; l'equilibrio è sulla carta, d'accordo; ma il deficit sarà certamente stato ridotto dal livello dei 350 miliardi di franchi, a quello di venti o trenta; si sono quindi, secondo gli americani, messi sulla buona strada. Se quindi agitazioni interne non verranno di nuovo a mettere in forse tutto l'equilibrio raggiunto, i francesi possono contare che non avranno un vero controllo finanziario americano; aggiungo incidentalmente che questo pericolo ha avuto la sua influenza per decidere il Governo francese alle note misure radicali, ed a quelle che essi intendono ancora prendere. Ora sarebbe azzardato il dire che la nostra situazione è identica. Abbiamo fatto molti progressi, ma se le informazioni datemi qui dai nostri esperti sono esatte, noi siamo ancora su di un deficit che è dell'ordine di 700 miliardi annui. Sono certo che gli americani non si aspettano che noi possiamo, in pochi mesi, rimettere in ordine il nostro bilancio; ma è necessario che noi ci mettiamo al più presto sulla buona strada; e nel metterei sulla buona strada bisogna tener conto anche delle prevenzioni americane, vere o false che esse siano: che cioè tutto il nostro apparato tributario è inadeguato, che tutto il nostro apparato finanziario amministrativo è inefficiente. Potremo cercare di convincerli che non è vero, ma continuare a dire loro che non possiamo fare questo o quello per timore di ripercussioni politiche interne, temo che ormai sia un disco troppo usato.

Mi permetto di attirare tutta le seria attenzione del Governo italiano su questo problema; altrimenti noi rischiamo, fra qualche mese, di finire nella situazione della Grecia: e questo sarà tanto più sgradevole in quanto la possibilità di evitarlo è nelle nostre mani e che al momento opportuno gli americani non mancheranno di rinfacciarcelo, come è loro abitudine coram populo: bisogna che noi ci convinciamo che il problema c'è, è serio, inevitabile, bisogna che ci mettiamo a risolverlo con serietà ed efficienza.

Per il gruppo due di questioni, bisogna che teniamo ben presente quanto ha detto pubblicamente Hoffman, e privatamente Harriman. Ogni nostra richiesta o proposta di appoggiare, aiutare o finanziare questo o quel piano di messa in valore delle nostre risorse, sia direttamente dall'E.R.P., sia dai fondi in lire, sarà esaminata dagli americani strettamente in base a due criteri:

l) la sua bontà intrinseca, intesa soprattutto nel senso della sua rentabilità (mi scuso per il barbarismo);

2) la sua utilità ai fini del risanamento della nostra bilancia dei pagamenti. Per chiarire con un esempio, potremo avere l'autorizzazione a servirei dei fondi in lire per la costruzione di un impianto idroelettrico, difficilmente per condurre a termine la metropolitana di Roma.

Ricordo, incidentalmente, ma anche questo è importante, che Hoffman parlando dell'Inghilterra ha espresso, in modo non equivoco, la sua più che sfiducia nei riguardi delle nazionalizzazioni: è bene che questo lo si tenga presente proprio adesso che si tratta di tracciare il programma generale della politica economica del Governo.

Tutti i nostri programmi saranno quindi seriamente e severamente esaminati dall'E.R.P.: saranno accettati solo se essi corrisponderanno ai due criteri base sopra accennati. E se i primi passeranno facilmente il test, ciò creerà una pregiudiziale favorevole nei nostri riguardi, e tutto l'avvenire ne sarà facilitato.

Per l'esperienza che ho avuto di questo primo anno di piano Marshall dico subito che ritengo che per i nostri eventuali piani siamo, in principio, molto meglio attrezzati e preparati che non per la soluzione della questione del bilancio; comunque anche questo è un punto importante.

Ho detto che la integrazione europea non è un problema che ci riguarda esclusivamente; ciò vuol dire che noi non potremo fare di più di quello che gli altri sono disposti a fare. Per quanto io sia convinto della necessità di questa integrazione europea, sono purtroppo altrettanto convinto che, a meno che gli americani riescano veramente ad imporsi, non se ne farà niente: gli inglesi non ne vogliono sapere; gli altri, con una possibile leggera eccezione per i francesi, ne vogliono sapere almeno ben poco. Per cui io penso che mentre oggi la tendenza americana è quella di fare prevalere il lavoro fatto al centro, coll'organizzazione di Parigi, su quello fatto bilateralmente, nei singoli paesi, in fatto, il centro di gravità finirà per spostarsi nel senso bilaterale. Comunque è necessario, a questo stadio che, visto che questo della integrazione europea è un pallino americano, noi facciamo il possibile per mostrarci zelanti in questa direzione. Questo non è sempre facile: la linea migliore da seguire è quella che abbiamo tenuta per l'accordo di pagamento di Bruxelles, che non ci piaceva: non dire cioè di no, ma cercare di fare obiezioni costruttive; e soprattutto tenere ben presente che, in questo campo, bisognerà sottomettersi anche a delle bestialità, quando gli americani le vorranno, sperando che presto o tardi la bestialità diventerà evidente e si tornerà indietro senza troppo danno. Quando si ha un padrone, bisogna in ultima analisi tener conto anche delle sue cantonate.

Poiché il punto uno della nostra politica, per tutto quello che riguarda il piano Marshall, deve essere quello di andare d'accordo con gli americani, non per politica generale, ma esclusivamente per nostro interesse. Gli americani e solo gli americani possono essere la nostra difesa. La distribuzione fra i vari Stati delle risorse del piano Marshall, e molto più ancora il suo secondo stadio, lo sviluppo delle risorse nazionali, sia metropolitane che coloniali, sarà una battaglia di tutti contro tutti. In questa battaglia, al Comitato dei sedici, anche se i nostri rappresentanti saranno dei geni, noi siamo i più deboli, sia perché lo siamo intrinsecamente, sia perché i nostri interessi sono in buona parte in contrasto cogli altri. Siamo l'unico paese europeo il cui problema sia sostanzialmente quello di trovare il mezzo di comprare ferro e carbone contro aranci e cavolfiori, ossia contro merci di lusso, mentre tutti gli altri preferiscono vendere ferro e carbone contro dollari o contro materie prime industriali. I nostri interessi potranno essere efficacemente difesi in seno al Comitato dei sedici solo se ed in quanto avremo convinto gli americani della necessità di sostenerci.

Faccio ancora un esempio per essere più chiaro: gli americani in princ1p10, intendono che ogni paese deve sviluppare le sue risorse in modo da meglio aiutare a risolvere il problema della bilancia dei pagamenti sia nazionali che europei: e intendono inoltre che la messa in valore di certe risorse e lo sviluppo di certe industrie sia fatto di preferenza in quel paese di Europa dove la produzione risulta la più economica. Ora è chiaro che, impostato il problema strettamente sotto questo punto di vista, noi, per la maggior parte delle risorse e delle industrie, siamo antieconomici o almeno, poco economici. Al tavolo della conferenza ognuno tirerà l'acqua al suo mulino: noi siamo i più deboli. In pratica la ragione più valida per giustificare la creazione, in Italia piuttosto che altrove, di una determinata industria sarà il constatare che, il problema italiano essendo in sostanza quello di creare due milioni di jobs, è meglio farlo in Italia, dove c'è la mano d'opera, che in un altro paese dove, per crearla, occorrerebbe uno spostamento di mano d'opera italiana, che fra l'altro, eccezion fatta, in parte, per la Francia, nessuno è entusiasta di accogliere, altro che a parole. Ora una soluzione di questo genere noi non la potremo ottenere, e nemmeno in questo caso sarà facile, che attraverso gli americani: gli altri paesi europei, potremo essere amici, anche fratelli, ma business fìrst.

Per questo quindi, lo ripeto, per quanto questo possa darmi fastidio in quanto ambasciatore in Francia, per tutto quello che riguarda il piano Marshall dobbiamo guardare, con precedenza assoluta, verso gli americani. Politica con la Francia, politica con l 'Inghilterra, sono tutte bellissime cose, ma in questo campo specifico non dobbiamo dimenticare che sono tutti nemici nostri; tutti concorrenti all'eredità della stessa zia. Non sarà facile, perché tutti ragionano in fondo allo stesso modo e tutti cercheranno di fare lo stesso; la nostra chance, l'unica, è che essendo noi al di fuori della grande politica europea, non abbiamo occasione di scontrarci con gli americani in questioni di politica tedesca, od austriaca od altra, e non abbiamo nemmeno bisogno di ménager questa o quella potenza per ragioni di questo genere. Bisognerà fare molta attenzione e non lasciarsi troppo sedurre dalle offerte che ci vengono o ci verranno di fronte unico, o comune od altro, proposte tutte che mirano ad indebolirei di fronte agli americani che, non dimentichiamolo, restano gli arbitri della situazione.

La prima cosa che bisogna fare per metterei in buona luce presso gli americani è, in primo luogo, mostrare di avere ben capito quello che loro vogliono, e che per quanto ci riguarda direttamente, siamo ben disposti e pronti a metterei al lavoro con serietà ed efficienza; questo è essenziale: con le chiacchiere poco si combina.

A questo scopo ed ai fini di potere lavorare efficacemente anche nel senso finanziario ed economico, bisogna che noi ci diamo al più presto, all'interno, una organizzazione efficiente per trattare tutti i problemi concernenti il piano Marshall.

Mi sembra di comprendere che l'idea di avere un Ministero del piano Marshall sia stata abbandonata. In sé questo non ha importanza: il piano Marshall una volta entrato in funzione, e nella misura del suo sviluppo, prende una estensione tale da comprendere, nel suo raggio di azione, tutti i Ministeri che si occupano di cose economiche. La creazione di un Ministero del piano Marshall, in sé, non risolverebbe nessun problema: quello che bisogna risolvere è il problema della coordinazione e quindi della subordinazione di tutti i Ministeri che trattano questioni economiche connesse col piano Marshall ad una direttiva unica, ad un piano di insieme unico: coordinare poi tutto questo con i problemi di politica estera che sono connessi col piano Marshall, poiché non bisogna dimenticare che il piano Marshall risponde a scopi ben definiti di politica estera e di politica militare. Non si tratta cioè di tirare a questo o quel Ministero il presunto beneficio politico delle erogazioni del piano Marshall. Si tratta di riconoscere che il piano Marshall è un problema od una serie di problemi estremamente vasti e complessi, che diventeranno più vasti e più complessi nella misura del suo sviluppo, che domanda un lavoro enorme, efficiente, rapido, concreto e che ad esso deve per necessità di cose essere impressa una direttiva unitaria. Una volta riconosciuto questo principio, poco importa come il problema sarà risolto: tutte le soluzioni possono essere buone, sia accentrare la questione nella mani del presidente del Consiglio, come sembrano voler fare i

44 francesi, sia creare un Ministero apposito per il piano, sia incaricare uno dei ministri economici di occuparsene. L'importante è che ci sia uno che coordini e quindi subordini l'attività di tutti i Dicasteri interessati e che si assuma la responsabilità per un lavoro rapido ed efficiente. È necessario che quando Harriman arriverà in Italia egli trovi questa organizzazione già in piedi ed in funzione. Se così sarà egli ne resterà bene impressionato, e questa sua buona impressione può influenzare tutto il resto. Se invece egli troverà il tira e molla a cui, mi si scusi la mia franchezza, abbiamo assistito da un anno a questa parte, la sua impressione sarà ben differente e differenti le conseguenze.

Il piano Marshall risolve alcuni dei nostri problemi più urgenti, ma ne solleva altri non meno impmianti e gravi: dalla maniera con cui noi sapremo impostare e risolvere questi problemi, dipenderà in gran parte se noi avremo la speranza, in un numero ragionevole di anni, di riacquistare una certa indipendenza economica e quindi politica, o se siamo invece destinati a diventare una specie di Egitto. È un problema che possiamo risolvere ma a condizione che ci mettiamo subito seriamente al lavoro.

34 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

35

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6624/268. Londra, 20 maggio 1948, ore 20,25 (per. ore 8 del 21).

Telegramma ministeriale 208 1 . Competente funzionario Foreign Office mi ha dichiarato non essere al corrente possibilità riduzione a 12 numero direttori esecutivi.

Personalmente non ritiene tale riduzione probabile. Ma preso atto nostro desiderio mantenimento numero 14 e risponderà in proposito ad un mio promemoria. Per mia informazione e per mettermi in grado trattare utilmente questione sarei

grato codesto Ministero farmi conoscere: l) se riduzione direttori esecutivi riguarda fondo o banche o ambedue. Tale punto non risulta telegramma riferimento; 2) se e in quale modo predetta riduzione renderebbe rielezione delegato italiano più difficile di quella di qualsiasi altro delegato non di diritto; 3) quale origine abbia voce probabilità riduzione numero direttori esecutivi.

Pregherei anche inviarmi cortese urgenza ogni utile documento circa precedenti trattative su aumento numero direttori essendone questo Ufficio commerciale e questo addetto finanziario completamente sprovvisti2 .

35 1 Del 5 maggio, indirizzato anche a Washington con il n. 290, con il quale Grazzi aveva chiesto a Gallarati Scotti di rappresentare al Foreign Office il desiderio italiano di mantenere inalterato il numero dei direttori esecutivi negli organismi previsti dagli accordi di Bretton Woods.

36

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 6728/0125. Parigi, 20 maggio 1948 (per. il 22).

Mi riferisco alla corrispondenza telegrafica sull'argomento 1•

Mentre comprendo differenza fra due possibili procedure (Consiglio e Assemblea) mi permetto di consigliare non mostrarci troppo esigenti sull'argomento. Non tanto per quello che concerne americani a cui questo può essere indifferente, quanto per quello che concerne francesi e probabilmente anche inglesi con cui comunque americani dovranno concordare loro eventuale azione. Francesi ed inglesi, i quali non hanno in Assemblea stessa influenza che vi possono avere americani, sono di massima contrari spostare centro discussioni da Consiglio ad Assemblea temendo costituire precedente che possa un giorno essere adoperato contro di loro. Inoltre essendo essi seccati e disorientati recenti mosse americane2 non credo siano molto propensi seguirli in nuove mosse ad effetto.

Del resto mi sembra che sollevare questione Trieste all'O.N.U. ha solo valore in quanto permette impedire che elezioni nostre finite essa passi dimenticatoio. Non conosco a fondo statuto O.N.U. ma anche se Assemblea non vale in questo caso principio veto, mi sembra assai azzardato supporre che basterebbe decisione maggioranza Assemblea per indurre russi far evacuare da jugoslavi Zona B e restituirla a noi. Massimo che si può sperare di ottenere è schieramento opinione mondiale a nostro favore e far rilevare una volta di più che è solo Russia e suoi satelliti ad opporsi realizzazione nostre aspirazioni: ossia successo puramente morale e platonico.

Mentre Zona A, qualora ci convenisse sanzionare divisione territorio e provocare ritiro truppe anglo-americane, potremmo riaverla quando vogliamo, bisogna purtroppo riconoscere che Zona B non la potremo avere che come conseguenza guerra vittoriosa o poco probabile disfacimento interno Jugoslavia.

Teoricamente potrebbe esserci anche altra eventualità: se dietro strane trattative russo-americane esiste realtà altro che complessa manovra elettorale doppiata da colpo di borsa, esse potrebbero anche finire in tregua temporanea apparente consi

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 655.

stente in regolamento alcune questioni secondarie, per esempio Berlino e Austria: tra queste questioni secondarie potrebbe, se americani lo vogliono, essere inclusa anche quella Trieste.

Dubito moltissimo che questo sia possibile: non so se americani ci tengano tanto a farci piacere fino a domandare a russi concessione che essi dovrebbero evidentemente pagare con loro concessioni altrove; dubito anche che americani e russi abbiano realmente interesse fare cessare conflitto che con poca spesa assicura fedeltà loro politica rispettivamente Italia e Jugoslavia. Tuttavia per ogni eventualità, per poco probabile che sia, converrebbe forse quando se ne presenti occasione toccare questione con Washington3 .

35 2 Per la risposta vedi D. 47.

36 1 Sull'argomento vedi serie decima, vol. VII, D. 605.

37

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI

L. 679/9341/1880. Parigi, 20 maggio 1948.

Soardi mi ha mandato copia della tua lettera al Cairo circa i nostri contatti con la Lega araba 1 . Sono completamente d'accordo con te sull'opportunità di tenerci un poco in riserva in questo momento.

Secondo me è molto importante seguire gli sviluppi della questione palestinese. Come vi ho scritto varie volte, i francesi sono d'avviso che gli ebrei sono molto più forti degli arabi: ritengo che per vie indirette stanno facendo il possibile per aiutarli ad essere sempre più forti, soprattutto nel settore armamenti. Essi pensano che se gli arabi potranno avere una suonata dagli ebrei scoppieranno più violentemente di quello che siano accennati oggi i dissidi interni della Lega araba, che tutta questa montatura cadrà in buona parte: che cadrà anche la politica d'incoraggiamento agli arabi fatta dagli inglesi. Non occorre dire che gli inglesi di Parigi sostengono invece che gli arabi sono più forti. Io non ho elementi di giudizio né mi pare che il consolato generale di Gerusalemme si sia mai pronunciato su questo punto. Comunque, in queste circostanze, conviene aspettare e, siccome il ragionamento francese che una vittoria ebraica potrebbe smontare gli arabi mi sembra abbastanza giusto, mi domando se non converrebbe anche a noi di cercare discretamente di aiutare gli ebrei ad essere forti. Del resto, qualche accenno che c'è in qualche altra tua comunicazione ufficiale mi farebbe supporre che anche voialtri siete in questo ordine di idee.

Se esiste una chance in questo senso mi sembra sarebbe anche il caso di esaminare la possibilità di andare più a fondo con gli ebrei. Data la loro indiscutibile influenza in America sarebbe opportuno di vedere se e fino a che punto i loro sforzi possono contribuire a rendere più favorevoli a noi gli americani da cui in ultima

37 1 Non rinvenuta.

47 analisi dipende l'ultima parola. C'è anche da vedere poi -e questo in un piano più generale -in quanto il favore degli ebrei potrebbe influenzare in senso favorevole a noi l'alta finanza americana per l'afflusso di capitale privato americano in Italia.

Per tua norma, ti aggiungo che alcuni mesi addietro ho avuto qui una conversazione molto generica con Weizmann. Alla sua domanda che cosa si sarebbe potuto fare per consolidare le relazioni fra lo Stato ebraico e l'Italia, io gli ho detto come mia opinione personale che la miglior cosa sarebbe stata che gli ebrei gettassero tutto il loro peso in America per farci rientrare in Libia senza limitazioni. Dato che noi concepivamo la Libia come un territorio di colonizzazione, essa si sarebbe venuta a trovare in una situazione analoga alla Palestina; una simile concordanza di interessi avrebbe potuto creare fra Italia e sionisti un legame più forte di qualsiasi accordo.

È inutile che ti dica che questa conversazione non ha avuto luogo nei termini precisi che ti scrivo oggi: è stata una conversazione all'orientale, ma Weizmann ha capito benissimo e mi ha risposto che qualora questa mia opinione personale fosse anche l'opinione del Governo italiano, sarebbe stato facile intendersi e probabilmente con successo. Non c'è bisogno che tu mi dica che è un terreno estremamente complesso e difficile, tanto più che il giuoco palestinese essendo soprattutto fra Russia e America esso sfugge a noi ed anche a paesi più forti di noi. In ogni modo, mi sembra che bisognerebbe un pò lasciarsi aperte tutte quante le strade. Se tu vuoi e se ti interessa avrei qui mezzi per poter prendere contatto per interposta persona con i circoli ebraici. Comunque, mi farebbe piacere di conoscere il tuo pensiero in proposito in maniera da poter, discutendo, chiarire reciprocamente le nostre idee2 .

3 6 3 Per la risposta vedi D. 57.

38

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, ORTONA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4904/1862. Washington, 20 maggio 1948 (per. il 29).

Riferimento: Miei telegrammi m data 11 corrente1 e telespresso n. 4697/1871 del 14 corrente2 .

Il noto progetto di risoluzione preparato da Vandenberg (mio carteggio in riferimento) inteso nello stesso tempo a venire incontro alla esigenza di un rafforzamento delle N.U. ed a creare la base per l'auspicata garanzia e assistenza americana ai paesi democratici dell'Europa occidentale, ha superato ieri la prima prova allorché ha ottenuto una votazione unanime (13 a O) da parte della Commissione senatoriale per gli affari esteri, dopo qualche leggera modifica soprattutto di forma ad esso apportata nel corso delle precedenti discussioni.

2 Non pubblicato.

Il testo approvato raccomanda tra l'altro «the association of United States by constitutional process with such regional and other collective agreements as are based on continuous and effective self-help and mutuai aid, and as affect its national security». È questa la fo~a del progetto Vandenberg alla quale s~~o state tuttavia aggiunte le parole continuous and effective con le quali si è voluto subordinare l'assistenza americana alla istituzione di una cooperazione quanto più permanente ed efficace fra i paesi beneficiandi.

Per quanto concerne l'altro ramo del Congresso, è noto a codesto Ministero che la Commissione per gli affari esteri ha iniziato gli hearings sulle varie proposte di modifica dello statuto delle N.U. (mio telespresso n. 4406/1677 del 6 correntel Secondo le più recenti informazioni, risulta che la Camera si preparerebbe a varare una dichiarazione a favore del consolidamento delle N.U. -mediante rafforzamento dei sistemi regionali di difesa -nell'ambito di un «Omnibus Bill» comprendente vari provvedimenti relativi alla partecipazione americana alle N.U. (concessione di un prestito per la costruzione della sede, privilegi ed immunità ai funzionari, eccetera).

Si rileva in questi circoli parlamentari che una tale procedura, qualora fosse effettivamente adottata dalla Camera dei rappresentanti, conferirebbe alla dichiarazione il carattere di legge, mentre la proposta Vandenberg comporta solo una «raccomandazione» al presidente. Si discute peraltro se da un punto di vista strettamente costituzionale il Congresso abbia o meno il potere di dare istruzioni al presidente sulla condotta della politica estera del paese.

Allo stato attuale non si esclude comunque che i due rami del Congresso possano riuscire a concordare un testo di risoluzione congiunta che concili la sostanza della proposta Vandenberg con i progetti in via di definizione nell'ambito della Camera dei rappresentanti.

Trasmetto un articolo di Joseph Alsop relativo alla inside story della proposta Vandenberg2 .

37 2 Per la risposta vedi D. 45.

38 1 Vedi D. Il, nota 2.

39

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6659/117. Atene, 21 maggio 1948 (per. ore 19,3 O jl.

Nel consegnare Tsaldaris schema patto di amicizia lo intrattenni lungamente questione palestinese primo classico esempio possibilità utile collaborazione indipendentemente da patti scritti e divulgati. Sostanza Tsaldaris mi confermò quanto

riferito con mio telegramma 1122 precisando che Grecia per quanto intenda mantenersi assolutamente neutra è allo stesso tempo decisa non rinunziare vantaggi assicuratisi posizione precedentemente presa favore arabi. Soggiungeva che amichevoli rapporti intrattenuti Governo ellenico Stati arabi avrebbero potuto essere utili anche per noi.

A mia domanda specificò nostra comune azione doveva necessariamente inquadrarsi nella politica inglese che si basa su così importanti attuali interessi materiali e soprattutto strategici dell'Inghilterra nel Medio Oriente. Per Gerusalemme chiesemi di voler riflettere; suppongo per telegrafare Londra. Avrò domani conferenza sulJa questione con sottosegretario permanente esteri3 .

39 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

40

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6682/272. Londra, 21 maggio 1948, ore 21,38 (per. ore 8 del 22).

Segretario generale Consiglio dei ministri esteri mi ha dato stamane seguenti chiarimenti circa procedura consultazione paesi interessati problema nostre colonie:

l. Era stato a suo tempo concordato che paesi interessati avrebbero potuto presentare osservazioni «supplementari» dopo presa visione rapporti Commissione indagine. Delegato russo aveva in seguito sostenuto che sarebbe stato impossibile presentassero osservazioni supplementari paesi che non avevano prima espresso formalmente loro punti di vista in linea generale. Dovette allora essere deciso invitare tali paesi esporre se lo desiderano loro vedute prima di conoscere rapporti e precisamente dal 1° al 15 giugno p.v. Paesi così invitati sono: Australia, Canada, Cecoslovacchia, Grecia (che aveva sino ad ora esposto solo suoi interessi economici in Africa tra cui diritti pesca spugne), India, Jugoslavia, Nuova Zelanda, Pakistan, Polonia, Sud Africa 1•

3 Vedi D. 51.

2. -Belgio e Cina hanno esposto per iscritto loro opmtone dichiarando non aver altro da aggiungere e quindi non verranno probabilmente più consultati. 3. -Paesi elencati al numero uno più Bielorussia, Brasile, Olanda, Ucraina (che hanno esposto in precedenza loro tesi generale) e Italia, Egitto, Etiopia (che hanno avanzato rivendicazioni territoriali) saranno invitati prendere visione rapporti Commissione indagine e presentare in base ad essi osservazioni supplementari. Si prevede tale fase avrà inizio metà luglio. Pubblicazione rapporti è ritardata da esigenze sovietiche che testi inglese e francese non siano diramati prima che sia approntata traduzione in russo di tutti gli allegati, il che potrà difficilmente avvenire prima della fine di giugno. 4. -Segretario generale non crede che quattro ministri esteri intendano riunirsi per discutere problema colonie e prevede di conseguenza che essi approveranno con procedura sommaria raccomandazioni eventualmente concordate da loro sostituti rinviando senz'altro all'Assemblea generale Nazioni Unite, senza ulteriori tentativi di compromesso, discussioni su destino di quei territori in merito ai quali sostituti non siano riusciti mettersi d'accordo. A tale proposito Paton-Smith mi ha detto essere pacifico ed accettato anche da sovietici che paragrafo 3 dell'allegato XI al trattato di pace va interpretato non (dico non) nel senso che mancato accordo su uno qualunque dei territori provochi rinvio dell'intera questione coloniale alle Nazioni Unite, ma che potrà darsi corso partitamente all'eventuale accordo che possa intervenire anche su uno solo dei territori.

39 2 Del 19 maggio, non pubblicato.

40 1 Con T. 7343/289 del 4 giugno Anzilotti comunicò le seguenti informazioni avute da Charles: la Jugoslavia avrebbe esposto verbalmente le sue opinioni sul futuro delle colonie italiane, mentre Grecia, Cecoslovacchia e Polonia le avevano presentate per iscritto e così intenderebbero fare i Dominions; Cecoslovacchia e Polonia si erano dichiarate a favore del trusteeship italiano su tutte le ex colonie; la Grecia aveva chiesto di essere rappresentata nell'ente internazionale eventualmente costituito per l'amministrazione delle colonie. Vedi anche D. 101.

41

IL MINISTRO AD OTTAWA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATISSIMO 6688/30. Ottawa, 21 maggio 1948, ore 17,56 (per. ore 8 del 22).

Ministro degli affari esteri in corso udienza -cui lo avevo intrattenuto alcune questioni tuttora non risolte interessanti Italia -mi ha informato che Consiglio Gabinetto aveva deciso proporre Governo italiano elevazione ambasciate rispettive legazioni istituite scorso agosto. Motivi e significato questa decisione -secondo mio interlocutore -sarebbero compiere gesto amichevole nostro paese occasione risultato elezioni italiane e insediamento primo presidente della Repubblica.

Ho fondato motivo, però, ritenere che in realtà proposta sia da porsi prevalentemente in relazione passi qui ripetutamente svolti, anche recentemente prima elezioni italiane, da ministro Desy che come è noto già ricopre grado ambasciatore.

Questo sottosegretario affari esteri mi informa ora vengono inviate ministro Canada ambasciata Roma istruzioni sottoporre V.E. predetta proposta.

42

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6740/179. Mosca, 22 maggio 1948, ore 22,36 (per. ore 8 del 23).

Telegramma di V.E. n. 441•

Ieri parlando con Vyshinsky2 mi attenni istruzioni di V.E. astenendomi toccare argomento rapporti di commercio.

Ricevo oggi telespresso n. 14387/97 del 10 maggio3 e meglio intendo andamento trattative, lieto che mie idee coincidano con direttive codesto Ministero. Sempre in tale ordine di idee aggiungo soltanto due rilievi e cioè: l) Non mi sembra facile esaminare programma futuro di riparazioni produzione corrente senza prevedere loro importo definitivo il quale dipende da quanto si dedurrà per valore beni Danubio. Rinvio questo Ministero valutazione beni Danubio a ambasciatori benché ineccepibilità giuridica potrebbe arenare domani trattative programma riparazioni produzione corrente e quindi tutte le trattative economiche. 2) Anche in connessione al primo punto, temo che semplice approvazione verbale appunto da parte consiglieri sovietici non impedisca domani questo Ministero commercio estero rimettere tutto in discussione difficoltando opera nostra delegazione e mettendo in pericolo intero accordo. Mi parrebbe opportuno codesto Ministero traducesse in impegnativo scambio di note accordo preliminare raggiunto cercando di precisarlo quanto possibile per evitare equivoci e arenamento trattative qui a Mosca.

43

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1460/229. Santiago, 22 maggio 1948 1•

Riferimento: Mio telegramma in data 21 aprile u.s., n. 272 . Come ho già riferito, il risultato delle elezioni italiane ha fatto in Cile profonda

. .

ImpressiOne. Mai in questi ultimi mesi l'opinione pubblica e la popolazione di questo lontano paese, dal popolano al borghese, dall'operaio al possidente, si sono tanto interessati

Vedi D. 7. 43 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 586.

ad un avvenimento politico europeo così come si sono interessati alla votazione e ai suoi risultati, che sono stati qui considerati come un chiaro sintomo e l'inizio di un profondo mutamento di tutta la situazione mondiale.

I risultati delle elezioni sono stati poi sommamente giovevoli al nostro prestigio, in quanto hanno dato ampia prova della maturità e dell'educazione democratica del nostro paese ed hanno smentito i timori e le prevenzioni che si nutrivano sul nostro avvenire.

Ritengo sia interessante raccogliere e segnalare ora alcuni sintomi della profonda ripercussione che il risultato delle elezioni italiane ha avuto e avrà sulla politica interna del Cile, paese che pur essendo per la sua posizione geografica, per la sua formazione etnografica, per le sue esigenze economiche, tanto lontano dali' Italia e dali 'Europa, pur si mostra particolarmente sensibile alle correnti e ai mutamenti politici che hanno la loro origine appunto dal nostro vecchio continente.

Così come il Cile sembrava due anni or sono destinato ad essere «la punta di lancia» del comunismo nel Sud America, ad adottare, sia pure in piccola scala le teorie sovietiche e ad imitarne le organizzazioni, già ora, a soli pochi giorni dalla vittoria democristiana in Italia, si può notare in taluni circoli politici una quasi affannosa ansia di compenetrarsi delle idee e delle dottrine che formano in Italia la base del programma democristiano.

Naturalmente è soprattutto negli ambienti cattolici che si deve segnalare un movimento del genere: e, poiché in Cile i cattolici fanno in gran parte capo al potente Partito conservatore, è soprattutto in questo partito, nel quale già da qualche mese stava prendendo forza la corrente «democristiana», che si è manifestato il più grande interesse per il risultato dell'esperienza italiana. Per meglio dire, tale risultato è stato accolto con un gran sospiro di sollievo e anche con molta e profonda soddisfazione in tutti i partiti politici di questo paese (naturalmente con l'eccezione dei comunisti) in quanto vittoria anticomunista, ma in quanto vittoria democristiana è stata salutata con gioia ed entusiasmo soprattutto in seno alle correnti più giovani del Partito conservatore, le quali confidano di trame notevole giovamento sia per rafforzare la loro corrente nel partito, sia per assicurare a questo l'adesione della gran massa cattolica della popolazione.

Come riferito con mio rapporto in data 24 marzo u.s., n. 849/1333 , già prima delle elezioni italiane era avvenuta in seno a detto partito una lotta fra i fautori delJa dottrina democristiana, capeggiati dal giovane ed entusiasta dottor Cruz Coke, già candidato alla Presidenza della Repubblica, in contrapposizione all'attuale presidente, e i conservatori «puri» o «tradizionalisti».

La vittoria italiana è ora considerata una preziosa arma nelle mani del Cruz Coke, che si proclama un fervente ammiratore e discepolo del presidente De Gasperi.

In una sua recente conferenza nella sede del Circolo conservatore, che ha avuto appunto per titolo «Sentido y proiecciones de las elecciones italianas» (vedi allegato )3 , il Cruz Coke, dopo un brillantissimo, preciso ed esauriente quadro della

53 situazione italiana e delle cause e origini della dottrina democristiana italiana, ha opposto la concezione dell'uomo socialcristiano a quella dell'uomo marxista. Nella sua fervente orazione, interrotta più volte dalle entusiastiche ovazioni dei numerosissimi presenti, il Cruz Coke ha indicato al popolo e ai dirigenti del Cile la via da seguire nella lotta contro il comunismo, che solo nel cristianesimo trova il vero ed unico antidoto.

Ma se è naturale e sembra giusto che della dottrina democristiana italiana si faccia arma ed argomento chi, come il Cruz Coke, già prima delle elezioni era fautore di detta dottrina, è interessante notare che anche il movimento «falangista», facente capo a elementi che pur proclamandosi sinceramente cattolici non nascondono le loro tendenze comunistoidi, si ritiri ora dalle primitive posizioni sbandierando un programma soltanto democristiano. Il deputato falangista, signor Tomic, durante la discussione del progetto di legge presentato al Congresso «per la difesa della democrazia», progetto che dovrebbe condurre alla dichiarazione di «fuori legge» del Partito comunista, ha infatti basato la sua opposizione al progetto stesso non già su una difesa del comunismo e delle sue teorie -come avrebbe fatto qualche mese fa -ma sulla necessità di combattere il comunismo stesso non con delle misure soltanto negative, ma attuando un programma di riforme sociali, citando a tale proposito l'esempio della Francia e soprattutto quello dell'Italia.

Tanto il Cruz Coke che il Tomic, seppure sotto distinta bandiera, convengono nella necessità di combattere il comunismo e propugnano, a tal fine, l'attuazione di un programma progressista di riforme tanto nell'agricoltura con la divisione dei latifondi, quanto nell'industria con la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e ai benefici, oltre a una efficiente organizzazione sindacale nella quale siano parimenti rappresentati e tutelati gli interessi degli operai e dei datori di lavoro.

Anche se il Falangista non è che un piccolo partito con pochi aderenti, che in passato aveva perso ogni influenza appunto per il suo aperto filo-comunismo, questa sua evoluzione costituisce un sintomo non privo di interesse delle sensibili ripercussioni che il risultato delle elezioni italiane ha avuto anche su questo popolo, pur così giovane, così lontano e tanto differente dal nostro.

42 1 Vedi D. 25. 2 Un più ampio resoconto di questo colloquio si trova in: MANLIO BROSIO, Diari di Mosca 19471951, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 300-302.

43 3 Non pubblicato.

44

IL CONSOLE MANZINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 6769/8-9-10. Mogadiscio, 2 3 maggio 1948, ore 20, 10 (per. ore 8 del 24).

Da fonte confidenziale che mi verrebbe preclusa da eventuali indiscrezioni ho avuto in visione il verbale prima riunione tra nuovo amministratore capo Drew e alti funzionari B.M.A. Mi riservo riferire ampiamente al riguardo per corriere' con primo

54 mezzo sicuro ma debbo segnalare fin da ora parte dichiarazione Drew, che illumina autorevolmente stato odierno politica inglese verso colonie italiane e in particolare atteggiamento.

Tale politica, egli ha detto testualmente, «è attualmente in discussione a Whitehall e si verifica acuto contrasto opinioni tra le varie autorità interessate. Governo Sua Maestà britannica desidera raggiungere l'accordo con rimanenti tre potenze allo scopo facilitare compromesso su altre questioni più importanti». Questo ultimo potrà essere elemento decisivo. Quattro potenze faranno seri sforzi raggiungere l'accordo prima del 15 settembre ma può darsi che non riescano. Comunque punto importante è seguente: dobbiamo attenderci enunciazione della politica Governo Sua Maestà nel prossimo futuro, molto prima del 15 settembre. Dichiarazione che farà nostro Governo non implica necessariamente accordo quattro potenze. È dal momento che politica inglese verrà enunciata che potranno verificarsi torbidi in Somalia. Quando deliberazione sarà stata presa dalle quattro potenze o dall'O.N.U. spetterà in aggiunta forze armate Gran Bretagna anche ad altre potenze e ad autorità subentrante prestare aiuto se è necessario per attuare decisioni.

Permettomi attirare l'attenzione di V.E. queste affermazioni Drew di cui autenticità non ho alcun dubbio. Intervallo disponibile per tentare influire su decisioni avverse nostra tesi sarebbe dunque molto ridotto. Dato contrasto pareri Whitehall confermato da indiscrezioni Drew sembrerebbe urgente ricercare qualche intesa anche con dirigenti militari britannici e in particolare Comando Medio Oriente da cui nostre colonie dipendono. È infatti evidente che la loro opinione ha attualmente peso notevole a Londra in considerazione incerta situazione internazionale. Nei contatti tino ad ora avuti sia a Nairobi che qui ho constatato (e rappresentante Foreign Office per Eritrea e Somalia Mason me lo ha oggi confermato) che obiezioni ambienti militari sono principalmente seguenti:

l) nonostante affermazione elettorale democristiana si continua a temere che in seguito comunisti possano impadronirsi potere in Italia o comunque inviare loro agenti nelle colonie qualora ci siano restituite. Propaganda agitata in Africa diretta a creare ditiicoltà e disordini sociali tra indigeni è oggi una delle serie preoccupazioni delle autorità inglesi. È opportuno non sottovalutare questo fattore;

2) esiste tuttora parecchio scetticismo circa una nostra futura collaborazione in Africa ed evoluzione nostra politica indigena che si insiste considerare reazionaria e perciò fonte di torbidi che specialmente in Africa orientale non mancherebbero di creare spiacevoli ripercussioni in contigui possedimenti britannici dei quali è nota l'importanza in nuova strategia Africa centrale.

Da parte mia sto adoperandomi per dissipare prevenzioni dirigenti amministrazione Somalia acuite da malintesi causati alcuni elementi locali irresponsabili. Sottolineo loro importanza e carattere progressista programma enunciato da sottosegretario Brusasca in messaggio ai somali del gennaio scorso2 . Ma per esser produttivo effetto desiderato chiarimento dovrebbe essere condotto anche livello più alto e cioè

presso Comando Medio Oriente: questo naturalmente in aggiunta ad az10ne che nostra ambasciata Londra svolge presso autorità centrali.

Circa Somalia Drew ha dichiarato: «proposta per formazione grande Somalia è stata messa in ghiacciaia, ma non è emersa fin ad ora nessuna altra politica costruttiva. Una cosa però è certa: il Governo Sua Maestà non desidera rimanere qui, ma dovrà farlo se una decisione non sarà raggiunta da quattro potenze. Se la questione andrà davanti O.N.U. Italia e Francia possono contare voti sufficienti per bloccare decisione contraria loro interessi. Occorre tenere presente tuttavia che Somalia è a very small pebble on the beach paragonata con più grave questione che il Governo britannico deve fronteggiare».

44 1 Non rinvenuto.

44 2 In «Relazioni internazionali», a. XII ( 1948), n. 4, p. 54.

45

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. SEGRETA 776 SEGR. POL. Roma, 23 maggio 1948.

Ho la tua lettera del 20 maggio n. 679/9341118801• Come avrai visto dalle comunicazioni che ti sono state inviate circa la Palestina, siamo nello stesso ordine di idee dei francesi e il nostro interesse ad aiutare -entro certi limiti -gli ebrei deriva sia dal nostro interesse a dare un colpo alla Lega araba e alle velleità ultranazionaliste di taluni Stati arabi, sia dalla necessità di liberarci dei trentamila e più ebrei che abbiamo in Italia come profughi indesiderabili e di evitare che si riversino eventualmente qui, in un secondo esodo, quelli già stabiliti in Palestina.

Credo anch'io che non sia cosa facile per gli arabi, appena arriveranno in contatto con i veri centri ebraici, avere dei concreti successi.

Noi abbiamo qui, come sai, continuato nei confronti degli ebrei la politica, per intenderei, di Vidau (che conviene con essi sempre ricordare e valorizzare) e la larga ospitalità accordata ai profughi, la tolleranza dimostrata nel permettere l'uscita clandestina dall'Italia per la Palestina, nonostante le continue proteste inglesi, sono elementi a nostro vantaggio e risaputi nei circoli ebraici americani i cui esponenti vennero anche a ringrazi armi quando fui colà nel 1947. Qui abbiamo -e la tolleriamo -una importante organizzazione che acquista armi, ne facilita il transito ecc. ecc. Passano aerei ..... panamensi a tutto spiano: e chiudiamo entrambi gli occhi, salvo ad aprirne uno qualche volta per la galleria! Di più si potrebbe forse anche fare: marcia quindi pure nel senso che prospetti.

45 1 Vedi D. 37.

46

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. 6026/321. Roma, 24 maggio 1948, ore 12,30.

Questa ambasciata americana è stata interessata da Dipartimento Stato conoscere nostri desideri in merito contemplato trapasso restituzioni a Governo austriaco. D'accordo con Cosmelli abbiamo manifestato quanto segue:

l) abbiamo interesse che contemplato trapasso abbia luogo il più tardi possibile allo scopo dare nostra missione Vienna possibilità massimi recuperi; 2) frattanto per non dar prova cattiva volontà legazione Vienna potrà iniziare anche subito conversazioni con quel Governo per determinare futura procedura;

3) fin da adesso per altro chiediamo codesto Governo che allorché procedura passerà competenza Governo austriaco, autorità americane, nella loro veste di occupanti, continuino assisterci per effettive consegne tanto presso autorità centrali Vienna quanto localmente presso detentori materiali da restituire.

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. 6060/229. Roma, 24 maggio 1948, ore 21,30.

Suo 268 1• Statuto Fondo monetario internazionale e statuto Banca ricostruzione stabiliscono numero direttori esecutivi di dodici.

Prevedono elezione direttori aggiuntivi ad occasione ammissione partecipazione due Istituti di Stati, che non partecipassero momento nel quale elezione direttori esecutivi ebbe luogo. Tale eventualità si verificò nel corso 1947 e tale occasione ebbe luogo elezione un direttore italiano. Analogamente nel 1948 ebbe luogo elezione un direttore australiano. Secondo orientamento finora prevalente ambienti americani competenti, numero direttori dovrebbe essere riportato a dodici. Qualora questa ipotesi si verificasse, riuscirebbe estremamente difficile per l'Italia raccogliere un numero di voti che rendesse eleggibile un italiano. Al contrario mantenimento numero quattordici renderebbe possibile elezione un italiano. Secondo notizie da Washington sembra che inglesi avrebbero espresso cautamente avviso che sarebbe opportuno mantenimento attuale numero quattordici, perché ciò faciliterebbe mantenimento attuale numero rappresentanti territori compresi Commonwealth britannico.

47 1 Vedi D. 35.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 684/9646/1885. Parigi, 24 maggio 1948 1•

Durante il suo ultimo soggiorno a Parigi le riferii che Bidault mi aveva detto che sarebbe stato obbligato a parlarmi della flotta. L'ho poi rivisto più volte e non me ne ha parlato: tranne un leggero accenno, l'altro giorno, da parte di Chauvel, non me ne è stato parlato nemmeno negli uffici. Una offensiva lanciata su alcuni giornali di destra, e che ho segnalato, è cessata rapidamente. Questa calma però non ci deve trarre in inganno: si tratta di un rinvio che ci è stato concesso, in considerazione delle elezioni prima, della formazione del Governo poi: ma, a Roma o a Parigi, forse più probabilmente a Roma che qui, uno di questi giorni, la questione verrà fuori: e sarà un giorno di grave crisi per i rapporti italo-francesi, crisi che, temo, può essere connessa con tutta una situazione che espongo in un altro rapporto2 .

Nelle ultime settimane, almeno una diecina di personalità italiane di differenti provenienze, uomini politici, grossi giornalisti, uomini di affari mi hanno tutti riferito delle dichiarazioni fatte loro, o ad amici loro, dal ministro Facchinetti: che egli intendeva resistere fino in fondo, per la consegna della quota francese della flotta e per la demolizione delle navi da battaglia. Non che questa intenzione mi sia riuscita nuova; sono però rimasto un po' sorpreso che da noi se ne parli così liberamente. Sono di quelle cose che si possono anche fare o tentare di fare, ma a condizione di dire esattamente il contrario: in Italia di orecchie poco benevole, francesi, inglesi e probabilmente anche americane ce ne sono fin troppe; e tutto questo trova troppo facilmente la via dei Governi francesi ed inglesi e non li predispone troppo in nostro favore, per una questione che è assai delicata.

Credo di non essere troppo ottimista nel dire che, entro certi limiti, Bidault sarebbe personalmente favorevole a farci qualche concessione; ma non è in grado di imporre la sua volontà al Quai d'Orsay che è tutto, salvo forse qualche giovane di non grande peso, ben deciso a che noi rispettiamo il trattato. Nel Governo ha, entro certi limiti, dalla sua Schuman; nettamente contro di lui, Teitgen, il ministro delle forze armate, che fa nell'interno del comune partito una lotta serrata ai due, e che sarebbe felicissimo di batterli in breccia in nome della grandezza della Francia, della vittoria della Francia: in nome di tutta una serie di illusioni di cui la cessione di una parte della flotta italiana resta l'ultimo e forse l'unico segno tangibile. I socialisti sarebbero, probabilmente, anche essi disposti a qualche compromesso: ma sono troppo paralizzati dal terrore delle prossime elezioni perché si possa contare su di loro. Impostata sul terreno della vittoria, come la imposteranno Teitgen, i marinai e qualche altro, non ci facciamo illusione nessuna, non c'è uomo politico francese, non

48 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 R. 693/10018/1964 del 26 maggio, non pubblicato.

58 c'è giornalista francese, non c'è partito francese, il quale, in questa vigilia di elezioni, se la senta di sostenere, in nome di un riavvicinamento coll'Italia, una politica di rinuncia ai diritti derivanti dal trattato.

Non che ai buoni rapporti con l'Italia non si dia qui nessuna importanza: ce se ne dà meno che un paio di mesi fa, ma sempre una certa importanza essi la hanno. Ma la situazione francese è, in questo, molto analoga alla nostra: non mancano né dall'una parte delle Alpi né dall'altra persone intelligenti che si rendono conto della opportunità di far passare in seconda linea questioni di dettaglio: mancano invece le persone che abbiano il coraggio, la forza e forse la possibilità di imporre il loro punto di vista alla massa che è meno intelligente.

In Francia una sola persona potrebbe farlo: de Gaulle forse lo farebbe, ma non come gesto in sé stante, come parte di tutto un piano di politica combinata italofrancese. Ma, a parte il fatto che, salvo avvenimenti imprevisti, la crisi de Gaulle difficilmente maturerà prima dell'ottobre, siamo noi pronti a seguire le idee politiche di de Gaulle? Quali esse siano, nelle loro linee generali le ho esposte a lei a varie riprese: e non mi è sembrato che esse incontrassero la sua approvazione senza riserve. L'arrivo al potere di de Gaulle molto probabilmente creerà invece, per ragioni di politica interna nostra, una nuova grossa crisi nei rapporti itala-francesi. Arrivato al potere de Gaulle, se non subito, dopo brevissimo tempo, dovrà mettere in prigione o quasi una gran parte dei socialisti francesi ed una piccola parte dell'M.R.P.: è facile immaginarsi quale sarà da noi la reazione dei socialisti e dei repubblicani, probabilmente anche di una parte dei democristiani. Premessa prima di poter fare una politica con de Gaulle sarebbe, in fatto, un rimaneggiamento del nostro Governo, un differente orientamento di tutta la nostra politica interna, in modo da allinearla maggiormente alla nuova situazione francese. Mancando questo, è essere facili profeti il dire che si ripeterà, rovesciata, la stessa situazione che abbiamo avuta ai tempi del fascismo, ossia che alle difficoltà di fatto si aggiungerà una nuova gravissima barriera ideologica.

Premesso questo, il che vuoi dire che non c'è da sperare che la posizione francese, per quello che concerne la flotta, cambi, né che la Francia sia disposta a sacrificare qualche cosa d'importante sull'altare dell'Unione doganale, del Patto occidentale o di cose del genere, bisogna che noi decidiamo quale sarà il nostro atteggiamento di fronte alla prossima ripresa delle trattative.

Secondo notizie indirette, di cui non mi è possibile valutare il peso, sembra che i francesi avanzeranno delle nuove proposte. Non ritengo però che si tratterà di grandi cambiamenti. Può essere che i francesi facciano qualche passo nel senso di cambiare il titolo della cessione; può essere che siano disposti ad altre concessioni concernenti il nostro onere finanziario; può essere anche che si decidano, o si possano far decidere, ad una diminuzione simbolica del tonnellaggio ceduto, ma dell'ordine di qualche centinaio di tonnellate. Di più non si può né contare né sperare. Cercare di rimandare ancora la questione con la cessione di qualche rimorchiatore o magari di un paio di cacciatorpediniere non serve assolutamente a niente: bisogna che noi ci rassegniamo a prendere una decisione di principio.

Noi ci trinceriamo dietro due ordini di argomenti. Il primo è che la Francia non ha nessun diritto a pretendere una parte così grossa della nostra flotta: gli argomenti che noi adduciamo a questo scopo possono essere fondatissimi, ma il trattato di pace ne ha già fatto giustlZla; è vero che noi consideriamo il trattato come un dettaglio non esistente; ma è questa una tesi che siamo purtroppo soli a sostenere: gli altri sostengono, e non senza una certa ragione apparente, che esso non solo c'è, ma porta anche la nostra firma.

Il secondo è che non ci si può domandare ad un tempo di riarmarci, di fare una politica di alleanze militari, e portarci via una certa parte della nostra flotta. In realtà non mi consta che né Francia né Inghilterra ci abbiano mai chiesto di riarmare; e quanto al chiederci di fare una politica di alleanze mi sembra che i sondaggi finora fatti a Londra e Parigi abbiano dato un risultato molto chiaro: che non ce lo chiedono affatto; che non mostrano affatto di preoccuparsi del problema della difesa dell'Italia da un possibile attacco orientale. Se mai, quelli che ce lo chiedono ignoro in che forma e misura -sono gli americani: se mai quindi è solo agli americani che potremmo -ammesso che la maniera in cui essi ci hanno invitati a riarmarci o ad allearci sia tale da giustificarlo -far rilevare questa contraddizione.

Ossia in altre parole: proporci di resistere va bene; ma la possibilità effettiva di resistere con successo, e gli argomenti per farlo, dipendono esclusivamente dalla misura in cui gli americani sono disposti a difendere le nostre tesi. Erano questi, più o meno, i termini in cui avevo posto il problema a Zoppi con la mia lettera

n. 1408 dell'8 aprile scorso3 : ignoro se ci sia stata una risposta scritta di Tarchiani alla lettera da lei scrittagli sull'argomento; ma quando l'ho visto a Parigi mi ha detto molto chiaramente che gli americani sono di opinione che noi dobbiamo dare alla Francia quello che le spetta, e tutto il resto: lo stesso ci era stato detto dagli americani a Parigi.

Ora quale è il corso probabile delle cose? l francesi riprenderanno le loro richieste, più o meno invariate; noi risponderemo con appelli all'Unione doganale, all'intesa fra i due paesi, alla solidarietà europea, a tutto quello che si vuole: tutti questi nostri appelli lasceranno qui il tempo che trovano. Dopo un periodo x i francesi si rivolgeranno agli americani domandando un intervento ufficiale della Commissione navale. A meno che noi abbiamo delle precise, inequivocabili assicurazioni da parte americana che essi ci sosterranno, è assai probabile che essi finiranno, in qualche modo, per farlo; ed allora noi dovremmo cedere: questo è evidente.

Capisco che questa soluzione della questione può essere per ragioni interne la più facile per il Governo italiano: cedere alla forza è più facile che cedere per ragionamento; potremmo poi dare sfogo al nostro risentimento con una bordata d'ingiurie verso la Francia responsabile di questa nuova umiliazione italiana. I francesi, felici anche loro di trovare uno sfogo alla loro bile repressa in altri campi, si affretteranno a risponderei sullo stesso tono: risultato una crisi grave nei rapporti franco-italiani.

Tengo a premettere che personalmente questa crisi non mi fa affatto paura; nel senso che il trovarmi a Parigi in un periodo di pessime relazioni franco-italiane non disturberebbe affatto i miei sonni.

È però mio dovere far presente che, nella maniera come stanno andando le cose oggi, questo significa la fine dell'Unione doganale, la fine della collaborazione europea -ad eccezione della convivenza forzata nella gabbia del piano Marshall -significa un passo di più verso un atteggiamento di revisionismo tipo Ungheria di Horthy, con tutte le conseguenze che questo porta anche e soprattutto sul piano interno.

Col mio rapporto n. 35/196/85 del 7 gennaio scorso4 ho avvertito come sul piano delle questioni reali (frontiera, flotta, beni etc.) non ci fossero da attendersi successi immediati dalla nostra politica di Unione doganale. Noi possiamo fare colla Francia, e probabilmente non solo colla Francia, due politiche: una è quella dell'offeso, e questa sarebbe appunto la politica dell'aspettare che ci si forzi la mano nella questione della flotta; l'altra è quella di chi dimentica le offese e vuole battere nuove vie: e questa è la politica dell'Unione doganale, eccetera; ma questa politica proprio come quella di Locarno per la Germania -implica, per parte nostra, per certi determinati punti -e fra questi è la flotta -una politica di adempimento volontario del trattato. Tutte e due le politiche, se fatte con calma e con discernimento, possono alla fine dei conti, e dopo parecchio tempo, portare allo stesso risultato. Quello che è impossibile e non può condurre a nessun risultato è il volerle fare tutte e due allo stesso tempo.

Bisogna quindi che noi ci decidiamo. Se ci decidiamo per una politica di resistenza fino alla capitolazione di fronte al diktat, è bene allora che mettiamo molto in sordina tutto quello che concerne Unione doganale: se lasciamo dormire il tutto, forse un giorno, non vicino, superata la crisi, si potrà gradatamente riprenderlo: se andiamo avanti ignorando la mina della flotta, le trattative andranno per aria con troppo fracasso perché sia possibile di riprenderle entro un periodo prevedibile.

Se invece ci decidiamo che conviene cedere, bisogna deciderlo subito e, in quanto possibile, negoziare la nostra cessione. Quando dico negoziare, bisogna avere ben presenti i limiti. Nel campo della flotta si può solo lesinare sull'onere finanziario nostro, non sul tonnellaggio, salvo che per un paio di centinaia di tonnellate simboliche. Si può negoziare, tacitamente, sul fatto che la Francia chiuda gli occhi sul nostro riarmo clandestino, sia dentro che fuori del Patto occidentale; più apertamente, magari per iscritto, si può negoziare su una politica francese più decisa per l'Unione doganale, su un atteggiamento favorevole a noi per l'Unione occidentale, e in generale per il ristabilimento della posizione morale dell'Italia nel mondo.

Resta anche a vedere, visto che alla fine dovremo cedere, se ci conviene cedere ai francesi, facendo con questo un gesto, se pure doloroso, di conciliazione ed avendone qualche cosa in cambio, o se ci conviene di cedere su pressioni americane, quando nemmeno gli americani ce ne saranno grati. Si ripete cioè la storia di Tenda e Briga. È bene tenerla presente.

Se, come è probabile, il Governo italiano si deciderà per la via più facile, all'interno, ossia quella della resistenza sarebbe bene che lo sapessi in tempo per fare quello che è possibile di fare per attutire, in parte, il necessario clash italofrancese, almeno da questa parte.

48 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 543.

48 4 Non pubblicato.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 691/1 0017/ l 963. Parigi, 24 maggio 19481•

Ho chiesto a Chauvel se il Governo francese avesse preso qualche decisione circa il riconoscimento dello Stato ebraico.

Mi ha detto che sarà stata una decisione di Gabinetto che lasciava piena libertà al ministro degli esteri di decidere. Sarà anche stata una presa di posizione favorevole al riconoscimento da parte del Parlamento. Era indubbio che l'opinione francese, estremamente risentita per l'atteggiamento degli arabi nei riguardi della Francia, era nettamente favorevole allo Stato ebraico: era questo un elemento di cui il Governo francese doveva pure tenere conto. La situazione era però delicata perché bisognava nello stesso tempo tenere conto della sensibilità delle popolazioni arabe sotto dominio francese.

Il Ministero degli esteri stava studiando la questione. Un riconoscimento de iure era naturalmente fuori questione: non si poteva riconoscere uno Stato quando mancava un elemento essenziale: le sue frontiere. D'altra parte, a Tel-Aviv era stato creato un Ministero degli esteri ebraico: il console di Francia a Tel-Aviv doveva avere ed aveva continuamente contatti con lui per una serie di questioni pratiche e questo era già un principio di riconoscimento di fatto. Non escludeva però che ci potrebbe essere stata, anche a breve scadenza, una dichiarazione di riconoscimento di fatto analoga a quella americana. Gli ho detto che dato il nostro desiderio, entro certi limiti, di procedere per questa questione d'accordo con la Francia, gli sarei stato grato se avesse voluto informarmi di una eventuale decisione francese prima che essa fosse resa di pubblica ragione, il che mi ha promesso. Parlando della questione in linea generale, mi ha detto che pure essendo difficilissimo potersi fare un'idea esatta della situazione militare, egli continuava ad avere l'impressione che gli ebrei fossero più forti. L'unica forza araba veramente efficiente era la legione araba. Il valore dei soldati siriani era ben noto ai francesi. Su quello degli egiziani e degli iracheni non vi era da farsi molto illusione.

Evidentemente sarebbe stato interesse francese uno scacco della Lega araba. Esso avrebbe un po' sgonfiato questo pallone: le rivalità latenti fra i vari capi sarebbero maggiormente venute in evidenza. In complesso, gli arabi si sarebbero un po' smontati e tutto questo avrebbe potuto essere un vantaggio per la situazione dell'Africa del Nord francese e, riteneva, anche per la questione della Libia. D'altra parte bisognava pure riconoscere che una sconfitta non mitigata degli arabi avrebbe potuto portare gravi inconvenienti. La situazione interna in Egitto ed in Iraq era estremamente incerta: un insuccesso clamoroso nella questione palestinese avrebbe potuto portare anche a dei cambiamenti non di Governo ma di tutta la classe dirigente le cui conseguenze potevano essere tutt'altro che desiderabili per la situazione generale nel Vicino Oriente. L'ideale per i francesi sarebbe stato un certo spargimento di sangue senza un successo marcato né per l'una né per l'altra parte che, dopo un ragionevole periodo di tempo, avesse potuto condurre ad una più ragionevole formula di compromesso fra due contendenti smontati. Ma, in pratica, da parte francese, questo risultato poteva essere soltanto desiderato ma nulla si poteva fare per arrivarci.

La politica palestinese era essenzialmente nelle mani degli americani le cui evoluzioni e reazioni erano imprevedibili.

Mi ha poi segnalato come elemento negativo della situazione il fortissimo risentimento inglese contro una politica americana che sembrava a Londra diretta soprattutto a mandare per aria la politica inglese nel Medio Oriente. L'ambasciatore di Francia a Londra aveva riferito che qualcuno da parte inglese gli aveva detto che si sarebbe potuto dire che per la questione di Palestina ci era completo accordo fra russi ed americani contro l 'Inghilterra.

49 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

50

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1786/122. Gerusalemme, 24 maggio 1948 (per. il 5 giugno).

Le ripetute dichiarazioni del Governo britannico confermavano la data del 15 maggio quale termine legale del mandato ed il l o agosto limite massimo entro il quale sarebbero state ritirate le truppe dalla Palestina.

In successivi comunicati ufficiali veniva precisato che, per effettuare ordinatamente quest'ultima operazione, sarebbero state costituite zone di sicurezza, sottoposte alla legge marziale, per il concentramento ed il graduale deflusso delle truppe le quali avrebbero mantenuto nel frattempo il controllo delle principali vie di comunicazione, coadiuvate da unità transgiordaniche poste alle dipendenze del Comando britannico. Era inoltre stabilito che 150 sudditi britannici «la cui permanenza a Gerusalemme era giustificata» sarebbero stati concentrati nella Zona A, vicino alla sede della nostra rappresentanza; che ivi avrebbe preso sede il consolato inglese istituito allo scadere del mandato e che, infine, l 00 militari britannici sarebbero rimasti a protezione della piccola comunità.

Fino al 12 maggio tutti gli apprestamenti e lavori in corso confermavano i propositi suddetti: consolidata la zona più ristretta ove trovavasi il Comando superiore delle forze armate; rinforzati i posti di blocco sulle arterie principali e sulle grandi vie di comunicazione; predisposto il quartiere della colonia britannica con scorte di viveri, acqua ecc.; designati i capi della medesima. Improvvisamente fra il 12 ed il 13 tutto questo piano venne, forse ad arte, capovolto. Militari e civili ricevettero l'ordine di lasciare Gerusalemme immediatamente: automezzi circolarono fra le abitazioni per raccogliere i partenti, fra cui vari funzionari che dovettero abbandonare nella fretta oggetti di proprietà ed effetti personali; i militari si riunirono nei loro accantonamenti ed ai posti di blocco. Poche ore dopo sfilavano le autocolonne che, sotto forte protezione, si dirigevano verso Haifa.

Poco prima della partenza si erano visti militari britannici consegnare le case requisite ed i posti di blocco ad ufficiali dell'Hagana i cui uomini si tenevano pronti a riempire i vuoti lasciati dagli inglesi. Ed ho saputo, da fonte ottima, che l'operazione era stata negoziata mediante grossi compensi in denaro!

Nella giornata del 13 maggio l'alto commissario lasciò Gerusalemme preceduto e seguito da tutte le forze armate che avrebbero dovuto ~facendo fede alle dichiarazioni britanniche ~ rimanere alcune settimane ancora per compiere ordinate e graduali operazioni di ritiro. Si chiudeva così, poco onorevolmente, il triste periodo del mandato britannico sulla Palestina, responsabile di tutte le sventure di questo disgraziato paese.

I reparti deii'Hagana occuparono subito i vasti quartieri evacuati dalla popolazione civile araba e cristiana, le arterie principali e le zone lasciate improvvisamente libere dai britannici. Le case dei quartieri abbandonati sono state saccheggiate dai militari ebrei che nei riguardi però delle rappresentanze straniere ~ e particolarmente della nostra ~ si sono mostrati assolutamente rispettosi e corretti.

Da un punto di vista particolare tali eventi hanno portato conseguenze dirette ~ data la loro ubicazione ~ai consolati generali d'America, di Francia e d'Italia i quali si sono visti tagliare comunicazioni importanti specie con la città vecchia, in cui hanno sede organismi ed istituzioni da loro dipendenti, ove risiedono le autorità arabe e dalla quale venivano tratti gli approvvigionamenti.

Nuovi contatti vennero quindi stabiliti tra i combattenti delle due parti e la lotta ha potuto così riaccendersi e svilupparsi con intensità ed asprezza attorno ed entro la vecchia città, piena di luoghi sacri e di case religiose, unica parte di Gerusalemme che sembrava dovesse rimanere esclusa dalla battaglia.

Da questo momento nulla è stato più rispettato dalle forze armate in presenza, nel corso della lunga lotta: gli ospedali italiano e francese, chiese, ospizi, santuari, tutto è stato considerato alla stregua soltanto del suo valore tattico. Bandiere della Croce rossa, della Santa Sede, delle diverse potenze issate sugli edifici da proteggersi, nulla hanno servito.

Fino ad oggi si debbono deplorare inoltre la morte del console generale degli Stati Uniti d'America signor T. Wasson, di un sottufficiale di marina addetto alle radiocomunicazioni del consolato stesso, otto feriti al consolato di Francia, continuamente colpito da ogni parte, altri feriti ai consolati di Cecoslovacchia e del Belgio. E per ultimo gli atti di violenza da parte dei transgiordanici, di saccheggiO e distruzione compiuti dagli irregolari curdi alla Scuola dei francescani,

64 annessa alla Custodia di Terra Santa, divenuta sede sussidiaria di questo consolato generale, protetta dagli emblemi di Terra Santa e da una grande bandiera tricolore.

Dietro le scarse truppe regolari avanzano come iene e sciacalli i famosi volontari venuti in Palestina dai diversi Paesi arabi soprattutto per saccheggiare; elementi di rifiuto, predoni e banditi, che disonorano la causa per la quale dicono di combattere.

51

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6796/127. Atene, 25 maggio 1948, ore 0,10 (per. ore 7).

Seguito mio telegramma 124 1 . Sottosegretario di Stato permanente esten m lungo colloquio stamane [24] confermavami che Governo greco per ora deciso non riconoscere Stato Israele che personalmente egli dubita persino possa affermarsi. Disse pensare Governo greco dover sempre procedere in assoluto accordo inglesi ed americani e soltanto ove sia possibile non urtare né gli uni né gli altri politica dovere essere quella già manifestatamente tracciata da Governo turco e greco votando contro progetto spartizione Palestina. Per Gerusalemme Governo greco è in massima favorevole statuto internazionale tipo Tangeri proposto da V.E.2 . Unica riserva greca verte regime Luoghi Santi per i quali già in occasione progetto O.N.U. Grecia si era opposta sottomettere eventuali contrasti religiosi ad arbitrio di un capo civile ed aveva allora proposto istituzione collegio giuristi che in materia religiosa decidesse possibili contrasti nascenti da applicazione vecchie leggi usi e costumi. Mi chiese di domandare maggiori precisioni su inclusioni che V.E. penserebbe proporre e sostenere mentre risultag1i che per ora America ed Inghilterra, assorbite da altre preoccupazioni, non contemplano problema Gerusalemme; al che osservai essere appunto conveniente per noi prendere iniziativa. Circa provvedimenti per rispetto alla neutralità informo che Governo greco, con recente disposizione come da mio telegramma n. 1233 , ha emanato severe misure fra l'altro diffidando compagnie aeree trasportare via Grecia viaggiatori destinati Palestina pena revoca permessi volo.

Vedi D. 13. 3 Del 22 maggio, non pubblicato.

Sarei grato a V.E. se vorrà telegrafarmi criteri almeno di massima internazionalizzazione Gerusalemme onde sottoporli questo Governo secondo il desiderio espressomi Pipinelis.

51 1 Del 22 maggio, con il quale Prina Ricotti preannunciava il colloquio di cui al presente telegramma. Vedi D. 39.

52

IL MINISTRO AD OTTAWA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 6844/32. Ottawa, 25 maggio 1948, ore 15,59 (per. ore 7,30 del 26).

Stessa fonte di cui al mio telegramma 31 1 mi ha confidenzialmente mostrato rapporto segreto in base al quale Consiglio amministrazione B.I.T. deciderà 8 giugno

S. Francisco California circa ammissione Italia. Rapporto sottopone due differenti criteri statistici: uno, tendenziosamente in favore Australia, ci escluderebbe da posto diritto; un secondo, imparziale e raccomandato da stessi redattori rapporto, vi includerebbe Italia escludendone Australia. Mio interlocutore che raccomanda vivamente segreto più assoluto intorno suo nome per non compromettere sua autorità nostro favore suggerisce pertanto inviare San Francisco California 7 giugno capo nostra delegazione o altro buon negoziatore affinché sia ascoltato e faccia pressioni su Phelan che è persona tentennante. È preferibile che comunicazione circa nostra richiesta essere ascoltati predetta riunione e nominativo delegato sia fatta mio tramite per non pregiudicare con interferenza o indiscrezioni risultato trattative sino ad ora condotte qui 2 . Mentre adoperomi presso delegato Canada lascio considerare utilità nuove pre

mure su delegati Stati Uniti d'America, Belgio, Brasile, Cile, Egitto, Francia, Gran Bretagna, India, Messico, Olanda, Polonia, Svezia.

53

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 6850/509. Parigi, 25 maggio 1948, ore 23 (per. ore 7,45 del 26).

Suo 5883 del 20 corrente'.

Informazioni che mi sono state date da Quai d'Orsay circa questione Trieste sono seguenti: Governo inglese -Quai d'Orsay sottolinea trattarsi questa volta iniziativa inglese-ha suggerito invio nota a tre all'U.R.S.S. sollecitando definitiva risposta vecchia proposta alleata. Inghilterra ha proposto poi, se U.R.S.S. desse risposta negativa o non ne desse alcuna, compiere ulteriore passo a tre sottoponendo solenne nota comune all'Assemblea dell'O.N.U. (non al Consiglio); nota dopo aver elencato ed esaminato responsabilità Jugoslavia (anche in base ai dati del rapporto amministrativo di cui al mio 4 71 2) concluderebbe additando situazione Trieste come minaccia per la pace ed insistendo su necessità nota soluzione in favore Italia.

Quai d'Orsay mi ha detto aver fatto sapere a Governo inglese di non essere contrario ad associarsi ad iniziativa sia per la prima sia per la seconda parte, ma ha osservato che nota di sollecito a U.R.S.S. non ha in sé significato né ragione di essere se non si è ben decisi in caso di ripulsa a portare la questione ali' Assemblea; ora Quai d'Orsay ha impressione che americani, i quali accettano prima parte del programma, abbiano tendenza a sottrarsi a seconda parte. Se tale atteggiamento negativo americano dovesse confermarsi Quai d'Orsay sarebbe opinione essere inutile invio U.R.S.S. nuova nota sollecito che non farebbe che sommarsi alle molte già presentate e senza fare avanzare la questione.

Quai d'Orsay attribuirebbe atteggiamento americano a generale indirizzo politica Washington in questo momento che desidererebbe evitare iniziative atte a inasprire U.R.S.S. Dato però che State Department per questione Trieste è andato già troppo avanti per potersi ritirare e troppo si è impegnato soprattutto con inglesi, non sembrerebbe impossibile al Quai d'Orsay che State Department finisse per sentirsi obbligato accettare in pieno iniziativa inglese.

Quai d'Orsay, che mi ha vivamente pregato di conservare sue confidenze riservate nei confronti altri alleati, non mi sembrerebbe molto disposto a fare pressioni in tal senso sugli americani3 .

52 1 T. s.n.d. 6738/31 del 22 maggio, con il quale Cossato aveva riferito sul colloquio avuto con l'ambasciatore Alvarado circa l'ammissione dell'Italia al B.I.T. 2 Con T. 6239/32 del 28 maggio Sforza comunicò che il Ministero aveva designato quale suo delegato il ministro Mascia. 53 1 Ritrasmetteva una comunicazione di Ortona per la quale vedi D. 74, nota 5.

54

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 7279/096. Ankara, 25 maggio 1948 (per. il 3 giugno).

Telespresso V. E. 715 del 12 maggio 1•

3 Con T. s.n.d. 6186/328 del 26 maggio Fransoni ritrasmise questo telegramma a Washington con le seguenti istruzioni: «In relazione a quanto precede prego assicurarsi se nulla mutato circa intenzioni Dipartimento Stato precedentemente riferite di portare questione Trieste davanti Assemblea generale O.N.U.». Per la risposta di Di Stefano vedi D. 74.

Ho fatto al segretario generale esteri comunicazioni prescrittemi che saranno portate subito a conoscenza del ministro Sadak, al suo ritorno ad Ankara.

Benché la nostra reticenza a prendere parte a progetti di questo genere susciti sempre qui un generico senso di delusione, risposta V.E. alle aperture a suo tempo fattemi da Sadak2 è stata -mi pare -accolta senza sorpresa. Gli avvenimenti ultimi in Palestina; il nuovo contrasto sorto in proposito fra inglesi ed americani; lo stesso dialogo iniziato fra Mosca e Washington, sono tutti elementi che rafforzano, e giustificano, nostra cautela.

Ho comunque chiaramente detto che V.E. giudica progetti Sadak soltanto prematuri: sicché dovrebbero restare aperte le porte per eventuali sviluppi avvenire, se le circostanze lo consiglieranno.

Anche ho posto bene in chiaro il nostro desiderio e proposito -senza che ciò risulti da atti formali -di continuare fra i Governi italiano, turco e greco quelle consultazioni sulle questioni mediterranee di interesse comune che sono state di fatto già iniziate e che potranno perfettamente, domani, dare l'avvio a successive fasi più concrete, se i tempi saranno propizi.

53 2 Del 15 maggio, non pubblicato.

54 1 Non rinvenuto, ma vedi serie decima, vol. VII, D. 617.

55

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 7280/097. Ankara, 25 maggio 1948 (per. il 3 giugno).

Telespresso V.E. 14579/c. del 12 corrente'.

Ministro Sadak partecipa ad un congresso del suo partito a Sivas. Resterà assente per qualche giorno. Ho in conseguenza parlato sulla situazione in Palestina, in conformità istruzioni di V.E., con segretario generale esteri.

Gli ho tracciato un quadro della situazione così come noi la vediamo, aggiornando i dati di cui al telespresso dell'E.V. in alto citato, alla luce degli avvenimenti ultimi. Gli ho quindi fatto parte del nostro suggerimento che la città di Gerusalemme abbia uno statuto internazionale, in cui l 'Italia sia rappresentata in proporzione ai suoi interessi che sono insieme spirituali, economici e politici.

Segretario generale mi dice essere convinzione del Governo turco che creazione Stato sionista ha condotto, e più condurrà in avvenire, al progressivo espandersi di due pericolosi focolai di contagio comunista nel Medio Oriente: l'uno nello stesso Stato ebraico, che ne sarebbe già profondamente contaminato; l'altro fra tutti gli Stati arabi del Medio Oriente che, per dispetto contro l'America, finiranno -a suo giudizio -inevitabilmente per voltarsi verso la Russia e sollecitarne l'assistenza e l'appoggio.

55 1 Vedi D. 13.

D'altra parte gli inglesi, la cui politica trentennale non poteva che sboccare in uno Stato palestinese ebraico, possono, ora che codesto Stato ha, insieme, l'appoggio americano e sovietico e pone dunque radice, assistere più agevolmente gli arabi e tentare di strappar loro in compenso di codesta assistenza quegli accordi bilaterali con ciascuno di essi o generali con la Lega araba, che riconfermerebbero la Gran Bretagna nella vecchia posizione di preminenza. Lo spauracchio sionista e l'appoggio inglese per ridume i pericoli, sarebbero dunque oggi le maggiori carte in mano britannica per giungere con l'Egitto, l'Iraq ecc. a quelle soluzioni leonine che l'opinione pubblica araba ha sinora energicamente respinto.

Egli non sa se codesta politica possa giungere ai risultati descritti, sia perché gli par che gli inglesi sottovalutino il pericolo sovietico nel Medio Oriente, che potrebbe dar loro delle sorprese, sia perché si sono trovati improvvisamente di fronte agli Stati Uniti, che, a tralasciare le ragioni elettorali che motivano il loro atteggiamento, sembrano invece convinti di poter mantenere a freno lo Stato ebraico e così riuscire a fame più o meno docile strumento della loro politica.

Comunque in codesta situazione di interessi contrastanti e di guerra aperta, il Governo turco è più che mai persuaso della necessità, da parte sua, di procedere con estrema cautela. Sicché stenta a prendere, al di fuori dell'appoggio morale dato sin qui agli arabi, una posizione qualunque che possa in un modo o nell'altro coinvolgerlo in un dissidio sia con gli arabi, sia con la Gran Bretagna o gli Stati Uniti. Riconosce che noi abbiamo interessi molto maggiori, per quello che specificamente concerne la città di Gerusalemme, che non i turchi; ma pensa che il suo Governo non tenga, o meglio, tenga ancora, a comunque pronunziarsi in proposito.

L'ho ad ogni modo pregato che facesse sapere a Sadak quale è il nostro pensiero nei termini in cui glielo avevo esposto, sopra tutto per quanto riguarda l'assetto internazionale di Gerusalemme. Ho aggiunto di non dubitare che il nostro suggerimento, di cui l'ho pregato di prendere buona nota, troverà, a momento opportuno, l'appoggio della Turchia. E di ciò mi ha assicurato.

54 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 639.

56

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD OTTAWA, FECIA DI COSSATO

T. 6159/31. Roma, 26 maggio 1948, ore 21,30.

Questo ambasciatore canadese ha fatto comunicazione di cui a telegramma vs. 301• Gli ho risposto che apprezzavo amichevole iniziativa e che la consideravo pienamente giustificata. Pregasi concordare costà e telegrafare a questo Ministero schema comunicato.

56 1 Vedi D. 41.

57

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. PER CORRIERE 6171. Roma, 26 maggio 1948.

Suo telegramma per corriere n. O125 del 20 corrente 1•

Questo Ministero conviene con la S.V. che, nell'attuale situazione internazionale, la questione di Trieste non lascia intravedere per il momento possibilità di soluzioni definitive ed accettabili. In tali condizioni, il prolungarsi dell'attuale regime provvisorio può essere considerato come il minor male, tanto più che offre una innegabile garanzia dal punto di vista militare.

Tuttavia è nostro dovere fare il possibile per evitare che il prolungarsi di tale regime provvisorio possa in qualche modo portare al consolidamento giuridico di esso, trasformando un po' per volta uno stato di fatto in uno stato di diritto; ciò soprattutto per quanto riguarda la distinzione tra Zona A e Zona B il cui principio noi non possiamo assolutamente accettare. Dobbiamo quindi approfittare di ogni occasione favorevole per far sì che la questione di Trieste non venga dimenticata negli ambienti e dall'opinione pubblica internazionali e perché, ogni volta che se ne presenti la possibilità, venga in sede autorevole riaffermato il principio che l'intero Territorio Libero di Trieste deve ritornare sotto la sovranità italiana, anche se tali affermazioni sono destinate per il momento ad avere un valore solamente platonico.

Ed è per questa ragione che si preferisce che la questione di Trieste, anziché al Consiglio di sicurezza ove il veto russo la bloccherebbe indefinitamente, sia portata all'Assemblea generale dell'O.N.U., ove si prevede possibile una maggioranza di due terzi su una mozione che riaffermi il principio sopraddetto.

58

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 6967/017. Atene, 26 maggio 1948 (per. il 28).

Telespresso segr. poi. 405 del 24 marzo u.s. 1•

Come ripetutamente segnalato, la questione della consegna alla marina ellenica dell'incrociatore «Eugenio di Savoia» continua a tenere desta l'attenzione dell'opinione pubblica e per conseguenza dei circoli politici. Sull'argomento la stampa, senza distinzioni, non manca di tornare periodicamente e ogni volta alle manifesta

5R 1 Non pubblicato.

zioni di disappunto si accompagnano accenni più o meno espliciti e accuse più o meno vivaci al nostro preteso «machiavellismo» di voler con la resistenza passiva guadagnare tempo per approfittare di condizioni internazionali più favorevoli che ci consentano di non effettuare la consegna a cui siamo tenuti e la cui legittimità più volte abbiamo riconosciuto anche in dichiarazioni ufficiali.

Proprio riferendosi ad una recrudescenza di campagna di stampa in tal senso notatasi recentemente, il sottosegretario permanente, Pipinelis, mi ha intrattenuto sulla questione, in occasione della visita da me effettuatagli per la questione di Gerusalemme2 .

Pipinelis mi ha fatto presente il grave imbarazzo nel quale si trova il Governo di fronte al malcontento dell'opinione pubblica che si domanda perché la nave promessa e assegnata non viene ancora consegnata e che cosa fanno le autorità competenti per accelerare la definizione della questione.

Mi sono nuovamente servito degli argomenti di cui al dispaccio dell'E.V. suecitato e non ho mancato di fargli presente come le avarie dell' «Eugenio di Savoia» siano di tale importanza da richiedere un lungo periodo di tempo per le riparazioni da effettuare. Pipinelis, pur dichiarandosi convinto di ciò, ha replicato che qui si lamentava appunto il fatto che, dato il tempo necessario per le riparazioni, non vi si fosse ancora posto mano e mi ha detto di far conoscere all'E.V. la situazione delicata nella quale trovasi il Governo ellenico, che si sentirebbe già sollevato qualora potesse far conoscere al paese che da parte italiana si è dato almeno inizio ai lavori.

La questione è qui profondamente sentita e vivamente seguita. E non vi è dubbio che pregiudizievole ai nostri interessi, al nostro prestigio e a quella politica di collaborazione che intendiamo iniziare e possibilmente sviluppare con questo paese, riesce il senso di sfiducia che qui, sia pure ingiustamente, si fa sempre più strada circa la nostra sincerità di rispettare gli obblighi che abbiamo riconosciuto verso la Grecia. Tanto più che l'ostacolo, nascosto ma sostanziale, che troviamo sempre di fronte ad ogni nostra iniziativa è costituito dalla convinzione che come in passato l'Italia, anche prima del fascismo, ha sempre fatto una politica anti ellenica, ciò che si riprodurrà anche in avvenire non appena cioè il nostro paese avrà preso nuovo respiro.

Sfiducia e diffidenza che noi dobbiamo con calma ma con costanza eliminare se vogliamo far qui opera veramente costruttiva. Ma per ottenere questo il mezzo più efficace è quello di non dico solo dimostrare in ogni occasione lealtà e sincerità, ma dar prova della massima buona volontà nel superare ostacoli che rallentino o impediscano quanto noi dovremmo fare verso la Grecia e che possano facilmente apparire ad una opinione pubblica sospettosa e diffidente come una facile causa per esimerci dalle nostre obbligazioni.

Per quanto riguarda in particolare l' «Eugenio di Savoia», voglia l'E.V. esaminare la possibilità di prospettare alle autorità interessate l'opportunità di dare inizio ai lavori di riparazione, così da essere in grado di dimostrare ai greci appunto la nostra buona volontà e la buona fede delle quali, a torto, invece sospettano.

57 1 Vedi D. 36.

58 2 Vedi D. 51.

59

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA SEGRETO 2743. Londra, 26 maggio 1948 (per. il 31).

Il memorandum destinato ali' ambasciatore a Washington1 , di cui è stata qui inviata una copia acclusa alla lettera della Segr. poi. n. 0557 del 12 maggio, costituisce assieme al telegramma n. 213 del 7 maggio2 e alle brevi dichiarazioni del presidente del Consiglio durante una conferenza stampa (vedi notiziario politico Uff. stampa Ministero esteri 24 aprile-4 maggio p. 3) l'unico indizio che questa ambasciata possiede della linea di condotta che il Ministero degli esteri sembra voler seguire circa l'atteggiamento dell'Italia verso l 'Unione Occidentale.

Sebbene il Patto dell'Unione sia stato firmato a Bruxelles gli organi permanenti risiedono a Londra che può considerarsi in certo modo il centro dell'Unione stessa. E la questione della nostra adesione è abbastanza importante per far giudicare necessario precisare ulteriormente il punto di vista dell'ambasciata.

Il memorandum inviato all'ambasciatore a Washington chiede l'appoggio del Governo degli Stati Uniti per:

l) consentire, e persuadere gli inglesi a consentire, al mantenimento in efficienza delle unità navali che avremmo dovuto consegnare agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna e che ci sono state lasciate per essere demolite secondo le clausole del trattato di pace;

2) persuadere gli inglesi a restituirei le ex colonie; 3) ammetterci, e persuader inglesi, francesi e Benelux ad ammetterci, alle conversazioni e trattative relative alla Germania, in una posizione analoga a quella del Benelux. Ottenendo tutto questo il Governo italiano riterrebbe possibile persuader l'opinione pubblica ad accettare l'adesione all'Unione Occidentale. In altre parole noi

subordiniamo la nostra adesione alla revisione delle clausole più importanti del trattato di pace. Questo è stato confermato dal presidente del Consiglio durante una conferenza stampa.

Impostare pubblicamente il problema così vuoi dire essere sicuri che:

a) gli Stati Uniti sono pronti a fare tutte le pressioni necessarie sugli Stati firmatari del Patto di Bruxelles per fare accettare le nostre condizioni per quanto possano essere sgradite;

oppure che: b) tutti gli Stati firmatari del Patto di Bruxelles tengano particolarmente alla nostra sollecita adesione mentre:

59 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 644, Allegato I. 2 Jhid., D. 654.

c) noi non ci troviamo, né ci troveremo in un prossimo avvenire, nella necessità di sollecitare la nostra ammissione anche senza contropartita.

Soltanto l'ambasciata a Washington può giudicare se il primo punto sia esatto e non un'illusione sul genere di quella di cui siamo stati vittime nel settembre 1945. E soltanto il Ministero può assicurare che non si verificherà la terza ipotesi.

Ma quanto al secondo punto possiamo affermare che non risulta che da parte britannica si sia particolarmente ansiosi della nostra adesione e tanto meno che si sia disposti a pagarla. Questo vale, credo, anche per il Benelux. Per quanto riguarda la Francia, sta all'ambasciata di Parigi pronunciarsi: dalle notizie avute qui non sembrerebbe che neanche da parte francese si sia pronti a sacrificare qualche cosa cominciando dal naviglio di guerra che dobbiamo consegnare -per il piacere di averci nell'Unione Occidentale.

Sembra insomma che noi siamo sicuri dell'appoggio americano completo, incondizionato e deciso a darci soddisfazione a tutti i costi, e su questa base riteniamo di non avere né oggi né in un avvenire ragionevolmente prossimo bisogno dell'Unione Occidentale, mentre questa ha o almeno avrà presto bisogno di noi. Gli avvenimenti dei prossimi mesi diranno se questo concetto è giusto.

Vediamo adesso le tre questioni accennate nel memorandum all'ambasciatore a Washington e cioè: l) la questione della flotta e disarmo in genere; 2) rapporti italoinglesi e questione colonie; 3) partecipazione alle discussioni e trattative per la Germania.

Si può osservare intanto che porre come «pregiudiziali» all'adesione al Patto di Bruxelles la prima e la terza questione -specialmente la prima -appare poco opportuno in quanto tende a mettere pubblicamente sul tappeto dei problemi, soprattutto quello del riarmo, che possono essere risolti molto più facilmente senza parlarne in piazza. Alla revisione ufficiale di certe clausole, per esempio quelle militari, del trattato di pace si oppone non soltanto la prevedibile ostilità dell'U.R.S.S. e dei suoi satelliti con possibilità di spiacevoli reazioni, ma anche lo stato dell'opinione pubblica in vari paesi, per esempio in Gran Bretagna dove anche il Governo meglio disposto non può permettersi apertamente certe iniziative senza incontrare serie difficoltà. Se, come sembra, intendiamo subordinare la nostra politica estera allo stato attuale dell'opinione pubblica in Italia, non possiamo criticare un Governo straniero se intende tenere conto dell'opinione pubblica prevalente nel proprio paese.

Se invece si legge attentamente il testo del Patto di Bruxelles si rileva che il nostro ingresso nell'Unione potrebbe essere preceduto da discussioni confidenziali sulle condizioni di accessione (art. IX). Queste discussioni potrebbero avere per oggetto la Germania e il riarmo, e non dovrebbe essere difficile portarle a conclusioni soddisfacenti. Per quanto riguarda la nostra partecipazione alle conferenze sul problema tedesco (che è in un certo senso la questione più importante e più interessante di tutte sebbene relegata all'ultimo posto nel memorandum: basta pensare all'interesse di una nostra eventuale partecipazione al controllo della produzione della Ruhr) si osserva che il preambolo del Patto stabilisce (alinea 6) che uno degli scopi dell'Unione è «prendere le misure necessarie in caso di ripresa di una politica di aggressione da parte della Germania». Ammessi nell'Unione avremmo, in base a questa affermazione del preambolo del Patto e alla nostra partecipazione al Consiglio consultivo (art. VII), dei solidi argomenti per esigere la partecipazione alle conversazioni e trattative sulla Germania in posizione analoga a quella del Benelux (ossia di potenza che non ha o ha in minima parte di sopportare il peso dell'occupazione militare in Germania).

Per quanto riguarda il riarmo non c'è che da riprendere l'argomento citato a pag. 2 del memorandum: «Sarebbe davvero un controsenso che i paesi i quali chiedono all'Italia l'adesione al Patto di Bruxelles e conseguentemente la sua eventuale collaborazione militare insistessero nel disarmarla». Esattamente: soltanto nessuno (almeno non la Gran Bretagna) «chiede» la nostra adesione e quindi nessuno è disposto a pagare per questa adesione il prezzo abbastanza caro delle reazioni sia internazionali, sia interne che potrebbero essere provocate dal nostro riarmo coram populo. E questo vale tanto per l'esercito e l'aviazione quanto per la flotta e le fortificazioni. Sarebbe veramente strano se non riuscissimo a riarmare gradualmente dopo aver aderito ad una Unione che ha fra gli altri scopi la reciproca assistenza militare (art. IV). La questione dovrebbe del resto, come detto prima, essere oggetto di conversazioni confidenziali preliminari alla nostra adesione: ma tanto le trattative quanto il riarmo effettivo dovrebbero avere la caratteristica della massima discrezione. Se invece il popolo italiano ha desiderio e bisogno non tanto delle forze armate effettivamente necessarie per difendersi quanto del gesto teatrale della lacerazione di alcune pagine del trattato di pace e se il Governo intende conformarsi passivamente a questo atteggiamento non c'è da essere molto ottimisti per l'avvenire.

La seconda questione (colonie) è discussa nel memorandum accluso3 . Qui si osserva soltanto che non sembra opportuno legare la restituzione delle ex colonie alla nostra adesione all'Unione Occidentale. Le clausole economiche e sociali del Patto di Bruxelles (in particolare art. II) ci autorizzano ad esigere ~sempre in conversazioni confidenziali preliminari ~la nostra partecipazione al Comitato per lo sfruttamento delle risorse africane, alla quale del resto non sembra vi sarebbe opposizione da parte britannica, almeno finché Bevin rimane al suo posto. Ma subordinare pubblicamente il nostro ingresso nell'Unione a quella che noi sembriamo ritenere finora l'unica soluzione soddisfacente del problema delle ex colonie ~ soluzione che appare lunga ed estremamente difficile da raggiungere a parte ogni altra considerazione ~significa paralizzare per molto tempo tutta la nostra politica estera per una questione secondaria. Si ripete «secondaria» in quanto una questione d'importanza soltanto «morale e politica» non ha, nella realtà del mondo di oggi e della situazione europea in particolare, sufficienti giustificazioni per polarizzare su se stessa un'attività complessa come deve essere la nostra politica estera, la quale ha da tener conto di numerosi altri elementi molto più importanti per il nostro avvenire e la nostra stessa esistenza.

Gli avvenimenti in Palestina e lo scambio di note tra Bedell Smith e Molotov hanno certamente determinato un momento di incertezza e di arresto, specialmente sensibile nelle conversazioni sulla Germania, nell'evoluzione dell'Unione Occidentale. Tuttavia tenendo conto della situazione come si presenta in questo momento ~

e con le riserve per quello che può accadere in un avvenire anche prossimo -il parere dell'ambasciata si riassume come segue: l) evitare di porre «pregiudiziali» precise di qualsiasi genere alla nostra adesione ali 'Unione Occidentale;

2) iniziare al momento opportuno conversazioni assolutamente confidenziali, secondo l'art. IX del Patto di Bruxelles, sulle condizioni della nostra adesione, per quanto riguarda il riarmo e la partecipazione alle conversazioni per la Germania e al Comitato per lo sfruttamento delle risorse africane. Queste conversazioni dovrebbero essere condotte sulla stessa linea a Londra, a Parigi, nelle capitali del Benelux e a Washington;

3) considerare la questione delle ex colonie come una questione indipendente dalla nostra adesione all'Unione Occidentale da essere risolta separatamente. Data l'importanza delle questioni di cui si tratta il presente memorandum rimane agli atti dell'ambasciata.

59 3 Vedi D. 60.

60

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA SEGRETO 2744. Londra, 26 maggio 1948.

Di fronte alla situazione e all'atteggiamento che l'Inghilterra ha preso nei rapporti con l 'Italia circa la restituzione delle colonie, due direttive politiche si delineano come possibili in teoria:

l) quella di porre la restituzione delle colonie ali 'Italia (sia pure sotto forma di trusteeship) come condizione inderogabile alla nostra partecipazione all'Unione Occidentale. Tale condizione, come ho potuto comprendere dai miei colloqui con Bevin (miei telegrammi 251 e 254)1 e con altre personalità del Foreign Office, rischia di non essere nemmeno discussa non essendoci per il momento nessuna urgenza di fare pressioni sull'Italia perché entri a far parte dell'Unione né desiderandosi alcuna contrattazione in cui l'Inghilterra sia condotta a dover fare promesse concrete che non si sente di mantenere. Per quanto mi è dato comprendere da altri colloqui avuti qui con i francesi e gli americani, anche la Francia e gli Stati Uniti sarebbero concordi nel dire che l'Italia dovrà partecipare all'Unione Occidentale ma ha tutto da guadagnare nel non precipitarvisi e nel non mettere d'altra parte condizioni alla sua entrata; ciò che in fondo significa che il problema «entrata dell'Italia nell'Unione Occidentale -revisione del trattato di pace e restituzione integrale delle colonie» sembrerebbe insolubile in questa forma.

2) L'altra linea di condotta politica è di tendere invece, senza precipitazione ma senza pregiudiziali assolute, all'ingresso nell'Unione per ottenere la soluzione de facto di alcuno dei nostri problemi. È difficile dire oggi se e fino a che punto il problema delle ex colonie potrà essere risolto entro l'Unione. Ma è da escludere che possa essere risolto nel modo che noi vorremmo come «pregiudiziale» alla nostra adesione. Per non paralizzare quindi tutta la nostra politica estera occorre considerare la questione della restituzione delle ex colonie come una questione separata e indipendente da quella della nostra adesione all'Unione Occidentale. Premesso questo, vediamo come il problema si presenta oggi. Si potrebbe credere che esso sia attualmente impostato da Roma partendo dai concetti seguenti:

a) solo la Gran Bretagna si oppone al ritorno dell'Italia nelle sue ex colonie; b) gli Stati Uniti ci sono favorevoli ma occorre ottenere che facciano pressioni sul Governo inglese;

c) l'Italia ha mezzi finanziari, autorità e forze sufficienti per assumere l'amministrazione di tutte le sue ex colonie e per governarle pacificamente e proficuamente: quindi potrebbe senz'altro tornarvi qualora la Gran Bretagna si lasciasse a ciò persuadere dagli Stati Uniti.

Dalle conversazioni che si sono svolte a Londra, dalle dichiarazioni di Bevin e di altre personalità politiche e del Foreign Office, il punto di vista britannico in merito al problema è espresso sulle seguenti linee:

a) pur essendo quello delle colonie, sotto alcuni aspetti, un problema essenzialmente anglo-italiano (dal momento che esse sono attualmente amministrate dagli inglesi e sono in zone di prevalente interesse britannico), la sua soluzione non dipende esclusivamente dall'andamento generale dei rapporti tra l'Italia e la Gran Bretagna: qui si vuole anzi sostenere che, se la questione dovesse essere esaminata solo sotto questo ultimo aspetto, non sarebbe esatto dire che il Governo britannico si oppone per motivi di politica generale al nostro ritorno nelle ex colonie. Al contrario, avverandosi certe condizioni di ordine generale che rassicurino la Gran Bretagna della nostra buona fede politica, la nostra presenza in Africa, sotto forma di un ritorno in alcune delle ex colonie (Eritrea, Somalia) e di partecipazione in qualche forma sia pure attenuata alla amministrazione di altre (Tripolitania), non sarebbe considerata incompatibile con gli interessi britannici;

b) non è chiaro qui sino a che punto gli Stati Uniti approvino e siano disposti ad appoggiare le nostre rivendicazioni coloniali. Gli inglesi non escludono che in determinati momenti (periodi elettorali, ecc.) la nostra causa possa ricevere incoraggiamento in America, ma non hanno alcuna indicazione di quello che potrebbe essere l'aiuto positivo degli Stati Uniti per rendere materialmente possibile il ritorno dell'amministrazione italiana in Africa. Sino ad ora gli unici elementi positivi di giudizio sull'atteggiamento americano sembrano essere la proposta di Byrnes del 1946 per un trusteeship collettivo su tutte le ex colonie e la preoccupazione del Deputy Foreign Minister americano nel novembre 194 7 di accertare i gravami economici che una rinnovata responsabilità in Africa porterebbe al Governo italiano (domande di Douglas e Cerulli)2 . Più che di farsi persuadere dagli Stati

Uniti, la Gran Bretagna avrebbe bisogno di conoscere le intenzioni americane e di essere rassicurata della loro serietà e costanza, in merito alle quali, specie dopo le giravolte dell'atteggiamento degli Stati Uniti nel problema palestinese, ha forti motivi di dubbio;

c) pur insistendo nell'assicurare che sul piano teorico l'atteggiamento britannico è rimasto quello che mi era stato delineato prima delle nostre elezioni e che ho riferito nel mio rapporto 1467/495 del 23 marzo u.s. 3 (ossia che il nostro ritorno o la nostra partecipazione nelle ex colonie o in alcune di esse, esclusa la Cirenaica, non sarebbe di per sé incompatibile con gli interessi britannici), questo Governo si mostra ora molto più apertamente scettico in merito alle effettive possibilità di tale nostro ritorno e seriamente preoccupato delle eventuali reazioni locali a un'azione precipitata in tal senso. Esso ritiene che da parte nostra non si attribuisca sufficiente peso a tale lato della questione e che si tenda a prospettarla in termini troppo semplicistici, attribuendone la soluzione esclusivamente al buon volere delle quattro maggiori potenze, e in particolare della Gran Bretagna, senza tenere conto delle situazioni locali. Si afferma qui di essere fermamente convinti che tali situazioni non sono così pacifiche e semplici da poter essere dominate con le sole forze delle quali dispone attualmente l'Italia. La Gran Bretagna, d'altra parte, mentre afferma che non intende prendere iniziative che possano rendere più difficile il ritorno dell'Italia, vuole mettere bene in chiaro che non è disposta a prestare le proprie forze per imporlo. Sotto questo aspetto gli inglesi sembrano voler presentare il seguente quadro:

Somalia: non si può dimenticare l'atmosfera in cui si sono svolti i fatti di Mogadiscio4 . La situazione, di chiunque ne sia la colpa, non è evidentemente del tutto favorevole. Potrà l'Italia tornare senza disordini e guadagnare alla sua causa i movimenti nazionalisti locali (giovani somali ecc.)?

Eritrea: lo stesso Governo italiano ha segnalato a più riprese la instabilità dell'ordine pubblico e i minacciosi piani di Ras Seium. Il Foreign Office non sembra ritenere che l 'Etiopia lascerebbe passare, senza provocare disturbi, una eventuale assegnazione pura e semplice dell'Eritrea all'Italia. È l'Italia in grado di premunirsi da sola contro tale minaccia?

Tripolitania: gli avvenimenti in Palestina non hanno verosimilmente migliorato, nell'opinione inglese, le nostre chances nei confronti delle aspirazioni arabe all'indipendenza. Un successo degli arabi in Palestina non li renderebbe certamente più trattabili in Libia; un insuccesso li farebbe avvicinare all'Italia o li irrigidirebbe maggiormente?

È difficile giudicare fino a che punto tali apprensioni inglesi siano in buona fede e quanto invece vi sia in esse di pretesto, quello che sembra però ormai certo è che il Governo britannico non ha interesse a precipitare una soluzione e che finirà per accettare come il minore dei mali un ritardo che porti al deferimento della questione alle Nazioni Unite. Quello che potrà succedere in tal sede è difficile che gli inglesi possano pronosticare, ma non è da escludere che, se è vero che il Governo britannico non ha effettivo interesse a rimanere in Somalia e in Eritrea e dato che

77 non risulta abbia alcuna illusione sulle possibilità di reggere tali territori con un trusteeship collettivo, avvenga il bis della Palestina e la Gran Bretagna annunci ad un certo momento che ritirerà le sue forze ad una data determinata con delle conseguenze che non sarebbero probabilmente a noi favorevoli. Bisogna anzi tener presente che, qualora si giungesse a ciò, non si potrebbe contare su molta cooperazione delle autorità britanniche a un nostro intervento per prenderne la successione: a titolo di conversazione mi è stato accennato al Foreign Office che, nel caso ad esempio dell'Eritrea, potrebbe esserci consegnato il porto di Massaua lasciando a noi soli la scelta dei mezzi per estendere il nostro controllo sul resto del territorio.

Dati gli interessi strategici comuni, è possibile che per quanto riguarda la Tripolitania il Governo britannico prima di decidere qualunque presa di posizione attenda di conoscere quale sia in realtà il pensiero americano, ma anche in questo caso appare sempre più tenue la speranza di poter evitare il rinvio alle Nazioni Unite.

Perciò, se vogliamo premunirei contro sorprese dolorose, sembrerebbe essenziale, specie per la Tripolitania ma naturalmente anche per quanto riguarda Eritrea e Somalia, che la nostra richiesta agli Stati Uniti non si limiti a chiedere il loro appoggio per convincere la Gran Bretagna a «ridarei le colonie» ma solleciti l'impegno preciso, anzi la garanzia, ad aiutarci non solo nell'ottenere il riconoscimento di un diritto ma soprattutto nella pratica attuazione delle nostre aspirazioni (ossia nelle eventuali operazioni militari; assistenza militare, finanziaria e diplomatica). Senza precise garanzie del genere da parte degli Stati Uniti il nostro ritorno nelle ex colonie

o in qualcuna di esse potrebbe convertirsi in una pericolosa avventura.

Nel frattempo si ritiene doveroso avvertire che il dare un significato prevalentemente antibritannico alla nostra campagna di rivendicazioni coloniali potrebbe ritorcersi anche a nostro danno col divenire un ostacolo cronico nelle relazioni tra i due paesi. Non si fa qui più mistero che, a elezioni avvenute, sono venuti meno i motivi di opportunità che consigliavano di chiudere gli occhi di fronte agli attacchi della stampa e della opinione pubblica italiana; ed è stato detto chiaramente che il loro riaccendersi potrebbe avere conseguenze molto serie per i rapporti itala-britannici.

60 1 Vedi D. 3.

60 2 Vedi serie decima. vol. VI, D. 745.

60 3 Non pubblicato. 4 Si vedano i ventisette documenti indicati nella Tavola metodica del vol. VII, serie decima.

61

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1445/467. Atene, 26 maggio 1948 (per. il 28).

Non appena ricevuti i numerosi dispacci dell'ultimo corriere sulla questione palestinese ed in particolare il riassunto ministeriale di cui al telespresso n. 14579 del 12 corrente!, subito mi recai da Tsaldaris per compiere i sondaggi che mi venivano indicati.

61 Vedi D. 13.

Prospettai a Tsaldaris le considerazioni di cui al succitato telespresso Del 12 maggio, non rinvenuto. e lo pregai dirmi se condivideva l'apprezzamento della situazione che gli avevo esposta.

Tsaldaris, che mi aveva ascoltato col più grande interesse, si mostrò del tutto persuaso e solo mi disse che egli non credeva alla possibilità per gli arabi di opporsi militarmente al consolidarsi dello Stato ebraico. Le sue informazioni erano che tutto l'apparato arabo si riassumeva in circa l O mila transgiordani bene armati ed equipaggiati, istruiti ed inquadrati dagli inglesi, pochi battaglioni egiziani di scarsa efficienza militare ed il resto tribù militarmente disorganiche. Di contro circa 80 mila ebrei con armamento leggero ma spiccata volontà di combattere.

Constatato che egli condivideva l'apprezzamento della situazione generale che gli avevo esposta, aggiunsi come dall'esame delle notizie che pervenivano da varie fonti d'informazioni, V.E., nella giusta preoccupazione della sorte che dovrebbe essere riservata a Gerusalemme, aveva maturato il suggerimento che a detta città fosse applicato uno statuto internazionale (come già previsto dal progetto redatto dalla commissione dell'O.N.U.) sul tipo di quello di Tangeri, nel quale tutti gli Stati fossero rappresentati e tra questi naturalmente l 'Italia che è legata alla Palestina ed alla Città Santa, oltreché da interessi molteplici di natura politica ed economica, da antichi e ben noti vincoli spirituali.

Tsaldaris eludendo la questione di Gerusalemme e tornando al quadro di ordine più generale, mi ripeté con maggiore ampiezza quanto già da me riferito il 30 aprile u.s. col mio telegramma n. 88 2 , precisandomi che la Grecia intendeva rimanere strettamente neutrale e con ciò voleva non pregiudicare in alcun modo la decisa posizione che Turchia e Grecia avevano raggiunta nel mondo arabo col voto già dato contro la spartizione della Palestina. l vantaggi di questa posizione -mi disse Tsaldaris -sarebbero stati, attraverso la Grecia, non poco utili anche per l 'Italia.

Portato il discorso sul divario -sia pur formale -fra America ed Inghilterra, egli mi disse che la nostra azione doveva necessariamente inquadrarsi sempre nella politica inglese. Politica realistica appoggiata su grossi interessi economici ma soprattutto strategici. Egli vedeva, per una politica di questo genere, l'azione greca svolgersi in un quadro di attesa degli eventi coperto da una rigorosa neutralità, manifestantesi in una astensione da ogni azione positiva specie di riconoscimento dello Stato d'Israele. Questa politica la Grecia avrebbe attuata coprendosi formalmente con l'O.N.U., ormai investito in pieno della questione e quindi arbitro di ogni decisione impegnativa per gli Stati membri.

Tsaldaris si mostrò felicissimo della collaborazione che gli proponevo proprio nel giorno della presentazione del Patto d'amicizia ancora embrionale e si mostrò più convinto di me del giovamento d'un sistema di collaborazione a fatti e non a parole su accordi pratici e non su trattati inutilmente conclamati ed in realtà lettere morte. Ma intanto nulla mi rispondeva per Gerusalemme.

Prego VE. di considerare che Tsaldaris mai poteva essere più favorevolmente disposto a considerare i nostri punti di vista in quanto, proprio in quel giorno, riceveva dai turchi una delle solite messe a punto in un telegramma della «France Presse» che smentiva persino in ipotesi il suo famoso viaggio ad Ankara (mio rapporto n. 1366/438 del 16 maggio 1948)3 .

L'evidente intenzione quindi di eludere la questione di Gerusalemme doveva essere dettata da qualche cosa che realmente lo legava. Fu perciò che pensai d'insistere facendogli osservare che la collaborazione per un «non riconoscimento» dello Stato d'Israele era una collaborazione a carattere esclusivamente negativo, mentre una collaborazione diretta e positiva, per gli interessi mediterranei coincidenti dei nostri due paesi, era da VE. così felicemente offerta nella risoluzione del problema di Gerusalemme dove grandi erano i possibili sviluppi d'una comune iniziativa a protezione dei Luoghi Santi in una atmosfera di simpatia araba guadagnata col non riconoscimento d'Israele. Era anzi commovente la perfetta coincidenza italo-greca alla vigilia del Patto di amicizia dinanzi ad un così improvviso ed importante problema contingente mediterraneo.

L'importanza di Gerusalemme era poi dimostrata dagli stessi sforzi degli arabi che, per prenderla, trascuravano persino Tel-Aviv, la capitale ebrea, decisiva per tagliare gli ebrei dal mare. Per questo problema di Gerusalemme ricordai a Tsaldaris la speciale personale competenza di VE. che proprio all'inizio della carriera aveva così brillantemente esordito partecipando giovanissimo alla Conferenza di Algesiras riunitasi per affermare, fra grandi difficoltà internazionali, quello che oggi è l'enclave di Tangeri; parallelo che mi sembrava indiscutibile. Ma per Gerusalemme Tsaldaris non volle in alcun modo manifestare il suo pensiero e di fronte alla mia esplicita domanda mi pregò di dargli tempo per riflettere.

Con la scusa del Patto aereo pensai allora di avvicinare Pipinelis. La competenza dell'uomo e l'abituale sua precisione mi avrebbero certo dato modo di raccapezzare il pensiero greco. Pipinelis profittando che venerdì ad Atene era grandissima festa religioso-nazionale (S. Costantino) mi fissò l'appuntamento per sabato e poi sabato improvvisamente mi rimandò a lunedì. Entrato con lui sul discorso della Palestina subito mi precisò che per Gerusalemme il governo greco vedeva favorevolmente la proposta di VE. ma desiderava maggiori precisioni sul progetto, specie riguardo al regime pei Luoghi Santi. Già all'O.N.U. la Grecia s'era opposta a che il futuro capo d eli' Amministrazione internazionale fosse lasciato arbitro in materia religiosa ed aveva chiesto che venisse accanto a lui istituito un collegio di giuristi da cui dovessero dipendere tutte le decisioni in materia di conflitti nascenti dall'applicazione delle vecchie leggi religiose ed in ispecie degli usi e costumi. Egli mi disse occorrergli qualche elemento concreto su quanto VE. pensava di proporre e sostenere per l'internazionalizzazione di Gerusalemme alla quale attualmente né inglesi né americani avevano più fatto mente locale per le molte altre loro gravi preoccupazioni. Risposi che la pregiudiziale religiosa mi sembrava giusta, ma certa

80 mente già vista a Roma, da dove l'analogia con Tangeri veniva solo indicata come parallelo dimostrativo d'identità. Avrei comunque subito chiesti gli elementi e glieli avrei fomiti.

La conversazione si allargò al più ampio quadro internazionale. Osservai che l'improvviso riconoscimento dello Stato d'Israele da parte dell'America aveva provocato in Inghilterra un sentimento di sorpresa che, almeno per il grande pubblico inglese, appariva assolutamente sincero. Il divario quindi fra America ed Inghilterra -sia pure soltanto formale -si veniva apertamente determinando. Ma il fatto stesso che in un momento tanto difficile si manifesti così aperto un simile divario, osservai essere segno che questo fosse solo di forma perché, se vero, tutto sarebbe stato studiato per nasconderlo.

L'oscillazione della politica americana è prova chiara che l'America si muove legata a situazioni interne e che persegue momentanei scopi elettorali e non d'indirizzo perché un indirizzo, per essere tale, non può essere tutto il tempo mutevole. Se il divario fosse vero l'intervenuto riconoscimento sud-africano dello Stato d'Israele sarebbe una crepa nel Commonwealth il che è assurdo di pensare.

Pipinelis non solo condivideva questo punto di vista ma addirittura mi disse che non avrebbe nemmeno saputo porsi la questione d'un conflitto sostanziale fra America ed Inghilterra. Perciò la linea di condotta doveva essere di procedere in assoluto accordo con entrambi inglesi ed americani e, soltanto dove fosse possibile non urtare né gli uni né gli altri, seguire la politica già così chiaramente tracciata dai Governi greco e turco votando contro la spartizione della Palestina, il vero errore che, secondo lui, era stato fatto.

Osservai che arabi ed ebrei vivono da secoli gli uni degli altri. Dice un proverbio africano: «Ogni paese ha l'ebreo che si merita» e mai proverbio fu più vero per gli arabi. Megalomani e imprevidenti, ciascun arabo vive sul proprio ebreo che si mimetizza, lo accompagna e lo sfrutta. Questa secolare complementarietà se colta in uno Stato unitario, tipo Austria-Ungheria del passato, in un «dualismo» annaffiato dal petrolio, poteva avere avuto sviluppi inattesi. Mentre così è un salto nel buio.

Lo Stato ebreo senza hinterland, contornato da nemici, popolato da profughi e bisognosi sarà sempre in balia dell'esterno. Gli ebrei ricchi, i capaci non abbandoneranno mai i loro paesi di origine. I vari Lord Reading, Rothermere, i Rothschild non lasceranno Parigi, Londra e Washington per andare in Palestina dove manderanno invece rifugiati polacchi e russi. D'altra parte gli arabi scontenti e combattuti finiranno forse nel giuoco russo.

L'arabo ha per costume la mobilità anche morale. Nella prima guerra abbandonò i turchi per gli inglesi; nella seconda gli inglesi per i nazi-fascisti; oggi è la Russia che tenterà ogni sforzo per avere tutte le porte aperte sull'Asia Minore e sull'Africa. Il contrasto d'ideologia e di religione in popolazioni poverissime è facilmente superato dal danaro.

Prospettai quindi anche l'ipotesi che ciascun Stato arabo si prenda la sua fetta della zona araba palestinese. TI diretto contatto dello Stato ebreo con i singoli Stati arabi diverrà un problema nel problema. Potrà allora lo Stato d'Israele dirsi vitale?

Pipinelis a tutte queste mie considerazioni unicamente rispose che ~secondo lui ~era certo lo Stato d'Israele potesse comunque essere vitale sol che qualche grande potenza si fosse preposta di farlo vivere. Mi citò come esempio l'Albania di re Zogu con Mussolini e mi disse che dietro lo Stato d'Israele lui vedeva la Russia e credeva che per questa paura l'America si fosse precipitata al riconoscimento.

Ribattei come di fronte a simili problemi, inglesi ed americani non potevano non essere d'accordo. Si sono divisi i compiti. Gli inglesi hanno una posizione con gli arabi e sfruttano quella; gli americani ne prendono una con gli ebrei, così che ai russi tutte le strade siano precluse.

Pipinelis annuì accennandomi al progetto inglese di allargare la Transgiordania per far di essa un surrogato del perduto Egitto. Concluse con queste precise parole che marcò: «per ora» nessun riconoscimento dello Stato d'Israele e assoluto divieto al transito di materiali o di persone destinati ai combattenti.

Mi disse che due aeroplani, un aeroplano svedese ed uno sud-africano erano passati con a bordo dei combattenti ebrei. Presi alla sprovvista li avevano lasciati transitare imponendo loro di non uscire dalla carlinga. D'ora innanzi severe misure erano state decise diffidando le società aviatorie pena la revoca di ogni forma di autorizzazione di volo.

Insisté perché gli portassi i maggiori dettagli desiderati sul progetto d'intemazionalizzazione di Gerusalemme ed avendogli obiettato che in fine dei conti si trattava di applicare grosso modo l'accennato statuto tangerino, mi rispose di non possedeme né memoria né documentazione.

Ho ritenuto doveroso riferire all'E.V., quanto più fedelmente e perciò quanto più dettagliatamente possibile, i due recenti colloqui avuti sulla questione palestinese, rispettivamente con i due esponenti della politica estera ellenica, perché mi sembra che essi possano bene riflettere il disorientamento e l'atteggiamento di remissività di fronte agli anglo-sassoni che animano le sfere dirigenti di questo paese sull'importante problema in questione.

Mi consenta ora I'E.V. di trarre da tutto ciò alcune considerazioni che, secondo me, converrà tenere presenti negli ulteriori sviluppi della situazione e soprattutto nel determinare il nostro atteggiamento (d'accordo, o almeno tenuto presente quello greco) sul problema palestinese e su quello del Mediterraneo orientale in genere.

Profondi vincoli storico-tradizionali ricollegano la Grecia al mondo arabo: ricordi della comune soggezione al turco, ancora viventi nell'unificazione tutt'ora insoluta (Cipro ed Epiro del Nord); traffici e comunità greco-levantine (tipiche le comunità egiziane) ed infine legami con quel mondo che si radicano nell'ellenismo e nell'ortodossia (mio telegramma n. 91 del l o maggio 1948)3 .

Perciò la Grecia già da tempo ha presa senza riserve ed anzi con vero calore una posizione netta a favore del mondo arabo. Posizione che nei nostri confronti, più che un parallelismo, determina una contrapposizione. Si vuole sinceramente marciare con l'Italia, ma non si vede di buon occhio l'Italia tornare al suo posto fra gli arabi in un settore mediterraneo ~secondo i greci ~preminentemente greco. Il distacco dalla sua sede naturale europea, i Balcani, spinge la Grecia sempre più individualisticamente verso il mondo arabo. Ma nell'origine stessa di questa spinta la Grecia trova il limite alla sua iniziativa.

Infatti la Grecia legata sul mare, cioè nella essenza della sua vita, agli inglesi e soggetta per ragioni di esistenza all'America, si muove in margini così stretti che ogni sua iniziativa è più di forma che di sostanza.

Posizione del resto coincidente con quella della Turchia, qualora si prescinda dai sentimenti che sono alla base della politica filo-araba dei due paesi, in quanto la Turchia, come ha così validamente messo in luce il nostro ambasciatore in Ankara, persegue questa politica non in funzione di sentimenti, bensì in funzione della difesa anglo-sassone ed antirussa.

In modo identico perciò greci e turchi hanno risposto allo stesso sondaggio. Sadak anzi con maggior chiarezza dice a Prunas4 che conviene orientarsi, attendere gli sviluppi della situazione e nel frattempo stare a vedere. Pipinelis si limita a rispondermi «per ora» nessun «riconoscimento» d'Israele, ciò che significa: fino a quanto Washington non riterrà altrimenti!

Diverso può essere, e su questo conviene insistere, l'atteggiamento greco per il particolare problema di Gerusalemme. Non vi è dubbio che un accordo speciale per Gerusalemme sarebbe qui visto con piacere, tanti sono gli interessi soprattutto storico-spirituali che legano l'ellenismo alla città ed il vantaggio politico che costituirebbe per la Grecia l'essere chiamata a partecipare alla progettata amministrazione internazionale. Tanto è vero che già a suo tempo in sede O.N.U. la Grecia aveva fatto presente il suo pensiero al riguardo (mio telegramma n. 127)5 .

Ma è altrettanto evidente che per la Grecia l'occuparsi ora di Gerusalemme significherebbe praticamente uscire dalla linea di minor resistenza da essa prescelta (finché le sarà possibile!). Sollevare la questione della internazionalizzazione di Gerusalemme può voler dire prendere posizione in Palestina, sacrificare cioè una politica sinora completamente filo-araba e sacrificarla proprio nel momento cruciale della decisione palestinese che se anche dovesse finire per essere la spartizione, menerebbe sempre alla incognita dell'atteggiamento dell'America e dell'Inghilterra di fronte ad un problema per ora da esse trascurato.

In conclusione non vedo per il momento il concretarsi di una collaborazione itala-greca. Non sono ancora a conoscenza dei nuovi sondaggi effettuati dall'ambasciatore Prunas, ma ritengo che il problema palestinese sia prematuro tanto per la Grecia quanto per la Turchia incapsulate come sono dalla natura delle circostanze in cui si trovano. L'atteggiamento greco nella nostra questione coloniale giunge tipico esempio di quanto mi sforzo di chiarire: orbita inglese ed in essa, piccoli, meschini, ciechi interessi greci.

All'Italia, invece, la sua vitalità e la sua coscienza di poter tornare ad essere nella nuova vita una grande forza di propulsione mediterranea impongono di chiedere che sia ascoltata almeno la sua voce.

61 4 Vedi D. 55. 5 Vedi D. 51.

Sembra soprattutto opportuno che gli altri paesi comprendano come l'Italia non intenda esaurire la sua azione politica nell'infrangere le posizioni di arresto imposteci dalla guerra perduta, ma che al contrario, riprendendo sempre più una libertà di pensiero e un'autonomia di manovra, di fatto superi tali posizioni così da far ritenere utile e necessaria una sua collaborazione nella risoluzione di tutte le questioni che riguardano in ispecie il Mediterraneo.

Per tale considerazione, pur ritenendo la consultazione con la Grecia nella questione palestinese scarsamente positiva, sono certo che per l'Italia sia bene seguire e sviluppare nel futuro queste forme di consultazione e di collaborazione, noncuranti del modo e dei limiti in cui gli altri possono seguire.

61 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 631.

61 3 Non pubblicato.

62

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 963/433. Belgrado, 26 maggio 1948 (per. il l" giugno).

Alla fine della conversazione che ho avuto il 24 maggio col signor Krulj di questo Ministero esteri a proposito della questione della fornitura d'acqua a Gorizia di cui al mio telegramma n. 1121 , il suddetto funzionario mi ha fatto accenno al nostro ricorso ai quattro ambasciatori per la delimitazione definitiva della frontiera. A mia volta ho accennato alle dichiarazioni del portavoce jugoslavo di cui al mio telegramma n. 110 del 21 corrente2 .

Dal corso della conversazione è risultato che il Governo jugoslavo desidererebbe riprendere le trattative dirette. Tuttavia il signor Krulj, mentre ritiene ancora esaminabile il noto punto di divergenza sui poteri delle sottocommissioni, ha insistito nel ritenere non accettabile, da parte jugoslava, la richiesta della nostra delegazione per la trasposizione in proporzione ingrandita della linea di confine sulla nuova carta

l :25.000. Secondo il Krulj, si tratta di una linea «ideale» di confine, non suscettibile di ingrandimento.

Pur parlando della cosa come di questione oramai superata, gli ho osservato che nella carta allegata al trattato di pace la linea non è ideale, ma è segnata e costituisce un elemento della carta stessa.

Il signor Krulj mi ha espresso l'opinione che, se le trattative continuassero, in due mesi la frontiera sarebbe delimitata: al massimo potrebbero dar luogo a discussione soltanto due o tre punti.

Ho risposto che mi era difficile condividere il suo ottimismo se si tien conto delle lunghe e inconcludenti trattative delle delegazioni all'uopo nominate, tanto più

62 1 Del 24 maggio, non pubblicato. 2 Non pubblicato.

che il Governo jugoslavo resta fermo nel suo punto di vista di non accettare la proposta della delegazione italiana sulla trasposizione delle linea di confine.

Ho colto, invece, l'occasione per spiegare ancora una volta i motivi, per cui nostro malgrado abbiamo dovuto ricorrere ai quattro ambasciatori. Gli ho illustrato i precedenti delle ripetute violazioni di frontiera e la cattiva volontà da parte jugoslava di risolvere le questioni che ne erano sorte. Nell'interesse della tranquillità del comune confine era quindi necessario ricorrere alla via indicata dal trattato per risolvere questo problema.

Per quanto ritengo che oramai la via seguita sia la buona e irrevocabile, ho ritenuto mio dovere riferire le dichiarazioni del signor Krulj.

Del pari, perché il Ministero sia informato, mi permetto rilevare che il signor Simic, nella conversazione che ho riferito con telespresso n. 874/381 del 12 corrente2, ha insistito nella tesi che il lavoro di delimitazione sul terreno debba essere fatto esclusivamente secondo la carta allegata al trattato di pace.

Non so se egli avesse dimenticato che fu la delegazione jugoslava a proporre la trasposizione della carta 1:100.000 sulla carta 1:25.000, proposta a cui la nostra delegazione si era in un primo tempo opposta, o se egli intendesse indicare una possibile soluzione della divergenza, nel senso di non fare affatto alcuna trasposizione sulla carta a scala maggiore.

Queste informazioni possono comunque essere utili anche per l'ulteriore corso della procedura davanti ai quattro ambasciatori.

63

IL CONSOLE MANZINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. s.N.D. 6936/19-20-21. Mogadiscio, 27 maggio 1948, ore 17,25 (per. ore 20,30).

Nostra ambasciata Londra mi ha dato istruzioni astenermi qualsiasi contatto sia diretto che indiretto con elementi somali. Mi sono regolato in conseguenza ma fin da mio primo arrivo sono stato oggetto tentativi avvicinamento conferenza, Lega e perfino arabi ansiosi di farsi perdonare eccessiva prudenza con cui hanno deposto davanti Commissione quattro potenze. Ho declinato tutti gli approcci nella forma più cortese facendo spiegare che mia riserva era dovuta a speciale natura e limitazione missione affidata ma non significava affatto ostilità. Elemento indigeno a noi favorevole è stato del resto rincarato dal semplice fatto della mia presenza cm vtene anche attribuito provvedimento di cui al mio telegramma 15 1•

Preoccupati da possibilità nostro ritorno alcuni dirigenti Lega giovani somali (tra cui noto Mussa Bogor che già aveva detto a Della Chiesa quanto egli riferì con telespresso 69 del 28 febbraio u.s. 2) hanno espresso il desiderio al presidente locale Croce Rossa inviare codesto Ministero dichiarazione che è stata già firmata nella quale dopo aver condannato avvenimento Il gennaio essi ritengono che trusteeship Somalia venga dato ali 'Italia previa accettazione otto condizioni che sostanzialmente riassumono noto programma Lega.

La dichiarazione nelle intenzioni dei suoi autori avrebbe essenzialmente carattere contro-assicurazione per la eventualità di un nostro ritorno.

Stamane poi ho saputo in via confidenziale che alcuni firmatari avevano diverse ore dopo raccontato agli inglesi che firma era stata loro imposta con la violenza. Mi sembra quindi più che mai necessario procedere con la massima cautela anche per evitare malinteso con le autorità britanniche che rischierebbe di compromettere le trattative in corso in cambio di un documento il cui valore è per lo meno assai dubbio.

Prego comunque telegrafarmi se debbo fare accogliere favorevolmente o no l'iniziativa. Per essere di qualche utilità la dichiarazione dovrebbe se mai anziché a noi venire inviata al Consiglio dei Quattro, ma dubito che per ora i firmatari osino compiere un simile passo per timore eventuali reazioni britanniche locali.

Partito migliore mi sembrerebbe lasciare che crisi interna Lega giovani somali segua suo corso naturale affrettato ora da nuovo atteggiamento inglese (mio telegramma n. 15) riservandoci di ottenere dichiarazione in caso di assoluta necessità. Questa del resto dipende in definitiva dal pagamento del tradizionale bakcisch al quale rimarrei beninteso estraneo così come rimango al di fuori dell'intera transazione3 .

63 1 Del 23 maggio, con il quale Manzini aveva riferito sull'avvenuta scarcerazione di quattro capi somali filo italiani da parte di Drew, secondo quanto gli era stato promesso.

64

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 69511276. Londra, 27 maggio 1948, ore 21,20 (per. ore 7,30 del 28).

Ieri alla Camera dei Comuni, rispondendo a Ivor Thomas che chiedeva se Governo britannico intendesse consultare altri firmatari trattato Bruxelles per invitare Italia aderire trattato stesso, Bevin ha dichiarato: «No. Poiché nuovo Governo

63 2 Non pubblicato. 3 Con T. 6262/4 del 29 maggio Fransoni rispose: «Concordo ultima parte suo 19-20-21 ».

italiano è stato appena costituito e sua nuova politica non è stata ancora dichiarata, azione in tal senso sarebbe prematura prima che risulti se Governo e popolo italiano desiderano aderire al trattato». Avendo Thomas replicato ricordandogli sua dichiarazione del 22 gennaio («dovremo considerare questione associare a questa grande idea anche altri membri storici della civiltà europea compresa nuova Italia») 1 , Bevi n ha risposto: «Sento in ogni momento il peso deJie parole pronunciate nel passato».

65

IL MINISTRO A L' AJA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6954/51. L 'Aja, 27 maggio 1948, ore 18 (per. ore 7,30 del 28).

Circa estensione patto Bruxelles ad altri paesi questo ministro degli esteri mi ha confermato che punto di vista olandese rimane per ora immutato quale da me segnalato: Olanda non desidera assumere maggiori impegni di quelli contratti inizialmente. Tale atteggiamento -mi è stato detto -ha carattere generale e potrebbe valere sia per Italia come per altri paesi fuori della sfera interessi diretti olandesi come ad esempio .... 1 . Fino a questo momento, mi si è affermato, nessun passo ufficiale nordamericano sarebbe stato qui fatto per quanto riguarda l'Italia.

Funzionario di questa ambasciata U.S.A. in una conversazione confidenziale ha confermato orientamento Olanda aggiungendo che sua ambasciata, pur non avendo finora ricevuto istruzioni al riguardo, aveva di sua iniziativa sondato intenzioni di questo Governo.

66

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 6227/416. Roma, 28 maggio 1948, ore 23.

Suo 483 1• Anche a nostro avviso conviene pel momento attendere. Tuttavia riteniamo non (dico non) convenga alla Francia né a noi essere eventualmente preceduti da Gran

Bretagna dato atteggiamento piuttosto contrario causa ebraica sinora tenuto da Foreign Office, in contrapposto con nostra attitudine imparzialità. Desidereremmo quindi mantenerci in contatto con Quai d'Orsay e procedere possibilmente di comune accordo2 .

64 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 158.

65 1 Gruppo mancante.

66 1 Del 19 maggio, con il quale Quaroni aveva informato che il Governo francese non intendeva riconoscere immediatamente il nuovo Stato d'Israele.

67

IL MINISTRO A PRAGA, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7011/97. Praga, 28 maggio 1948, ore 18,30 (per. ore 7,30 del 29).

Secondo opm10ne generale è sempre più probabile che presidente Benes si induca dimettersi prossimi giorni dopo avvenute elezioni 1 . Mi risulta che egli continua rifiutarsi apporre sua firma nuova Costituzione e ho rilevato che circoli governativi e diplomatici slavi parlano facilmente di un peggioramento delle condizioni sua salute2•

Presidente che dopo avvenimenti febbraio non è mai rientrato sua residenza Praga ed è ufficialmente apparso nella capitale solo due volte occasione funerali Masaryk e sesto centenario Università, non interviene festeggiamenti odierni suo compleanno.

Leggera tensione opinione pubblica facilita voci più diverse come quella di segreta nuova venuta Zorin ma non lascia prevedere alcun serio turbamento ordine pubblico neppure per elezioni che si svolgeranno secondo rito prestabilito.

68

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. PER CORRIERE 6248. Roma, 29 maggio 1948.

Ministero tesoro segnala che l'Ufficio beni italiani di Londra, incaricato della attuazione dell'accordo del 17 aprile 1947, ha fatto presente che, nonostante le

88 ripetute pressioni fatte per ottenerne la libera disponibilità a favore degli interessati, i Custodians of Enemy Property continuano ad incamerare le rendite, interessi, dividendi, ecc. maturati sui beni italiani, sequestrati e non ancora svincolati dopo la entrata in vigore del trattato di pace.

Avendo gli italiani detentori di beni in Gran Bretagna cessato di essere considerati sudditi di nazione nemica, il continuato incameramento, dopo il 16 settembre 194 7, da parte dei Custodians dei proventi sui beni stessi rappresenta un arbitrio, a maggior ragione dopo l'entrata in vigore del citato accordo del 17 aprile 1947, che ha regolato appunto, in via transattiva, la questione dei beni italiani in Gran Bretagna.

Voglia V.E. intervenire nella forma che crederà più appropriata presso codesto Governo facendo rilevare che non comprendiamo tale atteggiamento che vogliamo sperare sia imputabile ad uffici subordinati, facendo osservare quale impressione potrebbe esercitare su nostra opinione pubblica il diffondersi di siffatte notizie.

Prego cortese urgente riscontro.

66 2 Con T. 7074/540 del 29 maggio Quaroni informava che nel frattempo il Governo francese si stava orientando verso il riconoscimento immediato dello Stato d'Israele. 67 1 Con T. 7507/102 dell'S giugno Tacoli comunicò che in pari data Benes aveva annunciato le sue dimissioni. 2 Con T. per corriere 7447/030 del 4 giugno Tacoli tornò sull'argomento confermando quanto qui riferito.

69

IL DELEGATO PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.O. PER CORRIERE 7112/0136. Parigi, 29 maggio 1948 (per. il 30).

Seguito mio n. 0135 1•

Sostituto delegato francese Baraduc è venuto a trovarmi per esternarmi preoccupazioni vivissime dell'amministrazione francese nei riguardi del progetto di accordi bilaterali proposto dal Dipartimento di Stato americano.

Egli mi ha detto che è comune opinione degli alti funzionari e del ministro degli esteri che se tale progetto fosse accettato nessun Governo francese potrebbe rimanere al potere, perciò il testo è tuttora tenuto segreto e non diramato ai ministri.

L'opposizione francese parte dal concetto che è inammissibile che il Governo americano, nella stesura del preambolo e dei primi articoli, ripeta gli impegni presi fra i partecipanti europei dell'O.E.C.E. e perciò assuma il carattere di garante esterno della Convenzione di cooperazione economica europea: ciò costituirebbe un intervento flagrante nelle cose europee e darebbe ogni arma in mano ai partiti di opposizione per pretendere che l'Europa sia divenuta un protettorato americano. È ben vero che la legge americana di cooperazione economica pone come condizione alla erogazione dell'assistenza l'appartenenza degli assistiti a un organismo di cooperazione europea: ma non vi è bisogno di esternare tutto ciò in un accordo bilaterale. Vi

sono poi, a giudizio dei francesi, vari articoli, il 5, il lO ed altri passaggi di numerosi articoli che sono stati aggiunti dal Dipartimento di Stato in più di quelli che la legge americana prevedeva e che sono a loro giudizio inammissibili.

Baraduc mi ha confidato, in via assolutamente personale, e pregandomi di riferirne a V.E. in forma riservatissima, che il pensiero dell'amministrazione francese stava evolvendosi nel senso di invitare i principali partecipanti dell'O.E.C.E. a non entrare in negoziazioni definitive con gli U.S.A. sugli accordi bilaterali prima di aver concertato un intervento comune: che questo intervento comune, da concertarsi in una riunione segreta del Consiglio nei prossimi giorni, portasse a una conclusione comune di chiedere agli U.S.A. una revisione profonda del testo da loro proposto. Questo avrebbe potuto aver luogo in un «gruppo di lavoro» composto dei rappresentanti dei paesi membri del Comitato esecutivo con l'assistenza di esperti del Dipartimento di Stato. Una idea del genere avrebbe potuto essere con buona probabilità di accoglimento proposta dall'ambasciatore francese Bonnet, dati i suoi personali rapporti con Lovett.

Baraduc mi ha aggiunto che i francesi erano riusciti a fermare l'Irlanda il cui ministro degli esteri MacBride trovandosi a Washington prepara vasi a firmare l'accordo.

Ho fatto presente a Baraduc l'estrema gravità dell'atteggiamento che egli mi aveva esposto. Il Governo italiano riscontrava anch'esso nei progetti di accordi bilaterali molte pleonastiche clausole e vari articoli meritevoli di migliore redazione e di precisazione. In materia di procedura V.E. aveva accolto l'idea di elaborare in seno ai Diciotto a Parigi opportuni scambi di idee prima di procedere in via definitiva alle negoziazioni con il Dipartimento di Stato a Washington, ma che non ritenevo si potesse da parte nostra metterei sulla strada espostami da Baraduc, senza una ponderata meditazione, data l'estrema delicatezza della nostra situazione e di quella dei rapporti fra l'Europa e gli U.S.A.

A titolo personale ho esposto i maggiori dubbi sulla opportunità di promuovere un fronte comune in seno all'O.E.C.E. che giunga sino all'«ammutinamento» soprattutto per la pericolosità della forma che rischierebbe di irrigidire poi irrimediabilmente il Dipartimento di Stato.

Ho aggiunto che mi domandavo sempre a titolo personale se non era preferibile far dare al Dipartimento di Stato delle reazioni così di fondo in contatti preliminari e riservati da parte dei paesi a ciò più interessati.

Baraduc mi ha risposto che non si trattava di ammutinamento, che certo si poteva trovare una maniera acconcia di fare le nostre obiezioni agli americani ma che rimaneva fermo nel ritenere che i testi avrebbero dovuto essere profondamente cambiati per poter essere sottoscritti da un Governo europeo nella condizione della Francia o di altri con opposizioni parlamentari estremamente vigili.

Ho obiettato a Baraduc che non sembravami che le reazioni inglesi fossero così violente ed egli mi ha affermato che così era effettivamente in un primo tempo ma che l'opposizione era andata sviluppandosi molto più violenta in queste ultime ventiquattro ore dopo che i ministri avevano meditato maggiormente sui testi. Mi ha aggiunto che anche il Benelux è in quest'ordine di idee e che gli svedesi ritengono che, ove il Patto bilaterale rimanesse com'è, essi uscirebbero probabilmente dall'O.E.C.E. Mi ha aggiunto infine che tanto Hoffman quanto Harriman (forse anche perché il testo è stato preparato dal Dipartimento di Stato e non dall'E.C.A.) considerano il progetto di accordo bilaterale come eccessivo e dannoso2 .

Baraduc mi ha pregato di riferire quanto precede a V.E. nel modo più riservato al fine di evitare che nell'attuale fase queste reazioni e intenzioni possano comunque essere oggetto di indiscrezioni anche a Washington.

Sarò grato a V.E. se vorrà darmi sue istruzioni appena possibile per mia norma di condotta nei prossimi contatti con i francesi, gli inglesi ed in seno al Consiglio3 .

69 1 In pari data, con il quale Cattani esponeva analiticamente gli articoli in discussione rispetto al tema dei trattati bilaterali dell'O.E.C.E.

70

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 708/10144/2019 1• Parigi, 29 maggio 1948 (per. il 31).

Concluso il periodo elettorale e terminata la formazione del Governo ritengo mio dovere attirare l'attenzione, sua e del Governo italiano, sulla nostra posizione di fronte al Patto occidentale.

Premetto che per posizione del Governo italiano, intendo quella che presumo essere, dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio e dal promemoria inviato alla nostra ambasciata a Washington2 : a me il pensiero del Governo italiano non è stato maggiormente precisato; è quindi possibile che io ne dia una interpretazione che non corrisponde alla realtà; del che mi scuso in anticipo.

La prima constatazione che vorrei fare è che la nostra presa di posizione parte dalla premessa che noi saremo invitati ad aderire al Patto occidentale dai suoi attuali firmatari, saremo anzi pregati di farlo, che c'è per loro un certo interesse a che noi entriamo a fame parte.

All'inizio, ho avuto anch'io questa impressione: ma i contatti avuti sia col Governo francese -su cui le ho mano a mano riferito -sia con ambienti inglesi ed americani di qui mi permettono oggi di dire che questa premessa è errata. Francia, Inghilten·a e gli altri non hanno il minimo desiderio che noi vi aderiamo.

Questo non è per desiderio di umiliarci, per tenerci fuori dal giro: non voglio dire, naturalmente, che ciò sia fatto per amore per noi. Lo fanno perché la nostra

presenza nel Patto disturberebbe il complesso negoziato che essi conducono, o meglio si illudono di condurre, coll'America.

Quale è la genesi del Patto di Bruxelles: il fatto che la Francia e l'Inghilterra in considerazione dello sviluppo generale della situazione hanno fatto presente a Washington la necessità di avere dagli Stati Uniti una precisa garanzia, un impegno di aiuto in caso di aggressione della Russia. L'America ha risposto che non intendeva dare garanzie individuali: che avrebbe, forse, potuto garantire un'Europa organizzata: che questa Europa organizzata non poteva essere limitata alla sola Francia ed Inghilterra: un ragionamento molto simile a quello fatto per il piano Marshall.

Gli americani dicono: mettete insieme le vostre risorse, militari, finanziarie e industriali: armatevi e riorganizzatevi al massimo, insieme: quando avrete fatto tutto il possibile vedremo noi come possiamo completare, con garanzie e con prestiti militari, quello che manca.

Come primo passo su questa strada voluta dagli americani gli anglo-francesi si sono aggiunti il Benelux, la nuova grande potenza creata da Spaak (è questo un elemento di cui non so se teniamo sufficientemente conto: l'invenzione di questo terzo Stato ha fatto passare noi, in Europa, dal terzo al quarto posto). Francesi ed inglesi temevano, a questo punto, che gli americani dicessero: non basta, ci vuole anche l'Italia; se questo fosse avvenuto, allora noi avremmo avuto realmente un certo numero di atouts in mano per trattare coi Cinque: ma gli americani, pur esprimendo il desiderio che anche l'Italia ne facesse parte, non ne hanno fatta una condizione sine qua non: hanno ammesso che questo Patto a cinque basta, per ora, per cominciare a trattare. Questa ammissione americana ha cambiato radicalmente la nostra pOSIZIOne.

I Cinque dicono ora: le nostre forze, attualmente, non sono nemmeno lontanamente sufficienti per difendere la linea, presumibilmente quella dell'Elba, indispensabile per la protezione immediata delle nostre frontiere. Se a noi si aggiunge l'Italia, dovremo difendere anche la frontiera italiana; l'apporto militare, finanziario, industriale italiano a questa difesa, anche se non limitato dal trattato è praticamente nullo: è un passivo che aggiungiamo ad una situazione già deficitaria. Se l'America vuole difendere anche l'Italia che si prenda lei questa gatta da pelare, direttamente.

In altre parole, essi non ci vogliono, non perché ci ritengano indegni del loro club: non ci vogliono perché ci considerano, dal punto di vista militare -ed è di questo che si tratta -un peso morto. Il che in buona parte è anche vero: essi ci ritengono poi peso morto anche più di quanto noi siamo poiché -è bene che di questo non ci dimentichiamo -le dure parole pronunciate da Churchill all'inizio della nostra guerra sul valore dell'Italia come alleato rispondono a tutto oggi alla estimazione generale di noi come soldati.

Per questo appunto, inglesi e francesi sono tanto insinuanti nel consigliarci di indirizzarci piuttosto verso un Patto mediterraneo con la Grecia e la Turchia. Grecia e Turchia sono due paesi, l'onere della difesa dei quali l'America si è assunta direttamente, senza passare per l'intermediario di una organizzazione europea; ossia senza domandare ai Cinque di concorrere. Spingendoci in quella direzione francesi ed inglesi vogliono spingerei nella categoria di quei paesi la cui responsabilità è assunta direttamente dagli Stati Uniti.

Questa politica, non dettata né da amicizia né da inimicizia verso l'Italia, ma da un puro calcolo di interessi, sia pure meschini, era resa di difficile esecuzione dal desiderio espresso dagli americani di vederci aderire al Patto di Bruxelles: dire di no, o anche solo esporre brutalmente agli americani il loro calcolo, sarebbe stato difficile. Per fortuna loro, siamo venuti noi a trarli dalle difficoltà, prima facendo delle riserve di natura elettorale, poi mettendo alla nostra adesione delle condizioni, che, soprattutto nella forma in cui sono state poste, fornivano un facile pretesto per rifiutare di trattare. È avvenuta cioè una cosa non nuova nel corso della nostra storia che, volendo essere molto furbi, abbiamo finito per cavare le castagne dal fuoco per gli altri.

Conclusione di tutto questo: nei riguardi dei Cinque noi non abbiamo il margine di negoziato che ci immaginiamo di avere: non abbiamo nessun margine di negoziato.

Seconda constatazione da fare è che la nostra adesione o meno al Patto di Bruxelles, non è, come noi mostriamo di credere, un problema di nostri rapporti con la Francia o con l 'Inghilterra, ma un problema di nostri rapporti con l'America: il che è molto più grave.

Noi vogliamo vedere nella nostra adesione al Patto di Bruxelles principalmente un mezzo per risolvere tre gruppi di questioni: la cancellazione delle clausole militari del trattato di pace, la questione delle colonie e la nostra introduzione negli affari tedeschi. Non nego l'importanza, per noi, di queste tre questioni, ma mi permetto di dire che esse sono, in un certo senso, secondarie.

La questione n. l per noi -dico n. l perché è una questione di esistenza, non di prestigio o di grandezza come le altre due -è la nostra possibilità di resistenza di fronte ad una magari eventuale, ma certo possibile, aggressione russa. È un problema questo che è presente a tutti, in Italia, checché se ne voglia dire. Questo problema non presenta che due possibili soluzioni: o la soluzione Togliatti, buttarci completamente nelle braccia della Russia con quello che questo significa sul piano interno, oppure l'assistenza americana.

Mi si dice che, oggi, noi non potremmo resistere che poche ore: abolite tacitamente le clausole militari, avendo soldi, materiali e tante altre cose che ci mancano, potremmo, forse, arrivare gradualmente ad essere in grado di resistere un giorno, una settimana, un mese: ma con questo arriviamo -se vogliamo essere realisti all'estremo delle nostre possibilità: ossia le nostre possibilità non vanno al di là di una certa resistenza per dare tempo agli aiuti americani di arrivare.

Questo problema, questo pericolo, sono imminenti: non ci facciamo illusioni: fra russi ed americani è forse possibile una tregua, ma non la pace: può essere pure che non ci sarà la guerra, almeno per molti anni, ma non ci sarà certo pace; per molti e molti anni ancora continueremo ad essere nella situazione di non sapere se domattina non ci sveglieremo con le divisioni corazzate russe entro il nostro territorio.

Dato questo, mi sembra evidente che, per noi come per tutti gli altri paesi d'Europa, il problema centrale della nostra politica estera è, e deve essere, quello di assicurarci che l'aiuto americano verrà -tenendo naturalmente presente che la politica americana ha le sue complicazioni -e che in un primo periodo essa ci assisterà con le concessioni di materiali e mezzi che oggi -e per qualche tempo noi, da noi, non potremmo procurarci.

Non so se noi abbiamo già avuto da Washington risposta al nostro memoriale; posso dirle però, fin da adesso, quale essa è o sarà: comprendiamo le vostre richieste, ce ne interesseremo, però cominciate con l'aderire al Patto di Bruxelles senza porre condizioni: vedrete che col tempo tutto si aggiusterà. E in questo, gli americani hanno anche ragione, perché, col tempo, con la pazienza e col volersi contentare, non del successo da sventolare in piazza, ma del successo in sostanza, tutto effettivamente si aggiusterà, nella misura in cui è suscettibile di aggiustarsi, che è molto, anche se non è tutto quello che noi vorremmo.

Tutto lascia supporre che la difesa dell'Italia interessi l'America non meno di quanto le interessino la difesa della Francia o del Belgio. Voglio precisare: fino a qualche tempo addietro gli americani prevedevano la necessità di abbandonare ai russi tutta l 'Europa -o quasi -e di concentrarsi sul problema di tenere l'Africa del Nord, come punto di partenza per la futura liberazione dell'Europa. Oggi, mi sembra, essi cominciano a pensare che è desiderabile, ed è forse possibile, mantenere l'Europa sulla linea, più o meno, Luebeck-Trieste, e a studiare, come, in che tempo e con che mezzi questo possa essere reso possibile. In questa misura, preciso, la difesa dell'Italia interessa l'America non meno che la difesa dei Cinque. Ottenere dall'America una garanzia per l'Italia -notiamo che oggi per noi la garanzia di fatto è costituita dalla presenza delle truppe americane a Trieste -e un aiuto per la costituzione di forze armate italiane, che garantiscano un minimo di possibilità di difesa, mi sembra sia nel limite delle cose fattibili. Si tratta ora -ed è questo per me il punto veramente importante -di chiarire cogli Stati Uniti per quali procedure essi ritengono risolvere questo problema italiano.

Ci sono due categorie di Stati in Europa: Grecia e Turchia, garantite ed aiutate direttamente ed individualmente dall'America; i Cinque a cui l'America dice, spremetevi fino all'ultima possibilità per la vostra difesa, poi vedremo come noi possiamo integrare i vostri mezzi, ma collettivamente non individualmente. Come si vede il problema italiano in America, in termini di Grecia o in termini di Francia? Questo è quello che bisognerebbe chiarire. Tutto fa piuttosto supporre che essi ci considerino, più o meno, nella categoria Francia. Se questo non ci piace perché questo implica la nostra adesione ad un patto di alleanza, possiamo cercare di persuadere gli americani a farci entrare nella categoria Grecia: gli argomenti a questo fine possono anche non mancare. Personalmente ritengo la forma Francia più dignitosa che la forma Grecia; ma questo può essere solo questione di gusti. Se gli americani accettano di considerarci Grecia possiamo marciare per questa strada ed infischiarcene di Francia, Inghilterra e del loro patto. Ma se gli americani insistono perché noi accettiamo l'altra formula e insistono perché noi aderiamo al Patto di Bruxelles, crediamo noi seriamente di poter dire di no, o di poter fare le bizze sulle nostre condizioni il che equivarrebbe, agli occhi degli americani, a dir di no?

In altro rapporto mi riservo di analizzare, come, ed in che misura, le tre questioni da noi sollevate possono essere risolte, dopo, e per il fatto di essere entrati nel Patto occidentale.

Il problema della garanzia americana e dell'aiuto americano in materiali e mezzi è ormai posto, ufficialmente, per cinque Stati dell'Europa occidentale; noi non poss1amo ignorare questo fatto, non possiamo fingere che esso non esista per noi, non possiamo imbarcarci in una politica, in una linea di condotta, la cui conseguenza ultima sarebbe che, per colpa nostra, il problema italiano non sarebbe risolto.

L'opinione pubblica è molto variabile. Può essere che oggi chi da noi dice che ci rifiutiamo di aderire al Patto occidentale se non saranno risolte, in nostro favore, certe determinate questioni, sarà applaudito come colui che difende a viso aperto la dignità della nazione. Ma quando domani il problema della garanzia e dell'aiuto americano fosse risolto -e lo sarà -per altri e non per noi, gli osanna di oggi possono molto facilmente diventare crucifige di domani.

Oggi nessuno in Europa, e noi meno di tutti gli altri, può permettersi il lusso di non fare, nelle questioni importanti almeno, quello che vogliono gli americani. Ogni presa di posizione, specie se pubblica, prima di essere sicuri -e sicuri sul serio che gli americani son disposti ad appoggiarci in fondo, non ha per risultato che quello di rendere alla fine più clamorosa e più dolorosa la finale calata di brache. Guardiamo cosa è successo alla Francia con tutti i suoi clamorosi non possumus sul problema tedesco: e cerchiamo di non imitarla, per questioni che, di fronte al problema veramente grave e tragico che sovrasta tutta l'Europa occidentale, non sono meno secondarie, o meno sfasate che le impuntature francesi di fronte al problema tedesco.

Il disorientamento gettato nei negoziati del patto a Cinque dalla mossa russoamericana ha fatto passare in seconda linea il problema italiano ed ha fatto dimenticare in parte le nostre prese di posizione. Approfittiamone per non ripeterle, almeno coram populo, approfittiamone per chiarire il pensiero americano nei nostri riguardi, e poi agiamo in conseguenza, con coraggio. Ma non ci dimentichiamo che, se gli americani ci diranno, come è probabile, aderite, ci diranno anche aderite senza porre queste vostre condizioni. Saranno allora inglesi e francesi che faranno delle difficoltà, per le ragioni che ho esposto: allora saranno loro a doversi sbrigare con gli americani. La nostra posizione di fronte agli americani sarà chiara: ed è questo quello che importa.

Voler sempre precisare, voler sempre mettere i punti sugli i è una malattia di cui noi spesso soffriamo a causa della nostra educazione giuridica; la realtà è ben differente: !es absents ont toujours tort: la presenza risolve tante questioni che non si possono risolvere discutendo e negoziando in absentia. Ricordiamoci dell'esempio del piano Marshall, sezione europea. Abbiamo cominciato strepitando sulla questione della parità: poi, vista la situazione sul posto, lei ha avuto il coraggio di andare avanti senza chiedere niente, senza precisare niente: abbiamo avuto qualche difficoltà al principio: un po' di pazienza, un po' di savoir jàire, e chi potrebbe negare, oggi, che vi abbiamo raggiunta, e rapidamente, una situazione molto migliore di quella che avremmo potuto ottenere precisando e trattando prima di entrare!

Mi si dice che l'opinione pubblica italiana vuole la neutralità: ritengo che l'opinione pubblica italiana si renda conto della realtà del problema molto meglio di quanto noi pensiamo. Non nego che esista una propaganda, un'agitazione in questo senso; ma è un fenomeno di para-comunismo, è una nuova testa di Garibaldi; è un movimento che ha il suo organo di emissione in due o tre persone, bene individuate, le cui origini, fini e attaches sono egualmente ben note: esso trascina con sé molti ingenui, proprio come la testa di Garibaldi. Il Governo italiano ha vinto le elezioni perché ha avuto il coraggio di smascherare la testa di Garibaldi. Le elezioni sono state vinte, ma la battaglia non è finita: e per continuarla fino in fondo ci vuole, anche contro questo tentativo di morfinizzare l'Italia colla illusione della neutralità, lo stesso coraggio3 .

69 2 Con T. s.n.d. 71411544 del 31 maggio Quaroni, commentando il presente telgramma, espresse in forma più decisa di Cattani parere contrario alle proposte e iniziative francesi. Per la risposta vedi D. 77. 70 1 Un foglio allegato al presente documento reca la seguente annotazione autografa di Zoppi: «Da non diramare per ordine del ministro». 2 Vedi D. 59.

71

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. S.N. Pretoria, 29 maggio 1948 1•

Mi riferisco al mio rapporto n. 446/83 dell'l l marzo u.s. 2 . Avevo avuto già occasione, alla fine dello scorso mese di aprile, d'intrattenermi di nuovo a lungo sulla questione coloniale con il segretario di Stato per gli affari esteri Forsyth, col quale mi ero espresso secondo le direttive impartitemi da V.E. con la sua lettera n. 0439 del 3 aprile\ ma dal colloquio non avevo potuto trarre alcuna precisa informazione sull'atteggiamento definitivo del Governo sudafricano, ma solo l'impressione che il Governo stesso non avesse ancora fissato una linea esatta e che sarebbe stato felice di qualsiasi dilazione nella discussione del problema. Negli scorsi giorni, mi sono preoccupato di sondare ancora il terreno al fine di conoscere il punto di vista che il Governo sudafìicano esporrà al Consiglio dei supplenti dei ministri degli esteri in seguito all'invito da questo ultimamente diramato ai vari paesi interessati. Mi è stato in sostanza ripetuto: a) che il Sudafrica aveva reclamato il diritto di partecipare fin dall'inizio a tutte le discussioni relative alle nostre antiche colonie africane; b) che il Consiglio decise invece, «per l'opposizione di un solo uomo» (leggi: delegato russo) che il Sudafrica sarebbe stato sentito solo successivamente al ricevimento del rapporto della Commissione di inchiesta; c) che tale decisione fu assai male accolta qui e, solo per ragioni di convenienza generale, dopo esitazioni, si finì con l'accettarla; d) che il Sudafrica confermò in quell'occasione al Consiglio dei supplenti che (il Governo sudafricano) «ask an d expect its recognition of our right to be fully consulted about a matter that so vitally affects our interests» (rapporto di questa legazione n. 624 del 20 dicembre 19474 .

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 420.

3 Ibid., D. 518.

4 Non pubblicato.

Così come nel mese di febbraio il Sudafrica respinse come illogica e contraria alle precedenti intese la pretesa che i paesi interessati esponessero il loro punto di vista prima che fossero noti i risultati della Commissione d'inchiesta, così ancora oggi ritiene che questa pretesa rappresenta una modificazione del primitivo atteggiamento del Consiglio e della procedura da esso decisa, modificazione che riesce «incomprensibile» in questi ambienti.

Il Governo sudafricano vuole, prima di esporre chiaramente il suo punto di vista, rendersi conto di cosa tutto ciò significhi e a che cosa tenda questa «manovra russa».

Pertanto, mi è stato assicurato, l'esposizione che il Governo sudafricano è ora chiamato a fare sarà di carattere «preliminare e generale» e conterrà la riserva di pronunciarsi più esplicitamente in seguito.

Circa il preciso tenore di questa «preliminare» esposizione, ben poco mi è stato dato di appurare. Mi è stato solo detto che l'esposizione del punto di vista sudafricano, per tutto quello che concerne questo Continente, conterrà una reiterazione del generale interesse sudafricano per tutto quello che concerne questo Continente; mi è stato ripetuto che il Sudafrica si opporrà decisamente ad ogni forma di trusteeship internazionale; e che il Sudafrica vigilerà perché la Russia non prenda piede, in un modo o nell'altro, in questo Continente.

E poiché il «generale interesse dell'Unione» in tutto quello che concerne l'Africa è il leit-motiv, continuamente ripetuto e dagli organi ufficiali e dalla stampa, senza per altro che del concetto si sia data una definizione, ho chiesto all'alto funzionario del Dipartimento di Stato col quale mi sono intrattenuto se si pensasse che con questo interesse sudafricano fosse incompatibile la presenza in Africa dell'Italia.

Ciò mi è stato enfaticamente negato. Questo lo stato delle cose fino a ieri. Oggi, con le dimissioni del gabinetto Smuts e con la formazione del nuovo gabinetto neppure ancora iniziata, è impossibile dire quale sarà l'atteggiamento che il Governo nazionalista assumerà nella questione. Questo però, è lecito, a mio giudizio, ritenere: che se il mutamento nel Governo sudafricano non avvantaggerà o faciliterà certo i rapporti italo-sudafricani in molte questioni-e specialmente in quella dell'emigrazione (mi richiamo al rapporto n. 598/124 del 30 marzo u.s.)4 -è da prevedersi invece che, nella questione coloniale, troveremo maggiore comprensione ed appoggio da parte del Governo Malan che non da quello di Smuts, il quale, malgrado tutto, avrebbe difficilmente potuto allontanarsi sostanzialmente dalle direttive di Londra; mentre i nazionalisti -che, data l'esigua maggioranza parlamentare e la necessità di non spaventare troppo il corpo elettorale che, malgrado i risultati dovuti al sistema uninominale, si è rivelato in maggioranza composto di partigiani del Partito Unico soccombente, devono andar molto cauti nell'applicazione del loro programma di politica interna -potrebbero desiderare e trovare nella questione che c'interessa un punto sul quale affermare i loro conclamati propositi di indipendenza assoluta in politica estera e agire quindi anche, se occorre, in contrasto con Londra.

Sarà naturalmente mia cura di sondare il terreno, appena costituitosi il nuovo Governo, e di tenere V.E. al corrente di quanto mi sarà dato di apprendere. Mi sarebbe nel frattempo assai utile se potessi essere informato, preferibilmente per telegrafo, di quanto al Ministero degli esteri risulti circa i lavori del Consiglio dei supplenti, attualmente in corso a Londra.

70 3 Per la risposta di Zoppi vedi DD. 95 e 173.

71 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

72

IL CONSOLE MANZINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7099/25-26. Mogadiscio, 30 maggio 1948, ore 10,50 (per. ore 19,45).

Ho incontrato maggiore generale Cumming capo servizi affari civili presso comando Medio Oriente da cui nostre colonie dipendono. Abbiamo esaminato dettagliatamente situazione e gli ho fatto varie proposte, per le quali avevo preparato terreno attraverso Drew e Mason, sia per alleviare crisi economica Somalia che per più largo impiego personale italiano da parte B.M.A. Si è mostrato ricettivo assicurando che le avrebbe studiate con comprensione e simpatia.

Visto sue buone disposizioni dopo aver premesso che parlavo esclusivamente a titolo personale, gli ho illustrato ragioni che a mio modo di vedere consigliavano impiego Somalia numerosi funzionari italiani nei vari rami amministrazione. Ciò agevolerebbe B.M.A. che scarseggia uomini e se esperimento desse buona prova si potrebbe sviluppare breve scadenza in una vera e propria amministrazione mista anglo-italiana. A parte vantaggio immediato simile iniziativa per migliore situazione Somalia compito nuova organizzazione sarebbe anche, eventualità colonia ci venga restituita, preparare pacifico ritorno nostra amministrazione collaborazione Italia Inghilterra verso cui in Europa e in Africa tendono nostri sforzi.

Cumming mi ha detto trovava la mia proposta interessante e che ne avrebbe riferito a Londra. Egli dubita però che almeno per il momento il Foreign Office consenta una collaborazione su scala così vasta come quella da me prospettata, dato che il Governo britannico vuole attualmente evitare tutto ciò che possa essere interpretato come esplicitamente indicativo delle sue intenzioni circa avvenire nostre colonie. Condivide opportunità di rendere più intima la nostra collaborazione attraverso B.M.A. ma ciò dovrà avvenire progressivamente e quasi insensibilmente senza rivelare un netto cambiamento della politica inglese, cosa che secondo lui avrebbe pericolose ripercussioni tra indigeni.

La sua reazione è stata comunque incoraggiante e credo che questo franco scambio di idee abbia dissipato, almeno per quanto riguarda Cumming, idea prevenzioni cui avevo accennato nel mio telegramma 9 1• Tanto è vero che rappresentante

72 Vedi D. 44.

98 diplomatico ha detto che desidera conferire con me tra qualche tempo al Cairo. Si riserva invitarmi quando sarà giunto il momento opportuno. In tal caso transiterei per Asmara ove egli mi ha fin da ora autorizzato a trattenermi per qualche giorno anche per studiare insieme Mason situazione Eritrea.

Data diversità ed ampiezza argomenti trattati con Cumming in aggiunta a quanto precede, riferirò dettagliatamente per corriere non appena avrò un mezzo SICUro.

Cumming ripartirà per il Cairo probabilmente domenica mentre Mason visiterà insieme a me oggi pomeriggio villaggio Duca degli Abruzzi. Domani proseguirà in vettura per Hargeisa donde rientrerà per via aerea in Eritrea. Mi ha detto che da Asmara riferirà Foreign Office su quanto visto Eritrea e mi ha promesso che appoggerà proposte fatte da me a Cumming.

Ho illustrato al generale Cumming ragioni per cui sarebbe urgente riaprire filiale Banca d'Italia Mogadiscio (mio telegramma 14)2 . Mi ha detto che la cosa dovrebbe essere discussa anche con inviati che trovavansi attualmente Roma per prendere accordi circa funzionamento banche italiane nelle nostre colonie. Mi permetto far presente che questione ha, almeno in Somalia, importanti riflessi politici e pertanto non dovrà essere trattata esclusivamente sul terreno tecnico-finanziario sul quale del resto secondo quanto mi viene riferito essa si sarebbe già arenata precedenti occasioni.

73

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 710 l/542. Parigi, 30 maggio 1948, ore 23,36 (per. ore 7,30 del 31).

Mio 509 1• Quai d'Orsay mi informa che tre Governi si sono potuti mettere d'accordo circa nota iniziativa inglese per Trieste.

Tre Governi sono rimasti di intesa di presentare domani al Governo sovietico una prima nota di sollecito per definizione questione di Trieste. Nota che verrà consegnata da Quai d'Orsay a questa ambasciata U.R.S.S. (di tenore simile a quella americana e inglese) non farà però allusione a ulteriore azione già concordata fra i tre.

Passate tre settimane senza che questa nota abbia avuto risposta o se risposta sia insoddisfacente, tre Governi sono d'accordo per eseguire seconda parte noto programma; Governo inglese e americano cioè, quali responsabili dell'amministrazione

73 1 Vedi D. 53.

99 di Trieste, formulerebbero dichiarazione comune nei termini indicati da mio 509 e la sottometterebbero ali' Assemblea d eli 'O.N.U.

Governo francese farebbe sua dichiarazione anglo-americana appoggiandola presso predetta Assemblea con propria dichiarazione, cui darebbe massima solennità e pubblicità; da parte francese si penserebbe anche di dare comunicazione di tale dichiarazione ali' Assemblea nazionale a Parigi.

72 2 Del 23 maggio, non pubblicato.

74

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 7140-7162/434-435. Washington, 31 maggio 1948, ore 16,03 (per. ore 8 del l" giugno).

Telegramma VE. 328 1 , mio 426 2•

Riassumo conversazioni questi giorni Dipartimento Stato su Trieste:

l) per quanto concerne soluzione finale e sostanza problema risulterebbero immutati noti intendimenti Governo americano pienamente favorevole ritorno sovranità italiana al momento più opportuno;

2) per quanto riguarda procedimenti: grandi linee progetti americani sembrano permanere quali noti codesto Ministero da fine marzo e riconfermati ultimamente a V.E. da ambasciatore Tarchiani3 .

Tattica immediata è per altro divenuta più guardinga per seguenti considera

ZIOni:

a) venuto meno assillo situazione interna italiana, prevale per ora opinione doversi fissare direttive azione solo fase per fase, gradualmente, in connessione con ogni possibile accertamento effettivi propositi russi;

b) data complessa situazione creata da scambio note comunicazioni Bedell Smith-Molotov, al Dipartimento si mostra ritenere che russi potranno avere interesse dare agevole prova loro buona volontà proprio in questione Trieste.

Tali considerazioni spiegherebbero atteggiamento americano in ultime conversazioni con Londra e Parigi per preparazione nuova nota sollecito a Mosca. Tale nota è stata redatta appositamente nel modo più semplice e con formula lata, tale da impegnare e possibilmente adescare russi a chiarire proprie intenzioni, senza per contro che Washington debba in nessun modo scoprire proprie carte e senza prestare quindi il fianco a nuovi attacchi polemici di propaganda.

Nuova nota sollecito Dipartimento verrà rimessa a questa ambasciata sovietica domani lo giugno alle ore 13. N e riassumo testo, avuto confidenzialmente, con telegramma successivo4 . Nota è stata concordata in conversazioni con inglesi già segnalate da questa ambasciata con telegramma n. 4085 . Per motivi precedentemente indicati, testo americano non menziona né ricorso a supplenti né altre soluzioni ma esprime speranza che sia U.R.S.S. a indicare procedura da seguirsi per esame comune questione da parte potenze interessate.

Domani altre note «sostanzialmente» simili a quella americana verranno contemporaneamente presentate da Governi inglese e francese.

74 1 Vedi D. 53, nota 3. 2 Del 26 maggio, con il quale Di Stefano aveva riferito circa le voci di una imminente proposta sovietica per Trieste. 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 655.

75

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. LRGENTE 7145/437. Washington, 31 maggio 1948, ore 16,47 (per. ore 8 del l" giugno).

Suo 5817/c. 1 .

Dipartimento informa confidenzialmente che risposta americana nostra nota ai Quattro per delimitazione confine con Jugoslavia viene telegrafata a Dunn. Risposta suggerisce istituzione Commissione mista composta un membro italiano, uno jugoslavo ed uno neutrale scelto d'accordo tra quattro ambasciatori con incarico proce

dere delimitazione definitiva confine. Dipartimento non mancherebbe prendere in considerazione eventuali nostri suggerimenti su membro neutrale, che a quanto accennato potrebbe essere scelto tra noti candidati alla carica governatore.

Per motivi indicati anche in altro telegramma odierno2 , uffici Dipartimento di Stato mostransi ottimisti su attuali possibilità agevole attuazione di decisioni del genere.

5 Del 18 maggio, con il quale Ortona aveva comunicato l 'intenzione statunitense di inviare una nuova nota su Trieste al Governo sovietico.

75 Vedi D. 20.

Vedi D. 74.

Aggiungo ad ogni buon fine che Dipartimento ha inoltre recisamente smentito illazioni tratte da noto giornalista Reston in base qualche vaga indiscrezione e secondo la quale, in attuale complessa fase rapporti russo-americani, potrebbe essere ripresa e risolta questione governatore Trieste3 .

74 4 Non pubblicato. Il testo della nota era il seguente: «The Secretary of State presents his compliments lo his Excellency the Ambassador ot the Union of Soviet Social Republics and has the honor to refer to his Note of Aprii 16, 1948, regarding the proposal that the Free Territory of Trieste be retumed to ltalian sovereignty. In that Note the Soviet Govemment was inforrned that the Govemment of the U.S. would welcome any suggestions which the Soviet Govemment might desire to propose conceming the procedure for drafting the necessary protocol to the Treaty of Peace with ltaly to effect the retum of the Free Territory to ltalian sovereignty. As the Govemment of the United States is convinced that the protection of the rights and interests of the people of the Free Territory requires the very early resolution of the problem, it is hoped that the Soviet Govemment will comunicate its views at an early date conceming the procedure to be followed for the joint consideration of the matter by the Powers concemed». Per la citata nota del 16 aprile 1948 vedi serie decima, vol. VII, D. 573.

76

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7146/438. Washington, 31 maggio 1948, ore 17,21 (per. ore 8 del l o giugno).

Suo 328 1 e miei telegrammi 434, 435 2•

In conversazione confidenziale Dipartimento, interlocutore americano ha ammesso che specie a Parigi era stata manifestata perplessità su intendimenti azione Governo americano su questione. In particolare per quanto riguardava divisato ricorso Assemblea, i successivi scambi di vedute con Londra e Parigi avrebbero però portato a generale riconoscimento opportunità attendere reazione Governo russo a nota da consegnarsi domani, prima di decidere ulteriore azione da svolgere. Come è noto Dipartimento, in base proprie valutazioni e informazioni che potranno o meno essere confermate da fatti, manifesta fiducia che nell'attuale momento U.R.S.S. potrebbe dare una risposta positiva od almeno dettagliata e motivata. Ove ciò non fosse Dipartimento terrebbe già presenti seguenti possibilità:

a) riprendere idea ricorso Supplenti mediante precisa proposta;

b) accogliere proposta inglese di dichiarazione congiunta, che stante atteggiamento negativo U.R.S.S. e situazione determinata Trieste, truppe anglo-americane rimarranno indefinitivamente a presidiare zona;

c) portare questione di fronte Assemblea generale ordinaria N.U. prossimo autunno, che costituirebbe evidentemente estremo passo effettuabile, quindi da eseguirsi in momento ed in atmosfera più favorevole.

Dipartimento ha fatto confidenzialmente presente che gradirebbe molto conoscere ogni nostra utile opinione ed eventuali suggerimenti. Esso ha anche tenuto attirare ripetutamente attenzione questa ambasciata su conclusioni rapporto testé presentato al Consiglio di sicurezza da comandante alleato Trieste; conclusioni vennero redatte d'accordo fra Dipartimento, Foreign Office e Combined Chiefs of Staff; esse confermano immutato atteggiamento Governo americano su soluzione a noi più favorevole3 .

2 Vedi D. 74.

3 Per la risposta vedi D. 83.

75 3 Per la risposta vedi D. 82.

76 1 Vedi D. 53, nota 3.

77

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL DELEGATO PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI

T. S.N.D. PER CORRIERE 6367. Roma, l o giugno 1948.

Suoi 0135 e 0136 1• Preoccupazioni espressele da Baraduc per quanto sostanzialmente possano essere fondate ci sembrano spinte a pessimistiche conseguenze. Tanto più che osservazioni di Hall Patch le quali ci trovano concordi sono ben differenti nella portata e nella sostanza. Come ella sa il C.I.R. ministri ha già approvato in linea di massima il progetto di convenzione bilaterale e di ciò venne data comunicazione alla radio ed alla stampa. Di più nostra ambasciata Washington, sulla base di quanto le è stato già comunicato, ha iniziato contatti articolo per articolo con Governo americano come del resto hanno fatto altre rappresentanze estere (tra cui la francese) con le quali nostra ambasciata si mantiene in stretto contatto al fine armonizzare obiezioni dei diversi paesi e di assicurare a noi come del resto agli altri Governi il beneficio di tutte le varianti che potessero venire spuntate. Quanto precede, per chiarirle che non ci sarebbe possibile seguire il vice delegato francese su tutto quel cammino che egli le ha indicato. Approvo perciò il linguaggio da lei tenuto ed aggiungo che siamo tutt'altro che alieni dal procedere a consultazioni a Parigi con gli altri interessati. Anzi telegrafiamo all'ambasciata a Washington2 di andare a rilento nelle sue conversazioni onde aver modo di tener conto di quanto potrebbe essere convenuto costì. Ma -e ciò dicole per suo orientamento per tutti i contatti che potrà avere al riguardo -non abbiamo intenzione di prendere nessun atteggiamento di punta, preferendo anzi di apparire accodati a quelle decisioni o comuni o singole che potranno scaturire costà dagli scambi di vedute, come dalla riunione segreta del Comitato, come infine dal costituendo gruppo di lavoro. Per quanto invece concerne osservazioni di Hall Patch esse vengono trasmesse senz'altro all'ambasciata a Washington3 perché le abbia presenti nel corso dei contatti col Dipartimento di Stato. Sarebbe infine opportuno che affermazioni di Baraduc venissero da ambasciatore controllate presso elementi dirigenti del Quai d'Orsay.

77 1 Vedi D. 69. 2 Vedi D. 78. 3 Vedi D. 79.

78

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 6369/339. Roma, l" giugno 1948, ore 14.

Nostra delegazione O.E.C.E. ha ripetutamente segnalato crescente preoccupazione e perplessità che da più parti si manifestano in quegli ambienti nei riguardi progetto accordo bilaterale proposto da Dipartimento di Stato.

Secondo quanto riferito reazioni sollevate dal progetto statunitense sembrano, per lo meno, dover ritardare definitive negoziazioni con Dipartimento Stato a Washington da parte principali Governi interessati.

In vista di quanto sopra, mentre confermo a V.E. istruzioni di cui a mio telegramma n. 3261 le segnalo opportunità di rallentare ritmo nostri negoziati pur tenendo presente che Governo italiano è contrario assumere atteggiamento critico che vada oltre finalità ottenere ragionevole miglioramento impegni derivanti da accordo bilaterale.

Si è comunque sempre in attesa emendamenti segnalati da V.E. con telegramma

n. 4322 .

79

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 6371. Roma, l" giugno 1948, ore 12.

Telegramma di questo Ministero n. 3261•

Trasmettole seguente telegramma in data 29 maggio da nostra delegazione O.E.C.E.: «Presidente Comitato esecutivo Hall Patch mi ha detto che argomento del trattato bilaterale verrà toccato in una seduta privata dei Diciotto, che egli si propone di indire nei prossimi giorni durante i lavori del Comitato esecutivo. Egli mi ha detto che le reazioni britanniche al progetto statunitense erano inspirate a perplessità e preoccupazione per alcuni articoli che avrebbero sollevato, se mantenuti nella redazione attuale, forti critiche in Parlamento. Si rende conto che probabilmente non sarà possibile variare molto i testi, soprattutto nella parte che riproducono articoli della legge americana di cooperazione

2 Del 28 maggio con il quale Di Stefano aveva comunicato di aver sottoposto al Dipartimento di Stato le osservazioni trasmessegli con T. 326 (per il quale vedi D. 79, nota l) e avere fatto riserva di ulteriori comunicazioni Per il seguito vedi D. 97.

economica. Mi ha chiesto di scambiarci tuttavia le nostre reazioni preliminari sui vari articoli. Mentre gli ho, in termini generali, indicato alcuni dei punti comunicatimi da

V. E. con telegramma n. 401 1 , riferisco in dettaglio le osservazioni britanniche che mi sono state comunicate:

a) l'articolo 2, paragrafo 3, ultimo periodo, relativo alla facoltà degli U.S.A. di sospendere in qualsiasi tempo l'assistenza, solleva obiezioni di carattere giuridico e politico: mentre non aggiunge nulla nel fondo alle limitazioni espresse nella legge americana, alla quale è fatto riferimento nella prima parte dell'articolo, il passaggio finale dell'articolo stesso legherebbe ulteriormente uno dei contraenti a mantenere gli impegni dell'accordo bilaterale, anche quando gli U.S.A. avessero sospeso l'aiuto. Con ciò gli inglesi non intendono rinnegare gli obblighi assunti con l'atto di creazione dell'O.E.C.E., al quale si sentono sempre legati, ma non vorrebbero rimanere legati agli obblighi suppletivi contenuti nell'accordo bilaterale;

b) articolo 3, paragrafo 1-b. Gli inglesi hanno qualche perplessità riguardo all'impegno a «promuovere lo sviluppo della produzione industriale ed agricola su basi economiche», nel senso che ciò possa dare diritto agli americani d'intervenire nell'elaborazione dei programmi nazionali britannici, e quindi indirettamente nei loro rapporti coi Dominions;

c) articolo 3, paragrafo 1-c. Questo paragrafo, che riguarda gli obblighi di risanamento del bilancio ed i tassi di cambio appropriati, solleva, come è ovvio, obiezioni da parte britannica, ma non così forti come sembrava prevedibile;

d) articolo 4, paragrafo l. Il passaggio relativo ai furti ed al mercato nero non piace agli inglesi, come credo neppure a noi;

e) articolo 4, paragrafo 3. Anche gli inglesi non vedono con favore l'impegno relativo agli accordi da prendere con l'Organizzazione internazionale rifugiati per l'utilizzazione della mano d'opera, e comprendono benissimo le nostre opposizioni;

f) articolo 5, paragrafo a) e b). Come è noto, questo articolo è stato inserito negli accordi bilaterali perché i Diciotto si erano rifiutati, su obiezioni franco-inglesi, di accoglierlo nel loro atto statutario di Parigi, nonostante la richiesta fattane dagli americani. A prescindere dalle chiarificazioni da noi desiderate per quanto riguarda Trieste, il Governo inglese si batterà per far togliere tutto l'articolo dall'accordo, non volendo prendere un impegno relativo alla clausola della nazione più favorita in un accordo bilaterale di questa natura. Essi hanno modificato però notevolmente il loro atteggiamento passato, e sono disposti a prendere un impegno del genere in un testo separato che riconosca l'applicabilità della clausola ad ogni area della Germania (paragrafo b). Si opporranno invece all'estensione delle disposizioni del paragrafo a) al Giappone ed alla Corea, perché ciò contrasta con gli interessi dei Dominions.

L'accettazione inglese dell'estensione alla Germania della clausola della nazione più favorita è per noi di notevole interesse per i nostri scambi; g) articolo 5, paragrafo 2. Anche questo paragrafo non piace agli inglesi, ché sembra loro di portata troppo vaga e vasta;

h) articolo 6, paragrafi l e 2. Questo articolo solleva grosse obiezioni, per l'estensibilità a cittadini non residenti nei paesi di origine, ed infine l'idea di destinare i beni ed i frutti di cittadini britannici situati negli U.S.A. «al fine del programma collettivo di ripresa europea» non sorride affatto, in quanto, fra l'altro, ciò

permetterebbe agli americani d'intervenire sull'uso di tali beni, anche in contrasto con gli interessi dei Dominions; i) articolo 9. Non sembra sollevare presso gli inglesi i problemi che esso solleva per noi;

l) articolo l O, capoverso secondo, relativo ai tassi di cambio appropriati: solleva difficoltà per la sua redazione, e per l'estesa interpretazione che può esservi data.

Altrettanto dicasi per l'articolo 16, relativo all'arbitrato. Queste le prime reazioni britanniche che avrò modo di approfondire in futuri contatti. Non ho visto Alphand che è assente, ma che vedrò subito al suo ritorno, per uno scambio di idee al riguardo.

Segnalo infine che, secondo quanto mi ha detto Hall Patch, gli svedesi hanno serie difficoltà per l'articolo 15, paragrafo 2 (privilegi e immunità per la missione dell'E.C.A.) avendo rifiutato privilegi di tale natura ad una missione economica sovietica, e temerebbero di creare con ciò un pericoloso precedente in favore dell'U.R.S.S.».

Voglia per quanto possibile tener presente, nel quadro delle istruzioni che ha già ricevute, nei contatti e nelle conversazioni che ella ha costà le osservazioni britanniche che ci trovano consenzienti, per quanto al punto (f) ci siano delle osservazioni che interessano esclusivamente il Governo inglese.

78 1 Del 25 maggio, diretto anche all'ambasciata a Parigi con il n. 401, con il quale venivano comunicate le osservazioni di massima del C.l.R. al progetto di accordo bilaterale.

79 1 Vedi D. 78, nota l.

80

L'INCARICATO D'AFFARI AL CAIRO, ARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7190/113. Il Cairo, l o giugno 1948, ore 14,301•

È stato autorizzato il sequestro dei beni delle persone internate e sospette oltre che di enti e società sospette con un proclama militare egiziano in data di ieri. Il provvedimento, temuto da giorni, è identico a quello già adottato nel I940 per il sequestro dei beni tedeschi ed italiani. Esso rappresenta una rappresaglia economica diretta esclusivamente contro gli ebrei i cui arresti ammontano già a qualche migliaio.

Stante le possibili gravi ripercussioni per la nostra collettività, ho ritenuto presentare subito a questo Ministero degli affari esteri una nota in cui prospetto i pericoli di una eventuale applicazione di misure così rigorose ed indeterminate nei confronti dei nostri connazionali e delle ditte italiane. Mentre ho fatto riserva di ritornare sulla questione ho chiesto per il momento precisazioni marcando la fiducia

che esse vengano a dissipare le nostre inquietudini. Seguo gli sviluppi della questione e mi riservo riferire. Con telespresso odierno n. 2081 2 che inoltrerò domani col corriere aereo, riferisco circa la situazione locale e l'atteggiamento delle rappresentanze estere, qui accreditate, di fronte ai continui provvedimenti delle autorità militari egiziane.

80 1 Pervenuto in pari data senza l'indicazione dell'ora d'arrivo.

81

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ANZILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2942/1175. Londra, ] 0 giugno 1948 (per. il 5).

Mio telegramma 285 1•

Allego, per documentazione, copia della Nota che il Foreign Office ha inviata oggi a questo ambasciatore sovietico in merito alla questione di Trieste2 . Come mi era stato preannunciato (telespresso di questa ambasciata n. 2518/966 del 12 maggio u.s-)3 la Nota è un sollecito ai russi affinché rendano noto il loro pensiero sulla procedura da seguire per la stipulazione di un protocollo che sancisca il ritorno del Territorio Libero all'Italia. Scopo della Nota è appunto di mantener viva la questione ed anche di mostrare che il passo alleato del 20 marzo non era destinato soltanto a influire sull'opinione pubblica italiana a scopi elettorali. Essa può inoltre essere utile, come ho telegrafato, per prevenire eventuali iniziative sovietiche.

Al Foreign Office si ritiene difficile prevedere quale potrà essere la reazione sovietica: può darsi che i russi si limitino a ripetere le precedenti argomentazioni, che rispondono negativamente o che non rispondano affatto. Non si può escludere che accettino di trattare sull'intera questione ma al Foreign Office tale ipotesi è considerata molto improbabile: se i sovietici hanno veramente l'intenzione di proporre, per i loro fini, un accordo su Trieste lo faranno in un momento in cui possono prendere l 'iniziativa e non come risposta a una sollecitazione alleata.

Aggiungo, sebbene non si riferisca direttamente alla questione di Trieste, che al Foreign Office non si esclude che a Mosca si abbiano ancora delle speranze di riconquistare in Italia il terreno perduto, profittando del momento in cui la nostra pubblica intransigenza sulla questione della revisione del trattato di pace porterà, come è probabile, ad una crisi dei rapporti fra l 'Italia e le potenze occidentali.

Tornando alla questione di Trieste, confermo che non ho motivo di ritenere che il punto di vista del Governo britannico si sia modificato nel senso di favorire ora un

2 Non si pubblica.

3 Vedi D. 14.

107 passo presso l'O.N.U. Se l'atteggiamento del Dipartimento di Stato circa l'organizzazione delle Nazioni Unite non ha subito recentissimi cambiamenti non mi sembra che neppure da parte degli Stati Uniti vi sia interesse a prendere iniziative che potrebbero segnare un passo avanti nello sfasciamento dell'Organizzazione. Può darsi che l'informazione confidenziale data dal Quai d'Orsay all'ambasciata in Parigi4 sia esatta ma, ripeto, non ho finora nessun elemento per affermarlo.

80 2 Non pubblicato.

81 1 In pari data, anticipava in sintesi le notizie qui contenute.

82

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 6430/340. Roma, 2 giugno 1948, ore 12,30.

Suo 437 1•

Proposta incaricare delimitazione definitiva confini Commissione mista formata da italiano, jugoslavo e neutrale, anche se prescinde da prima fase prevista dal trattato di pace (quella cioè dell'intervento diretto dei quattro ambasciatori) può apparire accettabile; tuttavia è da tener presente che in pratica assai difficilmente quattro ambasciatori potranno accordarsi su nomina terzo membro neutrale da scegliersi fra quelli proposti come governatore Trieste o comunque fra persone competenti che diano pieno affidamento assoluta imparzialità, requisito cui attribuiamo massima importanza

Sembrerebbe quindi preferibile, almeno in un primo tempo, che incarico delimitazione definitiva confini venisse devoluto a delegazione itala-jugoslava ai cui lavori partecipassero permanentemente rappresentanti dei quattro ambasciatori, m quali dovrebbe essere devoluta decisione in ogni caso concreto di divergenza.

83

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 6431/341. Roma, 2 giugno 1948, ore 15.

Suo 438 1 .

Questo Ministero concorda opportunità attendere risposta russa ad ultima nota tripartita di sollecito; se questa risultasse negativa, nostro punto di vista circa tre soluzioni prospettate da Dipartimento di Stato è il seguente:

82 1 Vedi D. 75. 83 1 Vedi D. 76.

l) nel ricorso ai supplenti si incontrerebbero verosimilmente difficoltà uguali a quelle che hanno impedito sinora accordo preliminare circa procedura da seguirsi;

2) proposta di cui punto b) non sembra costituire una soluzione ma semplice constatazione di uno stato di fatto il cui indefinito protrarsi recherebbe, come Alleati stessi hanno riconosciuto più volte, grave pregiudizio popolazioni interessate;

3) raccomandazione Assemblea generale O.N.U. ottenuta con maggioranza almeno due terzi appare invece soluzione preferibile perché ribadirebbe solennemente principio che tutto Territorio Libero deve ritornare sovranità italiana e potrebbe intanto autorizzare passaggio interi poteri civili Zona A ad amministrazione italiana mentre consentirebbe permanenza contingente militare anglo-americano sino a che anche Zona B fosse integralmente evacuata da truppe jugoslave2 .

81 4 Vedi D. 53.

84

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1133/266. Mosca, 2 giugno 1948 (per. il 13).

Con mio rapporto n. 942/215 del 3 maggio u.s. 1 riferivo sugli echi, diremo così esterni del risultato delle elezioni italiane in questo paese: critiche, riserve e polemiche giornalistiche.

Trascorso oltre un mese, ritengo opportuno esporre la mia impressione sull'effetto che esse, e la formazione del nuovo Governo che ne è conseguita, potranno avere sullo sviluppo delle relazioni italo-sovietiche. Parlo di impressione, tratta da indizi, dai contatti personali e dalla logica della situazione; giacché i sovietici si mantengono ermetici e, come al solito, non fanno commenti, nemmeno in via confidenziale.

Dico subito che penso questo effetto non sia in alcun modo negativo, ed anzi, potrebbe essere piuttosto positivo.

Nessun segno di malumore è trapelato dai vari uffici sovietici del Ministero degli esteri; anzi col tempo, naturalmente, i rapporti personali vanno facendosi, per quel che è possibile con questa diffidente burocrazia, più cortesi e persino qualche volta cordiali. Gli affari correnti non hanno subito ritardi, ed anzi qualcuno di essi ha fatto un più o meno lungo passo avanti: così per quel che riguarda la questione dell'ambasciata, che si va ormai risolvendo, così pure i diplomatici di Salò, per i quali vi è

84 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 641.

109 stata finalmente una proposta, accettabile o no che sia, così infine nella lotta per i visti, dove il nostro irrigidimento sulla reciprocità pare abbia portato, almeno per il momento, buoni frutti; pare sia prossima la concessione del visto d'uscita alle Cornetti, che sono state in questi giorni invitate a presentare domanda scritta a questo ufficio di polizia.

Debbo infine segnalare un episodio, che potrebbe apparire normale in qualsiasi altro paese e che invece non ha mancato di suscitare una certa sorpresa in questi ambienti diplomatici; al nostro ricevimento in occasione del 2 giugno, e pur non essendo questa la festa nazionale annuale ufficiale -e di ciò i sovietici si erano accuratamente informati in precedenza -è intervenuto lo stesso Vyshinsky, con alcuni alti funzionari di questo Ministero degli esteri.

A parte tali indizi, nella sostanza il mutamento intervenuto è solo questo: prima avevamo un Governo che dal punto di vista sovietico era considerato borghese, capitalista e scarsamente amico, e per di più era giudicato debole e non rispondente alla volontà del paese; ora abbiamo un analogo Governo rafforzato da una solida maggioranza parlamentare ed elettorale, con una prospettiva di lunga durata.

Si verifica quel che avevo già segnalato col mio rapporto del 2 ottobre 194 7,

n. 241 0/441 2; ossia, che più facilmente e più efficacemente tratterà coi sovietici un Governo italiano, quanto più avrà solidità e base nel paese anche se esso non corrisponde alle preferenze politiche dell'U.R.S.S.

Naturalmente, non si può dire che i sovietici non avrebbero preferito un Governo di sinistra o di coalizione; né che saranno disposti a subire passivamente dal Governo attuale una politica decisamente indirizzata verso blocchi ostili. Ma nella misura in cui l'Italia svolgerà una politica dignitosa e ferma nei loro confronti, e nello stesso tempo amichevole, avrà più probabilità di essere ascoltata e rispettata col Governo attuale, che con quello precedente.

Non mi resta che augurarmi che queste mie impressioni trovino conferma nel successivo svolgersi degli avvenimenti.

83 2 Per la risposta vedi D. 86.

85

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 713/10149/20241• Parigi, 2 giugno 1948 (per. il 9).

Mi riferisco al suo dispaccio n. 16273/c. del 24 maggio u.s. 2 .

L'ambasciatore Brosio si trova a dibattersi davanti allo stesso problema di fronte al quale mi sono trovato per tre anni, quello di trovare un sia pure tenue punto di contatto fra noi e l'U.R.S.S.: e ci si trova in condizioni infinitamente più difficili delle mie, in quanto durante il mio soggiorno a Mosca, le relazioni fra Russia e Stati Uniti essendo, apparentemente almeno, passabili, qualche cosa, volendo, la si sarebbe potuta fare, mentre oggi, dato lo stato delle relazioni russo-americane, il problema è praticamente insolubile.

Poiché la realtà è che le nostre relazioni con la Russia sono in connessione inseparabile con lo stato delle relazioni russo-americane; a forza di negare, con argomenti più o meno convincenti, le asserzioni comuniste che noi siamo una dipendenza americana, ci si finisce quasi per credere noi stessi: è questo uno dei guai della propaganda. La realtà è che noi, come tutti gli altri paesi di Europa, abbiamo cessato di essere indipendenti e che, dato lo stato dei rapporti russo-americani, oggi noi siamo altrettanto liberi di riavvicinarci alla Russia, come la Polonia di riavvicinarsi alla America.

Fatta questa non piacevole constatazione, non posso che condividere il parere dell'ambasciatore Brosio che la politica di revisione è la tomba di ogni nostra politica «non ostile» all'U.R.S.S. Del resto egli potrà trovare negli archivi dell'ambasciata un mio rapporto\ scritto ali' epoca della brillante trovata della firma con revisione, in cui mettevo in guardia il Governo italiano sulle conseguenze di politica estera e di politica interna della «revisione». Perché l'U.R.S.S., per nessuna ragione, può ammettere il principio della revisione -tutta la impostazione della sua politica rebus sic stantibus cadrebbe se essa accettasse il principio, anche per la minima cosa -: quindi era evidente fin dal principio che la revisione, di diritto o di fatto, là dove essa era possibile, si sarebbe potuta realizzare solo con l'accordo tacito od espresso degli altri tre, e quindi contro l'Unione Sovietica. Ironia della sorte ha voluto che l'inventore della formula firma e revisione sia stato proprio Nenni, allora ministro degli esteri, nel suo discorso se non erro di Canzo: ossia una persona che proprio tutto voleva tranne che rompere i ponti con l'U.R.S.S.

Tuttavia, la revisione del trattato essendo diventata per noi, come già per l'Ungheria di Horthy, il punto cardinale della nostra politica estera, pur restando, come prima, convinto che era la più grossa sciocchezza che noi potessimo fare, ormai è fatta e non si può più tornare indietro. E sfido chiunque a trovare un Governo italiano -eccetto naturalmente un Governo Togliatti -il quale possa rifiutare anche la più infima revisione del trattato, in qualsiasi modo la si possa ottenere, per il solo fatto che essa costituirebbe un atto ostile alla Russia: e credo che su questo convenga con me anche l'ambasciatore Brosio.

Per tutto quello che concerne il Patto occidentale ho già espresso il mio parere con il mio rapporto n. 703110144/2019 del 29 maggio u.s. 4 . L'ambasciatore Brosio ha perfettamente ragione quando dice che l'unica vera alternativa al Patto di Bruxelles sarebbe la neutralità politico-militare. Ma è possibile questa neutralità?

Vedi D. 70.

Nel 1915 effettivamente la neutralità italiana sarebbe stata possibile: l'entrare o non entrare in guerra è dipeso, allora, esclusivamente dalla nostra volontà: ma allora esisteva ancora nel mondo un certo rispetto del diritto internazionale, e soprattutto allora l'Italia rappresentava, proporzionalmente, un'entità militare suscettibile di spostare l'equilibrio esistente: nessuno dei due belligeranti aveva interesse a mettersela contro con una violazione della sua neutralità.

Nel 1940 già la proporzione delle forze, per rispetto a noi, era gravemente spostata: forse Mussolini, ma solo Mussolini, avrebbe potuto mantenere la neutralità italiana, perché forse Hitler avrebbe esitato a dichiarare la guerra al suo compagno di ideologia. Ma nessun governo italiano democratico sarebbe riuscito a mantenere l 'Italia neutrale. Anche se, il che è per lo meno dubbio, esso fosse riuscito nel 1939 a resistere al nobile impulso di volare al soccorso delle grandi democrazie per la difesa dei diritti umani, è certo che nel 1940 Hitler avrebbe occupata questa Italia democratica per misura di precauzione.

Nel 19x la sproporzione delle forze fra noi ed i due contendenti sarà tale che è assolutamente fuori questione che noi possiamo per nostra volontà restare neutrali. Questo non vuoi dire che, se Iddio ci vuole bene, non possa accadere anche che noi restiamo fuori del conflitto ma non dipenderà da noi: comunque non si può fare una politica italiana basata sul concetto di una neutralità che non siamo in grado di fare rispettare. Se vogliamo fare delle ipotesi concrete si potrebbe dire che se la guerra scoppierà per iniziativa russa, l'America pensando alla Spagna ed all'Africa del Nord come trampolino per il contrattacco, la Russia sarà inevitabilmente portata ad occupare l'Italia perché dall'Italia si possono disturbare più facilmente i preparativi americani in Africa del Nord. Se invece la guerra dovesse cominciare per iniziativa americana, con una offensiva lanciata dalla linea dell'Elba, se questa offensiva avrà dei considerevoli successi iniziali, allora, forse, sarà possibile per noi di mantenere una neutralità estremamente benevola verso gli Stati Uniti.

Nella attuale tendenza alla neutralità, in Italia, si possono distinguere due correnti, che talvolta si confondono.

Una, di origine comunista, attualmente paracomunista, intende con questo una dichiarazione unilaterale italiana di neutralità, e di neutralità disarmata. Dico comunista a ragion veduta perché la prima persona a parlarmene, in Italia, è stato Togliatti. La politica vera dei comunisti è quella di portare l'Italia nell'orbita russa; dico subito che questa politica, può piacere o meno per ragioni di gusto personale, ma è una politica che si può fare, che rientra effettivamente nel campo delle realtà possibili. Siccome, naturalmente, una politica di questo genere non la si può raccomandare al popolo italiano, next best, c'è la politica di neutralità disarmata la quale impedendo a noi, o ad altri, di fare sul territorio italiano la minima cosa che ci metta in condizioni di difenderci, permetterebbe alla Russia, il giorno che le faccia comodo, di occupare tutta l'Italia senza colpo ferire.

L'altra corrente, che è quella che rappresenta l'ambasciatore Brosio è, se ho ben compreso il suo pensiero, quella della neutralità, non solo non disarmata, ma garantita almeno dalle potenze confinanti e dalle grandi potenze, una politica di neutralità, tipo svizzero e belga prima del 1914 (ahi quale esempio!).

Ora questa politica -che io sottoscriverei con vero entusiasmo -non è purtroppo nello spirito dei tempi. Si poteva restare neutrali quando, l'umanità essendo meno virtuosa di quanto sia oggi, si faceva la guerra, onestamente, per fare una prova di forza, e per cercare di portare via a qualcuno qualche cosa di cui si aveva voglia. Ma oggi non è più così, la guerra è la guerra della virtù contro il vizio, del bene contro il male, il male essendo sempre rappresentato dal proprio nemico: e in questa impostazione morale della guerra la stessa idea della neutralità è un crimine. I primi a sostenere questa teoria, all'estremo, sono i russi: rimando a questo riguardo l'ambasciatore Brosio a tutta la abbondantissima letteratura russa sull'argomento; ma non meno violentemente la sostengono gli americani: prova ne sia le pressioni, non troppo leggere, che essi hanno fatto, in materia, presso gli svizzeri stessi proprio in occasione del piano Marshall. Comunque, per quello che concerne i russi potrei divertirmi, come esercizio di dialettica, a scrivere fin da adesso, la nota di risposta di Molotov, ad una nostra nota sull'argomento.

Aggiungo a questo che, caso mai, la politica di neutralità politico-militare garantita potrebbe essere la fine, non il principio di una politica. Perché ci fosse una minima chance di far accettare a russi ed americani l'idea della nostra neutralità bisognerebbe che noi cominciassimo in Italia, non a parlare di neutralità, ma a farci una mentalità di neutrali. Ora, che cosa ne pensi in proposito veramente l'opinione pubblica italiana, non lo so, ma se si legge la nostra stampa, e se si sente cosa dice il nostro mondo politico, è facile rendersi conto che in Italia c'è tutto quello che si vuole, meno che la mentalità neutrale.

L'essenza di un paese neutro è quella di non volere niente di più di quello che ha, di essere per lo meno rassegnato, se non contento della propria sorte. Ora noi, invece, vogliamo tutto: vogliamo Trieste, e probabilmente non soltanto Trieste, vogliamo i territori ceduti alla Francia, vogliamo le colonie, vogliamo riarmare, vogliamo partecipare all'amministrazione della Germania: non posso qui elencare tutto quello che vogliamo. Siamo ossia esattamente il contrario di un popolo che si rassegna alla sua sorte: e questo nemmeno ad un anno di distanza dalla entrata in vigore di un documento che sancisce le conseguenze per noi disastrose di due grandi guerre in cui ci siamo cacciati per volontà nostra, almeno apparentemente: figuriamoci cosa sarà fra qualche anno, quando il dolore delle botte subite sarà ancor meno sensibile. Lei stesso, che forse più di ogni altro in Italia, non ora ma sempre, è stato nemico di ogni imperialismo, di ogni nazionalismo, per poter far mandare giù all'Italia, in parte almeno la sua politica a più larghe vedute è continuamente costretto rendere almeno dei lip services a questa eterna irrequietezza italiana. Ora, se non riesce nemmeno lei altro che in parte a dare alla politica estera italiana una impronta di tranquillità, di neutralità vorrei dire, chi può sperare di riuscirei?

Se si vuole quindi, seriamente, tentare di fare una politica di neutralità, per minime che siano le chances che essa riesca anche in questo caso, bisognerebbe prima, per un certo tempo, fare una politica di grandissima tranquillità, e riuscire a creare in Italia una opinione pubblica, una concorde manifestazione di opinione pubblica neutrale. Se oggi noi facessimo a Washington e a Mosca, per non parlare delle altre capitali, una proposta di questo genere tutti, mi creda, ci vedrebbero sotto Dio sa quale trucco all'italiana, e il risultato sarebbe quello di rendere il mondo intero ancora più diffidente di quello che sia nei riguardi della nostra politica e diffidenti lo sono già e parecchio, tutti. Aggiungo, incidentalmente, che perché i russi prendessero almeno un poco sul serio questa politica, bisognerebbe dir loro, come prima cosa, che noi rinunciamo al piano Marshall, e usciamo dall'organizzazione relativa. Spero che su questo l'ambasciatore Brosio, che meglio di me ha sperimentato sulle sue spalle l'atteggiamento russo al riguardo, sia d'accordo.

L'azione proposta dall'ambasciatore Brosio potrebbe soltanto essere tentata, forse, a titolo di propaganda. Bisognerebbe cioè vedere se fosse possibile di persuadere gli americani, che, ai fini della lotta di propaganda che essi stanno facendo contro i russi, potrebbe essere conveniente di proporre, anche ai russi, una dichiarazione di neutralità, garantita, d eli 'Italia, per farsi rispondere di no dai russi. Se sia possibile di persuadere di questo gli americani, lo potrà dire l'ambasciatore Tarchiani: personalmente ne dubito. Potrebbe essere da parte degli americani una operazione molto intelligente: se i russi dicono di no, il successo mondiale di propaganda sarebbe grosso; se dicono di sì -attenzione però per noi a non fidarcene troppo -potrebbe essere un segno che i russi non sono contrari a negoziare una tregua e la cosa potrebbe aver anche qualche piccolo sviluppo. Ma appunto perché intelligente, e sottile, dubito che sarebbe del gusto del tipo di diplomazia molto differente che è cara a russi e americani.

Quanto agli effetti sull'opinione pubblica italiana, ho anche qui i miei dubbi: sulla corrente paracomunista, che è in mala fede, evidentemente non avrebbe nessun effetto; sugli onesti certamente ne avrebbe: ma temo che essi siano altissimi di qualità, ma pochissimi in numero5 .

84 2 Vedi serie decima, vol. VI, D. 551. 85 1 Ritrasmesso con Telespr. 11120297 in data 26 giugno alle ambasciate a Mosca e Washington.2 Con il quale Fransoni ritrasmetteva a Tarchiani e Quaroni la lettera di Brosio del 28 aprile per la quale vedi serie decima, vol. VII, D. 625.

85 3 Vedi serie decima, vol. IV, D. 724.

86

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 7761-7762-7763/078-079-080. Washington, 3 giugno 1948 (per. il 13).

Nel mio colloquio con il direttore degli affari politici europei, Hickerson, ho ritenuto opportuno accertare discretamente la sua opinione in merito al progetto dell'invio di una nostra missione commerciale in Russia, probabilmente capeggiata dall'an. La Malfa.

In relazione agli accenni da me fatti in merito, Hickerson mi ha dichiarato che -nonostante certi umori parlamentari e dell'opinione pubblica-il Governo americano riconosceva la necessità e l 'utilità di scambi commerciali tra Occidente e Oriente europeo, nel generale interesse della ripresa dell'economia europea e mondiale.

Al riguardo richiamo all'attenzione di V.E. le dichiarazioni di Harriman, trasmesse in allegato al telespresso di questa ambasciata n. 1973 del 28 maggio 1•

Hickerson ha per altro fatto riferimento alle condizioni poste dal Congresso circa tale problema in relazione all'esecuzione del piano Marshall e ha menzionato in particolare la sezione 117 (d) del «Foreign Assistance Act of 1948» che pone limitazioni all'esportazione verso le non partecipating countries di certe merci, prodotte con materiali fomiti in base al piano Marshall.

È indubbio infatti che la predetta legge e gli impegni che in base ad essa dovranno essere assunti (anche se -come già segnalato -non nell'accordo bilaterale, ma in uno scambio di note), limiteranno i tipi di prodotti esportabili verso la Russia.

Ho al riguardo cercato di ottenere precisazioni circa l'elenco dei prodotti la cui esportazione verso paesi al di là dell'iran curtain incontrerebbe obiezione da parte dell'E.C.A. Il Dipartimento mi ha al riguardo fatto presente che la questione è attualmente vivamente dibattuta tra le stesse amministrazioni americane (E.C.A., Dipartimento di Stato, Dipartimento della guerra) sia per quanto riguarda la interpretazione da darsi alla predetta clausola e sia per fissare l'elenco dei prodotti «obiettabili». Il Dipartimento ha aggiunto che è infatti difficile precisare nei riguardi di tali esportazioni in quali casi esse possano andare contro gli interessi of national security, come menzionato nella legge. Tra l'altro è in discussione il problema se eccepire o meno non solo contro l'esportazione verso i paesi non partecipanti di merci o macchinari del genere, derivanti dalla produzione effettuata con materiale proveniente da finanziamento E.R.P., ma anche contro merci prodotte con materiale di altra provenienza.

Quanto alla lista, le varie amministrazioni hanno prodotto diverse versioni, il Dipartimento della guerra insistendo per una lista molto comprensiva (includente tra l'altro autocarri, trattori ecc.), il Dipartimento di Stato cercando di ridurre l'elenco a pochi tipi di prodotti.

Non è da escludere quindi che potrà passare qualche tempo ancora prima che questo Governo abbia fissato il suo punto di vista in proposito. Non appena l'elenco predetto sarà definito, non mancherò di trasmetterlo a codesto Ministero, affinché in relazione all'invio della nostra missione nell'U.R.S.S., V.E. possa essere in possesso di tale importante elemento per i negoziati di detta missione.

In relazione alla corrispondenza telegrafica in argomento (telegramma codesto Ministero del 2 giugno u.s.)2 informo codesto Ministero che, nel mio colloquio odierno con Hickerson, non ho mancato di fargli presente i commenti di V.E. in merito alla risposta fornita dal Dipartimento di Stato alla nostra nota circa la delimitazione del confine italo-jugoslavo. Hickerson ha riconosciuto che non sarà facile far nominare un neutrale come terzo membro ed arbitro tra il rappresentante italiano e quello jugoslavo. D'altronde sarebbe altrettanto difficile -secondo l'opinione del Dipartimento -ottenere che i rappresentanti dei quattro ambasciatori andassero

2 Vedi D. 82.

d'accordo assistendo la commissione itala-jugoslava. Sarebbe infatti da prevedersi un perpetuarsi di contrasti tra il gruppo occidentale e il rappresentante dell'U.R.S.S. Occorrerebbe far accettare il principio delle decisioni a maggioranza. Il Dipartimento non si nasconde al riguardo che esso, per ragioni ovvie, verrà certamente opposto e rifiutato dall'U.R.S.S. e dalla Jugoslavia.

In ogni modo Hickerson mi ha assicurato che continuano gli scambi di vedute con Londra e Parigi per cercare un espediente risolutivo, sebbene non si confidi troppo di trovarne uno operante soddisfacentemente e rapidamente. Hickerson mi ha al riguardo ammesso che si tratta di una delle tante questioni di difficile soluzione per le manchevolezze, le reticenze, le imprecisioni del trattato di pace.

Ho subito tenuto a intrattenere Hickerson sulla questione di Trieste in relazione alla nuova nota degli Stati Uniti e a quella di Londra e di Parigi3 .

Contrariamente a certe impressioni formulate dal Dipartimento nei giorni scorsi, circa qualche possibilità che l'U.R.S.S. rispondesse alla nota predetta, Hickerson mi ha detto che non si prevede ora una risposta favorevole o costruttiva da parte russa; egli ha anche espresso il dubbio che non ve ne sarà alcuna. Tale opinione di Hickerson ovviamente riflette l'appesantimento intervenuto in questi ultimi giorni nella situazione dei rapporti tra gli U.S.A. e l'U.R.S.S., dopo i colpi e i contraccolpi dell'episodio della nota di Bedell Smith.

Come già telegrafato in precedenza, Hickerson mi ha ripetuto che il Dipartimento, in attesa della reazione russa, non aveva fissato ancora una precisa linea di condotta per le mosse seguenti (ricorso ai supplenti, dichiarazione congiunta angloamericana circa le truppe). Esse costituivano comunque i vari tempi alternativi di un'azione con cui si sarebbe potuto alla fine portare la questione-d'accordo con inglesi e francesi -davanti ali' Assemblea deli'O.N.U. Il Dipartimento d 'altro canto si rendeva conto della fondatezza dei nostri commenti in merito al ricorso ai supplenti e alla dichiarazione congiunta anglo-americana circa la permanenza delle truppe. Hickerson, pur riconoscendo che il ricorso all'O.N.U. avrebbe potuto costituire il passo più concreto, mi ha fatto peraltro presente che per quanto riguarda la Zona B anche una solenne raccomandazione della Assemblea di Lake Success o altre simili pressioni platoniche non avrebbero potuto portare a risultati quali da noi auspicati, e indurre la Jugoslavia -appoggiata dalla Russia -a cedere detta Zona.

In pratica, ha osservato Hickerson, una simile dichiarazione avrebbe servito a rafforzare la posizione dei tre Stati occidentali, con un gesto di solidarietà dei due terzi delle N.U. Permanendo l'occupazione militare anglo-americana, si potranno cedere i servizi tecnici, amministrativi e pubblici ad enti italo-triestini, ma non si potrà dare ali 'Italia ufficialmente il «governo» della città, almeno fino a che fatti nuovi, di decisiva importanza, non lo impongano a dispetto del trattato, il che è per ora imprevedibile.

Hickerson mi ha insomma dato l'impressione che nelle attuali circostanze questo Governo intendeva procedere per gradi e per tentativi, elaborando man mano il proprio piano d'azione. Dalla conversazione è apparso comunque chiaro che il Dipartimento considera che si dovrà per forza sfociare nelle N.U. come garanti del T.L.T. e responsabili degli eventuali adattamenti o annullamenti delle clausole del trattato divenute impraticabili.

Aggiungo che nel corso del colloquio Hickerson ha ripetutamente dichiarato che la Zona B e la Zona A erano inscindibili nel proposito degli Stati Uniti di rendere il Territorio Libero all' Ital ia4 .

85 5 Per la risposta vedi D. 2 I 7.

86 1 Non rinvenuto.

86 3 Quest"ultima parte del telegramma fu ritrasmessa (T. s.n.d. 6881 /c. per corriere del 15 giugno) alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington.

87

IL MINISTRO A PRAGA, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. l 030/634. Praga, 3 giugno 1948 (per. il l 0).

Con riferimento alla precorsa corrispondenza sull'argomento in oggetto e da ultimo al telegramma filo di questa legazione in data lo corrente1 si ha l'onore di trasmettere in allegato copia della dichiarazione presentata il 2 corrente dal rappresentante cecoslovacco al Consiglio dei sostituti dei ministri degli esteri 2 .

In conformità alle ripetute assicurazioni precedentemente date questo Governo ha espresso un parere che appoggia quasi senza restrizioni la nostra tesi. Nel consegnarmi la copia il funzionario competente di questo Ministero degli esteri ha voluto sottolineare cheil Governo cecoslovacco raccomanda l'amministrazione italiana sotto la tutela dell'O.N.U. «per il tempo che sarà necessario» senza limitazioni, ed ha aggiunto che crede di sapere che il Governo dell'U.R.S.S. farà la stessa raccomandazione indicando però il limite massimo di dieci anni.

Il capoverso cinque, che raccomanda che non venga trascurato il diritto dell'Etiopia di avere uno sbocco al mare, è redatto in forma accademica e, a quanto mi

Non pubblicata.

è stato detto, sarebbe dovuto alla opportunità di conformarsi all'analogo parere espresso dal Governo polacco.

86 4 Con Telespr. 5422/2067, pari data, Tarchiani aggiunse: «lnfonno codesto Ministero che nel mio colloquio odierno con Hickerson gli ho annunziato che stiamo negoziando trattati di commercio ed amicizia con la Grecia e la Turchia. Il che prova uno spirito di solidarietà mediterranea che può dare buoni frutti e che potrà avere, eventualmente, anche effetti politici. Hickerson e il capo de li'Ufficio italiano dd Dipartimento presente al colloquio hanno molto apprezzato questa nuova iniziativa italiana, come segno del nostro spirito di collaborazione europea, e per i benefici riflessi che essa potrà avere in relazione alla politica americana nel settore del Mediterraneo orientale». Sul medesimo colloquio vedi anche il D. 96.

87 1 Riferimento errato: non vi sono telegrammi da Praga datati l" giugno.

88

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 6517/136. Roma, 4 giugno 1948, ore 23.

Suo telespresso n. 905/396 del 19 maggio u.s. 1•

Concordo opportunità rinnovare subito passi apertura consolato Fiume soprattutto in relazione andamento opzioni. Prima tuttavia dare corso sua proposta circa ufficio di Napoli, sembra preferibile che ella riprospettasse la questione a codesto Ministero degli affari esteri nei termini di cui al telespresso ministeriale n. l 0838 del 7 aprile 1 , sottolineando che un ulteriore ritardo nel risolverla ci obbligherebbe riesaminare nostra posizione.

Da notizie qui pervenute e confermate ora dal suo telegramma 038 2 risulta che andamento opzioni si urta localmente a inconvenienti e difficoltà che vanno facendosi gravi. Apertura consolato Fiume risponderebbe quindi al comune interesse di superare difficoltà di ordine materiale inerenti lavoro opzioni, calmare comprensibili preoccupazioni degli interessati ed evitare agitazioni opinione pubblica italiana che è molto sensibile ai problemi degli optanti.

La prego di richiamare attenzione di codesto Governo, ove possibile personalmente di Simic, su quanto precede e di riferirne telegraficamente3 .

89

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 6526/346. Roma, 4 giugno 1948, ore 18,22.

Dunn mi ha chiesto quali le impressioni italiane circa riduzione assegnazioni

E.R.P.

Gli ho risposto che la stampa non poteva che tacere, come ha fatto. Come Governo, io stesso dovevo tacere ma potevo ben trovare che sarebbe utile si sapesse a Washington che le nostre richieste di mezzi e di tempo erano basate anche sulla

2 Del 29 maggio, non pubblicato.

3 La risposta di Martino non è stata rinvenuta.

necessità di ottenere risultati psicologici di grande importanza. Se questi rischiavano di scomparire si avrebbero qui danni molto più gravi di quanto a Washington s1 possa supporre.

Dunn mi è parso lieto di potere comunicare questa impressione.

88 1 Non pubblicato.

90

IL DELEGATO PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 7344-7348/568-569-570. Parigi, 4 giugno 1948, ore 16,05 (per. ore 11 del 5).

Ha avuto luogo stamane riunione privata presso Alphand dei delegati francese, inglese, italiano, belga, olandese e irlandese per scambio idee su accordo bilaterale.

Delegato inglese era accompagnato da Macins del Foreign Office giunto da Londra a tal fine. Alphand ha esposto considerazioni già segnalate con telecorriere 0136 1 e Hall Patch le ha appoggiate. Anche belgi e svedesi vi si sono associati. Si è quindi posto problema del modo più appropriato di trattare con gli americani, vista la delicatezza delle possibili reazioni. È stata abbandonata l'idea francese di chiedere al Dipartimento la collaborazione dei suoi funzionari alla elaborazione di un nuovo testo a Parigi con i Sedici. È parso invece più suscettibile di pratico risultato un contatto ufficioso di due o tre ambasciatori dei paesi partecipanti a Washington con Dipartimento Stato che si facciano tramite dei Sedici, e in consultazione beninteso con gli altri rappresentanti europei, delle principali riserve e preoccupazioni emerse nel testo proposto.

A questo punto è giunta una comunicazione telefonica da parte americana nel senso che a Washington si teneva a far presente che la data del 3 luglio è prossima e che al fine di non interrompere il flusso degli aiuti era vivamente attesa la reazione dei Sedici ai testi proposti per poter procedere sollecitamente nei negoziati bilaterali. Harriman desiderava entrare in contatto con l'O.E.C.E. al più presto. Questa comunicazione rende certo più agevole le trattative dissipando preoccupazione che da parte americana si consideri come un ganging up la discussione in seno ai Sedici. Si è perciò deciso quanto segue: oggi presidente del Consiglio Snoy e presidente Comitato esecutivo Hall Patch, ai quali si unirà Alphand, vedranno Harriman per far presente che:

l) i testi proposti sono redatti in termini tali che molti Governi non potrebbero accettarli perché non verrebbero approvati dai rispettivi parlamenti;

2) i Governi sono certamente d'accordo di stipulare accordi bilaterali contenenti clausole previste dalla legge americana, ma non altre clausole aggiuntive;

3) è necessario apportare perciò vari ritocchi ai testi proposti i cui termini generali potrebbero essere previamente esposti da due o tre ambasciatori a Washington come detto più sopra.

Predetti chiariranno anche ad Harriman che la proposta di cui sopra è tentativo e fatta nell'intento di conoscere preliminarmente la reazione di Washington prima di parlarne con i Sedici che dovrebbero riunirsi domani in seduta privata per discutere del problema. Chiariranno altresì che quanto precede sono suggestioni ufficiose fatte qui e che non impegnano ancora rispettivi Governi e che inoltre preliminare contatto dei due o tre ambasciatori a Washington non è inteso comunque ad impedire trattative bilaterali ma solo facilitare ed affrettare sviluppo.

Stanotte un gruppo di lavoro, al quale parteciperò, elaborerà principi generali osservazioni da presentare ad americani, principi che verranno presentati riunione privata dei Sedici domani per ottenere approvazione2 .

90 1 Vedi D. 69.

91

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7351/130. Atene, 4 giugno 1948, ore 23,101•

In lungo cordialissimo colloquio notificavo questo sottosegretario di Stato permanente esteri arrivo Colitto ed incarico da me dato a Commissione composta Macchi di Cellere, Colitto, Barigiani d'iniziare subito lavori accordo beni. Pipinelis mostravasi entusiasta programma che prospettavogli per rapida concretizzazione accordo, e suo carattere abitualmente freddo e riservato dimostravami per prima volta calda simpatia.

Dicevami avrebbe nominato Commissione greca composta Contumas, direttore affari politici europei, Paliaraki direttore beni nemici, nonché un funzionario ministeri tecnici. Era di opinione che parallelamente si sarebbe dovuto iniziare lavori accordo commerciale.

Propongomi tenere informato codesto Ministero andamento lavori competenti Commissione onde, seguendo lavoro, sia possibile con codesto Ministero rapida intesa qualsiasi divario -coglievo occasione speciale amichevole atmosfera per lamentarmi continue ingiuste antipatiche esplosioni anti-italiane questa stampa e proponevogli accordarci per indurre qualche organo iniziare invece opera fiancheggiamento ripristino fraterni legami due paesi -in compenso mia opera che egli

91 Manca l'indicazione della data e dell'ora di arrivo.

120 dicevami molto apprezzata chiedevogli con equo gesto personale permettere d'ora in avanti italiani qui residenti fruire loro rendite senza alcun pregiudizio regime beni sino definizione accordo. Promisemi esaminare possibilità tecniche per liberazione rendite beni e dare istruzioni ministro propaganda Ailianos, con cui prenderò contatti, sviluppare propostogli lavoro stampa.

90 2 Con T. s.n.d. 7412/575 del 5 giugno Cattani comunicò che i francesi avevano presentato il testo revisionato dell'accordo bilaterale.

92

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7365/60. Lussemburgo, 4 giugno 1948, ore 19,15 (per. ore 8 del 5).

Questo ministro degli affari esteri Bech non mi è parso molto soddisfatto, almeno per quanto riguarda particolari interessi Lussemburgo, dei risultati Conferenza Londra. Rivendicazioni di frontiere hanno urtato contro netta opposizione

U.S.A. e problema protezione dei beni alleati in Germania non fondamentalmente risolto. Anche controllo internazionale della Ruhr, nella forma prevista, sarà illusorio. A suo dire tedeschi diverranno ben presto completamente padroni del loro destino. D'altra parte era oramai evidente desiderio degli U.S.A. di potenziare Germania occidentale per farsene futura alleata.

93

LA LEGAZIONE DELLA REPUBBLICA FEDERATIVA POPOLARE DI JUGOSLAVIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 605/481 . Roma, 4 giugno 1948.

La Légation de la République Fédérative Populaire de Yougoslavie présente ses compliments au Ministère des Affaires Etrangères et, se référant à la conversation de

S.E. Monsieur le Ministre Ivekovié avec S.E. Monsieur le Ministre Sforza, en date du 25 mai a.c., et avec S.E. Monsieur le Ministre Zoppi, en date du 3 juin courr., a l'honneur de lui communiquer ce qui suit:

Le Gouvemement de la République Fédérative Populaire de Yougoslavie, dans le désir de donner la preuve de sa bonne volonté, qu'il a toujours demontré en vue

de resoudre la question de la délimitation entre l'Italie et la Yougoslavie par l'accord direct, propose l'initiation immédiate des travaux de la Commission Mixte sur le terrain des sections de la frontière designées dans l'Art. 3, paragraphe l et 2 du Traité de Paix. Cette partie de la frontière y est decrite clairement et indiscutablement et la question de procédure ne s'y pose pas, parce que sur les cartes (dont l'échelle de proportion est l :25000) que seront utilisées par la Commission, la ligne frontalière de la section indiquée est déjà signalée partiellement comme la frontière determinée par le Traité de Rapallo et partiellement comme l'ancienne ligne administrative entre les provinces de Frioul et de Gorizia.

Dans le cas où le Gouvernement italien serait d'accord avec la proposition susexposée, !es travaux dans cette section de la frontière pourraient ètre accomplis pendant la saison d'été, étant donné que la situation du terrain ne permet pas la continuation des travaux pendant l 'hiver. De cette façon o n ne devrait pas perdre temps jusqu'à ce que la solution de la question de divergence entre !es délégations soit trouvée. Au cours de ces travaux !es deux Délégations pourraient trouver l'occasion et le temps nécessaire pour examiner de nouveau, en ésprit d'accord, les modalités des travaux pour l'autre partie de la frontière.

En lui communiquant ce qui précède la Légation de la République Fédérative Populaire de Yougoslavie saisit cette occasion pour renouveler au Ministère des Affaires Etrangères l'assurance de sa haute considération.

93 1 Sforza con L. 5/4541 in data 18 giugno trasmise la presente nota verbale, unitamente a quella di cui al D. 125, agli ambasciatori di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e U.R.S.S.

94

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

T. 6546/99. Roma, 5 giugno 1948, ore 16,30.

Suo telegramma 113 1•

È stato fatto presente a questo mm1stro egiziano gravità eventuali misure di carattere economico nei confronti di israeliti di cittadinanza italiana residenti m Egitto.

Si è particolarmente sottolineato che opinione pubblica italiana non avrebbe potuto ammettere nuove misure sequestro nei confronti di beni italiani dopo che Governo egiziano aveva proceduto sblocco ricevendo da Governo italiano contropartita notevole entità e che quindi tali misure avrebbero potuto provocare gravi conseguenze non solo nei confronti accordi esistenti ma in relazione future trattative commerciali.

Ministro Egitto, che s'è reso conto nostre osservazioni, ha promesso telegrafare subito suo Governo.

94 1 Vedi D. 80.

95

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 886 SEGR. POL. Roma, 5 giugno 1948.

Faccio riferimento al tuo rapporto 29 maggio n. 708/1 O144/20191• Esso parte da premesse inesatte e in conseguenza inesatta ne è l'impostazione che risulta una continua battaglia contro i mulini a vento.

Il promemoria inviato alla nostra ambasciata a Washington2 non contiene delle «condizioni». Esso indicava solamente la necessità di ottenere l'appoggio americano, anche dopo le elezioni, per raggiungere determinati obiettivi, tra l'altro anche in vista di preparare l'ambiente ad una nostra eventuale adesione al Patto a Cinque, adesione di fronte alla quale il paese (come constaterai tu stesso venendo qui) è perplesso e portato a giudicarla per lo meno non attuale.

Non si tratta, ripeto, di condizioni ma di «atmosfera». Bevin ebbe a dire a Gallarati Scotti che egli è sempre favorevole alla inclusione del l 'Italia, ma che, comprendendo la nostra situazione non intende fare pressioni, bensì lasciare al popolo italiano di maturare l'idea e di aderire al Patto quando sarà convinto dell'opportunità di compiere questo passo che Bevin stesso giudica importante e grave in quanto, una volta compiuto, non ammette pentimenti o ritomP.

In queste condizioni non è mai stato neppure nostro intendimento forzare la situazione e precipitare i tempi, sia all'interno che all'estero, e, come tu ben sai, ci siamo guardati dall'assumere iniziative al riguardo: ciò risulta anche dalle istruzioni che ti furono a suo tempo inviate di mantenere eventuali promesse di impegni (tue conversazioni con Chauvel) nell'ambito economico4 .

D'altra parte il promemoria inviato a Washington non ha per ora avuto seguito, in quanto si è incrociato con la venuta qui di Tarchiani, cui sono state date nuove direttive suggerite dali' evolversi della situazione. È chiaro infatti che, dopo la presa di posizione delle cinque potenze, contrarie, per le ragioni che tu esponi e che conoscevamo benissimo, a premere per una nostra adesione al Patto di Bruxelles, l'impostazione da darsi alla questione cambia.

In realtà quindi non abbiamo per nulla cavato le castagne dal fuoco per gli altri, ma sono gli altri (e cioè i Cinque) che le hanno cavate per noi di fronte agli americani i quali risultano i più interessati a una nostra presa di posizione e ai quali possiamo presentarci dicendo che la colpa di questa mancata presa di posizione non è nostra.

95 Vedi D. 70.

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 644, Allegato l.

3 lbid. D. 645.

4 Ibid., DD. 507 e 553.

Ne usciamo perfettamente illesi anche dal punto di vista della «dignità» e tatticamente a posto. Si converserà quindi tra Roma e Washington e ne vedremo gli sviluppi, e ti terremo informato. Un punto mi occorre ancora chiarire ed è che siamo perfettamente d'accordo con Bevin nell'apprezzamento che egli fa.

Non può un governo democratico non tener conto dell'opinione pubblica e questa è stata scottata dalle fregature che ha ricevuto dall'Occidente, e già sente il calore di quelle che l'Occidente ancora minaccia di prepararle. D'altra parte è chiaro che una nostra adesione al Patto di Bruxelles costituisce un matrimonio cui ci si deve avviare senza pericoli e timori di malintesi e recriminazioni, ma con piena fiducia che nulla ci dividerà, almeno per un pezzo, dalla cinque mogli che andremo a sposare. Nei confronti dell'Inghilterra la questione coloniale rischia, se non sarà risolta soddisfacentemente, di provocare una nuova grave crisi itala-inglese che sarebbe in assoluto contrasto coi sentimenti che devono esistere tra due membri di una alleanza come quella di Bruxelles.

Meglio quindi trovare prima una soluzione soddisfacente o qualche affidamento sicuro per una tale soluzione che non rischiare poi fratture nell'alleanza qualora a questa si dovesse arrivare n eli 'ulteriore corso degli eventi.

96

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 5485/2104. Washington, 5 giugno 1948 (per. il 15).

A seguito dei colloqui avuti con il presidente del Consiglio e con V.E. nel mio soggiorno costà, ho provveduto, al mio ritorno, a intrattenere sull'argomento delle relazioni tra Italia e Stati Uniti e sulla situazione dell'Italia, specialmente in vista dei problemi che ad essa si pongono per la sua sicurezza, il direttore generale degli affari politici del Dipartimento di Stato, J. Hickerson1• Mi riprometto di vedere al più presto altri esponenti del Dipartimento. Ho però ritenuto opportuno, nella fase attuale, prendere il primo contatto, dopo il mio ritorno, con Hickerson in vista delle istruzioni riportate da costà di procedere con approcci preliminari e con le necessarie cautele. Da Hickerson mi è stato infatti più facile ottenere informazioni sulla situazione, senza dover prendere impegni per conto nostro, pur illustrandogli il punto di vista italiano.

Assicurazioni e garanzie. A proposito delle relazioni italo-jugoslave a Trieste e sul confine orientale, e delle difficili soluzioni dei problemi controversi, ho rifatto presente ad Hickerson la necessità di reiterare -precisandola -una dichiarazione di garanzia del confine orientale italiano (Territorio Libero compreso).

Mi ha risposto che in via provvisoria le nette affermazioni di Truman del 12 marzo '472 -in occasione della richiesta di crediti straordinari per la Grecia e la Turchia -e del 18 marzo '483 col messaggio che domandava il riarmo degli Stati Uniti per la salvaguardia dei «paesi liberi» e decisi a difendersi, gli sembravano sufficienti a rassicurare il Governo e l'opinione pubblica italiana.

Hickerson ha al riguardo espresso la convinzione che entro il mese di giugno sarebbero state approvate definitivamente dalle due Camere le mozioni già note a VE. (mio telespresso n. 5440/2055 del 3 giugno u.s.)4 . Dette mozioni contenevano implicite le garanzie del Governo americano per i Cinque e automaticamente erano applicabili anche all'Italia «se l'Italia vorrà rimanere -e nessuno ne dubita -un paese libero e deciso a difendere la sua indipendenza». Stati Uniti e U.R.S.S. Nei riguardi del Patto occidentale, delle garanzie americane ed anche dei crediti ingenti per il riarmo degli Stati Uniti in corso di esame da parte del Congresso in questi giorni, ho cercato di appurare da Hickerson l'effettivo stato attuale delle relazioni tra Washington e Mosca, tenuto conto della mossa di Bedell Smith5 e delle sue conseguenze polemiche e pratiche.

Hickerson mi ha chiaramente detto «siamo al punto di prima». Bedell Smith aveva l'incarico di far presenti a Mosca i punti sui quali gli Stati Uniti non avrebbero potuto transigere, e che potevano rappresentare un pericolo di guerra, perché il Kremlino ne prendesse buona nota. Il Governo americano aveva avuto infatti l'impressione che una possibilità di conflitto fosse tutt'altro che lontana e aveva inteso, con tale precauzione, ben fissare le responsabilità e chiarire le posizioni rispettive.

Hickerson mi ha poi ripetuto l'argomento che è stato anche ufficialmente messo in luce in discorsi di esponenti responsabili di questo Governo (vedi tra l'altro i discorsi tenuti da Marshall a Portland e dal Counsellor del Dipartimento, C. Bohlen in Arizona, di cui ai miei telespressi n. 5403/2048 del 3 e n. 5414/2059 del 3 corrente)6.

Hickerson ha infatti tenuto a farmi presente che nell'appunto scritto che Bedell Smith aveva successivamente consegnato a Molotov dietro sua richiesta -erano contenute frasi che furono invece omesse nelle divulgazioni e pubblicazioni ufficiali

3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 449.

4 Non pubblicato, ma vedi D. Il.

5 La documentazione sul passo statunitense e la risposta di Mosca è edita in Foregin Relations of the United States, 1948, vol. IV, Eastern Europe; the Soviet Union, Washington, United States Govemment Printing Office, 1974, pp. 847-858.

6 Non pubblicati.

sovietiche, quali quella relativa «alla possibilità in cui il Governo sovietico si trovava di alleviare molte situazioni che oggi pesano così gravemente su tutta la vita internazionale e alla speranza che il Governo sovietico avrebbe approfittato di questa possibilità». Mosca, invece, ha impiantato tutta una speculazione sia per fuorviare l'opinione pubblica americana, sia per seminare discordia tra gli Alleati, sia infine per dar l'impressione che l'America-debole-ricercasse un compromesso-scappatoia. Sta il fatto che il passo di Bedell Smith era dal Governo americano -e dev'essere oggi -visto come un atto di forza e non di debolezza, in quanto tale da porre l'U.R.S.S. di fronte alle sue responsabilità.

L'atteggiamento sovietico -ha detto Hickerson -ha confermato il Dipartimento nel pensiero che non si possa neppure avvicinare I'U.R.S.S in piena buona fede, senza creare equivoci e peggiorare anziché migliorare le situazioni già scabrose. Da ciò deriva la nuova situazione che non è certo migliore della precedente, sebbene molti ne deducano impressioni ottimistiche, non confortate da alcun elemento concreto.

Non sappiamo ora -ha continuato Hickerson -quali siano le intenzioni sovietiche. Da una parte le cose a Berlino sono di nuovo assai oscure, specie in seguito alle decisioni dei Sei a Londra a proposito dell'organizzazione della Germania occidentale. A Vienna non rischiarano. In generale, l'atteggiamento jugoslavo non è confortante con la cacciata degli elementi moderati dal Governo e la sostituzione di ambasciatori ragionevoli a Londra ed Ankara. D'altro canto l'atteggiamento ufficiale jugoslavo nei confronti degli Stati Uniti sembra più conciliante.

Neppure può dirsi che vi siano in generale sintomi minacciosi di movimenti militari o di particolari preparativi bellici. In Grecia le cose vanno meglio; ma la Grecia non è ora l'epicentro dell'interesse sovietico. Oltre la Germania e l'Austria, la Turchia e l'Iran occupano piuttosto l'attenzione di Mosca.

Insomma non ci sono segni che la Russia voglia migliorare le relazioni con gli Stati Uniti. Perciò il Governo americano continua fermamente nella sua strada di riarmo, di garanzie e aiuti agli Stati non comunisti amici.

Posizione italiana. A questo proposito ho esposto a Hickerson la posizione italiana e la condizione di porta aperta in cui si trovano la valle del Po e la costa adriatica tra il sistema difensivo greco-turco-iraniano da un lato, e quello occidentale a Cinque che si sta organizzando dall'altro. Ho fatto presente a Hickerson la necessità che gli Stati Uniti prendano in massima considerazione questa situazione di debolezza nostra, nell'interesse particolare italiano e in quello generale della sorte dell'Europa occidentale o del Mediterraneo.

Hickerson ha risposto che gli Stati Uniti se ne preoccupano vivamente e sono convinti che Inghilterra e Francia, nonostante la ritrosia di oggi a prendere impegni, non tarderanno a dar prova che esse considerano la salvaguardia del! 'Italia come un caposaldo della difesa occidentale e come una necessità imprescindibile della propria sicurezza. Egli ha anzi lasciato intendere, senza dirlo esplicitamente (né io avevo interesse a spingerlo sulla via di tale confidenza perché non ero in grado di esporre a mia volta un netto proposito italiano al riguardo), che gli Stati Uniti si adoperano a Londra e Parigi a tal fine. Hickerson ha spiegato il discorso di Bevin come derivante dal fatto che gli Stati Uniti non hanno preso impegni con i Cinque, proprio come non ne hanno presi -in senso pratico ed effettivo -con l'Italia. Inglesi e francesi non sanno dove potranno arrivare e si dimostrano piuttosto ansiosi ed agitati. Entrambi però -mi ha detto Hickerson -in relazione ai sondaggi americani, hanno lasciato intendere che la posizione italiana era da essi considerata integrante le altre della difesa occidentale. Occorre naturalmente organizzare tempestivamente e adeguatamente tale difesa: nel quadro di essa l'Italia avrà le garanzie politiche e gli aiuti militari necessari. Infatti -siccome gli Stati Uniti non intendono prescindere dalla posizione europea e mediterranea dell'Italia nella difesa degli interessi e degli ideali comuni-estenderanno all'Italia tutte le garanzie e tutti gli aiuti che verranno accordati ai Cinque.

Hickerson mi ha fatto presente che occorre naturalmente qualche settimana ancora prima che sia definita la sistemazione delle relazioni giuridiche e pratiche degli Stati Uniti con i Cinque e ha aggiunto che ci conveniva quindi attendere che a tale sistemazione si giungesse per sollevare e risolvere il nostro problema. In relazione alla definizione dei rapporti con i Cinque, Hickerson ha espresso la fiducia che una soluzione, e favorevole, sarebbe stata raggiunta, e con effetto vantaggioso anche per noi.

Ho ritenuto opportuno esporre in dettaglio il colloquio con Hickerson costituendo esso la prima occasione in cui si è parlato di garanzie e aiuti militari da dare al sistema protettivo dell'Europa occidentale ed eventualmente all'Italia. A tale riguardo mi permetto di attirare l'attenzione di V.E. sul testo del rapporto (trasmesso in allegato al telespresso di quest'ambasciata n. 5410/2055 del 3 giugno u.s. 7 con il quale la Commissione degli affari esteri del Senato ha sottoposto all'Assemblea plenaria il progetto da essa approvato). Invio anche la relazione su analogo argomento del congressman Eaton, presidente del Comitato degli affari esteri della Camera6 . V.E. rileverà dai testi in questione che lo scopo principale a cui viene fatto esplicito riferimento nell'illustrare le mozioni predette, è quello dell'«esercizio effettivo dell'auto-difesa individuale e collettiva contro l'aggressione». Analogamente viene varie volte ribadito che l'auto-difesa individuale e collettiva, è fondamentale per l 'indipendenza e l'integrità dei membri delle Nazioni Unite.

È appunto per riaffermare tale principio e per «rimuovere qualsiasi pericolosa errata interpretazione che possa ispirare aggressori potenziali», che il Governo americano si dispone a votare le mozioni di cui sopra, che «non sono dirette contro nessuno e non minacciano nessuno essendo soltanto dirette contro l'aggressione».

Mi pare quindi che sia ad abundantiam illustrato in tali documenti il carattere difensivo del sistema di garanzie in esame presso il Congresso americano e che possa quindi in tale quadro essere elaborato ogni nostro studio riferendosi al sistema predetto.

96 1 Vedi anche il D. 86.

96 2 Vedi serie decima, vol. V, D. 193.

96 7 Non pubblicato, ma vedi D. 38.

97

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 6603/348. Roma, 6 giugno 1948, ore 12,30.

Mio telegramma 339 1 .

Questo Ministero sta procedendo con ogni urgenza esame emendamenti accordo bilaterale di cui suo telegramma 4492 e rapporto 19823 giunto oggi. Mentre mi riservo comunicarle al più presto nostre osservazioni informola che ieri ambasciatore Dunn mi ha consegnato seguente appunto:

«Reference negotiations currently taking piace Washington between our Govemments for bilatera) agreement under terms Economie Cooperation Act United States Govemment wishes direct attention once again to fact that if bilatera! agreement between Govemments is not concluded by July 3 1948, including ratification by Italian Parliament, Economie Cooperation Administrator will have no choice but suspend assistance ltaly until such time as agreement may be concluded.

Although United States Government considers desirable and helpful that severa) bilatera! agreements be discussed informally Paris among participating countries members O.E.E.C., it is nevertheless believed such discussions should be concluded soon as possible in order permit bilatera) negotiations with United States be resumed at an early date.

As Ministry is aware, negotiations between our Govemments are being conducted Washington, although it is contemplated that formai signature will take piace Rome. The United States Govemment is not prepared negotiate these bilatera! agreements Paris».

98

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 5500/2119. Washington, 6 giugno 1948 1•

Il segretario generale mi ha trasmesso il 24 maggio un rapporto riservato (16273/c.) da Mosca, a lei indirizzato dall'ambasciatore Brosio (28 aprile 1948)2

128 aggiungendo che sarebbe gradito al Ministero conoscere il mio pensiero sulle considerazioni in esso esposte.

In verità le mie opinioni al riguardo sono note, perché furono oggetto di varie relazioni, lettere e conversazioni anche recentissime. Ma poiché il rapporto di Mosca pone interrogativi e problemi specifici, ritengo opportuno ribadire il mio parere sui punti salienti del rapporto in questione.

Esso risponde principalmente a due commenti dell'ambasciatore Quaroni, da Parigi, sul Patto di Bruxelles3 , dichiarandosi «interamente d'accordo con la premessa: noi siamo Europa occidentale e vogliamo restarci»; soggiungendo però che si tratta, come per il piano Marshall, d'una «solidarietà spirituale ed economica».

È doveroso riconoscere che l'ambasciatore Brosio all'inizio del suo rapporto, e poi lungo il suo corso e alla fine, dichiara che il suo è «inevitabilmente un punto di vista unilaterale». (In altro rapporto egli ha dato infatti un vivido e desolante quadro dell'isolamento in cui è costretto a vivere un ambasciatore straniero a Mosca).

Detto questo, debbo osservare che -in tempi grossi e nella nostra presente situazione -è piuttosto difficile e forse anche impossibile «essere Europa occidentale» (cioè, più esattamente, «sistema atlantico») soltanto nel campo «spirituale ed economico», ammesso, e non concesso, che ci possa essere, specie in questa ardua svolta del mondo, una solidarietà «spirituale ed economica» indipendente dalla politica e dalle sue esigenze.

Tanto è vero che, subito dopo, il rapporto loda la nostra cautela nel richiedere -per un più lungo passo futuro -parità morale, riarmo, colonie, che non son certo soltanto elementi spirituali ed economici.

L'ambasciatore Brosio si preoccupa doverosamente che una nostra adesione al Patto occidentale «senza o contro il consenso di Mosca» possa rappresentare <<Una politica attivamente ostile», «un vero e proprio pugno in faccia» per l'U.R.S.S. E poiché non è facile presumere che si possa eventualmente aderire col consenso di Mosca ad un Patto occidentale che Mosca depreca e condanna, la sola «vera e seria alternativa da porre almeno in via eventuale al blocco occidentale non può essere secondo il rapporto -che la neutralità politico-militare».

Esponendo questo suo parere, l'ambasciatore sembra partire dal concetto che l'Italia possa godere tranquillamente e abbondantemente dell'E.R.P. (di cui è una delle tre maggiori beneficiarie) senza alcun'altra preoccupazione o cautela; anzi precisa che l'adesione italiana ad usufruire dei benefici dell'E.R.P. «può bastare» ad esimerla da qualsiasi onere. Interpretazione che sono indotto a stimare -da questo diverso osservatorio -del tutto estranea alla realtà.

Secondo il rapporto da Mosca «collaborando al piano Marshall noi non siamo più isolati, ma già facciamo parte della comunità occidentale europea; l'Europa e gli Stati Uniti hanno vitale interesse a non (asciarci soli ed esposti all'espansione sovietica». Ma come possiamo praticare questa «collaborazione, trame vantaggi cospicui e in ogni modo necessari, ed assicurarci contro l 'isolamento, adottando un atteggiamento di «neutralità politica e militare» che abbia il «consensm> di

Mosca, quando lo stesso ambasciatore Brosio confessa che «non s'illude sarebbe bene accolta dal Kremlino una posizione politica d'un'Italia non comunista, fermamente democratica in senso occidentale, e tuttavia disposta ad offiire ali 'Unione Sovietica una politica, nei limiti del possibile, amichevole»?

A proposito della neutralità, il rapporto di Mosca spiega che «le elezioni italiane sono la riprova che noi non dobbiamo temere l'isolamento». Non si domanda però quali forze abbiano decisamente contribuito alla vittoria di una corrente, forze che certo non opererebbero se ci fermassimo alla solidarietà spirituale e alle formule atte ad ottenere (ma non per certo) il consenso di Mosca.

Il rapporto dà quindi qualche argomento in favore della possibile neutralità:

a) nel 'I 5 e nel '40 potevamo rimanere neutrali. (Eravamo relativamente forti, armati e, con sacrifici, capaci di vivere coi nostri mezzi. La neutralità presuppone adeguata forza militare e sufficiente indipendenza economica. È noto quanto si sia lontani da queste due condizioni);

b) le linee strategiche dell'eventuale conflitto non passano per l'Italia. (Le linee strategiche passano generalmente per le porte aperte e per le vie di minore resistenza);

c) l'U.R.S.S. non ha interesse di fare dell'Italia una base americana. (Proprio per questo, eventualmente, gli americani l'avrebbero);

d) gli Stati Uniti «che sanno di non poterei difendere in caso di conflitto» ... «intendono anzitutto che l'Italia non cada nell'orbita comunista intatta e senza difesa». (Per accogliere questo ragionamento bisognerebbe che gli Stati Uniti credessero che l'U.R.S.S. rispetta le neutralità dei suoi vicini; poi che il miglior modo di salvare l'Italia dalla espansione sovietica è proprio quello di )asciarla senza difesa. L'ambasciatore vuole, giustamente, che ad un'eventuale «garanzia giuridica» americana si accompagni «la possibilità concreta di una difesa militare efficace». Ma com'è possibile assicurare tanto la «garanzia giuridica» quanto la «difesa militare», se ci si mette in una posizione di «neutralità» suscettibile di ottenere il «consenso» di Mosca?).

Il rapporto sostiene quindi che la posizione di neutralità «è la sola che consenta d'impostare di fronte all'Unione Sovietica, nonché di fronte ad una notevole parte dell'opinione pubblica italiana e mondiale, il problema della revisione (specialmente riarmo e colonie, e probabilmente anche Trieste)». Ma a tale scopo mi sembra non debba dimenticarsi che le soluzioni dei problemi che elenca -compreso quello di Trieste, occupata dagli anglo-americani -dipendono tuttavia più dalle decisioni occidentali che non da quelle orientali.

Se la neutralità italiana -il rapporto continua -fosse considerata a Mosca «come può darsi e sarà anzi probabile» quale posizione ostile all'U.R.S.S., «il nostro diritto di riarmare si porrebbe su basi difficilmente discutibili».

Riarmare? Con quali mezzi? È chiaro che parlando di riarmo, non si può assolutamente prescindere dalla realtà economica italiana, dallo stato del bilancio, dallo squilibrio degli scambi, dai deficit relativi, dal mercato di approvigionamento delle materie prime, dagli elementi che incoraggiano ad assistono il lavoro e la produzione italiana. È possibile supporre che un riarmo adeguato, in queste condizioni, e sotto gli auspici e con gli aiuti dell'Occidente -per essere generici sarebbe realizzabile quando lo scopo di tale riarmo fosse principalmente quello di proclamare una neutralità che avesse il «consenso» della Russia, o che eventualmente non riuscisse neppure ad averlo?

La nostra neutralità armata permanente, di cui tratta il rapporto, appare un mito quando si rifletta alle condizioni economico-finanziarie in cui l'Italia si dibatte e si dibatterà ancora per parecchi anni, e se si considera a che cosa ammontano le spese militari degli Stati in grado di assicurarsi e di assicurare ad altri una adeguata difesa, entro un certo e purtroppo non breve limite di tempo.

Anche se potessimo rivedere o sopprimere di fatto le clausole militari del trattato (il che dipende sempre più dagli Stati occidentali che non dall'U.R.S.S.), non potremmo riarmare-come riconoscono i tecnici-altro che con l'aiuto degli Stati Uniti, i soli che possano fornirci le materie prime, le macchine, i frutti costosi delle loro ricerche tecniche e scientifiche, tutti elementi indispensabili per organizzare una difesa progressivamente efficiente. Quindi è puramente teorico invocare la «neutralità armata» e tanto più allo scopo di mantenere una posizione che soddisfi tanto coloro che dovrebbero aiutarci a crearla, quanto i loro supposti avversari.

Sono equilibri impossibili che preludono capitomboli; specie in periodi storici come il nostro in cui posizioni politiche esasperate non ammettono (per le potenze secondarie maggiori e perciò considerate interessate ed utili in un sistema difensivo) atteggiamenti di lunga incertezza che possano far nascere sospetti di doppi giochi.

Perciò, mentre la neutralità disarmata -a tutto rischio e pericolo nostro -è praticamente possibile, quella «armata permanente» presenta insormontabili difficoltà, sì che non se ne vedono per ora le ben che minime probabilità di effettuazione.

È evidente che tutto il Patto occidentale è una formazione difensiva e la tradizione americana e gli atteggiamenti franco-inglesi ne sono garanzia; non si può pretendere o sperare però -come il rapporto di Mosca ottimisticamente immagina -che gli Stati Uniti debbano considerare con uguale simpatia ed «abbandonare sospetti e diffidenze» sia rispetto a quelli che vi aderiscono, sia rispetto agli altri che -pur bene stretti al piano Marshall ed avendo usufruito ed usufruendo di varie altre provvidenze americane -vorrebbero, al tempo stesso, chiudersi in una neutralità che possa, anche in via di dannata ipotesi, soddisfare Mosca.

Una tale visione delle cose europee e mondiali -anche se del tutto augurabile -può forse avere aspetti verosimili da uno spiraglio dell'osservatorio orientale; ma appare invece inconsistente rispetto alla realtà quale può essere esaminata ed è generalmente valutata da Parigi o da Washington.

Da quest'ultima capitale ho il dovere di far presente che la salvaguardia dell'Italia -come io posso vederla ed intenderla -dipende piuttosto dall'agganciamento solido a forti, sicure ed efficienti amicizie, con ogni dovuta garanzia, ed al riarmo effettivo e sufficiente per la difesa dei nostri confini, del nostro mare e del nostro cielo, lungo le sole vie pratiche per le quali può essere realizzato.

Supporre, nelle nostre attuali condizioni, che una neutralità disarmata ci proteggerebbe, mi sembra molto audace. Di una neutralità armata, sul serio, mi sembra poi non sia il caso di parlare per molti anni, soprattutto se essa dovesse realizzarsi a dispetto di chi ci assiste e ci sostiene nella prolungata crisi del dopoguerra.

97 1 Vedi D. 78. 2 Del 4 giugno, con il quale Tarchiani aveva trasmesso la risposta del Dipartimento di Stato ad alcune osservazioni italiane circa l 'accordo bilaterale. 3 Non rinvenuto. 98 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 625.

98 3 Jbid., DD. 507 e 542.

99

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7487/125. Belgrado, 7 giugno 1948, ore 10 (per. ore 7,30 dell'B).

Bebler ha voluto personalmente comunicarmi che Governo jugoslavo ha oggi espresso ufficialmente parere favorevole per amministrazione fiduciaria italiana su nostre colonie.

100

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1011. Belgrado, 7 giugno 1948 (per. il 10).

Ritengo opportuno segnalare alla particolare attenzione di VE. l'attuale momento della situazione interna jugoslava, sopratutto per quella influenza che potrà avere in futuro nei rapporti internazionali.

Fino a tempo recente i temi della propaganda erano l'esaltazione dei successi raggiunti dal nuovo regime e la lotta contro le residue opposizioni, che si conclusero, per restare nel campo delle personalità, con la condanna di Jovanovich accusato di essere in relazione con Macek.

Questi ultimi tempi sono stati invece caratterizzati da una «riflessione» sul «sistema» che ha condotto ad acerbe critiche sul funzionamento dell'apparato economico e ad una epurazione di uomini del regime, epurazione che, secondo le impressioni, non sembra ancora finita e che potrebbe avere particolari sviluppi dopo il congresso del Partito comunista che avrà inizio, come annunciato vistosamente sulla stampa, il 25 luglio.

Sono così emersi sintomi di una vera crisi, che in un regime parlamentare potrebbe definirsi crisi di esistenza, ma che in un regime autoritario e totalitario come questo appoggiato dalla Russia, può meglio considerarsi una crisi di consolidamento.

Sta di fatto che nonostante gli apprezzabili risultati di una politica diretta da un Governo autoritario e che ha una concezione più unitaria dei problemi del paese, ne è emersa improvvisamente la parte negativa, che questi dirigenti attribuiscono a colpe di uomini, senza sospettare che possa trattarsi di difetti ineliminabili del sistema.

Si è così determinato un accentuato nervosismo e una vaga sensazione di regime in pericolo che ha condotto a improvvise e drastiche reazioni quali le condanne a morte nel recente processo di Lubiana, la defenestrazione dei ministri,

l'allontanamento del vice ministro degli esteri sig. Velebit, l'arresto del vescovo di Mostar, l'accentuata politica anticlericale, le continue e quasi quotidiane condanne di cosiddetti «sabotatori» nel campo economico-sociale, la soppressione con metodi pressoché violenti del piccolo commercio. Tutti fatti che ho avuto l'onore di comunicare a codesto Ministero in questi ultimi tempi.

Non è escluso che lo stato di disagio sia stato anche determinato dagli insuccessi che in questi ultimi tempi ha segnato la politica estera di questo paese, quali: la dichiarazione tripartita per il ritorno del Territorio Libero di Trieste ali 'Italia, la revisione delle richieste per la Carinzia, il risultato delle elezioni italiane (insuccesso del Cominform!), il mancato accordo commerciale con l'Inghilterra, frustrato in gran parte dagli accordi che quest'ultimo paese ha concluso con la Polonia e con la Russia.

Insuccessi ai quali non si è potuto sopperire con una convinta esaltazione di una politica forte, data l'attuale prudenziale politica russa che, se può essere considerata tattica circa le recenti dichiarazioni per una distensione con l'America, si concreta però visibilmente nel mancato impegno a fondo nella guerra civile greca.

Se i sintomi della crisi sono apparsi evidenti dalla «energia» della cura, la diagnosi risulta soprattutto dai lunghi discorsi che il presidente della Commissione dei piani, sig. Kidric, e il vice presidente del Consiglio, sig. Kardelj, hanno fatto recentemente al Parlamento.

«Non credere nelle forze economiche del nostro paese, ha detto dogmaticamente Kidric, è come non credere nella possibilità di edificare in esso il socialismo e viceversa». Questa frase, diretta -in alto -agli uomini di poca fede, è la sintesi significativa delle requisitorie di Kidric e di Kardelj.

Sfrondati della generica esaltazione per il sistema, per il genio del capo, per la certezza della vittoria, tali discorsi, particolarmente aggressivi, sono rivelatori del travaglio che attraversa la nuova struttura economico-sociale.

Kid1ic ha denunciato l'esistenza di elementi che «tentennano, capitolano», di nemici (interni) che «diffondono la sfiducia nel successo».

Ma se si spiega, e ciò è ortodosso, l'incitamento alla lotta contro gli elementi capitalistici della campagna, gli speculatori del commercio, i tecnici che, «avendo studiato all'estero», sono della opinione che la capacità produttiva jugoslava sia arretrata, meno ortodossi, per quanto inconsciamente tali, appaiono gli attacchi («è ora di farla finita!», ha detto Kidric) contro enti economici statali, e persino contro le autorità delle repubbliche federate, e soprattutto l 'incitamento delle masse alla lotta contro la burocrazia, quasi dimenticando che enti statali e burocrazia, cardini della struttura socialistica, sono stati per la maggior parte organizzati, nel loro funzionamento e negli uomini, dal nuovo regime jugoslavo.

Se a questo si aggiunge l'esposizione dei risultati negativi, messi in evidenza tanto da Kidric che da Kardelj, sulla quantità e sulla qualità della produzione di molte industrie, e nel campo del commercio interno ed estero, è agevole essere condotti a riflettere se si tratti veramente di colpe di uomini o di vizio sostanziale della struttura socialistica, quantomeno perché non adattabile alla natura degli uomini. E si spiega come anche uomini che pure questo sistema hanno propugnato e lo hanno vissuto, oggi «tentennino e capitolino» e vadano incontro alla sorte toccata ai ministri Hebrang e Zujovic.

Accanto a questa avvertita crisi di struttura, si parla anche, ma è più difficile afferrarla, di una crisi più strettamente politica, di tendenze in seno allo stesso partito comunista (che il prossimo Congresso dovrebbe mettere a punto), di correnti strettamente legate alle direttive russe e di altre tendenti a una politica di maggiore indipendenza del paese. È pericoloso avventurarsi in un campo puramente congetturale.

Si è effettivamente assistito recentemente ad una maggiore esaltazione del Maresciallo, a una dichiarata necessità di stringersi compatti intorno al «pilota» nella difficile navigazione; d'altra parte non mancano le voci che Tito non sarebbe più l'uomo di Mosca, la quale invece punterebbe su Rankovic, l'attuale ministro per gli interni. Ma qui è difficile sceverare il vero dalla fantasia e forse anche dalle speranze: l'opposizione è infatti diffusa, anche se non organizzata. Molta parte del popolo non ne può più: si compiace persino che Trieste venga data all'Italia, perché ciò costituisce un insuccesso del regime: ad ogni maggior tensione con gli angloamericani, si illumina con la speranza della tragedia di una guerra, perché peggiore tragedia è la perdita della libertà.

Non vi ha dubbio che qui la dittatura ha «toccato» ancor più profondamente che quella fascista e nazista.

I motivi di opposizione sono infatti diffusi in intere classi o categorie: nei cattolici della Croazia, della Slovenia e della Bosnia; in tutta la borghesia cui si è tolta la possibilità di vita; nei contadini che hanno perduto la libertà del commercio; persino nei piccoli dettaglianti cui ora si è tolto anche il minuscolo negozio; nei professionisti cui è stata limitata la libertà di lavoro; negli intellettuali che non hanno potuto asservire il loro spirito libero ai dogmi comunisti; in larghi strati di lavoratori che non hanno visto realizzato il paradiso promesso e ai quali Kidric ha potuto promettere soltanto in un incerto futuro un possibile tenore di vita, in attesa che l'aumento della produzione conduca a una maggior ricchezza del paese. Le uniche categorie, nelle quali esistono meno motivi di opposizione, sono i militari e gli appartenenti alla polizia, ai quali il regime rivolge particolari cure, e di cui si esalta l 'importanza della loro presente e futura funzione.

Se dal quadro si possono trarre conseguenze, la conclusione è questa: che, come in tutti i regimi totalitari, la via è aperta alla esterofobia, all'isolamento politico, e all'autarchia dei generi di consumo: si tratta perciò di una strada pericolosa da cui difficilmente si riesce poi a ritrarsi.

Però ancora perdura la ferma volontà di realizzare i piani per la industrializzazione del paese e per aumentare la produzione, piani che non potranno essere realizzati con una politica di solo blocco orientale. E dei paesi occidentali, -l'esperienza ne ha convinto questi ambienti -l'Italia, non soltanto per la complementarietà dell'economia ma per la sua accessibilità, è quello che offre le maggiori possibilità per la integrazione della economia jugoslava. Questa necessità di rapporti commerciali col nostro paese, non nascosta dagli ambienti di questo Ministero del commercio estero, non costituisce soltanto la base più solida dei nostri rapporti con la Jugoslavia, base non scossa nemmeno dal risultato delle elezioni, come prevedevo in un mio precedente rapporto a VE., ma anche il migliore atout per le nostre relazioni di politica generale con questo paese.

Ricordo, a questo proposito, che in una conversazione con l'allora ministro aggiunto agli esteri, sig. Velebit, alla constatazione di quest'ultimo che i rapporti politici tra i due paesi non fossero altrettanto buoni come quelli commerciali, ebbi ad osservargli che era pericoloso fidare a lungo sul felice sviluppo dei rapporti commerciali, senza un progressivo reale miglioramento dei rapporti di natura politica.

101

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ANZILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 7706/036. Londra, 8 giugno 1948 (per. il 12).

A complemento di quanto riferito con telegramma 289 1 , riassumo quanto ho potuto accertare circa contenuto dei promemoria presentati il 3 corrente ai supplenti dei ministri degli esteri, il cui testo non è stato reso pubblico:

-Polonia: il trusteeship sulle ex colonie dovrebbe essere dato all'Italia sotto il controllo delle Nazioni Unite; il Governo polacco ritiene giustificate le richieste etiopiche per un accesso al mare in Eritrea ed è d'opinione che debbano essere accolte; eventuali rettifiche minori alle frontiere dovranno essere tali da non portare considerevole detrimento ai territori già italiani; solo in base ai rapporti della Commissione d'inchiesta sarà possibile al Governo polacco definire il proprio atteggiamento in dettaglio.

-Cecoslovacchia: il trusteeship dovrebbe essere dato alle Nazioni Unite che, a loro volta, dovrebbero dare all'Italia il mandato di amministrare a loro nome le ex colonie; il Governo italiano dovrebbe riferire periodicamente alle Nazioni Unite circa gli sviluppi economici e politici nei territori; le Nazioni Unite dovrebbero, quando ne sia il momento, decidere circa la maturità dei territori all'indipendenza politica; dovrebbe essere accolta la richiesta etiopica per uno sbocco al mare.

-Grecia: dato che la pesca delle spugne lungo il litorale de li'Africa settentrionale era esercitata quasi esclusivamente dai pescatori greci e da quelli delle isole del Dodecanneso, il Governo greco chiede la concessione per la ripresa di tale pesca, nonché libertà di commercio nelle ex colonie. Qualora si decida un trusteeship collettivo, la Grecia dovrebbe esservi rappresentata.

101 1 Vedi D. 40, nota l.

102

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A L'AVANA, DE FERRARI

T. PER CORRIERE 6713. Roma, 9 giugno 1948.

Suo 57 1• Codesta legazione può comunicare Governo Haiti che siamo m linea di massima disposti concludere accordo per normalizzazione rapporti su basi da esso proposte. Per ragioni principio e per non creare precedenti confronti altri paesi americani non ci è tuttavia possibile includere nell'accordo disposizioni circa rinunzia a reclami per danni guerra sui quali peraltro sarebbero graditi chiarimenti. Tale materia potrà eventualmente essere invece regolata successivamente con scambio note confidenziali. Parimenti dovranno essere regolate a parte questioni attinenti scambi culturali che anche per ragioni sistematiche non trovano loro opportuna sede nell'accordo in progetto.

103

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7560/133. Buenos Aires. 9 giugno 1948. ore 14,18 (per. ore 23).

Telegramma ministeriale l 03 1• Premetto che nei giorni scorsi questo Ministero degli affari esteri aveva diretto nota circolare precisamente locali rappresentanze estere pregandole interessare rispettivi Governi affinché alla prossima Conferenza San Francisco California venisse appoggiata candidatura Argentina possibilmente in sede revisione graduatoria e comunque in sede elettiva. Nel confermarmi ieri che indipendentemente ogni impegno reciprocità delegato Argentina patrocinerà nostra elezione, questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha espresso speranza che Governo italiano accoglierà predetta richiesta. Pregherei autorizzarmi assicurare2 .

2 Con T. 67531106 del l O giugno De Astis telegrafò il suo assenso.

102 1 Vedi D. 19, nota 4.

103 1 Vedi D. 32, nota 3.

104

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ANZILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7565/298. Londra, 9 giugno 1948, ore 20,20 (per. ore 8 del 10).

Telegramma di V.E. 2401• Ho riparlato della questione al Foreign Office e nassumo risposta datami dal capo del Dipartimento competente. l) Tutto dipende dalla reazione sovietica ali 'ultima nota tripartita di sollecito. Se, cosa che qui non si esclude, U.R.S.S. non risponderà o risponderà come in precedenza Foreign Office non ha minima intenzione prendere iniziativa suggerire apertura trattative per soluzione di compromesso; si ritiene che analogo sia atteggiamento State Department e si crede che neppure Quai d'Orsay contempli iniziativa del genere: comunque essa dovrebbe essere concordata con Londra e Washington e Foreign Office vi si opporrebbe. 2) Può darsi invece che, nel quadro attuale offensiva pacifica a scopo propaganda, Governo sovietico risponda dichiarandosi pronto trattare per soluzione questione Trieste. Se risposta sovietica fosse presentata abilmente e non avesse tono

intransigente nell'esigere una determinata soluzione riuscirebbe molto difficile al Governo britannico e, si ritiene, anche agli S.U. e alla Francia, rifiutare di discutere. Se a Mosca si fosse veramente decisi raggiungere accordo a costo di sacrificare in parte aspirazioni e prestigio Tito non si esclude al Foreign Office possibilità giungere soluzione di compromesso sulla base spartizione Territorio Libero: attuale confine fra Zona A e B rappresenterebbe soluzione minima ossia più sfavorevole a

noi; fra questa e restituzione Italia intero Territorio Libero si potrebbe giungere intesa su linea intermedia. Pericolo sta dunque nella eventualità che Governo sovietico risponda e che risposta sia abile e in tono conciliante.

3) Se questione venisse rimessa in discussione si ritiene che Consiglio quattro ministri esteri sarebbe competente eventualmente delegando sostituti studiare base accordo. A discussioni dovrebbero intervenire, si pensa, anche rappresentanti Italia e Jugoslavia.

4) Governo britannico non ha intenzione portare questione Assemblea generale Nazioni Unite e non vede nessuna utilità farlo data anche possibilità sviluppi imprevisti e imprevedibili in seno Assemblea. Al Foreign Office si ritiene che mantenimento status quo sia per il momento soluzione preferibile anche per noi, anche in vista prossima assegnazione quota E.R.P. al Territorio Libero che profitterà dollari che altrimenti dovrebbero essere dedotti da quota assegnata all'Italia.

1 Del 6 giugno, indirizzato anche a Washington (n. 349), con il quale Zoppi chiedeva precisazioni sulle intenzioni anglo-franco-americane per Trieste.

Ripeto che quanto precede rappresenta soltanto pensiero Dipartimento competente Foreign Office. Ritengo tuttavia che esso prospetti abbastanza esattamente probabile atteggiamento Governo britannico nelle varie eventualità contemplate e che quindi sia utile tenerlo presente per orientamento ed eventuali passi a Washington e a Parigi soprattutto per quanto riguarda reale pericolo rappresentato da ipotesi numero 22 .

105

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1588. Atene, 9 giugno 1948.

Cellere ti racconterà i dettagli di quello che è successo e che io non posso scriverti in un rapporto perché attendo il documento ufficiale.

Si tratta della solita psicopatia greca che si manifesta del tutto inaspettata in sede di queste famose trattative di accordo per l'applicazione dell'articolo 79 del trattato.

Subito dopo l'arrivo di Colitto, e cioè giovedì 3 giugno, andai da Pipinelis a cui consegnai l'acclusa Nota verbale 1 , che faceva seguito ai due precedenti documenti che pure ti allego in copia2 . Pipinelis si mostrò molto contento e due giorni dopo mi notificò di avere nominata la sua commissione presieduta da Contumas. Si decise che una riunione avrebbe avuto luogo oggi mercoledì 9 corrente. Senonché Contumas, sollecitato un contatto personale con Cellere, gli diceva ieri mattina che era bene chiarire, prima dell'inizio dei lavori, l'intenzione del Governo greco di abbinare l'accordo sull'articolo 79 ad Atene ad un accordo su tutto intero il problema delle riparazioni a Roma. Fulmine a ciel sereno!

Sono andato subito stamane da Pipinelis il quale mi ha spiegato che la Grecia intende di concludere con l'Italia un organico e contemporaneo accordo di liquidazione di tutte le questioni pendenti. Alla mia abbiezione di non avere competenza né istruzioni per trattative di una simile ampiezza, ed essendo il compito di Colitto ben delimitato al modesto settore concernente i beni italiani in Grecia, egli mi spiegò che era una semplice dichiarazione di principio che egli desiderava fare per precisare le intenzioni greche e che ciò premesso non aveva difficoltà, nel particolare settore dell'art. 79, di iniziare il lavoro nei limiti pei quali Colitto era venuto ad Atene.

2 Con T. 8354/320 del 25 giugno Gallarati Scotti riferiva di essere stato confidenzialmente informato dal Foreign Office circa una imminente dichiarazione anglo-franco-statunitense per Trieste.

2 Non pubblicati.

Mi risulta che questo Governo già da tempo abbia elaborato un proprio schema di patto d'amicizia itala-greca che io segnalai con mio telegramma n. 78 del 18 aprile u.s.3 . Questo schema è stato dai greci presentato agli americani ed agli inglesi per ottenere la loro approvazione e gli è stato di recente restituito approvato come base di possibili discussioni tra l'Italia e la Grecia. Evidentemente in questo schema è contenuto questo loro nuovo concetto che oggi affiora e che ha di mira la liquidazione di tutti i rapporti itala-greci del passato.

L'intenzionalità di fare questo colpo in sede di trattative dell'art. 79 spiega oggi una strana frase di Pipinelis, che in due diversi incontri ebbe ostentatamente a ripetermi, che avendo letto il nostro schema lo aveva trovato talmente conforme alle sue vedute che se non fosse stato per il timore di dettagli che i tecnici competenti potevano sollevare, lo avrebbe, seduta stante, firmato.

La concordanza ed al medesimo tempo la riserva evidentemente dimostrano un pensiero celato che oggi si manifesta in questo modo.

Ho pregato Pipinelis di rispondermi per iscritto prima di iniziare i lavori. Egli mi ha detto che mi avrebbe risposto e che la prima seduta avrebbe avuto luogo nella prossima settimana.

A parte quello che il Ministero per superiori ragioni di politica generale mediterranea a questo punto deciderà di farmi fare, o non fare, è bene che ti dia chiara la mia impressione da qui: non faremo mai nulla coi greci se prima non c'intendiamo in qualche modo sulle «riparazioni». Abbiamo quindici mesi di respiro e staremo quindici mesi senza far nulla.

In conclusione:

l) noi da questo impasse guadagniamo la legge sullo sblocco perché i greci, per avere cattiva coscienza, temono di essersi troppo messi dalla parte del torto rispetto al loro obbligo di liberare i beni di cui al paragrafo 6 dell'art. 79 e perciò stanno varando il precedente progetto di legge modificato in modo tale che, se applicata con buona intenzione, può essere di per sé risolutiva di questo complesso d'interessi italiani. Questo è guadagno, o almeno risoluzione di un lato della questione;

2) conviene continuare il lavoro di Colitto perché anche se non dovesse essere un completo successo sempre ci darà l'«inventario» dei nostri beni confiscati e sapremo così a quoi s 'en tenir. Il riscatto per noi è soltanto un'opera morale, la parte pratica del lavoro di Colitto è l'inventario e questo sarà fatto;

3) nel frattempo a mezzo Tarchiani e Gallarati bisognerebbe scoprire che cosa i greci hanno messo di positivo e di accettabile nella bozza del patto d'amicizia che si sono fatti approvare dagli anglo-americani.

Scusa la noia, ma fra l'impossibilità di riferire ufficialmente e l'assoluta necessità d'informarvi, ho dovuto scrivere questa lettera a tuo sacrificio4 .

Con L. 15/18944/114 del 15 giugno Zoppi rispondeva sostenendo l'opportunità di lasciar cadere il progetto di trattato di amicizia qualora i greci avessero continuato a collegarlo alle riparazioni o ad altre questiOni pendenti.

l 05 1 Nota verbale n. 1507 in data 3 giugno, con la quale la legazione italiana ad Atene informava il Ministero degli esteri greco di essere stata autorizzata ad iniziare conversazioni per un accordo su li'applicazione dell'art. 79 del trattato di pace concernente i beni italiani in Grecia.

105 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 579, nota l.

106

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. URGENTE 6724/354. Roma, 10 giugno 1948, ore 13,30.

Su mia proposta Consiglio ministri ha approvato che venga subito fatta comunicazione al Governo americano circa intenzioni Italia di procedere al più presto firma accordo bilaterale. Prego VE. mettere in rilievo atteggiamento nostro Governo che intende fin da ora accentuare particolare atmosfera di collaborazione cui sarà affidato successo E.R.P. in Italia. V.E. coglierà occasione per esprimere nostra sicurezza che miglioramenti eventualmente concessi da Governo statunitense negli accordi con altri paesi partecipanti verranno estesi anche ad accordi bilaterali con Italia. Resto in attesa suo cenno assicurazioni.

Mentre le ho telegrafato a parte formulazione articolo 16 proposta da ministro della giustizia, Contenzioso diplomatico sta esaminando, semplicemente per quanto riguarda esteriore forma giuridica, progetto accordo bilaterale con modifiche che noi stimiamo oppurtune e che del resto codesto Governo ha già ammesso a seguito osservazioni presentate da VE.

Per sua opportuna conoscenza, la informo che il Ministero esteri metterà ufficiosamente al corrente questa ambasciata americana su nostre decisioni chiarendone significativa portata 1•

107

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA

T. 6728/25. Roma, 10 giugno 1948, ore 12,45.

Pregola comunicare a segretario O.N.U. che Governo italiano, desideroso contribuire al ristabilimento e al mantenimento della pace in Palestina e di facilitare l'azione che a tal fine svolge il Consiglio di sicurezza, ha deciso di associarsi alla risoluzione approvata dal Consiglio stesso in data 29 maggio.

Verranno pertanto emanati i provvedimenti necessari per dare attuazione anche in Italia alle disposizioni di cui ai paragrafi 3 e 5 della suddetta risoluzione 1 .

l 06 1 Per la risposta vedi D. l 08.

l 07 1 Con T. 7121126 del 19 giugno Zoppi comunicò di aver ricevuto dal segretario generale dell'O.N.U. il testo della risoluzione in argomento e diede istruzioni a Mascia di confermare che il Governo italiano si sarebbe attenuto alla risoluzione stessa applicandola secondo le indicazioni fomite.

108

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7619/459. Washington, 10 giugno 1948, ore 19,58 (per. ore 8 dell'JJ).

Suo telegramma 354 1• Fatto comunicazione a Dipartimento Stato che ha mostrato apprezzare vivamente spirito collaborazione Governo italiano. Dipartimento aveva anche ricevuto da Dunn telegramma al riguardo. Esso era al corrente procedura elaborata O.E.C.E. Parigi (mio 457)2 e ha comunicato che entro domani dovrebbe aver luogo primo passo quattro ambasciatori per presentare obbiezioni di indole generale. Allo scopo evitare situazione per noi imbarazzante nei confronti altri paesi partecipanti, relazione azione da essi svolta attualmente Washington, Dipartimento sarebbe d'accordo che da parte nostra:

a) si attenda esito primi passi quattro rappresentanti;

b) se dopo tale esito si constatasse che negoziati altri partecipanti accennano protrarsi a lungo, si procederebbe nostra firma; c) rimane inteso che qualsiasi miglioramento venisse concesso ad altri verrebbe automaticamente esteso a noi anche dopo nostra firma. Mentre mi riprometterei, salvo istruzioni in contrario V.E., seguire tale linea condotta, informo che telegramma Dunn a Dipartimento fa presente tra l'altro che mi sarebbero state inviate istruzioni per firma qui. Dipartimento desidererebbe conoscere se informazione Dunn significa che Governo italiano preferisce che firma accordo abbia luogo Washington, e sollecita decisione in proposito dichiarando che non ha per suo conto speciali preferenze al riguardo. Dipartimento fa presente urgenza risposta soprattutto se si desiderasse firma costà, rendendosi allora necessario tempestivo invio testo e delega poteri costà. Prego telegrafarmi in merito3 .

1 Del 9 giugno con il quale Tarchiani aveva comunicato la decisione dell'O.E.C.E. di incaricare i rappresentanti inglese, francese, danese e svedese di far presenti al Governo statunitense le principali modifiche 1ichieste circa i progetti di accordi bilaterali.

3 Con T. 6798/359 dell'Il giugno Sforza rispose: «Ho appreso con soddisfazione che Dipartimento di Stato, pur rendendosi conto nostra delicata posizione, apprezza nostra linea condotta. In attesa sviluppi situazione le comunico intanto, per quanto riguarda sede firma accordo bilaterale, che non è stata fatta da qui alcuna comunicazione; comunque per ovvie ragioni opportunità ritengo sarebbe preferibile firnm avesse luogo Roma».

108 1 Vedi D. 106.

109

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 772110918/21 99. Parigi, 11 giugno 1948 1•

Il piano Marshall ci ha riservate, in questi giOrni, due sgradite sorprese: la riduzione votata dal Congresso americano e l'annuncio di Harriman ai Diciotto, che l'America si attende che siano gli europei a fare loro la ripartizione dell' allotment.

Sulla prima di queste sorprese non saprei esprimere un giudizio: gli americani di qui, in generale, si sforzano di dire che non bisogna prenderla sul serio: che si riuscirà a farla rimangiare in parte almeno, e che, per il resto, si troveranno delle vie di uscita. Personalmente non me ne sento tanto sicuro. La politica americana, vista da lontano almeno, appare così inattesa che è difficile decidere se sia molto ingenua

o estremamente perfida o tutti e due. Nel caso in questione non riesco a capire fino a che punto la mossa del Congresso sia stata dovuta soltanto ad un colpo di nervi, o se non ci sia in essa, almeno in parte, un serio avvertimento agli Stati europei, o ad alcuni di essi, a piantarla con i loro capricci in materia di questione tedesca, di Patto di Bruxelles e, in generale, di cooperazione europea.

Molto più grave appare invece la comunicazione Harriman. Anche su questo punto sarebbe interessante -ed urgente -chiarire in nome di chi Harriman ha parlato. Quali siano in proposito le intenzioni del Dipartimento di Stato non so; ma nel dibattito al Congresso è apparsa, almeno mi sembra, un'idea direttiva del tutto differente: si è detto che paesi come l 'Irlanda, il Belgio, eccetera, non hanno nessun bisogno di aiuto perché, data la loro situazione, possono avere tutti i prestiti di cui hanno bisogno. Sono state avanzate varie proposte di tagliare i viveri alla Gran Bretagna. Si direbbe quindi che il Congresso ritiene di essere lui quello che dovrebbe decidere a chi si deve dare e quanto: ossia proprio il contrario di quello che dice Harriman. Chi dei due ha maggior peso? Ci sono in America, per quello che concerne il piano Marshall, almeno tre centri di pensiero e di azione: il Dipartimento di Stato, l'Amministrazione del

piano e il Congresso. Bisognerebbe chiarire, in quanto è possibile, quello che ciascuno di essi vuole: quanto il loro conflitto sia apparente o reale (io mi domando sempre fino a che punto non ci troviamo di fronte ad una divisione di lavoro) e se e quali mezzi ci siano di influire su ognuno di questi elementi, e per mezzo di uno di

essi sugli altri. Così come essa è stata enunciata, la comunicazione di Harriman significa, né più né meno, la fine di ogni speranza di cooperazione europea. Era già difficile portare avanti questa baracca, quando, nelle grandi linee, la ripartizione era stata fatta

dagli americani, e si trattava soltanto di aggiustamenti minori. Ma se la divisione della torta deve essere fatta dagli europei, questa è la lotta di tutti contro tutti.

Particolarmente difficile diventa la nostra posizione. Finché la ripartizione era fatta dagli americani potevamo contare, da quella parte, su di una certa comprensione del nostro complesso caso: non eravamo, nei riguardi dei nostri competitori, in una situazione di grande inferiorità. Ma nel Consiglio dei Diciotto, è inutile nascondercelo, siamo in condizioni di grandissima inferiorità, siamo i più deboli. Francia ed Inghilterra, con i loro clienti, sono i padroni; hanno l'appetito grosso e i denti lunghi: se si mettono d'accordo, e sostanzialmente lo sono, noi non possiamo fare niente.

Non voglio con questo dire che fino ad oggi noi siamo stati maltrattati. I francesi ci hanno sempre aiutato: gli inglesi si sono mostrati molto comprensivi; ma non c'erano ancora grossi interessi in giuoco. Inoltre -ed è questo il punto più importante -i nostri rapporti generali con Francia ed Inghilterra non possono non avere la loro ripercussione sul loro atteggiamento nei nostri riguardi in sede di piano Marshall. Ora i cosiddetti buoni rapporti fra Italia e Francia sono un ponte fragilissimo, e per di più minato da tutte le parti; il nostro cosiddetto rapprochement con l 'Inghiltena non mi sembre poggiare su basi più solide. Quella forte dose di irrealismo isterico che c'è nella concezione italiana della politica estera rende ogni giorno più problematico il riuscire a salvare, non dico la sostanza, ma anche solo l'apparenza. Il meno che si possa dire è che per conseguenza di questa nuova impostazione della politica americana noi dovremmo stare molto attenti a fare o non fare la minima cosa che possa froisser la Francia o l 'Inghilterra poiché esse hanno sottomano un'arma potentissima di ricatto: la possibilità di bloccare i nostri desideri in sede di piano Marshall.

Lo spostamento della responsabilità della distribuzione ci obbliga inoltre a metterei in grado di ben difendere le nostre richieste. Ora il nostro piano, così come è stato presentato, è piuttosto debole. Non è un vero piano, non ha una vera concezione unitaria: è piuttosto una giustapposizione di richieste singole messe insieme, molto come viene viene. Esso risponde alla preoccupazione, fin troppo evidente, di trovare la maniera di coprire un'assegnazione che, per varie ragioni di cui sarebbe troppo lungo fare qui l'analisi, il nostro mercato interno non è in grado di assorbire. Bisogna quindi per lo meno che noi lo rifacciamo, in buona parte, in modo da fame qualche cosa di difendibile. Questo nell'ipotesi che non ci sia una riduzione nell' allotment globale: se invece questa riduzione ci sarà, peggio che mai.

Bisognerebbe poi cercare di capire perché Harriman ha fatto questo colpo di scena. Nel corso della conversazione che ho avuta con lui (mio R. 653/9331/1818 del 12 maggiof, mi aveva assicurato che, in questo campo, l'America intendeva riserbarsi la decisione finale. Perché tornato dall'America ha rovesciato le sue posizioni?

Egli ha motivato la sua decisione con la constatazione della poca volontà di cooperazione mostrata dalle potenze europee: su questo punto nessuno potrebbe dargli torto. Ma se poca cooperazione c'è stata, ce ne sarà ancora meno adesso: ognuno avendo il diritto di veto si arriverà presto al punto morto. Siccome non si può supporre che gli americani vadano cercando un pretesto per non dare più aiuto ~l'aiuto è condizionato alla cooperazione, non ce lo dimentichiamo~ si potrebbe supporre che gli americani vadano cercando una dimostrazione eclatante della nostra incapacità di cooperare per poi dirci, signori miei, tiratevi da parte, ci pensiamo noi. Strada pericolosissima perché in fondo ad essa si trova un grosso cozzo con l'America, grosse difficoltà di politica interna nei singoli paesi, e, come risultato finale, un sempre maggiore asservimento di noi tutti all'America. Può essere, anzi è probabile, che questo calcolo diabolico non sia il vero calcolo degli americani, almeno di tutti: ma anche se non è fatto a calcolo, questo non cambia le conseguenze.

Tutto questo potrebbe essere evitato se i vari paesi europei si decidessero a diventare intelligenti: ma siccome sperare su questo è sperare sull'assurdo, bisognerebbe cercare di fare il possibile per convincere gli americani di rivenire sul loro atteggiamento.

Non credo sia possibile di fare, in questo campo, molto di utile e di fattivo a Parigi: Harriman è un muro ed un mulo. Bisognerebbe cercare di agire, in Europa, sugli agenti diplomatici, ma soprattutto a Washington. Che i nostri amici coeuropei non ci amino, questo a Washington lo sanno benissimo: non vedo quindi che sia molto difficile di dire francamente al Dipartimento di Stato, all'amministrazione o a chi sarà utile, le nostre apprensioni sulla nostra sorte. Potremmo anche far presente agli americani, per non parlare solo di noi, che questa nuova soluzione mette in serio pericolo tutto il loro piano per la Germania: il Governo francese potrà accettare, come una decisione americana, che si dia una grossa somma alla bizona ed alla trizona: ma se la decisione dipende da lui, il Governo francese dovrà difendersi dagli attacchi in Parlamento per ogni dollaro che esso avrà consentito che venga speso per la Germania invece che per la Francia. Mi rendo conto che, quando gli americani si sono messi in testa una cosa, è difficile fargli cambiare di idea. Comunque, mi sembra, è un tentativo di persuasione che bisognerebbe fare se non altro a scarico di coscienza.

Per ultimo, siccome fatalmente poi è sempre in mano agli americani che noi dovremo cadere, questa nuova impostazione del lavoro rende sempre più imperativo che noi consideriamo come il compito numero uno della nostra politica l'andare d'accordo cogli americani; sia in genere, sia in sede di piano Marshall. È l'unica nostra speranza di salvezza, anche se gli americani siano tutt'altro che a rock.

Mi permetto di aggiungere che tutto questo impone anche un problema organizzativo da parte nostra. La rappresentanza italiana per il piano Marshall, a Parigi, si va organizzando in modo soddisfacente. Ci sono ancora molti perfezionamenti da fare, ma l'impostazione generale è buona. Mi sembra che oggi sia imperativo però che noi ci preoccupiamo della nostra rappresentanza piano Marshall a Washington di cui, mi sembra, non ci siamo ancora interessati sul piano pratico.

Ho ormai quasi un anno di esperienza del piano Marshall: questo mi permette di dire che, così come essa è oggi, l'ambasciata di Washington non ha la possibilità materiale di farlo in modo soddisfacente. Per poter fare soltanto quello che cerco di fare, ossia seguire il piano Marshall nelle sue grandi linee, in modo da potere essere in grado di segnalare al Governo italiano alcuni aspetti suoi più salienti, ci vuole non poco lavoro: ma io mi trovo in situazione privilegiata perché ho sottomano tutta la nostra delegazione, con tutti i suoi ottimi esperti, che sono là per spiegarmi tutto quello -ed è molto -che deve essere spiegato: e siamo appena al principio; la cosa diventa più complessa ogni giorno. L'ambasciata di Washington, con il suo personale già scarso per il lavoro di ogni giorno, senza una sufficiente gamma di esperti, come si vuole che faccia; bisogna quindi che noi ci decidiamo a creare una speciale e sufficiente sezione piano Marshall all'ambasciata di Washington, con il numero minimo necessario -che non è poi tanto minimo -di esperti ed anche solamente di personale che sia in grado di leggere e di studiare il numero infinito di carte che nascono sotto i passi del piano. So di dare con questo un grave dolore al Ministero del tesoro ed al ragioniere generale dello Stato, ma è indispensabile se si vuole fare del lavoro efficiente.

Il piano Marshall è oggi il fattore più importante della nostra politica estera: lei, con piena ragione, ha reclamato il suo diritto di dire, sulle questioni principali, la sua parola, probabilmente anzi l'ultima parola. Ma se lei vuole essere in grado di farlo a ragion veduta, ha bisogno di tre punti d'appoggio: un efficiente ufficio piano Marshall al Ministero, Parigi e Washington. Cosa sia stato fatto a Roma non so; a Parigi, essendo sede del Comitato esecutivo, si può fare uso degli esperti della nostra delegazione; ma se le manca l'occhio di Washington -e l'occhio di Washington non può essere completamente efficiente se non ha i suoi mezzi -lei si troverà in grossissime difficoltà. Anche questo è mio dovere di segnalarglielo3 .

109 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

109 2 Non pubblicato.

110

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 5612/2179. Washington, Il giugno 1948 (per. il 15).

Ho riferito a V. E., con vari m1e1 telegrammi 1 di queste ultime settimane, le dichiaraziOni fatte dal Dipartimento di Stato a seguito dei passi svolti da questa ambasciata in merito alla questione di Trieste. Tali comunicazioni riflettono le assicurazioni date in modo netto e preciso dal Dipartimento, tra gli altri anche dal direttore generale degli affari politici europei Hickerson, circa le intenzioni del Governo americano di mantenere immutato il suo atteggiamento nei confronti della questione del Territorio Libero, senza flessioni che possano comportare soluzioni sulla base dell'attuale situazione di fatto con la cessione della Zona B alla

!IO 1 Vedi D. 86.

Jugoslavia. Il Dipartimento ha infatti ripetutamente dichiarato che la restituzione integrale del Territorio Libero era il principio cui si ispiravano le direttive del Governo americano sul problema di Trieste, fin dal periodo pre-elezioni, durante il quale la questione fu dibattuta con i Governi francese e inglese (alquanto contrari allora alla restituzione anche della Zona B ali 'Italia) e fu altresì trattata costì nei contatti dell'ambasciatore Dunn con VE.

Le comunicazioni telegrafiche inviatemi da codesto Ministero in argomento2 riflettenti certi dubbi o perplessità emersi soprattutto a Parigi in questi ultimi tempi mi inducono peraltro a fissare in modo più dettagliato le mie impressioni in argomento, a integrazione delle segnalazioni telegrafiche da me fatte.

È indubbio che l'episodio dello scambio di note Bedell Smith-Molotov3 ha contribuito a rafforzare il tono delle assicurazioni date dal Dipartimento, intendendo questo, secondo le decisioni intervenute dopo l'episodio stesso, far risultare in modo netto che tale scambio di note non significava nessun mutamento nell'atteggiamento politico americano nei confronti della Russia, soprattutto in una questione che come quella di Trieste è direttamente collegata alla situazione di tali rapporti.

D'altra parte, in relazione alle preoccupazioni espresse da questa ambasciata, circa eventuali soluzioni di compromesso con la cessione della Zona B, il Dipartimento ha anche insistito nel sostenere che non dovevamo nutrire eccessive preoccupazioni in quanto, nelle circostanze attuali e mantenendosi tali circostanze, una cosa era da prevedersi: e cioè un permanere immutato della situazione di Trieste, con truppe anglo-americane in loco, e con la Zona B in mano degli jugoslavi. Anche il ricorso all'O.N.U., che è sempre contemplato nei piani americani, pur potendo arrecare qualche concreto vantaggio, non verrebbe presumibilmente a mutare i termini costituzionali e giuridici della situazione consentendo una completa restituzione di Trieste all'Italia. La situazione attuale è considerata comunque dal Dipartimento come l'optimum consentito oggi dalle circostanze. Se si volesse cercare di mutarla radicalmente, ritiene il Dipartimento, ciò non potrebbe avvenire, ferme restando tali circostanze, che attraverso un'intesa diretta tra l'Italia e la Jugoslavia, intesa che è ovviamente del tutto ipotetica oggi e che non potrebbe mai raggiungersi se non con il sacrificio da parte nostra della Zona B, dalla quale è impensabile che gli jugoslavi vogliano mai evacuare.

Queste sono le considerazioni che sono state in sostanza svolte dal Dipartimento in occasione dei passi fatti da questa ambasciata. In tali occasioni non è mancato neppure qualche accenno al fatto che piuttosto che i francesi sarebbero gli inglesi oggi a non escludere la possibilità o la opportunità che in una sistemazione del problema la Zona B venga lasciata alla Jugoslavia. Trattasi però di semplici scambi di idee tra i funzionari incaricati dello studio del problema, dato che tali accenni non SI sono finora assolutamente cristallizzati in passi ufficiali.

Tutto sommato il Dipartimento oggi:

a) conferma l'immutata sua posizione sulla questione;

Il O 2 Vedi DD. 53 nota 3, 82 e 83. 3 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XII (1948), n. 21, pp. 389-391.

b) non esclude che da parte degli altri alleati si sia «pensato» a una sistemazione che comprenda una assegnazione della Zona B alla Jugoslavia;

c) ritiene che la situazione si manterrà immutata per parecchio tempo ancora anche se avrà luogo il ricorso all'O.N.U.;

d) è d'altra parte di opinione che tale situazione sia la migliore che si potrebbe avere date le circostanze attuali e quanto era invece previsto dal trattato di pace, soprattutto se sarà possibile migliorarla progressivamente con una maggiore partecipazione dei triestini ali' amministrazione della città.

Questo è quanto il Dipartimento dichiara oggi nell'esaminare il problema alla luce dell'attuale situazione politica generale.

Mi rendo però pienamente conto delle preoccupazioni espresse dall'ambasciatore Quaroni4 segnalatemi da V.E. A tale riguardo, è indubbio che malgrado le assicurazioni datemi, semmai dovesse realmente manifestarsi in avvenire una qualsiasi distensione nei rapporti tra Stati Uniti e U.R.S.S., potrebbero anche venire ad essere mutate quelle circostanze che rendono oggi l'atteggiamento americano del tutto reciso nei confronti della questione di Trieste.

È questa un'incognita che i funzionari e neppure gli alti esponenti del Dipartimento possono valutare nelle sue proporzioni e nei suoi riflessi. È pur vero che i colpi e contraccolpi dell'episodio Bedell Smith hanno riportato praticamente, come mi diceva Hickerson l'altro giorno5 , le cose al punto di prima, ma è pur anche vero che l'episodio di Bedell Smith ha assunto le proporzioni a tutti note avendo aperto un leggero spiraglio di possibilità di eventuali conversazioni tra U.R.S.S. e Stati Uniti. Se tale spiraglio dovesse riaprirsi (ed è difficile oggi prevedere quali imponderabili si manifesteranno in relazione a una eventuale presa di contatto tra i due Governi) sarebbe del tutto probabile che la questione di Trieste venga posta sul tappeto tra i vari problemi pendenti tra i due Governi. È d'altra parte noto a codesto Ministero che già autorevoli «colonnisti» americani nell'elaborare la lista dei problemi da esaminare tra l'U.R.S.S. e gli Stati Uniti hanno annoverato quello di Trieste. Anche in tali circostanze -assicura oggi il Dipartimento (che peraltro si mostra sempre molto scettico sulla possibilità di gettare le basi di una conciliazione generale con la Russia) -l'atteggiamento americano non muterà in quanto che verrà ribadita l'intenzione di una completa restituzione del Territorio Libero all'Italia.

Né verranno prese decisioni che non siano gradite o accettabili da parte del Governo italiano. E d'altro canto difficile poter dire in quale atmosfera tali negoziati si svolgeranno se mai essi avranno luogo, e quale influenza tale atmosfera potrà avere perché venga chiesto a noi qualche sacrificio nei confronti della Zona B del Territorio Libero di Trieste.

Tale riserva ritengo opportuno formulare a VE. in quanto mi sembra che il problema non possa esser visto che sotto un duplice ordine di circostanze: quelle attuali per le quali le dichiarazioni e le assicurazioni ampiamente date al Diparti

!IO 4 Vedi D. 53. 5 Vedi D. 96.

mento appaiono seriamente fondate e tali da implicare un fermo affidamento da parte del Dipartimento stesso, quelle future che, comportando degli imponderabili, non permettono a nessuno di prevedere con precisa esattezza quali potranno essere le conseguenze di una sistemazione generale sul problema specifico che ci interessa.

Per ora il Dipartimento attende, debbo dire, ormai con marcato scettiscismo, la risposta russa alla nota del lo giugno6 . In relazione al tenore di tale risposta o in mancanza della risposta stessa, il Dipartimento deciderà con i Governi inglese e francese il prossimo passo da svolgere per tenere viva la questione e per continuare nella pressione offensiva sulla questione stessa. Ho già segnalato ripetutamente a VE. le varie possibilità studiate tra i tre alleati sulle quali è stato raggiunto tra essi sostanziale accordo. A lato però di tali iniziative rimane ferma la convinzione del Dipartimento che, tutto sommato, e anche se esse non porteranno concreti mutamenti, la situazione attuale è soddisfacente dato che i passi che l 'hanno determinata hanno impostato il principio della revisione del trattato e hanno nello stesso tempo assicurata la permanenza delle truppe anglo-americane in una zona così nevralgica dello scacchiere europeo.

109 3 Per la risposta vedi D. 127.

111

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 6533/681. Vienna, 12 giugno 1948 (per. il 22).

In questi ultimi mesi, in sede di esecuzione della legge sulle opzioni nonché nel quadro di una attività più generale, da parte di questa legazione, di codesto Ministero e anche più particolarmente da parte della Presidenza del Consiglio -Ufficio per le zone di frontiera, sono state rilevate a più riprese attività e manifestazioni austriache riguardanti in genere l'Alto Adige che andavano oltre la linea di neutralità se non di indifferenza che un paese e un Governo straniero si suppone dovrebbero osservare di fronte ad un paese vicino.

È stata così a più riprese notata e lamentata l'attività e i ripetuti tentativi di collaborazione offerta in materia di opzioni da parte della Aussenstelle di Innsbruck e del suo capo dr. Kneussel, registrato il passo del dr. Gruber, anzi del Governo austriaco, a favore del noto dr. Tinzl, rilevata la visita del neo eletto deputato italiano on. Guggenberg a Innsbruck e i suoi colloqui con lo stesso cancelliere federale dr. Figi, i viaggi ed i contatti frequenti di elementi altoatesini a lnnsbruck e reciprocamente di austriaci e tirolesi a Bolzano e con elementi altoatesini.

Il O 6 Vedi D. 74, nota 4.

Di mia iniziativa o su istruzioni di V.E. avevo avuto occasione di far parola con elementi responsabili del Ministero degli esteri di tali singoli episodi, via via che si verificavano, in tono sia pure sempre estremamente pacato e sereno 1 .

Ma la petulante insistenza da parte austriaca su certe richieste, le reazioni vivaci degli uffici della Presidenza del Consiglio e lo stato d'animo che vi si è andato formando, l'opportunità di precostituire in qualche modo anche una specie di giustificazione politica al respingimento della richiesta del dr. Gruber a favore del noto avv. Tinzl, che mi è stata a Roma preannunciata ed è ancora ignota agli austriaci, mi hanno persuaso che fosse opportuno ormai entrare in un discorso di carattere più generale sull'argomento, se non di proposito, come almeno se ne presentasse una occasiOne propizia.

E l'occasione se ne è offerta nei giorni scorsi quando rientrando in Vienna, ho ripreso contatto con il direttore degli affari politici del Dipartimento degli esteri, stretto collaboratore ed uomo di fiducia del ministro, gli ho trasmesso i saluti che

V.E. mi aveva incaricato di far pervenire a suo nome al ministro degli esteri Gruber, e naturalmente si è venuti a parlare delle varie questioni che interessano i due paesi.

Ho dato al mio discorso un carattere strettamente personale, sul motivo delle manifestazioni che andavo osservando, che naturalmente erano seguite e rilevate anche a Roma, e della preoccupazioni che esse mi facevano spontaneamente sorgere nell'animo.

Ho preso lo spunto dalla visita dell'on. Guggenberg ad Innsbruck e dalle conversazioni avute con il cancelliere federale dr. Figl, per passare alle visite ed ai viaggi del dr. Kneussel, alla attività in genere d eli 'ufficio di questi, alle insistenti richieste dello stesso Ministero degli esteri per facilitare i contatti diretti tra la Aussenste/le e la Prefettura di Bolzano, nonché vari altri episodi.

Il dr. Leitmaier è rimasto assai pensoso di fronte a quanto gli venivo dicendo e mi ha fatto una lunga risposta, dicendomi che parlava anche lui a titolo personale ed amichevole, pur essendo sicuro di interpretare in molti punti il pensiero del ministro Gru ber.

Riconosceva che la visita dell'on. Guggenberg a Innsbruck subito dopo la sua elezione e prima di andare a Roma era stata inabile ed inopportuna. Poteva però assicurarmi che era avvenuta ad insaputa del Governo austriaco, ed una volta il Guggenberg ad Innsbruck, come era possibile (e faceva appello alla mia conoscenza ormai della situazione interna austriaca) che il cancelliere Figl o il ministro degli esteri Gruber potessero declinare di riceverlo? Mi chiedeva se onestamente ritenevamo che degli uomini politici austriaci, della piccola Austria, occupata e sottoposta al controllo straniero in tutte le direzioni, potessero, forse nell'unico settore dove hanno una certa autonomia politica, assumere degli atteggiamenti che sarebbero contrari al sentimento pubblico. Egli non voleva riaprire una polemica, ma era impossibile dimenticare che la soluzione del problema dell'Alto Adige era una ferita

Ili 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 487, 537 e 621.

al sentimento austriaco, era un elemento che nessun artificio dialettico poteva modificare: la veduta e la speranza del Governo austriaco, che era convinto della assoluta necessità di buoni rapporti con l'Italia, era che la direttiva abbozzata con l'accordo di Parigi De Gasperi-Gruber2 , sarebbe sviluppata con successo dal Governo italiano e avrebbe finito per far guardare gli altoatesini sempre meno a Nord e sempre più a Sud.

Per quanto riguardava i miei accenni alla cosiddetta ingerenza del Governo austriaco in materia di opzioni era evidente, e voleva essere con me chiaro e sincero, che da parte italiana vi era interesse a che tornassero in Alto Adige il minor numero possibile di optanti e che da parte austriaca vi era esattamente l'interesse contrario. D'altra parte confidava che quanto gli avevo esposto sulla cosiddetta ingerenza di organi austriaci nella esecuzione delle opzioni non fosse l'opinione ufficiale del Governo italiano sulla posizione del Governo austriaco di fronte alla legge delle opzioni. Questa è certamente una legge interna italiana, ma è assolutamente inammissibile si sostenga che con la emanazione di questa legge si è interamente esaurita la questione e che il Governo austriaco non abbia il titolo per dire una sua parola anche in sede di esecuzione.

Una tale interpretazione dell'accordo di Parigi sarebbe contraria, come Governo austriaco e ministro Gruber hanno già più volte fatto presente, a tutta la logica e lo spirito delle intese concordate, che comportano il costante diritto delle parti a reclamarne la esecuzione e a vegliare su questa come ovvio.

Per quanto riguardava la Aussenstelle di Innsbruck e la persona del suo capo dr. Kneussel, egli poteva assicurarmi che le richieste di cooperazione diretta con le autorità italiane partivano esclusivamente da un concetto di praticità, senza nessuna riserva mentale o mire segrete. Questa cooperazione era stata da noi più volte declinata e il Governo austriaco ne aveva preso nota e aveva dato istruzione al dr. Kneussel che qualsiasi rapporto suo con le autorità italiane avrebbe dovuto svolgersi attraverso la Cancelleria federale e attraverso questa con la legazione d'Italia in Vienna.

Non riteneva che Dienststelle e dr. Kneussel, a parte anche le istruzioni costantemente avute, avessero mai mancato di tatto o avessero compiuto atti che andassero oltre la propria specifica competenza, che è quella di studiare tutti i problemi connessi con la esecuzione della legge sulle opzioni, vegliare alla loro risoluzione, e riteneva che ciò fosse in definitiva anche nel! 'interesse delle autorità italiane che non potranno dare completa esecuzione alla legge delle opzioni senza una qualche cooperazione da parte delle autorità austriache, non solo perché gli optanti si trovano in Austria, ma perché in Austria sono state trasportate molte documentazioni che accorreranno in proseguo di tempo per la liquidazione delle molte e varie e complesse questioni connesse con il ritorno in Italia degli optanti stessi.

Circa una eventuale abolizione o trasferimento altrove della Dienststelle di Innsbruck, a parte la questione sostanziale sulla necessità di questa Aussenstelle o comunque di un ufficio analogo, sia pure sotto nome diverso, perché, oltre l'ufficio,

III 2 Vedi serie decima, vol. IV, D. 258.

vi è il complesso delle questioni amministrative comunque da risolvere, mi avrebbe potuto anche rispondere che si trattava di una questione interna austriaca e che il Governo austriaco in definitiva riteneva di poter organizzare i propri uffici come meglio gli apparisse, ma mi prospettava anche qui, dal punto di vista della politica interna austriaca, e se si vuole magari anche personale del ministro Gruber e forse dello stesso cancelliere Figi, se ritenessi possibile la soppressione della Dienststelle o il suo trasferimento a Vienna, a cui si aggiungeva poi la considerazione pratica che la grande maggioranza degli optanti risiede in Tirolo. Ad una mia obiezione che vi fosse una sola Dienststelle a Innsbruck e non una Dienststelle centrale a Vienna con ramificazione in tutti i Uinder, a parte le obiezioni generali sopra accennate, egli mi ha detto che poiché la questione degli optanti è una questione federale del Governo centrale, i Uinder declinano di occuparsene direttamente, né vogliono avere uffici propri in proposito, e la creazione di uffici federali in ogni Liinder comporterebbe non poche difficoltà.

Circa la persona del dr. Kneussel, a parte le istruzioni che gli erano state sempre date e ora rinnovate, occorreva anche tener conto che si tratta di un vecchio, esperto ed onorato funzionario, che sarebbe oltretutto assai difficile sistemare altrove, e nessuno d'altra parte è come lui al corrente di tutti i problemi degli optanti di cui si occupa ormai da tempo.

Circa poi la promessa che il ministro Gruber avrebbe fatta nell'autunno scorso al mio predecessore Coppini che la Dienststelle sarebbe stata abolita appena terminate le conversazioni italo-austriache sulle opzioni che erano allora in progetto e che ebbero poi effettivamente luogo a Roma nel novembre scorso3 , Leitmaier mi ha detto che doveva trattarsi di un grosso equivoco e che era assolutamente escluso che il ministro Gruber avesse potuto mai dare, non dico una promessa, ma neppure una semplice assicurazione in proposito, essendo contrario alla stessa logica delle cose e dei compiti che la Dienststelle è stata chiamata ad assumere. Poteva certamente assicurare che la Dienststelle non ha alcun carattere permanente e che è intenzione del Governo austriaco di abolirla, non appena effettivamente la questione degli optanti sia stata liquidata, come è fermo suo desiderio che ciò avvenga e del resto è previsto che avvenga, ma parlare di abolizione dopo le conversazioni di Roma del novembre, quando appunto si andava ad iniziare la fase esecutiva delle opzioni, è cosa che è fuori della logica e mi pregava di chiarire questo malinteso. Tutto ciò in relazione alla menzione che di questa promessa ha fatto anche recentemente al ministro Zoppi e a me stesso S.E. Innocenti della Presidenza del Consiglio.

Poiché nel corso della conversazione avevo avuto occasione di menzionare incidentalmente alcune sfumature che si erano insinuate nel modo di presentare l'interesse austriaco al caso Tinzl, il ministro Leitmaier mi ha chiesto se avevo notizie in proposito. Gli ho risposto che non avevo comunicazioni sullo stadio attuale della procedura, che però dovevo confermargli che il Governo italiano non riteneva di poter intervenire per modificare il regolare corso delle procedure previste

!Il 3 Vedi serie decima, vol. VI, D. 762.

dalla stessa legge delle opzioni; solo a titolo personale non potevo non ricordare le impressioni negative, che del resto avevo fin dal primo momento esposto al ministro Gruber e le perplessità che spontaneamente sorgevano esaminando il caso Tinzl alla luce delle precise norme previste nella legge italiana del 2 febbraio u.s. Francamente non potevo quindi essere che alquanto pessimista sulla possibilità che il Governo italiano potesse senz'altro accogliere la richiesta.

Il ministro Leitmaier mi ha detto che questo mio persistente pessimismo lo addolorava profondamente, che un rincrescimento analogo e una forte delusione avrebbe certamente provato il ministro Gruber.

Era una preghiera che il dr. Gruber, in via personale aveva rivolto al Governo italiano, mentre anche in linea strettamente giuridica vi era il fondato dubbio che, per le così peculiari circostanze in cui il dr. Tinzl aveva assunto ed esercitato le funzioni di prefetto di Bolzano, non sussistessero le condizioni previste nel paragrafo I dell'art. 5 della legge su le opzioni, articolo che era stato infine accettato dalla delegazione austriaca che venne a Roma nel novembre scorso appunto nella previsione di una interpretazione generosa e di larghe vedute da parte del Governo italiano. Egli temeva che una soluzione negativa del caso Tinzl, persona ineccepibile e ovunque rispettato per la sua probità morale e intellettuale, non avrebbe mancato di gettare un'ombra e non sarebbe stata certamente compresa né al di qua né al di là delle Alpi.

Il ministro Leitmaier, già al principio della conversazione, quando lo avevo pregato di trasmettere al ministro Gruber i cordiali personali saluti che V.E. mi aveva incaricato di fargli pervenire, mi aveva chiesto quando avrebbe potuto aver luogo a mio avviso la visita che il ministro Gruber avrebbe tanto desiderato di compiere a Roma per avere la occasione gradita di incontrarsi con V.E. e con il presidente del Consiglio on. De Gasperi e sottolineare così il proposito austriaco di particolarmente buoni rapporti con l'Italia nel quadro della cooperazione europea; gli avevo risposto in termini abbastanza calorosi circa la visita stessa ma, giusta le istruzioni di V.E., vaghi e non impegnativi circa la data, accennando all'attuale laboriosa fase dell'attività governativa e dei lavori parlamentari e alla circostanza che i mesi estivi non sono in genere a Roma propizi per visite del genere4 .

Alla fine della conversazione, quasi precisando un dubbio che già mi era apparso trasparire da quanto mi aveva detto al principio, ha chiesto più apertamente se ritenevo che l'atteggiamento riscontrato a Roma, inteso piuttosto al rinvio della visita, fosse da mettersi, in qualche modo, in relazione con le osservazioni che io gli avevo esposto in genere sui problemi connessi con l'Alto Adige. Mi è sembrato opportuno di negarlo, richiamandomi anche al carattere prevalentemente personale del mio discorso e delle mie osservazioni.

Occorrerebbe forse aggiungere a quanto precede delle considerazioni di carattere generale, formulando qualche conclusione, ma data la partenza imminente del corriere mi è parso opportuno di riservare questo eventualmente a più tardi e non differire per intanto un rapporto in proposito. Esso già offre per alcune questioni che

Ili 4 Vedi D. 586 e 621.

sono di attualità utili elementi di conoscenza e di apprezzamento per le decisioni e determinazioni di V.E. Ripeto ancora che il mio discorso ha avuto un carattere personale e quindi può non comportare alcun seguito.

112

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7767/135. Atene, 13 giugno 1948, ore 9,40 (per. ore 15,30).

Con riferimento mia lettera 1588 del 9 diretta segretario generale 1 confermo che subito dopo comunicazione verbale fattami per nomina Commissione greca per accordo applicazione articolo 79 trattato di pace questo Governo, con pretesto continua crescente pressione opinione pubblica sensibilissima vedere sino ad oggi insoddisfatta ogni speranza concernente trattato di pace, intende legare tutte le questioni pendenti con l'Italia e propone di iniziare le discussioni sull'accordo per l'applicazione deii'articolo 79 con la pregiudiziale che anche per questo affare urgente nulla potrà essere concluso e firmato prima che siano risolti tutti insieme i rapporti italogreci. Anche tale comunicazione mi è stata per ora fatta soltanto a voce ed a tutto oggi non si è voluto corrispondere alla mia specificata richiesta di ottenere una precisazione scritta.

Nel frattempo per sbarazzare il terreno da ogni loro obbligo e quindi giustificare loro maggiori esigenze è stata dai greci stampata sulla Gazzetta Ufficiale (per quanto non ancora messa in azione) la legge sullo sblocco dei beni italiani favorevolmente modificata che liquiderebbe così applicazione paragrafo 6 deii'art. 79 cioè parte del negoziato. Mi riservo naturalmente studiare a fondo, appena distribuita, pubblicazione suddetta legge che così modificata Colitto riferiscemi bene accetta a questi connazionali interessati mentre io stimo meriti comunque essere protestata soprattutto perché prestasi cattiva applicazione2 .

Prego istruirmi se, in relazione queste condizioni, devo accettare iniziare negoziati oppure deYo astenermene, utilizzando d'ora in avanti presenza questo funzionario Tesoro per procedere stima complessiva valori beni italiani comportanti indennità che Governo italiano è tenuto versare connazionali ai sensi paragrafo 3, articolo 793 .

2 Con T. 7898/140 del 16 giugno Prina Ricotti, alla luce dell'esame della nuova legge testé pubblicata, riconosceva che i beni da restituire erano ora soggetti «ad aggravi assai meno onerosi di quelli previsti da primitivo schema». . . .

· Con T. 6899/79 del 15 gmgno Zoppi nspondeva che era opportuno, per Ii momento, che la legazione ad Atene si limitasse al censimento dei beni italiani.

112 1 Vedi D. 105.

113

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO

T. PER CORRIERE 6853. Roma, 14 giugno 1948.

Suo 22 1•

Pregasi comunicare Governo Salvador nella forma che apparirà costì più opportuna che apprezziamo decisione non aderire trattato pace. Occorrerà ora procedere formale dichiarazione ristabilimento stato di pace tra due paesi. Ove Governo Salvador concordi, dichiarazione stessa potrà aver luogo a mezzo scambio note, analogamente quanto fatto suo tempo con Panama.

114

IL CONSOLE MANZINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7782/56-57. Mogadiscio, 14 giugno 1948. ore 7,40 (per. ore 11,40).

Condizioni salute brigadiere Drew recentemente aggravatesi ne rendono inevitabile sostituzione. Sua missione qui aveva inizialmente carattere temporaneo e fu soltanto in seguito pressioni da parte Mason e mia che a malincuore Cumming si decise prolungarla. Nostre insistenze erano dovute comune desiderio vedere consolidata sua politica sulla questione itala-inglese mediante miglioramento situazione locale che può ormai ritenersi in buona parte raggiunto.

Inoltre miravo impedire che prematura partenza Drew imperniasse nuovamente attività B.M.A. su persona di cui al mio telegramma 35 1 per allontanamento della quale stavo lavorando. Anche questo secondo risultato può considerarsi acquisito e relativo provvedimento si effettuerà entro mese venturo.

Verso stessa epoca avverranno massima segretezza sostituzione Drew con funzionario coloniale e vari cambiamenti alte sfere B.M.A. che accentueranno passaggio amministrazione da militari a civili. Nuovo amministratore capo sarebbe funzionario Colonia! Office De Candole che intanto dovrebbe giungere qui nei prossimi giorni proveniente da Cirenaica.

Quanto precede ho saputo da fonte confidenziale vulnerabile in caso di indiscrezioni. Ho l'impressione che tutto questo sia anche in relazione a decisioni ormai

raggiunte a Whitehall circa politica britannica verso Somalia (miei 8-9-1 0)2 . Prego ove nulla osti farmi conoscere quanto al riguardo risulti eventualmente costì ed a Londra3 .

113 1 Del 7 giugno, con il quale Zanotti Bianco aveva riferito circa l 'avvenuta presentazione delle sue credenziali al presidente della Repubblica di El Salvador e circa le intenzioni di quel Governo riguardo al trattato di pace.

114 1 T. s.n.d. 7346/34-35-36 del 4 giugno, non pubblicato.

115

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7817/309. Londra, 14 giugno 1948, ore l O, 45 (per. ore 4 del 15).

Ritengo opportuno, dopo mia visita e miei colloqui costà, vedere Bevin ed intrattenerlo abbastanza diffusamente su questioni che ci interessano. Salvo istruzioni telegrafiche in contrario da parte di V.E., conto nel mio colloquio seguire questa linea:

l) premesso che si tratta allo stadio attuale di conversazioni preliminari del tutto confidenziali e non impegnative, Governo italiano sta studiando seriamente questione adesione Patto di Bruxelles; esso desidera perciò sapere come Governo britannico da parte sua vede nostra adesione;

2) in questo ordine di idee ci interessa conoscere come Governo britannico vede questione nostra partecipazione eventuali future conversazioni circa Germania ed in particolare controllo della Ruhr;

3) ci interessa anche conoscere come Governo britannico vede nostra effettiva partecipazione al Comitato per lo sfruttamento delle risorse africane: in particolare quali proposte pratiche ci verrebbero fatte su un piede di parità;

4) premesso che Governo italiano non intende fare della restituzione delle ex colonie una pregiudiziale alla sua adesione al Patto di Bruxelles, Governo britannico deve tuttavia rendersi conto importanza giungere ad una soluzione che possa essere accettabile anche da noi e facilitare di fronte opinione pubblica ulteriori sviluppi nostra politica. Tale soluzione potrebbe essere sulle linee da me prospettate a V.E.

Ripeto si tratterebbe -e lo direi espressamente -di conversazione preliminare non impegnativa nei dettagli, che tuttavia non potrebbe non essere impegnativa in certo senso nelle grandi linee anche di fronte linguaggio che intendiamo tenere costà, a Washington, a Parigi e nelle capitali Benelux 1•

3 Con T. s.n.d. 7935/60 del 17 giugno Manzini confermava le informazioni qui riportate aggiungendo che Drew gli aveva personalmente assicurato che l'orientamento da lui impresso alla B.M.A. non avrebbe subito mutamenti.

114 2 Vedi D. 44.

115 1 Con T. s.n.d. 6897/251 del 15 giugno, autografo, Sforza rispondeva: «Approvo rimanendo inteso che la allusione a informazione di cui al punto primo va bensì detta come necessaria prefazione ai punti successivi ma senza accentuare l'immediatezza dei nostri studi. Ciò tanto più che ogni nostra eventuale risoluzione sul punto primo dipenderà da decisioni e impegni americani».

116

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 14 giugno 1948.

Nel corso di una conversazione che ho avuto con l'ambasciatore di Francia relativamente alle varie questioni pendenti fra i due paesi (flotta, accordo di stabilimento, demolizione opere militari, ecc.) gli ho parlato delle istruzioni che V.E. ha dato a Gallarati Scotti relativamente alla questione coloniale' tendenti ad ottenere che la Gran Bretagna si induca a consentire il conferimento all'Italia dell'amministrazione fiduciaria sulle ex colonie a condizione che l'Italia e le popolazioni indigene trovino la possibilità di accordarsi a questo fine. Gli ho detto che ci pareva questa una soluzione onesta e che essa mirava anche a superare le obiezioni che ci vengono fatte da parte inglese tutte improntate ad una presunta ostilità degli indigeni nei nostri riguardi. Ho aggiunto che ci pareva una soluzione accettabile anche da parte di quei Governi che già si erano espressi favorevolmente al nostro ritorno nelle ex colonie e che lo pregavo a nome di V.E. di prospettare questa nuova proposta al suo Governo chiedendone l'appoggio. Mi ha promesso di agire in questo senso.

117

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1739/777. Bruxelles, 14 giugno 1948 (per. il 18).

L'inizio dell'estate trova l'opinione pubblica in Belgio di nuovo appassionata alla ricerca di una soluzione alla questione reale. Il presidente Spaak si è recato di recente in Svizzera per conferire con re Leopoldo, ed al suo ritorno ha riferito al Consiglio dei ministri; il segretario del re -Pirenne -è poi venuto a Bruxelles, latore probabilmente di nuove proposte. Il Consiglio dei ministri si riunirà di nuovo la settimana prossima, e sembra che le conversazioni continueranno. Intorno ad esse viene mantenuto il più grande riserbo, ma trattasi in ogni modo di questione di politica interna sulla quale non mi dilungo, mentre ritengo invece utile fare un breve tour d'horizon sui principali problemi politici che occupano la scena europea come essi appaiono visti da qui.

l) Benelux. La decisa volontà degli uomini politici più illuminati del Belgio e dell'Olanda, tra i quali deve essere in prima linea citato il ministro Spaak, sta cercando di superare i molti ostacoli dovuti soprattutto alle divergenze sovente sostanziali fra le due economie e che si oppongono al raggiungimento di quell'unione economica che farà del Benelux una potenza europea ed extraeuropea di un certo rilievo.

Come ho riferito con rapporto a parte 1 , in questi giorni è stato infatti deciso di predisporre tutte le misure occorrenti acciocché l'Unione possa essere dichiarata per il lo gennaio 1950.

Fra diciotto mesi l'unione doganale già esistente dovrebbe quindi trasformarsi in unione economica e a me sembra che occorre tener fin d'ora presente l'importanza di Benelux, solo vero «fatto nuovo» di questo dopoguerra, non soltanto da un punto di vista strettamente economico -importanza in se stessa indubbiamente assai notevole, dato l'alto livello industriale di esso -, ma bensì anche da quello politico ché si tratta di un agglomerato di circa venti milioni di abitanti, geograficamente siti in posizione chiave europea, con a disposizione due porti quali Anversa e Rotterdam, entrambi sbocchi naturali della Ruhr, e un impero coloniale quale il Congo belga e l'Indonesia.

A mano a mano che Benelux si consoliderà, è indubbio che la sua voce acquisterà sempre più peso, anche in conseguenza della matura preparazione della classe dirigente in Belgio, in Olanda ed anche nel piccolo Lussemburgo.

2) Germania. Come è naturale, Bruxelles e L'Aia hanno seguito e seguono con estrema attenzione tutto ciò che si riferisce al grande paese confinante, ed al suo avvenire politico-economico.

Le decisioni che sono state recentemente prese a Londra a riguardo della Germania occidentale formano oggetto di studio e di commenti, specie da parte di questi ambienti industriali e finanziari, i quali hanno sempre mantenuto importanti rapporti d'affari con la Germania.

Mia impressione è che pur avendo la delegazione belga appoggiato a Londra le tesi francesi, il Belgio non nutra nei confronti di una rinascita della potenza economica tedesca le stesse apprensioni della Francia. Pur preoccupandosene, la maggiore vitalità e lo spirito di iniziativa della sua borghesia, congiunti malgrado le due occupazioni ai tradizionali legami di simpatia, soprattutto della parte fiamminga del paese, fanno sì che questi ambienti si limitino a registrare, in buoni uomini d'affari, le reazioni dei diversi paesi interessati al progetto di soluzione provvisoria data al problema tedesco, per giudicare cosa convenga fare nel campo pratico. Il Belgio ha ottenuto un'importante soddisfazione politica col riconoscimento, contenuto nella prima parte delle «raccomandazioni» di Londra, dell'obbligo per i comandanti in capo in Germania di mantenere uno stretto collegamento con i rappresentanti del Benelux e di tenerli sempre al corrente sull'evoluzione della situazione; e soddisfazione di principio costituisce pure l'attribuzione di un voto in seno alla nuova

«autorità internazionale» per la ripartizione della produzione della Ruhr, ma il buon senso di queste popolazioni fa loro sentire che non è il Belgio e neppure Benelux che possono decidere sul fondo della questione e cioè sul dilemma pace-guerra, o su quello dell'evoluzione germanica in senso occidentale od orientale.

È ovvio, ad esempio, che il Belgio avrebbe desiderato che la Ruhr fosse europea e non soltanto tedesca, ma poiché ciò avrebbe potuto condurre a spingere i tedeschi a schierarsi prima o poi con la Russia, preferisce, guardando la situazione quale è, il revisionismo tedesco della Germania occidentale nei confronti di quella orientale che viceversa. E in questo, cioè in questo senso realistico, sta la differenza di stato d'animo fra il Belgio e la Francia. Sintomatica al riguardo è infatti l'impostazione di questa stampa che riferisce ampiamente circa le riserve e le critiche francesi, ma senza nessun incoraggiamento a resistere e quasi con l'invito invece di accettare, come il Belgio, senza amarezza, il fatto compiuto. Sintomatiche le brevi dichiarazioni fatte alla Camera dal ministro Spaak a riguardo della questione della sicurezza; le clausole concordate a Londra hanno destato molto malumore in Francia, a Spaak invece esse appaiono tranquillizzanti e soddisfacenti.

3) Patto di Bruxelles. Le divergenze sorte fra Inghilterra e Francia circa il futuro della Germania, le notizie da Washington concernenti le minacciate riduzioni del piano Marshall, il conflitto anglo-americano per la Palestina, la vaga speranza che

U.R.S.S. e U.S.A. riprendano i contatti per giungere ad una distensione nei loro rapporti, la situazione interna francese che qui desta preoccupazioni per le molte incognite racchiuse in essa, hanno fatto un po' impallidire i primitivi entusiasmi sul Patto e si parla molto poco degli accordi economici, culturali e sociali che da esso dovevano scaturire. L'accordo politico sancisce una situazione di fatto esistente da trenta anni, comandata dalla situazione geografica del Belgio e dell'Olanda nonché dal comune patrimonio di idee e di civiltà e cioè che questi paesi sono strettamente legati alla Francia ed all'Inghilterra, le quali a loro volta sono ormai strettamente legate all'America.

Poiché le formule giuridiche non possono mutare il rapporto di forza che domani si imponesse fra i due mondi divisi, per ora l'unico fatto positivo dell'accordo è quello militare. Senza molto battage, si susseguono i contatti e le riunioni fra gli Stati Maggiori dei cinque paesi interessati, e qualche risultato concreto è stato certamente raggiunto dagli studi per l 'unificazione degli armamenti, dei comandi, degli apprestamenti difensivi, ecc. Ma gli studi suddetti avrebbero anche dimostrato che, almeno pel momento, anche nel campo militare l'Unione di Bruxelles rappresenta più un'aspirazione che non una efficiente realtà.

Anche la questione se l 'Italia sarà invitata o meno ad unirsi ai cinque di Bruxelles, è qui poco sentita. Si tratta soprattutto di preoccupazioni di carattere militare-difensivo. Pur riscontrandosi minori vischiosità di quelle esistenti in Olanda, in parte ancora pigramente ancorata ad un concetto di neutralità che soltanto l'ultima guerra ha per lei dimostrato erroneo, mentre il Belgio per essere passato due volte per la stessa tragedia è più maturo all'idea dell'interdipendenza di tutti quei paesi che si trovano al sud del Reno e delle Alpi, qui non si vede molto la convenienza di allungare ancora di più la linea difensiva dell'Europa occidentale. Ma anche in questa questione, come di fronte al problema tedesco, Governo ed opinione pubblica hanno adottato un atteggiamento di prudente riserbo rendendosi evidentemente conto che l'estensione o meno dell'Unione Occidentale è problema sul quale il Belgio può bensì esprimere il suo modo di vedere, ma la decisione spetta in definitiva ai più grandi associati.

116 1 Vedi D. 126, nota l.

117 1 Non pubblicato.

118

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1356/486. Roma, 14 giugno 1948 (per. il 19).

Giorni sono, intrattenendomi in Segreteria di Stato su vari argomenti attinenti agli affari balcanici, cadde il discorso sull'Albania e sulla tristissima situazione dei cattolici in quel paese; e si venne quindi a discorrere anche dei profughi cattolici albanesi che si trovano in Italia, e specialmente del gruppetto Mirdita e di Gion Marka Gioni.

Mons. Tardini, nel manifestarmi l'interesse che il Vaticano porta a Gion Marka Gioni, e ricordandomi i soccorsi in danaro che il Santo Padre aveva in diverse occasioni largito all'esiliato montanaro, non mancò d'osservare che, sebbene per il momento non paia ci sia da far nulla in Albania per promuovere un cambiamento o almeno un miglioramento della situazione, il capitano di Mirdizia è tuttavia una pedina --forse l'unica pedina di una notevole importanza tra i vecchi maggiorenti schipetari -che può venir buona in occasioni, ora imprevedibili, ma che possono verificarsi in un avvenire anche non troppo lontano.

Gli raccontai che, secondo notizie casualmente pervenutemi, questa rappresentanza greca presso la Repubblica avrebbe fatto mediati approcci al Gion Marka, per una eventuale sua collaborazione nelle zone del Nord albanese in caso dello scoppio di disordini in Albania del Sud (disordini a cui, è chiaro, non sarebbero state estranee le interferenze del Governo greco). E con mons. Tardini convenimmo che cotesto estendersi eventuale dell'influenza greca in Albania, nella zona cattolica, non poteva [non] esser vista con favore dalla Santa Sede.

In sostanza mons. Tardini mi disse che, oggi, la Santa Sede non può né crede utile uscire da una posizione del più prudente riserbo nei riguardi degli elementi albanesi di cui sopra: anche perché qualsiasi mossa imprudente potrebbe essere causa di nuovo spargimento di sangue fra i superstiti cattolici in Albania, e non condurrebbe ad alcun risultato pratico. Però, certamente la Santa Sede sarebbe ben contenta se il nostro Governo volesse mantenere coi cattolici di Gion Marka Gioni qualche prudente e non troppo oneroso contatto, non foss'altro che per evitare ch'essi non abbiano a passare totalmente sotto l'influenza greca, cosa di cui un giorno si potrebbe aver ragione di rammaricarsi.

Gli risposi, concludendo, che della nostra conversazione avrei fatto, a titolo di cronaca, un cenno al mio Ministero.

119

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7919/475. Washington, 16 giugno 1948, ore 18,55 (per. ore 8 del 17).

Risultami in via del tutto confidenziale da ambienti E.C.A. che Harriman, dopo viaggio costà, ha inviato rapporto favorevolissimo circa situazione italiana, nostra preparazione per esecuzione piano Marshall, personalità da lui incontrate costà.

Harriman si sarebbe espresso in termini molto meno calorosi nei riguardi altri paesi partecipanti da lui visitati.

120

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1223/295. Mosca, 16 giugno 1948 1•

Unisco per documentazione un articolo testé uscito su Novoe Vremia del 16 giugno: «Che cosa avviene nelle ex colonie italiane» 2 .

Questo articolo mantiene il punto di vista sovietico, richiama le proposte di affidare il trusteeship ali 'Italia, critica fortemente l'atteggiamento anglo-americano, accusando gli anglo-sassoni di voler pregiudicare la situazione creando fatti compiuti, e si dimostra nettamente contrario a qualsiasi soluzione di pretesa indipendenza dimostrando chiaramente di ritenerla null'altro che una soluzione britannica, di tipo transgiordanico.

È tuttavia da rilevare che alla fine dell'articolo non manca una punta contro il Governo italiano, per non avere protestato contro la creazione della base aerea della Mellaha, e in generale, di essere troppo supino di fronte agli atti di accaparramento di basi militari sui territori ancora in discussione.

Può darsi che questo spunto polemico -del resto non nuovo affatto -non abbia un particolare significato; può darsi invece che voglia essere un mettere le mani avanti per il caso di un mutamento di opinione sovietico.

Dico questo perché l'articolo di Novoe Vremia non si occupa affatto dell'altra possibile ipotesi, e cioè di un mandato affidato alla Lega araba o all'Egitto. Questo silenzio potrebbe anche essere significativo, e lo rilevo perché qualche tempo fa, in una discussione con alcuni diplomatici arabi a proposito delle nostre colonie, il

120 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Non si pubblica.

ministro del Libano Takie El-Din mi chiese a un tratto: «È proprio sicuro lei che i sovietici terranno fermo fino in fondo sulla loro attuale posizione?».

Naturalmente ho detto di sì; ma a rigore, non bisogna dimenticare che i sovietici possono avere un interesse ad accontentare gli arabi dopo esserseli fatti nemici sulla questione della Palestina; e che se proprio non vi fosse nessuna altra possibilità di accordo, gli inglesi preferirebbero probabilmente il trusteeship alla Lega araba, che non all'Italia.

Tutto ciò dico per doverosa informazione; fino ad oggi, tuttavia, anche l'articolo di Novoe Vremia non offre nessun preciso appiglio per questa supposizione.

121

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1230/299. Mosca, 16 giugno 1948 1•

In una lunga conversazione odierna col generale Smith, ho potuto toccare i temi discussi dall'ambasciatore Quaroni a Parigi con l'ambasciatore Caffery e col ministro Bidault (Telespressi n. 15053 15 maggio e 15265 17 maggio u.sf

Sostanzialmente, anche il generale Smith è d'avviso che prima o poi noi dobbiamo entrare nell'Unione Occidentale, se non vogliamo restare isolati. Egli riconosce tuttavia che per il momento il nostro ingresso non è da tutti desiderato in ugual misura, né in misura tale che non ci metta nella condizione di dover domandare di essere accolti quasi con degnazione, e in una posizione di inferiorità. D'altro lato, è pure d'avviso che parlare troppo apertamente di revisione sia pericoloso, in quanto ci scopre inutilmente e ci mette in urto con l'Unione Sovietica. Secondo lui, è questione di tempismo, di saggia graduazione di momenti. L'Italia deve in un primo tempo consolidarsi economicamente utilizzando in modo saggio il piano Marshall, l'unione con la Francia, ed ogni altra sua risorsa; deve cercare di ottenere il suo ingresso all'O.N.U., il trusteeship per le colonie, e infine rafforzarsi militarrnente. Tutto questo potrà richiedere qualche anno, forse tre anni.

In quel momento, se avrà attuato in tutto o in sensibile parte un simile programma, potrà entrare nell'Unione Occidentale in situazione di parità e facendo patti chiari, che le assicurino davvero un pieno aiuto in caso di aggressione. Si tratta di vedere, egli ha aggiunto, se vi sarà tempo per fare questo: se cioè la pace continuerà per tutto questo periodo. Io penso di sì -ha aggiunto -nei limiti di tre o quattro anni; sono ottimista a breve scadenza, pessimista a lunga scadenza.

Circa la garanzia americana, egli mi ha detto che, a suo avviso, la questione è superata dai fatti; questa garanzia esiste già nella realtà delle cose, scaturisce dalla situazione politica. Potrà essere o no tradotta in garanzia formale, più presto o più

121 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 650 e 651, ritrasmessi con i citati telespressi.

161 tardi, ma questo sostanzialmente non conta. Solo i francesi, con la loro diffidenza e col loro spirito giuridico, possono pensare e pensano che gli Stati Uniti possano lasciare a sé l'Europa occidentale. Per l'Italia è un'altra cosa; certo essa è estremamente importante per noi e non vorremmo in alcun modo un dominio comunista nel vostro paese, ma non potrei rispondere oggi alla domanda, che avverrebbe se la sola Italia fosse invasa e il conflitto rimanesse isolato.

Evidentemente Smith tendeva a convincermi che la nostra adesione all'Unione era opportuna, prospettandomi la discutibile ipotesi di un supposto nostro isolamento; e d'altra parte riconosceva che non si può pretendere che l'Italia si adatti a domandare di essere accolta, per di più in condizioni di inferiorità, là dove è più o meno desiderata. Per lui è insomma questione di modo, di tempo e di condizioni.

122

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. SEGRETO 1635/532. Atene, 16 giugno 1948 (per. il 23).

Partii da Roma con l'istruzione precisa che la mia missione sarebbe stata di procedere ad una paziente graduale ricostruzione dell'amicizia italo-greca. Qui dai greci mi fu ripetuto il medesimo concetto; anzi Pipinelis un giorno mi precisò: procedere per granellini di sabbia a ricostruire un solido edificio.

Nient'affatto scoraggiato mi misi senz'altro al lavoro e dopo il primo immediato disinganno della legge sugli optanti italiani a Rodi (mio rapporto 289/93 del 4 febbraio u.s.)l allorché i greci nel febbraio u.s. s'avviavano a imporci un secondo disinganno con la legge sullo «sblocco» dei beni degli italiani residenti in Grecia, in piena violazione del paragrafo 6 dell'art. 79 del trattato di pace, intravidi la possibilità di trasformare questo nuovo contrasto in un primo concreto accordo offrendo una buona transazione attraverso un utile sacrificio italiano atto a creare una soddisfazione greca col pagamento di tutti i beni italiani in Grecia.

VE. mi fece l'onore d'accogliere subito la proposta e l'opera mia da quel momento sembrava divenire assai più facile.

Venne poi l'offerta di VE. per un patto d'amicizia e dev'essere a questo momento che nella mente dei greci sorse l'idea di cogliere la palla al balzo e cambiar politica verso l'Italia per sfruttare al massimo la generosa iniziativa di VE. Anziché attendere la presentazione del nostro schema questo Ministero degli esteri preparò un suo schema che fu presentato agli inglesi ed americani, includendovi la liquidazione di tutti i rapporti i tal o-greci del dopo guerra; tutti i claims, come ora

mi dicono. Alla fine di aprile lo schema venne reshtmto ai greci approvato dagli anglo-americani come base di discussione con I'Italia2 .

Questo incaricato d'affari d'America, a cui ho esplicitamente chiesto conferma di quanto precede, me l'ha data senza volermi precisare nulla, rispondendomi che si trattava di un progetto generico.

Ci troviamo quindi di fronte ad un voltafaccia procedurale della politica greca verso l'Italia. Dal concetto di gradualità e per settori si passerebbe a quello d'una politica totalitaria e globale.

Non posso misurare da quali elementi la solita megalomania greca sia stata spinta a questo così radicale cambiamento di condotta. L'idea deve essere stata quella d'inquadrare la politica greca nella grande politica mondiale come lo dimostra l'intenzione di appoggiare il nuovo orientamento alle decisioni degli anglo-americani, padroni della Grecia, ma non certo padroni dell'Italia. È caratteristico della megalomania di questi dirigenti di lasciarsi trasportare ad agire dimenticando che sono un piccolo popolo che vive in un incendio e che ha per unica speranza quella di risorgere dalle ceneri.

A mio parere la Grecia deve avere creduto di potere sfruttare una difficile situazione internazionale per dirigersi verso di noi, tentando strappare dall'Italia qualche successo di politica estera che gli manca ovunque. Il solito successo che di tanto in tanto l'ondeggiante politica greca cerca per fini interni nel campo internazionale andando incontro sempre a delle delusioni.

Mi mancano elementi precisi per giudicare con sicurezza la situazione, ma voglio esporre a VE. sommariamente come penso che i greci possano avere creduto di vedere l'Italia nei rapporti con tutti gli altri Stati. La Grecia ha sempre pensato che l 'Italia per forza naturale di cose dovrà finire per entrare nel Patto occidentale. N'è prova la dichiarazione fatta nel marzo, al momento del convegno dei Sedici per I'E.R.P. a Parigi, quando apparve su questa stampa il disdegno di una Grecia vincitrice di entrare nel Patto occidentale valendosi, come «ponte», d'una Italia vinta!

Queste sfere ufficiali sanno che l'Inghilterra nei nostri confronti soffre della tradizionale lentezza anglosassone ed è ferma, o per lo meno poco lontana dalla deprecata psicologia del!' «Unconditional Surrendem. Nell'Unione doganale italafrancese possono avere creduto vedere un ripiegamento francese verso l'Italia in previsione dei rischi d'isolamento che la Francia prendeva nella sistemazione del problema tedesco.

Tutto questo deve aver fatto pensare ai greci che gli anglo-americani non vedessero di buon occhio un'amicizia troppo intima, autonoma e-per loro-prematura, fra due paesi mediterranei ed abbiano progettato di speculare su questo antagonismo. Specie da parte dell'America che, abbandonata la dottrina di Monroe, entra oggi nuova nel Mediterraneo a sconvolgere antichissime posizioni ed interessi nazionali.

Questo vaglio dell'atteggiamento anglo-americano è purtroppo anche mia personale impressione. Sin dal primo giorno del mio arrivo in Grecia ebbi la sensazione che gli inglesi ma in ispecie gli americani, non vedessero troppo di buon occhio un 'amicizia indipendente italo-greca, cioè fra due Stati che occupano nel Mediterra

neo delle posizioni di così decisiva importanza per una politica non ancora delineata fra gruppi regionali ad oriente ed occidente europeo.

Riportai quest'impressione, sia per quanto al mio arrivo mi veniva riferito circa il comportamento deii'A.M.A.G. nei nostri confronti (mio telegramma n. 227 del 16 dicembre 1947)3, sia per i rapporti avuti in seguito con inglesi ed americani, cordialissimi personalmente (specie gli americani), ma assolutamente negativi politicamente. Anche l'atteggiamento ora di Rankin di assoluto riserbo è prova che, almeno gli americani di qui, non vogliono aiutare.

Si noti che nel marzo Tsaldaris tornava proprio allora da Parigi dove -mi vien detto-s'era presentato, non pregato, per entrare nel Patto occidentale ricavando un rifiuto che l'aveva tanto più mortificato nel paragone col Lussemburgo! Tornato ad Atene aveva sofferto una nuova disillusione nell'inconcludenza di Sadak e s'era ridotto alla maniaca politica araba (l'unica che gli americani sono contenti di permettergli) nella meschina prospettiva di divenire l'ottavo Stato arabo! Primus inter pares! (mio rapporto n. 1445/467 del 26 maggio u.sf

In questa triste situazione è spiegabile come Tsaldaris, che ben conosce la passione di V.E. per una pace mediterranea basata sull'unione dei popoli mediterranei, abbia pensato di sfruttare l'atteggiamento anglo-americano per cercare, appoggiandosi a costoro, di rivolgere all'Italia le sue solite esagerazioni ed è passato così ad un tratto dal concetto di gradualità a quello globale. Si è fatto approvare Io «schema» tenendolo poi gelosamente segreto, anche per non rivelare l'origine dell'appoggio che ci avrebbe inutilmente irritati. Si è mostrato perplesso d'innanzi alla proposta di collaborare all'iniziativa per Gerusalemme suggerita da V.E. (mio rapporto n. 1445/467 del 26 maggio u.s.) per poi al momento opportuno-quando cioè io avessi iniziato i negoziati nel modesto e preciso settore dei beni italiani -rivelare d'improvviso il nuovo atteggiamento nella pregiudiziale di parallelismo di liquidazione di tutti i rapporti italo-greci.

Si noti che l'atteggiamento greco è simultaneo e simmetrico in tutt'e tre i settori nei quali unicamente abbiamo oggi in corso trattative con la Grecia: quello dei «beni», quello della Scuola archeologica ed infine quello di Rodi. Atteggiamento simultaneo e simmetrico perché le trattative in tutt'e tre i casi si arrestano nello stesso momento con la medesima pregiudiziale espressa o tacita.

Infatti il rappresentante del Tesoro arriva ad Atene il 2 giugno ed il 6 giugno è immobilizzato dall'improvvisa pretesa di subordinare l'accordo alla «pregiudiziale», mentre la Gazzetta che pubblica la legge sullo sblocco dei beni porta la data del 5 giugno. Viene sospesa la distribuzione della Gazzetta sino al giorno 15 giugno (cosa mai vista) perché si spera portarmi alla seduta senza che io la legga essendoché la pubblicazione della legge viola le condizioni da me precisate per iscritto in una nota verbale consegnata personalmente a Tsaldaris nel proporre l'accordo, il 22 marzo u.s. e qui allegata in copia5 .

Vedi D. 61. 5 Non pubblicata.

Il rappresentante del Ministero della pubblica istruzione, prof. Doro Levi, è in pari data immobilizzato da una nota verbale greca del 6 giugno nella quale sono dimenticati tutti gli accordi presi con il prof. Doro Levi venuto ad Atene da tre mesi su precisa richiesta greca ed a patti ben chiaramente concordati, oggi di colpo tutti dimenticati (mio telespresso n. 1643/537 del 16 giugno 1948)6 .

A Rodi tutte le intese si fermano in conseguenza dell'arresto ad Atene e continua soltanto il lavoro che interessa i greci: la partenza degli italiani.

Si noti che proprio in data di oggi sull'ufficioso Messager d 'Athènes esce l'accluso comunicato7 in assoluto contrasto con la situazione e che evidentemente è diramato per preparare poi una delle solite offensive orchestrate nella stampa quando si dirà che tutte le trattative sono arrestate per colpa degli italiani. Anzi il preludio è già accennato nella falsa protesta per la restituzione delle «antichità» dodecannesine.

Voglio anche dire che se ci si mette da un punto di vista greco, che non tiene conto dei nostri imbarazzi, l 'idea di fare tutt'uno dei rapporti italo-greci del dopoguerra e tentame una liquidazione globale può essere anche logica. Ma quello che non è assolutamente tollerabile né giustificabile è la forma, tanto più dai greci appoggiata agli angloamericani.

Può anche darsi però che i greci modifichino questo loro atteggiamento. Anzi rapide parole scambiate stamane con Tsaldaris mi hanno dato l 'impressione che essi stessi stiano realizzando di avere esagerato ed in questo caso sarà facile trovare una formula per superare il malfatto. Ma se questo ulteriore cambiamento non si manifestasse ed a meno che ragioni superiori di politica (che io non conosco e che soltanto la saggezza di V.E. può vagliare) militino a favore d'una speciale tolleranza, è mia opinione che l'atteggiamento greco meriti da parte nostra fermezza e dignitosa indifferenza8 .

122 1 Non pubblicato.

122 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 579.

122 3 lbid., D. 6.

123

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA 2320. Il Cairo, 16 giugno 1948.

Al mio ritorno in sede ho riletto con grande interesse la tua del 20 aprile

n. 05001 , e ti ringrazio di avermi inviato i resoconti dei colloqui svoltisi a Tripoli con Salem Muntasser.

7 Non si pubblica.

R Il documento reca a margine la seguente annotazione autografa di Sforza: «Sono d'accordo ma senza irritazione, fingere di non vedere» 123 1 Non pubblicata.

Rilevo in proposito le favorevoli disposizioni che sarebbero state esternate da re Faruk per il ritorno dell'Italia in Libia. Non sarei sorpreso che le informazioni corrispondessero a verità, perché questo sovrano nutre effettivamente, sia pure a modo suo, sentimenti amichevoli per l'Italia. Ne sono una prova le costanti e marcate cortesie usatemi nel primo anno della mia missione qui, e che vanno ovviamente al di là della mia persona; il continuo ricordo dei legami che univano suo padre Fuad al nostro paese; la permanenza nel suo entourage più intimo di italiani, malgrado la imperante xenofobia; le reiterate se pur platoniche espressioni di simpatia per l'Italia che mi vengono frequentemente ripetute dai principali esponenti del Governo che non si azzarderebbero a tanto se non sapessero di interpretare il pensiero del sovrano.

È d'altro lato evidente che l'Egitto continuerà a reclamare pubblicamente l'indipendenza della Libia, né diversa potrebbe essere la sua linea di condotta, visto che esso, sia pure con scarsa fortuna, si atteggia a leader e paladino della riscossa araba. Ma non è neppure da escludere che, piuttosto di veder consolidarsi definitivamente il dominio diretto o indiretto degli inglesi in Libia, il Governo egiziano preferisca in extremis e obtorto collo il ritorno dell'Italia nella sua colonia mediterranea.

Quest'ultima eventualità, se pure assai remota, non va scartata a priori, soprattutto se all'attuale Governo ultra-nazionalista ne succedesse un altro di tinta meno accesa. Ciò che più facilmente potrebbe avvenire se l'Egitto riuscisse a svincolarsi dalla impasse palestinese in cui si è così imprudentemente cacciato e risolvere una volta o l'altra le sue difficoltà con l'Inghilterra.

Di grande utilità mi è anche, per mio orientamento, l'altra cortese tua lettera del 9 maggio u.s. (segr. poi. 0551 )2 relativa al promemoria Giannantoni. Io non mancherò di continuare a mantenere e possibilmente intensificare tutti quei contatti che la prudenza ed il riserbo che vanno osservati in questi casi renderanno consigliabili, astenendomi al contempo di dar loro qualsiasi carattere di negoziato, e verrò riferendoti mano a mano in merito ad essi in modo che tu, colla tua conoscenza di tutto lo scacchiere politico, possa dirigerli e regolarli secondo le convenienze del momento. Questi contatti potranno tenersi coi tripolini qui residenti o di passaggio, con gli esponenti del Governo egiziano ed infine con quelli della Lega araba. Ancor più prudenti questi ultimi, ch'io finora non ho mai preso, in attesa di vedere se e come la Lega riuscirà a cavarsi dagli impacci della delicata situazione in cui s'è cacciata per la questione palestinese.

Io, ripeto, procederò con molta cautela e lento pede ma sarebbe utile ch'io avessi fin d'ora disponibile persona sul posto adatta per mantenere queste fila, senza troppo esporre la legazione. In questi ultimi tempi ho avuto modo di conoscere, durante i suoi passaggi al Cairo, il prof. Francesco Lisi, e di apprezzarne le qualità. Ho anche potuto constatare che egli è assai bene introdotto negli ambienti egiziani sia di Palazzo che politici, e che la sua conoscenza della lingua araba gli facilita assai questo compito. Mi viene riferito che negli ultimi tempi della sua permanenza in Egitto lo scorso anno la sua azione non avrebbe trovato la piena

approvazione del mio predecessore. Tuttavia io penso che egli, opportunamente guidato e controllato, potrebbe ancora renderei degli utili servigi. Per superare la difficoltà di rimunerarlo, ove tu fossi d'accordo sull'opportunità di utilizzarlo ancora, ti dirò che in legazione ho tenuto libero un posto di impiegato locale, e che ho già l'autorizzazione della Direzione generale del personale di assumere sul posto un elemento che abbia una perfetta conoscenza dell'arabo.

Queste favorevoli circostanze mi permetterebbero di assumere senz'altro il Lisi: sarebbe però necessario che tale assunzione rimanesse del tutto riservata, quanto meno qui in Egitto, e che egli svolgesse la sua attività al di fuori della legazione, alla quale dovrebbe soltanto riferire a tempo e luogo, ed in base alle istruzioni ricevute.

D'altro lato questa sua occupazione non dovrebbe precludergli la possibilità di continuare a svolgere la sua attività nel settore commerciale, che del resto gli servirebbe di copertura di fronte agli egiziani.

Ti sarò grato se vorrai riflettere a questa mia proposta, della quale potremo del resto riparlare al mio ritorno a Roma alla fine del corrente mese in occasione del battesimo di mio figlio.

122 6 Non rinvenuto.

123 2 Vedi D. 2.

124

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 6988/370. Roma, 17 giugno 1948, ore 15, 15.

Norme procedura Consiglio e Assemblea O.N.U. in vigore da 1° gennaio u.s. prescrivono che domanda ammissione O.N.U. sia accompagnata da «strumento formale» con cui Stato richiedente dichiara che accetta obblighi statutari.

Considerato cordiale appoggio precedentemente datoci al riguardo da codesto Governo, pregasi interessare Dipartimento di Stato affinché voglia appurare presso

O.N.U. se tali norme debbano applicarsi anche a nostra domanda che fu presentata maggio 1947 quando norme procedura prescrivevano deposito strumento adesione soltanto dopo decisione favorevole Assemblea generale.

Applicazione nuove norme comporterebbe, ove intendessimo anche in tal caso sollecitare riesame nostra domanda, necessità sottoporre preventivamente a Parlamento disegno legge autorizzante Governo depositare entro luglio strumento formale accettazione obblighi statutari, e conseguente discussione preventiva alle due Camere.

È invece evidente che sarebbe preferibile sottoporre a Parlamento disegno-legge autorizzante deposito strumento adesione dopo raccomandazione Consiglio sicurezza e quando fosse pertanto praticamente assicurata nostra ammissione 1•

124 1 Per la risposta vedi D. 155.

125

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLA LEGAZIONE DELLA REPUBBLICA FEDERATIVA POPOLARE DI JUGOSLAVIA A ROMA

NOTA VERBALE 5/45371 . Roma, 17 giugno 1948.

Il Ministero degli affari esteri, in risposta alla nota verbale 4 corrente n. 605/ 482 , ha l'onore di comunicare quanto segue:

l) Il Governo italiano ha preso atto della proposta contenuta nella nota verbale sopracitata e si ritiene autorizzato ad interpretare tale proposta come l'assicurazione che anche da parte jugoslava si intende riprendere i negoziati diretti con uno spirito di reciproca comprensione e col proposito di attenersi alle disposizioni normative dell'art. l del trattato di pace.

2) Per queste considerazioni, esso è disposto a dare alla propria delegazione le necessarie istruzioni affinché la Commissione mista possa immediatamente iniziare i lavori sul terreno allo scopo di procedere alla demarcazione della frontiera nei settori indicati ai paragrafi l e 2 dell'art. 3 del trattato di pace (settore settentrionale).

3) Onde consentire la rapida effettuazione di tali lavori il Governo italiano ritiene però necessario che in via preliminare sia definita la questione dei poteri delle sottodelegazioni, nel senso che in ogni settore alla sottodelegazione jugoslava ed a quella italiana siano ufficialmente conferiti poteri identici, quale che sia la estensione che la Commissione mista ritenga di riconoscere a tali poteri.

4) Quindi per tutti i tratti di frontiera del settore settentrionale per i quali le due delegazioni e le rispettive sottodelegazioni potranno facilmente realizzare un accordo si potrà senz'altro procedere al picchettamento del tracciato. Per i tratti invece ove sorgessero divergenze che le due delegazioni non fossero in grado di appianare direttamente, tali divergenze dovranno essere di comune accordo sottoposte ai rappresentanti delle quattro grandi potenze garanti d eli 'interpretazione e dell'esecuzione del trattato di pace.

Quanto precede, s'intende, senza pregiudizio per le deliberazioni che i rappresentanti stessi -investiti dal Governo italiano in data 18 maggio di tutta la questione della delimitazione definitiva dei confini italo-jugoslavi -dovessero prendere circa la questione della demarcazione della frontiera nei rimanenti settori.

Qualora il Governo della R.F.P.J. concordi su quanto precede, il Ministero degli affari esteri prega la legazione di Jugoslavia di volergli far tempestivamente conoscere la data e il luogo proposti per la prima riunione di questa nuova fase di lavori della Commissione mista.

A titolo d'informazione e in relazione al passo fatto dal Governo italiano in data 18 maggio u.s. 3 , della presente nota verbale, come della nota verbale della legazione della R.F.P.J. del 4 corrente n. 605/48, viene data comunicazione agli ambasciatori degli Stati Uniti, della Francia, del Regno Unito e dell'U.R.S.S.

125 1 Sul documento è annotato che la presente nota verbale venne consegnata in pari data da Castellani al consigliere Jovanovic. 2 Vedi D. 93.

126

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 17 giugno 1948.

L'ambasciatore Dunn, col quale avevo espresso il desiderio di avere una conversazione di carattere generale sui problemi che maggiormente interessano, in questo momento, l'Italia, è venuto oggi a vedermi.

Ci siamo innanzi tutto intrattenuti su questioni di maggiore e minore importanza interessanti i due paesi. Gli ho detto che ritenevo di poter interpretare il pensiero di

V.E. nell'assicurarlo che base fondamentale della nostra politica estera è e rimane la decisa volontà di intrattenere rapporti sempre più amichevoli con gli Stati Uniti. Gli ho citato come più recente manifestazione di tale direttiva il nostro atteggiamento circa gli accordi per l'E.R.P. e ho espresso il nostro desiderio di poter firmare al più presto l'accordo bilaterale. L'ho messo al corrente della decisione di V.E. di assegnare ali 'ufficio d eli' o n. Campilli, di cui gli ho nuovamente spiegato i compiti, uno dei migliori funzionari del Ministero la cui attività potrà riuscire particolarmente utile sia a noi che agli americani nell'assicurare, secondo l'esperienza suggerirà, il miglior coordinamento delle singole amministrazioni interessate. Mi ha detto che Harriman è rimasto molto bene impressionato dai vari colloqui avuti a Roma e soddisfatto del nostro «meccanismo». Gli ho poi detto che, per quanto si riferisce a varie questioni in esame fra il Ministero e l'ambasciata mi ripromettevo di portarle rapidamente a conclusione e gli ho chiarito che per nessuna di esse ho riscontrato «resistenze» da parte degli uffici, ma soltanto il desiderio comprensibile di trovare la migliore formulazione per risolverle, ciò per evidenti motivi, che egli ha apprezzato.

Sono poi passato a dirgli che, dopo i nostri rapporti con gli Stati Uniti, quelli a cui maggiormente teniamo, sono i rapporti con la Francia e l'Inghilterra che abbiamo costantemente cercato di rendere sempre più cordiali e fiduciosi. Non potevo però non dirgli francamente che vedevo con preoccupazione come tali rapporti fossero destinati nelle prossime settimane ad entrare in una fase assai delicata. Quelli con la Francia per la questione delle navi, quelli con la Gran Bretagna per la questione coloniale, su entrambe le quali la nostra opinione pubblica si mostra estremamente sensibile.

L'ho messo al corrente degli ultimi sviluppi della questione delle navi e gli ho detto essere nostra ferma intenzione di onorare gli impegni assunti: tuttavia avremmo nuovamente insistito a Parigi per cercare di indurre il Governo francese ad un gesto di rinunzia sia pure parziale e l'ho pregato di considerare quanto potrebbe risultare utile -al fine stesso di mantenere inalterato l'attuale stato dei buoni rapporti italafrancesi -un appoggio di Washington.

Dunn ha espresso l'avviso che da parte francese qualcosa sembra si sia disposti a fare e mi ha detto che ne intratterrà il suo Governo pur rendendosi conto della situazione degli Stati Uniti resa delicata dal fatto che anche essi sono tenuti agli impegni assunti nel trattato. Gli ho poi accennato alla possibilità di una dichiarazione di simpatia per la Marina italiana che potrebbe fare il Dipartimento di Stato in tale circostanza: esaminerà l'idea.

Circa le colonie l'ho messo al corrente delle istruzioni date da V.E. a Gallarati Scotti1 e gli ho detto che la linea di condotta da noi adottata ci pareva onesta e meritevole dell'approvazione e dell'appoggio da parte degli Stati Uniti. Ho aggiunto che, dopo le elezioni e nonostante l'esito di queste, avevamo dovuto constatare con sorpresa un irrigidimento britannico su tale questione e che non ce Io spiegavamo anche perchè ripetutamente avevamo fatto sapere a Londra che eravamo disposti a tener conto di tutti gli interessi britannici in Africa, sia economici che strategici. Si poteva benissimo, a questo riguardo, trovare una formula che salvaguardasse tali interessi anche nei confronti degli Stati Uniti, e ciò potrebbe costituire de facto una collaborazione fra l'Italia e le potenze occidentali in Africa. L'ambasciatore Dunn ha trovato che le direttive impartite da V.E. a Gallarati Scotti sono ottime e ha promesso di appoggiarle vivamente a Washington. «Speaking frankly», ha aggiunto che gli Stati Uniti non hanno nulla in contrario -in linea di principio -ad un trusteeship italiano, ma che hanno anch'essi, come gli inglesi, interessi militari da salvaguardare: «per la vostra stessa protezione» ha concluso.

Da parte mia ho riaffermato che si tratta di trovare la formula, ma che non obiettavamo a che essi salvaguardassero quelle che considerano loro necessità particolari. Si è mostrato soddisfatto.

Mi ha detto di chiamarlo senza esitazione ogni qualvolta avrò necessità di parlare con lui. Egli desidera mantenere con V.E. e col Ministero i più amichevoli e frequenti contatti perchè ha detto: «lavoro per il mio paese, ma anche per l'Italia».

125 3 Vedi D. 33, Allegato.

126 1 Sono le istruzioni date nel corso della visita a Roma di Gallarati Scotti (vedi D. 115) che Zoppi in una lettera del 18 giugno (n. 3/31 O) così precisò: «Le istruzioni date a Gallarati Scotti circa la questione coloniale sono di sostenere la tesi seguente: poiché il rapporto della Commissione di inchiesta metterà in luce che i territori da essa visitati non sono maturi per una indipendenza immediata, le quattro potenze dovrebbero esprimersi nel senso che esse non hanno nulla in contrario a che il compito di avviare i territori stessi al selfgovernment sia affidato all'Italia, se quest'ultima può accordarsi in tal senso con i rappresentanti delle popolazioni. Que;ta ci è parsa una formula atta a superare le obiezioni inglesi o per lo meno a mettere alla prova la buona o la malafede di queste obiezioni che sempre ritornano sul tema delle difficoltà che potremmo incontrare nel caso di un nostro ritorno».

127

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L.'. Roma, 19 giugno 1948.

In risposta al suo rapporto dell'Il giugno (piano Marshall) 2 desidero assicurarla che quello stesso 11 giugno ricevetti il sig. Harriman e nel corso di una lunga e cordiale conversazione gli feci osservare:

-che teoricamente non potevo che compiacermi della decisione da lui significata che toccherà agli europei a fare le ripartizioni degli allotments perché ciò era una nuova prova del disinteresse americano e del desiderio americano che gli europei imparino a unirsi;

-ma che nella pratica poteva temersi una coalizione dei più forti contro i più deboli; che noi eravamo tuttora fra i deboli; ma che per ciò solo eravamo più degni degli aiuti E.R.P.; come faremmo in caso di ingiuste decisioni?

Harriman mi rispose che non avevamo che a meritare colla nostra condotta e dirittura l 'appoggio americano e che non v'era dubbio ch'esso non mancherebbe. Il giorno dopo, 12, a una colazione d'addio offerta dall'ambasciatore degli S.U., ricordai brevemente a Harriman le mie parole; egli non si disdisse. Le difficoltà son certo possibili, anzi probabili. Ma dobbiamo aver la certezza di poterle superare.

128

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 7153/384. Roma, 21 giugno 1948, ore 21,50.

Il Governo italiano non può non essere preoccupato da decisione annunciata da Harriman a Parigi 1 di affidare a O.E.C.E. ripartizione aiuti, in contrasto con quanto era stato precedentemente detto che cioè Governo americano sarebbe sostanzialmente rimasto arbitro tale ripartizione.

È chiaro infatti che nostra posizione ci porrebbe in stato grave inferiorità di fronte preminenti interessi anglofrancesi ove si affermasse concetto, che già delineasi a Parigi, di dare priorità alla ricostruzione complessi economici più potenti a tutto svantaggio quindi economie più deboli quali quella nostro paese.

Vedi D. 109. 128 1 Vedi D. 109.

Ne ho intrattenuto Harriman2 il quale mi replicò che in ultima ratio potremmo ricorrere e contare su appoggio codesto Governo.

Tuttavia sarà bene che ella colga prima opportuna occasione per rappresentare Dipartimento Stato situazione di inferiorità in cui Italia verrebbe comunque a trovarsi se ripartizione dovesse essere demandata sostanzialmente a O.E.C.E. Ciò malgrado ogni nostro buon volere di contribuire ad una migliore cooperazione europea in seno al consesso Parigi.

È proprio nostra volontà collaborazione che ci fa temere che cooperazione possa essere disturbata da attriti che non mancherebbero sorgere se egoismi nazionali non potessero opportunamente essere frenati 3 .

127 1 Autografa, inviata per conoscenza anche a Tremelloni ed a Campilli.

129

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 809/1157112390. Parigi, 21 giugno 1948. 1

Ho detto a Chauvel, riferendomi ai contatti iniziati a Roma tra i rappresentanti delle due Marine, che pur essendo indispensabile di mettere alle prese direttamente le due bestie feroci, era però inevitabile che in ultima analisi fossero le autorità politiche dei due paesi a riservarsi la decisione definitiva. Chauvel mi ha detto che ne conveniva ed era appunto a questo scopo che il Governo francese aveva subito consentito alla nostra proposta di affiancare i rappresentanti militari con dei civili.

Dopo avergli ricapitolato i precedenti della questione, ho detto a Chauvel che era necessario in primo luogo stabilire come volevamo trattare la questione. Se da parte francese si insisteva sull'applicazione integrale o quasi delle clausole del trattato di pace allora non restava per noi altra alternativa che provocare da parte francese un diktat di fronte al quale noi avremmo dovuto sottometterei. In un certo senso era questa la soluzione più facile per il Governo italiano; dovevo però prevenirlo che essa avrebbe provocato in Italia delle reazioni di opinione pubblica, in tutti i settori, molto forte. Per questo il Governo italiano desiderava evitarla e doveva restare ben chiaro che se a questo si arrivava la responsabilità ricadeva sul Governo francese che era stato da noi, e da tempo, prevenuto. Che non prendesse quello che io gli dicevo come uno chantage: il riavvicinamento italo-francese non era soltanto una volontà dei due Governi: era anche la risultanza ineluttabile di una situazione politica generale a cui né l'uno né l'altro, anche volendo, avremmo potuto sottrarci. La crisi della flotta avrebbe finito per essere superata come le altre: essa però avrebbe imposto un tempo di arresto, di qualche mese, perché si potesse continuare l'opera di riavvicinamento e credevo fosse comune interesse di evitarlo. Se non si

3 Per la risposta vedi D. 179.

voleva ricorrere alla formula del diktat bisognava procedere come era stato fatto per la questione dei beni e per la questione delle frontiere: cercare una formula di compromesso: potevamo ammettere con tutta riserva per la sua giustizia intrinseca il principio: ma bisognava da parte francese ci venisse fatta qualche concessione che facilitasse l'opera che il Governo italiano era deciso di svolgere per fare inghiottire aii'opinione pubblica italiana l'amara pillola.

I punti su cui doveva basarsi il compromesso erano tre:

l) cambiamento del titolo della cessione, da ripartizione in restituzione;

2) alleggerimento considerevole degli oneri finanziari che questa cessione Imponeva; 3) una riduzione, non soltanto simbolica, del tonnellaggio da cedere.

I negoziati per la flotta erano stati iniziati a Roma e credevo fosse opportuno continuarli a Roma; mi sembrava necessario però procedere come avevamo fatto in casi analoghi precedenti:

l) stabilire il principio che si voleva dalle due parti arrivare ad un compromesso; 2) fissare i limiti del compromesso lasciando poi agli organi tecnici di azzuffarsi sui dettagli. Chauvel ha mostrato di comprendere il nostro ragionamento che del resto, mi ha detto, era stato ripetutamente segnalato dalla ambasciata di Francia a Roma.

Ne avrebbe parlato a Bidault. Mi ha assicurato della buona volontà del Ministero degli affari esteri pur senza nascondermi la sua difficile situazione attuale sul piano estero, che non rendeva agevole contrastare le insistenze della Marina. Mi ha detto che fra giorni doveva arrivare qui l'ambasciatore di Francia a Roma, presumibilmente per parlare qui delle stesse questioni. Ne avremmo potuto di nuovo parlare a tre ed eventualmente tutti insieme con Bidault.

128 2 Vedi D. 127.

129 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

130

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 7179/55. Roma, 22 giugno 1948, ore 14,50.

On. La Malfa accettato presiedere delegazione commerciale che si recherebbe costì possibilmente verso fino luglio p.v.

In settimana saranno iniziate presso questo Ministero riunioni interministeriali per lavori preparatori, mentre richiedesi questa ambasciata sovietica se suddetta data sta bene 1 .

130 1 Rispondendo con T. 8239/199 in data 23 giugno Brosio suggeriva il preventivo invio a Mosca del consigliere commerciale.

131

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8221/317. Londra, 22 giugno 1948. ore 21,20 (per. ore 9 del 23).

In attesa vedere Bevin il quale è in congedo ho avuto colloquio con Sargent al quale ho esposto nostre proposte circa colonie. Sargent le ha esaminate attentamente riservandosi parlame a Bevin.

Non gli ho nascosto sfavorevoli e gravi ripercussioni che potrebbe avere in opinione pubblica italiana constatazione che prima del 15 settembre la sola Inghilterra apparisse aver negato all'Italia ogni possibilità di ritorno, sia pure condizionato, nelle antiche colonie. Egli mi ha assicurato che nessuna decisione in senso negativo era stata prospettata o era in vista di esserlo da parte britannica. Non mi ha nascosto sua impressione che non sia facile giungere nelle prossime settimane ad una proposta positiva concorde dei quattro supplenti in modo da evitare rinvio alle Nazioni Unite.

Tale impressione è confermata da Charles il quale ha rilevato che per un complesso di circostanze, fra cui puntigliosa insistenza dei sovietici perché i rapporti della Commissione d'inchiesta non vengano diramati prima che ne sia pronta traduzione in russo, procedura subisce ritardi che renderanno praticamente impossibile esaurire discussione prima del termine fissato dal trattato di pace.

Considerando i dubbi che ci è lecito avere circa buona volontà inglese in questo campo, sembra urgente premere su Stati Uniti e Francia perché da parte tre potenze si trovi possibilmente una formula che le impegni a chiarire loro posizione prima del rinvio alle Nazioni Unite: di tale parere mi parve essere anche l'ambasciatore Dunn a cui parlai in proposito a Milano l O corrente. Riterrei anche opportuno che ci preparassimo fin d'ora a sostenere e far sostenere nostre richieste all'Assemblea dell'O.N.U.

132

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8259/73. Stoccolma, 23 giugno 1948, ore 19,40 (per. ore 23,30).

Prendendo lo spunto dalla discussione del progetto governativo di difesa di cui al rapporto di questa legazione n. 388 1 il ministro degli affari esteri ha fatto dichia

razione politica estera reiterando la volontà di astensione da qualsiasi blocco e definendo l'attuale posizione della Svezia di «neutralità armata».

Unden ha rivendicato l'iniziativa della collaborazione militare dalla Scandinavia e, pur facendo riserve a causa delle note divergenze di carattere politico, ha lasciato la porta aperta a possibili intese nel futuro. Risultami che il suo pensiero in tale materia è che nell'attuale momento una intesa qualsiasi di carattere militare sarebbe a spese della Svezia che è la sola in condizioni di disporre di armamenti relativamente notevoli. Il progetto di difesa che su richiesta del ministro degli affari esteri contiene l'adozione esplicita della sua linea politica, è stato dalle due Camere approvato.

l miei colleghi di Inghilterra e di America non nascondono preoccupazioni per l'atteggiamento che se non di «appeasement>> verso l'U.R.S.S., considerano imprevidente per la Svezia ed in contrasto con i piani del fronte unico dei paesi occidentali.

132 1 Non rinvenuto.

133

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8274;493. Washington, 23 giugno 1948, ore 21,17 (per. ore 7,30 del 24).

Suo 386 1•

Dipartimento Stato ha avuto oggi nuove riunioni con quattro ambasciatori per ultimi ritocchi testo accordo bilaterale, che Dipartimento spera possa essere definitivo. Non esclude però che inglesi possano formulare ancora qualche nuova osservazione domani.

Dipartimento, presso il quale alcuni Governi partecipanti più riluttanti debbono aver svolto passi rilevando imbarazzi che, con negoziati ancora in corso, firma accordo con qualche paese e conseguente sua pubblicità comporterebbe (questo ambasciatore inglese ha cercato d'informarsi da me oggi circa eventualità tale pubblicazione), si è orientato come segue:

l) testo concordato tutt'oggi viene telegrafato stasera a codesta ambasciata americana.

2) Se esso, dopo nuove conversazioni con quattro e soprattutto con inglesi, che dovrebbero esaurirsi domani, dovesse subire nuove modifiche e miglioramenti, queste verrebbero telegrafate subito costà.

3) Dipartimento conta anche telegrafare domani istruzioni a Dunn per firma sabato sia accordo sia scambio note circa trattamento nazione più favorita.

4) Se modifiche predette giungessero troppo tardi per incorporamento in testo accordo, potrebbero essere inserite in protocollo addizionale o in scambio note, secondo desiderio Governo italiano cui spetta naturalmente giudicare su implicazioni

175 parlamentari tale metodo e suoi riflessi verso opinione pubblica e altri paesi partecipanti.

Dipartimento ha fatto presente che tali continui imbarazzanti ritardi, che non erano previsti, derivano da persistente disaccordo su alcuni noti punti controversi. Questa ambasciata ha ribadito gravità situazione che derivane per Governo italiano e ha insistito nuovamente nel senso di cui telegrammi ministeriali 381 e 383 2 .

Dipartimento ha assicurato che farà nuovi tentativi con E.C.A. Data però estrema incertezza tali passi, Dipartimento raccomanda accelerare più possibile tempi nostra procedura parlamentare. Sarò grato conoscere d'urgenza per mia norma linguaggio prevedibile durata anche approssimativa periodo tale procedura da giorno firma a quello ratifica3 .

133 1 Del 22 giugno, con il quale Sforza aveva chiesto chiarimenti sulle possibili conseguenze della firma dell'accordo prima che altri paesi avessero concordato il testo definitivo.

134

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 8568/025. Madrid, 23 giugno 1948 (per. il 30).

In questi ambienti giornalistici, specie americani, si considera possibile nella prossima Assemblea della O.N.U. una qualche iniziativa tendente a porre nuovamente in discussione la questione spagnola nell'intento di ottenere la approvazione di una formula che consenta il ritorno dei capi missione. Si crede che gli Stati Uniti si adopereranno in forma più decisa per una soluzione e che altri paesi, finora ostili o incerti, appoggeranno la proposta onde trarre un utile dalla rinormalizzazione delle relazioni con la Spagna, considerata inevitabile a non lunga scadenza per l'evolvere della situazione internazionale.

Il collega americano, pur mostrandosi ottimista sull'esito di una nuova discussione alla O.N.U., mi ha detto che l'atteggiamento di Franco, persistente nella assoluta negativa anche per la più piccola concessione sulla via di un liberalismo politico ed economico che possa consentire la cooperazione con l'Occidente, non è tale da facilitare una soluzione favorevole della quale, secondo Culbertson, l'economia spagnola ha assoluta necessità essendosi in questi ultimi tempi pericolosamente accentuata la crisi nei settori industriali.

È interessante rilevare come il punto di vista di Culbertson coincide sostanzialmente con quanto ebbe a dirmi l'attuale ambasciatore di Spagna a Rio de Janeiro alla vigilia di rientrare in sede. Egli, pur giudicando da buon franchista l'attuale regime spagnolo non meno democratico di qualche altro facente parte della O.N.U. (mi ha

3 Per la risposta vedi D. 138.

citato la Turchia ove era accreditato in precedenza), non condivide l'intransigenza del generale Franco in un momento nel quale le distanze ideologiche, pel tempo trascorso e per la tensione internazionale, appaiono notevolmente accorciate.

Casa Rojas, dopo tre mesi di permanenza in patria e relativo colloquio con Franco, pensa che non sia da attendersi un qualsiasi mutamento di indirizzo, ciò che potrà costringere sulle vecchie posizioni in sede di discussione alla O.N.U. paesi ora ben disposti alla normalizzazione delle loro relazioni con la Spagna.

133 2 Del 19 e 21 giugno, con i quali Grazzi aveva dato istruzioni di far presente l'opportunità di rendere quanto previsto circa l'entrata in vigore dell'accordo compatibile con le normali procedure parlamentari italiane.

135

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 23 giugno 1948.

È venuto a vedermi l'ambasciatore Mallet.

Mi ha consegnato copia delle disposizioni adottate da parte britannica per assicurare l'osservanza della tregua in Palestina. In relazione alla situazione palestinese ha espresso la fiducia che il mediatore dell'O.N.U. possa trovare una soluzione pacifica della vertenza e mi ha lasciato capire che la soluzione auspicata in Inghilterra è, come già sapevamo, il mantenimento con una formula da convenirsi dello stato di fatto ormai insopprimibile, creato dagli ebrei in Palestina, e l'incorporazione del rimanente territorio palestinese nella Transgiordania, con salvaguardia speciale per i Luoghi Santi.

A mia volta gli ho lasciato capire che questa è una soluzione che non contrasta con i nostri interessi e che, per conseguenza, non è vista da noi con sfavore.

Passando a parlare del problema coloniale, l'ambasciatore britannico ha definito «un po' troppo ottimistiche» le dichiarazioni fatte dal presidente De Gasperi e da VE. al Parlamento1 , in quanto sono suscettibili di dare al paese speranze che potrebbero, se deluse, danneggiare il Governo. Gli ho risposto che tali dichiarazioni erano state contenute, a mio giudizio, in limiti assai sobri e che ogni affermazione pessimistica il Governo avesse fatto su tale questione lo avrebbe danneggiato fin da ora: tanta è la sensibilità che il paese dimostra per questo problema. Ho ripetuto quanto già detto a Dunn e a Fouques-Duparc 2 sull'influenza che tale questione ha sui rapporti itala-britannici ed ho accennato al modo come noi ne vedremmo la soluzione secondo le istruzioni date da VE. all'ambasciatore a Londra3 .

Mallet ne ha preso nota e certamente ne riferirà al suo Governo, ma non ha avuto alcuna reazione.

28. 2 Vedi rispettivamente DD. 126 e 116. 3 Vedi D. 126, nota l.

Siamo poi venuti a parlare della questione dei prigionieri in Russia, dei criminali di guerra russi e jugoslavi in Italia, che egli mi ha pregato di non consegnare, del piano Marshall e di differenti altre questioni. Si è dimostrato soddisfatto per il raggiunto accordo aereo che verrà firmato nei prossimi giorni.

135 1 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, l, seduta del l o giugno 1948, pp. 17

136

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 3350. Londra, 23 giugno 1948.

Ritengo utile avvertirti che finora non mi fu possibile vedere Bevin il quale si è ritirato sotto la tenda per ragioni complesse ma senza nessuna probabilità che ciò significhi un suo allontanamento dal Foreign Office. Prima di prendere questo periodo di così detto riposo, egli mi fece dire che mi avrebbe veduto al suo ritorno e che solo allora avrebbe potuto essere utile un nostro incontro. A mio parere in queste settimane alcune serie trattative intercorrono tra U.S.A. e Inghilterra e tra gli argomenti trattati mi fu detto essere precisamente quello delle nostre ex colonie e dello sviluppo dell'Unione Occidentale. Charles infatti, in una lunga conversazione che ebbi con lui in proposito, mi disse che Bevin non sarebbe stato in grado di dirmi nulla di interessante in queste prime settimane. È per questo che ritenni utile di parlare con Sargent. Per quanto riguarda il nostro scambio di idee sulle colonie ho già riferito telegraficamente 1• La mia impressione in proposito è però che non si debba tardare a fare fortissime pressioni da tutte le parti perché l'Inghilterra si risolva ad uscire da quella passività, in fondo contraria a darci una soddisfazione, per cui tenta di lasciar passare queste settimane utili per una presa di posizione a nostro favore affinché il problema scivoli per conto suo verso le Nazioni Unite dispensandola così dal darci un concreto affidamento o segno di buona volontà.

A Sargent ho parlato con molta chiarezza. Gli ho detto che, di fronte alla storia, l'Inghilterra si lasciava sfuggire ancora una volta l'opportunità di fare un semplice gesto verso un popolo di 50 milioni che nel Mediterraneo avrebbero fatalmente pesato nei decenni venturi e che in fondo si ricollegavano alla reale nostra potenza politica rappresentata dalle masse di italiani che sono negli Stati Uniti e nei paesi del Sudamerica. La proposta mia di un riconoscimento dei diritti di un nostro ritorno nelle ex colonie, a condizione che noi trovassimo il modus vivendi con le popolazioni locali e con le potenze vicine, era utile altrettanto alla Gran Bretagna quanto a noi stessi e non avrebbe messo le tre potenze che vi si fossero associate in una posizione

sfavorevole di fronte alla offerta della Russia sovietica e dei suoi satelliti a favore dell'Italia.

In questo senso parlerò prossimamente con Massigli col quale ebbi già un breve scambio di vedute e con l'ambasciatore degli Stati Uniti. Venerdì mi incontrerò anche con lord Jowitt che è nostro buon amico e può essere intermediario consapevole del nostro punto di vista presso il Governo stesso. Riterrei poi opportune molte prese di contatto col mondo della stampa e con i rappresentanti più intelligenti del laburismo e dello stesso partito conservatore. Ma è certo necessario che Washington e Parigi premano decisamente dalle due parti su Londra facendo comprendere come oramai una semplice presa di posizione (come per Trieste) si impone e non ci si può sfuggire a nessun costo.

Quanto alle mie domande circa il pensiero del Foreign Office a una eventuale adesione dell'Italia al Patto occidentale, fatte da me in via affatto confidenziale, Sargent mi chiese se mi ritenessi autorizzato a preliminari conversazioni dirette ad una effettiva nostra adesione alla Unione occidentale. Avendo avuto conoscenza, prima di recarmi da Sargent, del discorso pronunciato alla Camera il 16 corrente2 e della 1iserva che era contenuta nel vostro telegramma col quale si approvava il linguaggio che mi proponevo di tenere3 , gli ho detto che si trattava per il momento di una mia indagine, d'altronde assai naturale, sul punto di vista britannico circa tali importanti questioni. Sargent mi rispose allora che al Foreign Office non potevano essere che gradite le espressioni, per quanto generiche, di un nostro orientamento su l'Unione Occidentale, ma che egli non poteva impegnarsi sia pure con risposte vaghe, e che risposte concrete non avrebbero potuto essere date senza consultazione degli altri firmatari del trattato di Bruxelles. Mi parve di notare nelle sue risposte la indicazione di una certa diffidenza britannica verso le continue nostre dichiarazioni di «occidentalismo», controbilanciate però da una manifesta tendenza italiana alla neutralità che da molte parti mi risulta essere formula assai sospetta nel mondo anglosassone in quanto si ritiene insinuata dalla Russia e a tutto vantaggio della Russia dopo le nostre elezioni. Questo forse spiega un evidente irrigidimento che noto negli stessi ambienti politici dopo il 18 aprile.

Ciò che nel discorso di Sargent mi è parso tuttavia interessante è il riconoscimento della necessità dell'intervento degli Stati Uniti d'America con la loro garanzia onde dare una più precisa fisionomia alla Unione Occidentale e indicarne la vera portata e le possibilità di un suo ampliamento.

Di questi punti di vista del Foreign Office mi è parso fosse utile informarvi forse anche per completare altre informazioni e altri punti di vista provenienti dagli altri centri.

Sempre più mi saranno utili informazioni sull'atteggiamento degli Stati Uniti e della Francia riguardo a questi problemi.

136 1 Vedi D. 131.

136 2 Di De Gasperi, vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, I, seduta del 16 giugno 1948, fP· 432-454. Vedi D. 115.

137

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1701/558. Atene, 23 giugno 1948 (per. il 3 luglio).

Seguito a mio rapporto segreto n. 1635/532 del 16 corrente e con riferimento ai miei telegrammi n. 135, 140 e 146 rispettivamente del 13, 16 e 18 corrente 1•

Per l'accordo sull'applicazione dell'art. 79 del trattato di pace, concernente i beni degli italiani in Grecia, questo Ministero degli esteri, con Nota verbale n. 38516 del 19 corrente (alleg. D)2 , mi confermava la nomina della Commissione greca invitando la Commissione italiana ad intervenire ad una prima seduta fissata per martedì, 22 corrente. La suddetta Nota greca ometteva di fare riferimento a tutte le precedenti comunicazioni ufficialmente indirizzate da questa legazione a questo Ministero degli esteri (alleg. A, B, C) e peggio ancora, con evidente intenzionalità, non faceva alcun cenno all'oggetto ed ai limiti delle conversazioni che dovevano aver luogo.

Uniformandomi alle istruzioni contenute nel telegramma di codesto Ministero n. 83 del 20 corrente3 sospesi la risposta che alla suddetta Nota greca avevo già preparata ed accettai l'invito recandomi personalmente alla seduta che, per essere inaugurale, giustificava la mia presenza. Per parte greca si sono presentati il ministro Contumas accompagnato dali' avv. Palierakis e dal dott. Zafiropulos del Ministero delle finanze, quest'ultimo con un segretario. Da parte nostra, con me, Barigiani e Colitto.

Contumas prese per primo la parola e subito lesse la dichiarazione acclusa (alleg. C) nella quale viene invertita la posizione delle parti in presenza e cioè resi noi postulanti in luogo di offerenti, evidentemente per legittimare da parte greca l'improvvisa pretesa nientemeno che di discutere parallelamente e concludere insieme tutti i problemi italo-greci tra i quali -specificato -il problema delle «Riparazioni». Replicai con l'acclusa dichiarazione (alleg. E).

La seduta, che a questo punto poteva dirsi sciolta, si trasformò allora in una conversazione diretta fra me e Contumas presenti gli altri.

Contumas, infatti, conversando, disse di «essere sorpreso» della mia dichiarazione, perché gli risultava che «da qualche settimana» (sic) ero a conoscenza di quanto il Governo aveva deciso in merito alla nuova impostazione delle trattative.

2 Gli allegati non si pubblicano.

3 Con il quale Zoppi, riferendosi alta riunione del 22 giugno, invitava Prina Ricotti a «limitarsi a prendere nota proposte greche con ogni riserva circa atteggiamento Governo italiano».

180 Risposi essere vero che questa improvvisa e diversa decisione del Governo greco mi era stata verbalmente comunicata «da qualche settimana», ma altrettanto vero era che io avevo subito detto di desiderare una precisa conferma scritta della comunicazione e che l'avevo di poi, anche a lui, più volte sollecitata.

L'importanza che i greci avevano voluto dare all'attuale seduta, riservando in questa sede la lettura della pregiudiziale -ammettendo così implicitamente la insufficienza formale delle precedenti dichiarazioni verbali -mi aveva costretto ad intervenire per ripetere le riserve che anch'io «da qualche settimana» andavo verbalmente ripetendo, senza paterne adeguatamente riferirne al mio Governo in mancanza della precisazione scritta più volte domandata. Aggiunsi che nel merito della pregiudiziale mi premeva poi di esprimere quello che era il mio personale pensiero e anzitutto, riguardo la limpidezza e generosità delle nostre intenzioni, mi premeva leggere le parole con le quali S.E. Sforza aveva accompagnato le istruzioni da me comunicate per iscritto al ministro Tsaldaris il 14 aprile 1948 (alleg. B).

Nell'intenzione del Governo italiano-d'altra parte condivisa dal Governo greco -vi era appunto quella di gradualmente di ricostruire l'amicizia italo-greca. n mio predecessore, Guidotti, era felicemente riuscito a concludere una serie di accordi economici ed iniziare proficui contatti seguiti poi dalla spontanea rimessa in vigore dei vecchi trattati e dall'inizio di trattative per altri accordi fra cui quello qui in discussione sull'applicazione dell'art. 79 del trattato di pace. Anzi, dato che l 'attuale pregiudiziale rendeva necessario sospendere le conversazioni, era a questo momento mio dovere di richiamare l 'attenzione di Contumas sulle riserve contenute nella nostra Nota verbale n. 474 del 28 febbraio u.s. (alleg. F) protestante per la mancata restituzione dei beni degli italiani in Grecia e per la cattiva applicazione che il Governo greco voleva fare dell'art. 79 con uno schema di legge dal Governo greco progettato in piena violazione dei comma b) e c) del par. 6 dell'art. 79. Schema di legge allora sospeso ed oggi pubblicato con modifiche ancora del tutto inadeguate (vedi telespresso n. 1697/555 del 23 giugno correntet

Aggiunsi che avendo udita la parola «Riparazioni» mi sembrava utile ripetere quanto sempre specificato e cioè che, pur non avendo io nessunissima competenza per trattare simile problema, era però a mia conoscenza che il punto di vista italiano in materia di riparazioni fosse di considerare il problema, non, dico non, come una questione italo-greca, bensì come una obbligazione concernente lo Stato italiano nei confronti di tutti i ventuno Stati firmatari del trattato di pace e specificatamente nei confronti di tutti e cinque gli Stati creditori e che per questo motivo ritenevo che il Governo italiano -che beneficiava di ancora sedici mesi di respiro per la scadenza del pagamento -avrebbe potuto difficilmente prendere in esame il problema delle riparazioni nel senso desiderato dalla dichiarazione di Contumas.

Ciò premesso era mio vivo desiderio ripetere che, nei riguardi della Grecia, il Governo italiano, per dar prova del suo assoluto buon volere, aveva incluso nelle

istruzioni a Colitto uno schema di conclusione di accordo che conteneva elementi che erano riusciti assi graditi al Governo greco nella direzione da esso desiderata.

Insistei nel dire che le parole di S.E. Sforza più sopra citate, le generose proposte contenute nelle istruzioni date a Colitto, nonché la mia insistenza per avere una risposta che contenesse precisazione scritta delle pretese greche per paterne studiare gli elementi e vagliarne la possibile loro conciliazione con le nostre possibilità, erano tutte prove evidenti del buon volere italiano verso la Grecia. A questo punto la seduta si sciolse in attesa di quanto il Governo italiano avrebbe deciso di fronte alla pregiudiziale greca.

Questo quanto è intercorso tra me e Contumas durante la seduta. Nel merito poi della pregiudiziale devo osservare che le incongruenze che essa contiene, di così evidente illogicità, debbono portare a concludere che la chiave del ragionamento sia da ricercare in ben altra sede. Nel primo capoverso si parla di solide pietre da aggiungere all'edificio di pace e di amicizia tra Grecia e Italia; nel secondo la pregiudiziale si dice convinta che una liquidazione globale di tutte le questioni sarebbe ben altrimenti efficace!

La carenza greca nella restituzione dei beni italiani di cui ai comma b) e c) del par. 6 dell'art. 79 aveva condotto l'Italia ad offrire una transazione liquidando con un sacrificio italiano ogni questione sorgente dall'applicazione di tutto intero l'art. 79 (vedi telespresso n. 1697/555 del 23 corrente).

La Nota capovolge la situazione e marca un inesistente interesse italiano all'adozione d'una formula che si allontani dall'art. 79! In altre parole trasporta la questione dal terreno economico al terreno politico, mettendo a zero vari milioni di dollari da noi offerti e punta d'improvviso sull'interesse che l'Italia può avere all'amicizia greca! La chiave di volta della situazione creatasi deve perciò oggi cercarsi su di un terreno strettamente politico.

Per quest'ordine di idee mi riporto al mio rapporto segreto n. 1635/532 del 16 giugno e mi permetto suggerire che, se in proseguo di tempo una formula di conciliazione volesse ricercarsi per favorire formalmente i greci, non dovrebbe essere difficile condurli su di un terreno sul quale già nelle conversazioni con Argiropulos 5 del gennaio scorso si era cominciato a camminare.

Ove poi il nostro atteggiamento volesse invece passare ad una dignitosa indifferenza ci sarà facile in materia di «Riparazioni» non solo opporre alla Grecia che l'obbligazione italiana scade il 29 ottobre 1949 ma che la Grecia nel medesimo trattato ha preso da parte sua una obbligazione -quella di restituire i beni italiani del par. 6 dell'art. 79-scaduta il 29 ottobre 1947 ed a tutt'oggi non assolta con grave danno dei nostri interessi.

Quest'ultima abbiezione io ho creduto di ben riservare col riportarmi -senza polemica-al contenuto della Nota di questa legazione 28 febbraio 1948 (alleg. F). Nota dalla quale partì l'idea dell'accordo che, dapprima accettato come una nostra

offerta, si vorrebbe oggi tramutare in un mezzo per imporre all'Italia soluzioni unilaterali greche.

La tesi greca è talmente inconsistente che, in contrasto, questo mm1stro delle finanze, Helmis, mi risulta avere dichiarato che dei beni italiani non sa cosa farsene perché la vendita all'asta ne riuscirebbe sempre disastrosa e comunque si tradurrebbe in un modestissimo ricavo in dracme, mentre il Governo cerca affannosamente beni economici sostanziali di cui ha estremo bisogno e che -a parte gli americani non ha che il tabacco per acquistare all'estero!

In conclusione la mia impressione permane quella accennata nel mio succitato rapporto n. 1635/532 del 16 corrente e cioè che i greci si sono resi conto d'aver esagerato e si contentano di trovare ora una formula a fine di politica interna, per resultare dinanzi la propria opinione pubblica, d'aver impostata la questione sul terreno generale e soltanto per raggiungere questo scopo insisteranno nella pregiudiziale che hanno voluto porre nel corso della prima seduta.

Comunque dato che per simmetria -come rilevato nel mio succitato rapporto

n. -1635/532 -tutte le trattative si sono temporaneamente arrestate, il rappresentante del Tesoro, dott. Colitto, in attesa degli sviluppi della situazione, continuerà i contatti diretti all'accertamento della consistenza dei beni italiani ai fini dell'applicazione dell'art. 79. Il rappresentante del Ministero dell'istruzione pubblica, prof Doro Levi, dal canto suo si recherà domani a Rodi e poi a Creta a prendere di prima mano informazioni sulla scomparsa degli ori (telespresso di questa legazione n. -1687/554 del 23 corrente)6 ed a raccogliere elementi utili su tutto il problema archeologico nelle due succitate importanti località7 .

137 1 Vedi DD. 122 e 112. Il T. 146 non è pubblicato.

137 4 Non rinvenuto.

137 5 Vedi serie decima, vol. VI!, DD. 122, 138, 157 e 163.

138

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 7288/392. Roma, 24 giugno 1948, ore 15.

Suo 493 1•

Ringrazi codesto Governo per sue favorevoli disposizioni. È comunque da considerare posizione cui ci troveremmo se Governo italiano firmasse un testo che non fosse stato concordato anche con altri paesi, limitandosi a ricevere eventuali miglioramenti attraverso protocollo aggiuntivo. Ciò ci porrebbe in un certo imbarazzo di fronte pubblica opinione ed anche di fronte altri paesi europei. Tra l'altro, inglesi ci hanno richiesto che nostra firma non sia anticipata alla loro al fine di non danneggiare posizione dei quattro negoziatori.

Ciò non toglie che VE. non possa assicurare codesto Governo:

7 Per la risposta vedi D. !59.

-che Governo italiano coerente a suo costante atteggiamento oltreché non sollevare per suo conto obiezioni sul testo svolge ogni possibile azione presso Stati europe1;

-che dovendo per ragioni di correttezza democratica sottoporre accordo a ratifica Parlamento, tutto il possibile sarà fatto affinché ciò avvenga nel minor tempo possibile.

137 6 Non rinvenuto.

138 1 Vedi D. 133.

139

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8262/82-83-84. Trieste, 24 giugno 1948, ore 1,25 (per. ore 4).

Generale Airey, tre giorni fa, annunziandomi che aveva già cominciato redigere terza relazione per Consiglio sicurezza mi ha chiesto quali sarebbero stati a mio avviso argomenti principali da includere nella parte politica.

Ho risposto che mi sembrava, a titolo personale, fossero da mettere in particolare rilievo seguenti punti:

l) impossibilità per Trieste dal punto di vista politico ed economico di vivere separata dall'Italia, e conseguente urgente necessità di attuare principi contenuti in dichiarazione tripartita;

2) saldezza dei vincoli morali ed economici che uniscono Trieste alla Zona B dell'lstria, e ne fanno un tutto indissolubile, come è del resto implicitamente riconosciuto nella dichiarazione del 20 marzo us. 1;

3) necessità di cooperare strettamente con il Governo italiano e con tutti gli enti locali, interessati nell'attuazione dell'E.R.P. per Trieste; 4) opportunità conferire sempre maggiore autonomia alle autorità italiane locali, di assicurare efficace costante cooperazione di queste con Governo militare.

Generale mi ha nuovamente convocato oggi [23] e, come del resto aveva fatto anche l'altra volta, mi ha dato lettura dell'introduzione alla sua relazione che tiene conto dei miei suggerimenti. Inoltre mi ha annunciato confidenzialmente che a modifica dell'ordine generale n. Il e secondo affidamenti datimi in precedenza, verrà notevolmente modificata struttura del Governo militare. Alcuni dipartimenti tecnici saranno soppressi e la loro funzione trasferita al presidente di zona (prefetto)

o al comune, l'amministrazione provinciale comunale verrà adeguata ali' ordinamento italiano, il presidente comunale sarà chiamato sindaco e verranno costituiti con nomina prefettizia corpi consultivi comunali e provinciali previsti da leggi italiane. Governo militare si riserva naturalmente tutte quelle competenze che hanno attinenza con situazione internazionale Trieste. Sarà inoltre costituito Consiglio economico cui alludevo con mio rapporto 823 del 18 corrente2 inteso ad assicurar cooperazione

139 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468. 2 Non pubblicato.

184 ambienti locali, per tutta la materia economtca, e dirigenti particolari per quanto riguarda E.R.P.

Sarebbe difficile giudicare della portata pratica di tali provvedimenti che dovrebbero essere resi pubblici entro settimana. Tuttavia è indubbio che essi, secondo principio cui si è sempre ispirata mia azione a Trieste, rappresentano un passo importante verso maggiore autonomia locale, senza tuttavia intaccare principio che Governo militare rimanga amministrazione fiduciaria Zona A finché intero territorio non sarà ritornato sotto sovranità italiana.

140

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO 8335/147-148. Buenos Aires, 24 giugno 1948, ore 15,54 (per. ore 8 del 25).

Ambasciatore degli Stati Uniti Bruce venuto visitarmi assieme Hensel e delegato

E. R. P. qui giunto testé in missione esplorativa in relazione acquisti piano Marshall.

Punto di partenza delle dichiarazioni miei interlocutori è stato loro giudizio che politica economica Miranda conduce Argentina a grave situazione per cui è interesse Argentina stessa oltre che degli altri paesi smantellare artificiose costruzioni che inacerbiscono libero commercio con mantenimento prezzi imperio per generi prima necessità indispensabili ripresa europea. Andamento favorevole raccolto Nord America e Canada consentirebbe d'altra parte oggi intervento con funzioni di calmiere. A tale riguardo interlocutori erano a conoscenza particolari relativi a quantitativi prezzi e modalità pagamento derivanti da accordo itala-argentino insistendo su opportunità che si evitino nostri pagamenti in dollari.

Da parte mia ho fatto presente urgenti esigenze alimentari Italia, sottolineato come meccanismo e tempi esecuzione accordo limitassero nostra libertà d'azione, essendo esauriti crediti e quindi trovandosi Italia necessità far fronte acquisti inderogabili anche mediante pagamento dollari. A questo punto interlocutori hanno accennato, ma senza precisazione, a possibilità di offerte da parte di Stati Uniti e Canada a prezzi inferiori Argentina.

A conclusione prospettarono opportunità amichevoli interventi personali ambasciatore degli Stati Uniti e mio a presidente Per6n con scopo prospettare situazione in vista soluzione che limiti erogazione dollari attraverso riduzione prezzi Argentina grano e pagamento mediante aumento esportazioni italiane.

Senza respingere proposta ho fatto presente necessità più completo esame preventivo diretta collaborazione fra nostri consiglieri commerciali. A tale riguardo desidererei conoscere opinione V.E. circa suggerimento fatto possibilità forniture Stati Uniti e Canada per coprire quota scoperta riconosciutaci 1•

140 1 Con T. 7854/124 deli'S luglio d'Ajeta informava che si era in attesa di ulteriori comunicazioni da Washington.

141

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T URGENTISSIMO 8339/499. Washington, 24 giugno 1948, ore 23,23 (per. ore 10,40 del 25).

Seguito mio 498 1• Dipartimento invia stasera autorizzazione Dunn firmare accordi sabato 26 con ultimi emendamenti. Dipartimento che non ha ancora ottenuto favorevole affidamento da E.C.A. circa mutamento suo atteggiamento su necessità ratifica, confida che, procedendosi a firma sabato, sia ancora possibile per noi completare procedura parlamentare ratifica prima del 3 luglio. Poiché inglesi continuano fare presenti proprie particolari difficoltà in vista anche discussione avvenuta oggi Camera comuni, si è chiesto a Dipartimento se si consentirebbe scindere accordo, su cui intesa è praticamente raggiunta, da scambio note. Dipartimento ha espresso desiderio firma contemporanea. Ostacolo, costituito soprattutto da pubblicazione documenti, potrebbe però superarsi, pubblicando solo accordo e mantenendo scambio note per ora riservato. Dipartimento non sarebbe contrario purché in ogni caso pubblicazione anche scambio note non avvenga dopo 3 luglio. Danesi e norvegesi dispongonsi firmare al più presto. Francesi sperano poter firmare inizio prossima settimana. Sarò grato comunicarmi decisioni codesto Ministero2 .

142

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MOSCA, PARIGI E WASHINGTON

TELESPR. 20024/c. 1 . Roma, 24 giugno 1948.

Riferimenti: Telespresso ministeriale n. 14397 /c. del l O maggio 1948, te l espressi da Parigi n. 729110493/2093 del 3 giugno u.s., da Washington n. 474 del 15 giugno u.s. 2 e da Londra n. 1797/786 del 15 aprile 19473 .

Non rinvenuti. 3 Non pubblicato.

L'ambasciata in Parigi ha recentemente segnalato il desiderio del Quai d'Orsay di conoscere il nostro punto di vista nelle questioni che formeranno oggetto della conferenza danubiana, conferenza che -a seguito dell'adesione sovietica alla proposta degli Stati Uniti -deve ritenersi prossima.

Col telespresso ministeriale n. 16668/c. del 27 maggio u.s.4 , indirizzato alla ambasciata in Londra e, per conoscenza, alle ambasciate in Washington, Mosca e Parigi fu definita e motivata l'aspirazione dell'Italia a partecipare a quel qualsiasi ente internazionale cui l'amministrazione e il controllo del Danubio fossero in avvenire affidati. Quanto alla documentazione in merito si richiamano i telespressi nn. 17960 del30 agosto 1945,2112 del23 gennaio 1946 (solo per Londra e Parigi), 17690 del 25 maggio 1946 (solo per Londra e Parigi) e 25544 del 31 luglio 19465 , con i quali si trasmisero anche informazioni e dati fomiti dai competenti Ministeri sulla importanza tradizionale dei traffici italiani sul Danubio.

Si invia ora, qui accluso (ali. 1)3 uno studio che completa i dati relativi al traffico prebellico sul Danubio, distinti per tonnellaggio di trasporti, bandiera delle navi, volume del traffico, qualità e destinazione delle merci. Da essi possono essere ricavati copiosi elementi di giudizio e documentazione per lumeggiare il punto di vista italiano in materia.

Un altro aspetto che va tenuto costantemente presente è rappresentato dagli interessi di carattere finanziario che l'Italia può vantare quale membro della Commissione europea del Danubio. Se alla prossima conferenza venisse affrontata, come si potrebbe presumere, la questione delle riparazioni per danni subiti dalla C.E.D. durante la guerra, non potrebbe non giustificarsi un intervento dell'Italia, in una qualsiasi forma, diretto a far valere le sue legittime aspettative al riguardo. Sempre in tema di interessi finanziari va pure tenuto presente che il rimborso o comunque il computo dei crediti dello Stato italiano verso la C.E.D. (ammontanti a franchi oro 952.786), nel caso di liquidazione di detto ente, costituisce un valido titolo di interessamento da parte nostra nei confronti dei lavori della Conferenza.

È appena il caso di ricordare che dopo il ritiro delle delegazioni francese ed inglese dalla C.E.D., avvenuto nel 1940-41, soltanto Romania ed Italia-che, come è noto, quale successore del Regno di Sardegna, è uno degli Stati fondatori di detta Commissione -hanno conservato propri rappresentanti nella Commissione stessa.

Per quanto l 'Italia, data l 'impostazione diplomatica della Conferenza, non pretenda di parteciparvi, essa non si sente meno autorizzata ad esigere che i suoi diritti ed interessi vengano in tale sede tenuti nella dovuta considerazione. Non si vede infatti quale criterio più equo di quello del «traffico preponderante» nel periodo prebellico possa essere adottato dalla Conferenza per riconoscere od attribuire il diritto a partecipare all'amministrazione e al controllo del Danubio e, quindi, all'organizzazione e al funzionamento di quegli enti -di vecchia o di nuova istituzione -ad essi preposti. Solo in tal modo sarebbero pienamente garantiti i tradizionali

5 Non pubblicati.

interessi italiani su quell'importante via acquea, interessi che il ripristino del traffico danubiano, in un regime di libera navigazione, quale fu accolto dai quattro grandi, renderà vivi ed attuali.

Dalle informazioni raccolte pare potersi concludere che il punto di vista dell'Italia venga, nella sostanza, ad armonizzarsi con gli interessi delle tre grandi potenze occidentali.

Con l'ammissione limitata dell'Austria, a solo titolo consultivo, ed in assenza della Germania, il «blocco orientale» viene a disporre in seno alla prossima conferenza di ben sette voti (U.R.S.S., Ucraina, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Ungheria, Cecoslovacchia) contro i tre soli voti delle potenze occidentali (Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna). Ora, se tale configurazione dovesse riprodursi nella composizione e, quindi, nel funzionamento dell'ente internazionale incaricato dell'amministrazione e del controllo del Danubio (posto che l'U.R.S.S. si induca a recedere dalla ben nota tesi che la disciplina della navigazione danubiana è questione di esclusiva pertinenza degli Stati rivieraschi), la posizione di inferiorità delle tre grandi potenze occidentali, di fronte alle altre parti, verrebbe ad essere definitivamente sancita in seno a quell'ente.

Tutto fa ritenere perciò che i Governi di Washington, Parigi e Londra intendano patrocinare nella prossima conferenza una formula che si discosti il meno possibile da quella che sta alla base della Convenzione di Parigi del 23 luglio 1921. Col che la nostra richiesta a partecipare al futuro ente internazionale per il Danubio -fondata com'è sul concetto del «traffico preponderante» della bandiera italiana nel periodo prebellico -viene a acquistare carattere di preminenza verso tutti gli altri paesi non rivieraschi.

Valendosi della documentazione allegata, si prega codesta rappresentanza di voler continuare costì l'azione diretta ad illustrare il nostro punto di vista e riferire ogni elemento indicativo dell'atteggiamento di codesto Governo.

Si trasmette, per opportuna conoscenza, qui accluso, copia di recenti rapporti delle rappresentanze in Washington, Parigi, Belgrado sull'argomento (allegati 2, 3 e 4)5 .

141 1 Con tale telegramma, pari data, Tarchiani aveva comunicato che le conversazioni al Dipartimento di Stato si erano concluse con l'emendamento di tre punti marginali del testo dell'accordo. 2 Per la risposta di Grazzi vedi D. 157. 142 1 Diretto per conoscenza alle ambasciate ad Ankara c Bruxelles ed alle legazioni ad Atene, Belgrado, Bucarest, Budapest, Sofia e Vienna.

142 4 Non rinvenuto.

143

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 2676/537. Buenos Aires, 24 giugno 1948 (per. il 30).

Quanto riferisce la nostra ambasciata a Madrid 1 in merito ad un progettato ampliamento del presente accordo ispano-argentino nel senso della creazione di un blocco di neutri inteso ad assumere una «terza posizione» tra i due antagonistici schieramenti

188 anglo-sassone e sov1et1co, corrisponde effettivamente, come del resto ho avuto in altra occasione ad accennare, ad una corrente di pensiero abbastanza diffusa in questi ambienti governativi. Si potrebbe aggiungere che essa trova in un certo qual senso riscontro -almeno per la similarità di termini -in un analogo atteggiamento assunto in politica interna: la «terza strada» di cui i peronisti si vantano aver adottato la formula come mezzo di risoluzione dei problemi economico-sociali battendo un cammino che è ad un tempo anti-capitalista e anti-comunista. D'altronde, poiché, nella situazione attuale, politica estera e politica interna tendono ad influenzarsi nel rispettivo atteggiamento verso il binomio Russia-Comunismo, è da ricordare non solo come il Governo peronista si sia a suo tempo affrettato a riallacciare i rapporti diplomatici con l'U.R.S.S. ma anche come in varie occasioni e recentissimamente in quella della Conferenza di Bogotà, l'Argentina si sia mostrata riluttante a partecipare a fronti o ad azioni collettive contro il comunismo.

Ma per tornare agli aspetti di politica estera «pura», dirò brevemente che la tesi della terza posizione trova alimento in una serie di fattori concomitanti. Ve ne è sullo sfondo uno, psicologico, di carattere generale, e cioè quello dell'amor proprio dell'Argentina e in particolare degli attuali suoi dirigenti ai quali sorride la prospettiva di «fare una politica estera», soprattutto se con l'aureola dell'aggettivo «mondiale»: giacché, come tra poco ripeterò, nella mente di questi ultimi l'Argentina dovrebbe infatti assumere nel progettato «blocco intermedio» posizione e compiti direttivi e da Grande Potenza (con le iniziali maiuscole) anche nei riguardi dei soci europei. Vi è poi un effettivo istinto di associazione ed un sincero sentimento di simpatia verso certi altri popoli della comune origine etnica; vi è di converso il desiderio di stabilire e sottolineare un atteggiamento politico indipendente nei riguardi sia dell'Inghilterra (che ha completamente dominato questo paese durante il suo primo secolo di vita) sia degli Stati Uniti (che lo dominano ora) e nel contempo polarizzare attorno a sé le altre Repubbliche sud-americane; vi è il desiderio, parente stretto del precedente, direi quasi l'ossessione di svincolare l'economia argentina dalla sua attuale prevalente dipendenza dai due predetti Stati anglo-sassoni, nella quale si ravvisa, a ragione

-o a torto, una cagione di permanente sfruttamento del paese a beneficio di terzi per di più assenteisti. Su tutto questo, e quasi come catalizzatore, agisce la prospettiva, qui ritenuta tutt'altro che improbabile, di un terzo conflitto mondiale: in vista del quale questo paese si pone naturalmente il quesito di come meglio fare per rafforzare la propria libertà d'azione, ed assicurarsi nel miglior modo, se ciò le convenisse, la possibilità di tenersene fuori, evitandone i sacrifici ed i rischi e magari approfittando dell'occasione per sfruttare mercantilisticamente una comoda situazione di neutralità -o tutt'al più di non belligeranza.

Dalla somma, dunque, di questi fattori (mi san limitato a citarne i principali) è sorta nella mente di questi dirigenti l'idea di promuovere sotto l'egida argentina la creazione di un blocco di Stati che, secondo il programma massimo dei suoi fautori più entusiastici ed ottimistici, dovrebbero addirittura abbracciare i principali paesi a civiltà «occidentale» che, pur fuori dell'orbita sovietica, non sono ancora definitivamente integrati nel sistema politico anglo-sassone e che oggi, per una serie di circostanze contingenti, rappresentano anche, in genere, i principali eredi del patrimonio etnico e culturale della «latinità». Una intesa cioè tra i popoli latino-cattolici del bacino mediterraneo (il fulcro dovrebbe essere rappresentato dal già raggiunto accordo ispano-argentino ma completato in Europa dall'adesione dell'Italia e del Portogallo, e con una porta aperta all'eventuale futuro successivo accesso della Francia) e i popoli latino-cattolici dell'America meridionale di cui l'Argentina ritiene di essere il massimo e il più puro esponente di qua dall'Atlantico. Tra questi popoli l'Argentina verrebbe a rappresentare il necessario tratto di unione e l'elemento integratore: dappoiché essa, attraverso una politica di sempre più intensi scambi commerciali e più intimi rapporti economici con i vari membri della vagheggiata unione, verrebbe ad essere la principale fonte comune di rifornimento ed il complemento indispensabile atti ad assicurare, sia in pace che in guerra, le possibilità di svolgere una effettiva politica indipendente.

Questi propositi del resto affiorarono qui esplicitamente nell'estate scorsa in occasione del viaggio in Europa della signora Per6n, viaggio che, come si ricorda, ebbe per tappe principali appunto la Spagna, l'Italia, la Francia ed il Portogallo (si parlò allora di «cinque punti» che la consorte del presidente aveva ricevuto autorizzazione ad illustrare nel corso della sua tournée, ai competenti uomini di Governo europei). Essi mi sono stati confermati dallo stesso presidente il quale, in conversazioni avute con me, mentre ha sempre insistito sulla sua volontà di aiutare i paesi latini d'Europa a sottrarsi al pericolo del comunismo, ha anche accennato alla possibilità che si costituisca un giorno nel Sud-America una «area del peso» in contrapposto all'area del dollaro. Ancora in questi ultimi tempi alcuni uomini politici e in particolare il presidente del Consiglio economico, Miranda, e il presidente della Commissione affari esteri del Senato, Molinari, in discorsi e interviste, hanno più volte affermato che prima e meglio del macchinoso piano Marshall i popoli latini sarebbero stati aiutati dal «piano Per6n». Al riguardo del quale mi viene di ricordare come secondo il concetto di questo Governo esso abbia avuto inizio di concreta applicazione negli accordi commerciali, connessi con notevoli prestiti finanziari, conclusi per l'appunto con la Spagna e con l'Italia; mentre, per quanto riguarda il Sud-America esso ha ispirato il riavvicinamento politico ed economico cogli Stati contìnanti: Cile, Bolivia, Uruguay. Per quanto anzi riguarda il Cile i negoziatori argentini sospinsero l'anno scorso alla conclusione di un trattato economico di così larga portata che, com'è noto, la sua ratifica ha recentemente sollevato fortissime obiezioni da parte del Parlamento di Santiago, dovute anche, così almeno qui si vuole, ali 'intervento di «influenze straniere», leggi americane; tanto che ora si sta trattando la conclusione di un nuovo accordo più semplice e meno impegnativo (mio telespresso n. 431 del 28 maggio )2 . Né saprei infine dimenticare, in questo quadro, la proposta ambiziosissima recentemente fatta a Bogotà da parte del sig. Maroglio, presidente del Banco Centrale, per la creazione di un Banco Interamericano finanziato in gran parte dall'Argentina (su tale progetto, la cui discussione è stata aggiornata per essere ripresa alla prossima Conferenza economica di Buenos Aires, riferisco con rapporto a parte )2 .

Constatati questi progetti ed anche questi volenterosi inizi di relizzazione parziale, mi sembra appena necessario rilevare come venga tuttavia il chiedersi, con

molti punti interrogativi, quali prospettive ci siano per proseguire con successo verso l'obbiettivo finale prefisso: ed in particolare non solo quali possibilità, anzitutto, avrebbe il vagheggiato «blocco» di costituirsi -il che è già di per sé difficile quanto poi, successivamente, di reggere alle prove che sarebbe destinato a sostenere ed anzi in vista precipuamente delle quali esso è concepito.

Per quanto riguarda gli aspetti economici, è ovvio che la situazione generale e quelle particolari non consentono e non consentirebbero per molto tempo ancora, qualora pure ci si mettesse su questa strada, di realizzare l'auspicato nuovo sistema economico tra i paesi destinati ad essere compresi nella nuova costellazione, svincolandoli dall'attuale soverchiante dipendenza dai paesi anglo-sassoni. Né mi occorre certo in proposito esporre considerazioni anche troppo note e troppo ovvie sull'attuale distribuzione delle fonti di materie prime e dei centri di produzione, sui rispettivi potenziali industriali e sull'organizzazione dei grandi mercati internazionali; mi basti osservare come l'Argentina per la prima, la quale del progettato blocco pretenderebbe essere il centro motore e finanziario, si trova già, come immediata conseguenza del suo attuale modesto programma di industrializzazione, con il fiato grosso e con la propria valuta in rapido crollo al punto di essere costretta a contare come su cosa vitale sui benefici indiretti del piano Marshall. Si tratterebbe quindi, ad ogni modo, di indipendenza molto relativa e che, come lo dimostra il recente già ricordato intervento negli accordi commerciali argentino-cileni, verrebbe presumibilmente e decisamente contrastata dagli Stati Uniti. Per quanto riguarda poi gli aspetti politici, ed in primo luogo la speranza di garantire la «neutralità» del «blocca>>, anche se si prescinda dai precisi impegni di reciproco aiuto assunti dagli Stati americani negli accordi di Rio de Janeiro, valga a togliere ogni illusione la considerazione fondamentale che se il paventato terzo conflitto mondiale dovesse verificarsi, questa volta ancora meno delle precedenti esso lascerebbe margine per dubbi o astensioni. Non ci sarebbe certo posto per delle «terze posizioni»; ed all'auspicato blocco dei neutri, che sarebbe per di più essenzialmente un 'associazione di deboli, rimarrebbe presumibilmente tutt'al più la scelta tra una decisione collegiale o una progressiva secessione in ordine sparso.

È da soggiungere, nel caso particolare dcli'Argentina e poiché prima ho parlato di amor proprio, che se la situazione dovesse mai giungere a tale punto, in cui cioè, scoppiato il conflitto, si delineasse ormai la necessità per questo paese di prendere prima o dopo una decisione, molto probabilmente entrerebbero in giuoco, per accelerarla anziché ritardarla, le velleità degli ambienti militari dai quali per l'appunto è uscito l'attuale Governo e che, oso dire per fatalità funzionale, sarebbero portati a valorizzare la loro ragione d'essere sospingendo verso un atteggiamento di prestigio e di forza, che non potrebbe essere che in senso interventistico. Occorre non dimenticare a questo riguardo come, se nel recente conflitto operarono non poco a ritardare l'intervento ufficiale argentino sia la fortissima percentuale di italiani e di oriundi italiani sia l'influenza dell'esercito fortemente filo-tedesco per l'impronta datagli da una lunga tradizione di istruttori germanici, dall'altro lato è rimasta sempre una punta dolorosa per l'orgoglio argentino l'essersi fatto strappare il primato politico-militare del continente sud-americano dalla effettiva partecipazione armata del vicino Brasile.

È facile commento, a conclusione, che se tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, anche tra i progetti di cui si è discorso e la loro realizzazione, tra certi attuali atteggiamenti ed il rispettivo mantenimento, c'è un non certo facilmente colmabile divario. E questo vale anche, incidentalmente, per certuni riflessi di politica interna ai quali all'inizio ho accennato. Anche qui è da osservare che gli atteggiamenti tolleranti sino ad ora mantenuti dal Governo peronista nei riguardi del comunismo locale sono per così dire un lusso che esso ritiene di potersi attualmente permettere data la effettiva scarsa rilevanza che tale movimento ha tuttora nella vita politica del paese. Voglio anche dire che il Governo argentino è sincero nel sostenere la tesi che la vera lotta contro il comunismo la si deve condurre non tanto con la repressione quanto con lo sforzo positivo diretto ad eliminare le cause psicologiche e materiali del suo sviluppo. Ma ho scarsi dubbi che al primo profilarsi di una seria minaccia comunista anche questo Governo non tarderebbe a mettersi in linea con la politica adottata ormai dalla maggior parte degli altri Stati americani.

Detto quanto precede a chiosa delle notizie e speculazioni raccolte dalle nostre ambasciate a Madrid e a Parigi, vorrei cogliere l'occasione per aggiungere in merito a questi aspetti della politica estera argentina alcune considerazioni generali le quali d'altra parte sotto molti riguardi ci interessano anche da presso.

È facile fare dell'ironia, magari amichevole, nei riguardi di molte manifestazioni della vita politica di questo paese: oso dire che sovente è difficile non farla. Ma è anche giusto, ed anzi necessario saper sceverare tra tutte queste manifestazioni e, sfrondandole di tutto quanto contengono di irrealizzabile o dilettantesco, individuare quanto invece esse hanno di fondato, di buono e di suscettibile di fecondi utili sviluppi.

Chi avesse un secolo fa detto che gli Stati Uniti sarebbero diventati i regolatori dell'economia mondiale e lo Stato militarmente più potente del mondo, sarebbe stato probabilmente preso per un visionario; chi, per scendere su di un piano minore e fare un raffronto più calzante per le rispettive potenzialità demografica e ricchezza naturale, ancora cinquanta anni fa, avesse sostenuto che il Canada sarebbe assurto ad uno dei più grandi paesi industriali ed una delle principali colonne finanziarie dell'impero britannico, sarebbe probabilmente stato giudicato alla stessa stregua. Manca, è vero, ali' Argentina quella che al giorno d'oggi è la base indispensabile per il grande sviluppo industriale e, attraverso questo (assieme ad un parallelo sviluppo demografico), per affermare una preminente funzione economico-finanziaria: e cioè l'industria estrattiva e quella pesante. Ma perché escludere che queste si possano sviluppare? Sicché quel che oggi appare la manifestazione di una immaginazione troppo fervida, può domani entrare progressivamente nel campo della realtà. E se oggi ci appare che a questo paese faccia più difetto la competenza e la maturità politica che non la buona volontà e l'entusiasmo, è anche vero che questi ultimi sono fattori indispensabili e ad un tempo promotori di ogni progresso e sviluppo.

Questo per dire che, a mio avviso, se possiamo talvolta rimanere perplessi di fronte a certi atteggiamenti che vien di tacciare di presunzione, dobbiamo, evitando di cadere nello stesso peccato, considerarli cionondimeno con comprensione e con gli occhi aperti a tutte le possibilità, anche quelle che possono apparire scarsamente probabili: non dimenticando che sovente i frutti migliori maturano più lentamente. E per quanto direttamente ci riguarda -vengo ora ad una mia conclusione magari di carattere circoscritto e di valore pratico -è un fatto che per una serie di circostanze aventi attinenza a tutto quanto di cui si è parlato e alcune delle quali probabilmente non passeggere, forse mai come ora e con gli attuali governanti argentini, l'Italia è entrata nei calcoli politici di questo paese come un fattore sul quale puntare e col quale tentare una collaborazione diretta e che non sia solamente di seconda o terza scelta. Tra tutto quello che gli ambiziosi propositi testé esaminati hanno di esagerato

o di scarsa attualità e magari anche di irreale, rimane sempre un campo di buone intenzioni e di atteggiamenti a noi favorevolissimi nel quale possiamo facilmente ed utilmente seminare, e del quale comunque possiamo agli effetti contingenti largamente approfittare.

143 1 T. per corriere 4673/015 del 7 aprile, non pubblicato.

143 2 Non rinvenuto.

144

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 826/12022/2440. Parigi, 24 giugno 1948 1•

Come ella sa dalla comunicazione di codesta ambasciata di Francia, l 'unione doganale dopo un periodo di sonno si è rimessa in movimento. Da parte francese è stato designato a capo della delegazione francese il ministro Letourneau, dell 'M.R.P., ex ministro del commercio, attualmente direttore dell'Aube. È una persona attiva, ben vista anche negli ambienti industriali e, nel complesso, ben disposta nei nostri riguardi. Come ho già riferito, negli ambienti parlamentari di massima la questione dell'unione doganale con l'Italia è vista molto favorevolmente. Negli ambienti dei produttori sia industriali che agricoli, esistono ancora molte apprensioni. Non c'è opposizione di principio: persiste però una certa diffidenza, non tanto verso di noi quanto verso il Governo francese: l 'impressione generale è che il Governo francese vorrebbe gettarli in un'avventura, per ragioni politiche senza avere sufficientemente studiato la cosa. Niente di questo che sia insuperabile: pazienza, buona volontà, tempo, possono -ritengo almeno -eliminare tutte queste difficoltà, da parte francese. Come le ho già scritto personalmente, la questione centrale resta di trovare un terreno d'intesa solido e conveniente fra le due metallurgie. Il Comité des Forges sta rapidamente riacquistando la posizione che esso aveva prima: se lo mettiamo dalla nostra parte, si può dire che il 50 per cento del lavoro dell'unione doganale è fatto; contro la sua volontà non la si farà mai.

Ma non è di questo che volevo intrattenerla: si tratta di difficoltà tutte superabili. Quello che mi preoccupa, lo dico francamente, è che le conversazioni decisive per l'unione si iniziano alla vigilia -se si vuol essere ottimisti -di una grossa crisi nei rapporti itala-francesi: la questione della flotta. Si potrà arrivare ad una soluzione di compromesso in modo da evitare il ricorso al diktat: ma anche il compromesso, che tutte le circostanze giuocando in nostro favore si può sperare di ottenere, sarà un minimo in rapporto a quello che certi ambienti italiani desidererebbero. Abbiamo anche in vista una possibile crisi per quello che riguarda le colonie: essa non coinvolge in prima linea la Francia, ma ne può risultare un

complesso di difficili relazioni con tutto il mondo occidentale da cui sarebbe difficile per noi dissociare la Francia, né so fino a che punto la Francia stessa accetterebbe di esserne dissociata.

Per quanto concerne la Francia, posso dirle senza tema che gli avvenimenti mi smentiscano che mi sento di poter garantire, almeno al 90 per cento, di tenere l'unione doganale separata dalle altre questioni. Ella vorrà però scusarmi se io le chiedo se la stessa cosa vale per noi. L'unione doganale fra la Francia e l'Italia è solo apparentemente un atto economico. In realtà è un atto politico, assai più politico di un trattato di alleanza. Un trattato di alleanza lo si può stracciare quando si vuole l'unione doganale, una volta fatta, non si distà con tanta facilità. L'unione doganale presuppone per lo meno unione monetaria, unificazione legislativa in molti rami: essa finisce per creare un nuovo Stato in un certo senso.

So che questa è la sua idea, ed ella sa che non è certo questo che mi spaventa. Anche da parte francese si vede tutto questo, ma lo si vede con due riserve mentali: la prima è che la politica di unione doganale non può essere reclamata da noi a giustificare modifiche di tutto quel passato che si concreta nel trattato di pace; la seconda, che nei futuri rapporti tra Francia e Italia, è la Francia a cui spetta naturalmente il primo posto. Siamo noi pronti ad accettare tutto questo? Non parlo tanto delle conseguenze lontane: parlo piuttosto della ripercussione immediata delle due crisi vicine. È l'opinione pubblica italiana pronta ad unirsi con la Francia e con quella stessa Francia che non vuole tener conto dei sentimenti dell'Italia nei riguardi della flotta? Ci sono interessi italiani ancora potenti i quali, in sostanza, non vogliono l'unione doganale: il nazionalismo offeso può fornire un eccellente pretesto per rifiutare questa unione doganale che, per varie ragioni, potrebbe essere difficile di respingere apertamente: i mezzi per farlo non mancano.

Se il Governo italiano si sente di affrontare queste possibili difficoltà, le ripeto, per quello che concerne la Francia ritengo la cosa possibile: in questo caso marciamo pure. Ma se il Governo italiano non è sicuro di poter dominare questa crisi quasi inevitabile nei rapporti italo-francesi, ritengo mio dovere sottoporle l'opportunità di rimandare un po' la messa in movimento della macchina dell'unione doganale fino almeno che, sfogatici dalle due parti, la crisi della flotta non sia attutita. Ritengo adesso che sia possibile far comprendere tutto questo al Governo francese, metterei d'accordo sulla forma più opportuna per mettere in sordina questo arresto dei lavori. Facendo così non si pregiudica niente. Fra due, tre, quattro mesi si può benissimo ricominciare. Ma se noi iniziamo con la solennità inevitabile i lavori e poi dopo scoppia un crisi che implica un arresto clamoroso di tutta l'operazione, io temo che questa politica di unione doganale riceverebbe un colpo certamente assai grave, probabilmente irreparabile.

Ritengo mio dovere segnalare al Governo italiano più esplicitamente che nel recente passato questa situazione e vorrei pregarla di volermi far conoscere il suo pensiero in proposito2 .

144 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

144 2 Per la risposta vedi D. 167.

145

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

T. S.N.D. PER CORRIERE 7379. Roma, 25 giugno 1948.

Pregola avvicinare codesto ministro Transgiordania e, valendosi buone relazioni che intrattiene con lui, fargli presente in via confidenziale che da oltre sette mesi attendiamo da Baghdad gradimento per nostro ministro, richiesto tramite ambasciata Ankara. Aggiunga che nostro ministro dovrebbe essere accreditato anche presso Reale Corte Hascemita Transgiordania, giusta desiderio espresso a suo tempo da Governo Amman e nostri affidamenti datigli in tal senso tramite ministro in Cairo e console generale Silimbani. Nel corso conversazione trovi modo far discretamente comprendere che apertura legazione italiana a Baghdad in questo momento potrebbe avere per mondo arabo favorevoli ripercussioni.

Ministro designato a suo tempo era La Terza. Dato il lungo tempo si è reso necessario affidargli altro incarico e designare in sua vece dott. Alfonso Errera attualmente ministro a Montevideo 1•

146

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8348/203. Mosca, 25 giugno 1948 (per. ore 13,30) 1•

Riunione m1mstri esteri Varsavia suscita qui grande aspettazione ma si hanno scarse notizie sulla sua reale finalità. In generale si presume che ne uscirà quanto meno una forte affermazione di principio contro la decisione di Londra ma non se ne prevedono decisioni di grave portata. Taluni ambienti diplomatici Mosca ritengono che conferenza sarebbe principalmente diretta a placare apprensione polacca di fronte possibile rinascita pericolo germanico; tale ipotesi sarebbe avvalorata sia dalla sede della Conferenza sia dal fatto che essa è convocata su iniziativa U.R.S.S. e Polonia stessa.

145 1 Con T. s.n.d. per corriere 9099/032 del 7 luglio Alessandrini rispondeva di aver intrattenuto della questione il ministro di Transgiordania e di averne avuto assicurazione che re Abdallah ne sarebbe stato da lui informato con preghiera di intervenire a Baghdad in senso favorevole all'Italia. Alessandrini riferiva inoltre l'informazione ut1iciosa che il Governo iracheno non intenderebbe riprendere le relazioni diplomatiche con l'Italia finché non fosse regolata la questione delle colonie.

146 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

147

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 8380/322. Londra, 25 giugno 1948, ore 20,57 (per. ore 7,30 del 26).

Ho intrattenuto stamane Massigli sulla questione delle ex colonie insistendo sulla necessità, nell'interesse comune, che essa non sia rinviata alle Nazioni Unite senza una presa di posizione da parte dei tre alleati occidentali che dia soddisfazione all'Italia e tale da bilanciare il noto atteggiamento della Russia e dei suoi satelliti. Gli ho poi indicato la impostazione che a nostro modo di vedere si dovrebbe dare al problema sulle linee concordate costì con VE.

Massigli mi è parso persuaso della opportunità che ciascuna delle quattro potenze si decida al più presto a mettere in chiaro il proprio punto di vista, aggiungendo però che considerava particolarmente essenziale il poter conoscere l'orientamento degli Stati Uniti in proposito che sinora non era trapelato né in sede di lavori dei Supplenti (ave Massigli rappresenta la Francia) né in conversazioni dirette.

Per quanto riguarda la soluzione da me prospettatagli (della quale non aveva avuto notizia da Parigi) mi disse che personalmente la considerava ragionevole e interessante: riteneva però che essa avrebbe dovuto concretarsi in formule differenti per ciascuno dei territori, i problemi e il futuro dei quali andrebbero esaminati partitamente.

Il riferimento di Massigli al riserbo americano e gli analoghi accenni che mi sono stati fatti da parte britannica (vedasi ad esempio l'appunto 2744 del 26 maggio che ho consegnato a V.E.) 1 confermano che è l'atteggiamento degli Stati Uniti quello che avrà in definitiva il peso determinante nella formulazione della tesi degli alleati occidentali sul futuro delle nostre ex colonie. Mi sarebbe quindi necessario essere informato d'urgenza di quanto risulta in proposito costì e alla nostra ambasciata a Washington.

148

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 8579/089. Washington, 25 giugno 1948 (per. il 30).

Ho riferito per filo e per corriere sui noti progetti di eventuale garanzia ed assistenza militare americana ai paesi dell'Europa occidentale e sulle vicende parlamentari delle mozioni in cui tali progetti si sono concentrati.

Aggiungo che, dopo l'approvazione in Senato della «proposta Vandenberg» (mio telegramma del 12 corr.)l, l'omnibus bill presentato dalla Commissione per gli affari esteri della Camera dei rappresentanti, riunente vari provvedimenti a favore delle N.U. e comprendente l'essenza della proposta predetta, non ha potuto, nel rush finale del Congresso prima della convenzione repubblicana, essere discusso e approvato in seduta plenaria.

Tuttavia, sulla base della mozione del Senato, il sottosegretario di Stato Lovett ha fatto il 23 corrente, nel corso di una conferenza stampa, alcune dichiarazioni di particolare significato su tale questione.

Lovett ha dichiarato che il Dipartimento di Stato si accinge a iniziare «presto» negoziati coi paesi firmatari del Patto di Bruxelles in vista di un accordo nell'ambito di un sistema regionale di sicurezza secondo lo statuto delle Nazioni Unite.

Egli ha precisato che tali negoziati avranno luogo per i normali tramiti diplomatici, pur non escludendo che contatti possano essere stabiliti anche con il Comitato militare di Londra della Unione Occidentale.

In conversazione avuta al Dipartimento, è stato peraltro dichiarato che non è escluso che, in luogo di negoziati separati in ciascuna capitale, conversazioni collettive possano aver luogo a Washington.

È stato aggiunto che molto potranno influire, sia sulla forma che sul contenuto degli eventuali accordi, i risultati della Conferenza di V arsa via dei paesi d eli' orbita sovietica e quelli della riunione del Cominform che sarebbe stata tenuta in questi giorni.

147 1 Vedi D. 60.

149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 7433/264. Roma. 26 giugno 1948, ore 21,30.

In relazione contatti che V.E. ha costà circa questione coloniale e confermando che Governo italiano aspira ad una soluzione non solo di fidente accordo colle popolazioni locali, ma di attiva collaborazione italo-britannica, ritengo opportuno che venga richiamata attenzione di codesto Governo su alcuni recenti fatti che possono turbare opinione pubblica italiana: ritorno colonnello Smith in Somalia, ordinanza per le elezioni municipali in Tripolitania e proclamazione indipendenza Cirenaica che secondo stampa egiziana sarebbe stata fatta dal Gran Senusso.

Col Senusso noi confermiamo che saremmo lieti di prendere dei contatti in piena intesa col Governo britannico di cui ben comprendiamo certi nuovi bisogni. È anche per questo che restiamo così dubbiosi di fronte proclamazione unilaterale

197 del Gran Senusso che in questa fase decisiva della Conferenza sostituti appare in contrasto con trattato di pace come con esso è in contrasto ordinanza per elezioni tripolitane.

Confido che Governo britannico prenderà in considerazione nostre preoccupazioni e concordi nella necessità che venga evitato da parte autorità locali ogni atto che possa pregiudicare attuale situazione giuridica e politica antiche colonie italiane in attesa di quella sistemazione dei reciproci interessi che noi consideriamo essenziale per una azione pacifica in Africa 1•

148 1 Vedi D. Il, nota 2.

150

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8444-8440/503-504. Washington, 26 giugno 1948, ore 22,18 (per. ore Il del 2 7).

Suo 7386/c. 1•

Secondo informazioni confidenziali Dipartimento Stato, Foreign Office, dopo consegna l o corrente ali 'U.R.S.S. ultime note tre Governi occidentali2 , non avrebbe svolto passi a Washington riguardo eventuale imminente dichiarazione per Trieste quale segnalata da nostra ambasciata Londra. Come suo tempo riferito dichiarazione del genere era nei propositi britannici, ma sembra prima che Londra e Parigi accogliessero proposta americana limitarsi noto sollecito mirante accertare intenzioni sovietiche.

In conversazione avuta luogo ieri tra competente capo ufficio Dipartimento e rappresentante ambasciata britannica, quest'ultimo avrebbe solo informato che Foreign Office aveva espresso scorsi giorni ad ambasciatore francese Londra propria disapprovazione eventuale progetto od iniziative di Parigi nel senso ventilate spartizioni T.L.T.: predetto diplomatico inglese non avrebbe accennato a nuove iniziative suo Governo.

Londra d'altronde è al corrente desiderio Washington evitare per ora ulteriori azioni che possano aumentare frizione con U.R.S.S. anche in questione Trieste.

Si tratterebbe a quanto qui si afferma di criteri di opportunità contingente (situazione Berlino, inizio fase decisiva elezioni americane) che non implicano mutamenti in sostanza questione T. L.T.

!50 1 Del 26 giugno, con il quale veniva ritrasmesso a Parigi, Mosca e Washington il telegramma da Londra di cui al D. 104, nota 2. Il presente telegramma fu ritrasmesso a Londra, Parigi e Mosca con T. segreto per corriere 7578/c. del 30 giugno.

2 Vedi D. 81.

Al Dipartimento si continua infatti espnmere opinione che convenga pel momento limitarsi accertare, anche a mezzo sondaggi ufficiosi, propositi sovietici per Trieste. Si sembra anche volersi riconoscere qualche attendibilità informazioni da Jugoslavia e paesi vicini (testé riprese anche da Manchester Guardian e stampa internazionale) circa dissensi tra Tito e Cremlino. Mi è stato chiesto se avessimo notizie in merito o qualche informazione su intendimenti Mosca riguardo paesi alleati per Trieste.

Risulta infine che Caffery mercoledì scorso ha telegrafato che tanto Quai d'Orsay quanto nostro ambasciatore a Parigi gli avevano chiesto informazione su linea azione Washington in caso prolungato silenzio o risposta insoddisfacente Mosca. Dipartimento si accingerebbe comunicare Parigi opinione su riassunta pel caso mancata risposta. Seconda eventualità renderebbe ovviamente necessarie approfondite conversazioni fra tre capitali circa soluzioni già studiate di cui telegramma 438 3 . Non manco naturalmente tener presente punto di vista comunicatomi da V. E. con suo 341 4 .

149 1 Sull'ultimo punto Gallarati Scotti riferì (T. s.n.d. 8600/333 del 30 giugno) di aver appreso dal Foreign Office che il Senusso aveva in realtà chiesto alla Commissione quadripartita l'indipendenza della Cirenaica e non aveva rilasciato alcuna dichiarazione pubblica in proposito.

151

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 8576/041. Bruxelles, 26 giugno 1948 (per. il 30).

In conversazione avuta oggi con lui ministro Spaak si è dimostrato inquieto, ma non pessimista circa situazione in Germania e conseguenze recente riunione di Varsavia1• Egli ritiene che quella conferenza e la diramazione del manifesto rappresentino una delle consuete manifestazioni spettacolari della politica sovietica, per i suoi scopi pubblicitari e di propaganda all'interno ed all'estero. Non bisogna essere pessimisti per principio e rallegrarsi nel rilevare invece che in definitiva la riunione di Varsavia non ha rotto i ponti né proceduto al temuto annuncio della costituzione di uno Stato della Germania orientale. È compito ora dei diplomatici di mestiere abilmente ricercare quanto possa esservi di costruttivo in questa nuova iniziativa dell'U.R.S.S., la sincerità delle sue intenzioni e le possibilità di riprendere una conversazione a quattro.

Non è il caso di indugiarsi sulle recriminazioni e le insolenze contenute nel comunicato, esse fanno parte della consueta scenografia sovietica alla quale siamo ormai abituati, ma conviene soffermarsi sulle conclusioni del manifesto, le quali non dimostrano intenzione di rompere ma sembrano offrire un terreno di intesa ed in ogni caso di riavvicinamento. Tutti i cinque punti del manifesto insistono nel richiedere

4 Vedi D. 83.

151 Vedi D. 146.

199 misure prese in comune dalle quattro grandi potenze. E sulle misure richieste si può dire che non vi sia divergenza. Le potenze occidentali si sono già da un pezzo dichiarate perfettamente d'accordo sull'opportunità di affrettare la smilitarizzazione della Germania, favorire la costituzione di un Governo pacifico e democratico ed ottenere il pagamento delle riparazioni. Un Governo tedesco che riunisca rappresentanti di tutti i partiti democratici si potrà facilmente ottenere a seguito di libere elezioni, e la questione delle riparazioni è stata finora compromessa specialmente a causa dell'atteggiamento dell'U.R.S.S. Un accordo delle quattro grandi potenze sulle questioni delle elezioni e delle riparazioni non può essere che desiderato ed auspicato da tutti. Nessuno ha mai pensato che l'occupazione militare in Germania debba durare all'infinito; a Londra è stato di recente riconosciuto che essa è necessaria fin quando non sarà stata veramente ristabilita la pace e la Germania abbia dimostrato di avere rinunciato alla politica di aggressione; i Soviet suggeriscono ora che l'occupazione militare abbia fine un anno dopo la firma del trattato, si può tranquillamente discutere per accertare se tale periodo sia sufficiente per la realizzazione delle condizioni di tranquillità prospettate a Londra e tanto meglio se esso risulterà per davvero sufficiente. Nessuno in Europa occidentale ha interesse a prolungare all'infinito l'occupazione e procrastinare il ritorno a relazioni normali con la Germania. Nessuna obiezione di principio alla partecipazione dell'U.R.S.S. allo statuto speciale della Ruhr, ma l'U.R.S.S. dovrebbe da parte sua consentire ad analoga partecipazione degli altri alleati nel controllo di altre importanti regioni industriali. La suscettibilità dell'U.R.S.S. sembra sia stata particolarmente irritata dalla partecipazione di Benelux alle recenti conversazioni di Londra, invece in Belgio nessuno trova da ridire alla presenza a Varsavia della Romania, Bulgaria od Albania, Stati che hanno le loro frontiere a centinaia di chilometri dalla Germania; tutti quelli che sono stati vittime dell'aggressione germanica hanno il diritto di esprimere il loro avviso a riguardo della soluzione del problema tedesco.

Il ministro ha ripetuto che piuttosto che con polemiche di stampa o guerriglia di riunioni e di comunicati, la questione dovrebbe essere esaminata con calma e con freddezza attraverso le normali vie diplomatiche.

150 3 Vedi D. 76.

152

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNT01 . Roma, 26 giugno 1948.

Ho avuto oggi -a sua richiesta e fuori del Ministero -un colloquio con Mahmud Muntasser. È questi uno dei tre capi del movimento indipendentista della

Tripolitania; appartiene ad antica ed influente famiglia di Misurata; educato in Italia, dove ha notevoli interessi finanziari, veste all'europea e parla correntemente l'italiano; prima della guerra era nostro funzionario a Tripoli col grado di consigliere di Governo. Si è poi avvicinato agli inglesi e in questi ultimi tempi è andato riavvicinandosi a noi. È venuto a Roma per regolare sue questioni ereditarie e vi si tratterrà qualche settimana.

Gli ho chiesto di farmi una esposizione della presente situazione politica in Libia. Ha incominciato col dirmi che vi è un generale risveglio in tutto il mondo mussulmano e che anche in Tripolitania l'opinione prevalente è per l'indipendenza del paese. In tale aspirazione non vi è però alcun sentimento antitaliano e anzi tutti essendo consci che un piccolo staterello nel mondo di oggi non può vivere da solo, quasi unanime è il desiderio e la volontà di appoggiarsi all'Italia. Ha aggiunto che gli inglesi non sono ben visti perchè vengono tenuti responsabili del progressivo immiserimento del paese, che tuttavia, a parte il desiderio dell'indipendenza, le obbiezioni che vengono fatte ad un ritorno dell'Italia sono in gran parte dovute alla nostra politica di popolamento: non ci si rimprovera di farla perchè si riconosce che è una nostra necessità trovare sbocchi per la crescente popolazione, ma se ne paventano le conseguenze per l'etnografia del paese. Nei capi a tendenza meno estremista -ha concluso -si desidera però vivamente un accordo con l 'Italia. Gli ho detto che tale è anche il nostro desiderio. Che è lontano dai nostri propositi di ristabilire in Tripolitania la identica situazione dell'ante-guerra. Ci rendevamo perfettamente conto che la situazione attuale è totalmente differente e che ogni problema politico va affrontato tenendo conto della realtà della situazione. Una soluzione che avevamo in mente, nel quadro dell'istituto del trusteeship, poichè tale è quello creato dall'O.N.U., è una forma di associazione con l'Italia. I dettagli potrebbero essere studiati se si entrasse in tale ordine di idee. Naturalmente vi sarebbe unione doganale -gli enti italiani in Tripolitania si trasformerebbero in enti italo-arabi -le scuole italiane sarebbero naturalmente aperte agli arabi -gli italiani dovrebbero avere parità di diritti e doveri con gli arabi -si dovrebbe tener conto del fatto che benchè inferiori numericamente gli italiani costituiscono con le categorie indigene più evolute, la classe dirigente del paese. Questa classe potrebbe costituire una amministrazione autonoma e quando il momento sarà venuto, la Tripolitania potrà, se lo vorrà, staccarsi e proseguire il suo cammino, in forma indipendente. Sino a quel giorno vivrebbe in una specie di unione con l'Italia, con tutti i vantaggi che ne possono derivare al suo progresso economico, tecnico, culturale e quindi anche sociale e politico. È un esperimento nuovo che potremmo tentare e che potrebbe servire di esempio ad altri.

Mahmud Muntasser vedrebbe più volentieri una indipendenza immediata, con un trattato che faccia dell'Italia la nazione più favorita in Libia, ma ritiene che potrebbe anche essere approfondita una proposta del genere di quella da me fatta. Osserva però che non si può prescindere dalla Lega araba e dice che Azzam pascià è oggi nei nostri confronti meno intransigente di un anno fa. Gli chiedo se una volta che avessimo raggiunto un accordo con i capi tripolini, e con l'approvazione della Lega araba, i primi e la seconda sarebbero in grado di influire sulle popolazioni per farlo ad esse accettare: mi risponde affermativamente. Egli ha l'autorizzazione di Azzam pascià per prendere contatti con noi, desidera sapere «sino a che punto l 'Italia è disposta ad andare incontro agli arabi» per riferire circa le concrete possibilità di un accordo, sottolinea però che, a giudicare da quanto si vede ora a Tripoli, sembra doversi dedurre che gli inglesi non hanno intenzione di andarsene e che pertanto prima di fare un accordo converrebbe sapere come americani e inglesi lo prenderanno. Dal modo con cui formula questa osservazione si comprende che lui e i suoi amici temono le conseguenze di un eventuale accordo con noi se poi tale accordo dovesse rimanere inapplicato e gli inglesi dovessero rimanere in Libia. Gli faccio osservare che gli inglesi oppongono sempre l'ostilità che esisterebbe fra l'Italia e gli arabi e che quindi un eventuale accordo italo-arabo dovrebbe essere accolto con favore in quanto renderebbe possibile la soluzione del problema.

Siamo rimasti d'accordo che ci saremmo rivisti.

152 1 Il documento reca la seguente annotazione: «Il ministro ha dato istruzioni di tenere questo appunto tra le carte segrete del Gabinetto».

153

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, CONTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO RISERVATO. Roma, 26 giugno 1948.

Sono venuti in questi giorni a vedermi numerosi maggiorenti dell'emigrazione albanese in Italia: Gemi! Dino, Verlaci, Hassan Dosti e altri. Gemi! Dino è di ritorno dal suo viaggio al Cairo già segnalato con precedente appunto del [3 maggio u. s.] 1•

Mi ha detto di aver visto due volte Zog dal quale è stato ricevuto in Alessandria con la massima cortesia, ciò che lo autorizza -a suo dire -a considerare avvenuta la riconciliazione con l'ex sovrano dopo i grossi dissensi che lo avevano allontanato da lui.

Ha trovato Zog intento a perseguire, con ponderata fermezza e con chiaro senso della realtà, la sua azione di accaparramento delle varie correnti che non ancora aderiscono alla tesi così detta legittimista (parte dell'elemento cattolico, il gruppo di sinistra del Bali Kombetare ecc.) attraverso frequenti contatti coi rispettivi esponenti. Così, ad esempio, Ali Klisura, attualmente in Egitto, si sarebbe «convertito» alla causa monarchica e questo revirement avrebbe avuto notevole effetto non soltanto fra nazionalisti residenti in Egitto, ma anche sui principali esponenti del Bali Kombetare in Italia (l'ex ministro della giustizia Hassan Dosti, il colonnello Faik Quku, ecc.).

Malgrado che le principali aderenze vantate da Zog siano nell'elemento mussulmano, importanti esponenti dell'emigrazione cattolica stanno riprendendo contatti con lui: in questi giorni è di nuovo in Egitto il prof. Kolici, autorevole esponente in Italia di quel blocco liberale al quale appartengono Marka Gioni, principe della

Mirdizia, Verlaci, ecc. e che fino a qualche tempo fa era ancora incline a non impegnarsi di fronte alla questione istituzionale.

Secondo Dino, Zog condurrebbe questa manovra di influenze con molto tatto e sufficiente senso della realtà per rendersi conto che l'azione è naturalmente a lunga scadenza e i frutti sono remoti: d'altra parte la sua florida situazione economica personale gli consentirebbe il lusso di non avere fretta.

Reagendo al noto tentativo greco di costituire un «Fronte anticomunista» fra gli emigranti albanesi, fronte che dovrebbe appoggiarsi alla Grecia, avrebbe la sua sede in Atene o Malta (secondo le proposte fatte dal ministro Capsalis ai rappresentanti dei vari partiti albanesi in Roma) e costituirebbe il primo nucleo di un eventuale Governo esiliato, Zog si propone di organizzare un suo «fronte» che dovrebbe sollecitare l'appoggio delle grandi potenze occidentali e dell'Italia e che dovrebbe essere necessariamente sganciato da qualsiasi impegno nei confronti della Grecia. Date le cattive relazioni che notoriamente esistono fra l'ex sovrano albanese e il Governo di Atene, questa pregiudiziale anti-greca è, per Zog, un punto fisso incontrovertibile. Egli tende pertanto a convogliare e accentrare in Egitto le proprie clientele politiche approfittando dello stato di disagio in cui trovansi gli albanesi in Italia per incoraggiare il loro trasferimento in quel paese nonché in Siria e Transgiordania, non appena le condizioni politiche locali, oggi così turbate, lo permettessero.

Pur basando i propri diritti sovrani sullo Statuto del 1928, col quale, come è noto, venne proclamata in Albania la monarchia costituzionale e che egli considera tuttora vigente perché soppresso con la violenza, Zog asserisce che comunque non accetterebbe il trono che qualora il popolo albanese lo richiamasse mediante libero plebiscito. Egli va inoltre dichiarando che per monarchia costituzionale intende un regime che si fonda sulla libera cooperazione di tutti i partiti, compreso quello comunista.

Verlaci si è intrattenuto meco particolarmente sul passo di Capsalis e sull'impressione che ha prodotto in questi ambienti dell'emigrazione albanese. In definitiva egli dice che le reazioni sono state in gran parte negative, poiché in tutti e tre i partiti (monarchico, liberale e Bali Kombetare) si pensa che costituire un fronte albanese anticomunista, sotto l'egida dei greci, significa assumere grossissime responsabilità, sia nel caso che i greci mantengano le loro rivendicazioni suli'Epiro, sia che, rinunziandovi come fanno credere, pretendano di ancorare la futura Albania alla Grecia, mediante una qualsiasi forma di unione doganale o politica.

Il Governo di Atene sarebbe comunque deciso a marciare lo stesso per giungere al più presto alla costituzione di questo «fronte», anche se gli aderenti fossero pochi

o poco autorevoli. Fra le persone che potrebbero essere inclini ad accettare questa collaborazione coi greci e a prenderne la direzione si fa il nome di Midat Frasheri, che è attualmente in Grecia e che è stato recentemente ricevuto da Tsaldaris. Anche l'ex presidente del consiglio Ekrem Libohova, sarebbe sotto l'effetto delle pressioni del ministro Capsalis, ma non sembra ancora deciso ad aderirvi. Egli ha manifestato il desiderio di essere ricevuto dal segretario generale e non è da escludere che scopo della visita sia quello di metterlo personalmente al corrente della questione e di discuterne con lui.

Va da sé che il gran rumore che si sta facendo a proposito del passo greco in questi ambienti albanesi sia in parte inteso a portarci ad accentuare il nostro interessamento a favore degli emigrati e a sollecitare quegli aiuti e quell'assistenza che fino ad ora non abbiamo accordato loro che in misura assolutamente insignificante. Mi sembra altresì che l'iniziativa greca sia stata in complesso accolta dagli albanesi con diffidenza e timore per i noti rischi che comporta e possa al contrario provocare per reazione un aumento delle atouts di Zog.

Non è tuttavia da escludere che, intervenendo interessi personali, il «fronte» filo-greco si faccia ugualmente: magari, all'inizio, con poco seguito e con personalità di secondo piano ma -ciò che è meno irrilevante -non senza il consenso dell'Inghilterra e dell'America che, stando a quanto Capsalis stesso avrebbe lasciato intendere nelle sue consultazioni coi maggiorenti albanesi, sarebbero favorevoli. In questo caso la Grecia riuscirebbe a impostare fin d'ora presso le grandi potenze occidentali, la questione della priorità se non proprio dell'esclusività dei propri interessi in Albania, il che non sarebbe del tutto consono agli interessi italiani.

Aggiungo infine che la Segreteria di Stato del Vaticano, pur esaminando il problema entro i limiti della protezione dei cattolici d'Albania, di cui Marka Gioni, il «capitano di Mirdizia» è il più autorevole esponente, non è insensibile al pericolo di una futura espansione in quel paese della Grecia ortodossa. Sulla questione monsignor Tardini ha recentemente intrattenuto l 'ambasciatore Soragna come risulta dal rapporto di quest'ultimo del 14 giugno2 .

Conviene quindi a noi che l'iniziativa greca fallisca, ma è fuori dubbio che un qualsiasi nostro, sia pure prudentissimo e cauto, concorso a tale scopo, difficilmente sarà efficace se non avremo modo di dare agli albanesi in Italia qualche prova tangibile e concreta che non intendiamo abbandonarli completamente alloro destino.

153 1 Non pubblicato.

154

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1281/303. Mosca, 26 giugno 1948 (per. il 12 luglio).

Facendo seguito al mio telegramma n. 202 del 24 corrente 1 unisco per documentazione la traduzione italiana dell'articolo di Literaturnaja Gazeta del 23 giugno 1948, o ve, prendendo lo spunto da un passo del discorso del 16 giugno dell' on. De Gasperi2 , non si perde l'occasione per esprimere i soliti concetti in forma particolarmente aspra, e si conchiude infine con la solita volgare definizione di <dacché» degli americani, indirizzata al nostro presidente del Consiglio.

154 1 Non pubblicato. 2 Vedi D. 136, nota 2.

La polemica sovietica ha di solito la mano pesante, e si può dire che indirizza i suoi strali con imparziale acrimonia, a seconda delle occasioni, verso un po' tutti i capi di Stato e di Governo dei paesi la cui politica non piace; quindi in linea generale, penso sarebbe del tutto inutile ed inopportuno sollevare polemiche ad ogni attacco della stampa locale.

Tuttavia nel caso attuale ho creduto utile far rilevare a questo Governo che vi sono dei limiti alla polemica e che non è né lecito né conveniente per i buoni rapporti fra i nostri paesi tollerare lo sconfinamento della polemica nella volgare ingiuria personale.

Si ponevano così due alternative: o inviare una lettera al giornale, come già a suo tempo aveva fatto il ministro Laterza, o fare un passo presso questo Governo.

La prima via è già stata seguita, e se ne è avuto per risultato che la lettera di rettifica è stata bensì pubblicata, ma accompagnata da un lungo commento che anziché smentire il collaboratore e dare soddisfazione alla protesta, rincarava la dose della polemica e delle offese. È dubbio se convenga così rinfocolare una seconda volta la polemica, quando poi è chiaro che non la si può continuare eternamente.

Perciò ho preferito, questa volta, parlarne direttamente al Ministero degli esteri sovietico, pur sapendo perfettamente che mi avrebbero risposto, come hanno già risposto ad altri, che la loro stampa è libera ed il Governo non ne risponde.

Il mio passo aveva il valore di un avvertimento, e di una preparazione per eventuali proteste più formali nel caso che il sistema delle ingiurie personali continuasse.

Ho detto molto chiaramente al signor Kosyrev (le cui funzioni, come ho già riferito con telespresso 1129/262 del l o corrente1 , corrispondono a quelle di direttore generale degli affari politici europei) che non intendevo entrare nel merito delle idee politiche svolte dal giornale sovietico, ma intendevo attirare la sua attenzione sulle parole conclusive dell'articolo evidentemente offensive per il capo del nostro Governo, e inopportune oltreché ingiustificate. «Voi non potete dimenticare, ho concluso, che il signor De Gasperi ha raccolto recentissimamente la fiducia della maggioranza del popolo italiano, e che secondo ogni ragionevole probabilità il suo Governo sarà il Governo d'Italia per parecchi anni ancora; è quindi con questo Governo che si dovrà cercare di migliorare i vostri rapporti, e gli attacchi contro l'on. De Gasperi non gioveranno certo a nulla in questo senso».

Ho aggiunto a Kosyrev che, poiché avevo occasione di incontrarmi con lui, non ritenevo chiedere un 'udienza a Vyshinsky appositamente per questo, ma lo pregavo di riferirgli esattamente la mia protesta.

Kosyrev, come era prevedibile, ha replicato osservando che Literaturnaja Gazeta non era un giornale dipendente dal Governo ed esprimeva solo le opinioni personali dei suoi redattori (anche Novoe Vremia, ha aggiunto, non ha alcun carattere ufficioso); inoltre ha cercato di contrattaccare, osservando che in Italia erano tollerate non soltanto offese ai governanti sovietici, ma quel che era peggio, al popolo sovietico: ed a questo proposito mi ha ricordato la proiezione del film «Ninotchka», una irruzione in una mostra sovietica, nonché polemiche varie nella stampa italiana.

Mi è stato facile replicargli che quelle eh'egli qualificava «offese al popolo sovietico» erano semplicemente critiche al regime sovietico; queste non si potevano certo impedire, come io non potevo impedire che nella Unione Sovietica continuassero le pubblicazioni sul reazionarismo della nostra politica, sulle pessime condizioni dei nostri lavoratori, ecc. ecc.

Ma tutto ciò non aveva niente a che fare col sistema degli attacchi e delle ingiurie personali. Non mi risultava affatto che la nostra stampa avesse mai offeso personalmente Stalin o Molotov o Shvernik o alcun membro del Politburo o avesse messo in dubbio i motivi disinteressati della loro politica. Da noi vi era ampia libertà di stampa, ma ciò non ci impediva di punire penalmente le offese ai capi di Stato stranieri, e quanto ai capi e membri di Governo, la libertà di stampa non impediva certo di far sentire ufficiosamente ai giornalisti la necessità di un tono corretto e non offensivo di fronte alle personalità responsabili degli altri paesi. La discussione si è conchiusa così, con la promessa di Kosyrev di riferire subito a Vyshinsky; non mi illudo che abbia un grande effetto, ma nemmeno ritengo che essa sia del tutto inutile.

153 2 Vedi D. 118.

155

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 6230/2329. Washington, 26 giugno 1948 (per. il l o luglio).

Riferimento: telegramma di V.E. del 17 corrente1 .

In relazione al telegramma di V.E. sopra citato non ho mancato di interessare subito gli organi competenti di questo Dipartimento di Stato, i quali mi hanno ancora confermato che, nel pensiero di questo Governo, le norme procedurali per l'ammissione all'O.N.U. entrate in vigore col lo gennaio c.a., non dovrebbero applicarsi alla domanda presentata dall'Italia il 7 maggio 1947.

Ciò perché qui si ritiene che tali norme non possano avere, in base ai principii generali di diritto universalmente ammessi, valore retroattivo.

Mi è stato anche esplicitamente assicurato che, nella eventualità che sulla questione vi possa essere discussione in seno al Consiglio di sicurezza o all'Assemblea delle Nazioni Unite, i rappresentanti del Governo degli Stati Uniti sosterranno la tesi anzidetta. Il Dipartimento non ha ritenuto invece opportuno di richiedere al riguardo il parere del Segretariato generale delle Nazioni Unite perché ciò potrebbe provocare una precisazione in senso contrario ai nostri desiderata. Allo stato attuale delle cose

invece la questione permane indefinita e la tesi americana è quindi sempre perfettamente sostenibile.

Si è tenuto però a farmi presente l'opportunità che il Governo italiano, prima di decidere se convenga o meno affrontare la discussione in Parlamento per richiedere l'autorizzazione a depositare un nuovo strumento formale di accettazione degli impegni dello Statuto delle Nazioni Unite, consideri attentamente la eventualità che altri membri delle Nazioni Unite siano contrari alla tesi sopraesposta e pesi quindi anche gli svantaggi che potrebbero eventualmente derivarne.

Mi risulta d'altra parte che la questione è stata ampiamente dibattuta tra gli uffici competenti del Dipartimento e la delegazione americana presso l 'O.N.U.: ho anzi avuto in via confidenzialissima l'appunto, per uso interno, che invio qui accluso2 . [n tale appunto si suggerisce anche di tener pronta eventualmente una dichiarazione integrativa della domanda già presentata che potrebbe essere da me sottoscritta «in virtù dei pieni poteri conferitimi dal ministro degli affari esteri».

Resto pertanto in attesa di eventuali ulteriori istruzioni di V.E. al riguardo3 .

155 1 Vedi D. 124.

156

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 7274/741. Vienna, 26 giugno 1948 (per. il 28).

Riferimento: dispaccio di V.E. del 16 corrente n. 16/18983/c. 1•

Ringrazio per la cortese e utile comunicazione di quanto si è svolto costì circa il progetto di visita del ministro Gruber, di cui mi era stato fatto cenno, per quanto in termini ancora assolutamente generici, tanto da V.E. quanto dal segretario generale.

La mia risposta al direttore degli affari politici ministro Leitmaier, su cui ho riferito col mio rapporto del 12 corr. n. 65332 , e basata sulle istruzioni verbali di V.E., concorda in sostanza con quanto fatto conoscere al ministro Schwarzenberg, anche se prescindeva, né poteva essere diversamente perché allora lo ignoravo, dalle

3 Con L riservata 31/914/Int. del 12 luglio De Astis rispose: «Ho provveduto a sottoporre a S.E. il ministro l'accluso appunto [vedi D. 201] relativo alle possibili vie da seguire per quanto riguarda la nostra domanda di ammissione all'O.N.U. Il ministro Sforza ha senz'altro deciso che, per ragioni pratiche, conv1ene attenersi alla seconda delle due ipotesi indicate alla fine dell'appunto».

2 Vedi D. III.

considerazioni e dai dettagli che lo stesso Schwarzenberg prospettava come giustificazione e come programma della visita.

Non posso tacere che mi ha molto sorpreso leggere i termini (a parte alcune strane espressioni, che suppongo dovute esclusivamente ad una insufficiente padronanza dell'italiano) in cui il progetto di visita del ministro è stato costì presentato, con il riferimento così preciso non solo a tutta la questione dell'Alto Adige ma addirittura ai singoli accordi tecnici previsti dall'accordo di Parigi. Mi sembra evidente che se si voleva andare incontro ad un rifiuto, nessuna formula di presentazione era più adatta di quella prescelta, e con riferimento a questo mi permetterei anche di prospettare il dubbio se, tutto considerato, convenga in ogni caso abbinare una eventuale futura visita con la firma delle convenzioni previste da Parigi, che a noi non conviene per ovvie ragioni né di particolarmente sottolineare e tanto meno solennizzare agli effetti austriaci e alto atesini con la presenza dello stesso ministro degli esteri austriaco.

A Roma mi fu accennato che in un certo senso la visita avrebbe potuto aver luogo dopo la firma delle varie convenzioni, il che a me parve e pare tuttora assai ragionevole.

Sarò grato se mi verrà fatto conoscere, per norma, se la formula contenuta nel dispaccio a cui ho l'onore di riferirmi corrisponde ad una valutazione e ad un programma effettivamente maturato o si tratti semplicemente di una forma di convenienza usata per l'occasione della risposta che si doveva dare al ministro Schwarzenberg e rimanga invece fermo nella sostanza quanto mi fu in maggio prospettato.

Aggiungo che a mia impressione le varie convenzioni attualmente in fase iniziale di discussione richiederanno ancora non poco tempo per essere condotte a conclusione, dato che vi sono delle notevoli differenze di impostazione generale tra quello che hanno architettato gli austriaci e quello che noi saremmo disposti a concedere: siamo in presenza di progetti austriaci notevolmente inflazionati che noi dobbiamo lentamente o rapidamente deflazionare, e sappiamo che ogni procedimento deflazionista presenta dei caratteri di penosità.

Mi riservo di tornare sull'argomento di questi accordi previsti dal trattato di Parigi, ma intanto, nei confronti della progettata visita, mi limito a prospettare che forse in fondo questa potrebbe più utilmente per noi, dal punto di vista e generale e particolare, avvenire o prima della conclusione di quegli accordi oppure meglio dopo, ma preferibilmente non in coincidenza delle firme dei medesimi3 .

155 2 Non pubblicato.

156 1 Con il quale Soardi aveva comunicato che la Presidenza del Consiglio, interpellata circa la proposta di Gruber di una sua visita a Roma, aveva fatto presente l'opportunità di un rinvio in considerazione sia degli impegni parlamentari di De Gasperi che dello stato, non ancora conclusivo, dei negoziati in corso per la stipulazione degli accordi tecnici.

156 3 Al telespresso è allegato il seguente appunto manoscritto di Zoppi: «A Innocenti dicendo: non vediamo perché non si possa -incidentalmente -firmare quello che sarà pronto, al momento della visita se fare la visita prima degli accordi ci metterebbe nello stesso imbarazzo nel quale la visita ci avrebbe messo ora. D'altra parte la visita non si può rimandare indetìnitivamente, né si possono rimandare indefinitivamente gli accordi senza esporci ad antipatiche pressioni alleate mosse da Vienna. Cogliere l'occasione per dire che occorre mandare avanti quegli accordi che paiono meno difficili».

157

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. RISERVATISSIMO URGENTE 7501/396. Roma, 27 giugno 1948, ore 11,40.

Pomeriggio lunedì 28 corrente sarà firmato qui Accordo bilaterale. Informola che per momento non saranno pubblicate note relative clausola nazione più favorita.

158

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVAfO 1121/361. Osio, 28 giugno 1948 (per. il 12 luglio).

Con precedente corrispondenza e da ultimo col mio rapporto n. 1108/358 in data odiema 1 , ho riferito dettagliatamente a VE. circa lo svolgimento della polemica fra il ministro della difesa norvegese e il capo di Stato Maggiore dell'esercito, polemica che ha avuto in Norvegia e nei paesi scandinavi notevole ripercussione e che ha finito per assumere qui tutti gli aspetti di un vero e proprio scandalo politicomilitare.

Ad esaminare il fatto nei suoi aspetti esteriori lo si può anche considerare come l'estrinsecazione del solito cozzo che, più o meno in tutti i paesi del mondo, mette di fronte, senza quasi possibilità di conciliazione, la mentalità dei generali e quella degli uomini politici. In un paese come la Norvegia senza tradizione militare, e dove i problemi di una reale ed effettiva difesa del paese si sono presentati solo nel 1940 a seguito dell'invasione tedesca, è sembrato quasi naturale all'opinione pubblica che se un urto fra generali e uomini politici doveva esistere, esso invece di essere tenuto segreto, fosse portato in piazza e desse luogo a polemiche e strascichi senza fine. L'uomo della strada norvegese ha accettato la cosa quasi come una necessità naturale e come una conseguenza del regime democratico, non è andato al fondo del problema e si è limitato a discutere e a prendere posizione per i generali o per gli uomini politici a seconda delle proprie opinioni. Con un po' meno di buona fede i parlamentari della destra conservatrice e quelli agrari hanno profittato d eli' occasione per attaccare il Governo socialista; con nessuna buone fede i comunisti dal canto loro, obbedendo alla parola d'ordine del Cominform, hanno anche essi colto il destro per attaccare i socialisti democratici designati oggi come nemici numero uno del marxismo leninismo.

I5R 1 Con il quale Rulli riferiva sulle dimissioni di Helse! e sulla discussione allo Storting.

In realtà la polemica fra il generale Helset e il ministro Hauge non è tale quale il grosso pubblico ha potuto o voluto vederla; trova le sue fondamenta in ben altro campo che non un conflitto di mentalità, è dovuta ad una divergenza ben più profonda e che investe invece tutta la politica estera odierna di questo paese, e, quel che più conta, anche la politica estera futura.

Il dissenso fra i generali e il Governo infatti è nato -secondo notizie da me assunte a fonte senza dubbio bene informata -in sede di discussione sul modo di utilizzazione del noto credito di l 00 milioni di corone recentemente concesso dal Parlamento. Il ministro Hauge -d'accordo con i suoi colleghi del Governo sostiene che tale somma debba essere spesa per procurarsi materiale da guerra americano e inglese. Il suo ragionamento è basato sul fatto che in un possibile ed eventuale conflitto, alla Norvegia non rimarrebbe altra scelta che schierarsi con le potenze occidentali e che quindi le forze armate del paese non possono fare altrimenti che basarsi su metodi e mezzi occidentali.

Il generale Helset invece -d'accordo con un gruppo di altri suoi colleghi dell'esercito -sostiene che i 100 milioni di corone debbano essere spesi per l'acquisto di materiale svedese, perché, a suo avviso, la linea politica norvegese deve essere indirizzata ad una sempre più stretta collaborazione con i paesi scandinavi, e che a base di tale collaborazione deve esservi una identità di preparazione bellica per la difesa comune del territorio della penisola.

Si tratta, come di vede, di un dissidio non di forma, non di mentalità e di metodi, ma di vera e propria sostanza. Un dissidio che ha mostrato come l'atteggiamento «occidentale» assunto dal Governo non trova un'approvazione unanime, e come nel seno stesso degli organi dirigenti del paese si riscontrino in fondo le stesse differenze di opinione sull'atteggiamento internazionale degli Stati scandinavi, che dividono due degli stessi Stati: la Norvegia cioè da una parte, la Svezia dall'altra. Quali siano i due punti di vista è ben noto a V. E.; il Governo norvegese, pur non rifiutando la formazione di un blocco scandinavo, pensa che tale blocco debba, se non ufficialmente per lo meno di fatto, esser parte integrante di un più ampio sistema di alleanze occidentali.

Il Governo svedese respinge tale punto di vista e tende alla formazione di una unione indipendente fra i paesi scandinavi, armata in maniera da potersi difendere sia ad est che ad ovest. Non è un segreto che nelle recenti riunioni dei ministri degli esteri scandinavi la Svezia accennò persino ad una vera e propria alleanza militare, che doveva però comportare l'obbligo norvegese di astenersi da impegni con altre potenze. In una parola la Norvegia non doveva legarsi né all'America né all'Inghilterra. Come naturale la apertura svedese trovò accoglienza più che sfavorevole. Lo stesso ministro degli esteri, Lange, mi ha confermato in questi giorni che egli è deciso a portare sino in fondo l'atteggiamento preso nei riguardi dei paesi occidentali, anche se ciò dovesse significare, in ultima analisi, una politica norvegese nettamente agli antipodi di quella svedese.

Ed è -come ripeto -proprio su tale punto che vanno ricercate le vere cause del dissidio fra il capo di Stato Maggiore dell'esercito norvegese ed il Governo di Osio. Il generale Helset, in una parola, pensa che la tesi svedese dovrebbe essere qui accettata come unica soluzione e che quindi gli eserciti dei due paesi debbano avere istruzione ed armamento comune. È talmente convinto della sua tesi che non ha esitato a dare le proprie dimissioni quando essa è stata respinta dal ministro della difesa.

Egli però non si è accorto che lo scandalo determinato delle sue dimissioni non ha certo giovato al paese: quello che le discussioni e le polemiche dei giorni scorsi hanno messo veramente in luce è la debolezza estrema di un esercito i cui capi pur di far valere i principi «politici» da essi sostenuti non esitano a determinare una crisi che non giova certo alla riputazione all'estero dell'esercito stesso.

Per il momento è mia impressione che, dopo tanto fracasso e specie dopo la violenta discussione allo Storting, tutto sarà messo a tacere e che stampa e opinione pubblica dimenticheranno presto !'«affare Helset». Anche se, nel caso specifico, il Governo ha avuto alla Camera un voto di fiducia scarno e ristretto al solo partito socialista, mentre destra e comunisti gli hanno votato contro in blocco, nessun cambiamento si verificherà nell'atteggiamento norvegese di fronte ai problemi di politica estera sul tappeto.

159

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. PER CORRIERE 7550. Roma, 29 giugno 1948.

Suo rapporto 17011558 del 23 giugno 1 .

È bene ricordare che in un primo tempo ammm1straziom mteressate non avevano ravvisato conveniente concludere accordo con Grecia per sblocco beni italiani non esistendo un vero interesse economico di carattere nazionale che potesse giustificare erogazione a favore Governo greco somma corrispondente valore tali beni.

Solo in un secondo tempo, tenuto conto di quanto segnalato da codesta legazione circa l'opportunità di attenuare gravità noti provvedimenti greci in materia di beni italiani, si è entrati nell'ordine di idee di tentare conclusione accordo in materia con Governo greco al quale in pari tempo sarebbe stata offerta una larga apertura di credito la quale, contenendo praticamente in sé inizio pagamento riparazioni, avrebbe potuto costituire «gesto» amichevole previsto fin dall'epoca dei colloqui romani di Argiropulos2 .

Oggi i greci -come ella osserva -tentano di allargare le trattative e fanno apparire come una concessione l'esame della formula da noi proposta per i beni, pur riconoscendo che essa differenziasi «sensiblement de celle consacrée par l'art. 79 du Traité».

Sembra quindi che, da un esame più obiettivo della situazione, Governo greco dovrebbe rendersi maggiormente conto delle concessioni da noi fatte con la formula affidata alla missione Colitto. Se così non fosse, e tenendo anche conto del fatto che molti italiani proprietari di beni in Grecia hanno in definitiva fatto

159 1 Vedi D. 137. 2 Vedi serie decima, vol. Vll, DD. 122, 138, 157 e 163.

presente il loro scarso interesse allo sblocco preferendo l'indennizzo in lire da parte del Tesoro italiano, ci converrebbe abbandonare l'iniziativa limitando i compiti della missione Colitto al censimento dei beni di cui trattasi in vista degli indennizzi da effettuarsi in Italia.

Comunque, si è preso nota di quanto ella ha fatto presente nell'ultima parte del suo rapporto surriferito, e cioè che il Governo greco, rendendosi conto di «aver esagerato», potrebbe contentarsi di una formula «a fine di politica interna». Questo Ministero gradirebbe che ella precisasse questo punto, dichiarandosi sempre disposto ad esaminare con comprensione ogni proposta che, pur tenendo conto delle nostre limitate possibilità specie in tema di riparazioni, possa favorire un 'intesa fra i due Governi3 .

160

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8500/138. Belgrado, 29 giugno 1948, ore 1,20 (per. ore 7,30).

Annunzio decisioni Cominform non ha sino ad ora destato reazione visibile. Ministro Djilas ha preannunziato per domani pomeriggio una dichiarazione pubblica, senza peraltro precisarne oggetto. Si prevede per domani mattina legge marziale, per quanto fino a questo momento situazione nella capitale sia assolutamente calma. Tengomi stretto contatto con miei colleghi e ritelegraferò 1•

161

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, SOLARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8524/46. Sofia, 29 giugno 1948, ore 15 (per. ore 18,30).

Avvenimenti jugoslavi suscitano grande impressione in tutti ambienti. Ministero degli affari esteri e circoli ufficiali dimostransi riservati. Dalla stampa soltanto organi comunisti pubblicano oggi risoluzione Cominform e brevi commenti approvazione.

Plenum partito comunista Bulgaria riunitosi sotto presidenza Dimitrov emanato comunicato con cui si aderisce risoluzione Cominform e si invitano sezioni partito e fronte patriottico svolgere azione chiarificatrice anche per facilitare riorganizzazione partito comunista jugoslavo.

Secondo informazioni confidenziali durante tale riunione Dimitrov sarebbesi scagliato violentemente contro Tito precisando importanza compiti partito comunista Bulgaria in relazione situazione jugoslava. Contrasti interni partito comunista Bulgaria in cui sonvi correnti più o meno ligie Mosca non sembrano per ora pronunciarsi anche per fatto che maggiori esponenti partito sarebbero sostanzialmente fedeli Mosca e per vari motivi ostili Tito. Frontiera bulgaro-jugoslava, già praticamente di difficile transito allegando motivo inondazione, è stata chiusa.

159 3 Con Telespr. 1792/60 l del 7 luglio Prina Ricotti rispondeva tornando a sottolineare la contraddittorietà della condotta greca, già illustrata nel D. 122, e concludeva: «La mia opinione è che(... ) qui ad Atene a me convenga mostrare soltanto inditTerenza e non parlare più dell'art. 79 a meno che siano i greci a parlarmenc e così farò se diverse istruzioni non mi verranno esplicitamente impartite».

160 1 Vedi D. 162.

162

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 85431140. Belgrado, 29 giugno 1948, ore 21,20 (per. ore 5,30 del 30).

Mio 138 1• Testo comunicato Cominform, qui ora conosciuto in riassunto particolareggiato, attenua sensibilmente primitiva drammaticità del! 'annunzio datone da agenzie. Ultima parte dichiarazione Bucarest sembra avere infatti posto ai dirigenti della politica jugoslava l 'alternativa di mutare rotta o di essere «rovesciati». Situazione nella capitale permane assolutamente calma, né è visibile alcuna considerevole misura di polizia. Popolazione ha reagito pigramente alla notizia e mancano finora segni esteriori di turbamento. Continuano pervenire notizie allarmistiche e contradditorie, di difficile, quasi impossibile, controllo. Come elementi di valutazione per codesto Ministero, aggiungo che sono venuti stamane a colazione da me presidente dell'Assemblea popolare (che è fratello ministro degli esteri) capo di Gabinetto e capo protocollo Ministero esteri, nonché sindaco, i quali non hanno lasciato trapelare alcun senso di preoccupazione. È pertanto difficile, per il momento, fare previsioni su sviluppi locali del comunicato, salvo improvvisi mutamenti situazione. Comunicato governativo preannunziato iersera, atteso di ora in ora, non è stato ancora diramato.

162 1 Vedi D. 160.

163

IL MINISTRO A L'AJA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 8881/024. L 'Aja, 29 giugno 1948, ore 17 (pa il 5 luglio)

Van Royen, ex ministro esteri e attuale ambasciatore ad Ottawa, durante una amichevole conversazione mi ha detto che Governo canadese si preoccupa molto della difesa del paese contro eventuali attacchi russi nel quadrilatero nord dell'emisfero occidentale. Quel governo insisterebbe assai per una diretta partecipazione nord americana al patto occidentale cui Canadà sarebbe disposto aderire realizzando Patto atlantico.

Secondo ambienti politici canadesi opinione pubblica statunitense non si renderebbe sufficientemente conto che difesa proprio paese si trova in Europa; fra breve tempo, con progressi tecnica militare attuale, anche punti più interni continente americano possono essere raggiunti e vulnerati.

Mio interlocutore ha soggiunto che Canadà appoggerebbe anche progetto Patto mediterraneo di cui facessero parte Italia, Inghilterra, Francia, Turchia e Grecia con aiuto Stati Uniti d'America. In generale, a detta di V an Royen, in Canadà ci sarebbe molta maggiore sensibilità e comprensione circa necessità di attuare difesa emisfero occidentale in Europa che non negli U.S.A. e maggior timore per la imminenza del pericolo.

164

IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1451/685. Bucarest, 29 giugno 1948 (per. il 5 luglio).

Mio telegramma n. 77 in data odierna; mio telegramma per corriere n. 032 del 22 corrente; mio telespresso n. 325/130 del 12 febbraio u.s. 1•

Le notizie relative all'arrivo a Bucarest degli on.li Togliatti e Secchia in relazione a una riunione del Cominforrn sono risultate esatte. L'organo di coordinamento del bolscevismo internazionale si è riunito in gran segreto nei giorni scorsi in una località non ancor nota della Romania (probabilmente a Sinaia) e per affari di grande importanza: nientemeno che la sconfessione e la «scomunica» da parte del comunismo ortodosso del maresciallo Tito e del partito comunista jugoslavo.

La risoluzione pubblicata oggi con grande rilievo è un documento complesso di grande gravità e portata. Ne accludo la traduzione per codesto Ministero2 . Essa viene a confermare altresì che le voci trapelate qualche tempo fa (e che io avevo riferite) circa l'atteggiamento del maresciallo Tito erano fondate.

È chiaro (ed è esplicitamente ammesso nel documento odierno) che già da vari mesi la condotta politica di Tito e dei suoi maggiori luogotenenti non si adeguava ai dettami di Mosca e alle ferree leggi del Politburo che è il vero ispiratore del conformismo comunista in funzione degli interessi egemonici dell'U.R.S.S., e del quale il Cominform è un semplice organo esecutivo.

Se Mosca e i maggiori responsabili del comunismo si sono indotti a un passo così grave come la condanna dell' «eresia titina» (dopo aver esaurito tutti i tentativi di conciliazione e di richiamo all'ordine) e se, per giunta, hanno ritenuto di doverlo fare in una forma così clamorosa e pubblica, è segno che il pericolo è apparso particolarmente grave e tale da richiedere un aperto esempio ed ammonimento verso altre analoghe velleità, anche a costo di provocare uno scandalo e di mettere in piazza la cruda enunciazione di tesi e di dottrine che non potranno non avere ripercussioni gravi sia sulle cosidette «masse» comuniste, sia sull'opinione pubblica in genere, sia anche nei confronti della politica estera.

La natura delle critiche e delle accuse mosse a Tito e al partito comunista jugoslavo lo dimostra del resto ben chiaramente; si rimprovera loro:

l) di aver seguito nelle massime questioni di politica interna ed internazionale una «linea errata», che costituisce un abbandono del marxismo-leninista (leggi: delle direttive di Mosca);

2) di aver dimostrato ostilità e diffidenza verso l'Unione Sovietica, il partito comunista dell'U.R.S.S. e l'esercito sovietico (leggi: insofferenza del controllo civile e militare sovietico in Jugoslavia, ossia delle pretese espansionistiche dell'U.R.S.S.);

3) di aver seguito nella politica interna direttive giudicate tiepide e moderate, in quanto alla lotta di classe e alla drastica preponderanza degli operai e dei proletari si sarebbe preferita una evoluzione graduale e, colpa ancora più grave, una larga tolleranza verso la piccola proprietà contadina (leggi: tentativo di Tito di costituirsi una solida base personale e politica nella classe rurale che, com'è noto, costituisce in Jugoslavia la grande maggioranza della popolazione);

4) di essersi allontanati dai principi del marxismo-leninista impedendo al partito comunista di Jugoslavia la suprema direzione politica del paese (leggi: aver evitato la dittatura del partito (alter ego di Mosca) per consentire ai dirigenti jugoslavi maggiore autorità personale al di fuori di esso e più larghe possibilità di manovra nel paese). Tale «colpa» è più particolarmente definita nel punto 5 della Risoluzione ove si accusano Tito e i suoi amici di aver fatto una politica personale sfuggendo alla dittatura del partito comunista e di avere anzi estromesso e condannato quei membri del Comitato centrale che vi rappresentavano gli ordini e il controllo di Mosca;

5) di aver respinto i richiami all'ordine del Comitato centrale del partito dell'U.R.S.S., e di averlo fatto con inganno per ambizione e orgoglio personale (leggi: velleità autonomistiche o, se si vuole, di «autocefalia» che sono inammissibili per il dogmatismo leninista e per gli interessi dell'imperialismo russo che si nasconde dietro l'azione comunista);

6) di aver rifiutato di sottoporsi al giudizio e alla convocazione del Comitato centrale del partito comunista dell'U.R.S.S. e dei comitati centrali dei partiti comunisti che fanno parte del Cominform, dando in tal modo prova di indisciplina ed anzi dimostrando la pretesa di costituire per il partito comunista jugoslavo una situazione di privilegio di fronte al Comintern ed al comunismo internazionale (leggi: nuova accusa di secessione e di velleità di indipendenza).

Le conclusioni, a cui da tali premesse il Cominform riunitosi in Romania è giunto, non sono meno significative ed eloquenti. Esse stabiliscono, in piena solidarietà col giudizio del Comitato centrale bolscevico di Mosca, che Tito e i dirigenti comunisti jugoslavi, col loro atteggiamento antisovietico e con tutto il loro comportamento contrario ai principi del marxismo-leninista, si sono posti «sulla via della rottura del fronte unico socialista contro l'imperialismo» e si sono incamminati verso il tradimento della solidarietà internazionale dei lavoratori, avviandosi su viete posizioni e concetti nazionalistici. Tale politica e tale contegno vengono pertanto apertamente condannati ed il partito comunista jugoslavo viene espulso dalla famiglia dei partiti comunisti e dal fronte unico comunista, e di conseguenza estromesso anche dal Cominform. Proseguendo nell'analisi delle colpe, il documento constata che alla base delle deviazioni e degli errori del partito comunista jugoslavo sta il fatto che fra i suoi dirigenti, negli ultimi sei mesi, hanno avuto il predominio elementi di idee nazionaliste, i quali hanno impostato il comunismo jugoslavo su concetti particolaristici e nazionali. Ciò facendo, i dirigenti jugoslavi «valutando esageratamente le possibilità, le capacità e le forze proprie della Jugoslavia, hanno creduto di poter mantenere l'indipendenza del paese e costruirvi un socialismo particolare senza l'appoggio dei partiti comunisti di altri paesi, delle democrazie popolari e sopratutto dell'U.R.S.S. Essi hanno creduto che la nuova Jugoslavia possa fare a meno dell'aiuto di tali forze rivoluzionarie». Tale constatazione, pubblicamente enunciata, implica in modo evidente la aperta ammissione che nessuna possibilità di autonomia statale e politica possa essere tollerata nei confronti dei paesi che, sotto l'egida del comunismo, sono stati ridotti al vassallaggio di Mosca. Giacché non è più qui questione di dottrina o di conformismo comunista, ma si entra in pieno e si tocca nel vivo la sovranità stessa dello Stato e l'esercizio del Governo. E ciò risulta ancor più chiaramente dal seguito delle conclusioni, nelle quale si rimprovera a Tito ed ai suoi amici di avere, per una scarsa valutazione della situazione internazionale e soggiacendo ai timori delle minacce e dei ricatti delle potenze imperialistiche, ritenuto di poter acquistare la benevolenza di queste ultime mediante concessioni, compromessi ed intese, nella falsa opinione, tipicamente borghese, «che uno Stato capitalista presenti, per l'indipendenza della Jugoslavia, minor pericolo dell'Unione Sovietica».

Il documento termina con un appello ai «buoni» comunisti jugoslavi di costringere gli attuali dirigenti a riconoscere i propri errori e ad emendarsi ovvero, in caso contrario, di sostituirli con nuovi dirigenti.

È prematuro fare previsioni sul seguito e sulle conseguenze di questa presa di posizione dell'U.R.S.S. e del comunismo internazionale; ma si può senz'altro affermare sin d'ora che siamo in presenza di una grave crisi nel seno della tanto vantata unità comunista: crisi di dottrina, di indirizzo politico e di disciplina. Ancora una volta si può affermare che, di contro alla volontà sovietica di asservire incondizionatamente ai suoi scopi gli Stati vassalli, risorgono in questi, per la spontanea forza degli interessi particolari e delle ambizioni umane, quegli intimi contrasti propri di ciascuno Stato e di ciascuna comunità nazionale che non hanno radici soltanto nelle tradizioni del passato e nella «viscosità» dei processi evolutivi, ma sopratutto nella intima coscienza della stessa individualità statale e del gioco degli interessi propri di ciascun paese. Il bolscevismo che, in conseguenza della guerra vittoriosa, è passato alla fase di conquista al servizio dell'imperialismo russo. si viene a trovare per necessità di cose in una situazione ben diversa da quella nella quale aveva operato e si era affermato sinora entro i confini del territorio russo. In questo aveva di fronte popolazioni e tribù per la maggior parte primitive e retrograde, di cultura e civiltà prevalentemente asiatiche, di scarsi sentimenti nazionalistici e sovente anche di indefinite aspirazioni; e pertanto il giuoco dei dirigenti comunisti trovava terreno di più facile conquista e di più agevole dominio specie se si tenga conto dell'indole apatica di quelle genti. Ben altre sono le condizioni storiche sociali e nazionali dei paesi d 'Occidente coi quali il comunismo e per esso la Russia vengono ora a contatto. Ciò rappresenta senza dubbio, come ho avuto altre volte occasione di rilevare, il pericolo maggiore del sistema sovietico nella fase presente. E se ne vedono chiaramente i segni nel consenso ben scarso che nei singoli paesi dell'est europeo le popolazioni accordano ai nuovi regimi di democrazia progressiva che si impongono con la forza di una esigua minoranza, nelle resistenze palesi ed occulte e, come nel caso attuale della Jugoslavia, nella riluttanza di taluni degli stessi dirigenti comunisti a sottomettersi incondizionatamente al verbo di Mosca.

È chiaro come ciò rappresenti per il sistema unitario politico e militare che la Russia persegue un avvertimento ed un pericolo di vera gravità, la qual cosa spiega la severità delle decisioni del Cominform. A molti altri commenti e considerazioni il documento si presta che sarebbe lungo riportare. Mi limito a rilevare soltanto:

l) viene ammessa nella maniera più evidente l'ingerenza dell'U.R.S.S. e del comunismo da essa diretto nelle questioni di politica interna ed estera dei paesi stranieri e l'assoluta sudditanza dei cosiddetti Stati indipendenti dell'Europa orientale;

2) appare chiaramente come il Cominform costituisce, non già quell'organo di informazione che esso vuoi definirsi, ma invece un vero e proprio organo direttivo, agli ordini di Mosca, avente per compito il controllo della politica dei paesi a Governo comunista e dei partiti comunisti nei paesi stranieri;

3) non meno chiaro appare che il Cominform rappresenta altresì un vero e proprio organo superstatale che controlla e dirige la politica interna ed estera dei paesi del blocco orientale per conto e nell'interesse dell'U.R.S.S.

164 1 Non pubblicati.

164 2 Non pubblicata.

165

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8613/143. Belgrado, 30 giugno 1948, ore 22,20 (per. ore 5,45 del 1° luglio).

Mio telegramma 140 1•

Replica Comitato centrale partito comunista jugoslavo a comunicato Cominform, di cui invierò testo integrale per corriere2 , rigetta sdegnosamente accusa e fa appello ai membri partito serrare le file nella lotta per la realizzazione linea partito stesso.

Soluzione divergenza sembrerebbe pertanto rimessa prossimo congresso comunista (21 luglio), mentre starebbero formandosi due opposte correnti in seno al partito che indubbiamente «incrineranno» la base. Se non che una volta in possesso elementi di forza, resta a vedere se ciascuna parte sia disposta ad eventuale insuccesso. Onde potrebbe ipotizzarsi colpo di forza anteriore congresso che da parte dirigenti jugoslavi potrebbe ad esempio concretizzarsi in rinvio congresso sine die, mentre più incertamente possono prevedersi estremi eventuale azione anticipata da parte opposta che non sia violenta.

Se da un lato potrebbe apparire inconcepibile una rottura anche temporanea tra Russia e Jugoslavia, che isolerebbe quest'ultima o la costringerebbe ad un avvicinamento con l'Occidente, dall'altra non si vede almeno per il momento come possa raggiungersi un accordo tra Russia e attuali dirigenti jugoslavi, che certamente non intenderanno lasciare il potere, dopo la gravità delle accuse lanciate e la violenza della risposta.

Anche soluzione in extremis salvare Tito sacrificando suoi diretti collaboratori «scomunicati» sembra poco probabile poiché egli resterebbe solo e discreditato. Rimane pertanto da vedere se la situazione non potrà essere alterata da qualche nuovo fatto nei prossimi giorni.

166

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 8644-8642/520-521-522. Washington, 30 giugno 1948, ore 24 (per. ore 14 del l o luglio).

Seguito mio 515 1•

Sviluppi contrasto Tito-Cominform continuano monopolizzare enorme interesse queste sfere politiche ed opinione pubblica, sminuendo ogni altro problema compresa situazione Berlino.

Riassumo opinioni prevalenti oggi Dipartimento:

l) pur con qualche prudenziale riserva mancanza notizie dirette testimoni oculari, si considera ormai che Tito e suoi vicini collaboratori -tra cui altre tre personalità denunziate da Cominform -mantengono completo controllo situazione Jugoslavia;

2) per interlocutore americano restano enigmatici motivi ovviamente imperiosi che hanno indotto Cominform -e quindi Politburo moscovita -provocare e rendere ora pubblica questa prima grave crisi comunismo internazionale senza essersi previamente assicurata piena ritrattazione o liquidazione imputati secondo ricette Cremlino: rischiando anzi dar prova inefficienza pericolosissima per prestigio U.R.S.S.;

3) pur riconoscendosi importanza avversione capi Cremlino per personalità tanto ambiziosa ed ingombrante, causa sostanziale condanna Tito viene qui individuata in resistenza spirito indipendente jugoslavo contro tentativi russi instaurare assoluto rigido controllo anche a Belgrado;

4) specialisti Dipartimento non escludono che Tito possa essere stato indotto resistenza reiterate pressioni Zdanov, puntando su vere o pretese divergenze fra quest'ultimo e Molotov. Infatti a negata partecipazione jugoslava riunione Cominform Romania si contrapponeva subito intervento Simic Conferenza ministri esteri Varsavia;

5) oggi ancor più di ieri si tende qui escludere possibilità di gravi complicazioni militari tra Mosca e Belgrado, ed eventuali tentativi Cremlino occupare Jugoslavia, ciò perché: a) in attuale importante fase problema tedesco preminente per Mosca, appare interesse fondamentale politica estera U.R.S.S. evitare clamorosa rottura blocco paesi orientali; b) conflitto russo-jugoslavo molto facilmente degenererebbe in guerra ben più vasta che U.R.S.S. affronterebbe in difficili condizioni spirituali per comunismo internazionale. Mosca avrebbe quindi adesso interesse ancora migliore passato mantenere pace; c) vigorosa replica partito comunista jugoslavo ad accuse Cominform ed aspra polemica con partito bolscevico U.R.S.S. contiene frase, qui particolarmente rilevata, «popolo jugoslavo ha già guardato morte negli occhi» che viene interpretata come fermo intendimento jugoslavo non cedere in caso conflitto armato. Esperienza guerriglia dovrebbe dissuadere Cremlino da gesti precipitati.

Dipartimento mostrava oggi ritenere che da paesi sfera orientale potranno tentarsi mosse miranti ad una conciliazione in relazione prossimo congresso comunista jugoslavo. Ne sarebbero indizio dichiarazioni odierne Governo bulgaro.

Peraltro caratteristiche anche personali aspro contrasto Tito-Cremlino, dovrebbero maggiormente essere approfondite da ultime dichiarazioni programmatiche partito comunista jugoslavo circa patto balcanico ed unione con Albania Bulgaria. Sicché, anche raggiungendosi distensione, permarrebbe frattura e conseguente lotta effettiva sia pure dissimulata.

In 1ale prospettiva interlocutori americani hanno tenuto assicurarmi che anche ove Tito continuasse ferma politica indipendenza in contrasto con U.R.S.S., Governo Stati Uniti non consentirebbe mai concessioni politica espansionista jugoslava. Ciò particolarmente per ciò che concerne Italia (Zona B Territorio Libero Trieste),

Austria (Carinzia) e Grecia, ma anche nei confronti stesse Bulgaria ed Albania. Circa quest'ultima si ammette tuttavia che Belgrado possa eventualmente riuscire proprie mire con relativa facilità data penetrazione già effettuata.

Infine, al Dipartimento, pur mantenendosi nota avversione specifica e di principio nei riguardi dittatore jugoslavo, si riconosce da oggi che, ove Tito fosse indotto da irrigidimento Cremlino continuare propria ferma resistenza ad esigenze russe, sarebbe interesse americano accordare Governo Belgrado un certo aiuto economico, che esso sa di poter ottenere solo da Occidente e che già apparirebbe indispensabile per vincere disastroso collasso.

Si avrebbe però cura limitare questo aiuto a minimo assolutamente necessario per consentire continuazione lotta per indipendenza paese, escludendo ogni margine che consenta consolidamento dittatura a danno democrazia.

Aiuto potrebbe agevolmente essere dato in connessione conclusione accordo per restituzione Jugoslavia trentina milioni dollari oro e valute bloccate Stati Uniti 1941. Governo Belgrado, dopo resistenza molti mesi dovuta qui si pensa anche interdipendenza Mosca, ha infatti accolto recentemente richiesta Washington per indennizzo claims cittadini americani. Tale improvviso mutamento, unito qualche altro indizio, aveva attirato attenzione Washington su dissensi Tito-Cremlino (mio 504)2 ed anche su impellenti necessità economiche jugoslave.

165 1 Vedi D. 162. 2 Non pubblicato. 166 1 Pari data, con esso Tarchiani aveva comunicato le prime reazioni statunitensi agli avvenimenti in Jugoslavia.

167

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 42/00054/1. Roma, 30 giugno 1948.

Se comprendo appieno lo spirito del suo rapporto del 24 corrente 1 , ella si chiede se non sia conveniente rinviare la conclusione definitiva dell'Unione doganale fino a quando siano risolte tutte le questioni i tal o-francesi suscettibili di turbare la comprensione reciproca fra i due paesi (flotta, colonie, ecc.). Ciò in quanto -ed è chiaro-l'Unione presuppone un avvicinamento politico che sarebbe inconcepibile,

o inattuabile, se divergenze di carattere anche nazionalistico minacciassero di turbare attualmente l'atmosfera nella quale l'Unione stessa deve edificarsi.

Pur non nascondendomi la possibilità di oscillazioni che sempre sussistono nei rapporti fra due Stati in genere, e in specie nell'attuale periodo post-bellico fra la Francia e l'Italia, oscillazioni che occorre però sapere e voler attutire, il Governo italiano sa di aver la volontà di condurre a fondo l'Unione, ed è pienamente consapevole dei presupposti e delle conseguenze che tale decisione presenta. Occorrerà

167 1 Vedi D. 144.

che anche il Parlamento, quando l'atto gli sarà sottoposto, sia persuaso dell'importanza del passo che sarà per compiersi.

Quanto alle preoccupazioni di tempo sembra che esse non debbano allarmare di soverchio, in quanto rinviata, per desiderio francese, la compilazione del programma a settembre, è dubbio se la discussione parlamentare, e la decisione relativa potranno aver luogo prima della fine dell'anno. Ciò dà modo, mi sembra, di fare maturare molte cose e di portare a soluzione anche quelle questioni di natura politica accennate da V.E., talune delle quali, ad esempio quella relativa alle navi, sembrano attualmente bene avviate.

166 2 Vedi D. 150.

168

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

L. 20781/287. Roma, 30 giugno 1948.

Ci sarebbe molto utile conoscere quale nettamente sia o possa apparire, considerata da costà, la consistenza delle accuse mosse dal Cominform ai dirigenti comunisti jugoslavi, che risultano alquanto contrastanti con le informazioni sino ad ora pervenuteci, sia per quanto riguarda i progressi dell'applicazione delle teorie comuniste nel paese, sia per quanto si riferisce alla posizione dei sovieti costì e agli orientamenti anti-occidentali del Governo.

L'anatema del Cominform-che risultava sino ad ora dover essere un ufficio d'informazioni e non una specie di Concilio di Trento del comunismo-anche per le ripercussioni che può avere in campo internazionale, e per il delicato momento politico nel quale viene lanciato, non può non lasciare perplessi nella valutazione tanto delle sue cause quanto dei suoi possibili fini 1•

169

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 3450/1408. Londra, 30 giugno 1948 (per. il 3 luglio).

Di fronte al pericolo che viene dall'Est, sotto la spinta della necessità di avere dollari per acquistare quelle merci indispensabili che oggi non possiamo pagare in altra valuta più accessibile e con la prospettiva di una carestia mondiale nei decenni

futuri, i paesi dell'Europa occidentale sono stati d'accordo nel riconoscere più o meno spontaneamente che è urgente ed indispensabile un completo riassestamento delle loro rispettive economie in modo da utilizzare nel miglior modo possibile e nell'interesse comune le risorse che esistono ad ovest della cortina di ferro e nei territori oltremare a cui direttamente o indirettamente hanno ancora accesso. Un simile riassestamento sembrerebbe implicare una revisione di tutti i loro rapporti compresi quelli che si usa chiamare politici. L'Unione Occidentale e i patti regionali di cui si parla molto in questi giorni potrebbero appunto sembrare, a parte le ragioni immediate e temporanee a cui debbono la propria origine, il principio di questa revisione.

In realtà, qualunque sia il linguaggio che si parla nelle riunioni dell'O.E.C.E., nei rapporti bilaterali fra Stato e Stato si vedono per ora pochi segni di questo riaggiustamento. L'attenzione dei Governi continua in generale a cristallizzarsi su questioni che ~se la revisione di cui sopra è veramente necessaria ed urgente ~ appaiono secondarie e sorpassate. E poiché tutto porta a credere che sia effettivamente indispensabile rivedere i rapporti fra i vari paesi dell'Europa occidentale senza perdere tempo, può essere utile ed opportuno cominciare a riesaminare i rapporti italo-britannici da questo punto di vista.

Sebbene la politica estera britannica abbracci necessariamente un campo molto più vasto della nostra, i settori principali che ha in comune con essa ~ politica europea; materie prime; sfruttamento delle risorse del continente africano ~presentano un'importanza tale che un esame anche brevissimo dell'atteggiamento della Gran Bretagna a loro riguardo completa quello che scrissi tre mesi fa (rapporto

n. 1923/683 del 13 aprile) 1 mettendo in rilievo l'importanza fondamentale dell'area della sterlina per una politica estera indipendente della Gran Bretagna, politica che è in fondo una continuazione di quella tradizionale adattata temporaneamente alle circostanze sfavorevoli.

Si possono avere diverse opinioni circa la possibilità che l'area della sterlina sopravviva agli ultimi avvenimenti fra i quali le elezioni nel Sud-Africa. Quello che è certo è che l'atteggiamento britannico non mostra per ora segni di cambiamento.

Prima di esaminare i possibili e probabili sviluppi dei rapporti italo-britannici nei settori della politica europea, delle materie prime e dello sfruttamento dei territori oltremare conviene mettere in rilievo due punti:

l) la Gran Bretagna non mostra, per quanto dipende da lei, nessuna intenzione di identificare il proprio destino con quello dei paesi continentali dell'Europa occidentale. Essa cerca invece di mantenerlo separato e per quanto possibile indipendente basandosi sopratutto sulle risorse del Commonwealth;

2) per un complesso di circostanze (che fanno oggetto di un altro rapporto2 e che trovano in gran parte la loro origine nella difficile situazione economica) la Gran Bretagna si avvia probabilmente verso un regime sempre più accentrato all'interno, e

Non rinvenuto.

all'esterno sempre più nazionalista nel senso intransigente noto ai paesi europei continentali. Questo è un fatto che dobbiamo tener presente per valutare l'atteggiamento britannico sia oggi che in avvenire.

A parte le considerazioni di carattere pratico accennate altrove (rapporto

n. 2499/950 del l O maggio )3 che si riassumono in fondo nella convinzione che il Commonwealth può salvarsi anche se l'Europa continentale viene temporaneamente sommersa, vi è indiscutibilmente un forte elemento psicologico: l'orgoglio. Gli inglesi ritengono, nonostante la loro decadenza che sono disposti a riconoscere, di essere ancora infinitamente superiori ai paesi continentali e una delle cose che li ha scottati di più nel ricevere il draft agreement dell 'E.R.P. dagli americani è stato il fatto che il draft era praticamente identico per tutti; l 'idea di essere trattati alla stessa stregua della Francia o dell'Italia è difficile a digerire. Ciò naturalmente non ha impedito agli inglesi di valersi, in quanto poteva servire, della solidarietà europea di fronte agli americani per ottenere migliori condizioni.

D'altra parte, poiché le affinità razziali sono molto più antiche delle teorie naziste, se vi è una parte dell'Europa verso la quale gli inglesi sentono minore diffidenza e maggior attrazione è quella nordica: Germania (con tutte le ovvie riserve) e paesi scandinavi. Tutto questo ha la sua importanza.

Passiamo adesso ai rapporti itala-britannici. Fino al 1934, con qualche breve intervallo, si è parlato dell' «amicizia tradizionale». Questa si basava:

l) sull'appoggio datoci dall'Inghilterra, in gran parte per considerazioni di politica generale, durante il movimento per l'unità nazionale e i primi decenni della nostra esistenza come potenza europea;

2') sul fatto che la preponderanza marittima britannica rendeva consigliabile da tutti i punti di vista ad un paese situato geograficamente come l'Italia una politica di amicizia. Il primo argomento è stato modificato radicalmente dopo la prima guerra mondiale quanto da una parte l'Inghilterra ha perduto insieme all'egemonia marittima la posizione di elemento decisivo dell'equilibrio in Europa, dall'altra l'aumento della popolazione e la necessità di materie prime e di sbocchi hanno portato l'Italia ad essere un socio meno remissivo nel concerto europeo. Il secondo argomento è rimasto invece presente più a lungo di quanto molti credessero e, data l'affinità di interessi fra Gran Bretagna e Stati Uniti nel Mediterraneo, è tuttora valido.

Dal 1935 in poi è stato il periodo dell'ostilità con intervalli di riavvicinamento ancora più brevi, e la cosiddetta cobelligeranza dell'ultimo periodo della guerra non ha modificato sostanzialmente le cose. Le difficoltà del periodo armistiziale e l'atteggiamento britannico nella preparazione del trattato di pace con l'Italia hanno mantenuto una situazione di diffidenza e nel complesso di antipatia reciproca. A quella che poteva essere una distensione nell'ottobre scorso è seguita a breve distanza la doccia fredda di Mogadiscio. Si può dire insomma che alla data delle elezioni in Italia i rapporti itala-britannici, in una situazione di fatto radicalmente diversa, fossero in sostanza altrettanto poco cordiali quanto potevano essere nel 1938.

Ho sottolineato espressamente la data delle elezioni e la sostanza dei rapporti in contrapposto all'apparenza. Se non vi fosse stato il 18 aprile all'orizzonte la reazione inglese alla nostra reazione agli incidenti di Mogadiscio sarebbe stata molto più violenta. Il pericolo comunista in Italia era presente a Whitehall e per allontanarlo gli inglesi hanno dato alle relazioni con noi durante quei difficili mesi una piega conciliante (parlo, ripeto, di Whitehall; quello che ha potuto fare o preparare la

B.M.A. in Somalia o altrove non contraddice affatto questa tesi). Stando alle parole, non vi era che l'incognita delle elezioni che si frapponeva ad un completo ristabilimento dell'antica amicizia e ad una feconda collaborazione nell'Unione Occidentale. Questo veniva, al di sopra del rumore per gli incidenti di Mogadiscio, ripetuto più o meno da ambedue le parti, ma poiché non ne eravamo affatto convinti né noi né gli inglesi la data del 18 aprile ha segnato naturalmente un considerevole raffreddamento. Noi per primi abbiamo detto che un ingresso gratuito nell'Unione Occidentale in fondo non ci attirava affatto ed abbiamo scoperto che Bevin nelle sue prime dichiarazioni in proposito era stato probabilmente anche meno sincero di noi.

Questo raffreddamento apparente è dunque in realtà soltanto una chiarificazione e un ritorno alla sincerità ed è quindi il momento opportuno per tentare di prospettare i rapporti italo-britannici nella loro vera luce e di mantenerli entro i limiti, sia positivi che negativi, suggeriti dali 'interesse comune e sopra tutto dalle necessità della situazione europea e mondiale.

Conviene ripetere quello che ho accennato sopra, a proposito del cambiamento verificatosi nei rapporti anglo-italiani dopo il 1930, cioè che il peggioramento non è stato tutto dovuto alla politica del governo fascista ma in buona parte una conseguenza dell'aumento della popolazione italiana e del relativo miglioramento del suo tenore di vita di fronte alle scarse risorse offerte dal territorio metropolitano e coloniale. In altre parole, un conflitto o almeno una frizione d'interessi con la Gran Bretagna doveva verificarsi in tutti i modi; l'errore del governo fascista è stato di esasperare questo conflitto al di là del necessario e sopratutto di trame delle conseguenze del tutto sproporzionate. È stato un errore in sé fare la guerra per conquistare l'Abissinia che avremmo finito per controllare anche senza combattere; ed è stata certamente un'assurdità scuotere l'organismo, sia pur fragile e traballante, della cooperazione internazionale e giungere all'alleanza con la Germania per amore dell'Abissinia, come sarebbe un'enorme sciocchezza oggi sabotare la cooperazione europeo-occidentale e giungere ad un'alleanza con l'U.R.S.S. per amore delle ex colonie. Ma occorre riconoscere che un reale, anche se limitato, conflitto d'interessi con la Gran Bretagna esiste ancora, forse più che dieci anni fa, ed è destinato probabilmente ad acutizzarsi nei prossimi anni. Occorre vederlo chiaro e insieme mantenerlo nelle giuste proporzioni di fronte all'interesse molto superiore che abbiamo tanto noi quanto gli inglesi ad andare sostanzialmente d'accordo.

Le ragioni fondamentali di questo conflitto sono facili a tracciare e non sono nuove. Il problema fondamentale dell'Italia è di natura economica; avere i capitali e le materie prime necessarie per sfruttare al massimo le risorse soprattutto agricole del paese e avere sufficienti sbocchi dove la nostra mano d'opera in eccesso possa trovare lavoro in condizioni umane e non indecorose. Questo problema essenziale si riflette nei nostri rapporti con gli altri paesi dell'Europa occidentale ed è già stato affrontato nelle relazioni con la Francia. Qui lo considero saltando in rapporto agli interessi britannici.

A parte certe note considerazioni strategiche subordinate in parte ali 'indirizzo e alla stabilità della nostra politica estera, anche per la Gran Bretagna il problema immediato, per quanto ci riguarda, è in gran parte economico. Essa tende ad equilibrare a tutti i costi la bilancia dei pagamenti con l'estero; e poiché una delle ragioni del continuo deficit di questa bilancia è la necessità di importare materie prime per le industrie, si vede già che, altre considerazioni politiche a parte, può esservi un interesse britannico a tenerci lontani per esempio dal controllo della Ruhr (come non si può escludere invece un interesse, almeno temporaneo, in senso contrario, per controbilanciare per esempio il voto francese), e in genere da quei territori dove possono esistere risorse di cui gli inglesi hanno necessità e che dovrebbero altrimenti pagare in dollari. La frizione si fa sopratutto acuta nel campo che si usava chiamare coloniale.

Anche le Isole britanniche sono, come l'Italia, sovrappopolate (50 milioni). Data però la maggiore ricchezza del suolo e la superiore industrializzazione il problema non è urgente come in Italia.

L'emigrazione, sulla cui necessità non tutti sono d'accordo, è prevista quasi esclusivamente verso i Dominions col doppio scopo di aumentare la loro scarsa popolaziOne e di disperdere i centri di agglomeramento e le industrie del Commonwealth che, raggruppate come sono oggi nelle Isole britanniche, sarebbero estremamente Yulnerabili in caso di guerra. Un criterio quindi principalmente strategico. L'emigrazione verso il continente africano (Sudafrica a parte) non è contemplata sopratutto per ragioni climatiche. Questo però non vuol dire che gli inglesi siano particolarmente disposti ad aprire all'emigrazione di altri paesi europei, come potrebbe essere il nostro, quei territori africani di cui hanno il controllo e dove una popolazione bianca più acclimatata potrebbe vivere. Mentre per quanto riguarda l'Africa del Nord l'inibizione inglese è dovuta in buona parte alle note complicazioni della politica araba, nei territori a sud del Sahara essa deriva dalla politica del Colonia! Office. Questa consiste essenzialmente nel migliorare a poco a poco le condizioni delle popolazioni indigene in modo da attenerne una collaborazione sempre più attiva per lo sfruttamento delle risorse naturali e l'amministrazione del territorio mantenendo però nelle proprie mani la direzione e il supremo controllo almeno per molti anni ancora. Una simile politica, che comincia appena a dare i primi frutti e alla quale il Governo britannico annette particolare importanza, deve essere necessariamente ostile ali 'introduzione sistematica di forti nuclei bianchi che finirebbero per costituire l'elemento dominante, ed infatti buona parte dell'opposizione che incontriamo e incontreremo in Africa viene dal Colonia! Office. Si aggiungano altre inibizioni, dovute anche a recenti ricordi, del Foreign Office e le considerazioni strategiche sulle nuove linee di difesa del Commonwealth e il quadro non molto promettente -è completo.

Tutto questo non è nuovo e di vari di questi argomenti (materie prime; mano d'opera) noi abbiamo certamente parlato e parleremo ancora nei diversi comitati dell'O.E.C.E. Quello che sarebbe nuovo, ed utile, sarebbe il valersene per impostare i rapporti itala-britannici su una linea corrispondente alla realtà e ai nostri interessi presenti e sopratutto avvenire. E questo rapporto sarebbe negativo se non tentasse come conclusione di fissare alcuni punti.

l) Gran Bretagna e Italia hanno interessi contrastanti m alcuni settori abbastanza importanti, per avvelenare considerevolmente i rapporti fra i due paesi. D'altra parte è interesse incontestabile di tutte e due mantenere queste frizioni, per quanto serie possano essere, entro certi limiti e cercare di mettersi d'accordo. Quindi niente luna di miele e niente guerra (che in questo momento non sarebbe possibile che a parole). I rapporti italo-britannici sono piuttosto difficili e sono destinati a rimanere tali per alcuni anni ancora sopratutto se le condizioni economiche dei due paesi (e dell'Europa in generale) non miglioreranno al punto che ciascuno possa disporre di un certo margine di negoziato. Fino a quel momento si tratterà di smussare le punte peggiori ma senza poter giungere a una sistemazione più o meno durevole. Se anche, per ipotesi tutt'altro che probabile, il Governo britannico fosse disposto a restituirei domani le tre ex colonie il problema dei rapporti itala-britannici non sarebbe affatto risolto.

2) Tocca a noi impostare questo problema tenendo presente che:

a) per quanto riguarda l'Europa, gli inglesi non desiderano particolarmente la nostra rentrée sulla scena. Dall'armistizio in poi hanno fatto e stanno facendo discretamente il possibile per tenercene al di fuori e il nostro atteggiamento apertamente revisionista conviene perfettamente al loro giuoco. Dovremmo invece deciderci a profittare d eli 'unico vantaggio positivo che possiamo trarre dalla ratifica del trattato di pace, quello cioè di aver riacquistato, a parte certe limitazioni specifiche, la nostra piena sovranità e, almeno in teoria, la nostra libertà d'azione. Invece di restare in disparte (atteggiamento che sarebbe stato logico se avessimo deciso di seguire la politica opposta, quella cioè della non-ratifica ma che, avendo ratificato, non serve che a raccogliere gli inconvenienti delle due politiche e i vantaggi di nessuna) dobbiamo liberarci dal senso di inferiorità che sembra paralizzarci dalla

guerra in poi e porre gli inglesi di fronte ad un atteggiamento definito e a questioni concrete purché siano logiche e giustificabili, e quindi basate essenzialmente su necessità economiche.

Si potrebbe obbiettare che siamo presenti nell'Organizzazione di Parigi e che le nostre necessità sono costantemente esposte e tenute vive di fronte agli altri partecipanti all'E.R.P., uno dei quali è appunto la Gran Bretagna. È vero ma non è sufficiente. Non perché l'O.E.C.E. è limitata al campo economico -i nostri problemi sono sopratutto economici e conviene presentarli come tali -ma perché in un'organizzazione complessa come quella di Parigi è facile sfuggire alle responsabilità dirette e scaricarle su altri, ed è questo un giuoco che gli inglesi sanno fare molto bene. Dovremmo in altre parole impostare i rapporti bilaterali italo-britannici sulla base di quello che nel quadro della cooperazione economica europea noi possiamo legittimamente chiedere -e offrire -alla Gran Bretagna. Torniamo così alla questione delle materie prime disponibili in Europa e quindi anche alla Ruhr.

Non è questo un problema di facile e tanto meno di prossima soluzione (dipende in gran parte dalle intenzioni americane in proposito) ma poiché la Ruhr si trova nella parte della Bizona controllata dagli inglesi saremmo giustificati nel porre la questione e mantenerla aperta.

b) Per quanto riguarda i territori oltremare e in particolare l'Africa dovremmo noi studiare e preparare proposte concrete. E' probabile, come ho accennato prima, che in questo campo i rapporti italo-inglesi rimangano al punto morto per un certo tempo. Non è una ragione per non cercare almeno di mettere sul tappeto qualche cosa di positivo anche se la soluzione si farà aspettare e se qui, come in tante altre questioni sopratutto trattando con gli inglesi, bisognerà aver pazienza. Per quanto riguarda le nostre rivendicazioni revisioniste in Africa vale quello che ho detto sopra a proposito dell'Europa e delle materie prime.

Si osserverà che in quanto precede sembra che 10 abbia trascurato completamente: a) il fatto che anche con la miglior buona volontà-che non c'è-molti di questi problemi non possono essere risolti dagli inglesi soltanto;

b) il fatto che il nostro atteggiamento di fronte all'Europa occidentale -in quanto sistema difensivo anti-msso -è ancora incerto, e a Londra è considerato dubbio e sospetto, e che finché rimarrà tale sarà impossibile abbordare con il Governo britannico i problemi che ci interessano.

Per quanto riguarda il primo punto ho voluto deliberatamente limitare le mie osservazioni ai rapporti itala-britannici trascurando per semplicità quelli entro l'Unione Occidentale e con gli Stati Uniti. Riuscirà facile al Ministero completare il quadro.

Per quanto riguarda il secondo punto avendo esposto il mio parere in proposito (memorandum n. 2743 del 26 maggio)4 ho poco da aggiungere. Posso soltanto confermare i miei dubbi circa la possibilità di fare, almeno nei riguardi della Gran Bretagna, una politica veramente costruttiva mantenendo un atteggiamento equivoco5.

168 1 Per la risposta vedi D. 204.

169 1 Non pubblicato.

169 3 Vedi D. 8.

170

IL MINISTRO A PRAGA, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1212/739. Praga, 30 giugno 19481•

La notizia della scomunica di Tito è scoppiata qui come una bomba. Gli ambienti politici e i circoli diplomatici ne sono rimasti sorpresi. Nulla era trapelato dai pochissimi «santoni» in grado di sapeme ed è discutibile che la Cecoslovacchia

5 Il documento reca la seguente annotazione di Sforza del 7 luglio: «La mia conversazione con Mallet, del l" luglio, annulla-almeno per ciò che mi concerne-la più gran parte delle dubbiezze espresse da questo rapporto».

abbia santoni abbastanza grandi per avere conosciuto il vero stato delle cose prima del viaggio a Bucarest per il concilio del Cominform.

Oggi si riscontra tra i diplomatici un interesse e una aspettativa acutissimi che danno origine -in mancanza di meglio -alle ipotesi più diverse, tra gli uomini politici locali a un senso di smarrimento e di timore, nel pubblico a certa malevola soddisfazione per gli imbarazzi del regime insieme con la vaga speranza di complicazioni e di cedimenti che segnino il principio della fine.

In tale ambiente è facile immaginare come le voci più disparate e anche più fantasiose sorgano e si intreccino a celare sempre meglio la nascosta verità.

Un'impressione profonda-che permane immutata alla distanza di due giorni e sta alla base delle diverse ipotesi -ha destato la pubblicità solenne data al litigio interno del blocco e alle sue cause confessate. L'avere ammesso, per bocca dell'altissimo consesso, la verità di fatti ben determinati che erano sempre stati negati e definiti come perfide, calunniose invenzioni del capitalismo occidentale, provoca uno stupore che non può essere calmato dai leggeri giudizi sull' «incredibile sfacciataggine» sovietica. Intendo riferirmi alle ammissioni esplicite circa la tutela del Cominform sui Governi satelliti e del partito comunista sovietico sui partiti comunisti degli altri paesi, nonché circa l 'invadenza dei So vi et nella vita degli altri popoli del blocco che si traduce nella «direzione», a mezzo di agenti specializzati, di «tecnici», della loro economia, della loro polizia e del loro esercito2 . Ma lo stupore non è minore di fronte alle affermazioni di natura sociale e di politica interna, come quella della preferenza da darsi agli operai in confronto ai contadini e l'altra sulla necessità di nazionalizzare anche le piccole proprietà agricole, il tutto a costo di confessare il falso della propaganda di ieri e di assicurazioni, categoriche, talora consacrate, come qui in Cecoslovacchia, nelle carte costituzionali.

Confessioni e affermazioni così gravi e così cariche di conseguenze possono giustificarsi soltanto pensando a un dissidio tanto profondo da aver resi vani i tentativi segreti della persuasione amichevole e da richiedere, extrema ratio, la scomunica del reprobo e l'ammonimento pubblico ai fedeli, anche a costo di mettere in luce delle macchie e delle crepe insospettate.

Arrivati a questo punto, mi pare inutile di seguire le fantasie, sia pure soltanto su quelle vie che sono lastricate dalla logica. È troppo presto per dire che i Soviet hanno già pronto il castigo che si abbatterà terribile e vendicativo sul ribelle per il trionfante prestigio del caput mundi; o invece che Tito ha già preparato all'interno e all'estero una difesa delle sue posizioni che indurrà i Soviet ad accontentarsi, almeno per il momento, di un gesto inteso più a prevenire altri scarti che a reprimere quelli già commessi; o infine che si troverà un compromesso sulla base di riconoscimenti e di ammende a seguito di ulteriore istruttoria. Certo sono tutte queste ipotesi possibili di contro ad altre numerose che circolano contro la logica ed il buon senso. Ma tutte nmangono ancora nel campo della speculazione astratta: nessuna trova appoggio sicuro sui fatti.

Questo è tutto quanto, a parer mio, un osservatore prudente può dire da Praga, oggi, circa il colpo di scena Cominform-Tito. Ma io oserei di aggiungere che una speciale attenzione mi sembrano meritare l'atteggiamento bulgaro e la posizione personale di Tito.

Potrebbe credersi che anche in Bulgaria la figura del capo, la fierezza delle popolazioni e la situazione economica del paese dessero luogo a qualche timida resistenza contro lo strapotere sempre più dilagante dei Soviet, resistenza che, ovviamente, non può sorgere che dalle stesse file comuniste. Si dice, da molto tempo, che la protezione russa sulla Bulgaria sia esercitata in misura più ridotta

o almeno in forma più riguardosa che non per altri paesi, anche se se ne è voluto trovare la ragione nell'autorevolezza e nella fidatezza di Dimitrov. Ma mentre, da un lato, si è osservato che i rapporti e gli accordi tra satelliti balcanici sembrano trovare una rispondenza nel sentimento pubblico che è ignota agli altri paesi del blocco, dall'altro alcune voci (che sono state raccolte anche dal consigliere Ferretti a Varsavia il 2 giugno u.s.)3 segnalavano che Dimitrov non si sarebbe rassegnato al brutale siluramento del suo progetto di federazione balcanica che la Pravda gli aveva improvvisamente inflitto.

Il ministro Clementis stamane ha voluto assicurarmi che, a suo modo di vedere, Dimitrov è e resterà il fedelissimo di Stalin e che negherà a Belgrado qualsiasi appoggio in contrasto con Mosca. Ma è facile giuocare sulle parole: ché anche Tito nega di aver mai avuto un pensiero antisovietico o anche soltanto asovietico e si proclama ortodosso quando Mosca lo condanna come sacrilego.

Quale che sia stato il pensiero di Dimitrov e forse anche la parte da lui sostenuta, è difficile prevedere il suo atteggiamento futuro. È più facile dire che esso sarà intonato a grande prudenza ed ancor più facile soggiungere che comunque esso avrà notevole importanza perchè potrà apportare o evitare alla crisi una gravità e degli sviluppi molto diversi.

L'altro punto che appare di grande interesse è la posizione personale di Tito. Tutti qui sembrano concordi nel ritenerla assai forte. Il segretario generale Heidrich mi assicurava che Tito è ammirato e seguito come «un eroe leggendario». Anche il ministro Clementis, con più dimesse parole, mi ha confermato che, a suo modo di vedere, la posizione di Tito, nell'interno del paese, permane solidissima. Il maresciallo, a suo dire, ha avuto tempo e modo di accertarsene ed anche di premunirsi in questi ultimi mesi, da quando cioè è sorto e si è venuto allargando il dissidio. Ma egli sarebbe ora costretto ad ammettere quelle discussioni che ha sempre impedito con metodi dittatoriali e pertanto, al prossimo congresso del partito comunista jugoslavo, che si riunirà il 21 prossimo, si svolgerebbe un dibattito suscettibile di portare importanti risultati. Ma è possibile dar peso a una minaccia «democratica» contro il tiranno in Jugoslavia? Può invece pensarsi che Tito cerchi l'appoggio delle masse agricole che rappresentano la stragande maggioranza della popolazione e che, d'altra parte, le masse agricole, non avendo altro santo cui votarsi, si dispongano ad

aggiungere alla corona d'alloro del maresciallo l'aureola del difensore dei contadini contro tutto e contro tutti.

L'ambasciatore jugoslavo ha aperta la sua guardia insuperabile, solo per dichiararmi che Tito ha con sé tutto il partito e tutta la nazione, che il prossimo congresso del partito comunista deve «naturalmente» discutere liberamente degli indirizzi seguiti e da seguire e segnerà il perfetto accordo tra partito e governo che sono una sola cosa, che non esiste una questione jugoslava di natura dottrinaria e tanto meno in funzione antisovietica ma esistono soltanto le malefatte di due traditori (Hebrang e Zujevic) e le errate informazioni su cui malauguratamente si è basato il Cominform.

Altrettanto decisi nelle loro analoghe dichiarazioni si sono dimostrati altri funzionari dell'ambasciata jugoslava e in specie il consigliere Stambuk. Quest'ultimo ha in più lamentato l'atteggiamento della stampa ceca che ha rifiutato di pubblicare la risposta del partito jugoslavo per esteso. Mentre perciò da un lato i satelliti si sforzano, quale più quale meno, di distinguere tra eresie dottrinarie (questioni di partiti) che debbono essere condannate e relazioni tra Stati (questioni internazionali) che debbono restare immutate e cercano così di assumersi il minimo di responsabilità e di rischi, dall'altro gli jugoslavi sembrano mettere l'accento sulla perfetta identità, in regime democratico-popolare, del partito col Governo e sulla completa adesione che l'azione statale, all'interno e verso l'esterno, ha e deve avere con le ideologie che si vogliono applicare.

Certamente dall'atteggiamento dei satelliti dipenderà se l'incrinatura del blocco si rinsaldi o invece diventi una crepa. Ma l'atteggiamento dei satelliti non è che un sintomo, una faccia del problema vero: il problema vero è la forza dei Soviet. Perchè, mentre è indubbio che la grande maggioranza delle popolazioni del blocco orientale è in preda a un profondo malcontento, è pur vero che il limite di sopportazione degli uomini va oltre ogni calcolo e che la resistenza non può essere valutata che in funzione dell'oppressione. In ogni modo se le speranze e i timori che la condotta di Tito ha destato debbono sembrare eccessivi, non viene meno l'interesse della constatazione che l'oppressione non riesce ad uccidere tutti i sentimenti: un po' di fuoco rimane sempre sotto le ceneri.

Può essere opportuno che io riferisca brevemente alcune impressioni e alcune notizie circa l'invadenza sovietica in questo paese.

Gottwald, di cui si è cercato di fare la grande figura del comunismo cecoslovacco, è stato posto sul vertice dove sembra stare incomodo e giubilato. Il silenzio della folla alle sue apparizioni, le grida «viva Benes» dei sokolisti, l'apparato di polizia che accompagna ogni suo movimento, in una parola il giornaliero confronto tra la sua posizione e quella del predecessore debbono essere pur qualche cosa nel senso di imbarazzo che si respira nelle fastose sale del Hradsin e che la «contentezza smisurata» della presidentessa non basta a dileguare. Questo scarso prestigio di Gottwald ha facilitato l'ascesa a posti di comando o l'aumento di potenza degli estremisti, dei portatori di tessere di data recente, di coloro che «debbono» essere i fedelissimi a Mosca. Clementis, Nosek, Io stesso Dolanski passano oggi per dei moderati e sono superati dalle dichiarazioni più avanzate e più rigide di Zapotocky e dai discorsi incendiari del ministro della giustizia Cepicka che ricorda, in certi atteggiamenti, l'insuperato Starace. Oggi, i capi del partito comunista e perciò i veri dirigenti dello Stato, se si prescinde dall'autorevole Zapotocky, vengono generalmente individuati fuori del Governo: si tratta del deputato Vodicka, il capo delle associazioni partigiane, del funzionario del Ministero delle finanze Fisl, del presidente del collegio degli avvocati, il modesto legale Sigmund Stein, il deputato Kolarek e, sempre forte in mezzo a tutti, il ben noto segretario del partito Slanski.

Tutta l'economia del paese appare ogni giorno di più controllata dai Soviet. L'elaborazione dei piani, le direttive per la produzione vengono ispirate e verificate da «specialisti» sovietici che molti credono infiltrati in notevole numero nelle pubbliche amministrazioni.

Così la Cecoslovacchia comincia a vedere molti dei suoi prodotti prendere segretamente la via dell'est. Le fabbriche d'automobili non costruiscono più vetture turistiche, ma soltanto camion e jeeps che, a convogli bisettimanali, vengono spediti a indirizzi sovietici4 . La situazione è tale da dare un senso di amara verità alla storiella, che fa il giro di questa capitale, dove un ceco si rallegra perchè dalla Polonia verrà il carbone per cuocere i mattoni necessari alle nuove costruzioni, ma che poi viene «istruito» e apprende che i mattoni saranno esportati in Ungheria per avere il lardo, che però andrà all'Inghilterra, la quale deve scambiarlo con macchine utensili per la Polonia, che, a sua volta, deve fornire il carbone ... per cuocere i mattoni.

Nelle fabbriche cominciano a prendere largo piede i sistemi sovietici dallo stachanovismo alla responsabilità individuale dei direttori (i consigli di fabbrica ha osato dire il ministro dell'industria-hanno compiti diversi da quello di dirigere) per il raggiungimento delle produzioni fissate, alla costituzione di particolari organismi di polizia e di partito per la sorveglianza di operai e di impiegati. Il malcontento delle masse che è provocato soprattutto dalla perdita dei compensi che nascostamente si corrispondevano in più delle tariffe (borsa nera della mano d'opera) e che è acuito dal timore che la mancanza di materie prima riduca fra breve il lavoro in molte fabbriche, viene e verrà sempre più soffocato dai sistemi polizieschi.

Nella polizia in evidentissimo aumento le infiltrazioni sovietiche debbono ritenersi di particolare importanza (vedi miei rapporti riservatissimi n. 11681714 del 24 giugno e 12131740 in data d'oggi)5 , e notevoli debbono essere anche nell'esercito.

Dei movimenti militari ho pure riferito con i citati rapporti. Se essi non appaiono di grande importanza, servono però a dimostrare, insieme con numerosi altri dati (ricorderò le nuove e vecchie ricerche di uranio che vengono fatte esclusivamente da dirigenti sovietici e da prigionieri tedeschi), la disinvoltura con cui i sovietici dispongono del paese pur nella forma più riservata possibile.

Mi pare che il processo di sovietizzazione e di presa di possesso dei gangli vitali di tutti i paesi fino ai limiti della cortina di ferro sia in atto. Questo dato di fatto non può essere trascurato.

Certo esso serve a tutte le teorie: a quella che chiamerò bianca, che vuole che i Soviet non osino comunque di fare la guerra, alla nera, che attribuisce ai Soviet intenzioni bellicose, alla grigia, che prevede un accapparramento di pegni per otte

5 Non pubblicati.

nere migliori condizioni in eventuali trattative per la vera pace. Ma le teorie, o bianche o nere o grigie, perdono ogni valore pratico, finché non si trovino ragioni che possano attribuire all'una maggior grado di probabilità che alle altre, proprio perché la loro indifferenziata coesistenza comprende tutta la gamma dei colori.

I fatti, che ho cercato sempre di riferire a VE. con la maggiore celerità e compiutezza possibile, sono sintomi scarsi e indubbiamente insufficienti ma che meritano -mi sembra -di essere vigilati. La vigilanza è prudenza non è profezia del peggio.

169 4 Vedi D. 59.

170 1 Data di arrivo illeggibile.

170 2 Con Telespr. 1168/714 del24 giugno Tacoli informò sulle infiltrazioni sovietiche nell'esercito e nella polizia cecoslovacchi.

170 3 Non è stata rinvenuta alcuna comunicazione da Varsavia sull'argomento.

170 4 Tacoli riferì a tale proposito in parì data anche con il Telespr. 1213/740.

171

IL CONSOLE GENERALE A ZURIGO, COPPINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. S.N. 1 . Zurigo, 30 giugno 1948 2•

Altre considerazioni che mi ero proposto di fare sia sulle notizie da me trasmesse con i due rapporti n. 3130/130 e 13909 del 22 marzo u.s. e 16 giugno 1948 3 ed in seguito a scambi di idee che ho occasionalmente con personalità svizzere e straniere, possono considerarsi superate dai recenti avvenimenti e cioè dallo scambio di note tra il Governo americano e sovietico4 .

Le informazioni trasmesse ed il giudizio che avevo espresso sulla situazione generale si trovano del resto confermate nella loro esattezza e nel loro inquadramento. Resta solo da valutare se la mossa americana non sia stata un po' troppo prematura e se l'ardita mossa sovietica di rendere pubblico lo scambio di note non abbia frustrato la decisione di Washington tanto più che questa è avvenuta, come ne avevo prospettata la necessità, all'insaputa dei Governi inglese e francese, i quali fin dal primo momento hanno mostrato una spiegabilissima reazione alla brusca mossa del loro alleato americano.

l) Allo scopo di valutare il più approssimativamente possibile le chances di prossime conversazioni, vale la pena di domandarsi se realmente l'Europa rappresenti l'interesse precipuo sovietico e se quindi l'origine e la sostanza dei contrasti attualicome sembrerebbe del resto apparire dallo stesso scambio di note -siano esclusivamente l'Europa, la sua situazione attuale e gli interessi futuri del nostro continente. La conclusione cui arrivo in base alle informazioni che ho, ed anche in base alla conoscenza, pure sempre relativa della Russia, della sua storia, della sua

Vienna con Telespr. 24776/c. del 27 agosto.

2 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

3 Non pubblicati.

4 Vedi D. 96, nota 5.

232 mentalità e dei suoi uomini politici, è negativa. Può darsi che, in determinato momento, il Governo sovietico possa avere pensato, nei primi tempi euforici dopo la vittoria, di arrivare ad una mainmise politica su tutta l'Europa con la collaborazione dei partiti comunisti delle varie nazioni. Ma io ritengo che questo sia stato un pensiero vago di qualche militare inorgoglito piuttosto che una precisa direttiva del Governo. Se questo fosse stato, la politica sovietica non avrebbe compiuto una penetrazione violenta e totalitaria negli Stati di blocco orientale, ciò che sarebbe stato un errore strategico e tattico, poiché è stato il lievito in tutto il resto dell'Europa delle reazioni anticomuniste ed antirusse. Un eventuale programma di espansione ha ormai trovato nelle stesse masse -come del resto lo provano le elezioni italiane -il deciso fermo.

Nella situazione attuale il Governo sovietico sa che una politica di espansione nell'Occidente europeo, anche sotto la forma larvata di un prevalere dei partiti comunisti, non potrebbe affermarsi e permanere che dopo un urto armato fra America e Russia. Da un punto di vista delle operazioni militari l'occupazione dell'Europa potrebbe non presentare, in un primo tempo, difficoltà tali da trattenere il Governo sovietico, ma la permanenza di questa occupazione nella zona occidentale europea deve apparire ad un Governo realista come quello sovietico cosa fuori di ogni possibilità. Un conflitto militare, anche se vittorioso, provocherebbe la distruzione completa di tutta l'Europa e di tutto il suo attrezzamento economico. II Governo sovietico finirebbe quindi per avere nelle mani un pugno di mosche e dovrebbe provvedere, come oggi l'America, al mantenimento di un'Europa completamente distrutta ed ancor peggio politicamente insicura. È ovvio infatti che i popoli occidentali, anche se prostrati, non subirebbero passivamente il dominio dei popoli slavi. Qualsiasi speranza di ricostruzione e di ripresa sarebbe assurda. Il nuovo impero della terza Roma avrebbe da fare con popoli non barbari, come quelli della prima Roma, ma superiori questa volta ai loro dominatori. La loro perenne agitazione, prodotta dallo squilibrio di due civiltà e di due mentalità, costituirebbe una permanente minaccia alla sicurezza di tutto l'impero. l russi sono pratici e dove i partiti a loro fedeli non sono in grado di esplicare una forte e sicura opera di Governo, preferiscono non immischiarsi troppo nella politica interna e ottenere altrimenti i loro vantaggi. La Finlandia insegni.

Nella valutazione poi della politica espansionistica sovietica si dimentica un po' troppo la situazione particolare della economia dell'U.R.S.S. Ho già detto nel precedente rapporto che la peculiare differenza tra la politica economica degli Stati Uniti e quella dell'U.R.S.S. è che l'una ha bisogno di mercati per poter dare il sovrappiù della propria ricchezza e della propria produzione, mentre è principio assillante della politica sovietica quello di avere dei mercati per prendere ed integrare le proprie deficienze economiche. Un'Europa distrutta e politicamente infida non potrà quindi mai essere un ambito boccone.

2) Ci si potrebbe allora domandare per quale motivo la Russia abbia tuttavia voluto affermare la sua espansione politica in tutti gli Stati del gruppo orientale e come mai essa continui la sua politica di agitazione nei vari Stati occidentali e sopratutto abbia assunto un atteggiamento negativo verso il piano di Marshall. Ora l 'influenza politica sovietica negli Stati del blocco orientale fa parte di quella direttiva storica dell'evoluzione della forza espansionistica russa. A ciò si deve aggiun

233 gere un altro principio, collegato col primo, che direi di sicurezza strategica ed economica, in base al quale l'Unione Sovietica desidera mantenere l'assoluto incontrastato dominio del Danubio e del Mar Nero e dello specchio d'acqua del Golfo di Finlandia e del Mar Baltico, prospiciente alle sue coste.

Per quanto riguarda poi particolarmente la Polonia e la Cecoslovacchia non deve dimenticarsi che l 'Unione Sovietica non intende correre il rischio di una nuova minaccia germanica che nel corso di trenta anni le aveva potuto essere fatale. In questo il piano russo è preciso e assiomatico.

Circa l'attitudine dell'Unione Sovietica nei riguardi dell'Europa occidentale e del piano Marshall, già dissi fin da quando ero a Vienna e anche a proposito del contrasto per le proprietà tedesche in Austria, che il piano Marshall costituiva il pericolo maggiore per la politica d'influenza dell'U.R.S.S. nei Balcani, piuttosto che un pericolo positivo per la sua sicurezza. Comunque io ritengo che siamo dinanzi ad una manovra di «distrazione» che può avere un importantissimo significato nello sviluppo delle relazioni tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Questi infatti anche per le considerazioni di politica economica che ho sopra accennate hanno creato col nostro continente e con le sue propaggini africane legami sempre più stretti d'indole economica. La ricostituzione ed una ripresa dell'Europa non è ormai solo un interesse precipuo europeo, lo è parimenti americano.

L'atteggiamento negativo sovietico ad una collaborazione europea e I' opposizione al piano Marshall, se interpretata dal Governo di Washington come una minaccia verso l'Europa occidentale, lo costringono quindi ad usare di tutti i mezzi e ad impiegare ogni sforzo per costituire un baluardo di difesa. È quello, a mio avviso, che i russi vogliono: impegnare il più possibile gli Stati Uniti d'America in Europa ed avere così mano libera nelle ancora discusse questioni che senza dubbio interessano il Governo sovietico assai più di quelle europee. Se è esatta la mia valutazione sulla politica espansionistica sovietica, agli occhi di Mosca sono molto più interessanti i problemi della Corea, della Cina, dell'India e specialmente quelli del Medio Oriente dove l'attendono ricchi mercati di materie prime e dove la presenza di popoli politicamente arretrati può assicurale una influenza a carattere più permanente.

Questo concetto -che può sembrare paradossale per il quotidiano svolgersi di avvenimenti che interessano esclusivamente l'Europa -trova conferma quando si pensi alla delicata situazione russa in Oriente. Da un punto di vista militare infatti l'U.R.S.S., mentre in Europa è in possesso di una forza militare superiore a quella degli americani, è ancora sostanzialmente più debole nel lontano Oriente. Per la loro debolezza marittima essi sarebbero immediatamente fuori gioco. Le loro vie di comunicazione sono lunghe e difficili. Tranne in Cina, dove non è ancora detto che le armate comuniste combattano nel nome di Mosca, non esistono, come in Europa, forze interne tali che possano aiutare e facilitare l'espansione sovietica in quel paese. Di questa particolare sensibilità degli interessi sovietici in Asia sembrano anzi essersi accorti alcuni circoli americani, i quali, come mi è stato detto, suggerirebbero una più attiva politica americana in Asia per costringere la Russia a cedere in Europa. In fondo però è quanto desiderano i russi. Se infatti la pace mondiale dovrà essere il risultato di una intesa o meglio di un compromesso fra i due colossi, il cosiddetto mercato delle vacche si risolverà in una spartizione di influenza sui vari

continenti. E se l'America per impegni presi e per legami già stretti in Europa e per un principio di moralità e di civiltà umana non potrà abbandonare gli Stati occidentali europei, sarà evidentemente costretta a cedere in altre parti del mondo, là dove, come nel vicino Oriente, in Persia, nella Cina ed in Corea, i russi pensano di trovare il campo di espansione e sfruttamento.

Come già dissi nel mio precedente rapporto, un compromesso fra Mosca e Washington non potrebbe avvenire che a spese dell'Inghilterra e in parte della Francia. La politica americana si trova sopratutto impegnata nell'America meridionale ed in Europa. In Asia predominano invece interessi politici inglesi e francesi. Non è quindi da meravigliarsi che dinanzi al tentativo di Washington di accordarsi direttamente con Mosca, la reazione più violenta sia partita da Londra, obbligando così la Casa Bianca a ritirare (mi si dice a rinviare) il progetto formulato nello scambio di note tra Bedell Smith e Molotov.

3) La considerazione conclusiva a cui voglio arrivare dopo quanto ho premesso, è che dalle informazioni che ricevo, la situazione europea potrebbe trovare una sua sistemazione, almeno per quanto concerne gli Stati occidentali e la Germania, solo quando l'intesa sovietico-americana si verificasse e le aspirazioni dell'U.R.S.S. in altre parti del mondo potessero essere soddisfatte. Ma questa soluzione diventa praticamente una soluzione anti-inglese, pur rimanendo tuttavia ed essendo anzi l'esclusiva soluzione europea.

Negli ambienti europei l'incubo del contrasto russo-americano continua ad essere acuto. Le ondate di ottimismo e di pessimismo si susseguono, ma le seconde hanno una prevalenza sulle prime. Vi è comunque la certezza che ogni E.R.P., sulla cui effettiva applicazione si comincia persino a dubitare, non avrà né oggi né fra quattro anni alcun positivo successo di sistemazione europea, poiché esiste il pericolo di una conflagrazione mondiale di portata sconosciuta. I discorsi che quotidianamente ascolto da personalità svizzere e straniere concordano nel dare a questo periodo un significato di semplice attesa. Era facile prevedere che dopo le elezioni italiane l'attenzione e l'aspettativa si sarebbero volte alle elezioni presidenziali americane, dalle quali realmente potrebbe dipendere -secondo l'interpretazione russa -una svolta nella politica mondiale. Nel 1948, sia un'intesa come un urto dei due avversari dovrebbe essere escluso ma non lo sarà nel 1949, quando l'uno o l'altroe si ritiene che questi saranno solo gli Stati Uniti -vorrà porre in modo definitivo la questione dei reciproci rapporti.

L'Europa occidentale ha quindi un interesse precipuo, per giungere ad una reale sistemazione, che si verifichino le due condizioni seguenti: a) che Russia e Stati Uniti trovino realmente una via d'intesa e b) che questa si realizzi spostando la divisione delle sfere di interesse e d'influenza al di fuori dell'Europa. Perché questo si avveri bisogna che l 'Europa occidentale si organizzi politicamente ed economicamente -anche con l'aiuto dell'America-in modo da poter far sentire, dove è necessario, il peso morale della sua forza e della sua influenza. È quanto del resto si tenta di fare, al di fuori della Conferenza dell' Aja, nei vari accordi politici e doganali conclusi in questo anno. Interessante però è constatare -come del resto è apparso nel recente congresso internazionale liberale -la presenza di correnti europee che, convinte della necessità di creare tra i due avversari questa «terza forza europea» (applicando nella politica internazionale gli aspetti di quella interna) la vogliono togliere all'iniziativa inglese, preoccupati che la ricostruzione degli interessi europei possa servire in funzione solo di quelli inglesi e quindi anche, se del caso, in contrasto con quelli americani.

4) In questo inquadramento della situazione resta un punto oscuro: il contrasto per Berlino. Se i sovietici -come ho detto in principio -non hanno decisa intenzione di estendere la loro influenza in Europa e tendono invece a sistemare i più importanti interessi in Asia, per quale motivo insistono nel voler un esclusivo predominio in Berlino e così creare una compatta zona orientale in Germania che segnerebbe la frattura fra le due sfere e quindi a breve distanza il conflitto armato?

I recenti avvenimenti di Berlino e l'urto che ne è derivato non possono esser disgiunti dagli avvenimenti precedenti e cioè almeno dalla pubblicazione dello scambio di note tra l'ambasciatore americano a Mosca e Molotov. Nel mio rapporto del marzo scorso avevo preannunziato l'intenzione di Mosca di arrivare a conversazioni dirette con Washington, escludendo la Francia e sopra tutto l 'Inghilterra, i maggiori ostacoli ad una intesa con gli Stati Uniti. Questa intenzione esiste, a mio giudizio e secondo le informazioni che ho, tuttora nel Cremlino e credo che, nonostante le apparenze, niente sarà fatto e provocato per suscitare la scintilla. I motivi di questo desiderio d'intesa da parte della Russia non vanno del resto cercati molto lontani; a Mosca si sa -ed ogni giorno se ne ha la conferma -che l'opinione pubblica americana ed inglese vanno lentamente ma sicuramente assuefacendosi al criterio che con la Russia non c'è niente da fare; la politica vittoriana di diffidenza, anzi di ostilità verso la Russia, torna a galla anche nel periodo laburista. Ormai dinnanzi all'irrigidimento sovietico si costituisce un fronte americano ancor più rigido e forse più deciso, perché ritiene di avere le armi più forti e sopratutto il favore della stragrande opinione pubblica, forse persino di quella degli stessi russi che, dopo l'ubriacatura della vittoria e la speranza di sfruttare i più agiati territori conquistati

o posti sotto la loro influenza, sono ritornati allo stato materiale dell'anteguerra. Quindi o una nuova «Tilsit» o un conflitto, al quale il Governo sovietico non crede ancora di essere politicamente e materialmente preparato. Ma la nuova Tilsit non può essere, a giudizio sovietico, che america-sovietica.

Si potrebbe osservare che allora è stata molto strana la pubblicazione dello scambio di note avvenuto a Mosca, ciò che ha costretto il presidente Tmman e Marshall a smentire le loro originarie intenzioni e quindi a compiere un passo indietro ed annullare il primo tentativo di riappacificamento degli Stati Uniti. In realtà la mossa del Cremlino non è stata così avventata. Le azioni di Mosca sono spesso dettate da principi demagogici per cui è sempre necessario contemporaneamente influire sulla opinione pubblica, agendo sui semplici istinti delle masse. La pubblicazione delle note doveva infatti ridestare in tutti i paesi, nella stessa Londra e Parigi, tutte le speranze di pace o almeno di distensione dei rapporti internazionali. Questa ondata avrebbe dovuto agire come «fissatore» delle intenzioni americane ed impedire -come invece vi è stato -una ritrattazione. Ritrattazione poi che i sovietici hanno largamente sfruttata, cercando di rigettare la colpa delle mancate conversazioni sul Governo degli Stati Uniti. Quanto dico non è certo frutto di una mia speculazione. Basta leggere l'articolo di Sokolov «Le relazioni americane-sovietiche e la politica di Washington» nel fascicolo 21 del 19 maggio 1948, I Nuovi Tempi e l'editoriale del susseguente fascicolo n. 22 per avere l'esatta conferma.

Ma vi è stato un altro motivo che era essenziale ai fini sovietici: quello di distaccare, di aumentare le divergenze tra l'America ed i suoi due partners, Inghilterra e Francia. Basti ricordare il momento in cui ciò avveniva. La Conferenza di Londra sulla Germania, voluta da Washington, non giungeva a risultati positivi per l'opposizione francese, il contrasto anglo-americano per la Palestina era vivo, dopo l'inaspettato riconoscimento dello Stato d'Israele da parte degli Stati Uniti, le difficoltà per far accettare a Parigi ed a Londra gli schemi per i patti bilaterali, tutto questo doveva convincere appunto gli Stati Uniti che poteva essere più facile -e più redditizio-intendersi con la Russia sovietica al di fuori dell'Europa che portare una pacificazione dell'Europa stessa. Il riconoscimento sovietico dell'Israele, avvenuto «a ruota» di quello americano, doveva forse, fra l'altro, mostrare all'America che l 'appoggio nella questione palestinese doveva essere il preludio di accordi di più vasta portata, anche su altri campi, purché il Governo di Washington rinunziasse a difendere gli interessi inglesi.

Il tentativo disperato di Stalin di appellarsi direttamente all'opinione pubblica americana mediante la lettera a Wallace era naturalmente votato all'insuccesso5•

La manovra non è riuscita proprio perché Inghilterra e Francia, impressionate di essere abbandonate e conscie dei loro interessi imperiali, tuttora minacciati, hanno fatto pressione sugli Stati Uniti e cedendo ai desideri americani hanno però ottenuto la ritrattazione americana, naturalmente provocando ancora quello stato d'incertezza e di tensione che doveva sboccare nel contrasto di Berlino. L'avvenire ci dirà se la paura e gli scrupoli americani di proteggere gli interessi inglesi e francesi abbiano contribuito alla pace o non piuttosto a confondere ancore le idee. È evidente ormai che qualsiasi tentativo di ripristinare il consiglio dei Quattro (basti legggere l'editoriale surriferito dei Tempi nuovi) e di limitare così le discussioni al problema tedesco è, come i precedenti, destinato a creare ancora più confusione. La realtà è che i sovietici vogliono arrivare ad una intesa generale, su tutti i problemi ancora in pendenza, al di fuori della stessa Germania.

5) In questo settore le idee sovietiche non sono, a mio avviso e secondo notizie

o meglio speculazioni altrui che mi giungono, molto chiare. Che l'U.R.S.S. non abbia nessuna intenzione di vedere risorgere una Germania forte e potente, è sicuro. Meno sicuro è che realmente Mosca miri alla formazione di un Governo unitario. Può darsi che il Cremlino abbia creduto possibile la costituzione di una Germania unitaria a tinta comunista e quindi sotto la sua influenza. Io però ne ho sempre dubitato e ne dubito tuttora. L'influenza politica in un paese di 60 milioni di abitanti può affermarsi se fra i due paesi vi siano particolari legami: legami di razza, di ideali comuni (esistevano nel 1922 al tempo di Rapallo), di interessi stretti economici. Oppure quando questa influenza politica è sostenuta da una reale forza militare. Ma una Germania unitaria, anche sotto un regime comunista cercherà sempre di riprendere la Prussia orientale ed il bacino della Slesia per poter vivere e produrre. Dal punto di vista economico una Germania unitaria dovrà, per forza, richiedere l'appoggio ed il

contributo degli Stati occidentali e dell'America. Dal punto di vista morale una intesa fra Russia e Germania non mi sembra possibile non solo a cagione del recente passato, del presente ed anche della frontiera orientale, ma per la presenza di quelle popolazioni della Pomerania, della Slesia, dei Sudeti che anelano tornare nelle loro terre. In conclusione una Germania unitaria nei confini attuali e nel prevedibile avvenire sarà portata ad una politica ostile contro i russi ed il gruppo slavo in generale.

Vi è poi, in questa materia, un'altra considerazione da fare. La politica sovietica, pur essendo politica a portata mondiale, capace quindi di contemperare con vantaggi in alcuni campi gli svantaggi degli altri, non può non tenere conto della politica degli Stati posti sotto la sua tutela, come la Cecoslovacchia e la Polonia, i quali formano, come ho detto sopra, parte fondamentale della sua immediata cintura di sicurezza. Ora questi due paesi si opporranno sempre alla costituzione di una Germania unitaria. La politica di prudenza e di salvaguardia che la Francia fa in Occidente nei confronti della Germania, si ripete, e con ovvia maggiore sensibilità, per i due Stati slavi in Oriente. La conferma migliore, a mio avviso, è data dal comunicato sulla recente conferenza di Varsavia, dove il previsto Governo della Germania orientale non è stato costituito (può darsi, è vero, che l'U.R.S.S. per motivi di politica interna tedesca non abbia voluto ripetere gli errori degli americani

o almeno attendere le reazioni germaniche ai progetti di Londra).

Se quanto ho detto sopra corrisponde a verità, il contrasto di Berlino dovrebbe sfociare nella mente del Governo sovietico nella richiesta di trattative da parte degli anglo-americani. La mossa russa può sembrare pericolosa, perché la reazione occidentale è stata violenta, ma i russi hanno cercato, anche questa volta, di prendere i maggiori pegni per le prossime discussioni, in modo da avere anche maggiori carte nel loro giuoco. Dipenderà dagli americani e dagli inglesi se essi ammetteranno di discutere, prima che i russi abbiano ceduto su Berlino, ma poiché è molto prevedibile che i Tre chiederanno a Mosca di trattare ed i russi si dichiareranno pronti e disposti -come del resto lo hanno già detto nel comunicato di Varsavia -Berlino sarà una nuova carta in mano dei russi. E la faranno valere.

6) Bisogna concludere. Da quanto si osserva si può dire una cosa, che la politica generale adesso si muove attorno ad un problema di capitale ed attuale importanza, la liquidazione dell'impero inglese. Non è il caso di farsi illusioni, né di nascondere la verità. La posta del gioco o meglio del contrasto fra i due contendenti è certo quella. Naturalmente non lo si dice né si può dirlo apertamente. Ma a mio avviso, mentre il Cremlino ne è convinto, tanto che tutti i suoi sforzi si concentrano a sistemare le relazioni con gli Stati Uniti, quasi che le relazioni con l'Inghilterra non sussistano o siano del tutto pacifiche e normali, a Washington si continua a credere che una sistemazione dei problemi tuttora controversi sia possibile in un accordo a quattro od a tre. Ora tutto dipende, a mio modo di vedere, dal fatto se il Governo americano abbia guardato o voglia guardare in faccia questo problema nella sua crudezza, e se, persuaso della ineluttabilità di questo avvenimento storico, sia pronto ad assumere l'eredità per il bene comune, sia pure col beneficio d'inventario insieme all'U.R.S.S. Se questa persuasione si farà strada si potrà giungere evidentemente ad un'intesa fra i due, ad una sistemazione (più o meno duratura) della situazione mondiale, alla ripresa degli scambi, dei commerci, alla ricostruzione delle economie dissociate in un'atmosfera di relativa tranquillità e persino ad un periodo (più o meno lungo) di pace, altrimenti avremo il conflitto con quel che segue.

Ho l 'impressione che i più convinti di questo, siano proprio gli inglesi. Churchill almeno ne era sicuro, fino dall'anno scorso, quando il Governo laburista si decise a mollare nelle Indie. Del resto la politica inglese è oggi affannata ad aggrapparsi ali' America, per impedire che essa possa scartare o camminare da sola ed è disposta a cedere ad ogni richiesta, pur di marciare alla stessa altezza. E cerca di far numero e massa tirandosi dietro le altre potenze europee del Patto occidentale. È proprio questo affannarsi della politica inglese a farsi antesignana degli interessi europei, per poter meglio difendere quelli extra-europei presso gli Stati Uniti che in un certo senso appesantisce lo sviluppo dei rapporti fra i vari Stati europei, che vorrebbero risolvere i loro interni problemi, in accordo e con l'aiuto dell'America, ma senza essere obbligati ad unire questi con quelli inglesi.

I prossimi mesi diranno se e fino a che punto la situazione sopra prospettata sia realmente matura.

171 1 Ritrasmesso alle ambasciate ad Ankara, Londra, Mosca, Parigi e Washington e alla legazione a

171 5 Wallace aveva fatto pubblicare dal New York Times del 12 maggio una «open 1ettem diretta a Stalin che rispose il 17. Sull'argomento vedi Foreign Relations ofthe United States, 1948, vol. IV, cit., pp. 870-871 e 873-874.

172

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE MANZINI, A MOGADISCIO

T. 7618/23. Roma, l o luglio 1948, ore 16.

Suo 72-73 1 . Autorizzala intrattenere generale Cumming circa necessità completa intesa tra autorità britanniche e italiane per misure da adottarsi eventualità disordini provocati da elementi estremisti Lega, nei confronti della quale sarebbe augurabile che autorità britanniche chiarissero ormai proprio atteggiamento.

173

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. l 067 SEGR. POL. Roma, l" luglio 1948.

Mi riferisco alla mia lettera segr. poi. n. 886 del 5 giugno u.s. 1 relativa al Patto occidentale. Il ministro mi ha restituito ieri il tuo rapporto 708/1 O144/2019 del 29 maggio2 con la seguente postilla.

173 Vedi D. 95.

Vedi D. 70.

«<l Governo della Repubblica è convinto che molto più si può ottenere dalla "presenza" che non da poco simpatici mercanteggiamenti quali essi siano; ma è per lo meno altrettanto convinto che il problema non dipende da nostri contatti con Francia o Gran Bretagna, ma cogli Stati Uniti, ed essi soli.

Aggiungo che ella può essere sicuro che -contrariamente a quanto può esserle apparso (pag. 5) -il problema supremo è per me oggi la difesa eventuale del territorio nazionale, e anche qui solo l'America conta: che il trattato od altro non è in confronto che secondario».

Aggiungo per parte mia che, come ha detto Bevin, non si potrebbe concepire un matrimonio in cui si cominciasse a litigare il giorno dopo le nozze, come tu osservi a proposito dell'Unione doganale con la Francia (tuo rapporto n. 826 del 24 giugno)3 . In un certo senso la questione è assai più facile con la Francia che con la Gran Bretagna. Con la Francia in fondo non vi è di scottante attualmente che la questione navale la quale non è così grave come quella coloniale e pare del resto avviata a una soddisfacente transazione. Vi sarà certamente chi strillerà, ma la prova verrà superata, e poi l'Unione doganale è un qualcosa a cui si arriva per gradi, e pur risultando un fatto politico importantissimo a lavori conclusi, essa è, durante i lavori stessi, una questione meno immediatamente a contatto con la sensibilità dell'opinione pubblica.

Con la Gran Bretagna invece la questione coloniale ha altre proporzioni e ripercussioni ed il Patto occidentale è una qualcosa che si presenta nella sua immediatezza come un fatto politico e che appassionerà l'opinione pubblica pro e contro. Ritengo quindi difficile che si possa -rebus sic stantihus -affrontare la questione del Patto occidentale prima che sia superato lo scoglio coloniale o comunque senza sapere se si potrà arrivare ad una soluzione che si presenti come accettabile all'opinione pubblica.

172 1 Del 30 giugno, non pubblicato.

174

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1323/311. Mosca, l" luglio l 948 1•

Gli avvenimenti recenti in Germania e le relative posizioni politiche sono tanto note, che mi limito a dare una succinta notizia di come essi sono stati prospettati e commentati qui, specialmente in considerazione del momento critico al quale la situazione di Berlino sembra giunta, e che è stato rivelato con tanta drammaticità nel discorso di Bevin di ieri2 .

In sostanza, i sovietici hanno dato la più grande diffusione alle notizie sulla riforma monetaria della zona occidentale, sviluppando al riguardo la abituale serie di articoli-commento, tutti di analogo contenuto, e diretti a condannare l'attuazione del provvedimento, siccome un atto di definitiva scissione della Germania in due. Lo

2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XII ( 1948), n. 28, pp. 492-493.

stesso dissero a suo tempo i sovietici della creazione di Bizona, poi dei progetti di una costituzione della Germania occidentale, poi ancora dell'accordo di Londra; oggi la riforma monetaria ha dato occasione alla continuazione di un'ampia campagna nello stesso senso, con le usuali argomentazioni. Ad un certo punto poi la polemica contro l'accordo di Londra e quella contro la riforma monetaria si sono intrecciate, è apparsa la nota di protesta polacca, poi si è avuto il convegno degli otto ministri degli esteri a Varsavia, e tutto questo ha dato modo di rinfocolare la polemica.

Comparativamente scarse sono state invece le notizie circa l'azione ben più positiva che i sovietici andavano svolgendo a Berlino per stancheggiare gli angloamericani e per mettere la popolazione della zona occidentale nella situazione di non poter più vivere sotto l'occupazione alleata. A questo riguardo i sovietici si sono limitati a succinti comunicati, ben guardandosi dall'accennare pubblicamente al loro desiderio di forzare gli alleati fuor di Berlino, ripetendo le solite ragioni tecniche che ufficialmente essi hanno addotto per giustificare l'arresto delle comunicazioni ferroviarie, stradali ed acquee fra le due zone.

In sostanza si può dire che i sovietici hanno messo in evidenza il fumo e non l'arrosto: hanno sottolineato di fronte alla loro opinione pubblica la polemica verbale sulle responsabilità della divisione della Germania (che è ormai un fatto compiuto); ma hanno praticamente taciuto i veri termini della sorda lotta ch'essi stanno svolgendo a Berlino per far capire agli alleati che dovrebbero andarsene.

È fuori dubbio, ed ho continuamente occasione di constatarlo, che i sovietici sono profondamente convinti che la divisione di Berlino aveva un senso fino a che l'amministrazione comune alleata funzionava e la Germania era considerata come un tutto unico, nella cui capitale logicamente dovevano essere rappresentati i quattro occupanti. Realizzata ormai la divisione della Germania, secondo il loro punto di vista la divisione della città in settori dovrebbe cessare e Berlino dovrebbe attribuirsi interamente alla zona alla quale appartiene, ossia alla zona sovietica.

Essi si sentono quindi legittimati a svolgere una lenta e calcolata pressione, che avrà le sue alternative ma certo non cesserà tanto presto, per indurre, se possibile, gli alleati a sgombrare il campo. Mi è stato detto dall'ambasciatore Smith che un quindici giorni fa essi avrebbero fatto pervenire indirettamente un hint agli alleati circa la possibilità di un mercanteggiamento nei riguardi di Berlino, con la cessione, a quanto ho capito, di una frazione della loro zona a titolo di compenso.

Sia esatta o no tale notizia, certo è che i sovietici vorrebbero riavere Berlino e svolgono un'azione fredda e calcolata in tale direzione. Ma giungeranno fino al punto eli provocare una crisi? Io non lo credo, e sotto questo aspetto non posso che condividere le considerazioni del consolato d'Italia di Bad Salzuflen (17 giugno 16/19181 )3; i sovietici tireranno la corda ma non vorranno che si rompa. Moniti del tipo del discorso di Bevin possono essere utili come affermazione di volontà di non cedere, o pericolosi quali segni di nervosismo; in ogni caso, tuttavia, essi non mi inducono a pensare che davvero vi sia un pericolo vicino di conflitto, e che i sovietici intendano provocarlo.

Una riprova è data dalla lettera di Sokolovski del 29 giugno al gen. Robertson, che i giornali sovietici mettono oggi in notevole evidenza.

Questa lettera è non soltanto nella forma, ma anche nella sostanza, conciliante: perchè assicura che le misure di interruzione del traffico, sia stradale che ferroviario, sono temporanee, riconosce ed approva le misure di rifornimento aereo prese dagli alleati, invoca a sua volta la cessazione delle contromisure prese dagli inglesi, ed msomma apre uno spiraglio al ristabilimento di un modus vivendi per Berlino.

Certo, questo susseguirsi di tensioni alla lunga può diventare pericoloso, e debbo riconoscere che vi è a Mosca un maggiore nervosismo in questi giorni di quanto ve ne sia stato mai, anche fra i diplomatici più ottimisti e più quadrati.

Dall'altro lato, gli avvenimenti jugoslavi, mentre sotto un aspetto indeboliscono almeno temporaneamente i sovietici e li dovrebbero indurre a maggiore moderazione, dall'altro, se veramente precipitassero verso un minaccia di piena rottura fra

U.R.S.S. e Jugoslavia, potrebbero indurre i sovietici a passi radicali ed avere imprevedibili conseguenze sulla situazione generale.

Ma a parte questa possibilità di più vaste complicazioni, la situazione della Germania e di Berlino, quale si può vedere da Mosca e quale i sovietici la prospettano ancora oggi, è delicata ma non certo drammatica.

173 3 Vedi D. 144.

174 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

174 3 Non pubblicato.

175

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. I 332/3 I 6. Mosca, l" luglio 1948. 1

Il comunicato del Cominform da Bucarest, pubblicato integralmente dalla Pravda il 29 giugno su una intera pagina, è certamente piombato su questa opinione pubblica impreparata come un fulmine a ciel sereno. Essa ne è rimasta vivamente impressionata, l'avvenimento è stato largamente discusso, e l'effetto è stato indubbiamente negativo.

Qui, specialmente dopo il rapporto Zdanov del settembre 194 7 al Cominform di Varsavia, si considerava la unità del blocco dei paesi comunisti e di nuova democrazia come assicurata ed infrangibile; infinite volte i cittadini sovietici avevano sentito vantare la indissolubilità della «fraterna amicizia e comunanza di idee» che legava questo blocco in modo ben diverso e più solido che non facessero le «interessate e forzate alleanze» dei paesi capitalisti. La delusione è stata profonda ed i

suoi effetti si potranno misurare soltanto in avvenire, in rapporto allo sviluppo degli avvenimenti.

La pubblicazione del Cominform ha suscitato immediatamente alcuni interrogativi, sui quali ho cercato di raccogliere l'opinione degli ambienti diplomatici comunisti o filocomunisti più vicini ai sovietici.

ll primo dubbio riguarda l'opportunità e la tempestività stessa dell'azione del Cominform. Come mai, ci si è domandato qui ed io stesso ho domandato, l'Unione Sovietica si è indotta a denunciare pubblicamente la secessione di Tito, in un momento politico delicato e senza avere la sicurezza di poterlo immediatamente rovesciare?

La risposta, dal punto di vista comunista, è stata logica: ormai Tito, col suo rifiuto a recarsi a Praga a discutere ed a ricredersi, è un uomo finito, perduto per il marxismo. Lasciarlo tranquillamente al potere in queste condizioni avrebbe significato consentirgli di perpetuare l'equivoco, di rafforzarsi all'interno continuando a fruire del credito di una ortodossia comunista ormai abbandonata, e dell'appoggio dell'Unione Sovietica e del Cominform, che non ha più. Occorreva invece al più presto, e ad ogni costo, rivelare la sua posizione di fronte all'opinione pubblica mondiale, e in specie di fronte a quella jugoslava, per consentire alle forze sane del comunismo jugoslavo di rendersi conto della situazione, e di prendere posizione contro di lui.

È vero -mi è stato aggiunto -che il comunicato è stato emanato senza che Tito fosse rovesciato, né vi fosse la sicurezza di rovesciarlo subito: ma è altrettanto vero che, se il passo è stato fatto, si è perché i comunisti contano che le stesse forze jugoslave abbiano ben presto la volontà e la forza di sconfessare e di eliminare Tito e i suoi seguaci. Tito, in fin dei conti, è andato al potere con l'appoggio sovietico e in base all'ideologia rivoluzionaria marxista; le classi operaie, i militari stessi che lo hanno appoggiato sono tutti imbevuti di idee comuniste. Queste forze che egli stesso ha suscitato, dovranno inevitabilmente rivolgersi contro di lui, quando il popolo jugoslavo sappia che egli ha abbandonato il retto cammino sul quale pretendeva guidare le classi lavoratrici jugoslave. Non è dunque in vista di un colpo di stato immediato e certo, ma in vista del suo equivalente, ossia un rivolgimento sicuro a più o meno breve scadenza, che i comunisti del Comiform hanno deciso di dichiarare guerra a Tito.

Un secondo dubbio riguarda le accuse mosse dal Comiform a Tito nei riguardi della politica internazionale: si parla di politica nazionalista, di riavvicinamento alle potenze imperialiste, di un considerare il pericolo sovietico più grave di quello capitalista per la indipendenza jugoslava, ecc. Ma dove sono i fatti di rilevanza internazionale che forniscano serio contenuto a simili accuse? Non risulta affatto, finora, che Tito abbia compiuto dei gesti di riavvicinamento alle potenze occidentali.

Al riguardo, mi è stato riconosciuto che, effettivamente, non si possono individuare fatti concreti che significhino chiaramente un mutamento della politica internazionale della Jugoslavia. Non si tratta tanto di accuse per fatti specificamente avvenuti (la asserita sorveglianza poliziesca sulle autorità sovietiche ha un valore relativo) quanto di una conseguenza logica inevitabile della posizione politica ed ideologica di Tito all'interno. Come tale essa è stata segnalata nel comunicato. Politica interna e politica estera, specialmente dal punto di vista marxista, sono difficilmente scindibili. Appoggiandosi sui proprietari contadini e sulla piccola borghesia, Tito dovrà fare inevitabilmente una politica estera nazionalistica ed avventurosa, e dovrà appoggiarsi per farla sulle potenze imperialiste. Il dittatore comunista, abbandonando il marxismo e il Cominform, non potrà che avviarsi sulla via del fascismo. Questo è il senso delle accuse mosse a Tito sul piano della politica internazionale, espresse in forma più potenziale che attuale. I veri e fondamentali errori di Tito consistono nella presunzione di poter fondare un socialismo senza appoggiarsi alla Unione Sovietica, e nella illusione di poterlo costruire fondandosi su classi sostanzialmente conservatrici come i contadini e la piccola borghesia; tutti gli altri errori scaturiscono logicamente da questa posizione.

In rapporto a tali chiarimenti, ho pure sondato l'opinione dei diplomatici filosovietici sulla importanza del progetto di Federazione balcanica, nei riguardi del conflitto fra i sovietici e Tito. Logicamente, la risposta è stata che questo fatto avrebbe una importanza secondaria, e che erroneamente sarebbe stato indicato da taluno come uno dei principali moventi del contrasto. In fin dei conti, mi è stato osservato, la risposta dei comunisti jugoslavi accenna a questa federazione più in via di giustificazione -per riconfermare la loro lealtà verso i paesi dell'Europa orientale -che in via di polemica, per segnalare una ragione di conflitto. Ed effettivamente, il fulcro del dissenso sta anzitutto nel ducismo di Tito e nei suoi errori ideologici e politici interni, di cui le deviazioni in politica internazionale costituiscono conseguenze inevitabili, ma non ancora chiaramente manifestate.

Chiariti questi due punti, ho cercato di avere pure la sensazione della gravità che dal punto di vista comunista si attribuisce agli avvenimenti in corso in Jugoslavia. Vi è chi tende a sottovalutarli qualificandoli scherzosamente «baruffe in famiglia» ma si tratta semplicemente di boutades a freddo, formulate senza l'illusione di convincere e per deviare il discorso. I più seri, non negano la gravità della situazione. Cercano di consolarsi affermando che la brutale sincerità colla quale si è denunciato il male al fine di vincerlo è una prova di forza; ma è chiaro che si tratta di una meschina consolazione, tanto minore, quanto più lungo e penoso è stato in precedenza il vano tentativo di tenere celati i dissensi e di lavare i panni sporchi in famiglia. I comunisti stessi non se lo nascondono; e pur cercando di dominare i nervi e di accusare il colpo il meno possibile, riconoscono che un elemento imponderabile e grave è intervenuto in un gioco politico che sembrava, almeno da parte sovietica, assestato su basi solidissime. Si affermano sicuri che Tito sarà eliminato; ma fino a che punto cerchino soltanto di convincere se stessi, è difficile dire.

Un altro quesito che ho posto, ed al quale è naturalmente più difficile avere una precisa risposta, è se, in caso della instaurazione di una dittatura militare, o di altro colpo di forza di Tito per tenersi al potere di fronte a tentativi di insurrezione, i sovietici interverrebbero militarmente. Agevolavano la mia domanda le notizie radio circa concentramenti sovietici in Ungheria. La risposta è stata blandamente, ma non assolutamente negativa: i comunisti considerano la posizione jugoslava talmente importante, da non potere escludere a priori l'intervento.

Aggiungo ancora, a titolo retrospettivo, un rilievo desunto dalla stampa sovietica; il 30 maggio la rivista Bolschevik pubblicava un articolo di A. Baranov sull'«accrescimento delle forze del socialismo e della democrazia» contenente una riaffermazione delle note tesi di Zdanov e una rassegna dei progressi delle forze democratiche nei vari paesi. Rileggendo ora l'articolo, appare significativo che, mentre esso era ricco di dettagli sui progressi socialisti di tutti i paesi europei ed extraeuropei, Francia, Italia e Cina compresi, a proposito della Jugoslavia e dell'Albania si limitava a queste semplici parole: «Nuovi successi nel campo dello sviluppo economico dei loro paesi hanno pure conseguito i lavoratori della Jugoslavia e dell'Albania». È chiaro che fin da allora vi fosse già una parola d'ordine di riserva nei riguardi degli jugoslavi e, quel che più importa, questa parola d'ordine si estendeva anche all'Albania; è da notare che, secondo le notizie qui pubblicate, la stampa albanese si è limitata finora a pubblicare senza commenti la notizia del comunicato del Cominform.

È troppo presto oggi per sviluppare valutazioni e previsioni di ampia portata su un avvenimento la cui importanza salta agli occhi di ognuno, e dal quale ognuno può trarre plausibili illazioni.

Limitandomi sempre alle considerazioni che più specialmente discendono da quel che si può vedere a Mosca, aggiungo che l'imbarazzo delle autorità sovietiche di fronte alla loro opinione pubblica è reso evidente dal loro silenzio sullo sviluppo degli avvenimenti. A oltre quarantotto ore dalla risposta del partito comunista jugoslavo2, qui non se n'è ancora fatto cenno, e si continuano a pubblicare soltanto i commenti della stampa comunista e filo-comunista straniera, ossia a ripetere qui gli echi stranieri della stessa propaganda sovietica.

Infine, ritengo opportuno segnalare quelle che mi paiono alcune particolarità significative del comunicato del Cominform:

l) anzitutto, risulta dal comunicato, che tutta la politica nei riguardi del partito comunista jugoslavo è stata condotta negli ultimi mesi dal partito comunista russo: il Cominform si è espressamente limitato ad «approvare gli atti del Comitato centrale del partito comunista sovietico, il quale assunse su di sé la iniziativa di smascherare la errata politica del partito comunista jugoslavo, e in primo luogo la errata politica di Tito, Kardelj, Djilas e Rankovic». La preminenza e superiorità del partito comunista sovietico ha avuto qui un riconoscimento ufficiale.

2) Tutto il documento costituisce una aperta intrusione negli affari interni jugoslavi, nettamente contrastante con l'affermato rispetto della sovranità di tutti i paesi e col principio del non intervento nella loro politica interna. Per quanto si tratti di una dichiarazione formalmente emanata da partiti e diretta a un partito, essa coincide col giudizio e con la condanna di tutta la politica interna jugoslava, e con l'invito a rovesciare non solo i capi del comunismo, ma anche il governo jugoslavo stesso. L'esigenza internazionalista del comunismo si è imposta di nuovo nei fatti, contraddicendo la politica di rispetto delle nazionalità e delle sovranità, che si riconferma qui, rispetto ai principi fondamentali del marxismo, puramente tattica.

3) Con la condanna della politica interna jugoslava come politica imperniata sul Fronte popolare, e come tale diretta a sminuire e a diluire la influenza dominante del partito comunista, si chiude definitivamente e si cancella da parte sovietica la politica della democrazia progressiva, in quanto fondata come programma su uno sviluppo graduale del socialismo, e come forze politiche su coalizioni di partiti. Nella Jugoslavia soltanto si assiste in sostanza al fenomeno di una rivolta della politica di democrazia progressiva contro il comunismo: la creatura voluta per pure ragioni tattiche dai comunisti (il Fronte popolare) tende ad assumere una forza reale e si rivolge contro i suoi creatori.

4) Netta e recisa è nel comunicato la contrapposizione fra le «classi lavoratrici» e i contadini, intendendosi essenzialmente per classi lavoratrici le classi operaie delle città. Mai come in questo caso si è visto quanto il comunismo marxista non possa affermarsi senza il predominio politico delle classi operaie sulle classi contadine, e come le classi politiche piccolo borghesi che si appoggiano, per dominare, sugli operai tendono alla dittatura comunista, quelle che si fondano invece sui contadini tendono verso forme conservatrici, o democratiche, o verso dittature di destra.

5) Infine, il comunicato è la riconferma che le forme democratiche di scelta dei dirigenti sono invocate seriamente dai comunisti soltanto contro i loro avversari, e come mezzo per indebolirli. È tipico che il Cominform abbia rimproverato a Tito di non fare quel che in Russia non avviene affatto, o avviene soltanto in modo del tutto formale e apparente. Le libere elezioni dei capi, le libere discussioni, i congressi di partito, tutta la democrazia di partito che nell'Unione Sovietica si svolge più che altro sulla carta, od ha timide manifestazioni nelle organizzazioni minori (col permesso di quelle superiori), sono ora invocate contro i comunisti jugoslavi come un dovere, e la loro assenza come un segno di deviazione anticomunista. Nel conflitto di due totalitarismi, quello comunista ama assumere la veste democratica.

È possibile che nei giorni prossimi, e forse ancora prima della chiusura di questo corriere, la stampa sovietica esca dal suo silenzio e comincino le notizie e i commenti sulla resistenza di Tito. In questo caso riferirò immediatamente se possibile, in via di postilla al presente rapporto; altrimenti per telegramma o col prossimo corriere.

PS. È da aggiungere, per completezza, che il comunicato del Cominform è stato pubblicato dalla Pravda, ma non dall'lzvestia; anche gli echi e commenti della stampa straniera sul comunicato non erano stati riportati dali'Izvestia, la quale per alcuni giorni ha ignorato totalmente l'avvenimento. Solo in data 2 luglio anche quest'ultima ha pubblicato un breve comunicato del partito comunista sovietico con il quale si approva l'opera dei propri delegati alla riunione di Praga. Come è ben noto, la Pravda è il giornale del Comitato centrale del partito comunista, l 'lzvestia il giornale del Presidium del Soviet Supremo. Tale diversità di comportamento dei due massimi quotidiani sovietici è stata interpretata nel senso che i sovietici vogliono sottolineare trattarsi di una azione di partito, non di Governo; e praticamente vogliono lasciare aperta una via di ritirata, senza compromettere il Governo e costringerlo ad interventi diretti, nel caso che l'azione del partito e del Cominform non dovesse avere in Jugoslavia il desiderato successo.

175 1 Copia priva dell'indicazione della data di anivo.

175 2 Vedi D. 165.

176

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. 847/12036/2454. Parigi, l" luglio 1948 (per. il 7).

Tanto per principio, tengo a dirti che, per quello che concerne il Patto di Bruxelles, io resto fermo nell'opinione espressa nel mio rapporto n. 713/10149/ 2024 del 2 giugno 1 che ti ha fatto arrabbiare 2•

Ciò premesso, spero nella mia conversazione con Chauvel e con Couve de Murville3 di essere rimasto nel quadro delle vostre intenzioni. Ho comunque creduto opportuno di marcare ai francesi che noi parliamo con Washington -e che quindi la decisione non è nelle loro mani -e che curiamo i nostri rapporti con la Grecia e la Turchia. La loro politica nei nostri riguardi, in questo come in altri affari, non mi sembra tanto rettilinea quanto essi vorrebbero dire: è bene quindi far loro vedere che poi non stiamo al cento per cento colle mani in mano in attesa della manna che ci piova dal cielo di Parigi.

177

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 848/123 3 7/2514. Parigi, l" luglio 1948 1•

Chauvel mi ha detto di non essere al corrente, in dettaglio, dei lavori degli esperti a Londra: sapeva soltanto che i lavori per la messa a punto di un piano militare d'insieme che dovesse servire come base di discussione con gli americani, procedevano senza difficoltà. A mia richiesta mi ha detto che si avevano pure stretti contatti, già da adesso, con le autorità americane, che erano tenute al corrente di tutto l'andamento dei lavori.

Circa la garanzia mi ha detto che, per il momento, e per lo meno fino all'indomani delle elezioni americane, tutto quello che si poteva fare era di studiare fino a che punto ci si poteva servire della mozione Vandenberg, già di per sé molto importante. Gli americani continuavano a sostenere la tesi che la presenza sulla

2 Vedi D. 95.

3 Vedi D. 177.

linea di demarcazione delle truppe americane era già di per sé una garanzia sufficiente: gli inglesi ed i belgi accettavano questa tesi, salvo a precisare maggiormente nell'avvenire e senza fretta. Da parte francese si conveniva pure: se non che per l'opinione pubblica francese sarebbe stato desiderabile avere, al più presto, qualche cosa di più preciso.

Quanto al lend lease militare americano, Bonnet era convinto, in base alle sue conversazioni americane, che il principio era ormai accettato da tutti gli interessati: si sarebbe però potuto avere un inizio effettivo e pratico soltanto nella misura del riarmo americano, nel senso che solo quando nuovi armamenti americani avessero cominciato ad affluire e nella misura della loro produzione, sarebbe stato possibile procedere alla cessione ali 'Europa, almeno in parte, del materiale più vecchio. Comunque riteneva un passo importante l'invio in Germania, da parte americana, di una considerevole aliquota dei nuovissimi aeroplani a reazione: questo, e non era che un principio, costituiva un grosso apporto americano alla sicurezza europea.

Chauvel mi ha detto che da parte americana si continua ad insistere perché si proceda rapidamente alla realizzazione dei piani previsti fra i Cinque: teneva però a dirmi che nessuna ulteriore pressione era stata fatta per la partecipazione d eli 'Italia.

Gli ho detto che di questo ne stavamo parlando noi stessi con Washington. Quello che a noi ci premeva era che non ci fossero interpretazioni errate della nostra politica. Le elezioni avevano chiaramente mostrato che il nostro orientamento era occidentale: se, come e quando il nostro inserimento effettivo avrebbe potuto avere luogo questo dipendeva da molte circostanze. Ritenevamo il nostro riserbo comprensibile: nessuna necessità di attribuirlo a desiderio di mantenerci le mani libere o di doppio giuoco. Confidavo che su questo punto non ci fossero più equivoci fra noi e la Francia, e su questo Chauvel mi ha dato completa assicurazione: volevamo ora egualmente chiarire il punto con Washington: per il resto, avremmo proceduto d'accordo con Washington.

Chauvel ha detto che questa nostra politica incontrava tutta l'approvazione francese. Da parte sua egli continuava a mettere avanti dei jèelers per il Patto mediterraneo conformemente all'idea francese, che già conoscevamo, che sarebbe stato meglio per noi di entrare in una combinazione mediterranea piuttosto che, direttamente, nel Patto di Bruxelles. Egli aveva fatto presente agli americani come, se si voleva mettere in piedi un piano d'insieme per la difesa dell'Europa, non era possibile pensare al Patto di Bruxelles da una parte, all'Africa del Nord e Medio Oriente dall'altra, lasciando scoperto il settore mediterraneo, dal Portogallo all'Iran: tutto questo costituiva un insieme che non era possibile scindere. L'idea non sembrava matura agii americani, ma il Governo francese contava, ripetendosi, di farla maturare: i militari sembravano averlo capito: il mondo politico meno.

Mi ha chiesto se nelle nostre conversazioni con Washington noi parlassimo solo della nostra eventuale adesione ai Patto di Bruxelles oppure anche del problema mediterraneo. Gli ho risposto che su questo punto mancavo di informazioni. Personalmente condividevo il suo pensiero sulla necessità di considerare il problema nel suo complesso e non a pezzi distaccati. Che anche noi ce ne preoccupavamo, ed era per questo che dedicavamo speciale cura al miglioramento ed ai rafforzamento dei nostri rapporti con la Grecia e la Turchia: questo consolidamento dei rapporti, in

Autografo di Stì

orza pe

r un brano del D. 173.

sé, era già parte di questa politica poiché era evidente che tanto migliori erano i nostri rapporti, tanto più facile sarebbe stato marciare rapidamente verso ulteriori sviluppi. Non sapevo però -non lo ritenevo -se i nostri colloqui con Washington fossero già tanto avanti da entrare in precisioni del genere. Mi ha detto che sarebbe stato bene se anche noi, da parte nostra, avessimo contribuito a spiegare agli americani l'importanza del problema mediterraneo, e la necessità di pensarci sul serio.

A Couve de Murville, che ho visto due giorni dopo, ho chiesto se era esatta la notizia pubblicata dalla stampa francese che fra le questioni all'ordine del giorno della prossima riunione all' Aja fosse anche quella dei rapporti del Patto a Cinque coll'Italia. Mi ha detto che la riunione dell' Aja era la riunione di turno, dei cinque ministri degli esteri, prevista dal Patto costitutivo: era una riunione piuttosto protocollare: all'ordine del giorno, in realtà, c'era soltanto l'esame del lavoro fatto dalle varie commissioni di esperti. I rapporti coll'Italia non erano all'ordine del giorno, ma il Governo francese era pronto a metterceli se tale fosse stato il nostro desiderio. Gli ho detto che gli avevo fatta la mia domanda a solo scopo informativo: che non avevo istruzioni di chiedere l'inclusione di questa questione all'ordine del giorno: e non avevo nessuna ragione di ritenere che questo fosse nelle intenzioni del Governo italiano.

Riferendosi allora alla mia conversazione con Chauvel, Couve mi ha chiesto quali fossero le intenzioni del Governo italiano.

Gli ho detto che la nostra situazione era delicata e complessa. Noi eravamo, e di pieno cuore, con l'Europa occidentale: era evidente che l'Europa occidentale non avrebbe potuto restare solo nel campo economico, anche se questo ne era una premessa necessaria: era inevitabile che si procedesse anche alla sua organizzazione nel campo politico e militare. Questa era la nostra politica; in quanto tale si poteva dire che anche noi eravamo virtualmente aderenti al Patto di Bruxelles. Quanto al nostro inserimento pratico, al suo tempo ed alle sue modalità, bisognava riflettere. Se fosse già chiaro che l'unione di Bruxelles significava la garanzia americana, il !end lease militare americano, la posizione del Governo italiano sarebbe stata facile, perché nessuno in Italia, tranne i comunisti ed affini, ne avrebbe discussa la utilità, anzi la necessità. Ma che il Patto di Bruxelles fosse soltanto una tappa necessaria per arrivare al regolamento dei rapporti con l'America questo era noto soltanto agli iniziati: la stessa fluidità dell'opinione pubblica e della politica americana, non permettevano di dirlo chiaramente senza rischiare smentite americane. Per il grosso pubblico la cosa si presentava solo come la conclusione di una alleanza con la Francia e con I 'Inghilterra; e speravo avrebbe ammesso che non era facile spiegare all'opinione pubblica italiana l'utilità di un tale gesto.

Infatti -ha detto Couve-oggi si tratterebbe di una operazione à blanc. L'Italia non apporta niente al Patto di Bruxelles, il Patto di Bruxelles non porta niente all'Italia.

Gli ho fatto osservare che questo, pur essendo esatto, non era tutto. Speravo si riuscisse a superare la crisi franco-italiana della flotta. Ma la questione delle colonie, le cui previsioni sembravano assai nere, avrebbe portato ad una crisi assai grave dei nostri rapporti con l 'Inghilterra e in certa misura anche con la Francia. Come spiegare all'opinione pubblica italiana l'alleanza con un paese che ci cacciava dall'Afiica? Sarebbe stato forse facile spiegare all'opinione pubblica italiana l'opportunità

di entrare a far parte del Patto a Cinque dicendo che, in sede di questo Patto, si sarebbe facilitata una soluzione a noi favorevole della questione delle colonie. Non sarebbe stato possibile farci concludere un'alleanza con l'Inghilterra a breve tempo dopo la fregatura sul terreno coloniale: sarebbe stato pericolosissimo farlo prima, sapendo che presto o tardi sarebbe scoppiata una grossa crisi, le cui ripercussioni non erano che troppo prevedibili.

In queste circostanze, l'unica politica che noi potessimo fare era quella di parlarne a Washington, chiarire la nostra posizione e il nostro pensiero, in modo che non ci fossero equivoci che noi non desideravamo, come avevamo fatto con la Francia: chiarire al tempo stesso il pensiero americano riservandoci poi di agire d'accordo con Washington.

Couve mi ha detto che trovava questa posizione ragionevolissima: mi ha chiesto come andavano le nostre conversazioni con Washington: gli ho risposto che non ne sapevo ancora niente. Mi ha detto che il Governo francese avrebbe gradito, se lo giudicavamo conveniente, di esserne informato: esso si rendeva conto delle nostre difficoltà e delle nostre esitazioni: il giorno che noi avessimo deciso di aderire potevamo contare su tutto il suo appoggio. Non era certo da parte francese che ci sarebbero state delle difficoltà: d'altra parte il giorno che Washington avesse fatto sapere che desiderava la nostra adesione, nessuno avrebbe fatto delle difficoltà.

Gli ho risposto che su questo punto non avevo il minimo dubbio; personalmente però ritenevo che anche questa soluzione non fosse priva di inconvenienti. La base della politica dei nostri due paesi doveva essere la cooperazione nel quadro europeo.

Ora ai fini di questa cooperazione europea non sarebbe stato un bene che in Italia si avesse l'impressione che i colleghi europei non ci volevano nel loro club e che ci avevano accettato soltanto per imposizione americana. L'opinione pubblica italiana aveva già avute troppe occasioni di ritenere che l'Europa ci era ostile e l'America no: i nostri colleghi europei ce ne avevano già fatte parecchie, era meglio non aggiungerne un'altra. Bisognava quindi, nell'interesse comune, evitare che ci si desse l'impressione che non eravamo persona grata: per far questo la Francia sarebbe stata il tramite indicato: capivo che non era facile conciliare due necessità, entro certi limiti in contraddizione fra di loro: ma la

finesse francese era de taille da trovare una soluzione a questo complesso problema. Couve mi ha detto di essere d'accordo e che avrebbe fatto del suo meglio.

176 1 Vedi D. 85. Una annotazione a margine avverte tuttavia: «Sembra invece il precedente rapporto di Quaroni del 29 maggio n. 708/10144/2019 [vedi D. 70]».

177 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

178

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 6439/2381. Washington, l" luglio 1948 (per. il 12).

Informo codesto Ministero che l'Administrator dell'E.R.P., Hoffman, ha tenuto ieri una conferenza stampa che ha avuto grande rilievo in questi giornali, in quanto essa ha costituito la più importante delle conferenze finora tenute da Hoffman e ha dato modo ali' Administrator di fare interessanti precisazioni sui problemi più importanti che concernono l'attuazione del piano Marshall.

L'E.C.A. ha preparato un resoconto stenografico della conferenza che allego qui unito, insieme alle dichiarazioni fatte da Hoffman lo stesso giorno1 , e anch'esse ampiamente pubblicate in occasione della firma da parte del presidente Truman della legge per gli stanziamenti relativi all'European Recovery Program.

Gli argomenti trattati nel corso della conferenza stampa, sono stati in pratica i seguenti:

Problemi monetari europei e intervento americano. Codesto Ministero rileverà che una grande parte della conferenza è stata dedicata a tale questione. Hoffman non è stato né molto categorico né molto preciso nell'esposto da lui fornito. Evidentemente il problema è troppo delicato (e soprattutto gli inglesi sono troppo suscettibili a qualsiasi allusione fatta al loro regime monetario) perché il Governo americano possa in questa fase ancora iniziale del piano Marshall formulare una precisa linea di condotta al riguardo. È d'altra parte noto a codesto Ministero che se vi è stato un articolo dell'accordo bilaterale che ha suscitato vivacissima reazione da parte di alcuni paesi partecipanti è stato proprio quello relativo ai tassi di cambio e al problema monetario. Dopo le insistenze fatte da parte di alcuni paesi europei l'articolo è stato totalmente cancellato e si è anche molto diluita la formulazione di altre parti dell'accordo relative allo stesso problema. È ovvio che date tali circostanze Hoffman non abbia voluto essere troppo preciso in argomento. Egli ha però riassunto il suo pensiero esprimendo l 'avviso che «il Governo americano in base alla lettera della legge e dell'accordo bilaterale ha un chiaro diritto di iniziare discussioni in merito a una revisione dei sistemi monetari europei. Il Governo americano non si propone peraltro di esercitare necessariamente e in questa fase tale diritto. Esso naturalmente preferisce che l'iniziativa parta dai paesi europei stessi». L'insistenza comunque delle domande formulate ad Hoffman costituisce una chiara dimostrazione del vivissimo interesse di questi ambienti in merito ai problemi monetari europei e alla specifica questione dei tassi di cambio.

Clearing europeo. La discussione di cui sopra ha portato anche Hoffman a fare qualche dichiarazione in merito al problema della multilateralità degli scambi in Europa. Hoffman ha dichiarato al riguardo che l'E.C.A. era in attesa di una proposta da parte dei paesi europei che avrebbe dovuto pervenire fra qualche settimana. Nel corso della conferenza è stato anche rilevato che il contributo che sarebbe stato portato dall'E.C.A. alla soluzione del problema in parte sarebbe consistito in «acquisti o.ffshore» in Europa. Fino ad ora, ha osservato Bissell, tali offshore hanno avuto luogo soltanto in casi particolari e di speciale importanza. È desiderio dell'E.C.A. che tale sistema di acquisto o.ff5hore avvenga al più presto possibile su una base molto più sistematica e in modo tale che con essa possa essere facilitata la soluzione del problema dei pagamenti del commercio intraeuropeo.

Commercio Oriente-Occidente. Interrogato in modo specifico su tale problema Hoffman ha dichiarato che il commercio tra Oriente-Occidente europeo doveva essere incoraggiato. Doveva essere fatta però severa eccezione all'esportazione di certi materiali che l'America stessa, per motivi militari e strategici, non spedisce ai paesi partecipanti. «Se tali materiali non vengono inviati da parte degli Stati Uniti non vi è ragione per cui essi debbano essere inviati dai paesi partecipanti». Richiesto di precisare se, contravvenendo un paese partecipante a tale principio, l'E.C.A. considererebbe questo una ragione sufficiente per interrompere l'invio degli aiuti, Hoffman si è limitato a rispondere che ciò avrebbe costituito motivo sufficiente per iniziare discussioni al riguardo. Tale criterio si applicava non soltanto a certi materiali prodotti con altri materiali fomiti dagli Stati Uniti, ma anche a quelli direttamente manifatturati nei paesi partecipanti. Hoffman non è stato però in grado di precisare la lista delle merci e materiali per cui vi sarebbero obiezioni da parte dell'E.C.A. a esportazioni al di là dell' «iron curtain».

Argentina. Secondo quanto già precedentemente segnalato da questa ambasciata, Hoffman ha confermato: -che non è stato raggiunto alcun accordo con l'Argentina; -che non vi è stato neppure accordo sui prezzi che l'Argentina avrebbe praticato per il grano;

-che vi sono state varie dichiarazioni da parte del Governo argentino che si prestano però a confuse interpretazioni e sulle quali l'E.C.A. non ha potuto formulare un'idea precisa.

178 1 Non pubblicati.

179

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 8975/094. Washington, 2 luglio 1948 (per. il 7).

Riferimento a telegramma ministeriale n. 3841•

Non ho mancato di svolgere opportuni passi presso il Dipartimento di Stato in merito all'argomento della ripartizione degli aiuti del piano Marshall e alle dichiarazioni fatte da Harriman a Parigi secondo cui tale ripartizione rimaneva affidata all'O.E.C.E.

Ho tenuto a dichiarare al Dipartimento che mi rivolgevo al Dipartimento stesso e non all'E.C.A., perchè ritenevo che questo era un problema che avrebbe potuto avere in avvenire implicazioni politiche e che, in quanto tale, esso doveva essere trattato con la più seria attenzione da parte degli organi politici.

La prima reazione del Dipartimento alle apprensioni da me formulate è stata nel senso che non era intenzione americana lasciare all'O.E.C.E. l'ultima parola in merito alla ripartizione degli aiuti americani. Da parte del Dipartimento si è però fatto presente che si preferiva soprassedere qualche giorno per fornire una risposta a questa ambasciata in quanto il Dipartimento stesso desiderava esaminare accuratamente il problema con l'E.C.A. allo scopo di fornire informazioni esaurienti in proposito.

In un secondo colloquio avvenuto al Dipartimento (presente tra l'altro Labouisse che è ora stato nominato capo dell'ufficio di collegamento del Dipartimento di Stato ed E.C.A.) è stato fatto presente quanto segue:

-il Governo americano ha sempre sperato che la ripartizione degli aiuti possa essere effettuata sulla base di un esame fatto dall'O.E.C.E. e di un programma in cui gli interessi dei vari paesi vengano opportunamente armonizzati dagli europei stessi.

-È appunto alla base del piano Marshall il perseguimento di una simile cooperazlOne.

-Nell'effettuare tale ripartizione l'O.E.C.E. dovrà mantenere costante contatto con il gruppo Harriman a Parigi, il quale avrà tra l'altro il compito di agevolare a che la ripartizione degli aiuti avvenga su basi obiettive e senza che si verifichino sperequazioni a danno di alcuni paesi.

La decisione finale degli aiuti dovrà però venir presa in ultima istanza dagli uffici centrali dell'E.C.A. Il Dipartimento ha lasciato intendere al riguardo che, pur desiderando il massimo sforzo di cooperazione da parte degli europei, e pur intendendo incoraggiare tale sforzo, il Governo americano non può lasciare agli europei l'ultima parola sul modo con cui verranno definitivamente distribuiti gli aiuti che esso stesso provvede.

Sarà sempre in definitiva l'E.C.A. di Washington quello che dovrà prendere la decisione finale. A tale riguardo il Dipartimento ha osservato che ciò è anche reso necessario dal fatto che solo l'E.C.A. di Washington è in grado di essere continuamente e completamente aggiornata sulle disponibilità del mercato americano, sulle possibilità dell' offshore, in relazione anche con i contatti con gli altri dipartimenti americani, in particolare con quello del commercio.

Il Dipartimento ha anche assicurato che la posizione de li'Italia era tenuta particolarmente presente e che era ampiamente noto il notevolissimo contributo da essa dato alla formazione deli'O.E.C.E. ed ai lavori di tale organizzazione. Il Governo italiano poteva quindi contare sull'appoggio del Governo americano nel caso in cui nella fase della ripartizione da parte dell'O.E.C.E. si verificassero orientamenti a danno d eli' Italia.

Riferisco con rapporto a parte2 in merito ad altre considerazioni svoltemi m questi ambienti in merito all'attuazione del piano E.R.P.

179 1 Vedi D. 128.

179 2 Non pubblicato.

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IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4 70 l/884. Trieste, 2 luglio 1948 (per. il 3).

La recente sconfessione dei maresciallo Tito da parte del Cominform è stata accolta, naturalmente, con enorme interesse negli ambienti triestini.

Ci si è subito domandato quali potranno essere gli sviluppi che il conflitto fra Mosca e Belgrado sarà per avere sulla questione della Venezia Giulia da un lato, e sulla situazione interna triestina dall'altro. Negli ambienti istriani, come in quelli dei partiti italiani, si è sperato che la situazione, nella sua evoluzione, possa consentire, anche attraverso a soluzione drammatiche ed imprevedibili, la realizzazione delle speranze di un pronto ritorno delle terre istriane, o quanto meno della Zona B, all'Italia, o, per il momento, all'amministrazione alleata. E si sono rivolti all'O.N.U. gli appelli di cui accludo il testo (all. I, II, III)1 , miranti a chiederne l'intervento a favore di quelle popolazioni istriane sacrificate ad un nazionalismo che ora lo stesso Cominform sconfessa. E si sono attese, si può dire di ora in ora, notizie circa lo sviluppo degli eventi nella vicina Jugoslavia.

Contrariamente alle previsioni di molti, la situazione nei territori della vicina Repubblica jugoslava appare tuttavia calma, né vi sono per ora sintomi che lascino in alcun modo prevedere, almeno per quanto riguarda le zone limitrofe, un crollo della attuale amministrazione jugoslava.

A prescindere dalle interpretazioni che sono state date localmente circa le origini ed il significato della condanna del nazionalismo jugoslavo contenuta nella risoluzione presa dall'Ufficio informazioni dei partiti comunisti e per non accennare alle illazioni in vario senso che vengono fatte circa la possibilità che l'U.R.S.S. possa, o meno, assumere, nella nuova situazione, un diverso atteggiamento in relazione alla proposta tripartita per la restituzione dei Territorio Libero all'Italia, gli ambienti di questo Governo militare alleato, che peraltro non appaiono particolarmente informati, sembrano escludere, allo stato attuale delle cose, l'eventualità di prossimi rapidi sviluppi della questione sul piano diplomatico.

Del resto è questa ormai, più o meno, dopo l'ansiosa attesa dei primi giorni, l'opinione anche degli ambienti giornalistici triestini, che ha trovato la sua eco nel Giornale di Trieste di stamane (ali. IV).

Non meno interessanti o meno ipotetiche sono state le ripercussioni della dichiarazione del Cominform sulla situazione dei partiti di sinistra triestini. Questi, come era stato accennato col telespresso n. 4558/856 del 25 giugno scorso2 , stavano proprio cercando di uscire da un punto morto in cui gli eventi degli ultimi mesi li avevano posti. E la formula prescelta, che Branko Babic aveva annunziato in seno al

l RO 1 Gli allegati non si pubblicano. 2 Non pubblicato.

2° Consiglio generale dall'U.A.I.S. il 20 giugno u.s., era stata il passaggio dalla difesa incondizionata del principio indipendentista alla dichiarazione che, ove le circostanze lo imponessero, la Jugoslavia non avrebbe mancato di riavanzare le sue rivendicazioni su Trieste, rivendicazioni che, per amore della pace, aveva provvisoriamente accantonate. Proprio questa affermata coincidenza dei fini dell'U.A.I.S. con quelli jugoslavi veniva messa in pericolo nel volger di pochi giorni dalla scomunica pronunziata dal Cominform nei confronti di Tito: scomunica qui tanto più sensibile in quanto, come è stato rilevato, il nome di Tito era a Trieste il simbolo del <<nuovo ordine», al punto che i comunisti ed i seguaci deli'U.A.I.S. erano comunemente designati col nome di titini.

Chiunque scorra gli articoli del Primorski Dnevnik e del Lavoratore che accludo, (ali. V-VIII) potrà rendersi conto delle difficoltà in cui gli organi comunisti si sono trovati per giustificare alle masse la caduta dell'idolo ed il conseguente ripiegamento sulla tesi indipendentista. Tali difficoltà sono documentate, ancor più che dalle informazioni che i giornali di destra hanno riportato, dagli stessi richiami del Lavoratore in merito all'urgente necessità di «attivizzare» le cellule, rendendole coscienti della opportunità di non infrangere il fronte operaio ed in merito al dovere dei veri comunisti di opporsi ali' opera disgregratrice di persone che da tempo non facevano più parte del partito.

Quanto alle ragioni dello schieramento ufficiale dell'U.A.I.S. contro il comunismo jugoslavo, corre voce a Trieste che il merito sarebbe da attribuirsi all'on. Pajetta, transitato per questa città il 29 corrente proveniente da Belgrado. Comunque sia, questa non può essere che una causa occasionale. La vera causa sta piuttosto nella convinzione che, prima o poi, Belgrado dovrà piegare dinanzi a Mosca.

È certo d'altra parte che l'energica reazione del maresciallo Tito ha rianimato i suoi fedeli di Trieste: ed è evidente che si deve al desiderio di dimostrare che, nonostante tutto, la «base» ha seguito i suoi capi, la pubblicazione di risoluzioni di varie cellule che proclamano la loro fedeltà al Cominform e denunziano gli errori dei comunismo jugoslavo. Una scissione si sta quindi, con maggiore e minore evidenza, delineando delle file dell'U.A.I.S. È forse troppo presto per dire se essa vedrà in un campo comunisti italiani e nell'altro comunisti slavi: Gasperini contro Babic. Forse sarebbe più giusto affermare che essa metterà da un Iato e dall'altro della barriera i comunisti che credono, o meno, alla sopravvivenza del regime di Tito.

Ad ogni modo, già ora possono essere rilevate importanti conseguenze: anzitutto la scissione dei comunisti della Zona A da quelli della Zona B del Territorio, scissione di cui è prova il divieto di importazione in !stria dei giornali comunisti triestini; in secondo luogo, la fine, nell'attuale situazione, dell'appoggio morale e finanziario che la Jugoslavia aveva dato in questi anni ali 'Unione antifascista italo-slovena (ed è questo, senza dubbio, il lato più interessante della cosa, lato di cui non si dovrà mancare di tener conto nella valutazione degli sviluppi interni della questione triestina).

Si tratta, per il momento, di tendenze, più che di fatti netti ed irrevocabili: ma sono tendenze che non converrebbe ignorare. Esse rendono più difficile la situazione attuale deii'U.A.I.S., il cui prestigio proprio negli ultimi giorni ha ricevuto una nuova scossa in seguito alle condanne inflitte dalla Corte alleata ai redattori del Primorski Dnevnik ed in seguito al successo dello sciopero generale indetto dalla Camera confederale del lavoro di Trieste.

Quanto alla situazione nella Zona B, essa appare, pur attraverso a qualche episodio di spiegabile ed umana incertezza, sostanzialmente calma. Voci di epurazione di gerarchi comunisti non sono state confermate. Hanno avuto anzi inizio, secondo le migliori tradizioni, manifestazioni di fedeltà al Maresciallo.

Sintomatico, d'altro canto, è il silenzio dell'indipendente filo-comunista Corriere di Trieste, e la presa di posizione, sostanzialmente conforme alle attuali direttive uaisine, dell'organo indipendentista Trieste-Sera che peraltro sorvola sull'avvenimento (ali. IX).

181

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 7702/65. Roma, 3 luglio 1948, ore 4.

All'indomani stesso della guerra-come le è noto-e malgrado il peso grave di strascichi da essa lasciato nei rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia da una parte per l'occupazione militare e le sue conseguenze e dall'altra per le sofferte mutilazioni, è stata nostra cura precipua, cercare di normalizzare i rapporti stessi. I nostri sforzi in tal senso vennero intensificati appena furono ristabilite relazioni diplomatiche col Governo di Belgrado ed è sempre stata nostra convinzione che sia possibile raggiungere pienamente l'intento con reciproca buona volontà e col tempo. È in questo ordine di idee che con la Jugoslavia abbiamo concluso noti importanti accordi commerciali, promosso la reciproca amnistia per i detenuti e concordato la restituzione dell'oro; attualmente una nostra commissione di tecnici travasi in Jugoslavia per l'applicazione clausole annesso 14 trattato di pace, mentre per le restituzioni previste dali 'art. 45 del trattato una commissione jugoslava travasi in Italia; e, a richiesta di Belgrado, proprio in questi giorni abbiamo aderito a fare un nuovo tentativo per la delimitazione della frontiera nonostante che fosse già stata iniziata la procedura per il ricorso ai Quattro.

Oltre che dal fine evidente di stabilire rapporti di pacifica e fiduciosa convivenza fra i due popoli adriatici, nel perseguire tale politica siamo stati sempre ispirati anche dal concetto che una distensione progressiva di tali rapporti avrebbe potuto soltanto giovare, in un più vasto quadro, al consolidamento delle relazioni fra l'U.R.S.S. e l'Italia. E ciò riteniamo ancora oggi nonostante gli avvenimenti recenti i quali, per ovvie ragioni anche di vicinanza politica, vengono peraltro seguiti con particolare interesse e sensibilità dall'opinione pubblica italiana.

Converrebbe che queste considerazioni venissero lasciate cadere con Zorin o chi per esso, a titolo personale ed in via di conversazione, anche per osservare la loro reaziOne eventuale e trarre possibilmente da essa qualche indicazione per nostro orientamento1• Durante il mio odierno discorso alla Camera2 ho dichiarato di esser sicuro che l'U.R.S.S. non vuole la guerra ed ho manifestato il vivo desiderio che si giunga ad una distensione fra i paesi de li'Europa.

182

IL MINISTRO A BERNA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8832/119-120. Berna, 3 luglio 1948, ore 21,02 (per. ore 7,45 del 4).

Voci qui pervenute lascerebbero prevedere una azione militare russa contro Peloponneso a brevissimo termine.

Da informazioni confidenzialmente fornitemi da ambienti ufficiali risulta che qualche tempo fa avrebbe avuto luogo convegno rappresentanti di paesi blocco orientale con maresciallo Talboukin scopo escogitare possibilità eventuale azione militare contro Grecia. Tale azione avrebbe dovuto essere subordinata ad intensificazione preparazione militare e regolamento questione Macedonia. Regolamento proposto dall'U.R.S.S. per quest'ultima sarebbe stato nettamente favorevole alla Bulgaria in cambio compensi offerti alla Jugoslavia in Albania o a Trieste e avrebbe provocato reazione maresciallo Tito aggravando esistente contrasto con Dimitrov, appoggiato dall'U.R.S.S. Fra motivi attuale tensione accennasi anche a tentativi di Tito per Federazione balcanica capace far valere certa autonomia confronto Russia. Sbarchi materiale bellico russo avvenuti recentemente Durazzo pongonsi in relazione eventualità azioni militari. Risulta inoltre che Governo sovietico avrebbe chiesto al Governo ungherese disponibilità ingente numero vagoni ferroviari per trasporto truppe.

Informazioni altra fonte fanno risalire azione russa a notizie pervenute Governo sovietico di contatti che rappresentante diplomatico americano avrebbe avuto con autorità jugoslave per restituzione oro ed aiuti finanziari, con la promessa che gli

U.S.A. avrebbero provveduto restituzione suddetta al primo cenno politica jugoslava indipendenza.

Ambienti locali ritengono inoltre che una maggiore pressione sovietica su Berlino accompagnerebbe azione contro il Governo jugoslavo.

2 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, I, seduta del 2 luglio 1948, pp. 816

181 1 Con T. 9542/231 del 17 luglio Brosio comunicò di aver parlato con Zorin e che questi aveva risposto trattarsi solo di avvenimenti interni jugoslavi e che quindi la politica estera dell'U.R.S.S. nei riguardi della Jugoslavia sarebbe rimasta immutata.

183

LA COMMISSIONE NAVALE DELLE QUATTRO POTENZE AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 71/M. Roma, 3 luglio 1948.

La Commission Navale des Quatre Puissances agissant au nom des Ambassadeurs des Etats-Unis d'Amérique, de la France, du Royaume Uni de Grande Bretagne et d'Irlande du Nord, et de l 'Union des Républiques Soviétiques Socialistes, a l'honneur d'attirer l'attention du Ministère des Affaires Etrangères sur la lettre adressée le 7 février 1948 1 par les Ambassadeurs susnomés au Ministre des Affaires Etrangères d'ltalie, demandant au Gouvemement italien de prendre immédiatement Jes mesures nécessaires pour exécuter sans plus de retard les dispositions de l'art. 57 du Traité de Paix.

La Commission rappelle qu'à la suite des décisions prises par les Gouvemements des Etats-Unis et du Royaume Uni conformément au paragraphe 2 (b) du Protocole des Quatre Puissances, et à la suite de la renonciation de la France au remplacement du «Panigaglia», le nombre total des navires italiens devant ètre transférés aux termes de l'art. 57 du Traité de Paix s'est trouvé réduit à 107 unités.

Le Répresentant du Gouvemement italien auprès de la Commission a déclaré (à la séance du li Décembre 1947) que dès le 19 Novembre 1947 le Gouvemement italien connaissait parfaitement les noms des navires à transférer, que !es études préliminaires avaient été faites et que les contrats pour la remise en état des navires étaient en voie d'élaboration.

Il incombait donc uniquement au Gouvemement italien, à partir de cette date (19 Novembre 1947), de prendre les mesures nécessaires pour la préparation des navires au transfert selon l es dispositions de l'art. 57 du Traité.

Si ces mesures avaient été prises alors, d'après ]es renseignements foumis par le Gouvemement italien, plus de 80 batiments auraient été déjà transférés à ce JOUr.

La Commission constate que deux unités seulement ont été transférées et qu'aucun tra vai l de remise en état n'a été commencé sur l es bàtiments nécessitant des réparations.

La remise en état de certaines unités figurant à l'Annexe XII B. qui sont à transférer a fait l'objet d'une renonciation de la part de la France et de la Yougoslavie ( demande du Délégué de la France en date du 17 F évrier 1948 et demande du Représentant yougoslave en date du 17 Mars 1948); maintenant l'Union Soviétique renonce à la remise en état de 33 unité et la France à la remise en état de la totalité des unités qui lui sont allouées. La Commission estime que aucune raison valable ne peut ètre alléguée pour retarder le transfert de ces bàtiments et, usant des pouvoirs qui lui sont conférés par l'art. 57, paragraphe l (c) et 2, fixe pour leur livraison les demiers délais suivants:

-pour la demande yougoslave: 20 Juillet 1948; -pour les 33 bàtiments sovietiques et la totalité de la part française: 15 Aoùt 1948.

En ce qui concerne tous les autres bàtiments à transférer, la Commission, en vue d'apporter toute l'aide possible pour sortir de cette situation peu satisfaisante, propose que le Gouvemement italien prenne d'urgence les mesures suivantes:

a) Pour déterminer la condition technique des bàtiment à transférer, ainsi que pour accepter en première analyse ces navires et les accompagner au Port de Transfert définitif, les Gouvemements des Puissances Bénéficiaires enverront très prochainement en Italie leurs Observateurs et Spécialistes, conformément aux règles établies par le Commission Navale. En conséquence, le Gouvemement italien devra donner avant le 8 Juillet 1948 des instructions aux Ambassades et Légations italiennes intéressées 2 pour qu'elles délivrent aux Observateurs susmentionnés les visas d'entrée cn Italie, dès que la demande en sera faite par la Puissance intéressée; de plus, il faudra que les Ambassades et Légations en question soient autorisées à délivrer des visas aux Spécialistes quand ceux-ci seront appelés conformément aux Méthodes Générales de transfert.

b) Après que l es navires auront été examinés par l es Observateurs, envoyer au Port de Transfert définitif les bàtiments des Puissances Bénéficiaires qui seront désignés par la Commission Navale des Quatre Puissances conformément aux suggestions faites par les Représentants de la Puissancc Bénéficiaire. Ces bàtiments devront étre envoyés au plus tard 15 jours aprés que ils auront été désignés.

c) Les bàtiments qui ne seront pas désignés com me il est di t au point b) ci-dessus devront ètre immédiatement mis en réparation et préparés pour le transfert conformémcnt aux recommandations déjà données par la Commission.

Le Gouvemement italien a fait savoir à la Commission que certains des navires figurant à l'Annexe XII-B, y compris les Dragueurs de Mines, sont encore utilisés à des fins autres que l'exécution des termes de l'article 57 du Traité, malgré les recommandations données par les Quatre Ambassadeurs dans leur lettre du 7 Février 1948.

La Commission insiste pour que tous !es batiments de l'Annexe XII-B devant ètre transférés, soient immédiatement retirés des opérations et soient groupés dès maintenant aux endroits désignés pour leur préparation au transfert. La Commission désire, en outre, que !es Observateurs des Puissances Bénéficiaires, mentionnés cidessus, aient libre accès aux navires, à quelque endroit qu'ils se trouvent et que leur préparation au transfert soit commencée ou non.

La Commission souhaite que ces dispositions, qu'elle demande au Gouvernement italien de prendre suivant !es recommandations faites par !es Quatre Ambassadeurs, soient promptement mises à exécution et désire en ètre informée par le Représentant italien auprès de la Commission3 .

183 1 Non pubblicata.

183 2 Nota del documento: «Le Gouvemement Albanais désire, en ce qui le concerne, que la Légation italienne désignée soit celle de Belgrade».

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IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1240. Belgrado, 3 luglio 1948 (per. il 7).

Nel mio rapporto inviato a VE. il 14 marzo u.s. 1 avevo l'onore di affacciare, contro una diffusa opinione, alcuni dubbi sulla solidità del blocco orientale, con particolare riguardo alla politica che stava svolgendo la Jugoslavia, e, successivamente, in data 7 giugno u.s. 2 , informavo sulla crisi politica e sociale che la Jugoslavia stava attraversando.

A poca distanza di tempo è intervenuta la risoluzione del Cominform che ha rivelato l'esistenza nel blocco orientale di un contrasto di una gravità superiore a quella che poteva prevedersi.

La procedura e i termini con cui i partiti comunisti aderenti al Cominform sono giunti alla condanna della politica dei dirigenti del partito comunista jugoslavo, che è in sostanza la politica del Governo, sono di una tale eccezionalità da muovere a profonde riflessioni, non soltanto sulle origini e gli sviluppi della presente situazione, ma altresì, per quanto non sia qui il caso di farlo, sulla solidità di un sistema comunista internazionale, qualora i singoli Stati non intendano abdicare alla loro indipendenza ed alla loro autodecisione.

L'esistenza di un contrasto tra la Russia e il Cominform da una parte ed il Governo jugoslavo dall'altra si era manifestata in questo ultimi tempi, principalmente attraverso due fatti: rifiuto della Russia a che la Conferenza danubiana si tenesse a Belgrado dopo che era stata la Russia stessa a proporlo, e pubblicazione sull'organo del Cominform che si stampa a Belgrado, in data 15 giugno, di un articolo di fondo, senza firma, nel quale si esaltava l'autocritica in seno al partito come arma potente

2 Vedi D. l 00.

dei partiti comunisti e operai; si elogiavano i partiti comunisti francese e italiano che si erano sottomessi al giudizio e alle decisioni del Cominform, riconoscendo i loro errori del passato; e si concludeva con le parole di Lenin che «tutti i partiti rivoluzionari che sono periti, sono periti perché si abbandonavano alla presunzione e non sapevano vedere quello che dava a loro forza e temevano di parlare delle proprie debolezze», aggiungendo inoltre che questo importante insegnamento di Lenin è dimenticato e violato da chiunque si ostina a non riconoscere i suoi errori e non si accorge, nell'incenso dell'adulazione e delle lodi esagerate, dei gravissimi difetti del proprio lavoro.

Anche a chi era sfuggito prima, è ora evidente chi fosse il destinatario del rimprovero. Ma, per quanto il cielo fosse grigio, il fulmine del Cominform è giunto improvviso ed inaspettato per l'ampiezza degli obbiettivi che ha colpito.

Le prime notizie, giunte attraverso le trasmissioni radio di lunedì sera, erano particolarmente allarmanti e potevano far pensare ad un improvviso cambiamento della situazione: si riteneva infatti che il comunicato del Cominform contenesse un appello per il rovesciamento del Governo. Senonché, la tranquillità che nella capitale, dopo il primo allarme, seguì all'annuncio, fece pensare che il comunicato del Cominform, per quanto grave, non tendesse per lo meno ad un'azione di forza.

Finalmente, verso la sera del giorno dopo, se ne conobbe il testo che, per quanto grave, dava la sensazione che l'azione proposta dal Cominform ai comunisti jugoslavi dovesse promuoversi in seno al congresso del partito comunista, che, come è noto, inizierà i suoi lavori il 21 luglio.

Il documento del Cominform è, tuttavia, nella sua sostanza, eccezionalmente grave, perché costituisce una scomunica sugli attuali dirigenti comunisti che sono anche i dirigenti del Governo, ivi compreso il maresciallo Tito che si tendeva qui ormai a considerare un mito e che, comunque, sembrava riassumere in sé tutte le forze del regime.

I veri motivi della decisione del Cominform sembrano abbastanza chiari: i dirigenti del partito comunista jugoslavo non soltanto hanno cercato di sottrarsi alla disciplina che loro era imposta quali membri del Cominform, ma essi cercavano di fare una politica di non sufficiente sottomissione alla Russia. Non ci possono essere, ad un tempo, due uomini che «hanno sempre ragione». Tito, invece, a differenza degli altri capi dei Governi dei paesi satelliti, tendeva ad avere sempre ragione e ad imporsi, parallelamente a Stalin, alla attenzione degli altri paesi balcamct.

Gli accenni del comunicato circa la presunzione, la megalomania ed il satrapismo dei dirigenti jugoslavi dimostrano a sufficienza l'irritazione russa e del suo organo, il Cominform, mentre la denuncia da parte del Cominform di pretese deviazioni jugoslave dalla linea ideologica comunista, sembrano piuttosto motivi polemici per poter gettare lo scompiglio nelle file dei comunisti in questo paese.

È noto infatti che nei vari Stati che si trovano nell'orbita della Russia, la dottrina comunista viene applicata in tempi e modi diversi e che, ad esempio, l'assoluta collettivizzazione delle terre che si rimprovera alla Jugoslavia di non avere ancora fatto, non è stata affatto ancora attuata negli altri paesi.

Pertanto ciò che più colpisce nel comunicato sono i due punti, in cui si accusano i dirigenti jugoslavi di aver fatto una politica autonoma e indipendente dalla Russia e di condurre una politica nazionalista. La Russia non ha tollerato oltre questa politica di indipendenza, questa ribellione alla sua volontà.

Ma perché la Jugoslavia ha cercato di scuotere il giogo?

Non soltanto per fierezza di individui e di interessi nazionali, che pure giocano molto, dato il temperamento jugoslavo, ma perché la Jugoslavia aveva dovuto subire la volontà della Russia in parecchie circostanze di notevole importanza. È noto, fra l'altro, che la Jugoslavia, per pressione russa, dovette accettare il trattato di pace e che il piano Marshall che il Governo jugoslavo stava per accettare fu respinto, a nome della Jugoslavia, dalla radio di Mosca. Si aggiunga che il Governo jugoslavo, deciso a realizzare il piano quinquennale e, non trovando sufficienti possibilità per la sua realizzazione nel seno dei paesi del blocco orientale, si é indotto a concludere tutta una serie di accordi commerciali con i paesi occidentali, che l'hanno obbligata ad esportare molti dei prodotti che avrebbero potuto essere utili ai paesi amici di democrazia progressiva. Ebbi occasione, a suo tempo, di ricordare, ad esempio, che la Jugoslavia ha esportato zucchero in Italia, mentre esso mancava e manca tuttora quasi completamente in Bulgaria.

D'altra parte la Russia non soltanto non ha potuto oltre toiierare questa politica di indipendenza che tendeva, fra l'altro, a costituire una federazione di Stati sul suo fianco, ma molto probabilmente è stata anche sensibile alle lamentele dei partiti comunisti di altri Stati.

Perché il Cominform ha accusato la Jugoslavia di nazionalismo? Soltanto perché essa svolgeva una politica di egoismo nazionale non curandosi degli interessi degli Stati amici, o non anche perché il partito comunista italiano si sarà lamentato della politica jugoslava rispetto al problema di Trieste, che ha in parte pregiudicato la campagna elettorale del Fronte popolare in Italia? O perché il partito comunista austriaco si sarà lamentato delle pretese jugoslave sulla Carinzia e quello bulgaro delle manifeste aspirazioni jugoslave sulla Macedonia bulgara, e quello albanese della soggezione in cui la Jugoslavia teneva l'Albania?

Sta di fatto che lo scopo ultimo del documento è stato quello di colpire a morte gli attuali dirigenti jugoslavi, al punto di servirsi di armi che erano sulla bocca e nella mente dell'attuale opposizione «borghese» jugoslava.

Senonché la violenza e l'asprezza dell'attacco non ha sconcertato i dirigenti jugoslavi.

Nel pomeriggio di martedì il giornale della sera Glass reagiva indirettamente al comunicato del Cominform, attraverso una lettera indirizzata dai lavoratori della «Nuova Belgrado» al comitato esecutivo centrale del partito comunista. In tale lettera si diceva in sostanza che le direttive del compagno Tito erano sempre state ispirate dalla dottrina di Marx, Engels, Lenin e Stalin e che essi intendevano continuare su quelle direttive, sviluppando l'autocritica e l'internazionalismo. Sembrava in quella lettera che si volesse affermare che il partito comunista jugoslavo aveva seguito la via giusta e che pertanto erano infondate le critiche del Cominform, e, che, comunque, per l'avvenire si intendevano seguire i principi di autocritica e di internazionalismo esaltati nel comunicato stesso.

A poca distanza dalla pubblicazione di questa lettera, esattamente a ventiquattro ore dalla conoscenza del comunicato del Cominform, è venuta la risposta ufficiale del comitato esecutivo del partito comunista jugoslavo in tono fermo e talora violento.

La lettura della risposta jugoslava fatta alla radio è durata esattamente dalle 20 alle 21, ora locale.

La risposta è stata una netta presa di posizione rispetto alle accuse formulate dal Cominform: si sono smentiti fatti e apprezzamenti, si è giustificato l'arresto dei due ministri Zujovich ed Hebrang, si è in sostanza respinto tutto il contenuto delle decisioni del Cominform, criticando anche vivacemente la procedura che aveva portato alla riunione di Bucarest.

E, mentre il comunicato Cominform concludeva con un appello ai membri del partito comunista jugoslavo di rimettere sulla giusta via gli «scomunicati» o di rovesciarli, in quello jugoslavo si è fatto appello ai comunisti, perché si stringano intorno ai loro capi attuali.

E, !ungi dal contenerli, si sono voluti, da parte jugoslava, allargare i termini della divergenza quali erano emersi, rendendo nota la documentazione dei precedenti della crisi, ivi compresa la lettera del Comitato esecutivo del partito bolscevico russo che in antecedenza era stata inviata al Comitato centrale del partito comunista jugoslavo, e che colpisce profondamente l'orgoglio nazionale del nuovo regime, svalutando la lotta di liberazione. Lettera nella quale si afferma che la Jugoslavia fu liberata dalle armate russe, che l'apporto dei partigiani jugoslavi fu limitatissimo e, comunque, non superiore a quello degli altri paesi del blocco, ivi compresa l'Albania. Non si poteva mortificare più di così un regime che nella propaganda all'estero e sopratutto alla Conferenza della pace ha fondato le sue richieste sopratutto sull'eccezionale apporto jugoslavo alla vittoria alleata. Se la Jugoslavia si è indotta a pubblicare una tale lettera, è evidente che essa ha ivi trovato il motivo più solido e producente per galvanizzare i gregari partigiani e stringerli così intorno a Tito e al regime.

La presa di posizione jugoslava nei confronti del comunicato del Cominform è anche riflessa da altri due documenti: risposta al partito dei lavoratori bulgaro (partito comunista); programma del partito comunista jugoslavo che sarà sottoposto alla discussione nel prossimo congresso del partito.

Nella prima si polemizza ancora indirettamente e ulteriormente contro il comunicato Cominform e si rileva l'assurda contraddizione esistente tra la presa di posizione del Comitato esecutivo del partito comunista bulgaro a favore del comunicato Cominform ed il comunicato del Governo bulgaro nel quale si afferma di volere continuare la politica di amicizia e di collaborazione con la Jugoslavia. Nella risposta jugoslava si mette in chiaro che non è possibile essere -al tempo stesso -in disaccordo col partito e in accordo per una politica di amicizia, perché in Jugoslavia partito, Fronte popolare, Governo, paese, Tito, sono una cosa sola.

Nel programma del partito è notevole l'affermazione che la Repubblica federativa popolare è stata creata con enormi sacrifici dei suoi popoli nell'eroica lotta condotta contro i conquistatori stranieri e locali, e che il partito comunista inflessibilmente lotterà contro ogni tentativo imperialista che in qualsiasi forma mirasse a sottomettere la patria socialista dei popoli jugoslavi.

In tale programma è contenuta una affermazione ancora più sorprendente, perché, dopo aver indicato quale fine fondamentale il consolidamento e l'ulteriore collaborazione completa e stretta con i paesi democratici progressivi, aggiunge che la Jugoslavia si propone una collaborazione pacifica con tutti i paesi che desiderano collaborare con lei sulla base del rispetto della sua indipendenza e nel quadro dei principi espressi nello Statuto dell'O.N.U. affermando infine «la più stretta collaborazione con la Repubblica popolare bulgara e con la Repubblica albanese» e la necessità di lavorare «in tutti i settori per l 'unione dei popoli bulgaro e albanese con i popoli jugoslavi sul principio della eguaglianza nazionale». Si ribadisce cioè, ancora una volta, l'idea federativa che è già stata respinta dalla Russia.

Quale può essere lo sbocco della situazione che si è creata improvvisamente, dato l'atteggiamento assunto dalle due parti? Si è avuto notizia che in seno al partito comunista jugoslavo si andrebbero formando due correnti nettamente opposte, in favore e contro gli attuali dirigenti.

Le ipotesi che potevano farsi, erano principalmente due:

l) che i dirigenti jugoslavi facessero atto di sottomissione e promettessero di seguire la via imperativamente segnata dal Cominform; 2) che i dirigenti jugoslavi mantenessero il loro rigido atteggiamento, sostenendolo al congresso del partito.

Si poteva anche formulare una terza ipotesi intermedia e cioè che, data la sua popolarità, si giungesse a salvare Tito, sacrificando invece i suoi collaboratori Kardelj, Rankovic e Djilas.

Senonché la prima ipotesi sembra ormai diventata improbabile, sia per il fermo e violento atteggiamento assunto nella risposta al comunicato del Cominform, sia perché in questi ultimi giorni attraverso le altre dichiarazioni e attraverso la stampa si è manifestata la decisa volontà di sostenere non soltanto Tito, ma altresì l'attuale Comitato esecutivo del partito.

La terza ipotesi che potrebbe essere una soluzione di compromesso sembra anch'essa improbabile, perché Tito, oltreché mantenersi al potere discreditato presso i capi comunisti degli altri paesi e presso lo stesso suo partito, si troverebbe anche solo e per giunta in diffidenza da parte della Russia. Sembra piuttosto verosimile che ormai si arrivi senza mutamenti al congresso dove le due parti opposte dovrebbero darsi battaglia.

Ma si arriverà al congresso? Questo è il punto delicato della questione. Infatti nel periodo che ci separa ancora dal congresso (21 luglio), le due correnti, di cui una molto probabilmente aiutata da agenti russi «lavoreranno» alla base; e molto probabilmente, prima di arrivare all'inizio del congresso, l'una e l'altra corrente avranno modo di rendersi conto delle possibilità di successo.

E allora non sarebbe da escludere che la parte che si vedesse condannata all'insuccesso potrebbe favorire una soluzione di forza onde non restare soccombente.

Ma, mentre è immaginabile la soluzione cui potrebbero ricorrere gli attuali dirigenti jugoslavi, se si vedessero condannati all'insuccesso, e cioè rinvio sine die del Congresso comunista, riesce più difficile intravvedere quale potrebbe essere una soluzione di forza dalla parte opposta. Tale soluzione non potrebbe infatti essere che una soluzione violenta e cioé una vera insurrezione, che sembra molto improbabile, dati i mezzi a disposizione dell'attuale regime (bisogna ricordare che in questo momento Tito ha in mano stampa, esercito e polizia), in confronto di quelli dei suoi avversari, e dato che non appare affatto probabile un intervento armato russo che condurrebbe ovviamente a complicazioni internazionali di notevole portata.

La situazione resta pertanto seria, oscura e, sotto molti aspetti, misteriosa. Al momento attuale sembrerebbe che Tito e i suoi compagni possano avere il sopravvento anzi non è improbabile che attraverso una ben «organizzata» preparazione la opposizione, intimidita, svanisca dinnanzi a una trionfale «unanimità» per Tito. Ma d'altra parte resta inesplicabile come il Cominform e praticamente la Russia abbiano iniziato un passo tanto grave che ha portato alla condanna di Tito e del suo Governo da parte di tutti i paesi del blocco orientale, per poi fermarsi a mezza strada, lasciando la vittoria sia pur momentanea, agli «scomunicati». Tralascio di riferire alcuni dei commenti che circolavano e circolano in questi ambienti diplomatici, forse troppo sottili e troppo intelligenti: dalla opinione che Tito stesse per chiedere l'immediato aiuto degli Stati occidentali e in particolare dell'America, a quella che si tratti di tutta una messa in scena concordata per confondere astutamente le idee agli occidentali, a quella infine che si tratti semplicemente di una questione di disciplina di partito, agevolmente riconducibile nel quadro dell'obbe

dienza. A mio modesto avviso il contrasto esiste ed è profondo. Tito e i suoi compagni non hanno -se proprio non vi fossero costretti da

situazioni estreme -alcuna intenzione di appoggiarsi ai paesi occidentali, né di staccarsi dal blocco orientale.

Essi vogliono soltanto continuare sulla strada della loro politica di cui non intendono ammettere errori o deviazioni. Soltanto azioni di forza potrebbero spingere gli attuali governanti jugoslavi a battere, loro malgrado, vie che, sole, potrebbero loro restare per conservare il potere.

Per ora non vi è che da seguire attentamente la situazione, senza abbandonarsi a superficiali previsioni, tenendo sopratutto conto del particolare temperamento e delle improvvise reazioni e manifestazioni della mentalità slava.

Vale la pena di segnalare che di fronte agli avvenimenti, sopratutto inattesi da parte del popolo jugoslavo, questi dapprima si è cullato nella illusoria speranza che il comunicato del Cominform segnasse la fine del regime, speranza mortificata subito dalla immediata riflessione che, qualora il Cominform raggiungesse il suo scopo, il popolo cadrebbe in sostanza «dalla padella nella brace». Onde la popolazione, in definitiva, ha seguito le vicende piuttosto pigramente. È probabile che la resistenza di Tito alle pretese russe abbia ora suscitato una qualche speranza in un eventuale successivo necessario appoggio anglo-americano che potrebbe almeno dare al popolo jugoslavo qualche aiuto materiale nelle difficoltà in cui esso si dibatte.

183 3 Per la risposta vedi D. 198.

184 1 Del 13 marzo, vedi serie decima, vol. VII, D. 434.

185

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 9170/040. Londra, 5 luglio 1948 (per. il 10).

Mi risulta da informazioni confidenziali che sarebbero imminenti scambi di vedute tra Stati Uniti e Gran Bretagna per concordare un atteggiamento comune nel problema delle nostre ex colonie. Soltanto quando l'accordo fosse raggiunto il suo contenuto sarebbe esaminato con la Francia e quindi discusso al Gabinetto britannico. Per questo è indispensabile la massima segretezza da parte nostra.

Nonostante forte opposizione da parte del War Office del Colonia! Office e anche di qualche membro del Commonwealth, Attlee e Bevin sono tuttora convinti della opportunità d'impostare l'atteggiamento britannico nel modo a suo tempo accennatomi da Bevin (mio rapporto 495 del 23 marzo u.s.)1• Unico punto fermo negativo è quello della Cirenaica. Per Somalia ed Eritrea i dubbi sarebbero di carattere economico (difficoltà per l 'Italia di finanziarne le attività produttive) nonchè una certa apprensione in merito a possibili forti reazioni locali: per la Tripolitania resta vivo il timore di reazioni arabe.

Governo britannico preferirebbe che la soluzione che si potesse eventualmente concordare con gli Stati Uniti, specie per quanto riguarda la Tripolitania, venisse presentata all'opinione pubblica come proposta esclusivamente americana alla quale gli inglesi si associerebbero. Ciò in vista dei maggiori impegni e responsabilità britanniche nei confronti del mondo arabo.

Mi viene suggerito che in questa fase delicata della questione si cerchi da parte nostra di evitare inutili polemiche che accentuerebbero opposizione War Office e che si eviti di dare pubblica evidenza del nostro desiderio di inviare nelle ex colonie grossi contingenti di lavoratori italiani onde non provocare inutili apprensioni e reazioni popolazioni locali.

Data la delicatezza dell'attuale fase delle discussioni, ogni indiscrezione da parte nostra circa le notizie di cui al primo paragrafo del presente telegramma potrebbe avere serie conseguenze e involvere nostre responsabilità in caso di mancata soluzione soddisfacente del problema ex colonie. Lo stesso vale per il caso che da parte nostra si ignorino deliberatamente i consigli di cui al paragrafo precedente.

185 1 Non pubblicato.

186

IL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, SILIMBANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1871/158. Gerusalemme, 5 luglio 1948 (per. il 19).

Il testo completo delle proposte del mediatore conte Bemadotte sono state pubblicate stanotte. In sintesi esse comprendono: l) la suddivisione dell'intero territorio Palestina-Transgiordania, sul quale si estendeva il mandato britannico alle sue origini (1922), in due Stati indipendenti; 2) Gerusalemme inclusa nel territorio arabo con autonomia comunale per la comunità ebraica e speciali accordi per la protezione dei Luoghi Santi; 3) trasferimento del Negev -o di parte di esso -alla Transgiordania, in cambio della Galilea occidentale -in tutto od in parte -ceduta agli ebrei; 4) unione economica fra i due Stati e coordinamento, per mezzo di appositi organi, della loro politica estera e della loro difesa; 5) libera immigrazione per due anni nello Stato ebraico; 6) Caifa porto libero insieme alla zona terminale dell'oleodotto e sue istallazioni. Lidda, aeroporto libero.

Le p1ime reazioni presso il Governo e negli ambienti ebraici appaiono negative. Si lamenta la proposta di cedere Gerusalemme agli arabi, anziché fame una zona sotto controllo internazionale; si respingono le limitazioni previste per l'immigrazione dopo i primi due anni; si afferma che la politica estera e la organizzazione della difesa, comuni ai due Stati, cadrebbero, attraverso re Abdallah, nelle mani britanniche. Il progetto Bemadotte non sarebbe, in definitiva, che un piano dell'imperialismo britannico.

La risposta ebraica non può essere dunque che categoricamente negativa. La situazione militare consente la ripresa della lotta nelle migliori condizioni e la battaglia verrà ripresa con ogni decisione, con obbiettivo primo Gerusalemme per il suo possesso completo.

Non si conoscono ancora a Gerusalemme le reazioni arabe ma si presume che esse siano ugualmente negative. I combattenti arabi affermano di voler riprendere subito la lotta e già si notano a distanza di tre giorni dal termine della tregua sporadiche sparatorie che non lasciano presumere alcuna volontà di prolungare la tregua. Secondo gli arabi essa è stata particolarmente favorevole agli ebrei che hanno potuto intensificare i loro preparativi ed accrescere i loro armamenti.

Con queste prospettive la tregua giunge al suo termine e nonostante le proposte ultime del conte Bemadotte di prolungarla, onde permettere l'inizio di trattative, di dichiarare Gerusalemme città aperta, conferendo lo stesso carattere al porto di Caifa ed all'aeroporto di Lidda, si ritiene, in tutti gli ambienti, che venerdì prossimo le ostilità verranno ovunque riprese.

187

IL MINISTRO A BERNA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8955/123. Berna, 6 luglio 1948, ore 19,59 (per. ore 23).

Mio telegramma 1191 .

Ministro di Svizzera a Belgrado ha segnalato al Dipartimento politico alcuni motivi conflitto tra il Cominform ed il Governo del maresciallo Tito. Secondo tali informazioni conflitto sarebbe particolarmente dovuto:

l) dissensi sulla questione Macedonia;

2) rifiuto russo accordo credito in seguito fallimento piano quinquennale jugoslavo;

3) alle conseguenti trattative rappresentanti americani e Governo jugoslavo per sblocco oro ed aiuti finanziari; 4) a tentativi politica indipendente nei confronti U.R.S.S. da parte Tito accusato di tendenze nazionaliste e di pretese di giuocare ruolo in territori Balcani.

188

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8997/539. Washington, 6 luglio 1948, ore 24 (per. ore 13,30 del 7).

Mio 537 1•

Presieduta da sottosegretario Lovett, svoltasi stamane prima riunione circa speciali rapporti da stabilirsi tra Stati Uniti e paesi Unione Occidentale ed assistenza militare derivantene. Partecipato seduta oltre alcuni alti funzionari Dipartimento, ambasciatori Stati Unione tranne Lussemburgo cui unico agente a Washington partito da qualche giorno congedo, nonché rappresentanti Canada già segnalati2 .

Mantiensi finora speciale riserbo su discussione odierna. Queste vengono però ufficiosamente definite «preliminari», e secondo alcune confidenze avrebbero avuto per oggetto questioni procedurali e fissazione ordine del giorno lavori. Al riguardo tutte questioni che presentansi verrebbero suddivise due speciali categorie: politica e militare.

Si tratta dei noti «Exploratory Talks on Security», largamente documentati in Foreign Relations ol the United States, 1948, vol. III, Western Europe, Washington, United States Govemment Printing Office, 1974, pp. 148 e seguenti.

Questioni rientranti prima categoria si ridurrebbero essenzialmente modalità per giustificare e congegnare assistenza Stati Uniti ad Unione Occidentale.

Questioni militari comprenderebbero determinazione tipi e quantitativi armamenti ed equipaggiamenti americani necessari eserciti Unione Occidentale, nonché probabilmente standardizzazione materiale bellico.

Partecipazione rappresentanti canadesi dovuta a noti speciali accordi in vigore tra Stati Uniti e Canadà per difesa congiunta due paesi nonché per armi atomiche.

187 1 Vedi D. 182. 188 1 Pari data, con esso Tarchiani aveva comunicato che il Canada era stato invitato alle conversazioni ~reliminari sull'assistenza militare all'Unione Occidentale

189

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 9171/041. Londra, 6 luglio 1948 (per. il IO).

In un colloquio da lui sollecitato con un funzionario di questa ambasciata, il consigliere dell'ambasciata sovietica ha chiesto se il Governo italiano avesse dettagli circa la proclamazione dell'indipendenza della Cirenaica da parte del Senusso e circa il bando per le elezioni municipali in Tripolitania, questioni delle quali, a suo dire, aveva avuto conoscenza solo da fonti giornalistiche (rispettivamente una corrispondenza dal Cairo del 25 giugno e una Ansa da Roma del 27 giugno). Gli è stato risposto che la notizia dell'avvenuta proclamazione sembrava doversi attribuire ad un equivoco mentre quella delle elezioni risultava esatta, al che Saksin ha osservato che la B.M.A. della Tripolitania si ritiene evidentemente autorizzata a prendere iniziative che sorpassano le competenze di una Amministrazione temporanea di occupazione.

Saksin ha confermato che le consultazioni aggiuntive dei «paesi interessati» sulla base delle relazioni della Commissione d'inchiesta, dovrebbero esaurirsi entro il 25 corrente e che il l" agosto e comunque non più tardi del 15 i Supplenti dovrebbero presentare le loro raccomandazioni ai ministri. Prevede gravi difficoltà anche procedurali per la Libia in quanto i russi la vogliono discutere come una unica entità, appellandosi alla dizione letterale dell'art. 23 paragrafo l) del trattato di pace mentre gli altri tre vogliono esaminare separatamente Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Ha aggiunto che non ritiene i Supplenti possano essere competenti in vece dei Ministri e decidere sulla interpretazione da dare alla Dichiarazione quadripartita (Annesso Xl del trattato) per quanto riguarda posssibilità o meno dare esecuzione alle decisioni eventualmente concordate per una o più delle ex colonie rinviando alle Nazioni Unite solo questione di quella o quelle colonie in merito alle quali non sia stato raggiunto accordo entro 15 settembre.

Ho l'impressione che col farsi paladini della tesi della indivisibilità della Libia i russi intendano assicurarsi una ulteriore arma procedurale per respingere o rinviare qualsiasi decisione che sancisca il controllo britannico o americano sulla Cirenaica. È chiaro che un tale atteggiamento da parte loro non può in definitiva risolversi che in

un ostacolo alle nostre aspirazioni sulla Tripolitania e in genere ad una sistemazione sollecita e relativamente soddisfacente per noi della questione delle ex colonie. Insistendo sull'indivisibilità della Libia i sovietici possono facilmente mandare a monte qualsiasi possibilità di accordo e far rinviare tutto alle Nazioni Unite.

190

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 9033/347. Londra, 7 luglio 1948, ore 20,08 (per. ore 7,30 dell'8).

Data gravità situazione Berlino ho chiesto vedere urgenza Bevin. Colloquio ha avuto luogo ieri sera e ne riassumo punti essenziali:

l) Egli ha ammesso che crisi rapporti con U.R.S.S. crea situazione eccezionale gravità di cui non è possibile prevedere futuri sviluppi non conoscendo reali intenzioni Governo sovietico. Bevin propende piuttosto ritenere che Mosca non desideri giungere fino alla guerra ma non può escludere altra alternativa.

2) Per quanto riguarda situazione Jugoslavia mi ha detto di non avere ancora sufficienti elementi per dare un giudizio.

3) Gravità situazione europea ha portato discorso su posizione Italia e su modo in cui potrebbe essere associata Europa occidentale. Tale questione potrà, secondo Bevin, formare oggetto di discussioni a Washington (dove sono in corso conversazioni per assistenza militare da parte Stati Uniti all'Unione Occidentale) ed all'Aja nella prossima riunione cinque ministri degli esteri, riunione che dovrebbe essere destinata sopratutto collaborazione finanziaria ed economica. In tale campo del resto, ha osservato Bevin, nostra associazione Europa occidentale è già in atto in sede

O.E.C.E. Bevin mi ha poi domandato se eventuali proposte concrete da parte britannica circa nostra partecipazione Unione Occidentale non avrebbero potuto mettere nell'imbarazzo Governo italiano: mi sono limitato a rispondere che conversazioni preliminari avrebbero potuto comunque rimanere strettamente confidenziali.

4) Bevin mi ha detto che nostri vitali interessi economici nella Germania occidentale sono ben noti al Governo britannico che intende tenerne conto. Circa quest'ultimo punto, come circa il precedente, se avessi avuto precisi elementi di giudizio circa nostre vere intenzioni nei riguardi organizzazione concreta Europa occidentale, conversazione avrebbe potuto essere assai più concludente.

Mi sembra insomma che Bevin sia d'avviso che noi dovremmo intanto impostare seriamente nostra partecipazione Europa occidentale su basi essenzialmente economiche e prepararci per ulteriori sviluppi nel campo politico. Nel campo militare trattative in corso con Stati Uniti potranno forse dare fra non molto idea precisa circa impegni che a Washington si è disposti assumere sia riguardo Unione di Bruxelles sia riguardo tutta Europa occidentale.

Comunque in materia di assistenza militare effettiva, argomento a cui avvenimenti Berlino conferiscono importanza evidente ed immediata, è stato detto chiaramente qui in altra sede che da parte britannica non si farà nulla finché nostro atteggiamento in politica estera rimarrà incerto. Tutto ciò prescindendo dall'osservanza da parte nostra di certe clausole (navali) del trattato di pace che non influiscono sulla nostra effettiva capacità di difenderci nelle condizioni della guerra moderna e del prevedibile schieramento di forze 1•

191

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 9104/020. Atene, 7 luglio 1948 (per. il 9).

Riferimento e seguito mio odierno te lespresso n. 1792/601 1• Al tempo in cui Tsaldaris insisteva pel Saturnia e Vulcania, ebbe personalmente ad occuparsi delle riparazioni i tal o-greche questo naval adviser del' A.M.A.G., signor Black, il quale in una recente conversazione confidenzialmente mi assicurava che il concetto di «globalità» (che i greci per stessa loro confessione hanno assunto poche settimane or sono) avrebbe avuto origine da una iniziativa del Dipartimento di Stato americano del dicembre scorso. Iniziativa che sarebbe stata allora dagli stessi americani comunicata anche al Governo italiano che l'avrebbe accettata con le conversazioni Argyropoulos del gennaio scorso2 . (Noto viceversa che in realtà, lo stesso Argyropoulos a Roma trattò lo scambio d'idee sempre nello spirito della «gradualità» come risulta dal telespresso di codesto Ministero n. 03184/c. del 30 gennaio scorso )3 .

Se le cose stanno come Black racconta e non si tiene conto di quanto Argiropoulos possa allora aver detto o non detto, la versione di Black porterebbe a concludere che Tsaldaris, dopo l'offerta italiana del Patto d'amicizia, quando in aprile scorso compilò il famoso schema, che poi, com'è noto, sottopose agli anglo-americani (mio telegramma n. 78 del 18 aprile us.)4 , avrebbe pensato di potersi legittimamente riallacciare a questa iniziativa del Dipartimento di Stato5 .

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 163.

3 Non pubblicato.

4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 579 nota l.

5 Con T. s.n.d. per corriere 9463/021 dell4 luglio Ricotti riferirà di aver avuto conferma da Black e Clay dell'origine americana del concetto di regolamento globale delle questioni italo-greche e dell'insistenza del solo Tsaldaris sulla cessione di Saturnia e Vulcania o di una sola delle due navi.

190 1 Per la risposta vedi D. 199.

191 1 Vedi D. 159. nota 3.

192

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO SEGRETO. Roma, 7 luglio 1948.

È venuto a trovarmi il primo consigliere della ambasciata di Francia e mi ha detto che avrebbe desiderato, in uno dei prossimi giorni, parlarmi a lungo delle colonie.

Ho risposto a De Courcel che la questione veniva trattata attualmente, non più dalla mia Direzione, ma direttamente dal segretario generale. Tuttavia egli ha insistito nell'esporre il suo punto di vista, ed io gli ho detto che ne avrei rirerito a V.E.

De Courcel ha riassunto l'atteggiamento francese sulla questione delle colonie italiane nei termini seguenti:

l. Per quanto riguarda Somalia ed Eritrea appoggio incondizionato alla nostra richiesta di restituzione. Ciò per motivi di politica generale, e sopratutto perché il Governo francese intendeva dar prova della sua amicizia verso l'Italia;

2. Per quanto riguarda la Libia (De Courcel si è servito spesso di questo termine usandolo per designare tanto la Cirenaica quanto la Tripolitania), era invece in gioco un interesse diretto francese. Alla Francia non farebbe piacere di avere in Libia, sulle frontiere dei propri possedimenti dell'Africa del Nord, un regime inglese o para inglese nel quale venisse giocata la carta dell'indipendenza araba, del nazionalismo e della Lega araba. Si riteneva invece che un'amministrazione italiana sarebbe stata più cauta e, pur seguendo naturalmente una politica democratica e progressista nei riguardi della popolazione indigena, avrebbe instaurato un regime consono a quello francese nell'Africa del Nord.

De Courcel mi ha detto anche che gli inglesi, accortisi di questo punto di vista del Quai d'Orsay, avevano fatto osservare che la Francia aveva torto a temere un'influenza inglese, diretta o indiretta, in Libia. Gli italiani, essendo più deboli dell'Inghilterra, sarebbero stati tentati, qualora ritornassero in Libia, a usare ancora più blandizie nei riguardi degli arabi, e inoltre non avrebbero avuto la forza materiale per mantenere l'ordine nella colonia.

De Courcel ha proseguito dicendo che questo argomento, pur essendo accolto con beneficio di inventario, poteva tuttavia produrre qualche effetto. E a questo proposito mi ha detto che l'ambasciata di Francia avrebbe gradito di ottenere qualche maggiore precisazione circa la politica indigena che noi ci saremmo proposti di seguire in Libia, qualora anche questa colonia ci venisse restituita.

193

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. 354511466. Londra, 7 luglio 1948.

Ti ho telegrafato circa il mio importante colloquio con Bevi n (mio 34 7) 1• Vorrei in via confidenziale chiarirti alcuni punti in relazione con esso.

l) Bevin ha accolto con fiducia le dichiarazioni che gli ho fatto a nome tuo, e a cui già era preparato da un mio lungo colloquio con Lord Jowitt, sulla volontà decisa tua e del Ministero di una politica estera rettilinea nel senso di non equivoca partecipazione (sia pure non formale) dell'Italia all'Unione delle nazioni occidentali. Finché però non ci saremo ben chiariti su questo punto e non avremo persuaso il Govemo britannico delle nostre reali intenzioni, resteremo sempre in una fase di approcci platonici e di dichiarazioni inconcludenti, senza la possibilità di essere considerati parte attiva in tutte le importanti trattative che si svolgono in questo grave momento storico. Io ho l 'impressione, devo dirtelo francamente, di essere fuori de li'uscio della grande politica europea, ma non per volontà altrui, bensì per esitazione nostra.

2) In forma assai cortese Bevin mi disse di ritenere che proposte concrete circa la nostra partecipazione a organizzazioni occidentali ci sarebbero state imbarazzanti in questo momento. Con ciò egli mi pareva accennare chiaramente che sarebbe stato possibile e non sgradito a lui, di iniziare delle conversazioni su un terreno positivo. Ricollego questo accenno di Bevin alla domanda di Sargent che mi chiese se ero autorizzato a fare certe domande al Foreign Office (come scrissi a Zoppi il 23 giugno nella mia lettera n. 3350)2 e a una analoga domanda fatta al nostro addetto navale, comandante Mengarini, da un'alta personalità dell'Ammiragliato. Le posizioni prese da te e da De Gasperi di fronte al Parlamento e all'opinione pubblica italiana non parevano tuttavia autorizzarmi a dare una risposta positiva. La porta è però tuttavia aperta per conversazioni preliminari, in cui beninteso non siano poste condizioni, e che a me sembrerebbero indispensabili data la gravità della situazione che attraversa l'Europa e che ci potrebbero da un'ora all'altra obbligare a scegliere una via. Meglio prepararsi a tempo che trovarci di fronte a sorprese che ci obblighino a soluzioni affrettate.

3) Bevin non mi ha nascosto infatti che il momento è assai pericoloso pur confidando che non sia nelle intenzioni della Russia di fare la guerra. La preoccupazione però degli ambasciatori di Francia e degli Stati Uniti d'America è andata evidentemente crescendo in questi ultimi giomi e il tono della conversazione di

Vedi D. 136.

273 Bevin era assai diverso di quello del suo discorso pubblico alla Camera dei Comuni3. Mi pare quindi che dei rapporti, sia pure confidenzialissimi, con l'Inghilterra e paralleli a quelli che conduciamo con gli Stati Uniti d'America, in vista di qualsiasi eventualità potrebbero essere al più presto presi in considerazione.

193 1 Vedi D. 190.

194

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 6425/2463. Washington, 7 luglio 1948 (per. il 17).

Con il mio telespresso n. 6511/240 l del 2 luglio c.a. 1 ho segnalato a VE. alcuni articoli intonati a netta critica nei confronti dei paesi europei partecipanti al piano Marshall apparsi sul Wall Street Journal. Un articolo di intonazione ancora più grave è apparso ieri sullo stesso giornale. Lo trasmetto qui unito in copia perché ritengo che esso dovrebbe venir esaminato con attenzione dai nostri Enti preposti alla amministrazione del piano in Italia. Il Wall Street Journal, è pur vero, è un organo di conservatorismo cieco, ispirato alla difesa ad oltranza degli interessi del taxpayer americano e a un notevole isolazionismo. Come tale, quindi -si potrebbe osservare -esso non riflette l'opinione generale e non è il caso di allarmarsi eccessivamente per quanto viene in esso pubblicato.

Temo purtroppo che gli articoli ormai a catena del predetto organo finanziario costituiscano invece l'espressione -sia pure estremista e severa -di un movimento di opinione che va prendendo piede in questo paese e sul quale gli europei devono seriamente meditare, se essi vogliono ottenere una nuova serie di stanziamenti nei prossimi anni. In sostanza vi è insoddisfazione diffusa -in merito all'esecuzione del piano E.R.P. sia nelle sfere ufficiali sia nell'opinione pubblica minuta. Le critiche vanno aii'E.C.A., per la insufficiente organizzazione stabilita, e ai paesi europei, per motivi di varia natura.

Il redattore diplomatico del «Reader's Digest», che compie un sistematico Gallup poli settimanale suo proprio sugli umori di questo pubblico per saggiarne le tendenze e le preferenze, mi diceva giorni fa che il poli va dando ogni giorno di più risultati preoccupanti sull'atteggiamento di questa opinione pubblica verso il piano

E.R.P. e, in generale, verso la devoluzione di nuove somme ai paesi stranieri. Cosa è accaduto per provocare questa nuova preoccupante tendenza? Forse non è da escludersi un fenomeno di anticlimax psicologico di cui le elezioni italiane portano, inconsapevoli, la maggior responsabilità. Le discussioni in Congresso sulla authorization bill hanno avuto luogo, come VE. ricorderà, contemporaneamente alla campagna che si è qui svolta in relazione alle elezioni italiane. Il piano Marshall era

194 1 Non pubblicato.

allora, nella unanime interpretazione, il toccasana dei mali europei e certamente la forma più seria di «intervento» non obbiettabile nella politica europea. In quanto tale esso aveva provocato in Congresso una vera e propria corsa to meet the dead line del 18 aprile. Per chi ha seguito negli anni scorsi le interminabili discussioni parlamentari di Washington relative ai finanziamenti esteri, quale ad esempio quella spinosissima e polemica del prestito inglese, le discussioni nel Congresso americano dell'aprile scorso per l'E.R.P., che hanno comportato l'esame di impegni ben maggiori che in passato, ha veramente sorpreso per la celerità e l'unanimità di consensi riscontratasi.

A elezioni italiane riuscite secondo i desideri americani, la infatuazione che aveva sostenuto l'attivissima campagna a favore del piano non ha potuto ovviamente essere mantenuta. Sono anzi subentrati nel mese di maggio elementi di distensione politica generale, il timor panico è diminuito e con esso l'interesse all'E.R.P. è scemato. In questo anticlimax è sorto Taber ad ammonire con tono messianico sulle troppe spese, a osservare in Congresso che l'amministrazione (nota bene democratica) aveva commesso dei madornali errori di calcolo, a dimostrare che l'Europa quest'anno avrebbe avuto grano da buttare, a criticare severamente gli europei tuttora abbarbicati a formule monetarie irrealistiche. Così che dall'idilliaca situazione di intesa e collaborazione tra europei e amministrazione americana che aveva caratterizzato gli inizi della procellosa navigazione deli'E.R.P. si è passati oggi a una certa indifferenza nelle masse e alla critica da parte di molti.

Oggi si guarda al piano Marshall con occhio freddo e con severa aspettativa. Il piano è oggi un'esigenza politica e, in quanto tale, ha avuto i suo stanzi amenti per il primo anno. Potrà continuare la navigazione negli anni successivi, con un nuovo Congresso. Quali saranno le circostanze della politica internazionale che ne determineranno nuovamente l'ineluttabile necessità? É certo che in ogni caso non sarà agevole all'amministrazione nei prossimi anni ricreare il climax necessario in questo paese per mobilitare i sentimenti umanitari e per giustificare gli oneri finanziari,

Quanto è stato fatto o non fatto finora dagli europei è osservato e seguito con estrema preoccupazione dalle sfere dirigenti e dai circoli finanziari: in sostanza-si osserva -per ora non si vede ali' orizzonte alcuna manifestazione seria di cooperazione, i mali economici che ormai da anni imperversano in Europa sussistono e peggiorano, il commercio intraeuropeo langue, le esportazioni e la produzione non segnano aumenti. E si procede per ora sulla base di ricorrenti shopping lists trimestrali, mentre nulla vien fatto in tema di riforma o stabilizzazione monetaria (argomento questo ultimo diretto con particolare acredine verso la Gran Bretagna) e nessun sforzo concreto viene compiuto per creare un sistema economico ben integrato e armonico trai i sedici paesi partecipanti.

Occorre poi tener presente che molto potrà dipendere dall'esito delle elezioni di novembre. Infatti la tendenza che ho sopra illustrato e che va diffondendosi in questa opinione pubblica indipendentemente dal giuoco dei partiti politici è però già marcata nelle file del partito repubblicano. Malgrado che la corrente prevalente capeggiata da Vandenberg e su cui si appoggiano i maggiori esponenti del partito, fra cui Dewey, rimangono per ora sulla linea della politica bipartisan e sulla necessità imprescindibile di un interessamento americano alle cose europee, vi sono tuttavia larghi settori che premono se non altro per un alleggerimento degli oneri derivanti da

tale politica. Vedi al riguardo il mio rapporto n. 6037/22 del 24 giugno u.s. 1 • Ciò è ovviamente tanto più pericoloso in quanto detti elementi si potranno avvalere sia dell'attraente motivo che non si può addossare all'infinito al contribuente americano il peso degli aiuti europei, e sia della circostanza che gli europei non hanno saputo instaurare quella politica di cooperazione e attuare quei programmi di ricostruzione che sono alla base del piano E.R.P.

Questa è a mio avviso la situazione psicologica che circonda oggi l'E.R.P. e potrà influire in futuro sulle vicende del piano. L'uomo della strada ha «sfogato» i suoi sentimenti sull'E.R.P. nella primavera scorsa. Prima di riscaldarsi nuovamente vorrà veder chiaro in che modo il piano ha funzionato e come i suo soldi sono stati usati. Per intanto egli ha preso nota con una certa irritazione dell'atteggiamento di molti paesi europei sull'accordo bilaterale (alcuni degli stessi colonnisti open minded, nei giorni delle discussioni più accalorate qui a Washington, non mi hanno nascosto il loro estremo disappunto per le tante obiezioni formulate da certi paesi partecipanti).

È quindi compito dell'E.C.A. manovrare qui e in Europa in modo da soddisfare l'aspettativa dell'uomo della strada, dato che egli sarà in definitiva quello che l'anno prossimo dovrà ispirare l'atteggiamento del congressman o del senatore americano sullo stanziamento di nuovi fondi.

Da telegrammi di V.E. e dal rapporto dell'ambasciata di Parigi, qui trasmesso col tel espresso n. 44119661/225 del 21 giugno2 , ho notato la preoccupazione che con una ripartizione degli aiuti effettuata dall'O.E.C.E., l'Italia, più debole di altri, possa uscire malconcia e con una assistenza ben limitata. Non posso che condividere tale preoccupazione tanto più che essa aveva fatto oggetto già di una mia comunicazione del gennaio scorso quando mi sembrava -fin da allora -che inglesi e francesi volessero assumere il monopolio della rappresentanza dei Sedici (mia lettera n. 518/ 206 del 19 gennaio )3 .

Il rimedio suggerito da Quaroni, è cioè quello di svolgere opera sul Dipartimento affinché si imposti diversamente la ripartizione, sarebbe ottimo se non trovasse una situazione psicologica di questa opinione pubblica pregiudicata nel modo che ho sopra esposto c se non urtasse troppo palesemente contro i precedenti stessi del piano Marshall. Non si deve e non si può dimenticare che il piano non è nato perché il Governo americano con mirabile colpo d'immaginazione ha scoperto un giorno che avrebbe potuto unirei al suo fianco assistendoci. Esso è nato non soltanto per la consapevolezza da parte di questo Governo dell'importanza dell'Europa occidentale nello scacchiere politico mondiale, ma anche perché, dovendo in qualche modo assisterci (e il Dipartimento nella primavera scorsa del 1947 era assillato dagli inglesi, dai francesi, dagli olandesi, da noi e da altri ancora) l'unico modo con cui l'amministrazione avrebbe potuto far inghiottire questa nuova amarissima pillola al Congresso (che non avrebbe mai più accolto proposte tipo U.N.R.R.A. o consimili) era quello di iniettare un nuovo elemento abbacinante e pieno di promesse. Fu così escogitata la cooperazione europea. Solo in un secondo tempo e cioè dopo che gli europei seppero cogliere la palla al balzo e i russi proclamarono il loro clamoroso

3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 141.

distacco, il piano E.R.P. apparve nel pieno suo fulgore di arma politica. Tale cooperazione deve oggi trovare vie di esplicazione e manifestazione. Prima di tutte, nell'unanime interpretazione dei funzionari e delle folle, quella della intesa tra i Sedici per la ripartizione degli aiuti, in quanto essa presuppone la vera disciplina delle economie, alle volte la fusione di alcune, abdicazioni, sacrifici e armonia tra i partecipanti. Tutte bellissime cose, si dirà, ma assolutamente teoriche e certo irraggiungibili nell'ambiente dei contrasti europei. Di ciò purtroppo si rende ben conto ormai la stessa amministrazione americana. Ma, data l 'impostazione originaria dell'E.R.P., essa non può certo tirarsi indietro dalla tesi fin dall'inizio proclamata per ottenere gli aiuti dal Congresso. Non le rimane quindi che compiere opera di incitamento sugli europei, se necessario imperversando con insistenze, controlli e severità.

In tali circostanze, non credo sarebbe possibile ottenere nulla dal Dipartimento per un diverso sistema di ripartizione degli aiuti. Quello che invece mi pare riconfermato (e l'ho segnalato a VE. con il mio telegramma per corriere n. 094 del 2 luglio)4 è che Harriman, forse con una dichiarazione un po' «indipendente», (qualcuno mi osservava oggi che comincia a crearsi una duplicazione Harriman-Hoffman che sembra preoccupare queste sfere dirigenti e che potrebbe anche portare a un dualismo) si è leggermente discostato dalle intenzioni di questi organi centrali che si riservano sempre, per vari motivi, l'ultima parola per l'assegnazione degli aiuti, pur confidando che gli europei sappiano coordinarsi e aiutarsi da sé (vedi anche il mio telespresso odierno n. 6435/2473)5 .

Per quanto riguarda l'Italia, credo che, malgrado le preoccupazioni, giustificatissime, e che condivido pienamente, che altri facciano la parte del leone, questo Governo cercherà di evitare in ogni modo che il nostro paese riceva il trattamento della Cenerentola. È indubbio che la ripartizione parigina può porre delle pregiudiziali che sarà difficile correggere anche da parte dell'E.C.A. di Washington. Ma è certo anche che questo Governo ora sa per esperienza il contributo fattivo da noi portato al piano E.R.P. e il nostro atteggiamento costantemente comprensivo e conciliante, e che, consapevole di questi nostri meriti, non consentirà che all'Italia venga riservato un trattamento troppo distante dalle sue necessità. Mi sembra che in fondo la cosa più importante sia per noi accaparrarci la comprensione americana con sicure prove di risultati ottenuti per farci degli alleati nel caso di discriminazioni a nostro danno da parte dell'O.E.C.E.

Al riguardo mi è grato far presente a VE. che nulla poteva-ad esempio esser più gradito agli americani che leggere i documenti C(48)23 e C(48)33 presentati dalla nostra delegazione all'O.E.C.E. 6• Ho tenuto riservatamente a mostrarli al Dipartimento e ne ho riscosso notevoli espressioni di plauso. Non si poteva mirare nel segno più efficacemente per impressionare gli americani. In sostanza qui va sempre più marcatamente diffondendosi il timore che gli europei si limitino a elaborare shopping lists; di conseguenza, ogni sforzo fatto per riportare alla ribalta la necessità di un programma coordinato basato su sane esigenze di collaborazione economica viene profondamente apprezzato.

Non rinvenuto. 6 Non pubblicati.

Piuttosto per quanto riguarda ciò che i nostri Enti competenti potrebbero prendere in considerazione per tener viva la comprensione e il particolare interessamento americano, mi sia consentito esporre alcune osservazioni raccolte nei contatti che questa ambasciata tiene con l'E.C.A. e con gli altri Dipartimenti americani.

l) La «programmazione» degli aiuti E.R.P. è certo uno degli elementi più importanti da considerare se vogliamo moltiplicare i proseliti a nostro favore nell'amministrazione americana. Non è sfuggita qui, fin dai mesi scorsi quando si discutevano i programmi interim-aids, la ricerca alquanto affannosa da parte nostra di items con cui utilizzare tutte le somme assegnateci. Oggi si verifica lo stesso fenomeno. Alcuni funzionari deii'E.C.A.: osservano infatti in questi giorni che i nostri programmi sono tuttora formulati su basi non del tutto realistiche. È stata tra l'altro oggetto di commenti la discrepanza riscontratasi tra le cifre da noi presentate aii'E.C.A. e quelle presentante aii'O.E.C.E. sulle nostre necessità di carbone. (La delegazione tecnica ha in pochi giorni ricevuto varie rettifiche di tali dati concementi il carbone, sempre volte a richiedere una diminuzione delle quote da assegnarci per tale prodotto). Mentre quindi da una parte si riscontra un certo irrealismo nei dati predetti, dall'altra parte l'E.C.A. non comprende come non si possa da parte nostra presentare una lista di fabbisogni giustificata per cifre superiori.

Non voglio certo farmi paladino delle critiche americane, perché mi rendo pienamente conto delle difficoltà che si riscontrano da parte dei nostri Enti per la «programmazione» in questione e della gravità di certi problemi inerenti alla nostra situazione economica. Ritengo solo doveroso riferire i commenti che ho occasione di cogliere e che, secondo quanto confidenzialmente ho appreso, faranno oggetto di un dettagliato telegramma a Zellerbach che verrà inviato in questi giorni. Scopo di tale comunicazione sembra essere l'invio di istruzioni al predetto perché egli attiri l'attenzione dei nostri Enti tecnici sulla necessità di una più oculata programmazione.

2) Un altro elemento che sembra tener vivissima l'attenzione di queste sfere dirigenti è la vessata questione delle «riforme sociali» del latifondo, del Mezzogiorno e dei rapporti tra datori di lavoro e operai. Al riguardo debbo far presente che sono frequenti le allusioni anche da parte di autorevoli esponenti di questo Governo sulla necessità che anche in tal campo si prendano solleciti provvedimenti (indubbiamente le numerose dichiarazioni del presidente del Consiglio su tali problemi sono state accuratamente e favorevolmente registrate qui). Non è forse da escludere che tali insistenze americane su tali problemi derivino da pressioni svolte su questa amministrazione da elementi italo-americani di origine meridionale o comunque appartenenti alle organizzazioni laburiste locali (ne fa fede il manifesto del gruppo italo-americano del C.I.O. che trasmetto con rapporto a parte) 1• A riprova dell'interessamento di questi circoli dirigenti sui nostri problemi sociali, valga una comunicazione riservata fattami giorni fa dal consulente politico del War Department. Questi mi ha confidato di essere stato chiamato a rispondere sull'Italia a un questionario presentatogli dallo Stato Maggiore del Ministero della difesa, nel quale questionario su una ventina di domande due buoni terzi riguardavano problemi connessi con le riforme sociali, organizzazioni del lavoro, assicurazioni sociali, repressioni degli scioperi, questione del Mezzogiorno, latifondi, eccetera.

È ovvio l 'interesse politico che è alla base di simili richieste. Sta di fatto però che su tali problemi si concentra oggi l'attenzione di queste classi dirigenti. Questo è quanto mi è dato riscontrare nei miei contatti qui e questo è quanto ritengo doveroso segnalare, ben rendendomi conto che il semplicismo della mentalità

americana può portare a considerare come facilmente solubili problemi che esigono invece un lungo lasso di tempo o comunque enormi sforzi per la loro soluzione, e che lo stesso Governo americano non sa e non può facilmente risolvere in casa propria.

Poiché però sta di fatto che il piano Marshall è oggetto di questi tempi di costante severo esame, che la cooperazione europea viene tuttora considerata qui come cosa molto ipotetica, che l'Italia è ritenuta uno dei paesi più vicini allo spirito del piano e che nell'esecuzione del piano stesso attraverso l'O.E.C.E. noi possiamo trovarci danneggiati, ho ritenuto necessario fare il punto della situazione psicologica in questo paese e degli elementi che potrebbero contribuire a migliorare la nostra posizione nei confronti degli americani dentro o al di sopra dell'O.E.C.E. Ogni sforzo che noi potremo compiere per aumentare il peso della nostra influenza nell'O.E.C.E. stesso oculatamente interpretando i desideri americani per una più fattiva cooperazione europea, sarà, nelle circostanze attuali, certamente visto da questa amministrazione e da questa opinione pubblica con grandissimo favore e contribuirà a migliorare la nostra situazione, in relazione all'attuazione del piano e soprattutto in caso di discriminazioni a nostro danno da parte dell'organizzazione dei sedici paesi 7 .

193 3 Vedi D. 174, nota 2.

194 2 Ritrasmetteva il D. 109.

194 4 Vedi D. 179.

195

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 7892/532. Roma, 8 luglio 1948, ore 19, 11.

Seguito mio 526 1•

Con successivo telegramma2 le invio testo dichiarazione che V.E. dovrà fare a Consiglio O.E.C.E. giorno 13 per ammissione Zona anglo-americana Territorio Libero Trieste. Testo dichiarazione è stato qui comunicato ambasciate d'America ed Inghilterra che trasmetteranno rispettivi Governi e loro rappresentanze Parigi scopo assicurare preventivo appoggio.

Lascio libera V.E. di formulare risoluzione finale lasciata in bianco a termine della dichiarazione, dopo aver preso contatto con ambasciate americana inglese e Quai d'Orsay.

Attendami da questa azione due risultati: l) importanti ripercussioni ordine generale per rinnovato intervento italiano a favore interessi triestini; 2) possibile immediata ammissione osservatore Trieste, come suggerito dagli inglesi, in attesa ammissione di pieno diritto.

V.E. mi terrà informato sviluppi sua azione ai fini anche tempestiva valorizzazione azione italiana.

194 7 Per la risposta vedi D. 246. 195 1 Del 7 luglio, con il quale Sforza sottolineava l'urgenza della candidatura di Trieste da parte dell'Italia a membro dell'O.E.C.E. e anticipava le presenti istruzioni. 2 Vedi D. 196.

196

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. 7893/533. Roma, 8 luglio 1948, ore 19,30.

Seguito mio 532 1 .

Trasmetto testo dichiarazione concernente Trieste:

«Nel momento in cui il programma di ricostruzione europea sta entrando nella sua piena fase esecutiva, il Governo italiano sente il preciso dovere di sollevare nell'Alto Consesso che presiede alla ripresa economica dei paesi europei, la questione della partecipazione di Trieste a questo movimento di cooperazione e di solidarietà.

Il Governo italiano non può rimanere, infatti, insensibile alle necessità morali e materiali delle popolazioni giuliane che per lunga secolare tradizione hanno partecipato intimamente allo sviluppo e alle realizzazioni della civiltà europea.

Pertanto, tenuto presente:

l) che la legge americana del 3 aprile per la Cooperazione economica prevede alla sezione l 03 a) la partecipazione all'E. R. P. di Trieste e ne stabilisce alla sezione 113 b) le condizioni procedurali;

2) che la Convenzione multilaterale per la cooperazione economica europea determina all'art. 23 la procedura perché tale partecipazione si realizzi;

e premesso che, ave Trieste rimanesse esclusa dall'assistenza deii'E.R.P. la sua situazione economica peggiorerebbe gravemente nei prossimi anni, e, comunque, andrebbe ad essa inibita ogni possibilità ricostruttiva;

il Governo italiano, che anche in base alla solenne dichiarazione dei Governi americano britannico e francese in data 20 marzo u.s. 2 , si considera solidale con tutti gli interessi di Trieste, prega il Consiglio di voler esaminare la situazione sopraindicata, e per parte sua propone che, in vista di poter andare incontro almeno per il momento a quelle necessità che la situazione ci permette ora di considerare, venga ammessa senza dilazioni nell'O.E.C.E. quella parte del Territorio Libero che è in grado di accettare i principi generali e gli obblighi specifici inerenti al Piano di ricostruzione europea.

L'art. 25 della Convenzione del 16 aprile richiede la ratifica da parte di dieci membri prima che possa aver luogo l'ammissione di altri paesi; tuttavia, il Governo italiano confida che questa difficoltà procedurale sia superata in modo da consentire che nei riguardi di Trieste abbiano luogo tutti gli atti preparatori e le sia così assicurata la tempestività dell'assistenza.

A tale fine, anche in relazione all'art. 25 della Convenzione di Parigi, ho l'onore di comunicare a nome del mio Governo di aver notificato oggi stesso quanto sopra al Governo della Repubblica francese, in attesa di analoga notifica da parte del Governo militare anglo-americano, e di sottoporre all'approvazione dei membri del Consiglio la seguente risoluzione» 3 .

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

3 Per il testo della risoluzione vedi D. 207. Per la risposta di Cattani vedi D. 212.

196 1 Vedi D. \95.

197

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 8055/222. Mosca, 8 luglio 1948, ore 14,20 (per. ore 16).

Rivevuto sua 24 giugno 1 e in assenza Vyshinsky attendo prossimo ritorno Zorin per intrattenerlo sul!' argomento.

Prevedendo probabile richiesta precisazioni da parte Zorin pregola se possibile telegrafanni esatta portata istruzioni date a Londra2 sul come dovrebbero realizzarsi praticamente accordi Italia con popolazione locale. Se cioè, come mi pare intendere, nostri accordi con la popolazione dovrebbero considerarsi condizioni preventive per nostra presa di possesso amministrazione e in tal caso come dovrebbero manifestarsi ed essere accertate: oppure se accordo stesso dovrebbe attuarsi soltanto dopo entrata in funzione nostra amministrazione salvo dame conto ad O.N.U. entro congruo periodo tempo successivo: oppure ancora se si dovrebbe lasciare ad Assemblea

O.N.U. disporre tali modalità dopo aver ottenuto adesione di massima dei Quattro nel senso da lei spiegato3 •

198

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE DELL'U.R.S.S. A ROMA, KOSTYLEV

L. l 097 SEGR. POL. 1• Roma, 8 luglio 1948.

Ho l'onore di accusare ricevuta della Nota verbale n. 71/M in data 3 luglio

u.s.2 , indirizzata dalla Commissione navale delle quattro potenze al Ministero degli affari esteri e pervenutami per il tramite del Ministero della difesa della Repubblica.

Nel mentre ho l'onore di inforrnarla che ho portato il contenuto di tale Nota a conoscenza degli organi tecnici preposti alla trattazione della questione, con preghiera di fornire elementi per una risposta, debbo tuttavia attirare l'attenzione di V.E. sul fatto che, in vista della ristrettezza di tempo, non sembra possibile osservare alcuni dei termini menzionati nella Nota suindicata.

La prego di gradire, signor ambasciatore, i sensi della mia alta considerazione.

2 Vedi DD. 115, 131 e 149.

3 Con T. s.n.d. 7909/72 in pari data Zoppi rispondeva che tutte le ipotesi prospettate potevano essere prese in considerazione e che per ora si era solo voluto affermare un principio per superare le obiezioni britanniche ufficialmente basate sull'ostilità delle popolazioni indigene ad un ritorno dell'Italia. 198 1 Inviata anche agli ambasciatori a Roma di Gran Bretagna (L. 1096 segr. poi.), Stati Uniti (L. l 098 se gr. poi.) e Francia (L. I 099 segr. poi.).

2 Vedi D. 183.

197 1 Non rinvenuta.

199

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

TELESPR. SEGRETO 1100 SEGR. POL. Roma, 8 luglio 1948.

Rif"erimento: suo telegramma n. 34 7 di ieri 1•

Mentre apprezzo l'avvenuta utile conversazione di V.E. con Bevin non mi lagno che essa non sia stata così «concludente» perchè ella era mancante di «precisi elementi di giudizio circa nostre vere intenzioni».

La verità è che la pubblica opinione italiana è a tutt'oggi esitante in ogni partito -attirata com'è, dopo tante sterili esperienze, dal mito della neutralità, per difficile che la sua realizzazione sembri in caso di guerra. Il movimento neutralista potrà crescere quando si saprà -come finirà bene per sapersi un giorno -che gli Stati Uniti hanno adottato il principio che in caso di guerra l'Italia dovrà essere considerata senza la menoma utilità come base. Si stima infatti a Washington che i mezzi offensivi americani dovranno piazzarsi a sud del Mediterraneo, tanto la strategia che nel '43 impose lo sbarco a Salerno è oggimai sorpassata.

Mi compiaccio ch'ella possa assicurarmi che Bevin è d'avviso «che noi dovremmo intanto impostare seriamente nostra partecipazione Europa occidentale su basi essenzialmente economiche e prepararci per ulteriori sviluppi nel campo politico».

È stato finora il mio pensiero; e mi è grato che sia quello di Bevin.

La avverto che a titolo tutto personale e ponendomi su un terreno superiore alla politica immediata pronuncerò il 18 una prolusione all'Università Stranieri di Perugia, di cui sono rettore, esprimendo il mio pensiero sul modo migliore di propugnare e sviluppare l'Unione Occidentale2 .

200

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AJETA, AL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI

TELESPR. RISERVATISSIMO PER CORRIERE SPECIALE 44/00517/c1 . Roma, 8 luglio 1948.

Si trasmette copia di un Memorandum confidenziale di questa ambasciata degli Stati Uniti (di cui non dovrà esser fatto cenno a codesto Governo militare), concer

nente la partecipazione della Zona anglo-americana del T.L.T. all'O.E.C.E. (allegato

n. l )2 nonché copia delle istruzioni (allegati n. 2, 3 e 4 )3 inviate ali' ambasciata d 'Italia e Parigi e della dichiarazione che l'ambasciatore Quaroni dovrà fare il 13 corrente in seno al Consiglio dell'organizzazione parigina.

Al riguardo, si prega la S.V. di voler subito prendere contatto con codesto Governo militare -che del resto dovrebbe esser già a conoscenza di tutta la questione -affinché l'azione italiana e quella di codeste autorità siano a Parigi opportunamente armonizzate.

Come la S.V. rileverà, nella dichiarazione italiana non è fatto cenno della rappresentanza di Trieste presso I'O.E.C.E. Ciò perché la questione verrà successivamente trattata con codesto Governo e con le rappresentanze diplomatiche angloamericane a Roma ed a Parigi, nello spirito di quanto è detto all'ultimo capoverso del Memorandum confidenziale di quest'ambasciata d'America.

In quanto poi alla notifica prevista dell'art. 25 della Convenzione di Parigi del 16 aprile 1948, V.S., tenendo presente l'ultimo paragrafo della dichiarazione italiana vorrà prendere opportuni accordi con codeste autorità informando tempestivamente questo Ministero.

Si fa riserva, in relazione al telegramma ministeriale diretto a Parigi in data odierna n. 5324 , di far pervenire a V.S. adeguate istruzioni circa il necessario rilievo da dare nel T.L.T. all'azione italiana5 .

199 1 Vedi D. 190. 2 Ed. in CARLO SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi. La politica estera italiana dal 1947 al 1951, Roma, Atlante, 1952, pp. 483-496. 200 1 Indirizzato per conoscenza all'ambasciata a Parigi e al delegato C.E.E. presso la Presidenza del Consiglio.

201

IL CAPO DEL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 8 luglio 1948.

Il 17 giugno sono state impartite istruzioni all'ambasciata d'Italia a Washington1 di chiedere al Dipartimento di Stato di appurare presso l'O.N.U. se alla domanda di ammissione dell'Italia debbano applicarsi i regolamenti vigenti nel 1947 o quelli entrati in vigore il l o gennaio u.s.

Nel primo caso, non sarebbe necessario, finchè il Consiglio di sicurezza non abbia raccomandato l'accoglimento della nostra domanda, di chiedere al Parlamento italiano l'autorizzazione a ratificare lo Statuto dell'O.N.U.

3 Vedi DD. 195 e 196.

Vedi D. 195.

5 Con T. per corriere 9259/039 del IO luglio Castellani comunicava di aver eseguito le istruzioni ricevute; con T. 13060/141 del 28 settembre informava che la convenzione bilaterale sarebbe stata firmata a Washington fra gli Stati Maggiori riuniti, in rappresentanza dell'amministrazione militare di Triestee il Governo americano, e che subito dopo White avrebbe effettuato la notifica.

201 Vedi D. 124.

Nel secondo caso, invece, l'autorizzazione del Parlamento dovrebbe precedere il riesame della nostra domanda da parte del Consiglio di sicurezza, riesame che presumibilmente dovrebbe aver luogo al principio del mese di agosto p.v.

L'ambasciata a Washington ha testè comunicato2 che il Dipartimento di Stato è del parere che sia valida la prima ipotesi, ed intende sostenere tale punto di vista; tuttavia preferisce non interpellare in proposito il Segretariato dell'O.N.U. per non correre il rischio di provocare una precisazione in senso contrario alla tesi suddetta. L'ambasciatore a Washington aggiunge però che si è tenuto a fargli presente l'opportunità che il Governo italiano, prima di decidere se convenga o meno affrontare la discussione in Parlamento per richiedere l'autorizzazione a depositare un nuovo strumento formale di accettazione degli impegni dello Statuto delle Nazioni Unite, consideri attentamente la eventualità che altri membri delle Nazioni Unite siano contrari alla tesi sopraesposta e pesi quindi anche gli svantaggi che potrebbero eventualmente derivarne.

Nel momento attuale non sembra che la situazione internazionale possa far prevedere -a breve scadenza -un mutamento di atteggiamento da parte dell'U.R.S.S. nei riguardi della nostra ammissione. È vero che, dopo l'ultimo veto (aprile u.s_)3, è intervenuto il parere della Corte internazionale di giustizia secondo cui lo Statuto dell'O.N.U. non consente «l'abbinamento» delle domande di ammissione; ma è peraltro da tenere presente che contro tale parere di maggioranza si erano pronunciati sei giudici della Corte, e precisamente il sovietico, l'inglese, il francese, il canadese, lo jugoslavo ed il polacco.

Ove non si ritenesse di poter fare senz'altro assegnamento sul prevalere della tesi americana, si potrebbe o interpellare il segretario generale dell'O.N.U. per il tramite del ministro Mascia, oppure effettuare sondaggi presso i Governi degli altri membri del Consiglio di sicurezza (eventualmente ad esclusione di quello sovietico e dell'ucraino). In entrambe le ipotesi però si correrebbe il rischio di far trionfare la tesi per noi meno desiderabile (quella, cioè, dell'applicabilità del nuovo regolamento) e sarebbe comunque improbabile che le risposte giungessero in tempo per presentare un disegno di legge al Parlamento.

Qualora V.E. concordi con le osservazioni di cui sopra, rimarrebbe soltanto la scelta fra:

l) affrontare senz'altro la discussione in Parlamento, nonostante la probabilità che anche quest'anno la nostra domanda non formi oggetto della necessaria raccomandazione del Consiglio di sicurezza;

2) basarsi sulla tesi americana per la cui accettazione da parte del Consiglio non dovrebbe interferire il diritto di veto, trattandosi di questione procedurale. In tal caso si tratterebbe di attendere l'eventuale riesame da parte del Consiglio.

201 2 Vedi D. 155. 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 552.

200 2 Non rinvenuto.

202

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. 1371/327. Mosca, 9 luglio 1948.

Col corriere ultimo mi giunge copia delle osservazioni dell'ambasciatore Quaroni (rapporto 2 giugno n. 713/10149/2024) 1 alla mia lettera a lei diretta2 , che prendeva lo spunto da talune conversazioni Quaroni-Chauvel e Quaroni-Bidault sul Patto di Bruxelles.

Sono molto lieto che le mie considerazioni siano state sottoposte alla valutazione dell'ambasciatore Quaroni, e qui le unisco un pro-memoria che contiene alcuni rilievi sullo stesso argomento.

Come accenno nel pro-memoria stesso, non si tratta per nulla di fare delle vane polemiche, ma semplicemente dello scrupolo di approfondire un argomento che mi pare meriti considerazione, anche se si presta a differenti opinioni.

Vedrà lei se sia il caso di trasmetterlo all'ambasciatore Quaroni, o a chi altri meglio giudicherà; e della sua benevola attenzione fin d'ora la ringrazio.

ALLEGATO

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

PROMEMORIA. Mosca, 9 luglio 1948.

Il ragionamento dell'ambasciatore Quaroni, brillante e acutissimo come sempre, espone in molti punti il rovescio della medaglia nei riguardi della tesi di una possibile neutralità italiana.

Questo rovescio inevitabilmente esiste, e non si può negare la serietà di molte sue osservazioni. In fin dei conti, ogni problema pratico, e quindi ogni problema politico, ha il suo pro e il suo contro, e va deciso in ultima istanza con atti di intuizione, di fede e di volontà, non certo sul puro piano logico.

Questi atti appartengono unicamente a chi ha la responsabilità della decisione, mentre agli altri è lecito tutt'al più contribuire a fornire i materiali di questa decisione.

In questo senso, e senza alcun fine polemico, credo non inutile aggiungere a proposito di quanto fa presente l'ambasciatore con la sua comunicazione in data 2 giugno (telespresso 111 20297 del 26 giugno )3 le seguenti osservazioni:

l) In forma forse volutamente paradossale, l 'ambasciatore Quaroni parte dalla premessa che noi «abbiamo cessato di essere indipendenti». La nostra indipendenza sarebbe una pura illusione, un ]asciarci illudere dalla nostra stessa propaganda. Nello stesso ordine di idee, in

202 1 Vedi D. 85. 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 625. 3 Ritrasmetteva a Mosca e a Washington il D. 85.

altro interessante rapporto4 egli aveva parlato della necessità di «dimostrare la nostra riconoscenza agli Stati Uniti» come essenziale obiettivo della nostra politica estera.

Queste espressioni non possono avere evidentemente che un valore di approssimazione del tutto relativo; se dovessero prendersi alla lettera ogni necessità di arrovellarsi sulle direttive di una politica estera italiana cesserebbe e gli uomini di stato c i diplomatici italiani non sarebbero che marionette in mano agli americani.

Fare una politica estera significa essere e volere essere indipendenti, con tutte le sfumature ed attenuazioni che la realtà comporta; direi più ancora, significa essere convinti della piena sovranità dello Stato italiano, coi soli limiti che le potranno derivare dall'appartenenza all'O.N.U., o, in seguito, ad un Federazione europea o ad altro organismo sopranazionale.

lo non penso che questo punto di partenza sia divenuto oggi un'illusione; perchè ho sempre pensato che altro è la relativa dipendenza (meglio si direbbe: inferiorità) in cui una nazione più debole si è sempre trovata e sempre si troverà nei suoi contatti con le nazioni più forti, altro è il riconoscimento a priori di una dipendenza costante ed inevitabile, di una ubbidienza dovuta alle linee della politica estera altrui. Io non penso che a questo siamo ridotti nè che ci ridurremo tanto facilmente.

2) D'altro canto, vi è forse un certo eccesso di prospettiva nel modo in cui l'ambasciatore Quaroni distingue le caratteristiche dell'attuale situazione internazionale nei riguardi delle precedenti. Oggi non è più come una volta, egli dice: la guerra è la guerra della virtù contro il vizio, del bene contro il male, il male essendo sempre rappresentato dal proprio nemico; e in questa impostazione morale della guerra la stessa idea della neutralità è un crimine ...

Ho l'impressione che nella valutazione delle situazioni politiche, può essere un errore il non sapere vedere le novità che distinguono quelle attuali dalle passate; ma può costituirne pure un altro il supporre troppo facilmente che gli elementi fondamentali dei grandi problemi abbiano nei tempi moderni subito una radicale trasformazione rispetto a quelli passati.

Più precisamente, credo che ad avversare ed a minacciare la neutralità degli Stati minori abbiano sempre concorso due elementi esterni ed interni insieme: l'ostilità delle grandi potenze da un lato, le fazioni religiose od ideologiche dall'altro.

In Svizzera, già al tempo delle lotte di religione i membri dell'una religione invocano l'abbandono della neutralità al fine di correre in aiuto ai loro confratelli stranieri. E si invocavano testi biblici: «So then because thou art lukewarrn, and neither cold nor hot. l will spue thcc out of my mouth» c si malediva «la follia di questa orribile neutralità. La via media, o neutrale non è quella del buon cristiano, ma la più perfida di tutto».

E così si scagliarono contro la neutralità svizzera i patrioti e liberali tedeschi dopo la battaglia di Lipsia. i liberali e democratici di tutta Europa, col nostro Mazzini a capo. nel 1835, i patrioti italiani nel 1848, e lo stesso Carlo Alberto, in nome della lotta fra il principio della democrazia e quello dell'assolutismo; i partigiani dei confederati americani nel 1861-65 e dei polacchi oppressi dai russi nel 1863; e così via.

D'altro lato, i grandi potenti, sia nell'interesse dei loro Stati, sia come tutori dell'ordine e della conservazione, non furono meno decisi nel disprezzare la neutralità elvetica: a partire da Napoleone, per il quale essa era «una parola vuota di significato» per proseguire con Metternich, Alessandro, Bismarck e con lo stesso Guizot.

Vi è sempre stato insomma chi ha considerato la neutralità come un peccato morale e chi l'ha considerata come un risibile segno di debolezza. Chi come Enrico Federer ha scritto: «Cosa significa questa neutralità? Il giorno non è neutrale, né lo è la notte. Nulla di temibile o di lieto in terra è neutrale: solo il pipistrello è neutrale. E lo svizzero è terribilmente simile al pipistrello, svolazzante fra il giorno e la notte, non pesce né uccello: appunto neutrale. O Dio Signore, Tu hai detto in S. Giovanni e in S. Luca che la neutralità è un orribile peccato.

Puniscilo allora!» Altri come Cristoforo Stending, condannò ugualmente la neutralità svizzera come il sintomo di una malattia europea, come la negazione di ogni politica, come sterilità, déracinement, scetticismo, come il «rifiuto del destino».

Non è mancato infine chi ancora recentemente, da un punto di vista strettamente politico, ha proclamato la fine della neutralità come istituzione, dichiarandola «un anacronismo irrimediabilmente condannato a sparire» (Nicola Politis, 1935) «finita come concetto politico» (Julian Huxley, 1941 ); ma ciò non ha impedito alla Svizzera, alla Svezia, alla Turchia5 di rimanere neutrali in difficili condizioni nella seconda guerra mondiale (mi riferisco, per le citazioni, al chiaro libretto di Edgar Bonjour, Swiss Neutrality, Londra 1946).

3) La verità è che la neutralità, prima ancora che sulla difesa militare e sulle garanzie, si fonda su un delicato calcolo delle rivalità, delle forze rispettive, e degli interessi dei grandi contendenti.

La garanzia, naturalmente può essere utile, ma è difficile da conseguire, e anche più difficile da far rispettare; una seria forza armata ci vuole, quel tanto almeno che occorre per far meditare i potenti e metterli in dubbio, se valga la pena per loro di aggiungere allo sforzo principale della guerra lo sforzo supplementare di impegnare forze per battere il paese neutrale, e poi per tenerlo occupato, domarlo ed amministrarlo. È quest'ultima infine, la leva principale sulla quale i neutri possono contare: convincere i Grandi che il costo della conquista e della occupazione è superiore al rendimento. Li si convince colla diplomazia, ma sopratutto. naturalmente, colla realtà di un paese serio e deciso a difendersi.

Da questo punto di vista, non credo si possano dare fin da ora giudizi sicuri su quel che farebbero gli Stati Uniti o l'U.R.S.S. in caso di guerra, nei riguardi di una Italia che volesse rimaner neutrale. Non credo cioè affatto sicuro che i sovietici occuperebbero subito l'Italia per poter molestare dalla penisola le basi di partenza americane. Per raggiungere tale dubbio risultato di molestia dovrebbero disperdere forze considerevoli in un paese ostile circondato dal mare c:d esposto a tutte le offese derivanti dalla superiorità marittima ed aerea degli alleati. Ci penserebbero due volte, ed è su questo dubbio che potrebbe fondarsi una nostra politica di neutralità; la quale, naturalmente, non dà e non può dare la piena sicurezza, ma implica, come ogni politica, un rischio da affrontare.

4) Neppure credo che i sovietici se ritenessero conveniente garantire la neutralità italiana, la subordinerebbero all'abbandono al piano Marshall.

Svezia e Svizzera partecipano all'E.R.P. e tuttavia svolgono una politica di neutralità; e specialmente nei riguardi della Svizzera, i sovietici non hanno mai mosso alcuna critica nè accusato questa posizione di contraddizione.

Naturalmente essi vorrebbero sopratutto che si trattasse di una neutralità seria, dal punto di vista politico; in questa ipotesi, essi non avrebbero, credo, difficoltà ad ammettere quella distinzione fra cooperazione economica e indipendenza politica che gli svizzeri hanno posto molto chiaramente nell'atto stesso di aderire al piano Marshall.

5) Naturalmente, è chiaro che l'incamminarci su una politica di neutralità non può essere, nelle condizioni di oggi, un atto brusco attuato dalla sera al mattino, né può dispensarsi da una congrua preparazione morale e politica del popolo italiano. In questo senso posso concordare nel ritenerla una meta: che però dovrebbe essere fin d'ora perseguita, e almeno, non pregiudicata.

Non dico che l'indirizzarsi verso una simile politica significhi adottare un atteggiamento di rinuncia. Una ferma politica per Trieste, l'aspirazione al trusteeship sulle colonie prefasciste, un ragionevole armamento non solo non sono incompatibili con essa ma troverebbero in essa una certa plausibile giustificazione.

Certo però, politica di neutralità significa politica di moderazione e di raccoglimento. Significa coscienza che, dopo due guerre, il nostro organismo giovane non può permettersi ulteriori estreme tensioni senza spezzarsi. Non implicherebbe chiudere le porte all'avvenire, ma semplicemente aprire una parentesi alla chiusura della quale potremo avere come sbocco l'adesione ad una federazione europea, o una ripresa di politica più audace, o la stabilizzazione della neutralità stessa, a seconda delle circostanze. Non si tratterebbe, ripeto, di pregiudicare l'avvenire più lontano, ma di riprendere fiato e forza per dare alle generazioni successive la possibilità di meglio affrontarlo. Per convincere il popolo italiano di questo occorrerebbe un certo tempo, una certa gradualità, occorrerebbe creare una mentalità che non sia quella falsamente nazionalistica (in realtà servile) dei comunisti, nè quella irrequieta, sentimentale e agitatoria dei nazionalisti veri. Su tutto ciò sono perfettamente d'accordo con l'ambasciatore Quaroni, dal quale mi distingue soltanto una maggiore fiducia, nella capacità del popolo italiano di intendere una simile seria onesta ed antiretorica politica. Ma perchè la intenda, occorre che qualcuno autorevolmente gliela spieghi e la sostenga: e nessuno più del presidente De Gasperi e del ministro Sforza sarebbe oggi in grado di farlo.

[6]) Sulle conseguenze della politica revisionistica nei riguardi dci sovietici, potrei solo osservare che gli apprezzamenti dell'ambasciatore Quaroni e i miei coincidono. Voglio tuttavia aggiungere qualcosa di più circa i motivi ultimi di questa repulsione dei sovietici per la politica di revisione.

Revisione significa affermazione dell'ingiustizia del trattato; ma l'affermazione della integrale ingiustizia del trattato significa per inesorabile contrapposizione logica l 'affermazione della giustizia della guerra, che ha dato luogo al trattato.

A suo tempo, i germanici non avevano esitato a porre questa correlazione in tutta la sua chiarezza; partivano dal rifiuto di riconoscere le responsabilità della guerra, ed arrivavano logicamente alla politica di integrale revisione.

Ed oggi, non è senza significato il fatto che al recente congresso di Napoli i neofascisti italiani abbiano posto fra i capisaldi del loro programma la revisione totale, anzi il totale annullamento del trattato.

È vero, vi possono essere due giustificazioni della politica di revisione: quella dei fascisti che ne traggono motivo per esaltare tacitamente la loro guerra, e quella dei non fascisti, che semplicemente rammaricano l'insufficiente valutazione della lotta comune contro il nazismo c il fascismo, successiva al settembre 1943. Ma è difficile fare intendere al grosso della opinione pubblica simili finezze, ed è difficile farle intendere anche ai sovietici: i quali vedono nella politica di revisione anzitutto la rivendicazione della guerra fascista, la politica di rivincita.

Non credo che i sovietici saranno sempre contrari a singoli atti di revisione tacita del trattato: man mano che le circostanze lo impongono, essi non rifiuteranno di riconoscere le nuove situazioni che lo superino. Perciò, ben giustamente il ministro Sforza ha attenuato la formula nenniana della revisione di diritto in quella della revisione di fatto.

Ma la revisione di fatto equivale anche a revisione tacita, della quale si parla il meno possibile, mentre si cerca di creare le circostanze che la determinano. Questa, in fin dei conti, non è più politica di revisione in senso stretto; e in questo senso soltanto noi potremo di volta in volta indurre i sovietici a derogare al trattato o a far finta di dimenticarlo di fronte a nostri atti con esso incompatibili.

7) Credo non sia del tutto inutile ricordare che la tradizione diplomatica sovietica non è poi così contraria alla presa in considerazione della posizione di neutralità di quei paesi che l'Unione Sovietica non si sente di legare alla sua orbita con patti di assistenza e di alleanza veri e propri e tuttavia vorrebbe almeno staccare dal campo avverso. Ricordo i patti di non aggressione e di neutralità colla Germania (24/4/1926), colla Lituania (28/911926), colla Lettonia (9/3/1927) coll'Italia (2/911933).

Certo vi è una netta differenza fra questi patti bilaterali di neutralità e una eventuale garanzia della neutralità italiana soltanto, ma siamo sempre su quel tronco, anche se per rami diversi.

Anche per questo motivo giudicherei pericolosa la manovra di chiedere ai sovietici la garanzia della neutralità d'accordo cogli americani, colla sola speranza di sentircela rifiutare.

Ma anzitutto, dice giustamente l'ambasciatore Quaroni, una simile sottigliezza poco garberebbe agli americani stessi; penserebbero che noi volessimo manovrare non solo coi sovietici, ma anche con loro stessi, impegnandoli per vie traverse alla nostra neutralità. E non avrebbero poi tutti i torti.

Certo il primo consenso da conseguire è quello americano. Siete o no in grado di tenere effettivamente l'Italia in caso di guerra, e non solo di garantirne la liberazione a guerra finita? Se non lo siete, tanto vale che ammettiate una Italia non comunista e neutrale; e l'aiuto del piano Marshall sarà per voi largamente attivo per il solo fatto di impedire il collasso economico italiano e l'infiltrazione comunista che ne potrebbe conseguire.

Ma si tratta, lo riconosco, di un ragionamento che va scandito nel tempo, preparato ed accompagnato con una valutazione complessiva di tutte le circostanze, che solo il Governo può faré

202 4 Vedi serie decima. vol. VII, D. 650.

202 5 Nota del documento: «Irlanda, Spagna, Portogallo».

203

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 9232/547. Washington, l O luglio 1948, ore 19 (per. ore 9 del/' Il).

Mio 539 1 e suo 415 2 (punti 3 e 4).

Ieri ripartito sottosegretario esteri canadese Pearson ed interrotte riunioni con rappresentanti quattro Stati Unione Occidentale e Canadà, di cui d'altronde Dipartimento continua sottolineare carattere presa contatto preliminare e procedurale.

Secondo informazioni confidenziali avute ottima fonte Dipartimento, competenti prevedono conversazioni iniziate per fissazione rapporti ed assistenza Stati Uniti con Unione Occidentale saranno molto lunghe: salvo casi imprevedibili forza maggiore, potranno durare ad intervalli anche oltre sei mesi. Se infatti Governo americano dovesse sottoscrivere speciali impegni per propria adesione qualsiasi forma patto Bruxelles occorrerà approvazione Senato; se Stati Uniti dovranno accordare vasti rifornimenti militari, Congresso dovrà votare relativi fondi. Al Dipartimento escluderebbesi che ciò possa avvenire durante periodo elettorale qui iniziato, salvo deprecato caso estremo precipitare situazione con U.R.S.S. che qui si spera improbabile.

Interlocutore americano, affermando rendersi pienamente conto interessi italiani, promesso tenermi al corrente sviluppi conversazioni. A tale riguardo rilevo che Dipartimento mostra non dubitare affatto che a tempo necessario Italia farà parte

D. 98.

203 Vedi D. 188. 2 Dall'S luglio, ritrasmetteva il D. 190.

289 integrante schieramento potenze occidentali così come già partecipa O.E.C.E. e gode benefici piano Marshall.

202 6 Con T. 8438/81 del 22 luglio Zoppi chiese se la presente lettera poteva essere considerata la risposta al D. 217 con il quale si era incrociata. Brosio rispose affermativamente con T. 9781/242 del 22 luglio e preannunciò l'aggiunta di alcuni rilievi complementari (D. 264) avendo nel frattempo ricevuto il

204

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1293. Belgrado, l O luglio 1948.

Riscontro la sua lettera n. 20781/287 del 30 giugno u.s. 1• Essa si è incrociata con il mio rapporto a S.E. il ministro del 3 luglio (n. 1240)2 , e con i miei telespressi in pari data nn. 1247/533, 1248/537 e 1250/5463 che hanno

toccato tutti i punti di cui alla sua lettera.

Sono lieto di poterle tuttavia riassumere brevemente il mio sommesso avviso:

l) i progressi della socializzazione in Jugoslavia sono stati indubbiamente più notevoli che in tutti gli altri paesi del «blocco» orientale, e non si comprendono perciò le critiche in questo senso del Cominform.

La nazionalizzazione dell'industria e del commercio è pressochè totale. Nelle campagne il procedimento è più lento. Procedutosi alla riforma agraria che ha ridotto le proprietà individuali ad un massimo di venticinque ettari, la terra espropriata è stata attribuita a contadini senza terra, per la maggior parte a benemeriti della lotta di liberazione, o a cooperative. Non si è quindi avuta sinora una vera e propria collettivizzazione come in Russia, cui d'altra parte quest'ultima ha potuto giungervi attraverso il terrore delle deportazioni e delle uccisioni di coloro che non si lasciavamo collettivizzare.

Sennonché la stessa risoluzione del Cominform è contradditoria poiché mentre al n. 3 lamenta la mancata nazionalizzazione della terra, al n. 6, di fronte alle dichiarazioni jugoslave di voler eliminare i capitalisti dalla campagna, essa avverte che occorre prima un lungo lavoro preparatorio e che non si può assolvere questo compito con precipitazione.

La stessa risoluzione critica poi la partecipazione con cui è stata deliberata la nazionalizzazione della piccola industria e del piccolo commercio. È quindi evidente il contrasto tra l'accusa di adagiamento a una politica di tipo borghese e la critica alle misure di nazionalizzazione attuate o in via di attuazione.

Perché allora questa «scomunica» alla politica sociale jugoslava, quando poi uno dei firmatari della risoluzione, l 'ungherese Rakoszi, subito dopo si è affrettato a tranquillizzare i contadini ungheresi dicendo che se la collettivizzazione delle terre

2 Vedi D. 184.

3 Non pubblicati.

figura nel manifesto di Marx ed è augurabile, essa non è tuttavia nel programma del fronte dei lavoratori ungheresi elaborato per un lungo periodo, e che perciò per il momento non si tratta che di migliorare la sorte dei contadini?

Perché per eliminare gli attuali capi del comunismo jugoslavo che sono anche i governanti del paese, era indispensabile accusarli di eresia, invocare lo spettro del menscevismo e trotzkismo, bisognava cioè ricorrere ai vecchi motivi di deviazione ideologica per cui sono stati in Russia eliminati milioni di uomini. Gli stessi Trotzki, Bucharin, Kirov e tanti, tanti altri non sono stati eliminati, «perchè agenti del capitalismo borghese»?

2) E allora perchè si sono voluti eliminare Tito e compagni? Perché essi non facevano una politica sufficientemente devota alla Russia. Perché, è stato detto anche dal Cominform, essi tendevano ad una politica di indipendenza e a una politica nazionalista.

Non ritorno su questi motivi che sono stati sviluppati nel mio rapporto al ministro del 3 corrente. Ripeto soltanto che in realtà non sembra fondata l'accusa né di antisovietismo né di filo-occidentalismo.

A mio modesto avviso il Governo jugoslavo intendeva svolgere una politica nell'ambito del blocco orientale, illudendosi solo di non dover sacrificare quelli che erano, o che esso riteneva, interessi puramente jugoslavi alla volontà russa. D'altra parte il Governo jugoslavo stimava di poter mantenere con i paesi occidentali relazioni non così tese da non potere coltivare rapporti commerciali tanto indispensabili per la realizzazione del piano quinquennale. Mentre d'altra parte tendeva presso gli occidentali a godere di un prestigio politico che evidentemente non le poteva conferire l'opinione che la Jugoslavia fosse una semplice pedina russa.

Quindi in sostanza la reazione jugoslava alla risoluzione del Cominform nel senso di voler continuare la sua politica a fianco della Russia e di respingere le accuse di collusione con le potenze occidentali, corrisponde in fondo all'indirizzo della politica jugoslava.

È stato quindi abile l'atteggiamento dei dirigenti, della piazza e della stampa jugoslava, di voler distinguere il Cominform dalla Russia e da Stalin, proclamando la propria fedeltà a questi ultimi e trasferendo così a Stalin la responsabilità di respingere le decisioni del Cominform o la dichiarata devota amicizia dei governanti jugoslavi.

Naturalmente Stalin non sconfesserà il Cominform perché, anche qualora non fosse stato l'ispiratore della risoluzione, il che è molto difficile a pensarsi, egli non potrebbe sconfessare tutti i maggiori partiti comunisti d'Europa, compreso il proprio.

È probabile quindi che per ora la situazione si protragga stazionaria per alcun tempo, mentre Politburo russo e Cominform studieranno i mezzi più idonei per abbattere questi troppo fieri ribelli.

3) Ma perché, venendo meno alla tattica e ai metodi comunisti, la condanna dei dirigenti comunisti jugoslavi è stata resa pubblica?

Questo è quello che si domandano anche molti jugoslavi. Forse perché, falliti i tentativi di ricondurre all'ovile i «deviazionisti» jugoslavi, il Cominform ha sperato veramente nella rivolta dei comunisti jugoslavi?

Oppure per far comprendere che la condanna era seria e definitiva, e che la Jugoslavia potrebbe essere votata all'isolamento? Oppure per dar modo alla Russia di risolvere sul piano internazionale alcuni problemi (Trieste? Carinzia?) senza tener conto del Governo jugoslavo?

4) Ma l'interrogativo più appassionante resta quello sugli ulteriori sviluppi della situazione. Mentre sembra ormai sicuro il trionfo di Tito e compagni al prossimo congresso del partito, non è facile prevedere il comportamento della Russia e del Cominforrn.

Secondo l'opinione di taluni, dopo lo sfogo delle due parti, la cui violenza rientrerebbe nello stile degli attori in gioco, si giungerebbe a una riconciliazione cercando di avvicinare i reciproci punti di vista. Tale opinione si fonderebbe sulla forza intrinseca dei partiti comunisti riuniti cui il partito comunista jugoslavo, appunto per essere un partito comunista, non potrebbe sottrarsi.

Io non propenderei per questa opinione. Qualunque compromesso non potrebbe essere che di breve durata finchè resteranno al potere gli uomini «scomunicati» dal Cominform.

Le accuse sono state troppo sferzanti e talvolta ingiuriose, le consegnenze tanto gravi; sì da portare alla frattura con l'Albania, che è sfuggita al controllo jugoslavo, mentre d'altra parte i dirigenti jugoslavi non potranno rinunciare alla politica di indipendenza e di nazionalismo (qui chiamato patriottismo) che essi hanno iniziato.

D'altra parte se venissero meno alla loro attuale politica di intransigenza, fatta approvare da tutti i gregari, e che ha condotto in Ungheria all'espulsione dal Parlamento dell'esponente della minoranza jugoslava che non ha voluto accettare la risoluzione del Cominforrn e all'arresto di altri suoi compagni, essi sarebbero completamenti screditati.

Da parte sua la Russia non potrebbe a lungo fidarsi degli stessi uomini già condannati, e la cui eventuale sottomissione non potrebbe che essere considerata opportunistica ed insincera.

È vero che in seno al partito comunista si può dalla polvere (se non si è soppressi) risalire all'altare, ma gli attuali dirigenti sembraro decisi a restare sugli altari senza percorrere la via del purgatorio.

Naturalmente ogni ipotesi deve essere presentata sotto riserva. Chi potrebbe giurare, ad esempio che Zdanov e Molotov siano perfettamente d'accordo? Mi accorgo che la lettera, più lunga del voluto, contiene forse qualche spunto e chiarimento, che completano i miei precedenti rapporti. Se ella crede potrà pertanto fame conoscere il contenuto a S.E. il ministro Sforza4 .

204 1 Vedi D. 168.

204 4 Zoppi trasmise questa lettera a Sforza e questi a De Gasperi con L. 1/4581 del 14 luglio.

205

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 861/12440/2553. Parigi, ... luglio 1948 1•

Spero ella vorrà perdonarmi se, da Parigi, mi permetto di fare qualche interpretazione e qualche considerazione sulla crisi jugoslava: si tratta di un avvenimento, potenzialmente, troppo importante perchè non si debba, ritengo, contribuire tutti a cercare di vederci un po' chiaro.

Già nel 1945 mi fu espresso qualche dubbio, a Mosca, sulle vere relazioni fra Tito e Stalin: questi dubbi mi vennero confermati in seguito e credo, se ben mi ricordo, eli averli anche segnalati al Ministero.

È irrilevante andare ad analizzare le ragioni del dissidio fra Belgrado e Mosca nel piano ideologico. Tito, di tutti gli altri capi comunisti esteri, sia dentro che fuori la zona russa, è il solo che sia arrivato al suo posto, non per semplice designazione di Stalin, ma per forza propria. Durante gli anni della lotta partigiana Tito è riuscito a creare un gruppo di capi fedeli a lui, in primo luogo; sono questi capi che hanno preso in mano l'organizzazione di partito e statale della Jugoslavia. Ora questo è uno stato di cose che la Chiesa di Mosca non può ammettere più di quanto il Papa potrebbe ammettere un primate di Gallia arrivato alla sua carica per forza propria e non per designazione della Curia.

Non lo può ammettere sul piano ideologico: il comunismo è una religione nuova, tuttora in corso di precisazione: nei primi passi di ogni nuova religione le eresie pullulano: la necessaria ortodossia può essere mantenuta solo se l'organizzazione centrale ha il potere necessario per fare rientrare nell'ordine gli indipendenti.

Non lo può ammettere sul piano politico: tutta l'attuale organizzazione della zona russa è basata sulla subordinazione assoluta a Mosca dei capi comunisti. È possibile lasciare, apparentemente e giuridicamente, la più assoluta indipendenza agli Stati satelliti, a condizione che i loro capi, in quanto comunisti, siano mantenuti nella più stretta obbedienza alla centrale di Mosca: se questo principio è messo in discussione, se ne va la chiave di volta di tutto il sistema sovietico e tutto è da rifare.

Che Tito possa essersi reso colpevole di eresia, non è grave; non sarà né il primo né l'ultimo: quello che è grave e, per Mosca, inammisibile è che egli, forte del suo controllo sul partito comunista jugoslavo, possa tentare di mantenere i suoi errori e di rifiutare l'obbedienza a Mosca.

Per rimediare a queste stato di cose intollerabile, Mosca ha evidentemente contato di adoperare la tattica cecoslovacca. Minare cioè all'interno la macchina jugoslava, introdurre uomini suoi nei posti di controllo chiave, in modo da potere,

293 al momento buono, far franare, dall'interno, tutto l'edificio. Ma Tito non era Benes: conosce i metodi di Mosca ed invece di !asciarli fare ha agito mettendo subito in moto la sua macchina di difesa.

Alla luce di tutto questo è chiaro oggi il significato della crisi Zujovic e Hebrang e dell'andata di questa: essi erano i, o fra i capi della macchina moscovita. Tito ha colpito per primo. Questa azione di Tito ha sconvolto i piani di Mosca: presi alla sprovvista i russi hanno dovuto ricorrere ali 'unica alternativa che restava loro, la scomunica, nella speranza di provocare dall'esterno quella rivolta del partito comunista jugoslavo contro Tito che non si era potuta provocare dall'interno. Il che starebbe a dimostrare che la tattica moscovita funziona solo contro i regimi borghesi: contro i regimi comunisti no.

Tito ha vinto il primo round: se la sua vittoria è decisiva lo sapremo soltanto dopo il congresso del partito comunista jugoslavo: si tratta di vedere se egli è riuscito a mettere sufficientemente la mano sulla macchina moscovita in modo da essere sicuro che le organizzazioni locali del partito jugoslavo inviino al congresso dei delegati suoi fedeli, oppure no. È vero che, anche in questo caso, la partita potrebbe essere non vinta per Mosca: Tito potrebbe cercare, e anche riuscire, basandosi sulle sue forze militari, di polizia e altro, a rinviare il congresso o magari a mettere dentro i suoi oppositori al congresso. Nel qual caso gli strascichi interni della crisi potrebbero essere più lunghi e più gravi: sarebbe comunque obbligato ad uscire dalla legalità comunista, che pure esiste ed ha le sue regole strette. Il giuoco non sarebbe così elegante e pulito.

Se Tito riesce a tenir le coup, l'avvenimento è realmente di importanza storica: è l'affermazione di Martin Lutero: l'unità del mondo comunista è rotta. Le sue conseguenze non si fermeranno alla Jugoslavia. Non credo esista oggi un capo comunista, nella zona, che possa tentare con successo il colpo di Tito: per farlo occorrerebbe avere bene in mano tutto l'apparato di partito nel proprio paese: a questa posizione non credo ci sia arrivato nessuno degli altri. Ma è comunque importante l'avere stabilito che questo può avvenire: e l'avere anche indicato come ci si può riuscire. Mosca non si è mai fidata gran che dei capi comunisti esteri: da oggi in poi se ne fiderà anche di meno: i suoi sospetti, il suo controllo sempre più stretto, le sue manovre per mantenere ed assicurare questo controllo, potranno accentuare le reazioni. A tal punto, che io mi domando se non possiamo essere alla vigilia di un capovolgimento di tutta la politica russa nella zona.

Ella sa che, fino ad oggi, ho sempre ritenuto errati i timori di assorbimento delle nuove repubbliche nell'organismo federale russo: ritenevo che Stalin, preoccupato, ed a ragione, del problema di tenere insieme la compagine plurinazionale del suo impero, non volesse complicare la situazione aumentando il numero delle repubbliche allogene. Il pericolo esiste tuttora: ma esso potrebbe essere soverchiato dal timore di vedersi scappare via, una dopo l'altra, su l'esempio di Tito, le repubbliche satelliti. La politica russa in questi casi evolve lentamente: dovremo avere prima una «analisi» delle ragioni della crisi jugoslava: dallo studio di questa analisi debbono scaturire le tesi: dalle tesi la nuova politica. Tutto questo richiede un certo tempo: ma comunque, è una eventualità che oggi bisogna anche tenere presente.

Se Tito non gliela fa a resistere, avremo una repressione feroce in Jugoslavia, a cui terrà dietro una purge di non minore importanza in tutti gli Stati satelliti, e secondo ogni probabilità, anche nella stessa Russia, alla ricerca delle «deviazioni». Essere stato amico di Tito o della Jugoslavia potrà essere, in Russia, più pericoloso che essere stato amico degli americani.

Per il mondo occidentale, comunque, è un temo al lotto. Se Tito resiste è la guerra in famiglia: se è obbligato a cedere ~e ne va della sua testa ~il mondo orientale sarà, per un certo tempo, scosso e disorganizzato dalla purge. Per male che vada, è un anno di respiro che viene dato al mondo occidentale: proprio quell'anno di cui si aveva tanto bisogno perchè il piano di riarmo americano cominciasse a dare i suoi frutti. Già si riteneva, da molti, fra cui io, che la Russia non fosse preparata militarmente a provocare la guerra con l'America: se a questa impreparazione militare si aggiunge la evidente impreparazione politica, c'è da prendersi un piccolo respiro.

Per sapere decisamente dove siamo bisogna aspettare il congresso del partito: nel frattempo è necessario che il mondo occidentale nasconda la sua gioia ed il suo trionfo: bisogna anche astenersi da gesti affrettati di favoreggiamento a Tito, del genere dello sblocco dell'oro jugoslavo. Per quanto egli abbia preparata bene la sua macchina la situazione sarà delicata: ogni atto di favoreggiamanto fattogli dall'Occidente può favorire il giuoco di Mosca e rendere più difficile la sua vittoria. Noi, e gli altri europei, poco possiamo fare di veramente pericoloso: il pericolo vero sta nell'impetuosità americana: sarebbe opportuno che noi, interessati in primo luogo, facessimo presente a Washington la necessità di star tranquilli, per un primo tempo. I francesi lo hanno già fatto: sarebbe credo utile che lo facessimo anche noi ed urgentemente.

Dato che Tito ha cominciato bene quindi è lecita la speranza che possa resistere; se per la politica generale russa nella zona le reazioni si faranno aspettare, la reazione contro la Jugoslavia sarà immediata. Ad un intervento armato russo, sia pure per l'interposta persona di bulgari rumeni ed albanesi, ci credo poco: la reazione russa prenderà piuttosto la forma dell'interdetto morale e del blocco economico. Sarà il blocco economico, la necessità di sopravvivere, che spingerà Tito verso l'Occidente e che, alla lunga, insieme alle sue necessità di politica interna, potrà costringerlo a cambiare politica. Tito rompe con Mosca restando comunista, probabilmente intende restarlo e crede di poterlo fare: sarà Mosca a renderglielo impossibile. Questo trapasso sia sul piano della politica estera che di quella interna sarà tanto più facile e rapido quanto più il mondo occidentale farà finta di non accorgersene, e non glielo chiederà come contropartita di un suo aiuto economico. Allo stato delle cose, la riconciliazione di Tito con Mosca è fuori di questione: egli non può aspettarsi altro che il plotone di esecuzione e lo sa: una apparente sottomissione oggi non farebbe che rimandare per breve tempo l'inevitabile fine.

Tutto ciò ha importanza particolare per noi perchè il ponte di passaggio tra Tito e il mondo occidentale potremmo e dovremmo essere noi: la complementarietà delle due economie basterebbe a questo. Noi potremmo aiutare Tito moltissimo: non che Tito possa risolvere tutti i nostri problemi, ma ci potrebbe dare un pochino di respiro: con un mercato jugoslavo aperto staremmo un po' meno peggio di quello che stiamo oggi: e sarebbe pure qualche cosa. Si potrebbe anche tentare di persuadere gli americani della opportunità, per loro e per noi, di servirsi appunto, in larga misura, del nostro tramite.

La cosa è difficilissima, non me lo nascondo, per le ben note questioni politiche tra noi e gli jugoslavi. La cosa è tanto più difficile in quanto non sarei affatto sorpreso, dopo il congresso del partito di vedere i russi aderire alla proposta occidentale per il Territorio Libero: è vero che non sarei più sorpreso di vedere gli americani, alla loro volta cambiare di idea.

Comunque in questo caso è da vedere se ci convenga prendere noi, e subito, la responsabilità di far iniziare, ad un regime che si stacca dalla Russia in una reazione di fierezza nazionale, la sua opera di stabilizzazione interna con un regresso pure nel campo nazionale. Bisognerebbe per lo meno tentare di rimandare la soluzione a trattative dirette fra noi due, e di aspettare, per una soluzione di necessario compromesso, che molte situazioni siano venute a maturazione.

Mi rendo conto come tutto questo sia difficilissimo, anche perchè se Tito resiste, dopo il 21 luglio ogni politica di amicizia colla Jugoslavia sarà oggetto di attacchi violentissimi anche dall'estrema sinistra; e ciò non potrà non avere serie ripercussioni sui nostri già difficili rapporti colla Russia. Bisognerebbe tuttavia tener presente che il problema che, oggi, dovrebbe sovrastare ogni altro nella politica estera italiana è il mortale pericolo di una invasione russa, pericolo che anche se oggi meno imminente, non è meno reale: gli avvenimenti di Jugoslavia, se opportunamente sfruttati, possono allontanare la frontiera russa da noi di circa 200 chilometri in linea d'aria. È un vantaggio così grande che non sarebbe mai pagato troppo caro.

È possibile che la grande massa dell'opinione pubblica italiana non riesca a capirlo, qualora la situazione le venga spiegata in tutta la sua brutalità, senza eufenismi? È una di quelle chances che passano solo una volta ogni tanto accanto ad un paese: si tratta di saperle prendere.

205 1 La presente copia del documento non è datata ma dalla numerazione di protocollo si evince che essa fu redatta nella prima decade di luglio.

206

IL CONSOLE MANZINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 9244/88-89. Mogadiscio, 11 luglio 1948, ore 10,35 (per. ore 19,25).

Recenti contatti con autorità locali ed altre di cui al mio telegramma 85 1 hanno confermato impressione segnalata con mio telegramma 572 circa decisioni ormai raggiunte a Whitehall in merito politica inglese verso Somalia. Sebbene inglesi non sembrino attualmente del tutto contrari al nostro ritorno in Somalia e forse anche sotto determinate condizioni e limitazioni in Eritrea tuttavia ritengono alquanto improbabile soluzione entro 15 settembre causa difficoltà scindere questioni vari territori nonché complicazioni situazione internazionale.

206 1 Del 9 luglio, con il quale Manzini aveva riferito dell'arrivo dei generali Cracker e Cumming. 2 Vedi D. 114.

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Autografo di Stì

orza del D. 199.

Qualora decisione a noi favorevole risultasse difficile è da temere autorità militari e coloniali britanniche riprendano loro opposizione. Esse insistono pretendere nostre attuali forze militari ed economiche inadeguate fronteggiare problemi ogni genere che eventuale rioccupazione Somalia ci porrebbe, specialmente quello logistico anche in vista asserita reazione etiopica (miei 17 e 72)3 . Compito funzionario richiesto col telegramma 864 sarebbe anche studiare riservamente sul posto tali problemi in merito ai quali sto comunque raccogliendo da tempo elementi. Sarebbe utile predetto prima di partire avesse opportuni contatti con autorità competenti per documentarsi circa loro intenzioni ed essere in grado fornire dati mancanti.

Naturalmente ho ribattuto asserzioni miei interlocutori assicurando che nostre autorità erano perfettamente preparate fornteggiare situazione. Ho aggiunto che desideravamo poter contare su collaborazione britannica per prevenire difficoltà locali. Ho poi sviluppato argomenti in conformità istruzioni telegramma ministeriale 235 . Riferisco al riguardo per corriere6.

207

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AIETA, AL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI

T. URGENTISSIMO 8046/64. Roma, 12 luglio 1948, ore 15.

Seguito telespresso n. 00517 1• Si trascrive testo italiano risoluzione che sarà approvata dal Consiglio O.E.C.E. dopo dichiarazione del rappresentante italiano nella seduta di domani 13 corrente:

«Il Consiglio, viste le dichiarazioni fatte dalla delegazione italiana contenute nei documenti nei quali sono esposti i motivi che determinano il Governo italiano a sollecitare l'ammissione della zona del Territorio Libero di Trieste che si trova sotto l'amministrazione anglo-americana come partecipante alla Convenzione europea di

. .

cooperaziOne economtca;

4 Dell'Il luglio, con il quale Manzi n i comunicava di aver chiesto a Cumming, come collaboratore, almeno un funzionario del Ministero dell'Africa italiana. Nonostante la prevenzione britannica verso tali funzionari, Cumming aveva acconsentito.

Vedi D. 172.

6 Non rinvenuto. Il presente documento veniva ritrasmesso a Londra con Telespr. 3/527 del 14 luglio con il quale Zoppi dava le seguenti istruzioni: «a) per quanto riguarda la parte economica, gli italiani hanno già dimostrato come, pur disponendo di mezzi limitati, sappiano gradualmente superare difficoltà mercè il loro spirito di iniziativa e la loro capacità di adattamento; b) per la parte militare, è opinione prevalente degli osservatori imparziali che la grande maggioranza delle popolazioni indigene non farebbe alcuna difficoltà ad una amministrazione fiduciaria italiana se questa venisse decisa dalle quattro grandi potenze, o dall'O.N.U. specialmente se gli estremisti, sia in Somalia che in Etiopia, non saranno sobillati da elementi irresponsabili».

Tenuto conto della sezione 103 par. a) e b) della legge americana conosciuta sotto il nome di "Foreign Assistence Act of 1948" nella quale il Territorio Libero di Trieste è particolarmente menzionato visto d'altra parte l'art. 25 della Convenzione europea di cooperazione economica che condiziona l'adesione di ogni paese non firmatario della Convenzione al deposito di dieci strumenti di ratifica;

Constata che l'attesa della decima ratifica rischierebbe di privare le Autorità che amministrano la zona di Trieste in questione della possibilità di compiere nei limiti di tempo previsti le formalità necessarie per godere dell'aiuto americano per il 19481949 e di conseguenza decide:

Di consentire che l'organizzazione europea di cooperazione economica compia nei confronti della zona del Territorio Libero di Trieste che si trova sotto l'amministrazione anglo-americana tutti gli atti preparatori necessari allo scopo di assicurare a detta zona l'assistenza per l'anno in corso, che sarà effettiva dopo la sua ammissione formale alla organizzazione».

Con successivo telegramma2 Ministero stasera comunicherà ora in cui testo sopratrascritto potrà domani 13 corrente essere diramato alla stampa.

206 3 Rispettivamente del 26 maggio e del 30 giugno, non pubblicati.

207 1 Vedi D. 200.

208

IL PRIMO SEGRETARIO GALLINA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 9455/040. Francoforte, 12 luglio 1948 (per. il 16).

Progetto costituzione Stato Germania occidentale presentato dai tre governatori è stato discusso dagli undici ministri presidenti, con intervento anche dei partiti politici, a Coblenza.

Tedeschi sono unanimi nel non volere redigere una «costituzione». Soltanto quando la Germania sarà unita il popolo tedesco si darà un nuovo statuto. Si potrà intanto, se gli Alleati lo impongono, concordare una «legge organica per l'amministrazione».

Tale atteggiamento giova ai partiti di fronte alla masse elettorali che li accusano di arrendevolezza verso gli Alleati che stanno smembrando la Germania. Sul piano puramente politico inoltre esso evita che si arrivi alla divisione dei poteri colle potenze vincitrici che verrebbe precisata e consolidata se si discutesse una «Carta costituzionale» perchè questa inevitabilmente dovrebbe contenere norme regolanti tali rapporti, ossia lo «statuto di occupazione».

In conseguenza è stato ritenuto prematuro porre sul tappeto ora anche questione revisione confini vari Laender. Tutti sono comunque d'accordo per fusione Wuerttemberg e Baden, che sono attualmente spezzati in tre tronchi, due sotto occupazione francese e uno americana.

Come non si parla di «costituzione» così non si parla di «Governo» ma di «amministrazione» della Germania occidentale.

Da questi principi base, tedeschi non hanno tirato tuttavia conclusione pratica che porterebbe a restringere poteri che «sarebbero disposti ad accettare come imposizione». Vorrebbero invece andare oltre i limiti che Alleati stessi intenderebbero consentire. Nel campo legislativo oltre che esecutivo infatti chiedono ampie libertà; così pure nel commercio con estero e nei rapporti con paesi stranieri, con diritto di stabilire subito almeno delle rappresentanze consolari.

Controproposte tedesche verranno presentate 15 corrente a tre governatori.

Reazione ambienti americani è per ora nettamente sfavorevole. Si afferma che tedeschi non hanno senso misura e che vogliono «eat the cake and to have it» ossia ottenere tutti i poteri, salvo ad addossarne la responsabilità agli Alleati che vengono in un certo senso messi sotto accusa nel momento stesso in cui si dimostrano disposti a rinunciare a favore loro a parte dei diritti acquisiti dalla vittoria. Un compromesso -si ritiene però -sarà certamente raggiunto.

Soddisfatti si dimostrano ambienti francesi. Koenig aveva ceduto ad imposizione anglo-americana di far convocare improrogabilmente Assemblea costituente Francoforte lo settembre prossimo, ma aveva ottenuto in compenso che -(la ristrettezza del tempo è stata argomento principale) -non si parlasse più di «elezioni» ma di «nomina» dei deputati da parte dei singoli Laender: ciò che riduce, in ogni caso, il valore politico e morale della «costituzione» da redigere.

L'atteggiamento adottato dalla Dieta di Coblenza (che qualcuno vuoi vedere influenzato dalla Francia) torna gradito perchè allontana lo spettro di uno Stato tedesco che è sempre troppo «centralizzato» e perciò pericoloso agli occhi dei francesi. Insieme fa vedere agli americani (che guardano eslusivamente al futuro immediato, non lontano -mentre francesi sono ancorati e prigionieri dure esperienze passato lontano e vicino) quanto caro può costare aiuto tedesco.

Ambienti inglesi sono come sempre più riservati. Sembrano tuttavia più vicini a punto vista americano, pur riconoscendo valore a vari aspetti preoccupazioni e tesi francesi.

207 2 T. urgentissimo 8062/65 del 12 luglio, non pubblicato.

209

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA 6858/2540. Washington, 12 luglio 1948 (per. il 27).

Ho ricevuto ieri, 11 luglio, il suo telegramma 1 che riassume e precisa la formula da lei più volte accennata in Parlamento, o in dichiarazioni alla stampa, per descri

vere l'atteggiamento dell'Italia rispetto all'Unione Occidentale, e sopratutto agli Stati Uniti che ne sono gli ispiratori e praticamente i leaders. Il suo telegramma, in chiaro, diceva:

«Quotidiani Risorgimento Liberale e Umanità pubblicano versioni inesatte ultima discussione Consiglio ministri secondo cui ad interrogazione ministro Giovannini, circa necessità equidistanza Italia di fronte due blocchi antagonisti avrei risposto Italia serberebbe atteggiamento neutralità. Versione corretta deve considerarsi quella della stampa che riporta mia risposta senso seguente: Italia per tradizioni e civiltà appartiene al mondo occidentale ma per il momento non abbiamo contratto alcun impegno con alcuno dei due blocchi nè abbiamo intenzione contrarne senza sanzione Parlamento».

Il giorno innanzi, l O luglio, a proposito delle conversazioni occidentali a Washington, e di un colloquio informativo su tal soggetto che avevo avuto il 9 col capo dei servizi europei e consigliere della politica Marshali-Lovett, in quel campo, le avevo telegrafato2:

«lnterlocutore americano, affermando rendersi conto pienamente degli interessi italiani ha promesso di tenermi al corrente degli sviluppi delle conversazioni. Rilevo a tale riguardo che il Dipartimento mostra non dubitare affatto che a tempo necessario l'Italia farà parte integrante delle potenze occidentali così come già partecipa all'O.E.C.E. e gode dei benefici del piano Marshall».

Con parecchie mie lettere e rapporti, e particolarmente con la mia risposta del 6 giugno all'ipotesi di neutralità annata avanzata dell'ambasciatore Brosio, ho espresso il mio parere sia sul piano Marshall (come strumento prevalentemente politico, perchè si avvantaggiano, si sostengono, si rimettono in valore soltanto gli amici, o creduti, tali -e sempre sospendibile dali'Amministratore o dal Congresso) sia sulla ineluttabilità di prendere posizione nei confronti degli Stati Uniti e dell'Occidente, preferibilmente prima che un tal gesto abbia perso gran parte della sua spontaneità e quindi della sua efficacia, e non divenga la conseguenza inevitabile di un aut aut più o meno vellutato, ma stringente, a seconda delle circostanze.

Il 6 giugno le scrivevo infatti 3:

« ... È piuttosto difficile e fors'anche impossibile essere "Europa occidentale" (cioè più esattamente sistema atlantico) soltanto nel campo "spirituale ed economico", ammesso e non concesso che ci possa essere, specie in questa ardua svolta del mondo, una solidarietà spirituale ed economica indipendente dalla politica e dalle sue esigenze ...

La nostra neutralità armata... appare un mito quando si rifletta alle condizioni economico-finanziarie in cui l'Italia si dibatte ... Non potremmo riarmare, come riconoscono i tecnici, altro che con l'aiuto degli Stati Uniti, i soli che possono fornirci la materia prima, le macchine, i frutti costosi delle loro ricerche tecniche e scientifiche, gli elementi indispensabili per organizzare una difesa progressivamente efficiente. Quindi è puramente teorico invocare la neutralità armata per mantenere una posizione che soddisfi tanto coloro che dovrebbero aiutarci a crearla, quanto i loro supposti avversari. Sono equilibri impossibili che preludono capitomboli ... Quindi mentre la neutralità disarmata -a tutto nostro rischio e pericolo -è praticamente possibile, quella armata presenta insormontabili difficoltà ...

3 Per l'intero documento vedi D. 98.

Non si può pretendere o sperare che gli Stati Uniti debbano considerare con uguale simpatia, ed "abbandonare sospetti e differenze", sia rispetto a quelli che vi aderiscono (al Patto occidentale) sia rispetto agli altri che -pur bene stretti al piano Marshall ecc .... vorrebbero al tempo stesso chiudersi in una neutralità che possa .... soddisfare Mosca .

... Da questa capitale ho il dovere di far presente che la salvaguardia d'Italia dipende piuttosto dall'agganciamento solido a forti, sicure ed efficenti amicizie, con ogni dovuta garanzia, ed al riarmo effettivo e sufficiente per la difesa dei nostri confini, del nostro mare e del nostro cielo, lungo le sole vie pratiche per le quali può essere realizzata. Supporre nelle nostre attuali condizioni che una neutralità disarmata ci proteggerebbe, mi sembra molto audace. Di una neutralità armata, sul serio, mi pare poi non sia il caso di parlare per molti anni, sopratutto se essa dovesse realizzarsi a dispetto di chi ci assiste e ci sostiene nella prolungata crisi del dopoguerra».

A proposito della nostra posizione rispetto agli Stati Uniti e alla Russia, l'ambasciatore Quaroni, fino dal 13 dicembre 1945, con esatta visione, scriveva da Mosca4 :

«Una posizione intermedia tra anglo-sassoni e russi? Ma di questo i russi non vogliono sentir parlare. Se fossimo disposti a dire ai russi ... che siamo disposti ad inserirei politicamente, economicamente nella zona russa, con tutte le garanzie di perpetuità e di solidità che le danno, o che si prende, nei paesi che già si trovano nella sua zona ... La Russia non vuole dei mediatori ma dei vassalli e non ammette posizioni intermedie ... Riconosce una sola potenza pari, gli Stati Uniti ... tutti gli altri non contano niente ... Con gli Stati Uniti vogliono trattare, intendersi, discutere direttamente, da soli, senza nessun intermediario ...

Per quanto scettici si possa essere sulla misura reale dell'appoggio americano, comunque è solo dall'America che ci può venire un po' d'aiuto, è evidente che bisogna che noi continuiamo a guardare da quella parte e ad evitare attentamente tutto quello che potrebbe guastare i nostri rapporti con l'America».

Il 21 luglio 1947 lo stesso ambasciatore Quaroni telegrafava da Parigi, dopo l'offensiva di Molotov contro il piano Marshal!S:

«Si ritiene in generale che rottura fra Oriente ed Occidente è questa volta definitiva e che essa significa tra l'altro fallimento tutta politica Bidault equidistanza tra i due blocchi».

E il 15 settembre telegrafava ancora6 :

«Ii Governo francese ed in particolare il presidente del Consiglio hanno preso ormai orientamento decisamente americano. Oltre che da note necessità finanziarie atteggiamento francese è determinato da speranza ottenere mediante allineamento politico americano maggiore comprensione da parte Stati Uniti aspirazione francese per questione tedesca. Atteggiamento francese a questo riguardo è anche in certa misura inspirato da impressione che in genere Stati Uniti d'America sono meglio disposti verso di noi che verso la Francia; che questo è conseguenza politica tentata per due anni dalla Francia di mantenere bilancia eguale fra i due avversari; essi tentano quindi di riacquistare il terreno perduto e, possibilmente, farcelo perdere a noi.

5 Non pubblicato.

6 Per l'intero documento vedi serie decima, vol. VI, D. 463.

Bidault e con lui Quai d'Orsay è personalmente convinto che posizione assolutamente intransigente assunta dai russi non (dico non) rende attualmente possibile politica anche solo relativamente equidistante: ritiene che prossima conferenza Londra non farà che consacrare rottura russo-americana anche per questione Germania: che adesione piano Marshall, date circostanze in cui essa si è prodotta, è "biforcazione delle strade": è quindi convinto necessità andare avanti per strada americana senza più preoccuparsi reazioni Mosca se non per quel minimo di apparenza che può essere necessario per ragioni di politica interna».

Questo tema lo stesso ambasciatore ha illustrato in altri telegrammi e rapporti. Il 2 giugno '48 l'ambasciatore Quaroni scriveva al ministro, sempre da Parigi, m risposta a Brosio 7:

«La realtà è che noi, come tutti gli altri paesi d'Europa, abbiamo cessato di essere indipendenti e che, dato lo stato dei rapporti russo-americani, oggi noi siamo altrettanto liberi di riavvicinarci alla Russia, come la Polonia di riavvicinarsi all'America ...

... Nel 19x la sproporzione delle forze tra noi e i due contendenti sarà tale che è assolutamente fuori questione che noi possiamo per nostra volontà restare fuori, neutrali .... Comunque non si può fare una politica italiana basata sul concetto di una neutralità che non siamo in grado di far rispettare».

L'ambasciatore Gallarati Scotti il 23 gmgno scriveva da Londra al segretario generale Zoppi8:

«... Mi parve di notare nelle risposte di Sargent la indicazione di una certa diffidenza britannica verso le continue nostre dichiarazioni di "occidentalismo", controbilanciate però da una manifesta tendenza italiana alla neutralità, che da molte parti mi risulta essere fonnula assai sospetta nel mondo anglo-sassone in quanto si ritiene insinuata dalla Russia e a tutto vantaggio della Russia dopo le nostre elezioni. Questo forse spiega un evidente irrigidimento che noto negli stessi ambienti politici dopo il 18 aprile».

E 1'8 luglio l'ambasciatore Gallarati Scotti telegrafava riferendo di un suo colloquio con Bevin9 :

« ... Bevin mi ha poi domandato se eventuali proposte concrete da parte inglese circa nostra partecipazione Unione Occidentale non avrebbro potuto mettere Governo italiano in imbarazzo. Mi limitai a rispondere che le conversazioni preliminari avrebbero comunque potuto rimanere strettamente confidenziali ...

... Comunque in materia di assistenza militare effettiva, argomento a cui avvenimenti Berlino conferiscono importanza evidente e immediata, mi si disse chiaramente qui, in altra sede, che da parte inglese non si farà niente sinchè nostro atteggiamento politica estera rimarrà incerto».

Dall'insieme di queste opinioni, note a VE., mi sembra poter dedurre che, salvo lievi differenze di temperamento e di stile, i tre ambasciatori a contatto con i massimi esponenti de li'Occidente hanno espresso gli stessi giudizi e proiettate le stesse prospettive per il prossimo avvenire.

H Per l'intero documento vedi D. 136.

9 Per l'intero documento vedi D. 190.

Il telegramma giunto ieri e riportato testualmente all'inizio di questa lettera, dà conto di una discussione in Consiglio dei ministri, che suppongo del 6 luglio, nella quale il ministro Giovannini avrebbe interrogato VE. «circa necessità equidistanza Italia di fronte due blocchi antagonisti».

Questo farebbe credere che il ministro Giovannini -e non so se anche altri colleghi suoi -non abbia tenuto sufficiente conto del fatto che non può esistere equidistanza:

-quando da un lato si sono ricevuti e si ricevono enormi aiuti materiali e politici, e dall'altro nulla, se non richieste di riparazioni;

-quando da un lato vi è il piano Marshall in funzione da cui dipende notevole parte del nostro vivere e del nostro assestamento, e dall'altro soltanto la promessa di una palingenesi comunista;

-quando da un lato si può essere armati e messi in grado di difenderci, e dall'altro, non v'è speranza di protezione, ma v'è invece minaccia d'insurrezione intema o d'invasione straniera;

-quando da un lato v'e' chi ci vuoi dare Trieste e dall'altro chi ce la vuoi togliere; chi ogni giorno ci appoggia con ogni sorta di interventi, di agevolazioni e di favori da noi richiesti, e chi, ogni giorno ci ostacola (perfino nel caso di un modesto posto nelle N.U.);

-quando da un lato vi sono gli Stati Uniti con interessi italiani enormi (e tra gli altri quello di molti milioni di emigrati del nostro sangue, il cui apporto all'Italia è noto) e dall'altro l'U.R.S.S. che d'italiani non ha che sepolti e dispersi.

Tutte queste considerazioni possono apparire di carattere esclusivamente contingente ed utilitario. Ma ho voluto, a bella posta, non avvalermi di ancor più facili argomenti morali, politici, sociali -che suppongo non sfuggano ad un ministro liberale -sia pere h e sono inclusi nella frase di VE. «l'Italia per tradizioni e civiltà appartiene al mondo occidentale», sia perchè -e sopratutto -non ho voluto uscire dal campo dei nostri interessi fondamentali e non accantonabili, quali appaiono necessariamente da un esame freddo e realistico della nostra presente posizione internazionale.

«Equidistanza» -date queste condizioni, di cui l'on. Giovannini dovrebbe pur essere informato -non mi sembra nè parola nè fatto possibile. Un tale concetto dimostra particolarmente una visione delle cose del mondo presente che -diffusa e divenuta determinante -potrebbe nuocerei gravemente rispetto agli Stati Uniti, che se non si aspettano gratitudine, suppongono almeno in noi una sufficiente comprensione egoistica della situazione, che ci indichi da quale lato sono i nostri interessi e le nostre assolute necessità -si che non ci si culli in vane speranze di neutralità armate o disarmate, ugualmente e mortalmente pericolose.

Nè si creda, quando si parla dei «due blocchi», di escluderne l'America (con effimera restrizione mentale) che il blocco occidentale vuoi dire sopratutto forze e risorse degli Stati Uniti, e tanto più ora che gli Stati Uniti non sono soltanto in America, ma anche in Germania, in Austria, a Trieste, nel Mediterraneo, agli avamposti del blocco occidentale, e non solo parte integrante, ma parte dirigente di esso.

Mi è parso di qualche utilità rispondere un po' a lungo -anche per mio conto -alla domanda che l'on. Giovannini le ha rivolta in Consiglio dei ministri.

La risposta di V.E. contiene un'espressione, certo pesata, di notevole importanza e portata, «per il momento», che lascia intendere la possibilità di un'adesione a tempo opportuno, anzi a breve scadenza. Ma, asserisce poi di «non aver contratto alcun impegno con alcuno dei due blocchi» come se fossimo in quello stato di equidistanza di cui la domanda del ministro Giovannini; come se contrarre impegni, nell'uno o nell'altro senso, fosse parimenti possibile e desiderabile. E aggiunge: «né abbiamo intenzione di contrarne senza sanzione del Parlamento» Quest'ultima frase si presta tanto a voler dire che il Governo chiederà eventualmente una previa autorizzazione, quanto che sottoporrà eventuali accordi alla ratifica del Parlamento, com'è prerogativa di Governo e universale usanza anche nelle più gelose democrazie.

L'idea che, a tempo opportuno, ed anche a breve scadenza, l'attuale Governo italiano possa aderire tanto all'uno quanto all'altro blocco, non è affatto qui presa alla lettera, e con la massima cura mi adopero a che non lo sia.

Ma dà tuttavia quell'impressione di vago e d'incerto, in fatto di amicizie e di interessi, che Gallarati Scotti ha ben sentito a Londra ed ha francamente segnalato, e che anche qui non sfugge.

Inglesi, francesi, canadesi ed olando-belgi non sentono il bisogno e tantomeno l'urgenza di un nostra pronta adesione al Patto occidentale che creerebbe loro problemi politici (demolizione del trattato, soluzioni coloniali favorevoli per noi, armamenti ecc.) e problemi strategici non indifferenti e assai più in nostro vantaggio che nel loro. Gli americani ci desiderano nel sistema difensivo, ma non ci «vogliono mettere in imbarazzo» (come Bevin, sebbene con altro spirito); non stimano che il nostro apporto, nelle condizioni attuali, sia maggiore dell'onere; non sono indotti quindi a proporci ed imporci agli altri; tanto più che non tralasciamo di far loro intendere che siamo riluttanti per ragioni che apprezzano in parte, ed in parte non considerano sufficienti e valevoli.

Se la guerra dovesse scoppiare quest'anno, -e i più non lo credono -ogni conversazione preliminare sarebbe ormai inutile, e si dovrebbe riparare, potendo, con mezzi di fortuna; perchè, come ho già scritto a più riprese, il massimo sforzo sarebbe sviluppato agli inizi dalle forze aeree americane sull'U.R.S.S., che hanno predisposte adeguate basi a questo primo scopo, abbastanza vicine per essere efficenti nell'offensiva, abbastanza lontane per evitare le più gravi rappresaglie. (Questo, naturalmente, non esclude l'utilità delle basi intermedie, sì che, se ne avessero necessità, gli Stati Uniti non esiterebbero a procurarsele, come nel '43). D'altronde, nell'eventualità di conflitto prossimo, dato tutto il nostro orientamento economico, e le precise servitù che ne derivano, come potremmo dichiararci neutrali, a dispetto dell'Occidente, e continuare a vivere sia pure ristrettamente in relativa normalità? I giri di vite progressivi, in quel caso, non mancherebbero, tanto più che, essendo l 'Italia nazione prevalentemente marittima, gli impedimenti ai suoi traffici, oltre alla sospensione d'ogni aiuto diretto, sarebbero purtroppo assai facili. Salvo che un'occupazione delle più importanti basi nostre da parte dell'avversario, non rendesse subito inevitabili bombardamenti di cui nel '40-'45 subimmo solo, e proporzionalmente, modesti esempi, in confronto delle attuali prospettive e degli spaventosi progressi distruttivi.

Se non v'e' guerra quest'anno, come, ripeto, i più suppongono e sperano, verrà tra qualche mese il momento -probabilmente agli inizi del '49 -di prendere atteggiamenti decisi, chè difficilmente ci sarebbe consentito di ondeggiare più a lungo. Verrebbe infatti il periodo dell'insediamento della nuova amministrazione (che qui si continua a prevedere repubblicana) assai più dinamica ed esigente, di quella democratia attualmente stanca e poco vogliosa di affrontare difficoltà. Si discuterebbero al Congresso sia i nuovi stanziamenti per il secondo anno del piano Marshall, sia le garanzie politiche e gli impegni militari degli Stati Uniti verso i Cinque di Bruxelles e il Canada e le reciproche disposizioni di ciascuno e di tutti.

Non sembra possibile opinare che si possa aspettare tranquilli fino allora in una posizione di distacco, d'indifferenza, di «equidistanza» anche soltanto teorica. Il Governo degli Stati Uniti -mi è stato con delicatezza ma assai intelligibilmente detto -se non si aspetta una nostra adesione con protocolli e sigilli prima di quel momento, vorrebbe intanto sapere, con un congruo anticipo, sia pure in via amichevole e confidenziale, che noi siamo dalla sua parte non geograficamente e storicamente soltanto, ma per netto e deciso proposito della maggioranza degli italiani espressa d'altronde dalle elezioni del 18 aprile, com'essi le hanno intese; che daremo presto un contenuto giuridico, politico e militare a questa nostra posizione e che, in ogni modo, nel caso di un conflitto, la nazione italiana sarà schierata a fianco delle democrazie occidentali.

Tutto questo ho dovuto dire e ripetere anche perchè ho sempre stimato impossibile e calamitoso considerare comunque uno schieramento in senso inverso che questa volta ci risulterebbe fatale. D'altra parte un tale effettivo quadro della situazione è sempre più apparso evidente dall'esame dei fatti che si sono via via sviluppati e si stanno sviluppando.

Ora si viene -per forza di cose e di eventi -alla resa dei conti e a mio giudizio, non siamo in grado di lesinare -e non è in alcun modo nostro interesse farlo -rispetto agli americani, una presa di posizione che probabilmente è la sola che ci sia consentita da una realtà alla quale non possiamo sottrarci.

In un conflitto immediato, con molte falle irreparabili all'improvviso, potremmo forse tentare una neutralità disannata, fino a quando gli Stati Uniti la ritenessero utile a noi e a loro.

In una preparazione metodica della difesa dell'Europa occidentale e mediterranea, opportunamente coordinata e concatenata, l 'Italia non potrebbe invece essere assente, senza ridursi allo stato d'impotenza, facile preda degli uni o degli altri, e delle conseguenti rappresaglie dai due lati, senza la menoma possibilità di salvaguardare coi propri mezzi, convenientemente rafforzati da quelli altrui, i nostri vitali interessi. Sì che diverremmo -terre e popolazioni -soltanto un campo di battaglia, senza poter in nessun modo adoperarci sia ad allontanare, sia a limitare le perdite e le distruzioni, sia a cooperare, con vigore e valore nostro, ad una vittoria, da cui dovremmo pur trarre qualche necessario compenso in tanta disgrazia.

Perciò sono costretto a ripetere una volta ancora: cerchiamo di proteggerei quanto è possibile prima che sia troppo tardi, appoggiandoci fermamente a coloro che hanno, secondo ogni ragionevole previsione, fondate probabilità di vincere una guerra che purtroppo, per moltissimi sintomi, mostra di avvicinarsi.

Se non vi sarà, tanto meglio; non avremo perduto nulla di essenziale ad essere preparati al momento critico; ad aver dimostrato decisione e coraggio; ad aver mantenuto fede ai nostri ideali; ad aver dato prova di essere fedeli ad amicizie che ci sono state e ci saranno preziose in tempi normali e in momenti di pericolo, e della cui simpatia e del cui apporto, in ogni campo, avremo ancora per anni bisogno.

Tutto questo ~anche per la lunga amicizia che mi lega alla sua persona ~ho sentito il dovere di esporre da Washington, in questo frangente, perchè credo ~ed è bene che il Governo italiano ne sia conscio ~che gli Stati Uniti non tarderanno molto a domandarci assicurazioni generiche e confidenziali, ma assai più precise di quelle finora enunciate, per passare poi, nel '49, a richieste~ o suggerimenti dello stesso valore ~ben più ferme e più pressanti.

E in vista di tali evenienze è bene avere il maggior tempo possibile per riflettere e per decidere. Chè dal tono e dalla sostanza delle nostre risposte possono derivare conseguenze vitali per il paese.

Intanto, mi sembra in ogni modo doveroso ~da parte di personalità in vista ~ evitare le indiscrezioni di stampa su un argomento così scottante, sì che V.E. non sia poi costretta a rettifiche che attraggono l'attenzione dello State Department sull'imbarazzo, almeno verbale, del Governo italiano e possono indurlo a prepararsi con qualche sollecitudine a domandare, sia pure per vie amichevoli, più esatte definizioni del nostro stato d'animo e dei nostri propositi.

Le mie assicurazioni qui ~per quanto prese in dovuta considerazione ~non possono sempre, ed in tempo, controbilanciare le informazioni e le impressioni che vengono direttamente da Roma, specie se basate su dichiarazioni autorevoli d'indiscutibile attendibilità 10 •

209 1 T. urgente 8014/c. del IO luglio diretto anche alle ambasciate a Londra e Parigi, di seguito riprodotto.

209 2 Per l'intero documento vedi D. 203.

209 4 Per l'intero documento vedi serie decima, vol. III, D. 15.

209 7 Per l'intero documento vedi D. 85.

210

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 9461-9462/0 lll-0 112. Ankara, 13 luglio 1948 (per. il 16).

Ho parlato con Sadak in conformità alle sue istruzioni'. Gli ho detto in sostanza che parallelamente alle discussioni in corso con la Grecia e negli stessi limiti,

209 1° Con T. s.n.d. personale 8591/435 del 27 luglio Sforza rispose: «Quanto mi espone nella sua lettera personale del 12 risponde anche secondo me alla verità ma non è tutta la verità. Certe forme di linguaggio e certe decisioni non dipendono solo dagli uomini di Stato ma ben più da una atmosfera nazionale che finora non si fissa e ciò niente affatto per amore di una "equidistanza" in cui nessun crede. Gli eventi e, spero, la saggezza degli alleati potranno contribuire a creare una situazione più dinamica e feconda. Ciò premesso approvo che ella abbia tenuto linguaggio descritto a pagina Il della sua lettera». Il brano della lettera a cui si riferisce Sforza corrisponde qui ai capoversi secondo e terzo di pag. 305.

21 O 1 Non rinvenute.

potrebbero essere utilmente avviate analoghe conversazioni con la Turchia che abbiano lo stesso scopo di aggiornare i rapporti convenzionali fra i due paesi e di porli su un piano che possa eventualmente essere approfondito ed allargato, se i tempi e le circostanze lo consentiranno. Esistono com'è noto fra Turchia ed Italia due trattati, quello di commercio e di navigazione del 1936, tuttora vigente, e quello, più importante, di neutralità, conciliazione e regolamento giudiziario del 1928, giunto a termine nell'aprile 1947. Si tratterebbe ora di porre le relazioni bilaterali fra Turchia Grecia Italia press' a poco sulla stessa strada, in vista dell'obbiettivo di pacificazione e normalizzazione comune ai tre paesi, e, se le circostanze saranno propizie, di più stretta ed amichevole collaborazione mediterranea.

Sarei molto grato a V.E. se vorrà cortesemente farmi pervenire il progetto in discussione con la Grecia. Da quel che ne ho visto nel mio recente soggiorno a Roma, mi pare potrebbe essere un buon binario su cui convogliare le discussioni. Naturalmente non credo che i turchi -così riluttanti e restii come sono a assumere con chicchessia impegni di questo genere -possano persuadersi deli'utilità di includere negli accordi quelle norme e disposizioni in materia di stabilimento che mi pare siano previste nel nostro progetto con la Grecia. Si potrà tentarlo.

Sadak è comunque d'accordo. Apprezza molto lo spirito amichevole che ha dettato la nostra iniziativa.

È superfluo dica a VE. che non ho dato alla questione alcun carattere di particolare urgenza e che ho descritto l'iniziativa piuttosto in termini di tappa sulle vie dell'avvenire che non di obbiettivo che debba avere speciale significato, oltre quello che vogliamo dargli, di cordiale amicizia fra Italia e Turchia.

Ed in questo senso è stato certamente intesa. Ho accennato a Sadak, in termini molto generici, alle aperture a suo tempo fatteci dalla Bulgaria. Mi dice che il Governo bulgaro ha press'a poco alla stessa data adottato atteggiamenti analoghi anche col suo Governo. In vista dei frequenti incidenti bulgaro-turchi, Sofia ebbe infatti a proporre tempo fa la costituzione di una Commissione mista che avesse appunto il compito di esaminare e risolvere il più rapidamente ed amichevolmente possibile queste ed altre questioni in pendenza fra i due paesi. La risposta turca fu che non si ravvisava l'opportunità di mettere in piedi la commissione proposta; che le questioni vere e proprie in sospeso fra Turchia e Bulgaria erano poche e modeste; che il resto avrebbe potuto, sol che si voglia, essere egregiamente trattato e risolto per le ordinarie vie diplomatiche. Sadak mi dice di aver in questa occasione affermato in termini molto espliciti e fermi a questo ministro di Bulgaria che non si sentiva affatto di raccomandare al suo Governo o di proporre all'Assemblea nazionale alcunché di favorevole al miglioramento dei rapporti fra i due paesi, sino a quando perdurasse a Sofia l'astiosa atmosfera attuale e continuassero gli incidenti, che sono frequenti e gravi. Sadak si domandava se codeste aperture bulgare verso Occidente -Italia, Francia, Turchia, Grecia -fossero per avventura timidi tentativi di manovra indipendente anche da parte bulgara, o piuttosto, altrettante mosse inspirate o consentite da Mosca, come gli pareva più probabile.

Gli ho comunque assicurato -e l'assicurazione è stata molto apprezzata che, quantunque il nostro paese sia animato dal fermissimo proposito di favorire ogni iniziativa che valga al rafforzamento della pace con tutti e dunque anche con la Bulgaria, VE. si proponeva tuttavia di far sapere a Sofia che ogni iniziativa di questo genere avrebbe indubbiamente potuto essere meglio condotta in porto se attuata in un'atmosfera di migliorati e chiariti rapporti fra Bulgaria ed i suoi vicini, ciò che in conseguenza vivamente auspicava e raccomandava.

Gli avvenimenti jugoslavi hanno comunque introdotto nella questione elementi nuovi, ogni eventuale passo verso Sofia prestandosi oggi ad essere interpretato anche in termini non amichevoli verso Belgrado.

211

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 9475/0113. Ankara, 13 luglio 1948 (per. il 16).

Questo ambasciatore di Francia mi ha chiesto, dietro istruzioni del suo Governo, se e che cosa ci fosse di concreto nelle voci ogni tanto ricorrenti di intesa mediterranea. Gli ho, in termini molto generici, spiegato, come le cose effettivamente stanno che si tratta cioè, a nostro avviso, di una idea feconda, di cui i tempi e le circostanze pur tuttavia non consentono o, meglio, non consentono ancora l'attuazione concreta. Egli attribuisce la richiesta di informazioni del suo Governo al proposito di accertare che cosa Ankara effettivamente pensi di una iniziativa che ambasciatore di Turchia a Parigi Menemencioglu -che non dimentica di essere stato ministro degli esteri e tiene in modo particolare alla paternità di codesto progetto -par continui a sostenere presso il Quai d'Orsay, come una delle strade in cui converrà che le potenze mediterranee al più presto si pongano. E poiché vedo che anche ambasciatore di Turchia a Washington ha di recente parlato con ambasciatore Tarchiani (telespresso di VE. n. 15/20634/c. del 30 giugno )1 dell'utilità di organizzare un fronte unico mediterraneo e cioè nello stesso senso, ho voluto accertare presso ministro Sadak se per avventura egli volga tuttora nella sua mente il progetto di intesa di cui parlò tempo addietro.

Ho trovato Sadak molto scettico sulla effettiva possibilità di porre in piedi oggi come oggi una intesa di questo genere, che da parte turca era stata, com'è noto, concepita piuttosto come mezzo per giungere ad una garanzia nordamericana che come obiettivo da attuarsi per i suoi particolari vantaggi ed intrinseca utilità.

2I I 1 Ritrasmetteva il R. segreto 5421/2066 del 3 giugno da Washington, non pubblicato.

212

IL DELEGATO PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 9522/182/D32/M32. Parigi, 13 luglio 1948 (per. il 17).

Telegramma Ministero esteri n. 533 dell'8 corrente 1•

Stamane in sua seduta Consiglio dell'O.E.C.E. ha approvato dichiarazione italiana relativa a partecipazione Trieste ad E.R.P. e progetto decisione da noi presentato e che trasmetto qui allegato2•

Progetto decisione Consiglio di cui Ministero esteri ha comunicato per telefono sua approvazione, era stato preventivamente comunicato a delegazioni britannica e francese.

A seguito decisione presa, il segretario generale è stato incaricato dell'invio dei relativi formulari a Trieste.

213

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE LEGAZIONI A CIUDAD TRUJILLO, GUATEMALA, L'AVANA, MONTEVIDEO E PANAMA

TELESPR. SEGRETO URGENTE 3/517/c. Roma, 13 luglio 1948.

Questo Ministero, a suo tempo, ha interessato alcuni Governi sud-americani per ottenere da essi un orientamento favorevole alla nostra tesi nella questione delle antiche colonie italiane.

Nell'appunto qui unito in copia, datato 8 c.m. 1 , sono riassunte le dichiarazioni fatte, in risposta, dai predetti Governi.

Prospettandosi ora l'eventualità che tale questione-per difficoltà che a Londra i Sostituti dei quattro ministri degli esteri incontrano per raggiungere un accordo venga deferita alla Assemblea generale dell'O.N.U., è opportuno svolgere analoga azione anche con i Governi presso i quali le rappresentanze in indirizzo sono accreditate, cercando di indurii a prendere ufficialmente posizione in favore dell'assegnazione all'Italia dell'amministrazione fiduciaria di tutte le sue colonie prefasciste.

Prego riferire telegraficamente circa i risultati dei passi fatti al riguardo2 .

212 vedi D. 196.

Vedi D. 207.

213 1\on rinvenuto. 2 Dalle legazioni a Guatemala, l'Avana e Montevideo giunsero risposte positive (rispettivamente,

T. 11736/29 del l" settembre, T. l 0607/64 del 7 agosto e T. l O l 08/21 del 28 luglio). Le rappresentanze a Ciudad Trujillo e Panama non risulta abbiano risposto.

214

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AIETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO RISERVATO. Roma, 13 luglio 1948.

Il promemoria presentato dal prof. Valletta e dall'ammiraglio De Courten a V.E. circa la fornitura di navi all'U.R.S.S. 1 risolleva in pieno quella grossa questione delle forniture dei nostri cantieri navali ai paesi dell'Europa orientale e particolarmente alla Russia, circa le quali questa Direzione generale ha avuto più volte l'occasione di attirare l'attenzione di V.E., da ultimo con appunto del 16 giugno u.s. 1

La questione, ridotta nei suoi termini schematici, si presenta come segue: l) I sovietici hanno presentato numerose proposte ai nostri cantieri navali per ottenere forniture in contropartita di pagamenti in dollari (circa l 00 milioni); 2) salvo qualche caso sporadico, i sovietici hanno dichiarato per quanto riguarda queste forniture, di non voler provvedere al reintegro delle materie prime necessane; 3) i dirigenti dei cantieri navali considerano questi contratti ottimi, data la nostra ben nota e sfavorevole situazione di costi. Non si preoccupano del mancato reintegro perché pensano di potersi procurare le materie prime con i dollari o in Italia

o all'estero. Sono inoltre portati a sollecitare la conclusione delle trattative con i sovietici in quanto per lo più i nostri cantieri hanno terminato o stanno terminando in questo periodo lavori per altre forniture all'estero e, ove le trattative con l'U.R.S.S. non giungessero ad una conclusione positiva, si troverebbero senza o con scarse ordinazioni e quindi nella necessità di licenziare gran parte della mano d'opera. Nelle loro pressioni presso le varie autorità governative per ottenere le necessarie autorizzazioni, essi non hanno fatto mistero che si varranno per la loro opera di pressione, dell'appoggio dei sindacati operai;

4) i funzionari dell'ambasciata americana non hanno mancato più volte di attirare l'attenzione di questa Direzione generale sulla grave impressione che solleverebbero in America nostre forniture all'UR.S.S. di prodotti finiti con uso di materie prime non reintegrate dallo stesso committente o dai suoi satelliti. Anzi, nelle loro conversazioni, i predetti funzionari non hanno neppure ben chiarito se il reintegro delle materie prime sarebbe sufficiente elemento per calmare l'opinione pubblica americana almeno per quanto riguarda le forniture navali che in un certo senso possono essere considerate di valore bellico. A questo proposito essi non hanno mancato di ricordarci le dichiarazioni fatte in più occasioni dal signor Hoffman e da altre personalità responsabili americane.

È inutile nascondersi che in tali termini la questione -a prescindere dalla sua connessione con il complesso problema delle riparazioni ben noto a V.E. -presenta una estrema delicatezza di trattative sia coi russi sia con gli americani.

I russi mettono in atto il loro consueto sistema di evitare di trovarsi di fronte alle autorità governative nella discussione di queste questioni e tentano di raggiungere lo scopo offrendo isolatamente, di volta in volta, agli industriali ed agli operai, condizioni tali da mettere il Governo in difficile posizione per le pressioni che fatalmente gli pervengono dagli ambienti interessati che non possono o non vogliono sottilizzare sui vari aspetti contraddittori del problema.

Inoltre, da qualche frase pronunciata dal consigliere commerciale sovietico, non è escluso che nei prossimi mesi si ricorra alle solite clamorose manifestazioni di stampa e forse anche di piazza da parte dei partiti di sinistra.

Per quanto riguarda gli americani, la situazione non è meno difficile perché, prima ancora di giungere ad una qualsiasi conclusione con i sovietici bisogna convincerli della nostra estrema necessità di mantenere le tradizionali correnti di intercambio con gli Stati dell'Europa orientale se non si vuole annullare quasi ogni beneficio del piano Marshall. Questa opera non può essere che cauta e graduale; è già stata progressivamente iniziata da alcune settimane nel corso di frequenti conversazioni con gli esponenti di questa ambasciata americana. Sembra si sia ottenuto anche qualche risultato; l'ambasciata si è mostrata molto comprensiva e ha fatto presente al proprio Governo le nostre preoccupazioni, chiarendo gli elementi caratteristici della nostra economia e particolarmente del nostro necessario intercambio con l'Oriente.

Tuttavia ciò che è emerso subito ben chiaro da queste conversazioni, è che né lo State Department né l'amministrazione E.C.A. potrebbero restare indifferenti al fatto di nostre eventuali forniture all'U.R.S.S. senza il relativo reintegro delle materie prime (se non totale almeno in proporzioni rilevanti); ne risulta quindi la necessità per il Governo italiano di prendere nelle sue mani il complesso problema delle trattative per le forniture dei cantieri navali all'U.R.S.S., e non vi è migliore occasione di quella del prossimo viaggio a Mosca della delegazione che sarà presieduta dall'an. La Malfa. Nella prima attuale fase di preparazione si prevede infatti che oltre all'accordo commerciale vero e proprio (da concludersi in base a contingenti di merci e produzioni varie) vi saranno trattative per forniture speciali, ora il ~ruppo più importante di queste sarà appunto costituito dalle navi, galleggianti, ecc. E noto che l'U.R.S.S. ha estremo bisogno di queste forniture che formano la spina dorsale delle sue trattative con terzi paesi a produzione industriale. Questo bisogno potrebbe così fornire alla delegazione un'arma di prim'ordine nelle trattative di Mosca. Ciò è accaduto del resto recentemente nelle trattative con l'Olanda e la Danimarca; i sovietici faranno grandi resistenze per evitare il reintegro delle materie prime, offrendo anche condizioni di estremo favore nel pagamento in dollari. Ma è tuttavia prevedibile che, come è accaduto con l'Olanda, anche con noi l'U.R.S.S. si decida a cedere sulla parte del reintegro piuttosto che perdere le forniture. Anche l'ambasciatore Brosio si è espresso nello stesso senso.

Alla luce di quanto precede, non sembra quindi che il Governo italiano possa dare l'autorizzazione ai vari cantieri interessati di perfezionare i propri contratti. E ciò fino a quando, da un lato non si siano concluse a Mosca sul piano generale le

311 condizioni fondamentali alle quali tali forniture potranno aver luogo; dall'altro si possa essere certi che da parte americana non vengano sollevate difficoltà e reazioni pregiudizievoli ai nostri rapporti con gli Stati Uniti.

214 1 Non pubblicato.

215

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPE SANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9417/162. Buenos Aires, 14 luglio 1948. ore 20,36 (per. ore 8,40 del 15).

Suo telegramma n. 1241• Dato quanto comunicato con il telegramma in riferimento ritengo che acquisto 40 mila tonnellate grano in valuta autorizzato da codesto Ministero con precedente telegramma vorrebbesi applicare al piano E.R.P. In tal caso ritengo opportuno far presente che Argentina pur essendo in linea di massima disposta far migliori condizioni per grano pagato in dollari liberi che per quello pagato in compensazione non intende assolutamente vendere a prezzo eguale mercato Nord America.

A tale riguardo richiamo mio telespresso 2755/160 del 2 corrente2 .

Escludo quindi per nostro eventuale acquisto 40 mila tonnellate possano attenersi prezzi eguali quelli Nord America e conseguentemente possano essere ottenuti valuta E.R.P. Scopo evitare proseguendo trattative acquisto possa trovarmi in posizione disagiata, ove all'ultimo momento insistessi richieste prezzo U.S.A., che fin dal principio è stato rifiutato, sospendo miei passi in attesa di conoscere se, disponendo Governo italiano valuta propria, acquisti possano essere fatti indipendentemente da E.R.P.

216

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 9504/042. Londra, 14 luglio 1948 (per. il 17).

Mio telegramma per corriere 040 1•

Non rinvenuto. 216 1 Vedi D. 185.

Mi risulta che l'inizio delle conversazioni tra Gran Bretagna e Stati Uniti circa un accordo preliminare tra le due potenze riguardante le nostre colonie sono state rimandate ancora di qualche giorno a causa del ritardo dell'arrivo di due funzionari dello State Department, qui inviati per trattare tale questione. La posizione che gli Stati Uniti intenderebbero prendere pare tuttavia molto incerta, specialmente riguardo alla Tripolitania, la quale rientra in questo momento nel più ampio giuoco dei rapporti anglo-americani col mondo arabo nella delicata situazione derivante dal conflitto palestinese. Secondo mie informazioni non ufficiali gli U.S.A. non hanno interesse a rendersi ostili in questo momento le forze arabe mettendosi in opposizione alle loro aspirazioni anche nel settore dell'Africa settentrionale2 .

215 1 Vedi D. 140, nota l.

217

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MOSCA, PARIGI E WASHINGTON

TELESPR. 1124/c. SEGR. POL. Roma, 14 luglio 1948.

Riferimento: Mi riferisco al rapporto dell'ambasciatore a Mosca del 28 aprile 1 ed ai successivi rapporti di Parigi (n. 713110149/2024) del 2 giugno2 e di Washington (n. 5500/2119) del 6 giugno3 .

La questione relativa alla nostra posizione nei confronti del Patto di Bruxelles si presenta con aspetti vari e complessi, sia di politica estera che di politica interna che

Vedi D. 85. ' Vedi D. 98.

313 cercherò qui appresso di esporre ed analizzare affinché l'E.V. possa averli presenti in tutto il loro valore nel proseguire, con questo Ministero, l'esame della nostra situazione internazionale e degli orientamenti della nostra politica estera nell'interesse dell'Italia e della pace.

Il Patto di Bruxelles è sorto come una associazione di nazioni aventi la stessa concezione dei diritti fondamentali dell'uomo, dei principi sanciti nella Carta delle Nazioni Unite e delle libertà democratiche, e all'art. 9 prevede l'adesione di altre nazioni, adesione da concertarsi di volta in volta, in seguito a trattative ad hoc fra le cinque potenze originariamente firmatarie del Patto medesimo e quelle che eventualmente desiderassero associarvisi. Il Patto si propone il potenziamento della comune cultura e dei reciproci rapporti economici, il progresso sociale, e la difesa del comune patrimonio civile, della indipendenza dei suoi membri e della integrità dei rispettivi territori nazionali contro una eventuale aggressione.

È fuori di ogni dubbio che l'Italia, per la sua storia, per la sua cultura, per la sua tradizione e per i suoi ideali, nonché per la sua posizione geografica, appartiene al gruppo di nazioni di cosidetta civiltà occidentale: la lotta condotta sul piano interno nel recente periodo elettorale non è stata che una lotta in difesa appunto di quelle concezioni dei diritti fondamentali dell'uomo, dei principi contenuti nella Carta di San Francisco e delle libertà democratiche, che abbiamo in comune con le altre nazioni dello stesso ceppo: così come tutta la nostra azione internazionale nel campo economico (unione doganale italo-francese, unione doganale europea, cooperazione attiva allo stabilimento di una efficace collaborazione fra i sedici paesi deli'O.E.C.E.) è una prova costante dei nostri propositi di favorire una sempre più intima associazione fra i paesi dell'Occidente europeo, pur non perdendo la speranza che, nell'interesse della pace, possano in futuro associarsi con sinceri intendimenti a tali paesi anche quelli che oggi, forse più per imposizione esterna che per spontanea inclinazione (come recenti avvenimenti tenderebbero a provare) ne rimangono estranei.

Collaborando in tutti questi campi con le nazioni occidentali noi ci proponiamo di rafforzare l'unità economica e conseguentemente politica fra le nazioni stesse, di promuovere la rinascita del nostro continente che tuttora soffre delle conseguenze di due guerre succedutesi a breve distanza di tempo e ci proponiamo altresì, nel quadro della ricostruzione europea, di cercare e trovare la soluzione di taluni tra i maggiori problemi che assillano più direttamente il popolo italiano, elevandone socialmente come è negli stessi propositi del Patto -le condizioni sociali di vita e tutelandone le libertà fondamentali.

Tale azione politica raccoglie il suffragio della stragrande maggioranza del paese, come le elezioni del 18 aprile hanno comprovato.

Se per altro passiamo ad esaminare la questione sotto l'aspetto di impegni di carattere politico, e conseguentemente politico-militari, non possiamo non tener conto di un complesso di circostanze obiettive e soggettive che sembrano, pel momento almeno, limitare la nostra libertà di azione. Talune di queste circostanze sono del resto state riconosciute anche dal ministro Bevin e non sono ignorate da altri componenti del Patto i quali, pur auspicando l'adesione ad esso dell'Italia, hanno pur formulato qualche riserva quanto al momento in cui tale adesione potrebbe verificarsi.

Infatti:

l) Il paese ha combattuto, nel corso quasi di una stessa generazione, due aspre guerre dalle quali è uscito con profonde ferite materiali e con amare disillusioni anche quando la vittoria parve piena. Si ricordano da un lato le delusioni della prima guerra pur combattuta a fianco degli Alleati, delusioni che furono per buona parte all'origine delle successive dolorose avventure; si ricorda infine -anche fra gli umili -che la Svezia, la Turchia riuscirono a passare indenni traverso due bufere; e si dice «Perchè non noi?».

A prescindere dalla esattezza o meno di tali ragionamenti e dalla loro maggiore

o minore aderenza ai fatti e alla situazione politica generale, tale stato d'animo costituisce una realtà di fatto che non può essere sottovalutata.

2) A meno di un anno dalla entrata in vigore del trattato di pace e quando taluni dei problemi lasciati in sospeso dal trattato stesso o da questo regolati «a termine», sono ancora sospesi, le relazioni fra l'Italia e i paesi occidentali, nonostante ogni migliore sforzo del Governo, risentono le conseguenze di tale situazione e subiranno ancora l'influenza delle soluzioni che si daranno a talune delle questioni che interessano in sommo grado l'opinione pubblica italiana.

Ciò dà luogo a crisi ricorrenti nei rapporti fra l'Italia e altri Stati, crisi che rendono men facile l'ingresso ufficiale dell'Italia in un gruppo di nazioni di cui nessuna ha le nostre ferite, benché di tali ferite non ci passi neppure per la mente di fare oggetto di mercanteggiamento per una nostra domanda di adesione al Patto di Bruxelles.

3) La questione deve, last but not least, essere esaminata anche dal punto di vista militare che è poi il più importante.

La nostra situazione dal punto di vista delle possibilità di difesa non ha bisogno di essere illustrata, tanto essa è nota anche ai meno esperti di cose militari: e ciò sia per la situazione delle nostre forze armate, sia per la nostra posizione geografica che fa dell'Italia, fra tutti i paesi che dovessero partecipare al Patto occidentale e ad eccezione della sola Austria, quello più direttamente a contatto con il mondo orientale e quindi più esposto ad una ipotetica aggressione proveniente dall'est. Le stesse titubanze del Benelux di fronte ad una eventuale adesione italiana al Patto, a differenza di quelle britanniche che sono di origine più propriamente politica, traggono la loro ispirazione da questa constatazione, che preoccupa grandemente anche gli ambienti militari americani, tanto è vero che sino ad ora questi ultimi non si sono dipartiti dal concetto che, in caso di conflitto, la difesa verrebbe concentrata in Europa ad ovest della penisola italiana (salvo il tentativo di mantenere talune basi e capisaldi nelle Isole), e in Nord Africa. Ed anche le conversazioni in corso a Washington per concretare le modalità di tale limitata difesa nonché il concorso americano ad essa, procedono assai lentamente. In queste condizioni non si può per vero chiedere all'Italia di aderire a cuor leggero ad una determinato schieramento che potrebbe maggiormente esporla pur !asciandola senza possibilità di difesa.

Parallelamente a queste considerazioni altre se ne possono fare che risultano implicite dall'analisi della situazione fatta ripetutamente dalla ambasciate a Washington, Parigi e Londra, e precisamente:

l) che la nostra preoccupazione di salvaguardare per quanto possibile il paese da nuove calamità o quanto meno di porre in termini di chiarificazione il problema ai Governi occidentali, viene spesso considerata non già come una nuova prova di sincerità, ma come un atteggiamento «equivoco» mirante a riservarci libertà d'azione per una possibile politica di altalena fra i due sistemi oggi contrapposti; e che tale semplicistico e sbagliatissimo apprezzamento non solo non facilita, ma rende più difficile la soluzione in senso soddisfacente per noi di molti problemi, e in linea principale di quello della difesa, che appaiono strettamente collegati colla fiducia che si dovrebbe avere pei nostri orientamenti politici;

2) che a parte la nostra attitudine morale, una attitudine di neutralità in caso di conflitto è illusoria in quanto la neutralità, quasi sempre superata di fatto nei due ultimi conflitti mondiali, tende ad essere superata anche in diritto, in quanto contraria agli impegni che ogni Stato assume entrando a far parte delle Nazioni Unite; in caso di conflitto, per l'importanza della posizione geografica dell'Italia, nessuno dei presumibili contendenti ne rispetterebbe, per misura di precauzione e per reciproca diffidenza, la neutralità, e tenderebbe anzi sino dal primo momento ad impossessarsi del nostro territorio sia per assicurarsene la disponibilità, sia per sottrarlo all'occupazione dell'avversario. Talché nella impossibilità di difendere una teorica posizione di neutralità diverremo ben presto teatro di una guerra cui parteciperemmo in condizioni militarmente e diplomaticamente minorate.

Si fa anche notare che la presenza alle nostre frontiere orientali di truppe appartenenti a due Stati che per definizione sarebbero sin dal primo momento belligeranti, potrebbe rendere automatica l'offesa contro il nostro territorio senza contribuire in modo sensibile alla sua difesa; l'unica funzione utile di tali truppe sarebbe di rendere altrettanto automatica, pur con gli inconvenienti che deriverebbero da una nostra rinunzia ad ogni iniziativa diplomatica, una garanzia di «liberazione» a guerra ultimata e dopo un disastroso quanto inevitabile periodo di occupazione nemica. In queste condizioni non resterebbe che, o cercare di convincere gli anglo-americani a rimuovere questa situazione o indurii a includere tutta l'Italia nella zona strategica di loro interesse armandola per una effettiva difesa.

Queste considerazioni sono di indubbia importanza. Di talune di esse V.E. potrebbe far cenno, a titolo personale, in conversazioni confidenziali, per sfatare l'offensivo giudizio che si tende a portare sul nostro atteggiamento; su tutte gradirò mi esprima il proprio pensiero anche alla luce di taluni più recenti avvenimenti i quali, pur avendo dato luogo a situazioni tuttora assai fluide, non possono non essere tenuti in conto: apparirebbe infatti conveniente, per quanto limitate possano essere allo stato attuale delle cose le possibilità di veder maturare nuovi orientamenti politici nei Balcani, non compromettere con affrettate prese di posizione da parte nostra tali anche minime possibilità4 .

216 2 Questo telegramma fu ritrasmesso da Zoppi a Tarchiani (Telespr. segreto 3/557 del 21 luglio) con le seguenti osservazioni: «Circa quanto riferito nell'ultimo capoverso, è opportuno far rilevare che l'opposizione di una parte delle popolazioni libiche ad un eventuale ritorno dell'Italia è assai meno forte di quanto vorrebbero far credere gli inglesi e di quanto anche risulti dal rapporto della Commissione quadripartita d'inchiesta. Va tenuto presente a questo proposito che durante i sei anni dell'amministrazione militare queste popolazioni sono state fatte oggetto di una sistematica campagna tendente a denigrare in ogni modo l'Italia ed a convincerle che era ormai esclusa ogni possibilità che essa tornasse nell'Africa settentrionale. La Commissione d'inchiesta si è poi svolta in un periodo in cui vennero esercitate sulle popolazioni libiche, e specialmente sulle cabile dell'interno, pressioni di carattere morale e finanziario particolarmente forti, per cui è diftìcile sostenere che esse abbiano potuto esprimersi in piena libertà e con piena conoscenza di causa. Circa l'orientamento dei libici è doveroso riconoscere che la maggioranza relativa degli indigeni propende per l'indipendenza assoluta; ma poiché tale soluzione è --allo stato attuale dello sviluppo politico, sociale ed economico di quei territori -di impossibile realizzazione, fra le varie potenze straniere l'Italia è quella che raccoglie maggior numero di suffragi per un 'amministrazione fiduciaria destinata nel volgere di qualche anno a portare la Libia in grado di raggiungere la completa indipendenza. La maggioranza degli osservatori imparziali hanno del resto convenuto che qualora le quattro grandi potenze -o, in mancanza di un loro accordo, le Nazioni Unite -decidessero di affidare tale amministrazione all'Italia, non si avrebbero ragioni di temere speciali difficoltà da parte delle popolazioni libiche, specialmente se queste ultime non verranno sobillate da elementi irresponsabili. Tutte le precedenti considerazioni possono valere -tenuto conto delle varie situazioni locali -anche per l'Eritrea e la Somalia».

217 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 625.

217 4 Per le risposte vedi rispettivamente DD. 227, 264, 255 e 250.

218

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 9509-9510/0181-0182. Parigi, I 5 luglio I 948 (per. il I 7).

Bidault mi ha detto che conversazioni Washington non sono per ora uscite dal vago. Da parte americana è stato detto che non è per il momento possibile andare oltre termini dichiarazioni Vandenberg. Per quanto riguarda aiuti militari ad Europa, non ritengono possibile fare qualche cosa di concreto fino a che riarmo americano, che Washington continua essere considerata prima e più importante tappa, non abbia raggiunto determinati livelli. È stato anche detto molto chiaramente che difesa Groenlandia, Islanda ed Irlanda rappresenta in questo momento per Stati Uniti interesse maggiore che contribuzione difesa dei Cinque. Bidault mi ha aggiunto, del resto, che conversazioni non hanno finora sorpassato livello Lovett ossia funzionario con alte responsabilità ma senza potere di decisione: ogni tentativo portare conversazioni livello Marshall è stato cortesemente ma fermamente respinto da americani.

Contro questi aspetti negativi ha tenuto a dirmi di avere avuto da parte americana nuove assicurazioni, che ritiene effettive, che qualsiasi tentativo diretto od indiretto da parte russi sorpassare attuale linea demarcazione dovunque ciò avvenga sarebbe considerata da americani come casus belli.

Altro progresso cui Bidault attibuisce certa importanza è assenso americano a che loro osservatore militare sia presente in forma continuativa conversazioni militari Londra.

Circa prossimo convegno Aja 1 , Bidault mi ha detto che parte principale sarà esame lavoro fatto finora da esperti militari: si tratterà nella maggiore parte dei casi constatare lacune attuali possibilità militari Europa occidentale. Per parte sua egli è deciso non accettare designazione Montgomery quale comandante supremo Forze Europa occidentale. Suo punto di vista è che comandante in capo deve essere generale americano. Anche qualora venisse offerto posto comandante ad un generale francese egli se ne laverebbe le mani ed insisterebbe suo punto di vista.

Bidault mi ha detto anche essere sua intenzione sollevare carrèment questione Federazione europea. Ritiene sia ormai arrivato momento dire cose come sono che cioè ogni tentativo organizzare Europa separatamente sia sul piano geografico sia sui piani economici, politici e militari è insufficiente. Bisogna cominciare a prendere in esame questione Federazione Europa occidentale. Egli ritiene anche già arrivato il momento sventare manovra britannica voler deviare questione Unione europea sul campo convegni accademici ed ufficiosi: bisogna decidersi metterla con le spalle al muro e portarla cortesemente a decidersi se vuole realmente prendere parte Federazione europea oppure in caso contrario la lasci fare senza di lei.

Mi ha detto che sarebbe tornato a parlarmi dell'argomento dopo la Conferenza dell'Aja.

Pur riservandosi parlarmi più a lungo questione colonie fra qualche giorno, Bidault mi ha detto escludere possibilità che possa arrivarsi ad un accordo fra i Quattro evitando riportare questione senza decisione anche solo di principio davanti alle Nazioni Unite.

Mi ha detto che punto di vista francese per quanto riguarda colonie non è mutato. Egli sta resistendo a pressioni che gli vengono fatte da molte parti francesi per il mandato sul Fezzan. Su questo argomento gli ho detto che pur non essendo in nessun modo in grado impegnare Governo italiano, ritenevo che eventualmente questione Fezzan una volta risolta in principio questione coloniale avrebbe potuto benissimo essere trattata direttamente fra Francia ed Italia. Dovevo però segnalargli che richiesta F ezzan da parte francese in questo momento poteva guastare tutto effetto atteggiamento generale francese: non si poteva evitare che da noi si pensasse che Francia facesse sua parte spartizione nostre colonie: se essa doveva avere qualche cosa in Tripolitania era meglio che l'avesse direttamente da noi che non per decisione dei Quattro. Bidault mi ha detto di essere perfettamente d'accordo e che quanto io gli avevo detto, sia pure personalmente, circa possibilità intesa diretta, lo decideva ad opporsi definitivamente a sollevare questione Fezzan. A questo punto, in forma vaga, ma sufficientemente comprensibile, mi ha detto che da parte inglese, non direttamente al Governo, era stato chiesto se Francia non avrebbe consentito abbandonare suo punto di vista per colonie italiane in genere dietro compensi diretti. Mi ha detto che con pieno accordo Governo francese questi approcci erano stati respinti: che fino a che lui sarebbe rimasto al suo posto avremmo potuto contare sulla parola e sulla continuità politica francese.

Ha continuato dicendomi essere arrivato alla conclusione che né per noi né per i francesi c'era più nessuna speranza ottenere cambiamento atteggiamento inglese: bisogna quindi concentrare propri sforzi sull'America, aggiungendomi che nei prossimi giorni mi avrebbe chiesto di passarlo a vedere per discutere assieme termini azione combinata a Washington.

218 1 Vfdi D. 269, nota 6.

219

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE 1 . Washington, 15 luglio 1948.

Accludo per tua personale informazione una lettera che ho diretto a Sforza2 per rendere-se possibile-sempre più chiaro il mio pensiero nei riguardi dell'Unione Occidentale e delle nostre relazioni con gli Stati Uniti.

Vedi D. 209.

Non posso, in coscienza, dire che le formule escogitate sin qui a Roma abbiano soddisfatto le personalità e gli uffici a Washington. Per fortuna l'opinione pubblica americana, più sensibile e più facilmente critica, non ne sa nulla e continua a considerarci automaticamente, come durante la guerra, parte del sistema occidentale. I risultati delle nostre elezioni hanno consolidata e cristallizzata questa credenza.

Il presidente Truman, anche per quel che gli dissi a suo tempo a tuo nome, non dubita menomamente dell'animo tuo e del Governo, e non ignora le difficoltà che incontri nella politica interna ed economica. Ma la macchina dello Stato che specie in caso di vittoria repubblicana -diverrà attivissima, impaziente ed esigente, non ci permetterà un gioco di pendolo, anche lieve. E gli uffici se ne preoccupano fin da adesso, perchè non vogliono essere accusati, domani, di aver fatta una politica miope o eccessivamente acquiescente verso di noi e senza concrete contropartite.

Come ho scritto a Sforza, sento venire una richiesta di più netta presa di posizione confidenziale e poi, a gennaio-febbraio, quella di scegliere tra aderire o no all'Unione Occidentale (in connessione coi nuovi crediti per il piano Marshall ecc.).

Intanto, c'è certo un rallentamento -specie nel campo militare, ove non mancano i concorrenti -di pratica liberalità verso di noi, e nella questione coloniale (così connessa, strettamente, specie per la Libia, al sistema difensivo occidentale) non vi sono certo vive sollecitudini nei nostri riguardi. Il Ministero domanda di continuo interventi, ma non offre che neutralità, più o meno camuffata: e non è certo una buona moneta di scambio.

Spero di poterti parlare di tutto questo a fondo se mi sarà dato di venire in Italia durante l'estate per una breve vacanza. Ma ti mando, intanto, questi appunti per richiamare la tua attenzione su un problema che non può non divenire d'importanza essenziale.

Forse sarebbe bene che, senza parere, tu avessi sull'argomento una conversazione franca con Dunn, che come sai crede in te. Un suo esauriente rappmio probabilmente ci risparmierebbe la richiesta di precisazioni ch'io temo. Potresti chiamarlo per parlargli delle colonie, e a quel proposito allargare il discorso e dargli le assicurazioni che crederai opportune e possibili. Per ora credo basterebbe.

Mi spiace di assillarti in questi giorni che hai gli strascichi della mala avventura Togliatti. Ti auguro che passi relativamente presto, e ti possa occupare di cose che veramente urgono negli aftàri interni ed esteri.

219 1 TI documento reca a margine la seguente annotazione: «Vedere Dunn per colonie -dare assicurazioni di adesione sistema occidentale».

220

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI

TELESPR RISERVATO 20/22019/44. Roma, 16 luglio 1948.

Rapporto di codesta ambasciata n. 2676/537 del 24 giugno scorso 1•

Sono state attentamente esaminate le notizie e le considerazioni esposte nel suo rapporto n. 267/537 del 24 giugno, in merito alla politica estera di codesto paese.

Da queste si nota anzitutto come i fattori della civiltà ispanico-cattolica continuano ad essere gli agenti motori e determinanti di una politica che, nel suo piano di sviluppo oltre l'emisfero occidentale, dovrebbe estendere il proprio raggio d'azione anche in Europa ai paesi cattolici del bacino del Mediterraneo.

Da un punto di vista culturale, spirituale e un giorno forse anche economico, è fuori di dubbio che tali orientamenti presentano notevole interesse anche per noi. Da un punto di vista politico non sembra peraltro avere oggi una attuale e pratica consistenza un atteggiamento programmatico dell'Argentina che nell'emisfero occidentale sarebbe destinato a urtare contro la politica nordamericana e, in Europa, prevede raggruppamenti e affiancamenti che, data l'attuale posizione internazionale della Spagna e della Francia, non possono che considerarsi come possibilità ipotetiche o comunque remote.

In ogni modo sarà certamente utile che ella continui a segnalare gli elementi di maggior rilievo e di più effettiva consistenza che le risultino al riguardo. Concordo altresì con lei circa l'opportunità, rilevata nella sue deduzioni conclusive, che venga costì svolta un'azione organica e sistematica diretta a rafforzare e concretare la tendenza genericamente a noi favorevole che si registra costà. Confido che un'azione in tal senso possa dare risultati apprezzabili anche per quanto concerne la soluzione dei nostri più importanti problemi contingenti (rapporti commerciali e finanziari, emigrazione, relazioni culturali, appoggio argentino per revisione trattato di pace, ecc.) e sono convinto che ogni progresso compiuto al riguardo riuscirà a vantaggio non solo dei nostri interessi, ma anche di quella amichevole collaborazione fra i due paesi che viene così favorevolmente considerata e su cui anche noi facciamo assegnamento.

220 1 Vedi D. 143.

221

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Roma, 16 luglio 1948.

Come è noto tra i compiti che dovrà svolgere la delegazione presieduta dall'on. La Malfa è prevista anche la conclusione di un nuovo trattato di commercio e navigazione con l'U.R.S.S. che dovrebbe sostituire quello del 7 febbraio 1924, decaduto per effetto dello stato di guerra.

La nostra delegazione dovrebbe presentare un proprio progetto e in una prima riunione interministeriale è stato convenuto che questo avrebbe potuto seguire le linee del trattato del 1924, con gli aggiornamenti e le modifiche rese necessarie e opportune dalle mutate condizioni. Nel trattato del '24 si distinguono quattro gruppi di disposizioni: gli articoli 1-2 contenenti clausole politiche; gli articoli 3-19 relativi alla materia commerciale vera e propria e allo stabilimento; gli articoli 20-31 relativi alla navigazione, ed infine gli articoli 32-34 contenenti clausole finali di rito.

Ciascun Ministero o Direzione generale del Ministero esteri è stato invitato a preparare gli articoli di propria competenza.

Per la parte di competenza della Direzione generale affari politici si tratta di sostituire gli articoli l e 2 del trattato del 1924, riflettenti situazioni ormai superate (riconoscimento internazionale dello Stato sovietico e mantenimento dei reclami sorti anteriormente al riconoscimento medesimo).

La migliore soluzione appare la seguente:

1) il trattato dovrà portare il titolo di trattato di commercio e navigazione,

titolo identico a quello del 1924; 2) le clausole politiche di cui agli articoli l e 2 del trattato precedente verrebbero a cadere;

3) il preambolo, che nel vecchio trattato era del tenore seguente: «... animati dal desiderio di regolarizzare le relazioni politiche ed economiche, hanno deciso ...» verrebbe sostituito con la dicitura seguente: «... animati dal desiderio di sviluppare le relazioni commerciali ed economiche, hanno deciso ...».

In una riunione interministeriale che avrà luogo domani ed alla quale parteciperanno anche le Direzioni generali interessate del Ministero affari esteri, la Direzione scrivente dovrebbe comunicare la sua proposta definitiva circa la formula da adottare.

222

IL MINISTRO AD OTTAWA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 2200/774. Ottawa, 16 luglio 1948 1•

Mi sono intrattenuto stamane con questo sottosegretario agli esteri signor Pearson, ritornato ad Ottawa da Washington per alcuni giorni ed in procinto di ritornare colà.

Oggetto principale della mia conversazione è stata la conferenza di Washington. Egli mi ha detto che il Canada non sapeva se sarebbe stato invitato a parteciparvi o meno; ricevuto l 'invito lo ha accettato molto volentieri in quanto nei discorsi pronunziati nel passato da lui stesso e dal sig. St. Laurent questo paese era andato perfino troppo oltre -secondo lui -nella idea di un'adesione degli Stati Uniti e del Canada al Patto occidentale. Per ora i lavori della Conferenza sono di carattere puramente esplorativo in quanto varie sono le proposte sul tappeto circa il problema della difesa congiunta delle nazioni occidentali.

Si desidererebbe a Washington innanzi tutto sapere se potranno aderirvi, addivenendo in tal modo ad un patto nord-atlantico la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, l'Islanda e la Groenlandia oppure se debbasi il Patto occidentale allargarsi per includervi il Portogallo, l 'Irlanda, e dopo forse anche la Spagna o, infine come terza soluzione, includere anche l'Italia ed estendere il Patto alla zona mediterranea. Gli americani hanno potuto solamente ora dedicarsi allo studio completo di questi complessi problemi in quanto la nota risoluzione Vandenberg è stata approvata solamente negli ultimi giorni prima della chiusura della sessione del Senato americano.

Secondo il mio interlocutore gli Stati Uniti avrebbero espresso l'intenzione di limitarsi per ora solamente ad offrire la propria garanzia in caso di aggressione delle nazioni facenti parte del blocco occidentale. Il Canada riterrebbe tale soluzione inefficiente e praticamente pleonastica e vedrebbe viceversa con più favore la creazione di un vero e proprio patto con relativi obblighi economici e militari tra il continente nordamericano e le nazioni europee facenti parte del gruppo occidentale.

Circa l'adesione dell'Italia al Patto occidentale o atlantico egli mi ha fatto notare che l'atteggiamento italiano in questa circostanza è stato molto saggio e cauto perché noi non abbiamo chiesto né fatto pressioni per entrare a far parte del Patto occidentale. È prevista la durata di queste conversazioni preliminari per vari mesi, per arrivare cioè all'epoca in cui verrà eletto il nuovo presidente degli Stati Uniti che egli ritiene, salvo imprevisti ed eccezionali avvenimenti, sarà un candidato repubblicano. Infatti, come anche per il problema di Berlino, la politica americana è oggi completamente impegnata nella campagna elettorale che non consente all'attuale compagine governativa di assumere atteggiamenti troppo impegnativi nei confronti dei grandi problemi dell'ora, specie quello della Russia. Egli ha rilevato a Washington che gli americani sono ottimisti nel senso di ritenere che la Russia non voglia assolutamente creare un conflitto e che la pressione oggi esercitata a Berlino non abbia altro scopo che quello di far rivivere le conversazioni dei quattro ministri degli esteri sul problema germanico. Si escluderebbe pertanto a Washington la possibilità di un attacco sovietico a meno che possa d'improvviso sorgere qualche grosso incidente su cui la Russia non possa più tornare indietro.

Il signor Pearson pur condividendo in parte il pensiero dei colleghi americani non è però altrettanto ottimista ed è per questo che vuole partecipare egli stesso a queste conversazioni in cui gli altri paesi non hanno che propri ambasciatori presenti perché il Canada ritiene urgente creare sin d'ora qualche soluzione nell'ambito dell'O.N.U. atta a arginare e a controbattere l'attività comunista contro le potenze occidentali nonché essere pronti ad eventuali imprevedibili mosse dell'U.R.S.S.

Venendo a parlare dei recenti avvenimenti jugoslavi il sottosegretario agli esteri ha espresso il parere che la cosa sia molto oscura e comunque rimane il fatto che Tito è altrettanto comunista degli esponenti del Kremlino. Egli ritiene possibile e probabile un colpo di mano interno in quel paese per eliminare Tito ed i suoi seguaci dal Governo.

222 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

223

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1774. Sofìa, 16 luglio 1948.

Rientrato a Sofia, ho trovato che l'inefficiente incaricato d'affari albanese al quale ti avevo accennato nei nostri colloqui era stato sostituito dal ministro titolare di Albania Teodor Heba, ritornato in sede dopo una lunga permanenza a Tirana. E ho allora preferito tentare di prendere contatto direttamente con lui a titolo non ufficiale. Dopo qualche giorno di approcci e dopo averlo incontrato personalmente alla legazione di Francia in occasione della festa del 14 luglio, ho potuto avere stamane un primo esauriente colloquio con lui alla sua legazione.

Gli ho detto che lo scopo della mia presa di contatto era quello di sollecitare dal Governo albanese l'autorizzazione di rimpatriare i seicento italiani circa, fra cui molti tecnici, che dopo i rimpatrii già avvenuti tramite la legazione di Belgrado erano ancora rimasti in Albania, trattenuti contro la loro volontà. Gli ho precisato che il Governo italiano, spinto dall'opinione pubblica, considerava questo problema come una importante questione preliminare da risolvere nei rapporti italo-albanesi con la maggiore possibile urgenza; che esso aveva informazioni sicure che questi italiani venivano trattenuti in Albania malgrado il loro desiderio di rimpatriare; e che ovvie ragioni di umanità, oltre che l'opportunità di eliminare questa spinosa questione dal quadro dei rapporti fra le due nazioni che doveva auspicarsi non rimanessero nell'attuale situazione statica, consigliavano di non indugiare oltre a concretare il rimpatrio di questo numero rilevante di nostri connazionali.

Il ministro Heba, per quanto fosse stato recentemente in Albania in occasione delle feste per l'anniversario dell'esercito albanese, mi ha detto di non avere informazioni precise su questa questione; di non poter confermare se esistessero o meno seicento italiani in Albania; ma di poter senz'altro escludere che nostri connazionali fossero trattenuti in Albania contro la loro volontà. Egli ha sostenuto che la politica del Governo albanese in materia, come dimostrano i rimpatrii già effettuati, è quella di lasciare partire tutti gli stranieri che vogliono partire, salvo ben inteso casi speciali di stranieri che avessero commesso crimini o delitti. Egli sapeva di molti tecnici italiani che in Albania erano perfettamente soddisfatti del loro lavoro e del loro trattamento, e che in qualche caso si erano anche costituite famiglie sul posto; e si chiedeva su quali basi il Governo italiano poteva affermare che degli italiani erano trattenuti in Albania contro la loro volontà.

Gli ho replicato che su questo punto il Governo italiano aveva informazioni concordi e precise; e che, seppure vi sarà qualche caso di italiani desiderosi di restare in Albania, era assolutamente certo che la grande maggioranza di essi voleva oramai, dopo un'assenza di molti anni dalla patria, rientrare in Italia. Ho aggiunto che conoscevo il testo dell'accordo Enver Hoxha-Palermo, stipulato il 14 marzo 1945 (inviatomi con altra documentazione da Lo Faro, con sua lettera n. 71/4232/4130 del

Il ministro Heba, pur ripetendo il suo punto di vista, mi ha promesso che avrebbe chiesto informazioni e chiarimenti a Tirana e mi avrebbe intrattenuto nuovamente in merito. Mi ha avvertito che le sue comunicazioni con Tirana non sono regolari; egli non ha conieri; e si vale di viaggi occasionali di albanesi che rimpatriano.

A sua volta, egli mi ha chiesto se io non avessi potuto richiedere a Roma quali sono le intenzioni del Governo italiano su tre questioni che gli è noto stanno particolarmente a cuore al Governo albanese. Queste sono:

l) quella dei criminali di guena, che in base al trattato ci siamo impegnati a consegnare; 2) quella degli oggetti d'arte e simili, asportati dall'Albania, che dovevamo restituire; 3) quella delle riparazioni che dobbiamo all'Albania nella misura di cinque milioni di dollari.

Ho detto da parte mia che avrei scritto a Roma chiedendo quale fosse in massima il punto di vista del Governo italiano su tali questioni, pur facendogli notare che quella da noi sollevata aveva un carattere umanitario del tutto speciale e la cui soluzione era quindi da noi considerata in un certo modo preminente. Mi domandavo insieme -ho aggiunto -se non sarebbe stato più agevole trattare le questioni anzidette derivanti dall'applicazione del trattato di pace per mezzo dei normali canali diplomatici, e cioè riprendendo normali relazioni diplomatiche fra i due paesi.

Il ministro Heba mi ha detto che personalmente riteneva che il Governo di Tirana non avesse a ciò ostacoli di principio; ma che doveva tuttavia scriverne al suo Governo. Ho detto da parte mia che anch'io ritenevo personalmente che il Governo di Roma non avesse difficoltà di massima; e che mi proponevo tuttavia di conoscere meglio il suo pensiero in argomento.

La conversazione, che in complesso è durata un'ora ed è stata sempre mantenuta su un tono cordiale e amichevole, è passata poi a un campo più generale.

Sui rapporti con la Jugoslavia, il ministro Heba ha cercato di riavvicinare la posizione assunta dal Governo albanese a quella assunta dal Governo bulgaro. Egli ha detto che il trattato politico fondamentale fra Albania e Jugoslavia, quello di

mutua assistenza, non è stato denunciato dall'Albania, la quale ha soltanto denunciato gli accordi economici che, secondo il ministro Heba, non si erano dimostrati in pratica giovevoli ali' Albania.

Parlando dell'economia albanese il ministro Heba mi ha detto che sinora grande parte delle esportazioni albanesi erano assorbite dalla Jugoslavia, e che, venendo meno tale sbocco, sarebbe stato utile ripristinare i rapporti economici con noi. Mi ha chiesto notizie sullo stato della nostra marina mercantile, della quale gli ho riassunto la promettente ripresa; ed egli stesso ha auspicato il ripristino delle tradizionali linee di navigazione attraverso il canale di Otranto fra Durazzo e Bari e Valona e Brindisi. Mi ha chiesto anche notizie della Fiera del Levante: gli ho detto che essa aveva ripreso le sue manifestazioni annuali ed era in preparazione quella del prossimo ottobre.

La conversazione si è chiusa con una reciproca affermazione della nostra buona volontà di continuare a lavorare nell'interesse dei due paesi, e conseguentemente della pace generale.

Il ministro H e ba, che fra i diplomatici albanesi sembra essere fra i migliori (è stato rappresentante dell'Albania a Lake Success ed a Ginevra) e che parla perfettamente l'italiano, mi è apparso personalmente animato da buona volontà nel cercare di porre fine all'attuale anormale situazione dei rapporti italo-albanesi. Egli è un comunista che appare convinto della sua ideologia ma non fazioso.

Il proseguimento e l'esito delle conversazioni ora iniziate dipenderanno dalle istruzioni che il ministro Heba riceverà da Tirana; su di esse possono influire lo stato dei rapporti albano-jugoslavi e gli sviluppi della situazione in genere nei rispetti della crisi jugoslava. Ritengo comunque che il momento di una ripresa di contatti con l'Albania, attraverso un nuovo tramite, sia stato opportunamente scelto.

Ti sarò grato se vorrai fornirmi quelle indicazioni che crederai sui tre punti sollevati dal ministro Heba, come pure sulle vedute di S.E. il ministro in relazione all'eventualità della ripresa di rapporti ufficiali col Governo albanese.

Mi parrebbe utile di poter comunicare, alla prima occasione, al ministro Heba che da parte nostra non vediamo nessun inconveniente al ristabilimento di rapporti ufficiali fra Italia e Albania, e che non subordiniamo la ripresa di rapporti diplomatici ad alcuna speciale condizione, se non quella del godimento dei normali privilegi attribuiti consuetudinariamente a tutte le rappresentanze diplomatiche.

PS. Date le riserve avanzate dal ministro Heba circa il numero degli italiani trattenuti in Albania e il punto di vista espressomi circa la pretesa loro libertà di rimpatrio, potrebbe essere utile fornirmi ogni possibile precisazione e documentazione che fosse da noi posseduta al riguardo2 .

323 3 conente)l, accordo che il Governo italiano desiderava rispettare e del quale chiedeva il rispetto anche del Governo albanese. E che in conseguenza se vi fossero stati dei tecnici italiani desiderosi di rimpatriare ma i cui servigi fossero considerati dal Governo albanese indispensabili, il Governo italiano avrebbe curato di sostituirli. Ci attendevamo tuttavia dal Governo albanese una prova di buona volontà autorizzando il rimpatrio di tutti gli italiani che desideravano rientrare in Italia, condizione questa che consideravamo preliminare in relazione ad altre questioni che meritano di essere chiarite fra Italia ed Albania.

223 1 Non rinvenuta. Per il testo dell'accordo vedi serie decima, vol. II, D. 108, Allegato.

223 2 li documento reca la seguente annotazione di Sforza: «Si prepari mio dispaccio circa ripresa relazioni senza condizioni. Aggiungere, circa la libertà degli italiani in Albania, che io stesso ho ricevuto a Roma e a Napoli dozzine di mogli e madri disperate e piangenti». Vedi D. 259.

224

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1430/343. Mosca, 17 luglio 1948 1•

Mio telegramma n. 2322 .

In conformità alle istruzioni ricevute3 ho visto oggi Zorin, appena rientrato dal congedo, e gli ho esposto la situazione nei riguardi delle discussioni sulle nostre colonie, come noi la vedevamo. Gli ho anzitutto ricordato la comunicazione da lui stesso fattami circa l'appoggio del Governo sovietico alla nostra tesi4 , dichiarandogli che il Governo italiano non dubitava che tale posizione fosse rimasta inalterata. Gli ho segnalato l'imminenza della scadenza del termine previsto per la decisione, le tergiversazioni inglesi, nonché il ritardo segnalatoci in riferimento alla traduzione in lingua russa del rapporto della Commissione. Gli ho infine reso noto il contenuto della nostra comunicazione al Governo inglese, relativa alla eventualità di adottare una decisione di principio sulla attribuzione della tutela all'Italia, sia pure subordinata al controllo della volontà delle popolazioni interessate, le cui modalità avrebbero potuto essere in seguito opportunamente stabilite dagli stessi Quattro, o dalla Assemblea generale dell'O.N.U. Ho concluso manifestando la speranza di avere l'appoggio sovietico sia in generale per l'acceleramento della procedura, in modo da arrivare ad una decisione ( quantomeno di massima) prima dell'Assemblea dell'O.N.U., evitando le lungaggini e i rischi di una deliberazione a maggioranza, sia in particolare, eventualmente, sul suggerimento da noi avanzato per sondare la serietà delle obiezioni britanniche.

Zorin, che avevo volutamente fatto prevenire dell'oggetto principale della mia conversazione, affinché non si presentasse impreparato, è stato insolitamente chiaro ed esplicito e mi ha risposto in sostanza così:

l) lei ha ragione di aspettarsi da parte del Governo sovietico la riconferma d eli 'atteggiamento assunto e da me stesso comunicatole, perché non rientra nelle tradizioni della politica estera sovietica di cambiare così facilmente opinione su questioni di sostanza: io le posso assicurare nel modo più formale che il Governo sovietico riconferma la sua tesi del conferimento all'Italia della tutela su tutte le ex colonie italiane, e che questa sua presa di posizione rimane e rimarrà in vigore.

2) Il Governo sovietico coincide nel suo apprezzamento con l'apprezzamento del Governo italiano, nel senso che le maggiori resistenze contro la tesi italiana provengano dalla Gran Bretagna, per interessi facili a comprendersi; ma ritiene pure che non solo dal Governo britannico tale resistenza derivi. La riprova di ciò sta nel fatto che, da ultimo nella Conferenza dei sostituti, il rappresentante sovietico

2 In pari data, non pubblicato.

3 Vedi D. 197, nota 3.

4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 267.

326 è rimasto solo a sostenere il rispetto del programma procedurale precedentemente fissato, secondo il quale la presentazione del rapporto della Commissione avrebbe dovuto avvenire entro il l o agosto; gli altri tre rappresentanti concordemente hanno imposto la data del 15 agosto, e non è da escludere che essi richiedano un ulteriore rinvio. Non è dunque vero che vi sia il minimo intralcio procedurale da parte dei sovietici; naturalmente noi abbiamo richiesto i rapporti in russo, così come certamente i rappresentanti inglesi o americani si sarebbero rifiutati di prepararsi, se fossero mancati i rapporti nella loro lingua. Ma se si fosse voluto, in pochissimi giorni avrebbero potuto essere pronti, e ciò non ha dato luogo ad alcun serio motivo di ritardo. Noi abbiamo insistito ed insisteremo per la rapida risoluzione della questione, ma in questo troviamo, ripeto, l'ostacolo altrui, e non dei soli inglesi.

3) Quanto all'Assemblea generale, noi pure saremmo d'accordo di giungere prima di essa ad una deliberazione, e ci rendiamo conto dei pericoli che presenta l'arrivare all'Assemblea con un nulla di fatto; ma sia ben chiaro che ciò non dipende da noi, che noi manteniamo la nostra parola, e che se vi saranno dilazioni esse in nessun caso potranno attribuirsi alla responsabilità del Governo sovietico.

4) Circa il controllo del consenso delle popolazioni, che ha formato oggetto della comunicazione del Governo italiano a quello britannico, mi rendo conto dello scopo eh' essa si propone, di saggiare cioè la serietà della relativa obiezione britannica; ma nel merito di questa proposta non posso formulare per ora alcun apprezzamento, e mi limito a dirle che la porterò subito a conoscenza del mio Governo.

A questo punto la risposta di Zorin poteva dirsi conchiusa; ma egli ha voluto ripetersi, e con un tono di calore non certo abituale in un diplomatico sovietico, mi ha ancora aggiunto:

5) le elezioni italiane si sono ormai svolte, il Governo italiano segue la politica che ritiene opportuno seguire, ma è soltanto dai fatti e non dalle parole che si potrà giudicare chi è veramente amico del popolo italiano: noi vi dimostriamo e vi dimostreremo che non veniamo meno alle nostre promesse, e che la nostra politica non cambia; come restiamo fedeli agli accordi di Potsdam per la Germania, agli accordi per l'Austria, eccetera, siamo e saremo fedeli all'impegno preso per le vostre ex colonie; giudicherete voi se altrettanto avverrà da parte di tutti gli altri Stati.

Ho preso atto con soddisfazione delle sue dichiarazioni, dichiarandogli che non avevo mai dubitato della parola del Governo sovietico, e così la conversazione sull'argomento si è chiusa.

Come ho già detto, Zorin era prevenuto sull'oggetto del colloquio, e senza dubbio era preparato; né mi avrebbe fatto dichiarazioni tanto esplicite e calorose, senza essere preparato ed autorizzato.

Dovrei quindi conchiudere che i dubbi da me sollevati col mio telespresso 1223/295 del 16 giugno u.s. 5 , circa l'eventualità di un ripiegamento sovietico sulla soluzione Lega araba nel caso di rigida opposizione delle altre potenze alla soluzione italiana, non sembrano giustificati. Certo è che la riconferma dell'appoggio sovietico, sia sulla sostanza sia sulla procedura, non poteva essermi data in modo più esplicito e più caloroso.

Aggiungo ancora due considerazioni che possono contribuire a illuminare maggiormente l'atteggiamento sovietico su questo argomento:

a) i sovietici sono più che mai persuasi che non solo la Gran Bretagna ma anche gli Stati Uniti sono contrari alla concessione della tutela all'Italia. Me lo ha fatto capire ben chiaramente Zorin oggi, e del resto ciò si desume chiaramente dalle idee sovietiche circa la penetrazione nordamericana in Africa. Unisco per documentazione il più recente fra i tanti articoli sovietici sull'argomento (Trud del 14 luglio, ali. l )6 o ve a proposito delle basi aeree americane in Tripolitania e in Cirenaica, si ripete la tesi che al riguardo esiste fra inglesi e americani uno stretto accordo e una solidarietà di interessi.

b) La posizione ferma dei sovietici nei riguardi del conferimento della tutela all'Italia deriva dalla loro stessa concezione del trusteeship e dal modo col quale intendono che funzioni. Al riguardo assai istruttive sono state le recenti sedute del Consiglio per l'amministrazione fiduciaria. In esse i sovietici hanno battagliato energicamente contro gli inglesi per il Tanganika e contro i belgi per il Ruanda-Urundi; sono riusciti ad ottenere l 'invio di una speciale Commissione di indagine, la quale dovrà riferire entro il 31 ottobre circa le condizioni locali. È loro intendimento non dar requie alle potenze fiduciarie, costringerle a dar conto rigidamente del loro operato, impedire loro di unire amministrativamente i territori sotto tutela a territori coloniali, far funzionare insomma l'istituto in modo da eccitare le aspirazioni dei popoli di colore, e da rendere il più possibile la vita dura agli Stati amministratori. Per illustrare tale programma è assai interessante un recente libro di B.E. Stein delegato sovietico all'O.N.U. su questo tema «Il sistema della tutela internazionale» di cui allego una recensione (Naumov, Due tendenze nella soluzione del problema coloniale, Trud 6 luglio, allegato 2t

Una simile vita dura, naturalmente i sovietici intendono rendere anche a chi sarà il fiduciario delle ex colonie italiane; ed a tal fine essi pensano che nessuno potrebbe essere più adatto del! 'Italia, che considerano paese vinto e debole e controllato da una forte opposizione interna. La Lega araba invece, considerata decisamente reazionaria e decisamente asservita agli angloamericani, è ritenuta probabilmente un elemento meno malleabile sotto questo riguardo.

224 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

224 5 Vedi D. 120.

225

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, I 9 luglio 1948.

Ho ricevuto il ministro di Grecia in relazione alla nota da lui presentata a V.E. il 10 u.s. 1•

225 1 Non pubblicata.

Come noto la nota prospetta -ciò che aveva già segnalato il ministro Ricotti 2

l'intenzione del Governo di Atene di legare tutte le questioni pendenti. Ho spiegato al ministro Capsalis come tale intenzione ci appaia non tener conto della realtà. Tutte le questioni elencate nella nota interessano esclusivamente o prevalentemente la Grecia. Alcune sono di soluzione relativamente facile, altre di soluzione più complessa. Non vedo quindi per qual motivo non si debba sgomberare il terreno progressivamente dalla prime questioni di mano in mano che si raggiunga un accordo su di esse. Che se poi il Governo di Atene dovesse persistere nella sua idea noi potremmo anche in definitiva non respingerla, il vantaggio essendo tutto nostro. Ciò significherebbe per esempio che l'accordo per !'«Eugenio di Savoia», di facile conclusione, verrebbe tenuto nel cassetto sino a quando non fosse stato raggiunto un accordo sulle ... riparazioni. A togliere ogni illusione sulla possibilità di ricattarci nella questione del riscatto dei beni o del patto di amicizia ho detto a Capsalis che gli italiani i cui beni sono in Grecia nelle note condizioni (art. 79) preferiscono non riaverli ed essere indennizzati in lire in Italia, soluzione questa che sarebbe per il Tesoro assai più conveniente di quella offerta da noi al Governo greco e per cui fu mandata sul posto la missione Colitto. Quanto al Patto di amicizia, gli ho detto, l'interesse a concluderlo è reciproco e gli ho ricordato che questo fu da noi proposto per iniziativa di Tsaldaris: se ora il Governo greco vuoi segnare il passo, non faremo certo pressioni: siamo pazienti. Quanto al merito delle richieste e proposte contenute nella nota, gli ho detto che queste erano allo studio degli uffici competenti e che le avremmo esaminate nelle migliori disposizioni di spirito; che tuttavia su talune di tali richieste dovevo sin da ora fare ampie riserve.

Il mmistro ha convenuto sulla inopportunità di mantenere un atteggiamento così rigido quale quello che risulta dalla nota; ha insistito tuttavia sul nesso che vi è fra le varie questioni elencate nella nota stessa e che hanno carattere economico. Gli ho detto a questo riguardo che per talune di tali questioni ciò può essere esatto e che non ci saremmo certo rifiutati di esaminarle se del caso, e anche nel nostro interesse, parallelamente.

Capsalis ha assicurato che incontreremo sempre in lui la maggiore comprensione.

224 6 Non si pubblica.

226

IL SEGRETARIO DELL'UFFICIO DI COORDINAMENTO, DAINELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO SEGRETO. Roma, 20 luglio 1948.

Il signor Byington ha pregato di riferire confidenzialmente al segretario generale quanto segue:

l) da quanto risulta all'ambasciata degli Stati Uniti in Roma per informazioni del Dipartimento di Stato e contatti con le Forze Armate americane dislocate sul continente europeo e nel Mediterraneo, non si ritiene che la Russia intenda scatenare il conflitto. La pressione esercitata sugli Alleati a Berlino tende a forzare Londra e Washington a negoziare per la Germania, costituendo il blocco della capitale tedesca una carta di scambio che Mosca intenderebbe usare al tavolo di una conferenza. Inoltre, di fronte allo scacco jugoslavo, l'atto di forza di Berlino costituirebbe un elemento psicologico nei confronti dell'Europa e anche dei paesi satelliti.

Non risulta inoltre che la Russia sia attualmente in una posizione di fronteggiare militarmente gli Stati Uniti in tutti i punti di attrito ove questi attaccherebbero (mi è parso comprendere che in ogni caso si intenderebbe escludere l'Italia come base di attacco contro la Russia). Né tanto meno risulta che essa stia facendo preparativi militari che facciano prevedere uno sviluppo bellico d eli' attuale crisi.

I fatti di Belgrado poi costituiranno per molto tempo ancora un grave peso al piede di Mosca (ciò bene inteso non implica da parte di Washington una politica di embrassons nous nei confronti di Belgrado).

2) L'ambasciata degli Stati Uniti in Roma è informata circa le decisioni da parte di Washington di agire con la massima fermezza nei confronti della pressione sovietica su Berlino. Con ciò, non solo si intende non prestarsi al giuoco di Mosca, ma anche soprattutto applicare il principio per il quale gli Stati Uniti sono impegnati a difendere l'Europa democratica contro le aggressioni comuniste. Gli Stati Uniti si troveranno fra breve ad avere in Europa un complesso di forze armate tali da esercitare a loro volta una pressione fortissima sull'U.R.S.S.

3) La risoluzione Vandenberg, auspicata ed appoggiata dal Governo, costituisce «la base politica per la pratica attuazione di quelle misure le quali dovranno tendere al raggiungimento della sicurezza politica dell'Europa democratica».

L'attuazione economica di tale politica è già in atto e da parte americana si farà del tutto affinché il concetto di unità reale e non fittizia dei paesi aderenti ali 'E.C.A. venga applicato. Così pure dal punto di vista politico e militare il concetto americano è quello di unire, e non ammettere precarie e transitorie formule di alleanza a profitto di una od altra nazione.

4) Il riarmo americano è già in atto con un programma di immediata attuazione di superiorità incontrastata per quantità e qualità nell'aria. Per il graduale riarmo delle nazioni europee molto è già stato fatto e si continuerà su quella linea perché ciò rientra nella pratica applicazione della risoluzione Vandenberg, e nelle necessità della strategia americana, per la quale si deve pure contare sulla collaborazione di forze armate europee.

Il col. Stillwell tornerà da Washington fra una settimana con notizie precise per ciò che riguarda le richieste della difesa italiana.

225 2 Vedi DD. 105, 112 e 122.

227

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 3801/1571. Londra, 20 luglio 1948 1•

Mi riferisco al telespresso n. 1124/c. del 14 corrente2 . La confusione d'idee che sembra esistere in Italia in tutti gli ambienti è perfettamente giustificata e si deve teneme conto.

D'altra parte mai come oggi è stato evidente che la politica è la prima arma della guerra. Il nome «guerra fredda» ha avuto successo appunto perché esprime chiaramente questo fatto che spinto alle estreme conseguenze potrebbe significare che si può vincere o perdere una guerra senza sparare -almeno ufficialmente una cannonata o lanciare una bomba. Se la guerra «calda» è il background necessario di quella fredda, tuttavia la seconda può essere importante e decisiva quanto la prima, in attesa di essa o senza di essa. La politica estera è un'arma tanto di offesa quanto di difesa e il Governo di qualsiasi paese, per quanto debole e comunque situato, ha il dovere di pensare immediatamente alla propria difesa almeno in questo campo mediante una linea di politica estera necessariamente elastica ma altrettanto precisa e chiaramente formulata.

Per un complesso di ragioni ovvie quanto lunghe ad enumerare il mondo oggi è diviso -da un punto di vista della politica estera e quindi della guerra e della pace

o meglio della possibile belligeranza e possibile neutralità -non più in Stati ma in regioni di estensione e potenziale impressionante. Abbiamo così la regione sovietica e la regione americana.

Una politica di neutralità non merita questo nome se non è basata su dati di fatto tali da assicurare almeno una ragionevole chance che in caso di conflitto sarà interesse dei belligeranti rispettare questa neutralità. Applicato alle condizioni del mondo di oggi questo significa che una politica di neutralità può essere soltanto a lunga scadenza. Essa deve essere diretta a creare una «regione» neutrale di potenza paragonabile o per lo meno non troppo inferiore a ciascuna delle «regioni» belligeranti in modo da agire sia preventivamente nel senso di mantenere la pace mediante l'equilibrio (l'antico concetto della balance of power), sia a conflitto avvenuto in modo da rimaneme fuori.

In questo senso è veduta qui da molti l'idea della creazione di un'Europa occidentale appoggiata a un complesso extra-europeo che potrebbe essere il Commonwealth (miei rapporti n. 1923/683 del 13 aprile3 e n. 2499/950 del l O maggio4). In teoria almeno, un 'Europa occidentale rimessa in piedi e appoggiata alle risorse del Commonwealth (Africa e Dominions) potrebbe essere una «regione di neutralità» fra

2 Vedi D. 217.

3 Non pubblicato.

4 Vedi D. 8.

le due regioni belligeranti americana e sovietica ognuna delle quali potrebbe avere interesse a non impegnarsi in Europa e a limitare il campo d'operazioni alla zona artica, l'Asia e il Pacifico.

È chiaro che nelle condizioni attuali nessuna regione neutrale può costituirsi se non sotto le ali di uno dei due contendenti ossia in altre parole partecipando, per un certo periodo almeno, a uno dei due blocchi. La neutralità futura, come politica razionale, presuppone un periodo di non-neutralità in condizioni senza dubbio pericolose.

È stato partendo da questo concetto che questa ambasciata ha espresso parere favorevole (memorandum n. 2743 del 26 maggio )5 ad aprire delle conversazioni confidenziali circa la nostra partecipazione all'Unione Occidentale. Questo non perché la nostra adesione formale al Patto di Bruxeiies sia in sé particolarmente desiderabile ma perché ci permetterebbe di rientrare neiia politica europea con i vantaggi e i rischi relativi e, partecipandovi attivamente, di contribuire per quanto possiamo a cercare di spingere l'Europa occidentale verso la costituzione di una «regione di neutralità» per l'avvenire. Non c'è dubbio che per un complesso di ragioni, prima deiie quali lo scarso senso di cooperazione degli Stati europei (primo fra questi la Gran Bretagna), sarebbe una politica difficile, piena di incognite e di risultati incerti. Per riprendere il paragone strategico sarebbe un movimento rischioso per raggiungere una forte posizione. Può riuscire o faiiire. Ma è una politica degna di questo nome.

Se una politica di neutralità nel senso suddetto, ossia basata su dati di fatto, è oggi vietata ad uno Stato singolo (a meno che non siano gli Stati Uniti e l'U.R.S.S. che ormai non sono più Stati ma già «regioni») non è invece vietato un «atteggiamento» neutrale, nel senso di dichiarare che non si ha nulla da reclamare da nessuno, che non si intende partecipare ad alcun conflitto armato salvo a difendersi se possibile in caso di aggressione. È un atteggiamento e quindi la sua riuscita dipende puramente dal caso e dalle circostanze. Così durante l'ultima guerra la Norvegia e la Danimarca sono state coinvolte mentre la Svezia è rimasta fuori. Il Belgio e l'Olanda sono stati occupati, la Turchia è riuscita a rimanere neutrale. Non essendo una politica non meriterebbe di essere considerata nelle circostanze attuali se non come espediente provvisorio imposto dallo stato d'animo del paese. Come tale merita invece un più attento esame.

Purtroppo il nostro record degli ultimi trentacinque anni non contribuisce a far accettare facilmente come sincera una dichiarazione di neutralità da parte nostra nella situazione attuale. Basandosi sui precedenti del 1914 e del 1939 questa verrebbe generalmente interpretata (e qualche accenno vi è già stato) come un tentativo, dettato dalla paura, di rimanere fuori del conflitto in attesa di vedere come vanno le cose per saltare addosso al perdente e rifarci delle «ferite» del «diktat». Questo, si direbbe, è queiio che abbiamo fatto nel 1915 sbagliandoci nella data ma non neiia scelta dei partners e nel 1940 sbagliandoci su tutta la linea. Recenti dichiarazioni da parte nostra secondo cui la revisione del trattato di pace è la base della nostra politica estera corroborano questa interpretazione: la Jugoslavia avrebbe da temere

per l'Istria, La Francia per Tenda e Briga, l'Inghilterra per le colonie. Quindi se consideriamo necessario -almeno temporaneamente -un atteggiamento di neutralità, il primo requisito sarebbe una nostra dichiarazione nel senso di rinunciare a qualsiasi revisione del trattato di pace soprattutto in quanto questa possa implicare impegni militari. In tal caso noi potremmo, salvo il pericolo di complicazioni con l'Etiopia, ricevere la Somalia e l'Eritrea se i Quattro fossero disposti a restituircele: ma occorrerebbe dichiarare chiaramente che non accetteremo di dare basi militari a nessuno in nessun territorio. Quindi sarebbe necessario rinunciare alla Libia a meno che gli anglo-americani rinunciassero loro preventivamente a qualsiasi base o privilegio di carattere strategico in quel territorio. Occorrerebbe anzi forse rinunciare in tutti modi vista la difficoltà di mantenere un atteggiamento neutrale in un paese arabo nelle circostanze presenti.

Si potrebbe obiettare da parte sovietica che l'accordo per l'E.R.P. è già una violazione di neutralità dato l'impegno di fornire agli Stati Uniti certi materiali di interesse strategico e di non fornire al blocco orientale altri determinati prodotti; tuttavia data la mancanza in Italia dei materiali strategici in questione la cosa è meno importante. Ma la rinuncia alla revisione del trattato di pace sembra una premessa indispensabile soprattutto dati i nostri precedenti e appunto in vista di questi precedenti si può dubitare se sarebbe presa sul serio.

Una volta rinunciato da parte nostra a qualsiasi atteggiamento e impegno che possa implicare cobelligeranza, potremmo chiedere agli Stati Uniti, all'Unione Occidentale e all'U.R.S.S. un riconoscimento di questa nostra intenzione di rimanere neutrali e un impegno di rispettarla. Sappiamo quello che valgono impegni del genere; comunque il procedimento potrebbe almeno servire per educare l'opinione pubblica italiana al senso della realtà.

Da un punto di vista più generale è molto dubbio se un paese sovrappopolato, povero e necessariamente portato ad espandersi come il nostro possa concepire seriamente un atteggiamento di neutralità se non come espediente temporaneo in attesa di entrare a far parte di una «regione» (nel senso geo-politico moderno) o ve possa, d'accordo con gli altri membri, espandersi ragionevolmente e fare insieme ad essi una ragionevole politica di neutralità.

Riassumendo sembra che -supponendo naturalmente che la crisi di Berlino non porti ad un conflitto immediato e che abbiamo ancora dinanzi a noi qualche anno di guerra fredda -vi siano due vie aperte:

l) deciderci fin da ora a partecipare attivamente appena sarà possibile alla formazione di una possibile futura regione di neutralità mediante la partecipazione ali 'Unione Occidentale o a qualsiasi altro patto regionale che sembri consigliabile e attuabile. In altre parole deciderci per una partecipazione attiva (in proporzione ai nostri mezzi) alla politica europea-occidentale con tutte le incognite e i rischi relativi.

2) Se lo stato dell'opinione pubblica lo esige, adottare almeno temporaneamente un atteggiamento neutrale tentando di ottenerne il riconoscimento, per quello che può valere, da parte dei maggiori contendenti. Occorrerebbe naturalmente presentire in via confidenziale quale sarebbe la risposta di Washington, Londra e Parigi. Se da parte di questi tre Stati vi fosse un impegno preciso di rispettare la neutralità italiana a cui non corrispondesse analogo impegno da parte del Governo sovietico, l'opinione pubblica italiana potrebbe forse convincersi -a parte le inevitabili deformazioni della propaganda comunista-della impossibilità per l'Italia di rimanere neutrale. Questo procedimento esigerebbe però che da parte nostra si rinunciasse formalmente alla politica di revisione, salvo forse per quelle questioni secondarie che non sono incompatibili con una stretta neutralità. Nello stato attuale del mondo tanto l'una che l'altra di queste linee di condotta sono piene di incognite e di pericoli. Però ognuna di esse può considerarsi un'operazione difensiva nella guerra fredda, e tanto l'una che l'altra potrebbe essere giustificata secondo la possibilità e le circostanze.

Al di fuori di queste due vie non rimane che tentare di ottenere una soluzione soddisfacente della questione di Trieste con l'appoggio anglo-americano e della questione delle colonie con l'appoggio russo; approfittare degli aiuti E.R.P. e dichiararci pronti a concedere agli anglo-americani basi strategiche per riavere la Libia o almeno la Tripolitania ma contemporaneamente, pensando di tener buona l'U.R.S.S.

o almeno l'opinione pubblica interna, affermare che siamo equidistanti dall'Est e daii'Ovest e che la sola cosa che ci divide dall'U.R.S.S. è la revisione del trattato di pace. Data l'incertezza della situazione attuale questo modo empirico di procedere può avere praticamente lo stesso risultato degli altri; le scarse probabilità di ottenere il riconoscimento e tanto meno il rispetto di una nostra neutralità dichiarata controbilanciano gli scarsi vantaggi che possiamo trarre dalla rivalità dei due blocchi nei settori che ci interessano. È difficile però persuadere non solo l'Unione Sovietica ma anche le potenze occidentali che il nostro atteggiamento non è «equivoco», con tutte le conseguenze accennate a pag. 5 del telespresso a cui rispondo. Le considerazioni che precedono tentano appunto di «porre il problema in termini di chiarificazione» tali da potere, se tenuti presenti nel determinare il nostro atteggiamento, ispirare un certo grado di «fiducia nei nostri orientamenti politici».

227 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

227 5 Vedi D. 59.

228

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 91 0/13492/2 7 69. Parigi, 20 luglio 1948 (per. il 22).

Si è saputo dal Quai d'Orsay che tra il 27 luglio ed il 9 agosto p.v. gli Stati interessati dovranno esporre alla Commissione dei supplenti il proprio punto di vista sul futuro delle ex colonie italiane, in base alle risultanze dell'apposita Commissione d'inchiesta, che ha terminato in questi giorni la redazione definitiva dei suoi rapporti e delle sue conclusioni su ognuno di quei territori.

Il Quai d'Orsay ha convenuto che sarebbe opportuna una nostra immediata azione diplomatica presso tutti gli Stati interessati affinché espongano dei punti di vista per lo meno non troppo sfavorevoli alle nostre tesi. Non tanto perché si attribuisca qui alle opinioni dei paesi interessati un valore determinante quanto per evitare che esse possano suffragare tesi a noi contrarie, soprattutto l'anglosassone.

Dal 9 al 15 (data limite richiesta dall'U.R.S.S., ma che probabilmente verrà superata) i sostituti dei quattro ministri degli esteri a Londra dovrebbero concludere i loro lavori sul futuro delle ex colonie italiane, sottoponendo ai loro Governi proposte concrete. Entro il 15 settembre, come previsto dal trattato, Gran Bretagna, U.S.A.,

U.R.S.S. e Francia dovrebbero decidere definitivamente della sorte di quei territori.

Al Quai d'Orsay si prevede che ciò non sarà possibile, per cui la questione verrà rinviata all'O.N.U. Si è chiesto se non potrebbe per lo meno essere raggiunto dalle quattro potenze un accordo per qualcuna delle ex colonie italiane, lasciando in discussione il futuro solo delle rimanenti. Da parte francese si ritiene difficile che l'U.R.S.S., anche se d'accordo in linea di massima sul destino della Somalia o dell'Eritrea, accetti di dare la sua adesione definitiva quando la sorte delle rimanenti non è ancora determinata, per evidente tattica di negoziazione.

All'O.N.U. si prevede qui che difficilmente potrà raggiungersi una maggioranza dei 2/3 in favore di una soluzione quale da noi potrebbe essere auspicata per questa

o per quella ex colonia, sì da avere una decisione impegnativa per tutti gli Stati membri. Il predisporre sin d'ora un'accorta azione diplomatica da parte nostra per ottenere il maggior numero di voti possibili è evidentemente cosa non solo opportuna, ma necessaria. Probabilmente i voti potrebbero in ogni caso essere a noi favorevoli a semplice maggioranza: la raccomandazione che ne uscirebbe dall' Assemblea potrebbe quindi sempre avere un valore anche non solo morale.

Fra le ipotesi avanzate dal Quai d'Orsay vi è quella che, dalle deliberazioni non impegnative dell'O.N.U., venga tuttavia fuori l'invito alla Gran Bretagna di porre fine alla sua attuale occupazione militare, restituendo in tutto o in parte l'amministrazione delle nostre ex colonie all'Italia, in attesa della definitiva decisione sulla loro sorte. Si è a questo proposito discretamente accennato al Quai d'Orsay se una soluzione del genere non potrebbe venire facilitata da preventivi contatti fra gli italiani e gli indigeni, con particolare riguardo agli arabi della Tripolitania. Questo accenno è stato accolto con molta riserva, per non dire con freddezza: le autorità francesi sono evidentemente tuttora decisamente contrarie ad una nostra intesa con gli arabi della Tripolitania che possa essere preludio ad una più vasta collaborazione arabo-italiana; essi vorrebbero che l'Italia ritornasse in Libia senza alcun patteggiamento con gli indigeni, con pienezza di diritti, per ristabilirvi la sua autorità sovrana e fare di quei territori realmente la quarta sponda d'Italia, con prevalenza magari di popolazione italiana, sì da interrompere la continuità araba dall'Asia minore all'Africa del Nord francese. Non si capisce come i francesi non si rendano conto dell'impossibilità attuale di una simile politica, che essi stessi non hanno del resto il coraggio di patrocinare apertamente.

Ci è stato chiesto quali notizie avessimo sull'atteggiamento degli Stati Uniti. È stato risposto che il contrasto fra le due Direzioni generali del Dipartimento di Stato interessate alla questione non sembrava ancora risolto in nostro favore. Da parte francese si è auspicato ancora una volta che il Dipartimento si decida finalmente ad uscire dalla sua riserva ed intervenga al più presto possibile a Londra per indurre il Governo britannico ad un atteggiamento a noi meno ostile 1•

228 1 Con i TT. s.n.d. 9733/752 del 21 luglio e 9853/0186 del 22 luglio Quaroni riferiva che Couve de Murville si era espresso nello stesso senso.

229

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9731-9732-9767-9787/168-169-170-171. Belgrado, 21 luglio 1948, ore 23,50 (per. ore 8 del 23/.

Nella prima seduta congresso comunista, maresciallo Tito è stato accolto da scandite acclamazioni durate molti minuti. Anche gli altri membri attuale Comitato centrale sono stati applauditi con significativa insistenza.

Maresciallo ha parlato stamane per quasi quattro ore e riprende discorso nel pomeriggio. Prima parte è dedicata ad esposizione vicenda partito sin da origini con deplorazione per passate diffidenze e crisi interna. Esposizione ha avuto tono critico, culminando poi nelle affermazioni unitarie benemerenze partito durante la guerra di liberazione.

Ha messo in rilievo che lotta fu iniziata da partito prima che Germania aggredisse Russia, che partigiani jugoslavi hanno anche primato di tempo nell'insurrezione di fronte ad altri popoli balcanici: «risposta a tutti quelli che sottovalutano nostra lotta, il che ci offende nel profondo dell'animo ... ». «All'invito di Stalin ha risposto soltanto popolo jugoslavo che già faceva proprio dovere ... Noi, soltanto noi, abbiamo combattuto fino in fondo».

Nella seduta pomeridiana Tito ha ripreso esposizione storica con abile rilievo ad esistenza esercito regolare jugoslavo prima dell'arrivo sovietici. Segue dimostrazione sacrifici jugoslavi durante campagna liberazione («soltanto nostro partito poteva costituire un simile esercito») e preminente apporto jugoslavo a vittoria bellica («ha ora alcuno il diritto di farci tacere? No! ... che le nostre vittime siano valorizzate e riconosciute») bilanciato da ammissione che armata rossa ha concorso a liberazione Belgrado ed a qualche altra operazione. Segnalato attacco a comunisti macedoni che hanno scarsamente contribuito a lotta militare; accusa ad Hebrang di essere stato sciovinista; documentazione aiuti dati da partito jugoslavo a comunisti albanesi ed infine dimostrazione costante fedeltà comunisti jugoslavi ad Unione Sovietica.

Come si vede, nessun diretto accenno a condanna Cominform. Continui applausi hanno interrotto discorso specialmente nei riguardi Unione Sovietica. Frequenti le grida di «Tito-capo» scandite dall'assemblea.

Nella terza ed ultima ripresa discorso maresciallo Tito, nella serata, ha accusato Alleati occidentali aver tentato salvare vecchio regime jugoslavo mentre soltanto Unione Sovietica ha aiutato costituzione nuovo regime anticapitalista.

A questo punto finalmente Tito affronta chiaramente condanna Cominform, esprimendo amarezza per «attacco unità partito, invito alla guerra nel nostro paese». Dichiarato che Jugoslavia è sempre stata solidale con Unione Sovietica ed ha firmato, di propria iniziativa, vari patti con paesi democratici. Accordi con Albania sono stati conclusi con danno jugoslavo e soltanto per motivi disinteressati.

Nessuna collaborazione con altri paesi è stata ... 2 da fedeltà a marxismo.

Parola mancante.

Tito continua affermando che propria intransigenza marxista in politica estera ha fatto della Jugoslavia un bersaglio della reazione internazionale. Cita gesti jugoslavi di solidarietà verso Bulgaria, Romania, Polonia, Cecoslovacchia. Risoluzione «Cominform è piena di menzogne» e contraddittoria. Del resto nei paesi accusatori i risultati sono ben minori in marxismo. Errori ci sono stati, ma critica esiste. Accuse hanno messo «nostro partito in dura prova, la più difficile nella sua storia. Nessun altro partito, eccetto sovietico, avrebbe potuto resistere». Elementi contrari minacciano unità paese. Si farà ogni sforzo per migliorare rapporti con partito comunista sovietico e si dimostrerà con fatti che partito jugoslavo non ha mancato ad insegnamenti Marx-Engei-Lenin-Stalin.

Tito ha parlato durante tutta la prima giornata e per sette ore.

Oggi inizia discorso ministro dell'interno Rankovic.

229 1 La terza e la quarta parte del presente documento furono inviate il giorno successivo.

230

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Montignoso, 21 luglio 1948.

Bene, quanto nell'accluso appunto 2•

Il testo dell'appunto era il seguente: «Traccia inviata a S.E. Cerulli per l'esposto dafàrsi il 30 corrente alla Conferenza dei sostituti. Non polemizzare col contenuto dei rapporti pur cercando di mettere in rilievo le deficienze ambientali nelle quali si è svolta l'inchiesta indipendentemente dalla buona volontà e dalla capacità degli inquirenti; Notare che i rapporti mettono in rilievo l'opera dell'Italia. Se vi è qualche critica le ragioni che le hanno motivate avrebbero potuto essere probabilmente chiarite ove -come avevamo richiesto -i rappresentanti qualificati della trentennale amministrazione italiana avessero potuto essere interrogati come lo furono quelli della settennale amministrazione provvisoria britannica; in ogni caso: errare humanum est e chi è senza peccato lanci la prima pietra; notare che i rapporti mettono in evidenza come i territori considerati non siano in grado di avere subito l'indipendenza. Occorre dunque qualcuno che li guidi a questa mèta. Questo qualcuno per le ragioni già esposte, scartata l'ipotesi non pratica di una amministrazione collettiva, non può essere che l'Italia che ha già iniziato l'opera di civilizzazione che conosce ambiente etnico, fisico, ecc. ecc. * e ciò del resto corrisponde ai desiderì delle popolazioni le quali, dovendo scegliere una potenza straniera come amministratrice fiduciaria, sarebbero in maggioranza orientate verso l 'Italia * [periodo aggiunto nella versione definitiva del testo]; si lasci dunque l'Italia concordare con le popolazioni, sotto il controllo dell'O.N.U., e secondo i principì dell'O.N.U., le modalità dell'amministrazione tìduciaria. Ci proponiamo di andare incontro ai desiderata delle popolazioni facilitandone la rapida progressiva evoluzione verso l 'autogoverno e l'indipendenza. Vi sarà un periodo transitorio -il più breve possibile durante il quale, esclusivamente per ragioni di indole pratica, verrà mantenuta in vigore la legislazione esistente (italiana con le modifiche introdotte da quella britannica). Nel frattempo verranno convocate assemblee composte dei rappresentanti qualificati delle popolazioni, con i quali sarà concretato il nuovo ordinamento. Le libertà fondamentali saranno assicurate e garantite. * I quadri d eli' amministrazione saranno scelti con particolare cura e con criteri corrispondenti ai principi sopraenunciati * [come sopra]».

Solo per la Libia (e in generale anche Eritrea e Somalia) sento che si deve far qualcosa. La consultazione ordinata dai Supplenti pel 30 luglio (telespresso accluso )3 può contare. Ma molto più conterebbe un chiarimento appo al Governo. Se Mallet è a Roma lo chiami: gli ripeta quanto gli dissi io (la conversazione di cui le dissi a voce e non feci il consueto appunto, sopra la Tripolitania). Egli parve colpito. È chiaro che oltre gli egoistici punti di vista, v'è a Londra una sincera impressione che non siamo maturi per una radicale riforma di condotta politica.

Bisogna diradare questa nebbia. Credo che Gallarati Scotti sarà più adatto a parlare il 30 che non un coloniale. Gli telegrafi a mio nome.

Mi domando poi se non sia il caso di mandar qualcuno a Londra a parlare parallelamente a Gallarati Scotti ma più ufficiosamente; meglio aver qualcosa dai Supplenti che la speranza di aver tutto dall'O.N.U. L'ufficioso dovrebbe spiegare al Governo che cosa può significare un no libico con Francia e U.R.S.S. che dicon sì. Ma chi mandare? Vitetti è molto amico di Charles. Io sarò a Roma il 27 sera; faccia dire a Vitetti di trovarsi a Roma quella sera.

A meno che lei non mi proponga un nome migliore; che io non vedo4 .

230 1 Autografa.

231

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 7075/2653. Washington, 22 luglio 1948 (per. il l" agosto).

Mio telegramma per corriere n. 096 1 e mio telegramma per filo in data odierna2 . A seguito del mio telegramma citato, informo codesto Ministero che in rela zione ai passi precedentemente svolti sulla questione in oggetto3 , il Dipartimento di

Stato ha oggi intrattenuto questa ambasciata allo scopo di fornire elementi orientativi in vista della partenza per l'U.R.S.S. della nostra missione incaricata dei noti negoziati commerciali 4 .

Il Dipartimento di Stato ha iniziato riferendosi sia alle richieste di delucidazioni sull'atteggiamento americano formulate da quest'ambasciata in passato e sia ai passi svolti da codesto Ministero presso l'ambasciata americana di costà circa la specifica

questione della fornitura di navi alla Russia.

4 Per la risposta vedi D. 236.

2 T. 9766/566, non pubblicato.

3 L'oggetto del presente documento era: «Commercio tra Oriente ed Occidente europeo».

4 Vedi DD. 7, 42, 86, 130 e 221.

Il Dipartimento di Stato ha dichiarato che si rendeva perfettamente conto della necessità per il Governo italiano e per la missione partente, di conoscere con precisione il pensiero americano circa il commercio tra Oriente ed Occidente europeo. A questo riguardo il Dipartimento ha tenuto a far presente che il Governo americano non poteva che desiderare, per motivi non solo economici ma anche politici, che le correnti commerciali tra le due zone non venissero a subire riduzioni, purché però i materiali e le merci che i paesi dell'Europa occidentale avessero ad inviare al di là della «cortina di acciaio» non fossero di indole bellica e tali da potenziare gli armamenti dell'U.R.S.S. e dei loro satelliti. Era questo un principio ormai chiaramente fissato dal Governo americano ed esso poteva costituire una utile guida di massima.

Il Dipartimento ha anche aggiunto che la lista delle merci e materiali «obiettabili» non era ancora stata apprestata e che essa continuava ad essere oggetto di costanti discussioni tra i vari Dipartimenti americani, alcuni dei quali, come il Dipartimento di Stato, sono favorevoli ad una direttiva il più possibile elastica, altri invece, come i Dipartimenti militari, più rigidi ed esigenti.

D'altra parte, ha fatto presente il Dipartimento, anche se la lista fosse già messa a punto, ciò non verrebbe egualmente a costituire un elemento di giudizio tassativo e definitivo in quanto ogni paese ha il proprio problema e per ogni paese il Governo americano dovrebbe esaminare in quali limiti e con quali modalità applicare il principio sopraaccennato.

In sostanza, il Dipartimento ha lasciato intendere che, se ad esempio per qualche paese certe esportazioni, che sarebbero considerate «obiettabili» in linea generale, costituissero un elemento essenziale per la continuazione dei rapporti commerciali tra quel paese e quelli al di là della cortina, il Governo americano si asterrebbe dal formulare obiezioni allo scopo di non turbare eccessivamente i traffici predetti.

Un'altra considerazione che potrebbe essere tenuta presente è la qualità di materiali aventi certe caratteristiche che venissero inclusi negli eventuali accordi con paesi al di là della cortina.

Tali considerazioni ovviamente si applicherebbero anche agli eventuali accordi italiani con l'U.R.S.S., tanto più che il Dipartimento si rende pienamente conto della necessità di certi traffici tra l'Italia e l 'Unione Sovietica.

Passando quindi ad una casistica molto approssimativa ed esemplificativa, il Dipartimento di Stato ha fatto presente quanto segue:

-per le navi non si vedrebbero ad esempio obiezioni per unità di tonnellaggio non troppo elevato (tra duemila e quattromila tonnellate) o per piccolo cabotaggio. Si vedrebbero obiezioni alla costruzione di cisterne a meno che non fossero anche queste di tonnellaggio limitato e per servizio costiero. Naturalmente si avrebbero obiezioni per la costruzione di navi da guerra;

-circa i veicoli il Dipartimento di Stato ha lasciato intendere che non vi sarebbero obiezioni purché non si tratti di camions molto pesanti e facilmente adattabili al servizio bellico. Non sembra almeno a tutt'oggi che si formulerebbero obiezioni per l'esportazione di automobili;

-lo stesso dicasi per i trattori agricoli per i quali si riscontrerebbero forse difficoltà nel caso di trattori per servizi molto pesanti;

-per quello che riguarda il macchinario, si avrebbero eventualmente obiezioni per le forniture di macchine atte a potenziare l'industria pesante o l'industria bellica.

Dopo aver accennato ai casi sopra menzionati, il Dipartimento ha chiesto se sarebbe stato possibile, a questa ambasciata, di fornire un elenco dei materiali o delle merci che si intendeva proporre da parte nostra per l'esportazione verso l'U.R.S.S. Anche se tale elenco fosse soltanto molto generico, esso potrebbe forse consentire al Dipartimento di avere elementi per formulare definitivamente il proprio pensiero al riguardo.

Come già telegrafato, il Dipartimento ha fatto presente che, nel caso di analoghi negoziati a Mosca tra altri paesi e il Governo sovietico, l'ambasciata americana era stata consultata direttamente da parte dei rappresentanti dei paesi predetti in occasione di certi dubbi sorti.

Se ritenuto opportuno e necessario, lo stesso potrebbe essere fatto da parte nostra tenendo presente che l'ambasciata americana a Mosca è naturalmente aggiornata sul pensiero di massima di questo Governo in merito al problema in oggetto5 .

230 3 Telespr. 3740/1556 del 19luglio da Londra, non pubblicato.

231 1 Del 3 luglio, non pubblicato, ma vedi D. 178.

232

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA

T. 8500/148. Roma, 23 luglio 1948, ore 17,30.

Codesto Governo è stato invitato presentare verbalmente o per iscritto tra 29 corrente e 7 agosto p.v. alla Conferenza sostituti eventuali osservazioni supplementari circa colonie italiane dopo aver preso visione rapporti Commissione quadripartita inchiesta.

Voglia comunicare costà che sarà da noi particolarmente apprezzato se Governo belga si esprimerà in modo più deciso di quanto fatto in precedente occasione a favore assegnazione Italia compito condurre a indipendenza sue ex colonie.

Prego telegrafare risultato passi fatti 1•

231 5 I chiarimenti e le istruzioni di Sforza sull'argomento vennero inviati con il D. 253, incrociatosi con il presente documento.

232 1 Per la risposta vedi DD. 262 e 271. Vedi anche DD. 233 e 234.

233

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 8504/109. Roma, 23 luglio 1948, ore 15,30.

Codesto Governo è stato invitato presentare verbalmente o per iscritto tra 29 corrente e 7 agosto p.v. alla Conferenza sostituti eventuali osservazioni supplementari circa colonie italiane dopo aver preso visione rapporti Commissione quadripartita inchiesta.

Voglia comunicare costà che sarà da noi particolarmente apprezzato se Governo ellenico vorrà esprimersi almeno in forma generica a favore assegnazione Italia compito condurre a indipendenza sue ex colonie, facendo presente che in tal caso Governo italiano sarebbe disposto prendere in massima considerazione e regolare subito mediante specifici accordi interessi greci relativi diritti di pesca e stabilimento in detti territori.

Prego telegrafare risultato passi fatti 1•

234

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A RIO DE JANEIRO E VARSAVIA E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO, L' AJA E PRAGA

T. 8507/c. 1• Roma, 23 luglio 1948, ore 17,30.

Codesto Governo è stato invitato presentare verbalmente o per iscritto tra 29 corrente e 7 agosto alla Conferenza sostituti eventuali osservazioni supplementari circa colonie italiane dopo aver preso visione rapporti Commissione quadripartita inchiesta.

Voglia comunicare costà che sarà da noi particolarmente apprezzato se codesto Governo vorrà confermare punto di vista precedentemente espresso in favore assegnazione Italia compito condurre a indipendenza sue ex colonie.

Prego telegrafare risultato passi fatti 2 .

2 Per le risposte vedi rispettivamente DD. 272, 245, 242 e 286. L'ambasciata a Rio de Janeiro rispose con T. l 0276/107 del 31 luglio comunicando che il Governo brasiliano confermava il suo parere favorevole. Vedi anche DD. 232 e 233.

233 1 Con T. l 0069/202 del 28 luglio Prina Ricotti rispondeva di aver intrattenuto Pipinelis secondo le istruzioni ricevute e di averne avuto assicurazione che la questione sarebbe stata attentamente esaminata. Vedi anche DD. 232 e 234.

234 1 Analoga comunicazione venne, in pari data, inviata alle ambasciate a Nanchino e New Delhi e alla legazione ad Ottawa (T. 8508/c.) con le istruzioni di «comunicare costà che sarà da noi particolarmente apprezzato se codesto Governo vorrà esprimersi almeno in fonna generica in favore assegnazione Italia compito condurre a indipendenza sue ex colonie». Per le risposte a questo telegramma da Nanchino e da Ottawa vedi DD. 244 e 301. L'ambasciata a New Delhi rispose con T. 10394/17 del 3 agosto, non pubblicato.

235

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9813/64. Lussemburgo, 23 luglio 1948, ore 18,15 (per. ore 22).

In una mia visita al presidente del Governo, il quale è rientrato ieri dall' Aja dove ha preso parte alla Conferenza nell'assenza di Bech, egli mi ha confidato di aver riportato dalla detta Conferenza una impressione relativamente confortante. Questo Governo si mostra ottimista né crede possa giungersi subito alla guerra. Tuttavia, gli alleati occidentali e gli Stati Uniti sono venuti nella decisione di rafforzare l'apparato militare onde poter trattare su un piede di parità con i sovietici. Dupong propende a credere che si giungerà alla ripresa delle conversazioni. Però se si tentasse da parte dei sovietici di chiudere con la forza il corridoio di Berlino gli Alleati risponderebbero ugualmente con la forza. Essi ritengono che se si dovesse anche verificare tale eventualità pericolosa, non si giungerebbe tuttavia alla guerra non essendo i sovietici ancora in grado di affrontarla. Il presidente del Governo mi ha fatto rilevare l'importanza dell'agganciamento militare tra gli Stati Uniti e l'Europa il quale, a suo dire, rappresenta la prima garanzia effettiva per quelle nazioni che più da vicino si sentono minacciate.

236

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

Roma, 23 luglio 1948.

Per le colonie abbiamo avuto in questi giorni ultimi attivi scambi di vedute con le varie parti interessate. I francesi continuano a premere a Washington e ci raccomandano di fare altrettanto. Tarchiani ha riferito la situazione, vista da là, coi due telegrammi 563 e 5642• I francesi concordano nella valutazione fatta da Tarchiani. Gallarati Scotti parlerà sulla traccia qui unita3 , sobriamente; era d'accordo gli mandassimo Cerulli come tecnico e il presidente De Gasperi ci teneva.

Il presidente vede questa sera Mallet e prima ha voluto parlare con me: insisterà quindi -lui stesso -autorevolmente e nelle linee da lei suggerite.

2 T. s.n.d. 9743/563 e T. s.n.d. 9744/564 del 21 luglio, non pubblicati, ma vedi D. 261.

3 Si tratta del testo inviato a Cerulli e pubblicato in nota al D. 230.

L'idea di Vitetti mi pare ottima: lo ho discretamente sondato. Verrà a vederla al suo ritomo4 .

236 1 Autografa.

237

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 3041/626. Buenos Aires, 23 luglio 1948 (per. il 31).

Ho avuto una lunga conferenza col presidente della Repubblica, generale Per6n, in una udienza che avevo chiesto non solo per presentargli la lettera di saluto del presidente Einaudi ma anche per avere una precisa sensazione dell'atteggiamento argentino in relazione alla situazione internazionale e in particolare al piano Marshall dopo la visita esplorativa fatta nella scorsa settimana dal signor Hensel, delegato dell'E.R.P. (venuto anche a visitarmi coll'ambasciatore Bruce, come ho riferito per telegramma)1 .

La conversazione, durata oltre un'ora e mezza, si è svolta, come di consueto, in una atmosfera di grande cordialità che mi ha permesso di ottenere dal presidente risposte e dichiarazioni, fattemi sovente in tono confidenziale, di un certo interesse.

Riassumo qui di seguito i punti salienti di tali dichiarazioni. Il presidente ha voluto fare prima di tutto un quadro del piano Marshal quale a lui appare.

Il piano, egli mi ha detto, è stato escogitato dai militari in funzione dell'atteggiamento anti-comunista assunto dagli Stati Uniti e della preparazione militare contro la Russia e gli Stati satelliti. E cioè si è voluto rafforzare l'adesione che l'America cercava sul piano politico e militare da parte degli Stati dell'Europa occidentale, dando a questi la sicurezza che l'aiuto economico e finanziario non sarebbe a loro mancato nel loro processo di affiancamento dell'azione degli Stati Uniti.

Senonché l'esecuzione del piano di aiuto esigeva il concorso degli organi economici nord-americani; e l'esame delle vaste possibilità che si presentavano per gli interessi del commercio e d eli 'industria ha determinato a un certo punto l'intervento preminente del Dipartimento del commercio. Ora quest'ultimo ha portato nello studio e nella esecuzione del piano un criterio essenzialmente mercantile, che ha fatto passare in seconda linea l'interesse della collaborazione. In effetto ha preso il sopravvento -secondo il presidente -una preoccupazione degli ambienti economici nordamericani di intervenire nella gestione delle aziende dell'Europa occidentale in modo da legarle molto strettamente all'economia degli Stati Uniti, impe

dendo per molto tempo un'autonomia che risponda invece a più precisi mteressi delle aziende stesse e delle economie dei paesi interessati. Tale criterio, che ha avuto oltre tutto la grave conseguenza di un ritardo nella attuazione del piano, può -a giudizio del generale Perém -rendere addirittura vano l'effetto che il piano si proponeva.

Lo stesso criterio di egoismo mercantile è quello che il presidente rimprovera agli Stati Uniti nei riguardi dell'Argentina. L'Argentina desiderava essere messa nel circuito del piano Marshall: voleva poter vendere i propri prodotti come poter comprare quella produzione che, incrementata dagli aiuti del piano, avrà bisogno di sbocchi verso paesi compratori. Ora, da un Iato gli Stati Uniti pretendono ribassi nei prezzi della produzione agricola argentina, mentre dall'altro Iato l'Argentina non è in grado di intensificare i propri acquisti mancando, come noto, di dollari.

Tre problemi dunque il presidente si prospettava: uno il ritardo di esecuzione del piano Marshall di fronte ai bisogni dell'Europa; l'altro l'interesse di tutto il mondo a che l'Europa sia aiutata a riprendersi; il terzo le difficoltà valutarie dell'Argentina.

Riguardo al primo punto il presidente rivendicava ali' Argentina il merito di aver iniziato da due anni il rifornimento alimentare dei paesi europei e di averlo intensificato in quest'ultimo anno, soprattutto verso l'Italia, la Spagna e la Francia che sono i tre paesi che ali' Argentina più interessano anche perché si sente in maggiore dovere di provvedervi direttamente. È con questi paesi infatti che furono stipulati i più importanti trattati commerciali. II generale Peron mi ha ripetuto quanto altra volta mi aveva detto, quasi come houtade, ma che risponde in fondo ad un suo intimo convincimento: e cioè che per quanto riguarda l'Italia e qualche altro paese l'Argentina stava già realizzando il piano Marshall coi propri mezzi, quando ancora in America del Nord le discussioni e i ritardi impedivano quella rapida esecuzione che sarebbe stata necessaria e salutare per rialzare la situazione economica dei paesi d'Europa toccati dalla guerra.

Sul secondo punto il presidente ha espresso l'avviso che non si possa considerare soltanto l'Europa occidentale come oggetto dell'aiuto immediato da parte dell' America. Qui egli ha fatto una digressione di carattere nettamente politico, riallacciandosi a quella funzione internazionale -più volte da lui enunciata -che egli intende che I' Argentina svolga ed alla quale vorrebbe vedere associati i paesi latini d'Europa: e cioè una funzione se non proprio mediatrice fra i due grandi blocchi contrapposti, almeno ritardatrice della possibilità di un nuovo conflitto. Egli ha detto che deve esser fatto ogni sforzo per evitare la guerra. A tale riguardo mi ha sviluppato, sottolineandola, una sua personale tesi, nel senso che occorre intensificare l'aiuto economico non solo ai paesi liberi, ma altresì a quelli che si trovano attualmente nell'orbita russa: paesi che, egli pensa, si sono appoggiati a Oriente per una propria salvezza immediata, mentre vi sarebbero in essi forze latenti ancora vive, sane e forse sufficienti per determinare un distacco dalla Russia o, comunque, una trasformazione nel senso di una maggiore autonomia a carattere nazionale, come parrebbe essersi determinato in Jugoslavia. Con tale criterio l'Argentina ha ora trattato con la Jugoslavia, con la Romania, con la Cecoslovacchia, con l'Ungheria.

Sul terzo punto riguardante la scarsità di dollari, il discorso del presidente è stato molto esplicito: in qualche modo l'economia argentina deve uscire da queste difficoltà. II generale Peron si augurerebbe una maggior comprensione da parte degli Stati Uniti ed una mentalità più aperta alla collaborazione, tanto più considerando che, come egli stesso ha anche pubblicamente dichiarato giorni fa (mio telespresso

n. 581 del l O luglio u.s.)2 l'Argentina, pur deprecando un nuovo conflitto, e pure aspirando ad una posizione di neutralità, sarà al fianco degli Stati Uniti se la catastrofe dovesse determinarsi. (Debbo dire, tra parentesi, che non credo sia da escludersi che nuove conversazioni abbiano luogo fra Buenos Aires e Washington per un accomodamento, che appare in fondo conveniente anche per la Casa Bianca). Comunque il presidente pensa che, ad ovviare questa temporanea difficoltà, sia conveniente aprire negoziati con altri paesi che possano in qualche modo sostituire il mercato nordamericano: quest'apertura di negoziati risponderebbe, secondo il presidente, al criterio prima accennato di ordine politico ed in pari tempo al criterio di ordine economico-finanziario. Fra i negoziati in vista, ai quali il presidente attribuisce una particolare importanza, vi sono quelli con l'Unione Sovietica che verranno iniziati da una nuova missione tra pochi mesi.

Alle osservazioni che io, nel corso della conversazione, ho ritenuto di fare, anche in forma interrogativa, sulla importanza del piano Marshall, sulla attuazione parzialmente realizzatasi in Italia, sulle sue conseguenze benefiche, sulla opportunità di determinare una più larga collaborazione internazionale e di darvi da parte della stessa Argentina un apporto più decisivo anche ai fini di un'accelerazione del funzionamento e di eventuali miglioramenti di indirizzo, il presidente non ha fatto obiezioni particolari, riconoscendo il valore della iniziativa e le sue future possibilità e augurandosi il concorso dell'Argentina. Ha messo però sempre in rilievo la necessità che il criterio mercantile, eccessivamente egoistico secondo lui, venga ad attenuarsi attraverso una più disinteressata e chiara visione delle vere necessità dell'Europa di carattere sia economico che politico e sociale. Il generale Peron è persuaso infatti che oltre a preoccuparsi delle esigenze quotidiane della vita del popolo, si debba secondare anche il grande bisogno di pacifica convivenza internazionale e di giustizia sociale interna che ogni popolo manifesta.

Avendogli confermato che anche l'azione dell'Italia mira alla pace ed a stabilire le premesse di rapporti di feconda convivenza con tutti i paesi attraverso la sua normale attività politica e attraverso i diversi trattati commerciali che si vanno imbastendo anche coi paesi acl Oriente, il presidente mi ha detto di apprezzare profondamente l'orientamento p o liti co italiano nel settore internazionale.

Il presidente ha voluto alla fine darmi conoscenza in via assolutamente confidenziale di una lettera scrittagli pochi giorni fa dal generale Franco, lettera che egli mi ha letto personalmente ad alta voce ed il cui contenuto ho tentato qui di seguito di riassumere.

La lettera costituisce un tour d 'horizon della situazione internazionale, e risponde ad altra lettera scritta dal generale Per6n, di cui egli non mi ha dato conoscenza, ma che non doveva avere differenze di valutazione.

Franco comincia col dire che la situazione internazionale ha avuto una notevole schiarita grazie al risultato delle elezioni italiane: schiarita che però non sarà permanente data la continua attività delle «quinte colonne del comunismo russo», rappre

sentate dai singoli partiti comunisti di ogni paese e che si svolge sul piano dell'illegalità, obbligando pertanto lo Stato ad un'azione di continua difesa.

Sostanzialmente la situazione internazionale appare dominata da tre imperialismi in conflitto: il russo, l'inglese, il nordamericano. L'imperialismo russo è mascherato dall'ideologia comunista che lo rende più accetto alle masse dei vari paesi. Queste masse non hanno simpatie speciali per i russi, anzi sovente, come nei paesi orientali e balcanici, hanno fortissimo il sentimento nazionale; ma essi sentono, oggi soprattutto, un «anelito» di giustizia sociale che il comunismo, più di ogni altro movimento, sembra loro poter realizzare e perciò vi si buttano. L'oppressione russa e la soppressione della libertà individuale e della tradizione nazionale può però determinare quanto prima -e il generale Franco cita sintomi e informazioni ricevute delle reazioni anti-sovietiche col consolidamento delle vecchie posizioni nazionali e con la costituzione di una forma di Stato a regime «comunista-riformista» che ridarebbe autonomia e libertà alla vita civile. L'imperialismo russo è quindi forte per l'ideologia a cui si guarda come fonte di giustizia, ma è minato dalla latente ribellione degli Stati che avendo conosciuto la libertà non si adattano ad una delle più tremende tirannidi. La Russia inoltre non ha più la potenza che aveva durante la guerra: i mezzi sono insufficienti e non vengono rinnovati, non essendovi più l'aiuto anglo-americano e non rappresentando nulla di parificabile l'apporto dei tecnici tedeschi. Inoltre la fanteria russa, sulla quale soprattutto i sovietici devono fare assegnamento, riassume nel suo complesso tutti i difetti di un popolo di varie razze, di scarsa e rozza educazione e che vive in un regime di oppressione: si deve aggiungere che continue sono le variazioni di uomini e le trasformazioni di reparti per la influenza disgregatrice di tutti quelli che avendo preso contatto con la civiltà europea nei paesi occupati hanno acquistato dei pericolosi termini di paragone con la condizione del popolo russo. La Russia fa un gioco politico serrato, ma sa di non poter affrontare con successo una nuova guerra.

L'imperialismo inglese ha ancora il prestigio dell'impero britannico stile regina Vittoria: continua colla mentalità della diplomazia segreta e dell 'Intelligence Servi ce, pur avendo perso molte sue parti e abbandonato ogni potere aggressivo. Rappresenta però sempre una grande forza costituita da paesi legati da vincoli liberamente accettati.

L'imperialismo nordamericano è il più potente, ma rivela la deficienza dei suoi dirigenti che pensano piuttosto alle loro questioni interne. La vittoria gli avrebbe permesso di organizzare l'Europa e invece non ne ha avuto la capacità.

Queste tre forze non hanno saputo risolvere il problema tedesco che pesa gravemente sulle sorti dell'Europa. La Germania per almeno trent'anni non può più far paura: ben diversa è la situazione di oggi da quella del 1918 quando la Germania era stata vinta, ma non distrutta. Il pericolo oggi può esser dato dal fatto che l'organizzazione russa riesca ad accaparrarsi la Germania, pericolo che deve essere evitato ad ogni costo.

In questa situazione la guerra può essere impedita se un'azione concorde-che tenga conto delle aspirazioni dei popoli ad una giustizia nazionale e sociale, rese più acute dalle sofferenze della guerra passata -venga svolta in modo da soddisfare queste aspirazioni e polarizzare le energie delle nazioni che si trovano sotto l'oppressiOne russa. E qui il generale Franco si richiama a quei principi della civiltà latina e cristiana, base della cultura occidentale, che possono aggiornarsi con l'accettazione di larghe riforme di carattere sociale. Questo in sostanza, è il contenuto della lettera di Franco, in cui di massima il generale Per6n si è mostrato consenziente.

Con quanto sopra riferito ho cercato di riprodurre con la massima fedeltà il pensiero manifestatomi dal presidente. A brevissimo commento aggiungerò ora alcune osservazioni personali.

La prima, anche secondo l'ordine dell'esposizione fattami, è che il suo giudizio nei riguardi del piano Marshall è influenzato evidentemente dal rancore -giustificato o non -per l'atteggiamento assunto da Washington nei riguardi degli acquisti

E.R.P. in Argentina. È noto che questo Governo calcolava sui benefici indiretti del piano per ricostituire le scorte valutarie di cui ha urgente bisogno, mentre Washington si prepara chiaramente a farsene uno strumento per tentare di stroncare o comunque di modificare la politica economica impersonificata da Miranda. In tale luce quindi vanno visti certi apprezzamenti particolarmente critici del generale Per6n nei riguardi del piano, certi suoi dubbi sul carattere disinteressato degli aiuti nordamericani in contrasto, ad esempio, con la molto maggiore generosità e comprensione rivendicata all'azione svolta dall'Argentina a favore dell'Italia, della Spagna e della Francia. Con le stesse riserve vanno accolte in gran parte le considerazioni politiche svolte dal presidente a proposito degli accordi economici conclusi con Jugoslavia, Ungheria e Cecoslovacchia e di quello progettato con l'U.R.S.S.; circa i quali sono portato a ritenere che, a prescindere dall'interesse reale economico, vi è stato in buona misura anche quello politico di manifestare atteggiamenti indipendenti nei riguardi degli Stati Uniti.

In secondo luogo rilevo come anche in questa occasione il presidente sia tornato a battere sulla sua tesi preferita della desiderabilità di un più stretto contatto e di un 'univoca azione politica da parte dell'Argentina e dei paesi latini d'Europa, quale mezzo per concorrere a salvare l'Europa da una nuova guerra. A tale riguardo vorrei chiarire che la «terza posizione», della quale egli parla, va intesa più come posizione politica che come concezione di forza in contrasto con le altre forze mondiali, con le quali è chiaro che anche una unione latina non potrebbe né intenderebbe competere. È soprattutto un tentativo di enunciazione programmatica più che ideologica, inteso a valorizzare taluni principi e soprattutto taluni orientamenti eli ordine politico, economico e sociale che dovrebbero poter rappresentare dei termini di conciliazione fra le posizioni estreme assunte dai due grandi blocchi in contrasto. In questo tentativo egli è portato tra l'altro ad accogliere ottimisticamente (ma credo sinceramente) perfino l'idea di una possibile evoluzione asovietica in molti degli attuali paesi satelliti.

Infine non saprei non rilevare l'assonanza tra molti atteggiamenti e giudizi di Franco e quelli corrispondenti del presidente Per6n. Frutto in parte, forse, di una analoga posizione di isolamento che porta ambedue ad accentuare da un lato atteggiamenti di indipendenza e dall'altro a ricercare nuove formule alternative di collaborazione internazionale; ma che riflette anche l'intimità dei rapporti personali stabiliti fra i due uomini di Stato e di cui la lettera di Franco è un esempio. Né mi è stato difficile ritrovare in quest'ultima una diretta origine di molte delle considerazioni svoltemi nella prima parte del colloquio dal presidente: ad esempio, la pretesa (testé ricordata) assai illusoria di intravvedere e poter sviluppare un movimento centrifugo, a sfondo nazionalista, in molti degli Stati neo-comunisti oggi nell'orbita russa. Che d'altra parte l'influenza sia reciproca lo indicherebbe quanto a conclusione del suo colloquio mi ha confidenzialmente detto il generale Per6n: di aver cioè scritto a Franco, esortandolo ad «essere conciliante» per quanto riguarda gli atteggiamenti politici degli Stati occidentali nei suoi confronti, affinché la mano che egli vorrebbe tendere non sia respinta, ed egli abbia quindi modo di stabilire una collaborazione con essi che permetta di svolgere un'azione economica, sociale e politica intesa a salvare la pace.

236 4 li documento reca la seguente annotazione autografa di Sforza: «Zoppi: Conferire. Nella conversazione che lei solo sa [il colloquio con Mallet di cui al D. 230] non andai anche più in là circa l'indipendenza io?».

237 1 Vedi D. 140.

237 2 Non pubblicato.

238

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2014/674. Atene, 2 3 luglio 1948 1•

Seguito mio rapporto segreto n. 1635/532 del 16 giugno u.s. 2 .

Il Memorandum rimesso il l O corrente da codesto ministro Capsalis personalmente a V.E. e che ho letto allegato al telespresso di codesto Ministero n. 45/ 22042/c. (S.E.T.) del 17 corrente3 , chiarisce finalmente l'azione greca. Il «tutto»

o «nulla» che in sintesi ci venne prospettato con la pregiudiziale 22 giugno u.s. di cui al mio telespresso n. 1701/558 del 23 giugno u.s.4 , altro non era che questo conto da speziale che si teneva in serbo e si voleva presentare al momento cruciale di una qualunque trattativa concreta. Questo era il famoso «schema» dato agli inglesi ed americani e di cui al mio telegramma n. 78 del 18 aprile c.a.5 . Questo lo «schema» che Rankin il 26 aprile u.s. mi definì «something to discuss» (sic).

Infatti ad ogni capoverso del conteggio si possono dare infinite buone risposte da fare durare le trattative lunghissimi anni. Grosso modo rilevo:

a) che si parla soltanto di pretese greche, tacendo tutto quanto la Grecia da parte sua è tenuta a dare o fare (sblocco beni degli italiani; beni italiani nel Dodecanneso, ecc.).

b) Che s'interpreta l'art. 79 in una forma tanto inaccettabile quanto inammissibile. Infatti mentre l'art. 74 liquida con 105 milioni di dollari le «riparazioni»

2 Vedi D. 122.

3 Vedi D. 225.

4 Vedi D. 137.

5 Vedi serie decima, vol. Vll, D. 579, nota l.

senza «titolo», il paragrafo l dell'art. 79 invece, con il valore dei beni da confiscare, intende liquidare qualunque altra specifica domanda greca che non sia stata regolata in base «ad altri articoli del trattato di pace». Spirito e lettere del trattato non lasciano dunque ombra di dubbio che la Grecia non possa oggi parlare di convenzioni concluse nel 1942 fra Italia e Germania a proposito dell'occupazione ed in ispecie fruttanti crediti a favore della Banca di Grecia, perché proprio l'art. 79 specifica al paragrafo l esclusa ogni altra domanda «ivi compresi i crediti che non siano stati intieramente regolati in base ad altri articoli del presente trattato». Si deve perciò concludere che questa domanda, così arditamente infondata, altro non sia che un vero e proprio «fin de non recevoim.

Ma tralasciando il tecnicismo della nota greca, fonte soltanto di annose inconcludenti discussioni, è invece all'intenzionalità della redazione che conviene dare la massima attenzione se ci si vuoi rendere conto del punto a cui siamo arrivati.

La forma, il momento, la scelta dei titoli, ma soprattutto l'avere ridotto tutto ad un simile assurdo reclamo di danaro tradotto in beni, mostra che il pretesto greco del «tutto» o «nulla» era già «nulla» in partenza. Infatti l'Italia dipende economicamente dall'America e ben scarsi margini oltre l'aiuto americano essa possiede e possederà per molto tempo prima di essersi ricostruita. Lo stesso piano Marshall non è che un limitatissimo percento di quello che occorre allo sforzo di una vitale ricostruzione. La Grecia poi dal punto di vista economico è assolutamente ridotta a sussistere in funzione dell'economia americana.

Fra Italia e Grecia non può quindi sussistere una «questione economica» per se stante e non può esistere che una questione politico-morale.

Ma una questione morale si sente o non si sente. Se la si sente non sono le riparazioni quelle che la conducono, se non la si sente non sono le riparazioni quelle che la smuovono.

Verità è che il piccolo gruppo di reazionar-nazionalisti greci che domina il Ministero degli esteri pensa che il bene della Grecia sia di conservarle la magnifica posizione di «vittima» che combatte ed ancora si sacrifica per l'umanità e desiderano, anzi dico, sono convinti, che il bene della Grecia sia quello di restare più a lungo possibile in questa comoda posizione di «vittima» che giustifica il non far nulla, il chieder tutto e lo scarico di ogni responsabilità.

Non si rende conto che la «vittima» nella storia è un prodotto che non ha mercato e non costa nulla. La storia non conosce vittime e conosce solo deboli e forti. Il debole vittimizzato deve uscire subito dalla sua disgrazia prendendo quello che può prendere per liberarsi da una situazione che gli sarà riconosciuta solo sin quando agli altri farà comodo. La Francia dell'altra guerra insegni. Gli uomini che oggi conducono questo Ministero degli esteri son ben rappresentati di Poincaré che per anni e anni saliva alla tribuna della Camera francese proclamando «i' Allemagne payera» e poi ... è storia ormai vecchia. Ma la storia non insegna nulla mai, altrimenti il mondo avrebbe cambiato sistema!

Il parallelo con la Francia calza solo come impostazione perché questi uomini s'illudono essere più concreti e ragionano oggi così: se l'Italia ci paga, quello che l 'Italia ci dà, l'America da un'altra parte ce lo leva, perciò in un accordo con l 'Italia avremo lo stesso danaro ed in più avremo rimesso moralmente la nostra bella posizione di «vittima»! E non vogliono mollare.

Che si ragioni in questo modo lo dimostra tutto: la forma prescelta, gli uomini prescelti da parte greca, qui e lì, per trattare le cose che si chiedono. Ad esempio: il «Saturnia» e «Vulcania» che ben si sa gli americani non vogliono dare e gli stessi greci non desiderano (mio telecorriere n. 021 del 14 corrente )6 . Bastimenti che devono essere stimati da «quattro» ambasciatori in lotta fra loro e che possono essere richiesti da altri. Verità è che non si vuole fare nulla e d'altra parte si sa che si dovrà fare perché l'accordo generale pel Mediterraneo si farà, ma si farà purtroppo, come e quando vorrà il padrone, al momento in cui dirà basta, e non si accorgono i greci che allora l'accordo sarà fatto si, ma col padrone del Mediterraneo, non fra i popoli che nel Mediterraneo vivono.

Per chi come me vede queste cose, quanto succede appare criminale: ma purtroppo, V.E. si persuada, così è.

È vero questi non sono i greci che invece agognano la fine della commedia ed è solo un piccolo nucleo di uomini che malauguratamente domina e domina soprattutto il Ministero degli esteri.

Tsaldaris non è di questi, ma anche lui è giuocato; sollecitato nella sua vanità, illuso che così si possa discutere, ingannato in apparenze di possibilità che nascono una per una già tagliate, sotto sotto, alle radici. Esempio sia il modesto accordo per i beni, l'accordo cioè per l'applicazione deii'art. 79. Basta per questo ricordare il mio telespresso n. 9911317 del 12 aprile u.s. 7 . Per tre volte, mentre Tsaldaris accettava di trattare veniva di soppiatto, da Pipinelis, presentata alla Camera e per ben tre volte fu da me, a mezzo dei miei amici, fatta ritirare. Vista l'impossibilità di paralizzarmi, l'accordo fu accettato, per finire poi con la nota «pregiudiziale» basata sullo «schema» approvato dagli anglo-americani e tenuto in serbo sino al 10 luglio u.s.

Il rifiuto di prendere parte aiia biennale di Venezia; l'ordine di non fare amicizie personali con gli italiani; i piccoli diuturni contrasti di forma più che di sostanza; le considerazioni di cui al mio rapporto segreto n. 1635/532 del 16 giugno u.s. (non ancora bene orientato ma già chiaroveggente), sono la prova che questa è la mira: non concludere nuiia con I 'Italia sinché gli americani non lo riterranno per essi conveniente e daranno l'ordine.

Per coscienza io devo dire a V.E. quello che penso ma naturalmente non vedo che un Jato delle cose, perciò sono pronto a correggere il mio pensiero. Se però V.E. crede che io possa avere ragione e che le cose finiranno come dico, cioè un accordo si farà e globale fra I 'Italia e la Grecia fra cinque o sei mesi, quando gli americani diranno di farlo, perché allora non correre incontro alla situazione e, nell'interesse della Storia, alzare la mano ed i tempi?

7 Non pubblicato.

Se ad esempio, subito ora, prima ancora di rispondere ai greci, un giornale di Roma, opportunamente ammaestrato, si facesse telegrafare da Washington che, in presenza dell'impasse in cui si trovano i tentativi di regolamento degli affari pendenti fra Italia e Grecia, dato l'interesse maggiore che gli Stati Uniti riconoscono avere la più rapida riconciliazione dei due paesi, si apprende da buona fonte che lo State Department stima necessario di arbitrare nel regolamento di questo accordo per far si che si arrivi subito ad un buon risultato; un simile telegramma farebbe qui ad Atene l'effetto di una bomba e smaschererebbe il giuoco dei funzionari di questo Ministero degli esteri. Sono certo che esso produrrebbe benefici effetti fra i populisti e specialmente servirebbe nel campo dell'opposizione ove già conto diversi sinceri amici e metterebbe infine questo Governo di fronte alla propria responsabilità storica che non sente perché non vede.

Male non ne potrebbe fare; lasciando trascorrere un paio di settimane, se il risultato non fosse fecondo, si potrebbe davvero ricorrere all'America che in definitiva faccia quello che comunque finirà per fare. Si otterrebbe almeno che il tutto avvenisse prima, cioè quando vogliamo noi e con quel minimo di autonomia che uomini e cose ci permettono.

Differenza tra la Francia di Poincaré e la Grecia di Pipinelis è che la Francia allora non aveva la possibilità di un arbitro, perché gli inglesi erano coi tedeschi e gli americani avevano abbandonato il campo.

238 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

238 6 Vedi D. 191, nota 5.

239

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. s.N.D. URGENTE 8565/306 (Londra) 589 (Parigi). Roma, 24 luglio 1948, ore 22.

Ambasciata Washington telegrafa che pressanti interventi questa ambasciata Stati Uniti, da noi sollecitata prospettare al Dipartimento di Stato urgenza ed importanza che Governo americano definisse suo atteggiamento circa colonie in senso a noi favorevole, non hanno valso affrettare decisione. Si noterebbe anzi accentuamento tendenza Dipartimento lasciar deferire questione O.N.U. facendola successivamente rinviare Assemblea ordinaria 1949.

È stato tuttavia inviato costì Joseph Palmer reggente Divisione Africa direzione affari politici Dipartimento con incarico prendere contatti ufficiosi con inglesi e francesi per accertarne propositi e fare a Washington il punto situazione. Ambasciata riferisce che Palmer, cui missione esplorativa viene considerata segretissima, ha conoscenza diretta ma superficiale Somalia ed Eritrea acquisita in anni 1941-45 quando era vice console in Nairobi, e non, ripeto non, è fautore trusteeships italiani dividendo inoltre in pieno ideologie anticoloniali.

240

COLLOQUIO DEL SEGRETARIO PARTICOLARE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, CANALI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MALLET

APPUNTO. Roma, 25 luglio 1948, ore 13,30.

Alto Adige: Dico all'ambasciatore che la sua visita in Alto Adige ha destato un po' di allarme, tanto più che i tedeschi si sarebbero !agnati presso di lui. La situazione è molto delicata; occorre ricordarsi che il Governo ha da trattare con due minoranze e che lo Statuto autonomo ha suscitato critiche molto vivaci nel paese dato che molti, sin dali' epoca del dibattito alla Camera, lo hanno trovato ampio. Ogni intervento quindi, mentre può provocare spiacevoli incidenti da parte di elementi irresponsabili, appare agli italiani come inammissibile interferenza nei nostri affari interni. Si dice che i tedeschi siano venuti da lui per esporre le loro lagnanze.

Mallet dice che non bisogna esagerare: i tedeschi sono, sì, venuti da lui ed egli li ha ascoltati, ma ha constatato che i loro argomenti hanno scarsa consistenza. Egli si rende conto benissimo della situazione delicata, ma non può fare a meno di ascoltare chi viene da lui.

Osservo che lo Statuto è ottimo e che le autorità italiane sono personalità di primo ordine (Bisia, ecc.); se mai, si tratterebbe di perfezionare le norme d'attuazione. Passiamo in rivista taluni punti, quali la questione dei funzionari, le opzioni e le abilitazioni. Su quest'ultimo punto Mallet si dice d'accordo che il numero dei «respinti» è esiguo; ma sono forse i più influenti. Gli oppongo che può darsi, ma che sono anche i più delinquenti (ricordo gli SS bolzanini che furono i più feroci). L'ambasciatore risponde avanzando l'obiezione che anche in I tali a sono tornati i fascisti. Al che osservo che non esiste alcun accordo che regola la materia. Mallet annuisce e riconosce che le posizioni sono diverse. Quanto alle abilitazioni, spiego la differenza tra abilitazione e laurea. Mallet chiede se non si possa agevolare la posizione almeno dei medici. Rispondo che anche per loro è prescritto l'esame di Stato.

Accenno alla questione console inglese a Bolzano, la cui presenza non giova alla situazione, perché incoraggia gli elementi tedeschi e offre il destro agli austriaci di chiederne uno anch'essi. Mali et risponde di rendersi conto dell'imbarazzo, e di aver fatto le opportune raccomandazioni al console; il quale, del resto, è in procinto di partire ritenendosi ormai il suo compito esaurito.

Stampa e opinione pubblica: Si discute della stampa. Cito l'atteggiamento del New Statesman and Nation, e osservo che indubbiamente vi sono equivoci da dissipare da entrambe le parti. Un persistente diffuso senso di anglofobia in Italia si deve in gran parte all'atteggiamento britannico in materia di colonie italiane; ma, a voler risalire alle origini, non escludo che dietro a certe manifestazioni vi siano ancora il risentimento d'una guerra e un quanto meno generico pregiudizio anticlericale.

Mallet non nega; dichiara d'aver fatto molti sforzi per dissipare queste sensazioni e sente d'aver in certo modo rasserenato l'atmosfera. Opportuni gli incontri tra ministri: ad esempio, Bevan con Fanfani, che egli considera tra gli illuminati (enlightened) ministri della D.C.

241

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. PERSONALE 8584/434. Roma, 26 luglio 1948, ore 11,30.

Questo ministro Difesa mi comunica che durante suo recente congedo ebbe occasione intrattenerla questione acquisto aerei e materiale aeronautico da prelevare surplus americano Germania.

Poiché cessione appare oggi più che mai desiderabile per urgenti necessità nostra Aviazione militare, pregola esporre Dipartimento Stato ovvie considerazioni opportunità aderire nostre richieste, interessandosi altresì affinché organi tecnici competenti accelerino pratiche relative. Voglia riferire urgenza 1•

242

IL MINISTRO A L' AJA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9969/72. L 'Aja, 26 luglio 1948, ore 19,25 (per. ore 6,30 del 27).

Mi sono intrattenuto oggi col segretario generale degli affari esteri Levink sull'argomento di cui al telegramma circolare 8507 del 23 corrente1• Egli mi ha detto di non aver ricevuto finora rapporti Commissione quadripartita assicurandomi li avrebbe sollecitati telegraficamente.

Gli ho ampiamente illustrato punto di vista italiano, dimostrandosi molto comprensivo. Mi ha detto che in via di massima non vedeva motivo per cui Governo olandese dovesse esprimere opinione diversa da quella manifestata nello scorso novcmbrc2 . Ad ogni modo si riservava decisione definitiva non appena esaminati rapporti promcttendomi di tenermi informato3•

242 Vedi D. 234.

2 Vedi serie decima, vol. VI, D. 761.

3 Con T. I O I 55/73 del 29 luglio Bombieri comunicava di aver avuto conferma verbale che il Governo olandese avrebbe mantenuto un atteggiamento invariato circa colonie italiane.

241 1 In pari data Tarchiani rispose (T. s.n.d. personale 9964/578) di aver ricevuto assicurazioni dal Dipartimento di Stato sull'invio di istruzioni all'ambasciata statunitense a Roma per sollecitare i previsti contatti sulla questione. Il 23 agosto Sforza infonnò (T. s.n.d. 9645/476) che, a seguito di tali contatti, era stata richiesta la fornitura di circa 200 apparecchi.

243

IL SEGRETARIO DELL'UFFICIO DI COORDINAMENTO, DAINELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO SEGRETO. Roma, 26 luglio 1948.

Il signor Byington, sottolineando di parlare a titolo del tutto personale ed amichevole, si è espresso come segue circa il problema coloniale:

l) Senza avere informazioni dirette sulla questione, egli sa che oramai il problema si trova nella discussione finale. Da parte britannica -a parte la Somalia -si è riusciti a persuadere moltissimi ambienti americani che il ritorno dell'Italia nelle regioni africane significherebbe rivolte, massacri e instabilità. Tutto ciò -che è peggio -confermato da alcuni funzionari americani i quali sono stati in Africa. È bene anche che si tenga presente l'atteggiamento di completa ed assoluta ostilità degli ambienti coloniali e militari britannici i quali sostengono l'amministrazione diretta o indiretta della Gran Bretagna in quei territori. Per essi considerazioni politiche tendenti a non urtare gli interessi e l'opinione pubblica italiana, anche in vista di una collaborazione occidentale, non hanno alcun valore. «... i generali contano abbastanza in questo momento ...».

2) Da parte dell'ambasciata a Roma, a firma del signor Dunn, sono partiti recentemente telegrammi esaurienti, i quali oltre al fornire dati circa i meriti italiani in colonia e le necessità colonizzatrici dell'Italia, sottolineavano l'effetto disastroso che avrebbe certamente avuto in seno all'opinione pubblica italiana una soluzione ostile ali 'Italia del problema coloniale.

3) Egli tuttavia pensa che non sia più utile tornare sopra alla questione per via normale e suggerisce che il presidente De Gasperi intervenga con un appello diretto «highly confidential» per il generale Marshall.

Il presidente del Consiglio, che incontra la massima fiducia politica da parte del Governo americano, al grave momento attuale «should not go by with it». Un suo passo avrebbe un peso forte e costituirebbe uno spostamento del problema coloniale sul piano degli essenziali rapporti politici tra l'Italia e il mondo, per i quali il presidente del Consiglio, agli occhi di Washington ha tutta la responsabilità.

Due modi sarebbero possibili:

a) il messaggio confidenziale potrebbe essere inviato tramite Tarchiani o tramite l'ambasciata degli Stati Uniti a Roma. In ambedue i casi il passo dovrebbe essere fatto nel modo più formale.

Ove il messaggio dovesse essere trasmesso dall'ambasciatore Tarchiani, l'ambasciata degli Stati Uniti a Roma potrebbe essere informata a nome del presidente del Consiglio dal segretario generale del Ministero degli esteri in assenza del conte Sforza. In questo caso e nel primo, il segretario generale potrebbe oralmente spiegare ancora una volta le conseguenze di una soluzione coloniale negativa, sottolineando particolarmente:

-la maggiore difficoltà che incontrerebbe il Governo sulla strada già lenta e difficile della collaborazione occidentale (tale accenno non avrebbe sapore di «negoziare il Patto occidentale» ma bensì solo ricordare ciò che sono le profonde reazioni del popolo italiano anche rispetto al momento politico attuale. Con ciò si eviterebbe di fare il giuoco di coloro i quali -troppo vicini forse a concezioni britanniche dicono a Washington: «Se gli italiani credono che sia utile per essi entrare nel Patto occidentale lo devono fare con o senza colonie»;

-il Governo italiano si troverebbe a dover affrontare in Parlamento e nel paese -sia pure senza alcuna responsabilità propria -una reazione del tutto sfavorevole e unanime. Il partito comunista ne approfitterebbe certamente in seno alle masse.

b) Il segretario generale, a nome del presidente del Consiglio -in assenza del conte Sforza -pregherebbe l'ambasciata degli Stati Uniti di trasmettere un messaggio orale dell'on. De Gasperi al generale Marshall. Il conte Zoppi aggiungerebbe personalmente le considerazioni di cui sopra 1•

4) La soluzione di cui alla lettera a) è pertanto da considerarsi la migliore perché rispondente al concetto di dare un nuovo carattere al problema coloniale e nello stesso tempo colpire Washington con la maggiore efficacia possibile.

[PS.] Quanto sopra è stato detto in via del tutto personale per fame comunicazione riservatissima alla sola persona del segretario generale.

244

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0036/42. Nanchino, 27 luglio 1948, ore 16,25 (per. ore 23).

Suo 8508/c. 1 .

Ho compiuto passi secondo istruzioni V.E. Questo Governo intende per ora limitarsi confermare posizione a suo tempo presa e dichiara non aver nulla da aggiungere. Esitazioni questo Governo pronunciarsi in modo positivo per amministrazione italiana derivano, oltre che da nota posizione anticolonialista cui esso deve anche per ragioni politica interna mantenersi fedele, da suo desiderio riservarsi possibilità proporre, basandosi su considerazioni di principio, forme amministrazione collettiva per possedimenti ex-giapponesi.

In considerazione di ciò posizione più favorevole che possiamo attenderci da questo Governo su questione nostre colonie è quella da esso presa finora che, proponendo e, per la Libia, consentendo in modo generico trusteeship senza pronunciarsi su chi debba esercitarlo, se non ci giova in modo positivo tuttavia non

355 contrasta nostre aspirazioni. È peraltro da tener presente che, ove questione dovesse essere portata esame O.N.U., in tale sede questo Governo probabilmente appoggerebbe eventuali proposte amministrazione collettiva.

243 1 Il messaggio venne comunicato verbalmente a Byington che il 31 luglio provvide alla trasmissione a Marshall. Il testo è edito in Foreign Relations of'the United States, 1948, vol. III, cit., p. 930. De Gasperi tomò sull'argomento con una lettera confidenziale (vedi DD. 273 e 283); per la risposta di Marshall vedi D. 329, Allegato.

244 1 Vedi D. 234, nota l.

245

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10047/183. Belgrado, 27 luglio 1948, ore 13,30 (per. ore 8 del 28).

Telegramma di V. E. n. 8507 /c 1 .

Questo ministro aggiunto Bebler mi ha detto che problema ex colonie italiane è allo studio e che ne avrebbe parlato con Maresciallo. Non mi ha fatto obiezioni di principio ma ha lamentato che da parte italiana non vi siano ancora gesti per incoraggiare buone disposizioni jugoslave verso di noi. In particolare ha alluso ai molti danni subiti dalla Jugoslavia a causa della guerra ed alla poco buona disposizione italiana ad iniziare un risarcimento. Si è riferito in proposito alla richiesta jugoslava del Saturnia e Vulcania e degli impianti bellici non trasformabili, richiesta che sarebbe caduta nel vuoto. È tuttavia probabile che Jugoslavia non avrà motivo di discostarsi da precedente parere onde non consentire a potenze «imperialistiche» di installarsi in Libia direttamente o indirettamente. Segue telespresso 2 .

246

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 0 1424/c. 1 . Roma, 2 7 luglio 1948.

Suo rapporto n. 2463 del 7 luglio 2 .

Ho letto il suo rapporto con interesse. Le osservazioni e conclusioni corrispondono sostanzialmente a quanto si è potuto constatare, specie a Parigi, circa il senso nord-americano di delusione in merito alla effettiva cooperazione e alla comprensione pratica da parte dei Diciotto. Concordo anche con la sua osservazione in tema di ripartizione di aiuti che cioè «la cosa per noi più importante sia di accaparrarci la

245 Vedi D. 234.

Non rinvenuto. 246 1 Diretto per conoscenza all'ambasciata a Parigi. 2 Vedi D. 194.

356 comprensione americana con sicure prove di risultati ottenuti, per farci degli alleati nel caso di discriminazione a nostro danno da parte dell'O.E.C.E.».

Converrà quindi, in ogni occasione che si presenti, tanto a V.E. quanto ai funzionari dell'ambasciata, porre in rilievo in codesti ambienti quale è stato ed è tuttora l'atteggiamento italiano in materia.

Il Governo della Repubblica ha sempre sostenuto, sino dall'inizio delle sessioni del luglio scorso, la necessità della cooperazione europea quale presupposto e base dell'aiuto americano; base indispensabile allo scopo di non trasformare una illuminata offerta di finanziamento in una offerta di aiuti, sia pure generosa ma suscettibile di divenire una non decorosa ed anzi dannosa forma di assistenza, in quanto deformerebbe l'economia dei paesi beneficiari abituandola a vivere di soccorso invece che di onesto lavoro. Occorrerà quindi ricordare che i miei interventi a Parigi, e le dichiarazioni, pubblicate anche da codesta stampa, dei miei diretti collaboratori, stabilivano che l 'intendimento italiano era che ogni paese aumentasse, grazie al rifornimento di materie prime e di beni strumentali, la produzione di quei settori nei quali è per natura specializzato (nel caso nostro, ad esempio i bacini idroelettrici, la mano d'opera qualificata eccetera) per porre tale aumento di produzione al servizio di tutti e della ricostruzione di ognuno, purché da parte di ogni partecipante venisse assicurato l'assorbimento di altri beni, anche di non immediata necessità, allo scopo di permettere l'acquisto delle materie prime e semilavorate. Così si sarebbero subito incrementati gli scambi, e si sarebbe potuto raggiungere per il 1952 l'autosufficienza dell'Europa.

V.E. potrà riferirsi, come ho detto, ai miei discorsi, alle dichiarazioni fatte tanto in sede generale all'O.E.C.E. quanto ai rappresentanti dell'ambasciata e del giornalismo americano a Roma, quanto infine ai documenti presentati man mano nel corso dei lavori della nostra delegazione e che ella mi assicura abbiano costì prodotto buona impressione.

Ma v'ha di più. Esulando da quei piani che per essere di troppa larga veduta non hanno sufficiente contenuto pratico, il Governo della Repubblica continua a mirare non solo a colpire il problema della crisi europea nelle sue basi, ma anche ad isolare i vari elementi che lo compongono, allo scopo di raggiungere una soluzione graduale e quindi per ciò stesso possibile.

Citerò soltanto tre elementi, sufficienti a dimostrare la fondatezza di tale asserto.

l) Unione doganale italofrancese. L'Italia è convinta che essa non si farà senza immediati e forse non lievi sacrifici. Ma è convinta anche che essa deve ciò nondimeno farsi, perché il risollevamento europeo dipende dall'allargamento dei mercati, dalla divisione delle produzioni, e dal ribasso dei costi. È d'altronde persuasa che solo intese regionali, raggiunte in un primo tempo tra paesi i quali, per ragioni di tradizioni, di cultura, di vicinanza, sono maggiormente chiamati ad intendersi, possano condurre ad un progressivo avvicinamento dei vari gruppi fra loro e dar luogo perciò a quella eventuale federazione europea alla quale ho accennato anche nel mio recente discorso di Perugia3 . Qualunque altro sistema sarebbe un

tentativo destinato all'insuccesso, ed altro non rappresenterebbe se non una inutile e teorica accademia.

Nella recente riunione della Commissione mista italo-francese a Parigi sono stati fatti altri progressi per la redazione del programma che, terminato per il mese di ottobre, verrà sottoposto ai Parlamenti delle due nazioni per dare inizio alla pratica esistenza dell'Unione. Mentre nel recente passato è l'Italia che si è posta all'avanguardia di questo movimento ed ha per così dire trascinato la Francia, questa volta lo stesso Governo francese ha dimostrato una maggiore iniziativa e forse anche una migliore volontà. Ciò, malgrado che da parte americana si sia tralasciato in questi ultimi mesi di far sentire al Governo di Parigi quanto l'unione sia desiderata da Washington nell'interesse di tutti. E poiché le difficoltà sono ancora !ungi dall'essere terminate, ed anzi gli interessi privati avranno maggior maniera di contrastare allorché realizzeranno che potranno essere lesi sul terreno della pratica applicazione, ritengo utile che ella ridesti l'interessamento americano all'intera questione e faccia spendere opportune parole presso il Governo di Parigi.

2) Studi per l 'unione doganale generale. A Bruxelles dove tale importante questione è stata ripetutamente discussa, la delegazione italiana ha svolto la parte di motore e di pattuglia di punta. Le è noto lo svolgimento dei lavori del detto consesso, i quali proseguono attraverso comitati tecnici che sfoceranno nell'ottobre prossimo ad una nuova riunione generale, nella quale si può essere certi la delegazione italiana continuerà ad avere quella parte di rilievo che ha sinora rivestito. Ma anche là, !ungi da dichiarazioni puramente accademiche, il Governo italiano ha manifestato e sostenuto idee sostanzialmente pratiche: si deve a noi se il concetto di intese regionali progressivamente avvicinabili è stato accolto, e se è stato ammesso che il compito comune sia per il momento limitato a risultati forse meno appariscenti ma più effettivamente tangibili; cioè la formazione della nomenclatura doganale unica, lo studio per la progressiva formazione di una tariffa comune, l'esame pratico delle conseguenze che una progressiva eliminazione degli ostacoli al commercio internazionale potrà avere sui più importanti settori economici dei singoli paesi.

3) Accordo di pagamenti multilaterali. L'Italia è oggi creditrice di tutti, nessuno escluso, i paesi con i quali ha accordi di clearing. L'altezza dei plafonds utilizzata dagli altri paesi per i propri acquisti in Italia è tale, malgrado la nostra pesante circolazione, che circa un decimo di questa è appunto rappresentata dalle avances che noi stiamo facendo per finanziare, allo scopo di non interrompere i traffici, le nostre esportazioni verso paesi che per mancanza di merci o mezzi di pagamento interromperebbero altrimenti gli scambi con noi. È questa una prova veramente sostanziale della nostra volontà collaborazionistica; tanto più che malgrado tal stato di fatto, noi siamo entrati di buon grado nel concetto che sta alla base del progetto di Parigi, benché esso, nella formulazione sia pure provvisoria che ha sin'oggi raggiunto (consolidamento dei debiti, allargamento dei plafonds anche mediante i fondi in moneta nazionale), possa risolversi a nostro danno immediato.

Ma -e ciò mi preme sia fatto rilevare costì -il delegato italiano alle recenti riunioni del comitato degli scambi ha fatto delle dichiarazioni che ha anzi riassunto in un memoriale scritto, le quali dimostrano quanto noi vediamo chiaro e lontano. Sostanzialmente si è voluta attirare tutta l'attenzione dei paesi partecipanti sul fatto che il sistema di un accordo multilaterale di pagamenti può essere un mezzo ma non può essere uno scopo; che lo scopo è l'incremento e non la sterilizzazione degli scambi internazionali, anche come base di una intesa politica duratura, e che quindi un radicale mutamento della miope politica economica sin qui praticata dalla maggioranza degli Stati europei, ma non da noi, che abbiamo rinnegata l 'autarchia, può solo consentire una base efficiente perché l'accordo multilaterale non finisca o con l'esaurirsi in se stesso o peggio ancora col condurre ad ulteriori restrizioni.

Ho voluto dilungarmi su questi argomenti non solo per dimostrarle tutto l'interesse che vi apporta il Governo della Repubblica, ma per la persuasione che noi siamo sulla buona via e che desideriamo che codesto Governo e codesta opinione pubblica ce lo riconoscano.

246 3 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 483-496.

247

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 27 luglio 1948.

Il 23 u.s. il presidente del Consiglio ha ricevuto l'ambasciatore d'Inghilterra. La visita ha avuto luogo ad iniziativa di quest'ultimo. Mallet ha chiesto informazioni su questioni di politica interna e quindi è passato a deplorare i noti articoli del Times assicurando che essi erano stati deplorati anche dal Governo britannico e che era in corso di pubblicazione un nuovo articolo diversamente intonato: ciò che infatti ha avuto luogo.

Il presidente è quindi passato a trattare due questioni: colonie e Unione Occidentale.

Colonie: Il presidente del Consiglio ha insistito perché i quattro ministri degli affari esteri si dichiarino favorevoli al mandato italiano sulla Somalia e sul! 'Eritrea con eventuali concessioni alla Etiopia per quest'ultimo territorio, senza rinviare la questione all'O.N.U. Ha lasciato intendere che ove sorgessero gravi difficoltà per la Libia potrebbe essere differita la soluzione relativa a questa colonia per la quale l 'Italia considera del resto con la maggior simpatia le aspirazioni degli arabi ed è disposta ad andare incontro nella più larga misura a tali aspirazioni. Il presidente ha assicurato l'ambasciatore britannico che i dubbi sollevati relativamente alla «mentalità» dei nostri funzionari sono infondati in quanto disponiamo di quadri perfettamente intonati alle nuove esigenze di una politica africana di ampie vedute.

Unione occidentale: Il presidente ha ripetuto i noti argomenti ed ha affermato il principio della «gradualità».

Su entrambe queste due questioni l'ambasciatore britannico si è limitato ad ascoltare.

248

IL SEGRETARIO DELL'UFFICIO DI COORDINAMENTO, DAINELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO SEGRETO. Roma, 27 luglio 1948.

Il colonnello Stillwell di ritorno da Washington si è espresso come segue: l) Le richieste della Difesa italiana in materia di surplus e cioè direttamente al «War Assets Administration» potranno essere varate ed in particolare la richiesta di un credito di 5 milioni di dollari, ha avuto favorevole accoglimento. Tuttavia è bene tener presente che ciò che gli Stati Uniti possono dare imme

diatamente in tale campo è legato alle disponibilità e quindi sarà utile che la Difesa italiana esamini gli elenchi di materiale esistente e poi ne faccia specifica richiesta.

2) Ciò che la «War Assets Adiministration» può dare all'Italia in questo momento costituisce il l O per cento di ciò che dovrà essere il materiale necessario a venire incontro alle esigenze della Difesa italiana, quali illustrate dallo Stato Maggiore di Roma e condivise dagli ambienti militari americani.

Per provvedere tuttavia a quanto sopra è necessario che il Congresso americano proceda all'attuazione pratica della risoluzione Vandenberg e ciò non potrà avvenire -a meno che non intervengano nuove circostanze internazionali -prima dell'insediamento del nuovo presidente.

3) La strategia americana si è prefissa il consolidamento politico e quindi militare dell'Europa occidentale complementare alle forze armate americane. In particolare l'Italia dovrebbe avere il prima possibile fra l O o 12 divisioni, le quali avrebbero il compito di difendere i confini, garantire la sicurezza dei porti e degli aeroporti che verrebbero immediatamente utilizzati dalle forze armate americane. I compiti dell'Aeronautica dovrebbero essere secondari rispetto al compito dell'Esercito, e rimanere nel campo della ricognizione e della complementarietà delle forze di

terra. La Marina italiana, infine, dovrebbe poter dominare l'Adriatico. È essenziale tuttavia n eli' ordine delle precedenze procedere innanzi tutto alla preparazione efficiente delle forze di terra.

4) A Washington non si ritiene che la Russia intenda fare la guerra; tuttavia si sa che i quattordici membri del Polit Bureau pensano che gli Stati Uniti vogliano evitare il conflitto a tutti i costi. Ciò giustifica innanzi tutto la decisa volontà di fermezza per ciò che riguarda Berlino. Inoltre negli ambienti della capitale americana, non si sa ancora se la rivolta di Tito -che costituisce senz'altro un impedimento strategico per la Russia -implichi d'altra parte la necessità di una reazione

di prestigio da parte di Mosca. Anche ciò induce Washington alla fermezza. 5) Ove un conflitto dovesse scoppiare ancora prima che gli Stati Uniti abbiano potuto portare a buon punto i loro programmi di grande strategia, evidentemente a seconda dello stato avanzato o meno di tali programmi, i russi avrebbero un successo proporzionale iniziale.

Pertanto, per ciò che riguarda l'Italia, è da immaginare che ove i russi pensassero di attaccare attraverso la Jugoslavia sulle Alpi giulie, essi intenderebbero puntare alle Alpi occidentali attraverso la pianura del Po.

Gli Stati Uniti, posta la collaborazione attiva dell'Esercito italiano, evidentemente prevederebbero la difesa sul Po -dopo una prima resistenza sul Piave -e poi sugli Appennini.

A Washington, in ogni caso, ci si rende perfettamente conto che ove la penisola italiana cadesse in mano alla Russia, le comunicazioni del Mediterraneo e il possesso dell'Africa settentrionale sarebbero poste in mortale pericolo da parte delle forze aeree sovietiche basate sulla penisola italiana.

249

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 3911/1616. Londra, 27 luglio 1948 (per. il 31).

Le notizie avute al Foreign Office confermano sostanzialmente quanto Bidault ha detto ali' ambasciatore Quaroni (telegramma per corriere da Parigi n. O181 del 15 luglio; prima parte) 1 circa l'atteggiamento degli Stati Uniti nei riguardi della difesa militare dell'Europa occidentale.

Il cosiddetto Patto atlantico (Stati Uniti -Canada -Islanda -Stati scandinavi Gran Bretagna o Unione Occidentale) è allo studio ma, si dice qui, nulla di concreto potrà essere fatto fino dopo le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Si tratta tuttavia di un progetto che al Foreign Office sta particolarmente a cuore e che viene intanto studiato nei dettagli in modo da spingerlo rapidamente avanti al momento opportuno se le circostanze saranno tuttora favorevoli.

L'atteggiamento preso dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna di fronte al reale pericolo rappresentato dalla crisi di Berlino dà delle indicazioni abbastanza chiare circa la strategia generale degli americani e le intenzioni degli inglesi.

Non vi è dubbio -ed è confermato dalle notizie avute qui -che gli Stati Uniti, convinti oramai della quasi inevitabilità di una guerra con l'U.R.S.S., intendono combatterla basandosi essenzialmente sulla propria superiorità tecnica nel campo delle armi modernissime e specialmente di quelle atomiche; ossia soprattutto con aerei e proiettili radioguidati partendo da un sistema di basi adatte. Nel settore più vicino ali 'Europa queste sarebbero soprattutto l 'Islanda, le Isole Britanniche, l'Africa e almeno in primo tempo l'Arabia Sa udita.

A quanto sembra, negli Stati Uniti stessi le opinioni sono divise circa la possibilità di sconvolgere con bombardamenti atomici le basi di rifornimento degli eserciti sovietici al punto da paralizzarne la marcia fin dal principio. Comunque la strategia americana non ha oggi da preoccuparsi particolarmente di una invasione sovietica dell'Europa occidentale: secondo alcuni anzi ciò non servirebbe che ad addossare ai russi alcune migliaia di chilometri di più di fronte da guardare e molti milioni di persone da nutrire di fronte a dubbi vantaggi dal punto di vista economico industriale e strategico. È quindi possibile che l'azione sovietica si limiti, in caso di guerra nelle condizioni attuali, a provocare rivoluzioni comuniste nei vari Stati dell'Europa occidentale allo scopo di assicurarsi da questa parte senza tuttavia assumerne la diretta responsabilità.

In ogni caso, se la guerra dovesse scoppiare entro le prossime settimane la strategia americana entrerebbe sola in giuoco e l'Europa occidentale avrebbe scarsissime probabilità di salvarsi. Pur tenendo presente questa eventualità che non è affatto da scartare, dobbiamo prepararci all'altra cioè ad un periodo di guerra fredda che si prolunghi per qualche anno. Questa può offrire all'Europa occidentale una chance di salvezza ed è qui che la strategia e le risorse britanniche possono entrare m gmoco.

Come ho già scritto, il pensiero del Governo britannico o più precisamente del Foreign Office sulla crisi di Berlino-come su tutta la questione tedesca in generale -è più vicino a quello di Washington che a quello di Parigi. Non si hanno qui eccessive illusioni su quello che potrebbe significare per la Gran Bretagna una guerra a breve scadenza: una ripetizione peggiorata del periodo 1940-44 se non addirittura l'invasione. Tuttavia il ragionamento di Washington «bisogna mettere in chiaro a tutti i costi se i sovietici intendono fare la guerra o no e in caso affermativo è meglio batterli adesso prima che sviluppino le armi atomiche o altre che la scienza tedesca potrebbe mettere a loro disposizione» è qui accettato sostanzialmente sebbene il paese sia stanco, e completamente impreparato.

Tuttavia la prospettiva di tenere i russi lontano dali' Atlantico e se possibile anche dal Mediterraneo sorride naturalmente agli inglesi i quali tenteranno -se la guerra fredda si prolunga -di organizzare un sistema di difesa sul Continente più ristretto e in certo modo all'ombra della più vasta strategia americana. Ed è in questo ordine di idee che potremmo trovare un'assistenza per la difesa del nostro paese.

Quello che Bidault ha detto all'ambasciatore Quaroni circa la riluttanza britannica a concretare l'unione dell'Europa occidentale è in sostanza esatto ed è un punto su cui ho avuto ripetutamente occasione d'insistere. Ed è anche in linea generale giusto il metodo tenuto da Bidault neU 'ultima riunione de li' Aja, quello cioè di mettere gli inglesi di fronte a proposte concrete per l'organizzazione economica, politica e militare deli 'Europa occidentale: la reazione di Bevin alle proposte di Bidault è stata criticata da buona parte della stampa inglese come un altro segno evidente che l'appoggio del Governo britannico all'Unione Occidentale nei suoi aspetti politici ed economici, è halj~hearted se non addirittura una finzione. Il discorso del 22 gennaio pesa molto a Bevin, lo ha dichiarato egli stesso. Però il discorso resta ed offre un'ottima base da cui attaccare le esitazioni e i tentativi di sabotaggio britannici. Dove Bidault a mio parere ha sbagliato è stato nell'avanzare una proposta (il Parlamento federale europeo) che appare a molti non pratica e prematura. Proposte concrete sì, magari anche ardite, ma possibilmente attuabili e graduate: se gli inglesi si spaventano finiranno per rinchiudersi nel loro guscio e rassegnarsi anche per l'avvenire all'idea di avere i russi a Calais.

Dove poi sbaglia, almeno tatticamente, la Francia e non la Francia soltanto è quando nelle sue proposte e richieste dà prova evidente di un nazionalismo non molto compatibile con lo spirito europeo che si vorrebbe creare. Che i francesi possano non avere nessuna fiducia in Montgomery come generale è perfettamente comprensibile, ma se l'obiezione è diretta alla nazionalità del comandante in capo delle (future) Forze dell'E.O. e non alla persona essa è, secondo me, controproducente. La strategia più ristretta a cui ho accennato prima e che potrebbe dare all'E.O. una chance di difendere il proprio territorio dovrà probabilmente far capo alla Gran Bretagna. L'industria americana è, a quanto pare, totalmente impegnata sia nella produzione per l'E.R.P. sia nel riarmo degli Stati Uniti che ha naturalmente first priority: gli inglesi ritengono invece che la loro produzione e soprattutto quella canadese che ha progredito immensamente durante l 'ultima guerra potrebbero -purché si abbia il tempo necessario -fornire ai paesi dell'E.O. il materiale bellico di cui hanno bisogno. Per un complesso di ragioni abbastanza evidenti, prima di tutte la posizione strategica, non si desidera qui risuscitare la produzione bellica della Ruhr. La Francia potrà provvedere in parte al proprio riarmo ma per il resto si dovrà ricorrere alla produzione britannica e canadese che sono, a quanto sembra, aggiornate anche se la prima è per ora fortemente impegnata nella «battaglia per l'esportazione».

È superfluo aggiungere che gli inglesi non fornirebbero in ogni caso che materiale e forse esperti militari, ma certamente non truppe almeno in un primo tempo (vedi mio rapporto n. 2499/950 del 10 maggio pag. 4)2 . Ed è altrettanto superfluo rilevare che qualsiasi approccio da parte nostra per mettere in chiaro fino a che punto gli inglesi sarebbero disposti ad arrivare in questo ordine di idee presuppone una decisione circa il problema prospettato nel mio rapporto n. 3801/1571 del 20 luglio3 . Non si tratta di decidere se fare o no dei passi per ottenere l'invito ad aderire al Patto di Bruxelles che potrebbe anche essere eventualmente sostituito nei nostri riguardi da un altro patto regionale di diversa portata geografica, di cui fosse per noi più facile o più conveniente far parte. Si tratta di decidere in linea generale pro o contro la neutralità, tenendo presente che agli effetti di una possibile assistenza militare da parte della Gran Bretagna un atteggiamento incerto è forse più negativo di una neutralità apertamente dichiarata.

3 Vedi D. 227.

249 1 Vedi D. 218.

249 2 Vedi D. 8.

250

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 7185/2711. Washington, 27 luglio 1948 (per. il 4 agosto).

Rispondo subito al suo telespresso 1124/c. del 14 luglio1 e al telegramma 435 del 26 luglio2 ricevuti entrambi ieri.

Mentre le sono gratissimo del telegramma, mi affretto a dirle che concordo pienamente con le premesse enunciate nelle prime due pagine del detto telespresso ed anche con le ragioni di prudenza e di dignità sollevate a più riprese sia di fronte alla gravità degli impegni da contrarre, sia rispetto agli atteggiamenti spesso non comprensivi e non amichevoli di taluni virtuali alleati.

Ammetto volentieri che il broncio intermittente di nostri amici (che non si decidono ad una posizione chiara, a conversazioni nette e precise, e che su parecchi problemi, per noi vitali, non mostrano sufficiente intendimento e sollecitudine rispetto a terzi ostili o restii) è causa di turbamento e di confusione spesso sterili e sempre sconcertanti.

Ma è nostro destino operare con le realtà che possiamo avere sottomano, anche se sono avverse, disturbanti o sfuggevoli. Dobbiamo sforzarci ad utilizzarle nell'interesse nostro ed anche generale.

Pensando e scrivendo dell'adesione del nostro paese al «blocco atlantico» (al momento e nel clima opportuni) io mi sono sempre preoccupato di una situazione di materiale necessità (oltre alle nostre tradizioni) alla quale non potremmo, anche se volessimo, sfuggire. Meglio vale, quindi, secondo me, tenerne principalmente conto e prepararci bene ad un passo che, un giorno o l'altro, dovremo muovere.

Sono particolarmente lieto pertanto che le considerazioni di V.E. sulla «neutralità illusoria» conducano -con argomenti concordanti -alle stesse conclusioni che io avevo da questo osservatorio ventilato.

V.E. riduce ad adeguate proporzioni, sia l'effetto delle «disillusioni della vittoria» che avrebbe in buona parte originato il fascismo, sia il parallelo con le neutralità della Turchia e della Svezia, le cui condizioni geografico-militari nell'ultima guerra, non quadrano con le nostre attuali. D'altronde la Svezia se la cavò non in grazia alla neutralità, ma in grazia ai servigi che rese ai tedeschi e che gli Alleati (per la sua posizione baltica, chiusa, che non è la nostra mediterranea, apertissima) non poterono tempestivamente farle pagare cari. E perché non si pensa invece a tante altre neutralità infelici e tragiche delle guerre '14-18 e '39-45?

Se ragionamenti di questo genere possono creare erronei stati d'animo, è certo assidua preoccupazione -anche se penosa e difficile -del Governo e dei particolari organi competenti, illuminare l'opinione pubblica e sfatare le leggende con

250 1 Vedi D. 217. 2 Vedi D. 209, nota IO.

appropriati discorsi, articoli, cinematografie, divulgazioni radio ecc. Che sarebbe improvvido e pericoloso lasciare che si diffondano, in buona o mala fede, ed abbarbichino invenzioni o arbitrarie valutazioni della situazione internazionale nell'animo italiano: è questa «realtà di fatto», basata su errori, che l'autorità pubblica, meglio informata e per la difesa del generale interesse nostro, ha certo il proposito di demolire, richiamando con prudente ma progressiva azione la maggioranza sulla via della verità e del dovere.

Non v'è dubbio che alcuni Stati ostacolano la soluzione -non dico ideale, ma relativamente equa -di alcuni nostri importanti problemi. È appunto per questo che io opinavo fosse utile -ed essenzialmente nel nostro interesse -forzare le porte dell'Unione Occidentale, per avere la possibilità di affermare e difendere presenti, direttamente, a viso aperto, in condizioni di conquistata parità, i nostri vitali diritti. È d'altronde proprio per tale ragione che specialmente gli inglesi ci hanno avversato e ci avversano in questo proposito, perché vogliono risolvere i problemi che ci concernono, e che in parte derivano dal trattato di pace, in nostra assenza, in condizioni d'inferiorità per noi, e quindi quanto è possibile, a nostro svantaggio e a loro profitto. So come sia arduo superare questi ostacoli. Mi permetto perciò soltanto di richiamare l'attenzione sull'opportunità di uno sforzo comune, costante, concordato, ostinato a Parigi, Londra, Bruxelles, Aja e Washington, con lo scopo preciso di conseguire da un lato quella parità di posizione che ci è indispensabile, e che la dignità nostra c'impone di esigere, e dall'altro quella relativa sicurezza di difesa militare della quale vivono gli Stati che non si riducono alla supina rassegnazione o si risolvono a subire i capricci del caso.

E qui sorge, naturalmente, il problema massimo delle intese tecniche e degli armamenti.

Come ho scritto più volte se la guerra dovesse -e qui si teme sempre meno scoppiare ancora quest'anno, non si sarebbe in grado di ripararvi che con mezzi di fortuna. Non si potrebbero improvvisare né convenzioni, né (e tantomeno) apprestamenti adeguati. D'altronde perfino i paesi dell'Unione Occidentale (benché sperino in una linea Alpi-Reno) temono che gli anglo-americani, oltre alla difesa delle Isole britanniche, si limiterebbero per necessità -e ripeto sempre in caso di guerra immediata -a quella della Spagna, del Nord Africa, delle nostre isole, e della Grecia, Turchia, Iran, se possibile. Ma questa supposta situazione catastrofica 1948 (in attesa degli effetti delle bombe atomiche, qui tuttavia considerati decisivi) per la quale non avremmo che rimedi empirici -e tra essi anche una temporanea e precaria neutralità, almeno giuridica -non è per nulla quella che vorremmo costruire insieme agli Stati Uniti e alle nazioni dell'Europa occidentale, con una serie di intese politiche e militari che ci permettessero di considerare ragionevolmente organizzata la nostra difesa insieme alla sicurezza dei nostri vicini, sia con sufficienti apprestamenti, ai confini e nel territorio, sia con un ombrello aereo nostro ed alleato -di adeguata ampiezza ed efficienza.

È chiaro che per questo occorre una revisione di fatto (cioè una quasi totale dimenticanza) del trattato. Ma questo è evidentemente possibile soltanto in condizione di alleati, quando non solo si collabora a mettere una pietra sul passato, ma si formano e consolidano grossi e dominanti interessi comuni nel presente e per l'avvenire.

L'Italia non deve aderire «a cuor leggero»; l'Italia deve calcolare con molta cura quali sono le vie vere e praticabili della sua salvaguardia e mettervisi poi decisamente in cammino.

Il ragionamento che legandosi -con gli occhi ben aperti e con garanzie ed aiuti effettivi, tipo Turchia -ad uno schieramento difensivo «potrebbe esporla maggiormente», mi pare sia superato dalle considerazioni che V.E. condivide, e che si riassumono in questa frase 1 :

«... nella impossibilità di difendere una teorica posizione di neutralità diverremmo ben presto teatro di una guerra cui parteciperemmo in condizioni militarmente e diplomaticamente menomate».

La questione dello stato di belligeranza che subito si produrrebbe tra la guarnigione del Territorio Libero di Trieste e Tito, è anch'essa indubbiamente determinante, poiché l'azione si svolgerebbe in casa nostra e coinvolgerebbe i nostri fratelli. È una delle tante da discutere nelle conferenze occidentali, pubbliche o segrete. Qui l 'ho già esposta ed illustrata.

Ieri, appena ricevute le istruzioni di V.E., ho parlato della questione dell'Unione Occidentale con Lovett. Egli, mi ha confermato quanto già ebbe a dirmi più volte Hickerson e che riferii coi miei rapporti n. 1568 del 27 aprile3 e 1735 dell'8 maggio scorso4 .

È chiaro che -salvo un non aspettato scoppio di ostilità quest'anno -le grandi decisioni in America non saranno prese che nel 1949 e probabilmente da un presidente, da un Governo, e da un Congresso repubblicani. A questi tre elementi dobbiamo anticipare la nostra solidarietà internazionale e lo stiamo discretamente facendo pur mantenendo le migliori relazioni con l'attuale Amministrazione, che del resto in parecchie occasioni c'è stata amica e propizia.

Quello che ora si prepara in Europa -cui dovremmo tentare di associarci, se riteniamo il momento maturo -è il piano difensivo e la elencazione e definizione del complesso dei mezzi di cui ciascun paese ha bisogno. Questi mezzi non cominceranno a giungere-in misura adeguata-che verso la metà dell'anno prossimo, dopo gli stanziamenti del Congresso.

Se non intendiamo avvicinarci ora, con qualche insistenza, ai Cinque, cominciando da Parigi -specie dopo aver con nostro sacrificio accomodate con i francesi alcune penose faccende -possiamo studiare per nostro conto, nel quadro di un ipotetico piano generale, le linee maestre e le necessità pratiche della nostra difesa. A mio parere, naturalmente, sarebbe meglio farsi sentire presto a Parigi, Bruxelles e Londra. Qui certo non intendono ostacolarci; anzi -specie in settembre-ottobre, sotto le elezioni -ci favorirebbero più efficacemente contro eventuali resistenze, sotto il pungolo, che possiamo acuminare, di una parte notevole dell'opinione pubblica italo-americana cui il problema nostro non sfugge.

4 Non pubblicato.

A me pare quindi che, data la non imminenza di un conflitto (secondo le più autorevoli opinioni qui e in Europa), date le assicurazioni ripetute agli U.S.A. recentemente (e che potrebbero utilmente essere accennate a Duno quando tornerà a Roma), ci converrebbe assumere a un dipresso questo atteggiamento che del resto è implicito nelle istruzioni di V.E., date con il telespresso 1124/c. del 14 luglio.

-con appropriate conversazioni confidenziali togliere ai Cinque, francesi e inglesi specialmente, l 'uso a Washington del pretesto che il Governo italiano non voglia (imbarazzo politico) e non possa (per opposizione nel Parlamento e nell'opinione pubblica) eventualmente aderire all'Unione Occidentale per completarne l'efficienza a fini difensivi e di pace e non elemosinando compensi ma esigendo pari trattamento;

-contemporaneamente si può qui esercitare una notevole pressione crescente sul Governo perché tenga in dovuto conto gli interessi -anche militari -italiani, e non solo a parole, facendo notare che, mentre da un lato gli U.S.A. desiderano ardentemente il nostro schieramento al loro fianco, dall'altro pencolano spesso quando si tratta di assicurare la posizione nostra tra gli alleati occidentali in parte restii;

-ma l'opera più importante è forse più ardua è certo quella d'illuminare via via e sempre più l'opinione pubblica in Italia, in modo che essa non sia sorpresa, ma progressivamente preparata ad un avvenimento che può divenire ineluttabile, nell'intento di provvedere alla sicurezza nazionale.

Ai nostri giorni tormentati, è sana politica, per gli individui, le collettività e gli Stati, avere almeno una polizza di assicurazione, quanto è possibile adeguata, con una compagnia responsabile e solvibile. Il popolo italiano -debitamente istruito non può negare la verità di questo suo fondamentale interesse.

Continua, d'altronde, ad essere mio parere che per ottenere giustizia, considerazione, e i vantaggi morali e materiali che ci spettano, conviene essere presenti e difendere a faccia a faccia il nostro diritto. L'argomento che l'Italia è un elemento necessario nell'organizzazione per la sicurezza dell'Occidente, e come tale deve essere consultata e tenuta al corrente di quanto avviene, per il comune vantaggio, vale in Europa (e tanto più) quanto ha valso qui quando l'ho adoperato.

Per concludere, mi sembra che il momento delle conversazioni confidenziali approfondite con Parigi e Londra si avvicini, e non come gesto di sommissione, ma di libera decisione per la salvaguardia dei nostri interessi per i quali non v'è un minimo di adeguata assicurazione -nel periodo storico che attraversiamo -senza un solido appiglio al gruppo atlantico da cui gran parte della nostra stessa esistenza dipende.

PS. 29 luglio. In questi giorni si sviluppa il nuovo tentativo di pacificazione da parte delle nazioni occidentali e si inizia col passo a tre presso Molotov.

Si allarga la materia di discussione da Berlino alla Germania e pare all'Austria. Secondo notizie da Londra anche Trieste potrebbe essere discussa, mentre sarebbe automatica la competenza dei Quattro a deliberare sulla sorte delle colonie.

Londra e Parigi, cercando di adunare una nuova conferenza a quattro, tendono a trovare --dopo una così aspra crisi -un terreno comune e delle soluzioni compromissorie dei problemi in contrasto. Anche Washington vorrebbe assicurare almeno un modus vivendi provvisorio, in attesa di tempi più propizi per maggiori e più profonde intese, o per allontanare almeno il più possibile l'eventualità di un conflitto.

Se la possibilità della conferenza, di un lavoro concreto, e di accordi, anche temporanei, si dimostrasse reale e vitale, il problema della nostra posizione politica e della nostra difesa militare diverrebbe -con generale soddisfazione -meno urgente e gravoso. Se, disgraziatamente, invece, il nuovo tentativo di ragionevole assetto europeo dovesse fallire -perché i contrasti sono più importanti e imperiosi dei contingenti artifici diplomatici -la situazione potrebbe divenire anche più tesa e pericolosa, ed indicarci la necessità di metterei al riparo, per quanto è possibile, il più presto possibile.

Tra pochi giorni si potrà molto meglio giudicare sulla base di dati attendibili. Intanto, con voti di successo per lo sforzo pacificatore, (per quanto i viaggi espiatori a Mosca siano quasi sempre stati nefasti), non dimentichiamo quello che parecchie recenti esperienze ci hanno insegnato. Gli accordi effimeri e superficiali -comunque architettati -non rimediano a divergenze profonde che cercano e trovano poi nel tempo il naturale sfogo.

Auguriamoci il meglio, ma affrettiamoci a procurarci il massimo di sicurezza per l'avvenire5 .

250 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 620.

251

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 5284/989. Trieste, 27 luglio 1948 (per. il 28).

Con il telegramma 027 del 23 aprile 1 , all'indomani della dichiarazione tripartita e delle elezioni del 18 aprile, il ministro Guidotti riassumeva le impressioni da lui raccolte, negli ambienti alleati, circa i futuri sviluppi della questione triestina, concludendo come fosse da ritenersi che la questione stessa, nella sostanza se non nell'apparenza, era entrata in una fase «inattiva» di durata imprevidibile.

Sembra ora opportuno fare nuovamente il punto della situazione, alla luce dei fatti nuovi intervenuti e degli indizi e orientamenti che si vanno delineando negli atteggiamenti di questo Governo militare.

La scomunica di Tito ha posto fine a quell' «assedio freddo», cui la guarnigione di Trieste, non dissimilmente da quelle di Vienna e di Berlino, è stata sottoposta dopo l'evacuazione delle truppe anglo-americane dall'Italia. Dopo mesi di tensione, di voci di ammassamenti jugoslavi alle frontiere dell'indifendibile territorio, dopo

L. personale del 29 luglio, non pubblicata. 251 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 605.

aver temuto che un moto insurrezionale in Italia potesse tagliare le comunicazioni o la ritirata verso le zone occupate dell'Austria, il Comando alleato di Trieste ha tratto dagli avvenimenti jugoslavi il senso di una riconquistata sicurezza. Fin dal primo momento si è avuto l'impressione che, qualunque fosse il significato del conflitto fra Belgrado e Mosca, esso non avrebbe potuto non produrre un alleggerimento della situazione locale. Difatti, un notevole ottimismo si è immediatamente diffuso negli ambienti militari, che pure non avevano celato, a suo tempo, le loro preoccupazioni.

È forse troppo presto per affermare che gli avvenimenti del luglio scorso hanno rovesciato la funzione di Trieste nella strategia alleata. Certo essi costituiscono, nella situazione locale, un tourning point, le cui conseguenze meritano di essere valutate, almeno nel loro complesso. Innanzitutto tali avvenimenti hanno determinato molto più un aumento che una diminuzione dell'interesse alleato per Trieste. La città non rappresenta più, nella catena delle posizioni alleate in Europa, un punto da difendere

o da neutralizzare: la città stessa potrebbe divenire una base economica e strategica di primo ordine per una penetrazione in Jugoslavia. Se la tensione fra Belgrado e Mosca si approfondirà, portando Belgrado a ricercare necessariamente l'aiuto americano, è evidente l'importanza che Trieste verrebbe ad acquistare sia per la possibilità di comunicazioni che essa offre verso l'hinterland jugoslavo, sia per la sua stessa potenzialità industriale. E poiché questa possibilità di rifornimento e di penetrazione nella penisola balcanica è interesse anglo-americano di tale urgenza e grandezza che non può essere affidato, in via vicaria, all'Italia, è prevedibile che la restituzione della Zona A ne venga naturalmente sospesa.

Parimenti, è da pensare che gli Alleati, preoccupati di non scuotere la situazione interna del regime di Tito non intendano proporre, finché duri l'attuale stato di cose, il ritorno della Zona B alla sovranità italiana. La questione del Territorio Libero è pertanto destinata ad entrare in una nuova fase di quiescenza non solo di fatto, ma anche diplomatica. E, in effetti, la necessità della permanenza di un'amministrazione diretta anglo-americana nel porto di Trieste -e quindi delle truppe alleate -non è stata mai, per le potenze occidentali, così forte come oggi. Dal canto loro, gli stessi jugoslavi non dovrebbe ritenere, al momento attuale, così importante ed urgente il ritiro delle truppe alleate dalla città, scopo il cui raggiungimento era stato l'obiettivo principale della loro politica nei mesi scorsi. Se quindi, per ipotesi, la Russia aderisse oggi incondizionatamente alla restituzione proposta con la nota tripartita del 20 marzo2 , è probabile che sarebbero proprio gli Alleati a cercar remore e pretesti per un rinvio a tempo indeterminato.

Come anche prematuro, nella presente situazione, appare l'interesse degli angloamericani a un intesa italo-jugoslava sulla base della spartizione del Territorio Libero. Non si può escludere che una tale intesa possa rientrare, in un secondo tempo e quando la situazione si sia meglio chiarita, nei loro piani. Per il momento, almeno a giudicare dagli atteggiamenti degli organi alleati locali -che hanno, è vero, compiti principalmente esecutivi, ma che sono tenuti, sia pure con un certo

369 ritardo, a seguire la «linea» dei loro Governi ~dovrebbe ritenersi che una simile eventualità non sia qui giudicata attuale.

La presente forma di Governo della zona è indubbiamente quella che meglio risponde, anche per la sua elasticità e per la diretta ingerenza degli Alleati nella pubblica cosa, agli interessi anglo-americani in questo settore.

Alla coincidenza dei nostri interessi e di quelli alleati nella questione di Trieste, che si era verificata nel marzo scorso, gli avvenimenti dell'ultimo mese hanno sostituito una nuova situazione, assai più complessa, che si va delineando di giorno in giorno e che occorre seguire attentamente. Essa è destinata a produrre le sue conseguenze anche nella politica interna triestina.

Si noti intanto che l'evoluzione delle forze comuniste in senso antijugoslavo dovrebbe allontanare, ancor meglio che in passato, la loro partecipazione alla vita pubblica, come l'atteggiamento alleato nella questione delle nomine alle cariche dell'amministrazione locale ha finito per mostrare. D'altra parte, per quanto concerne l'economia triestina, mentre nel marzo scorso gli accordi itala-alleati erano la registrazione di un certo senso di disinteresse per la vita civile della città, i cui oneri venivano affidati, in maniera più o meno diretta, al Governo italiano, è chiaro che una simile politica aderisce, ormai, assai meno ai nuovi compiti dell'occupante, per il quale Trieste dovrebbe diventare una «base» per possibili sviluppi.

Ciò spiega alcuni recenti orientamenti del Governo militare alleato venuti in luce in occasione delle discussioni per l'applicazione dell'E.R.P. a Trieste; ciò spiega anche l'intenzione alleata di creare in Trieste un «territorio indipendente economicamente, in modo che, se anche restituito all'Italia, esso abbia una struttura propria»: intenzione questa che, se pure smentita a parole, trova tuttavia una certa conferma nei fatti.

250 5 Per la risposta vedi D. 284, nota l. Tarchiani trasmise il presente documento a De Gasperi con

251 2 Jbid., D. 468.

252

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l o112-1 o156-1 o175/61-62-63. New York, 28 luglio 1948, ore 20,40 (per. ore 9,30 del 29) 1•

Delegazione jugoslava ha presentato oggi a presidente Consiglio sicurezza lunga violenta protesta per amministrazione da parte Alleati della zona anglo-americana territorio Trieste. Richiamandosi articoli trattato pace, annessi 6° e 7°, e decisioni Conferenza ministri esteri Mosca 1947, Governo jugoslavo protesta formalmente per accordi conclusi 9 marzo 1948 tra Governo italiano e Comando militare alleato relativi regolamenti finanziari, valutari, doganali, postali che ~contrariamente impegni presi da Alleati tutelare indipendenza politica ed economica del territorio ~hanno non solo pregiudicato tale indipendenza ma addirittura soggiogato zona anglo-americana ali 'Italia.

Documento cita commentandoli numerosi articoli nonché Accordi 6 maggio 1948 sempre tra Governo italiano e Comando militare e disposizioni della Direzione generale valute del 24 aprile scorso. Nota termina dicendo che Consiglio sicurezza deve:

l) dichiarare tali accordi violazione degli impegni presi con trattato di pace e annessi; 2) prendere misure adeguate per far annullare accordi predetti considerandoli quale minaccia per la pace e sicurezza internazionale; 3) chiedere ai Governi americano e inglese assicurazioni circa futuro rispetto impegni assunti. Delegazione americana dettomi invierà testo ... 2 per istruzioni. Trasmetterò testo integrale non appena sarà reso pubblico.

Nel testo ufficiale della nota jugoslava al Consiglio sicurezza distribuita oggi3 rilevo seguente ulteriore dettaglio: nella parte conclusiva Governo Belgrado afferma non poter fare a meno associare violazioni segnalate alla ben nota proposta delle tre potenze di incorporare il Territorio Libero Trieste all'Italia, e riconosce in queste violazioni il piano dei Governi americano e inglese imporre fait accompli al Consiglio sicurezza ed altri firmatari trattato di pace.

Il punto numero 2 delle conclusioni devesi leggere: prenderà misure che saranno ritenute necessarie e sufficienti per novelli accordi rispettivamente conclusi tra zona anglo-americana e Italia perché da tali accordi si è creata una situazione suscettibile di mettere in pericolo mantenimento pace e sicurezza internazionale. Nota ~ugoslava al Consiglio sicurezza è stata pubblicata e distribuita questo pomeriggio . Nota è accompagnata da lettera del delegato permanente jugoslavo, signor Joze Viltàn con la quale chiede che questione venga inserita all'ordine del giorno e che rappresentante jugoslavo sia autorizzato partecipare discussione allorquando questione verrà dibattuta in Consiglio sicurezza.

Trasmetto testo con aereo odierno4 .

252 1 La seconda parte del telegramma, partita alle ore 20,30 del 29 luglio, è pervenuta alle ore 14 del 30.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 43/015141 . Roma, 28 luglio 1948.

Nell'imminenza della partenza della delegazione che a Mosca dovrà trattare un accordo commerciale con l'U.R.S.S. è opportuno che V.E. abbia, per sua eventuale norma di linguaggio, notizia degli scambi di vedute che si sono avuti con questa ambasciata d'America la quale non ha sollevato obiezioni alla partenza della delegazione in parola.

3 Il 29.

4 Non pubblicato. Per il seguito della questione vedi D. 281.

Occorre premettere che il primo contatto fra l'ambasciatore dell'U.R.S.S. a Roma e questo Ministero risale al mese di gennaio2 , allorché la situazione internazionale era ben diversa da quella odierna. Inoltre, nel periodo preelettorale, come le è noto, il Governo sovietico ha ripetutamente giocata la carta dell'asserita mancanza di volontà del Governo italiano di riprendere normali relazioni economiche coi soviet, diversamente da quanto hanno fatto altri paesi, tra i quali l'Inghilterra e la Francia, dell'ovest europeo. Fu appunto per eliminare le conseguenze di simili affermazioni che il presidente del Consiglio ed io stesso dimostrammo ripetutamente essere !ungi dalla volontà italiana di non iniziare tali conversazioni e dipendere anzi il rinvio delle medesime dal desiderio sovietico di discutere fin d'ora il problema delle riparazioni.

Perciò, quando fu raggiunta un'intesa al riguardo di quest'ultima questione e cioè proprio alla vigilia del 18 aprile3 , l 'invio della delegazione venne stabilito, salvo il rinvio necessario per la scelta del suo presidente, dovuto alla necessità di attendere la formazione del nuovo Governo.

Occorre anche notare -e questo valga in linea generale sull'insieme dei rapporti economici italiani coi paesi dell'est europeo -che le relazioni con tali mercati sono per noi insopprimibili, anche a prescindere dal fatto che la situazione geografica italiana ha sempre reso necessario un ampio respiro politico in quella direzione. Anche se oggi molti dei prodotti alimentari ed agricoli per noi indispensabili ci provengono o ci proverranno dal piano E.R.P., sta di fatto che le maggiori tra le industrie italiane, specie del settore metallurgico meccanico, non possono esportare se non su quei mercati. Basta pensare alle costruzioni navali, ai trattori e in genere a quel complesso di lavoro che dà vita in Italia a centinaia di migliaia di operai per rendersi conto che di tali mercati, insostituibili, non potremmo fare astrazione.

Un solo esempio mostrerà le conseguenze di carattere economico e politico interno, che un nostro rifiuto a trattare con Mosca potrebbe avere. Negli ultimi mesi, la delegazione commerciale sovietica ha concluso dei contratti preliminari con cantieri italiani per il valore di circa l 00 milioni di dollari. Quali sarebbero le conseguenze di un rifiuto governativo a riconoscere queste ordinazioni, tanto dal punto di vista della disoccupazione della nostra industria navale quanto dello sfruttamento in sede di politica interna che potrebbe essere tentato da elementi estremisti?

Ciò premesso in linea generale, si osserva quanto segue:

l) abbiamo convinto i sovietici che non si debba procedere né al pagamento né alla messa in cantiere di commesse previste dalle riparazioni sulla produzione corrente se non allo scadere del biennio di moratoria previsto dal trattato. Ciò, come dice quest'ultimo, «per non aggravare l'opera di ricostruzione italiana né i pesi sostenuti dalle nazioni alleate ed associate a tale riguardo». Peraltro, dovendosi prevedere, come già con la Polonia, al lato dell'accordo ordinario annuale un accordo pluriennale per commesse speciali, è chiaro che prima del biennio la questione dell'effettivo pagamento delle riparazioni potrà non entrare in gioco, mentre allo scadere di quello, potrà benissimo consentirsi che la parte relativa al lavoro venga corrisposta in lire a carico del Tesoro. In quanto -e su ciò richiamo l'attenzione particolare di V.E. -le riparazioni prevedono che le materie prime

253 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 97. 3 Jbid., D. 574.

372 per eseguire le commesse vengano consegnate ad opera degli Stati beneficiari: il che evidentemente risolve le due maggiori difficoltà contro le quali sta lottando con gravi pericoli sociali l'industria italiana, e cioè da un lato la mancanza di ordinazioni, e dall'altro la mancanza delle materie prime. Né si dimentichi infine che l'assicurarsi per cinque anni un mercato straniero per tali ordinativi significa praticamente penetrare forse definitivamente, in concorrenza con le produzioni dei paesi terzi su quel mercato stesso. Nessuna preoccupazione peraltro dovrebbe sorgere per le materie prime in relazione al piano E.R.P., appunto in seguito ai precisi disposti sopracitati del trattato di pace che ne prescrivono la consegna da parte dei paesi beneficiari. È evidente perciò che se noi ci rifiutassimo di parlare sul futuro programma di riparazioni connesse con le commesse correnti, perderemmo o la possibilità di assicurarci quest'ultime o le materie prime per eseguirle, o tutt'e due.

2) Un'altra fonte di riparazioni, anzi -a stare alla lettera del trattato -addirittura la prima -è quella rappresentata dai beni italiani in Bulgaria, Romania ed Ungheria. Ora, data la politica di nazionalizzazione ad oltranza seguita da quei paesi, questi beni vanno rapidamente scomparendo senza che sia data speranza all'Italia di poter ottenere alcunché di sostanziale quale indennizzo relativo. È perciò da considerare notevole vantaggio quello che abbiamo conseguito nella fase preliminare delle trattative, di ammettere cioè che prima di ogni altra forma di riparazioni, delle quali sia necessario stabilire un piano di massima per l'avvenire, il Governo sovietico riceva in pagamento i suddetti nostri beni. Questi, che per noi purtroppo non rappresentano più alcun valore pratico, andranno a diffalcare la somma di l 00 milioni di dollari che in qualità di riparazioni dovremmo in totale ai sovietici.

Circa la valutazione di taluni beni, sulla quale non mancheranno di sorgere intralci, siamo d'accordo con la rappresentanza americana in Roma di invocare, a suo tempo, la decisione finale dei quattro ambasciatori come previsto dal trattato, o per sanzionare quelle intese che potrebbero essere raggiunte direttamente a Mosca fra le parti tanto sul quantum quanto sul metodo per determinarlo, o in mancanza di esse per sostituirvisi.

3) Quanto infine al trattato di commercio e navigazione, trattato che, per la sua specifica materia, ha carattere essenzialmente tecnico, la soluzione più logica appare quella di ripetere il contenuto del trattato del 1924, decaduto per causa della guerra, eventualmente aggiornandone e perfezionandone le disposizioni che apparisse opportuno adeguare alle presenti circostanze.

Se il Governo sovietico ci richiedesse di concludere un trattato di troppo vasta portata, col pretesto di modellarlo su quello firmato lo scorso anno con gli Stati Uniti d'America, ci sembra che un limite delle circostanze [sic], in quanto come è noto, l'accordo con gli Stati Uniti si basa su pieni criteri di reciprocità, mentre è da ritenere impossibile che da parte sovietica si conceda a cittadini e ad enti italiani quel trattamento liberale che per avventura essi potrebbero richiederci qualora volessero conseguire le stesse facilitazioni che il Governo americano ha ottenuto con l'Accordo Lombardo4 .

Da tutto quanto precede confido che V.E. abbia ogni utile elemento per controbattere o i rilievi o quelle osservazioni che per avventura potessero essere fatti od avanzati in codesti ambienti, anche parlamentari e giornalistici. È appena il caso di aggiungere che la questione delle materie prime che giungeranno in Italia attraverso il piano E.R.P. verrà tenuta costantemente presente dalla nostra delegazione la quale ha istruzioni di subordinare l'esecuzione delle commesse, come sopra è detto, al conseguimento delle materie prime relative o da parte dell'U.R.S.S. medesima o da parte degli Stati a lei vicini. Se per avventura si temesse l'invio da parte nostra di materiale bellico, questo, in quanto classificato come tale, sarà certamente escluso dalla nostra delegazione, la quale potrà eventualmente richiamarsi alle limitazioni e proibizioni imposteci dal trattato di pace. Se poi si trattasse di altre commesse o forniture suscettibili di trasformazioni o di uso bellico, tutto sta nella estensione che di tale concetto potrà essere dato di volta in volta, in quanto è evidente che un camion o un trattore o una nave possono essere indifferentemente adoperati tanto per usi di guerra quanto per usi di pace. Ma qualunque osservazione che dovesse essere elevata a tale riguardo potrà essere controbattuta dimostrando che l'industria italiana attraversa un periodo di crisi gravissima: che il problema della disoccupazione, aumentato annualmente dal supero delle nascite e dalla chiusura dell'emigrazione, è tale da preoccupare al massimo il Governo della Repubblica; e che quest'ultimo ritiene suo stretto dovere assicurare, nell'interesse dell'Italia come della ricostruzione europea, il massimo possibile d'impiego della mano d'opera, il che è per noi ottenibile soltanto sfruttando quelle possibilità che i mercati di esportazione dei paesi dell'est europeo presentano, poiché non ci sarebbe certo possibile riversare i prodotti della nostra industria metalmeccanica nei paesi aderenti al piano E.R.P.

Infine, V.E. potrà assicurare che tanto la delegazione a Mosca quanto questo Ministero non mancheranno di tenere informate le rappresentanze amencane a Mosca ed a Roma circa lo svolgimento e l'andamento dei negoziati5 .

252 2 Gruppo indecifrabile.

253 1 Diretto per conoscenza anche alle ambasciate a Londra e Parigi.

253 4 Vedi serie decima. vol. VI, DD. 25, 34, 324 e 326.

254

IL CAPO DELL'UFFICIO COLONIE E CONFINI, CASTELLANI PASTORIS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Roma, 28 luglio 1948.

Conformemente alle istruzioni ricevute, ho conferito con l'ambasciatore di Soragna circa quanto proposto dall'ambasciatore Tarchiani con suo telegramma 24 corrente n. 5771 , e gli ho illustrato l'attuale situazione del problema delle colonie italiane, il punto di vista del Governo italiano ecc.

L'ambasciatore di Soragna ha convenuto sulla opportunità di interessare la Santa Sede per vedere se era possibile che questa pregasse i cardinali di Chicago e di New York a far passi riservatissimi presso il presidente Truman per appoggiare la nostra tesi.

Il marchese di Soragna mi ha telefonato oggi di aver conferito al riguardo con mons. Montini che ha trovato ben disposto e bene orientato e che gli ha promesso che avrebbe riferito la nostra richiesta «in alto loco»; il marchese di Soragna spera di avere una risposta entro venerdì 2 .

253 5 Per la risposta da Parigi vedi D. 297.

254 1 Con il quale Tarchiani aveva riferito sui passi svolti sia presso il Governo statunitense che attraverso associazioni e personalità italiane e avanzava la proposta di un intervento del Vaticano.

255

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 925/13634/2821. Parigi, 28 luglio 1948 1•

Mi riferisco al suo dispaccio n. 1124/c. del 14 corrente2 .

Vorrei anzitutto osservare come, nell'analizzare le origini e gli scopi del Patto occidentale, mi sembra sia stato passato sotto silenzio il vero movente del Patto, gli altri enumerati essendo piuttosto delle etichette: ottenere la garanzia americana e il massimo possibile aiuto americano per il riarmo.

Il Patto occidentale ha la sua origine in una lettera inviata da Bidault a Marshall -di cui Bidault accennò a V.E. nella conversazione che ebbe con lei nell'ottobre scorso3 --colla quale attirava l'attenzione del ministro degli esteri americano sul fatto che il piano Marshall di ricostruzione dell'Europa occidentale, se limitato al piano economico non poteva raggiungere il suo scopo: esso non eliminava un elemento psicologico distruttivo, l'incertezza dell'avvenire di fronte alla minaccia di un'aggressione russa: occorreva quindi che esso fosse completato con una garanzia americana contro l'aggressione russa ed un aiuto specifico americano per mettere le forze armate europee, al più presto, in grado di offrire una certa resistenza. Bidault aveva, naturalmente, in vista soprattutto la garanzia per la Francia, ed il riarmo per la Francia. La risposta americana, ne ignoro i dettagli e le fasi, è stata all'incirca quella che essa era stata sul piano economico: noi non consentiamo a garantire e ad aiutare uno Stato europeo singolo: possiamo aiutare soltanto un complesso di Stati, e, comunque, solo integrare quello che risulterà insufficiente dopo che questo complesso di Stati avrà fatto il massimo sforzo per provvedere da sè alla sua difesa. Fate

2 Vedi D. 217.

3 Rectius: si riferisce all'incontro avuto da Sforza con Bidault il 22 settembre a Parigi in occasione della cerimonia di chiusura della Conferenza dei Sedici, sul quale non vi sono documenti.

375 prima il massimo possibile per riarmarvi e difendervi insieme: quando lo avrete fatto vedremo cosa possiamo e dobbiamo fare noi.

Ritengo necessario insistere su questo aspetto essenziale del Patto occidentale, poiché se noi continuiamo ad esaminarlo soltanto, o anche solo principalmente come la nostra adesione ad un trattato di alleanza con Francia ed Inghilterra, si viene a falsare tutto il problema. Dalla constatazione di questo stato di fatto derivano per noi due conseguenze.

l) Anche noi abbiamo chiesto, in passato, anche recentissimo, agli americani garanzia (ed abbiamo avuta la dichiarazione di Truman)4 ed armamenti, soprattutto per ragioni di carattere interno e, a quanto mi risulta, abbiamo intenzione di continuare: ora sappiamo già che se vogliamo maggiore garanzia e maggiori aiuti di armamenti molto difficilmente questi saranno dati a noi soli ed isolati, ma che, per averli, dovremo passare attraverso il Patto occidentale.

2) Che il Patto occidentale e la sua estensione sono strettamente legati al piano Marshall: che in realtà l'uno non è concepibile senza l'altro -e questo i russi lo hanno capito benissimo fin dal principio: per conseguenza è pura illusione il pensare che noi possiamo collaborare con il resto dell'Europa sul piano economico, e soltanto su quello, facendo bande à part sui piano politico e militare: meno ancora gettando dei ponti, anche se solo simbolici e sentimentali, con la parte avversa.

Noi diciamo che apparteniamo al gruppo di nazioni di civiltà occidentale, che vogliamo restarci, che la nostra lotta elettorale è appunto la difesa, sul piano interno, dei valori della civiltà occidentale. Tutto questo è esattissimo: ma la difesa di questi valori fatta soltanto sul piano interno, non è sufficiente. Noi potremo forse un giorno, con una politica interna intelligente e fortunata arrivare anche a ridurre i comunisti nostrani al cinque o sei per cento: questo non toglie però che il giorno in cui l'esercito rosso fosse entrato in Italia questo cinque o sei per cento prenderebbe saldamente in mano le redini del Governo e ci penserebbe lui a metterei sulla strada della civiltà orientale. Ricordo che, ad eccezione, forse, della Jugoslavia, non c'è un paese della zona orientale in cui i comunisti sarebbero arrivati dove sono oggi se l'esercito rosso non avesse cominciato col metterli d'autorità in certi posti chiave e non li avesse aiutati, con tutto il suo peso, spesso in forma brutale, nei successivi stadi per la conquista del potere. Le rivoluzioni dell'Europa orientale non sono state in realtà che delle rivoluzioni imposte da un esercito straniero di occupazione.

Per noi il restare nella civiltà occidentale, il poter mantenere i valori a cui teniamo, non è soltanto una questione interna: se non fosse che questo poco ci sarebbe da temere. Potremo mantenerli solo se saremo in grado di impedire all'esercito rosso di entrare nel nostro paese e di stabilircisi: siccome fare questo colle nostre sole forze è impossibile, è evidente che potremo riuscire soltanto colle forze combinate di tutto l'Occidente europeo e degli Stati Uniti.

Mi sembra sia ormai chiaro a chi lo vuoi vedere che la Russia mira ad estendere la sua dominazione a tutta l 'Europa, almeno come prima tappa: che lo voglia prevalentemente per biologico imperialismo russo, come in fondo penso io, o che

376 lo voglia prevalentemente per ideologia comunista, come pensano altri, è perfettamente indifferente: il risultato è lo stesso. Il giorno in cui il Governo italiano -e oggi, dopo l'elezioni si deve aggiungere la grande maggioranza de li'opinione pubblica italiana -ha dichiarato di voler restare fedele a certi determinati valori, esso ha con questo stesso, virtualmente, dichiarata guerra alla Russia, e la Russia a noi: che la Russia in questi ultimi tempi ci faccia delle piccole amabilità non cambia in nulla alla sostanza della cosa: è tattica morfinizzatrice: sono i trattati di non aggressione di Hitler. È bene riconoscere questo fatto e trame tutte le conseguenze che sono necessarie sia sul piano interno che sul piano estero: il non farlo non può portarci che a dei brutti e dolorosi risvegli. Una politica colla Russia, nel vero senso della parola, la si potrà fare solo il giorno in cui la Russia si sarà convinta che il mondo occidentale costituisce una forza capace di difendersi: e questo giorno è ancora molto lontano.

È giustissimo e doveroso quindi avvertire l'America di fare attenzione, di non provocare inutilmente la Russia, di non scatenare essa il conflitto; noto en passant che questo lo fanno i francesi e gli inglesi per lo meno assai più di noi. Ma questo non significa che non ci si debba preparare a difenderci contro l'aggressione, e prepararci con tutti i mezzi, interni ed esterni, individuali e collettivi; il non farlo per paura delle conseguenze è appeasement della peggiore sorte: e francamente non riesco a capire perché l'appeasement dovesse essere considerato come un tradimento della causa della civiltà quando si trattava de li'Italia di Musso lini o della Germania di Hitler, mentre debba essere considerato saggezza diplomatica o indice di mentalità illuminata quando si tratta della Russia di Stalin che non differisce, se non in peggio, dagli altri due esempi.

Il mio pensiero sulla neutralità l'ho già espresso nel mio rapporto n. 713/10149/ 2024 del 2 giugno5 e lo mantengo: quanto sopra ho detto mi sembra portare solo un nuovo argomento a favore della tesi della sua impossibilità.

l) Che il paese sia stanco della guerra, vorrei credere; non sarebbe comunque che naturale. Quanto all'esempio della Svezia e della Turchia (osservo, en passant che quest'ultima è passata indenne attraverso una sola bufera, l'ultima, non due: e che ci è passata indenne pure essendo legata ali 'Inghilterra con uno strettissimo patto di alleanza militare) esso tiene poco. I due paesi sono rimasti neutri perché hanno avuto fortuna, non per la loro politica: l'esempio conferma quello che ho già detto, che non è escluso, al cento per cento -ma solo in caso di immediata vittoria americana -che noi riusciamo a restare neutri: può essere una fortuna insperata, non può essere mai una politica. Che questo stato d'animo in Italia ci sia lo so; so anche che esso è alimentato continuamente dai comunisti sia direttamente, sia, soprattutto con l'aiuto dei fellow travellers, più o meno coscienti di esserlo. Esso non deve essere sottovalutato, d'accordo, ma nemmeno sopravalutato. Che cosa esso valga in realtà lo si potrà dire soltanto il giorno in cui sia stato iniziato in Italia un vero lavoro di propaganda per dimostrare che questa politica di neutralità è impossibile e perché: e questa opera di contro propaganda non mi risulta che sia stata fatta,

anzi nemmeno iniziata. E che nulla sia stato fatto in questo senso è grosso motivo di diffidenza nei nostri riguardi.

2) Che noi andiamo incontro a crisi col mondo occidentale, nessuno meglio di me è situato per saperlo. Si tratta soprattutto, adesso, della questione delle colonie: perché di altre questioni grosse e difficilmente solubili non mi pare di vederne. Su questo argomento, comunque, vorrei osservare:

a) che la questione delle colonie è inseparabile dalla questione della nostra politica generale, a causa soprattutto dell'aspetto strategico della questione stessa: che gli ondeggiamenti, le esitazioni della nostra politica estera, nel quadro dei rapporti col mondo occidentale sono per me la ragione principale del fatto che in un anno e mezzo dalla firma del trattato di pace non si è potuto registrare alcun progresso notevole a nostro favore nella questione stessa: che l'unica possibilità che esiste ancora di avere un revirement, specialmente americano, in nostro favore, nei limiti cui esso è possibile, sta appunto in un nostro orientamento deciso, totale, verso le nazioni occidentali;

b) che comunque, anche se alla crisi si dovrà arrivare, questa crisi dopo averla fatta ce la dovremo rimangiare: faremo due fatiche, quella di arrabbiarci e quella di disarrabbiarci. Poiché in un primo luogo l'America -il comune padrone

non ci permetterà di arrabbiarci al di là di un certo limite (mi permetto di ricordare quello che è accaduto nei riguardi della flotta). Inoltre tante questioni nelle quali siamo connessi, in primo luogo il piano Marshall, in cui, giornalmente si può dire, la soluzione di questioni per noi vitali rendono necessaria una comprensione benevola nei nostri riguardi dell'Inghilterra e della Francia, non ci permettono di fare gli offesi al di là di un certo limite di tempo e di manifestazioni.

Per un paese come noi la libertà politica significherebbe la libertà di voltarci dall'altra parte: ora questa libertà per noi non esiste. Non solo per il fatto che essa significherebbe per noi la perdita degli aiuti americani; il voltarci dall'altra parte significa, irrimediabilmente, un cambiamento radicale del nostro regime interno. E non so se e fino a che punto noi siamo pronti ad arrivare a queste conseguenze estreme.

3) Per quanto riguarda la nostra situazione militare attuale siamo tutti d'accordo. Quanto al piano americano è esatto che attualmente, a quanto risulta, esso prevede l'abbandono di tutta l 'Europa, tranne forse la Spagna: ma è un piano fatto e previsto in vista della situazione attuale: si tratta adesso, appunto, di vedere come, con che mezzi ed in quanto tempo si può arrivare ad un piano differente, da cui l'Italia non potrebbe essere assente. Ammetto che la nostra situazione oggi di fronte alla Russia sia tragica (non più di quella della Francia e del Benelux però) ma non vedo perché si debba tendere ad eternizzare questa situazione, e non si faccia invece ogni sforzo di uscirne, se possibile. Se la politica del Patto occidentale dovesse diventare una realtà è evidente che la situazione di tutta l'Europa occidentale, e quindi anche la nostra diventerebbe almeno un po' meno disperata. La situazione è pericolosa oggi -entro certi limiti -e la costituzione del blocco occidentale può all'inizio anche aumentare questo pericolo: ma è una fase necessaria per uscire, un giorno, da questa situazione.

Dati i russi, la loro politica ed i loro sistemi non vedo francamente quale differenza farebbe, nei loro riguardi, che noi facciamo o non facciamo parte del

Patto occidentale. Ammettiamo, per una ipotesi, che i russi si decidano, in un prossimo avvenire, ad iniziare la grande offensiva per la conquista dell'Europa occidentale; tutti i militari sono d'accordo nel dire che essa arriverebbe nel corso di poche settimane fino almeno ai Pirenei (personalmente non credo nemmeno alla fermata ai Pirenei). Specialmente adesso che Tito ha rotto con Mosca è possibile che, noi non facendo parte del Patto occidentale, non siamo compresi nel primo obbiettivo di assalto. Ma completata la conquista dell'Europa crediamo noi davvero che i russi ci lascerebbero in pace col nostro Governo democratico all'occidentale, con libertà di movimento agli agenti americani ed inglesi -ce ne abbiamo tanti, italiani, in tutti i gradi e rami della nostra vita che sarebbe illusorio lo sperare di controllarli -con la nostra stampa che piangerebbe sulla sorte della libertà europee conculcate? Dopo pochi giorni avremmo una visita di Vyshinsky o di chi per lui, per invitare il presidente della Repubblica a nominare un altro Governo, dandoci un paio d'ore di tempo per deciderci. Ci penserebbe poi quest'altro Governo ad allineare l'Italia alla politica russa, e possiamo essere sicuri che i russi non ci permetterebbero nemmeno il soave doppio gioco di Pétain o di Lavai. Cosa avremmo dunque realmente guadagnato? Al massimo due o tre settimane di tempo per permettere agli italiani più preveggenti di mettersi al sicuro al di fuori del nostro continente.

4) Quanto al fatto che la nostra preoccupazione di salvaguardare il paese da nuove calamità, o per essere più espliciti, tutta la nostra politica estera, venga considerata dai Governi occidentali come un atteggiamento equivoco mirante a riservarci libertà d'azione per una possibile politica di altalena fra i due sistemi oggi contrapposti non posso che confermare e più che esplicitamente che è proprio così. Meno assai in Francia dove la complessità della politica interna, la similarità dei problemi, rende più facile spiegare e far capire che le nostre intenzioni sono sincere ma siamo ancora un paese sballottato fra eventi più grandi di lui; certo per l'Inghilterra e forse più per l'America. Che questo apprezzamento renda più difficile la soluzione in senso soddisfacente per noi di molti problemi, e in linea principale quello della difesa -e in forte misura anche quello delle colonie, del resto con la difesa connesso -anche questo è esatto, esattissimo: e aggiungo, se continuiamo così andrà sempre peggio.

V.E. mi chiede di sfatare l'offensivo giudizio che si tende a portare sul nostro atteggiamento. Per quanto riguarda la Francia nella misura in cui questo era possibile credo di esserci riuscito -era facile, ripeto -fino ad ora e conto di continuare a riuscirei. Ma posso affermarle senza tema di essere smentito dai miei colleghi di Washington e di Londra e, tanto meno, dai fatti, che a Washington e a Londra per dissipare questi apprezzamenti non basta l'eloquenza e l'abilità degli ambasciatori, ci vogliono dei fatti.

5) Quanto alle possibili ripercussioni degli avvenimenti in Jugoslavia sulla nostra situazione politica, ammettendo, il che sembra ormai probabile, che Tito resista e sia in grado di resistere, per quanto si può giudicare a prima vista, esse appaiono diverse, e, in certo senso, contraddittorie.

Il fatto che la Jugoslavia abbia rotto con Mosca e quindi cessi di essere una avanguardia dell'esercito russo, rende la nostra situazione meno pericolosa, quindi il nostro status come partecipante al Patto occidentale meno passivo: fra noi e la Russia c'è ora una glacis di oltre 200 chilometri, di terreno difficile, abitato da

una razza bellicosa: se ne dovrebbe in certa misura avvantaggiare anche la situazione greca: tutto il settore del Mediterraneo medio orientale ne risulta considerevolmente rinforzato. Le possibilità stesse che una politica verso la Jugoslavia intelligente e ardita nel campo commerciale potrebbe offrire per risolvere, sia pure solo in piccola parte, qualche nostro problema rendono la nostra situazione migliore. E questo anche è indiscutibilmente un vantaggio: in questo duro ventesimo secolo i popoli non contano per il loro passato, per i loro ideali, contano esclusivamente per la loro forza: quanto meno siamo ed appariamo deboli tanto meno saremo quantité négligeable.

D'altra parte è evidente che l'attenzione del mondo anglo-americano si sta spostando verso la Jugoslavia e le possibilità di sviluppo della sua situazione. Non so se effettivamente americani ed inglesi sono per qualche cosa in quello che è accaduto in Jugoslavia: personalmente ci credo poco, sebbene si stia sempre più sussurrando che la evoluzione di Tito è stata «aiutata». Comunque, sia essa o no stata aiutata, si tratta della seconda grossa vittoria riportata dagli americani sull'U.R.S.S. (la prima è stata l'Iran): è il primo arretramento, e importante, dei russi in Europa. La volontà di sfruttarlo al massimo è troppo logica per mancare: specialmente in Inghilterra dove esiste tutto un gruppo influente di «titini». La Jugoslavia minaccia quindi di diventare, nel nostro settore, un nostro concorrente serio nel campo anglo-americano. Tanto più serio non solo perché la posizione iugoslava appare, ed in certa misura è, per gli americani più importante della nostra, ma soprattutto per il fatto che militarmente -ed oggi è il fattore militare che predomina -altrettanto il giudizio anglo-americano è negativo sulle nostre qualità di soldati, altrettanto esso è positivo nei riguardi degli jugoslavi.

Noi rischiamo seriamente che l'appoggio anglo-americano, alle nostre rivendicazioni territoriali sulla nostra frontiera orientale, sia molto più tiepido che per il passato. È stata per noi una vera fortuna che ci siamo potuti assicurare da parte americana e inglese una netta presa di posizione per la città di Trieste, prima degli avvenimenti di Jugoslavia; oggi non l'avremmo certo: ma è molto facile che essi diventino, oggi, partigiani della spartizione del Territorio Libero.

Noi potremmo evidentemente tentare di persuadere gli americani a servirsi particolarmente di noi per aiutare il passaggio jugoslavo all'altro campo. Ma perché gli americani consentano a servirsi di noi per un'operazione per essi così vitale bisognerebbe che essi si fidassero assolutamente di noi: e non è il caso adesso. Né d'altra parte si può nascondere che, adesso, ogni nostra politica di riavvicinamento colla Jugoslavia diventa complicatissima dal punto di vista interno. Fino a ieri tutto quello che facevamo in quella direzione poteva contare sugli applausi della sinistra: oggi ogni gesto amichevole che faremo verso la Jugoslavia sarà attaccato da sinistra con più ferocia che non la stessa adesione al Patto occidentale.

Comunque, le possibili conseguenze degli avvenimenti in Jugoslavia sono se mai, un elemento di più per consigliarci a procedere al più presto ad una chiarificazione completa della nostra posizione completa di fronte al mondo occidentale. Se noi continuiamo ancora nella politica che stiamo facendo, a parte le altre spiacevoli sorprese a cui possiamo andare incontro, rischiamo, e anche in breve tempo, di trovarci con una Jugoslavia assai meglio en cour a Washington di quello che non

siamo noi, con tutte le conseguenze che questo può avere sul problema delle nostre frontiere orientali.

A prescindere dalla sostanza delle cose, c'è, in materia di politica estera italiana, un fatto: mancherei al mio dovere se non dicessi con tutta franchezza che questa nostra politica estera è considerata equivoca, che essa appare equivoca: e purtroppo, in questo mondo, il parere è assai più importante dell'essere.

È necessario -ed urgente -che noi usciamo da questo apparente equivoco; che noi provochiamo una chiarificazione della nostra posizione di fronte agli inglesi ed americani. Al punto a cui ne stanno le cose, questa chiarificazione non può essere ottenuta che con i fatti. Di fatti, di reali e possibili non ne vedo che uno: una dichiarazione, precisa, netta, inequivocabile che noi vogliamo aderire al Patto occidentale e senza condizioni. Non occorre che questa dichiarazione sia fatta pubblicamente: basta che essa sia fatta, per via diplomatica, a Washington, a Londra e Parigi.

Sono perfettamente cosciente di esprimere con questo una opinione che non è affatto gradita al mio Governo: ma la mia coscienza di funzionario, il senso del dovere che ho verso il mio paese mi impongono di farlo6 .

254 2 Il documento reca in calce la seguente annotazione datata 31 luglio: «Il consigliere Silj ha telegrafato per informare che dalla Segreteria di Stato è stato assicurato che oggi stesso venivano telegrafate istruzioni nel senso desiderato».

255 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

255 4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 648.

255 5 Vedi D. 85.

256

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10140/188. Belgrado, 29 luglio 1948, ore 19,15 (per. ore 7,45 del 30).

Stanotte si è concluso Congresso comunista con approvazione alla unanimità del programma e statuto partito e di una risoluzione sulla vertenza del Cominforrn. In questa ultima vengono respinte tutte le accuse ed in particolare si afferma:

l) approvazione dell'atteggiamento assunto dal comitato centrale; 2) politica di indipendenza verso potenze imperialistiche e di rafforzamento del socialismo; 3) applicazione insegnamento marxista-leninista in relazione alle condizioni concrete della Jugoslavia; 4) solidarietà proletariato internazionale e unità del fronte democratico antiimperialista; 5) sforzi per liquidare le divergenze col comitato centrale partito bolscevico mediante constatazione in loco da parte di quest'ultimo della inesattezza delle sue accuse;

6) dopo tale constatazione partito comunista jugoslavo dovrebbe ripartecipare a riunione Cominforrn da cui non si considera escluso per sola mancata partecipazione a Bucarest.

255 6 Per la risposta vedi D. 284.

257

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE l 0249/0196. Parigi, 29 luglio 1948 (per. il 31).

Riferimento suo 3/566/c. del 22 luglio u.s. 1•

Sono d'accordo con Tarchiani che atteggiamento veramente deciso francese su questione colonie potrebbe avere conseguenze molto favorevoli a noi su decisioni amencane.

Sostanzialmente francesi non cambiano loro atteggiamento a noi favorevole e non lo cambiano per ragioni varie loro stesso interesse che V.E. ben conosce. Bisogna però pure rendersi conto che possibilità Francia sono limitate: fatto che Francia formalmente siede nei congressi dei Grandi ed è nel corso della grande politica mentre noi ne siamo fuori non deve trarci in inganno: sua situazione è un po' migliore della nostra ma soltanto un poco. Se vogliamo, cosa che è fra le meno gradite ai francesi è restituzione Senusso Cirenaica per evidenti sue ripercussioni eppure non possono prenderla di fronte per riguardo loro relazioni con Inghilterra.

Quando francesi ci dicono che posizione russa ci è più di danno che di vantaggio intendono fra l'altro anche loro situazione per cui date grandi suscettibilità americane non possono spingere a fondo appoggiando tesi russe. Questa situazione sarà, temo, anche aggravata da attuale cambiamento ministeriale. Poiché è noto a tutti che Bidault è stato dovuto sacrificare tra l'altro anche per insistenza americani che non gli hanno mai perdonato politica certo equilibrio fra Russia ed America che egli ha con poco brillante successo tentato di fare per oltre due anni né gli perdonavano certi suoi conati indipendenza politica estera francese. Ormai qui tutti sanno e recente crisi lo ha di nuovo dimostrato che non si diventa ministri e soprattutto non lo si resta a lungo se non si ha benevolenza Washington.

Per francesi questione colonie italiane ha importanza grande ma non è la sola né la più importante. Essi dipendono troppo da America per questione tedesca, per loro delicatissima dal punto di vista interno, per questioni garanzie ed altre connesse con Patto Bruxelles, senza parlare aiuti americani: per potersi impegnare a fondo e per resistere a minaccie o lusinghe in altre direzioni.

Governo francese nella sua maggioranza vuole certo onestamente soluzione massima a noi favorevole per questione colonie, ma nonostante assicurazioni che ci vengono ripetute ogni occasione ogni momento, è inutile ripetere che non dobbiamo contare troppo su sue assolute intransigenze. Ritengo che francesi faranno il

382 possibile ma che se si arriva a soluzione la quale ci assicuri qualche cosa certamente poco -non è su loro che possiamo contare per mettere un veto che costringa inglesi e americani rivedere loro posizione. È più probabile che veto venga messo dai russi il che d'altra parte per inevitabili reazioni opinione pubblica italiana che noi difficilmente potremo controllare avrà ripercussioni poco favorevoli su rapporti italo-inglesi ed italo-americani.

Questione colonie viene sul tappeto in un momento molto sfavorevole per noi, momento cioè in cui sono in movimento molte questioni più gravi ed importanti per cui è difficile, specialmente a Washington, ottenere vero interessamento sfere superiori. Questa situazione avvantaggia chi ha scopi precisi ed idee chiare come funzionari inglesi. Temo molto che noi rischiamo vedere questione trattata e risolta come questione secondaria e minima importanza. A tal punto che mi domando se non ci converrebbe cercare invece orientarci verso rinvio questione non solo all'O.N.U., ma ad Assemblea O.N.U. 1949. Senza nascondermi inconvenienti che questo presenta, osservo che difficilmente situazione potrebbe essere meno favorevole. D'altra parte tutti sembrano d'accordo nel dire che atteggiamento americano potrebbe essere modificato solo dopo precisa chiarificazione nostra posizione politica estera generale. Ora quale che possa essere nostra buona volontà data profondità sospetto angloamericano ritengo impossibile arrivare questa chiarificazione da qui al 15 agosto: un mese di tempo ci permetterebbe nuova speranza maggiori risultati.

257 1 Si tratta della ritrasmissione del T. s.n.d. 9635/562 del 20 luglio con il quale Tarchiani, riferendo circa i sondaggi effettuati al Dipartimento di Stato sul problema coloniale, aveva comunicato: «è opinione (confidenzialmente confermata oggi) della Direzione affari politici europei Dipartimento che atteggiamento francese, se mantenuto tèrmo ed alieno compromessi, potrà esercitare influenza veramente decisiva su posizione finale Stati Uniti e forse anche su quella britannica».

258

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 10366/0112. Washington, 29 luglio 1948 (per. il 3 agosto).

Con telegramma filo odiemo 1 ho riferito a V.E. il sunto di una nuova conversazione con questo ambasciatore di Francia riguardo al problema delle colonie. Riassumo qui la parte restante del colloquio.

La scottante questione delle basi strategiche in Africa del Nord ci ha portato alle trattative in corso per l'Unione Occidentale. A tale ultimo riguardo Bonnet mi ha confidato che i negoziati più seri e più concreti sono quelli che si svolgono attualmente a Londra tra gli esperti militari dei vari paesi interessati. Anche questi lavori sono piuttosto lenti. Egli conviene che sia tali trattative che le conversazioni di Washington mirano ad apprestare per il Governo e il Congresso americano il mate

383 riale di studio e di discussione per il 1949. Neppure Bonnet crede che si agiteranno dette questioni durante la campagna elettorale. Questa chiusa, il Governo -ove Truman, come possibile, non fosse rieletto -non potrà fare sino a gennaio 1949 che ordinaria amministrazione.

Bonnet ritiene estremamente utile un sempre maggiore rafforzamento deiie relazioni franco-italiane.

I compromessi deile scorse settimane, sia per le questioni di confine, sia per le navi, sono stati, secondo lui, provvidenziali. Le trattative volute da V.E. per l'Unione doganale sono poi infinitamente più importanti. Se si riuscisse a portarle in porto prima deiia fine dell'anno, avremmo in mano rispetto all'America un formidabile argomento in favore del rinnovo annuale del piano Marshaii (altrimenti tutt'altro che sicuro) avendo messo in pratica opportunamente tanto la formula della ricostruzione interna, quanto queiia deii'attiva ed efficiente cooperazione internazionale.

Bonnet pensa che dalle due parti dovremmo fare ogni sforzo per conseguire insieme questa situazione di privilegio nel piano Marshall, mentre gli inglesi sono restii, e forse spinti da necessità, sabotano, e i rappresentanti del Benelux creano pure innumerevoli ostacoli e difficoltà.

L'accordo doganale italo-francese assumerebbe anche un grandissimo valore politico. In quell'atmosfera sarebbe anche assai più facile trattare a fondo tra Roma e Parigi la questione deiia difesa occidentale nel comune interesse. Secondo Bonnet, ad ogni modo, non può che giovare che da parte nostra si mantenga sempre vivo quest'argomento in conversazioni seguite col Quai d'Orsay.

258 1 Con T. s.n.d. l O 194/593, partito il 30 luglio, Tarchiani aveva riferito la risposta di Bonn et alla richiesta di un nuovo intervento francese a Londra e Washington: «Bonnet mi ha risposto rendersi pienamente conto necessità agire sollecitamente onde, se possibile, raggiungere intesa franco-americana prima 9 agosto. A quanto mi ha detto, Francia non transige sulla Tripolitania che non vuole né indipendente né affidata a trusteeship inglese. Al riguardo, come anche per mandati italiani in Eritrea e Somalia, egli farà un nuovo passo al Dipartimento di Stato possibilmente presso Lovett».

259

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI

T. 8772/37. Roma, 30 luglio 1948, ore 19.

Suo n. 51 1 e lettera 17742•

Approvo iniziativa trattare direttamente con codesto mm1stro Albania, soprassedendo sondaggi Governo bulgaro. Sono pure d'accordo di comunicare al sig. Heba che non vediamo inconvenienti nella ripresa di rapporti ufficiali con l'Albania e che non intendiamo subordinarla a speciali condizioni sempre che lo stesso si faccia da parte albanese.

In tale ordine di idee parmi si debba evitare di trattare costì -anche soltanto a titolo informativo -complesse questioni dei criminali di guerra, restituzioni e riparazioni, mentre sarà opportuno mettere in rilievo che Governo di Tirana norma

Vedi D. 223.

lizzando relazioni con noi si porrebbe, nel trattare tali questioni, sullo stesso piede degli altri Governi che vantano titoli giuridici derivanti dal trattato di pace.

Anche la questione dei rimpatri verrebbe ad acquistare un altro aspetto una volta ripresi rapporti diplomatici. Per il solo fatto della presenza nostra rappresentanza a Tirana attenuerebbe atmosfera grave costrizione in cui vivono nostri connazionali le cui famiglie qui residenti continuano a rivolgere a questo Ministero angosciosi appelli.

259 1 Del 20 luglio, non pubblicato.

260

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 10183/590. Washington, 30 luglio 1948, ore 12,20 (per. ore 16,30).

Secondo confidenze Dipartimento per discussione domani protesta Belgrado 1 delegazione americana Consiglio sicurezza riceverà istruzioni contrapporre argomentazioni jugoslave disposizioni convenzione Aja cui attenutosi A.M.G. Trieste, citando eventualmente anche provvedimenti adottati da Jugoslavia in Zona B Territorio Libero Trieste, eccetera.

Dopo prima presa di posizione, anglo-americani potrebbero chiedere rinvio discussione. Settimana prossima dovrebbe del resto essere presentato Consiglio nuovo rapporto del generale Airey, già pronto ma attualmente in esame Foreign Office che intenderebbe modificarlo in qualche punto.

Da parte nostra si è insistito perché delegazione americana procuri attenersi strettamente posizione presa da questo Governo 20 marzo e riconfermata da segretario di Stato con suo telegramma circolare del 23 corrente (mio telegramma per corriere 0108 di detto giorno)2.

Interlocutori americani dato al riguardo affidamenti specie ove dibattito si prolungasse e generalizzasse.

In risposta nostre domande essi hanno escluso che Dipartimento, almeno per ora, avesse progetto far discutere questione Trieste in probabile riunione C.F.M., come invece dichiarato a Londra portavoce Foreign Office. Ciò a meno che Mosca non manifestasse propositi concilianti o non modificasse sostanzialmente proprio atteggiamento riguardo pretese jugoslave. Posizione russa potrà d'altronde già manifestarsi chiaramente in prossime sedute Consiglio sicurezza: ove essa fosse mutata, delegazioni occidentali tenterebbero subito approfittarne.

2 Con esso Tarchiani aveva comunicato l'immutata posizione statunitense circa il Tenitorio Libero di Trieste confermata anche dal telegramma inviato dal segretario di Stato alle ambasciate a Belgrado, Londra, Mosca, Parigi e Roma e all'A.M.G. di Trieste.

260 1 Vedi D. 252.

261

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 10197/592. Washington, 30 luglio 1948, ore 17,30 (per. ore 20,26).

Seguito mio 577 1•

Ho nuovamente intrattenuto su questione colonie sottosegretario Lovett (il quale molto più di Marshall si occupa di questi particolari problemi).

In lungo colloquio gli ho ancora una volta diffusamente prospettato necessità che America mostri anche in prossime discussioni Londra spirito amichevole iniziativa in nostro favore. Ho fatto ricorso ogni utile argomento, non trascurando quello delle basi in Libia conformemente autorizzazione.

Da parte sua Lovett ha insistito nel sottolineare che Stati Uniti, non direttamente interessati salvo per quanto concerne problema sicurezza dell'Occidente, vanno a Londra praticamente senza programma prestabilito: a riguardo ha in sostanza confermato linee generali di cui mio 5642 .

In risposta mie osservazioni su favorevole atteggiamento russo e dolorosa sorpresa che popolo italiano trarrebbe da diversa posizione americana, sottosegretario ha espresso dubbio che Mosca sia ancora favorevole trusteeship italiani manifestando opinione che russi sosterrebbero piuttosto tesi piena immediata indipendenza quei territori (mio 576)3 .

Ho ribattuto ponendo anche in rilievo atteggiamento francese che avrebbe potuto molto agevolare azione americana in appoggio nostre legittime aspirazioni.

A più riprese Lovett ha opposto convinzione che a Londra non si concluderà nulla e che la questione finirà all'O.N.U. Allora pur deplorando vivamente espediente dilatorio, ho posto rilievo più larghe possibilità raggiungere decisione per le colonie dell' Afiica orientale. Lovett persistendo in dubbi già espressi, sono passato insistere a fondo su possibilità accordo parziale almeno in questione Somalia e su necessità per potenze occidentali dare se non altro questo segno buona volontà al popolo italiano, temperandone delusione.

Sottosegretario si è mostrato favorevole studiare eventuale possibilità in tal senso, pur elevando riserve su necessità approfondito esame rinnovando dubbi su unanimità tra i Quattro per Somalia. Ha comunque finito col dire che Governo americano spera poter svolgere qualche azione a nostro favore almeno per quanto i contrasti anglo-russi glielo permettano.

2 Del 21 luglio, non pubblicato.

1 Del 24 luglio, non pubblicato.

261 1 Del 24 luglio, non pubblicato.

262

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0215/165-166. Bruxelles, 30 luglio 1948, ore 19,45 (per. ore 7,30 del 31).

Telegramma di V.E. 148 1• Ho veduto Spaak stamane subito dopo il suo ritorno da Parigi. Mi ha detto che egli non era al corrente ultimi sviluppi questione e mi ha chiesto quale fosse il più recente atteggiamento delle principali potenze. Gli ho risposto che tutte commissioni d'inchiesta avevano riconosciuto all'unanimità che popolazioni indigene non erano ancora mature per auto-governo; atteggiamento delle potenze era diverso a seconda propri interessi. Spaak avendomi osservato che atteggiamento inglese è evidentemente motivato da preoccupazioni carattere strategico, gli ho detto che simili preoccupazioni non hanno ragione di esistere: Italia fa parte e desidera far parte dell'Occidente, e per difesa Occidente Inghilterra troverà certamente nell'Italia apporto maggiore di quanto potrebbe dame Negus o gran Senusso. Ministro mi ha chiesto se Egitto avesse presentato rivendicazioni territoriali e gli ho risposto che aveva domandato rettifiche di frontiera di poca importanza, trattandosi di regione più o meno desertica. Ho detto al ministro che stimavo superfluo ripetergli argomenti di ordine politico, economico e demografico che imponevano restituzione all'Italia delle sue colonie; ciò corrispondeva anche all'interesse generale, ripresa dell'Italia essendo fattore indispensabile per pacificazione e ricostruzione europea. Sembrava impossibile che in questi momenti a quattro anni dopo la fine della guerra si potesse pensare ancora a soluzioni che potevano apparire ispirate a criteri di punizione e vendetta, che avrebbero provocato crisi gravissima nell'opinione pubblica italiana, turbamento delle nostre relazioni con potenze occidentali, ed inevitabile sfavorevole ripercussione in quell'opera di collaborazione generale e di formazione di una coscienza europea che così faticosamente ora si tenta. Poiché egli era uno dei principali artefici di quell'opera ed uno dei più convinti fautori necessità sua realizzazione, lo pregherei caldamente ispirare appunto a tali criteri risposta del Belgio a Londra manifestandosi esplicitamente favorevole alla soluzione del trusteeship ali 'Italia. Per sua indiscussa autorità e per prestigio di cui egli godeva presso anglosassoni atteggiamento belga avrebbe potuto riuscirei di grande utilità e favorevolmente influenzare atteggiamento di altre potenze.

Spaak si è dimostrato -come al solito -molto cordiale, dicendo tuttavia di non poter assumere impegni senza avere prima riesaminato questione, ciò che avrebbe subito fatto con spirito di comprensione e di amicizia.

262 1 Vedi D. 232.

263

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S. N.O. PER CORRIERE l03 70/0116. Washington, 30 luglio 1948 (per. il 3 agosto).

Seguito mio telegramma 595 1• In colloquio con Forrestal ho chiesto qualche chiarimento anche circa schieramento difensivo Unione Occidentale. È venuto naturale il discorso sull'eventuale inserimento dell'Italia in tale sistema. Al riguardo Forrestal mi ha ripetuto stessi argomenti già dettimi da altre personalità responsabili. In sostanza mi ha confermato che qui Italia è già considerata elemento importante schieramento occidentale. Anch'egli è dell'idea essere interesse Italia avvicinarsi sempre più Francia ed Inghilterra e cercare di prender parte alla serie di trattative e di studi. Sul risultato di tali intese e predisposizioni si baserà infatti il concreto apporto che gli Stati Uniti decideranno di dare allo schieramento in parola. Forrestal mi ha comunque assicurato che gli Stati Uniti manterranno sempre ben presente la particolare situazione italiana e faranno, in caso di emergenza, il massimo sforzo per venirci in aiuto. La loro posizione a Trieste è per ora garanzia di questa intenzione del Governo americano.

264

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. 1493/355. Mosca, 30 luglio 1948.

Qui le unisco, in conformità al mio telegramma n. 242 del 22 corrente 1 alcune osservazioni complementari in risposta al rapporto 6 giugno I 948 de li'ambasciatore Tarchiani2 .

Con questo credo di non avere più nulla da aggiungere e di avere scritto anche troppo, lieto che le mie osservazioni abbiano avuto dalla E.V. quella attenta considerazione che risulta dal te l espresso 1124/c. del 14 luglio3 .

Vedi D. 98.

Vedi D. 217.

l) Anzitutto, ritengo che quando E.V. scrive che «di talune di queste considerazioni V.E. potrebbe far cenno, a titolo personale, in conversazioni confidenziali, per sfatare l'offensivo giudizio che si tende a portare sul nostro atteggiamento» non si riferisca a contatti coi sovietici. Questi infatti male apprezzano le sfumature delle considerazioni personali. Per loro, ogni considerazione che si fondi sulla ipotesi di una invasione da Oriente è senz'altro un'ingiuria; ogni accenno anche teorico e lontano ad una possibile neutralità sarebbe sfruttato alla prima occasione per metterei in condizione difficile di fronte agli anglo-americani. Penso dunque che la situazione debba, secondo le sue direttive, essere esplorata anzitutto -e per ora esclusivamente -nei contatti con gli anglo-franco-americani. Benché ciò sembri ovvio le sarò grato di un cenno di conferma4 .

2) Sono pienamente d'accordo su quanto ella accenna in fine al suo telespresso circa la presenza di truppe anglo-americane nella Venezia-Giulia; o questa viene assorbita in una difesa effettiva, oppure si convertirebbe domani per noi in una specie di nodo scorsoio manovrato dagli anglo-americani; nel qual caso, bisognerebbe cercare di eliminarlo risolvendo il problema di Trieste con trattative dirette.

3) Ella ci domanda il nostro pensiero anche in rapporto ai nuovi avvenimenti jugoslavi. Anche qui non posso che consentire interamente col suo apprezzamento. Gli sviluppi degli avvenimenti sono incerti: è probabile che finora Tito cerchi un compromesso, cedendo verso l 'Unione Sovietica sulla politica estera, per riservarsi libertà di azione in quella interna. Non è escluso che provvisoriamente i sovietici si prestino a questo tentativo salvo appoggiare in seguito di aiutare le forze interne capaci di scuotere la posizione di Tito. Se questo non avverrà, se Tito rimarrà al potere sviluppando la sua politica contadina e piccolo borghese, ulteriori sviluppi saranno probabili, e potranno avere le loro ripercussioni su tutto il mondo centroorientale europeo. In quel caso la nostra politica sarebbe tutta da rivedere, perché essa deve partire oggi dal presupposto della solidità del mondo sovietico, ossia della pratica presenza dell'Unione Sovietica ai nostri confini. Appunto per questo è esattissimo che non convenga pregiudicarla con affrettate prese di posizione.

ALLEGATO

OSSERVAZIONI COMPLEMENTARI

Ho letto con grande interesse le osservazioni del! 'ambasciatore Tarchiani ( 6 giugno 1948) sul patto di Bruxelles, e non mi stupisce il fatto che egli, dal suo osservatorio di Washington, escluda ogni alternativa di neutralità e propugni come unica nostra possibile politica «l'agganciamento solido a forti, sicuri ed efficienti amicizie, con ogni dovuta garanzia», nonché il «riarmo effettivo e sufficiente».

Ma il suo ragionamento non mi persuade, e mi pare proprio viziato da quella unilateralità ch'io ho supposto in me stesso, e vedo in lui, come egli nella sua indiscussa onestà, vorrà forse riconoscere.

Il punto essenziale per me è che questa discussione sulla neutralità non è nata in astratto, teoricamente, e distaccata da ogni altra, ma non è che un aspetto, o l'altra faccia della questione concreta che la realtà ci ha sottoposto, allorché sei5 potenze europee hanno creato la loro unione occidentale senza sognare di invitarci, ed allorché, oggi, quelle sei nazioni medesime stanno negoziando con gli Stati Uniti e col Canadà per farsi garantire od integrare quella unione-sistema atlantico, ricorda esattamente l'ambasciatore Tarchiani nuovamente senza ricordarsi di noi.

È in questa precisa situazione, che sono intervenuti l'ingenuo e disinteressato invito di Bidault, affinché chiedessimo di essere ammessi al consesso, nonché l'altro paterno di Caffery, di rimetterei per la decisione al benevolo suggerimento degli Stati Uniti.

Ed è queste condizioni che ci tocca risolverei: dobbiamo o no richiedere di essere aggregati alla Unione Occidentale? E se lo domandiamo, quali condizioni dobbiamo porre, e come potremo sostenerle? E infine, se non abbiamo una alternativa seria da seguire, che speranza possiamo avere di fare accettare queste condizioni?

Il mio punto di vista è chiaro: noi non dobbiamo chiedere, perché se chiediamo dovremo subire e non potremo porre alcuna seria condizione; quando saremo invitati, dovremo chiedere che ci mettano in assoluta parità militare e strategica, sia come forza nostra, sia come aiuto di forze altrui occorrendo, in modo da poter arrestare una eventuale invasione jugosovietica; e infine, non potremo nemmeno allora sostenere queste giuste esigenze, se non avremo la possibilità di prospettare un'altra posizione politica seria e sostenibile.

L'ambasciatore Tarchiani dice di no; anzi, arriva fin al punto di accennare chiaramente che gli americani non sarebbero tanto ingenui da assicurarci i rilevanti aiuti sul fondo E.R.P., semplicemente per ottenere la nostra neutralità; per lui, insomma, la questione è già decisa, l'alleanza a scelta e volontà degli Stati Uniti è già implicita nella misura degli aiuti che ci vengono fomiti, e a noi rimarrebbe soltanto il tentativo di ottenere che a questi aiuti si accompagnasse una sufficiente integrazione del nostro paese nel sistema militare nordamericano ed europeo.

Se così fosse, per elementi di fatto a me ignoti, non rimarrebbe che prendeme atto e considerare chiusa la discussione; ma così non è, e lo dimostra il telespresso 1124/c. del 14 luglio 1948 di S.E. il ministro, ove la questione è analizzata a fondo, con estremo scrupolo e con piena libertà.

Esclusi gli impegni particolari (espressi o impliciti) verso gli Stati Uniti, a me sembra sia pure da escludere che la intrinseca posizione politica degli Stati Uniti li porti a costringerci, volenti o nolenti, fra i loro alleati. Il contrario è dimostrato, a mio avviso, dal fatto stesso che ieri il Patto di Bruxelles è stato concluso senza di noi, ed oggi lo si estende alla Comunità atlantica, ancora senza di noi.

Questa posizione è logica, e corrisponde in pratica alle idee dei teorici di tale Comunità atlantica: Walter Lippmann l'ha pensata includendovi, con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Canadà, anche Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Norvegia, Danimarca e Islanda; ma dell'Italia ha fatto cenno soltanto in via secondaria ed eventuale, insieme al Portogallo, alla Spagna, alla Grecia, all'Irlanda e alla Svezia (U.S. Foreign Policy e U.S. War Aims, Overseas Edition, pp. 82-85 e p. 216).

In verità, gli Stati Uniti hanno certamente nei nostri riguardi un estremo interesse a sottrarci all'attrazione della zona sovietica, e questo spiega i loro aiuti E.R.P., spiega la loro attenzione alla nostra politica interna ed elettorale; ma non sembrano spingere tale interesse fino a fare dell'Italia un pilastro indispensabile del loro sistema strategico, tale da dover essere guarnito e difeso a fondo e in ogni caso, con impegno di forze rilevanti. Come esattamente è scritto nel telespresso di S.E. ministro, «la difesa americana verrebbe concen

trata in Europa ad ovest della penisola italiana, (salvo il tentativo di mantenere talune basi e capisaldi nelle isole) e in Nord-Africa». In altri termini, se domani ci volessero nell'alleanza ci terrebbero pur sempre come avamposto da abbandonare all'occorrenza, !asciandolo eventualmente a sbrigarsela, colle forze di cui dispone.

Ed è precisamente questa situazione che rende, a me pare, logica, e conforme agli stessi interessi ed alla stesse ragionevoli esigenze americane la nostra alternativa di neutralità; giacché o essi ci possono garantire una piena difesa, uguale a quella che senza dubbio sarebbero disposti ad assicurare alla Germania occidentale o alla Francia, oppure non possono negarci il tentativo di rimanere fuori del conflitto. In fin dei conti, se davvero ci considerano come un avamposto, nulla perdono ad averci neutrali; giacché, una alleanza offensiva da noi, in nessun caso, né esigono né possono attendersi; e se attaccati, noi ci difenderemmo ugualmente neutrali o no che ci fossimo dichiarati, ed in entrambi i casi gli americani avrebbero uguale interesse a finanziare e ad aiutare una nostra adeguata difesa.

2) È esatto che noi dobbiamo preoccuparci di evitare «atteggiamenti di lunga incertezza che possano far nascere sospetti di doppi giochi». Ma per eliminare questa incertezza dovremmo forse rivolgere una supplica alle potenze occidentali perché ci accolgano nel loro consesso, mettendoci a loro piena disposizione e perdendo ogni possibilità di onesta e doverosa negoziazione?

In realtà, l'attendere che ci invitino, il pesare le condizioni, non è segno di incertezza né di doppio giuoco, ma semplicemente elementare rispetto di se stessi e tutela altrettanto elementare dei propri interessi, che dovrebbero ispirare rispetto, e non sospetto.

Quanto poi a prospettare, quando fossimo invitati e dovessimo discutere la tesi della neutralità, adottandola nel caso che non ricevessimo piene garanzie (salvo sondare l'atteggiamento sovietico), ciò potrà essere criticato per eccessiva chiarezza ed onestà, non certo tacciato di doppiezza.

La politica tradizionale dei medii e piccoli paesi chiusi fra due forze soverchianti, è piuttosto quella della altalena, dell'equilibrio; quella che si compromette il meno possibile, con una parte, e quando l'ha fatto, si riserva sempre la possibilità di passare dall'altra. È stata, in fin dei conti, la politica tradizionale dei Savoia; politica brillante, avventurosa, rischiosa e facile ad essere qualificata infida.

La politica di neutralità è invece, tutt'al contrario, onesta, piatta, rettilinea; non ha nulla di eroico e nulla di sospetto. L'essenziale è che sia prospettata e ragionata chiaramente, quando si sia convinti che è opportuna.

E ad ogni modo, chiarezza per chiarezza, noi avremmo pure il diritto ben più certo di chiedere sia agli americani, sia agli inglesi, se e come possano e vogliano difenderci ed esserci amici; e di dire loro che in una eventuale guerra noi giuocheremo tutto, compresa la intera classe dirigente filo-occidentale così come nella pace desideriamo sapere se gli inglesi ci considererebbero o no, nelle nostre colonie non fasciste, come degli uomini civili e pacifici o come dei negrieri nemici. Se equivoco esiste, finora esso sta, e ben più grave di conseguenze, dalla loro parte.

3) Riguardiamo ancora un momento il problema dal punto di vista sovietico.

Anzitutto un rilievo dal punto di vista militare, che, scrive giustamente il m1mstro Sforza, è in fin dei conti il più importante. «Le linee strategiche passano generalmente per le porte aperte e per le vie di minore resistenza», osserva l'ambasciatore Tarchiani. Osservazione vera in linea generale, ma che non si addice alla situazione italiana. Se anche l'Italia fosse neutrale e disarmata e i sovietici (o i loro satelliti jugoslavi) fossero da ciò indotti ad invaderla, essi non troverebbero la strada meno sbarrata dalle Alpi occidentali e dalle forze francesi ed alleate, che facilmente le diffenderebbero, né resterebbero meno circondati dalle isole occupate dal nemico, e da un Mediterraneo invalicabile.

Ossia, la linea dell'Italia non è una buona linea di invasione per ragioni naturali, indipendenti dalla capacità di resistenza italiana; vi può essere un interesse ad occupare l'Italia per sottrarla, come base, al nemico, non per trovarvi una via facile di accesso ai punti vitali dei grandi avversari. E questo vale specialmente per i sovietici.

4) Più in generale, osservo che l'ambasciatore Tarchiani accenna ripetutamente ad una nostra eventuale «posizione di neutralità suscettibile di ottenere il consenso di Mosca» quasi come una speciale forma di neutralità, soggetta a vincoli e condizioni tali, da renderla gradita a Mosca, e per la ragione degli opposti, invisa a Washington.

Sia ben chiaro che io non intendo accennare ad alcuna specie di neutralità benevola all'uno e ostile all'altro Grande; intendo eventualmente una neutralità pura e semplice, conforme alle regole della convenzione dell' Aja 18 settembre 1907, libera da ogni limitazione e vincolo di politica interna. Penso che questa neutralità possa in definitiva convenire sia alla Russia sia agli Stati Uniti, quando entrambi si convincano che noi siamo decisi a sostenerla; così come penso che entrambi non vi si adatteranno con piacere, fino a che spereranno di averci dalla loro parte, col minor impegno, col minor rischio possibile da parte loro.

Penso pure che è perfettamente vano illudersi di avere in via pacifica dalle potenze occidentali, ciò che i sovietici non ci vogliono dare; sul piano pacifico, e fino a che esiste all'O.N.U. il diritto di veto, il consenso degli occidentali vale né più né meno il consenso degli orientali, e questo ultimo è altrettanto indispensabile di quello. Se vogliamo ottenere questo consenso, bisogna pure che tentiamo almeno verso Mosca una politica che questa non consideri ostile, pur non essendo né lesiva dei nostri ideali ed interessi fondamentali né inaccettabile dagli Stati Uniti.

Se invece di questo consenso intendiamo fare a meno, dobbiamo almeno sapere chiaramente che ci siamo messi contro l'Unione Sovietica, verso la quale le buone parole non servono, e che in questo caso la sorte definitiva delle concessioni strappate alle potenze occidentali dipenderà unicamente dall'esito della terza guerra mondiale, e andrà a favore di una Italia sconosciuta e diversa, invasa e sovvertita.

5) L'argomento essenziale e più forte dell'ambasciatore Tarchiani -e di tutti quelli che non vogliono sentire parlare di neutralità nemmeno per ipotesi -è quello della affermata impossibilità di una neutralità armata, la quale è la sola politicamente concepibile.

L'argomento potrebbe avere il peso che gli si attribuisce, solo se potessimo avere la ragionevole certezza di arrestare una invasione jugo-sovietica, essendo alleati degli Stati Uniti in guerra.

Questa certezza, o ragionevole speranza, a mio avviso non esiste; e penso che quando si verrà al concreto, gli Stati Uniti non ci potranno dare alcuna garanzia di fatto a questo riguardo.

Ed allora? Si tratterà soltanto di resistere qualche settimana di più o di meno, di versare più o meno sangue e di cagionare maggiori o minori rovine.

Una difesa va predisposta e va fatta: anche essendo neutri possiamo valerci in parte dei finanziamenti ottenuti per predisporre un esercito bene organizzato e tale da impegnare seriamente l'invasore. Di più non otterremmo né in un caso né nell'altro; mentre la vera e principale difesa della neutralità va ricercata, come ho già detto ripetutamente, nella nostra opera diplomatica e nell'interesse stesso dei grandi contendenti. Su questo punto mi pare inutile ripetermi.

Aggiungo soltanto che il negare una politica riconoscendola teoricamente buona ma qualificandola a priori utopistica, impossibile, senza averla nemmeno tentata, non mi pare affatto un modo di procedere veramente realistico; mentre invece mi pare conforme al vero e sano realismo l'essere anzitutto convinti che la migliore politica è quella che si ritiene buona e si fa, non quella che si subisce. Questa regola, mi pare, vale per i piccoli e per i grandi, per la politica di potenza e per quella di prudenza.

263 1 Pari data, con il quale Tarchiani aveva comunicato di aver interessato Forrestal al problema coloniale ricevendone generiche assicurazioni.

264 1 Vedi D. 202, nota 6.

264 4 Sforza diede la sua conferma con Telespr. segreto 1255 segr. poi. del 19 agosto.

264 5 Recte: cinque.

265

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 8499/886. Vienna, 3 O luglio 1948 1•

Ringrazio V.E. per la cortese comunicazione fattami con il telespresso n. 16/ 21773 del 13 corrente dell'appunto redatto costì sul problema in oggetto2 .

Poiché non è fatta menzione dello scopo di tale appunto né a chi sia destinato, non è completamente agevole giudicare dove eventualmente converrebbe portare l'accento e sottolineare, né in quale eventuale direzione svolgere preferibilmente le conclusioni.

Ad ogni modo, poiché V.E. me ne fa richiesta, e premettendo che l'appunto è sostanzialmente esatto, mi permetterò di fare tuttavia qualche osservazione, allo scopo di contribuire ad una più esatta, almeno a mio subordinato avviso, messa a fuoco del problema, tuttora attuale, di cui si tratta.

Il primo punto concerne le ragioni che indussero i nostri negoziatori a Parigi a concludere tale accordo. Se sono esatti i ricordi che ho in proposito, non per diretta esperienza di quelle trattative, ma per sentito dire da parte di persone serie e competenti che vi presero parte, il motivo determinante che indusse a negoziare e concludere l'accordo cosiddetto Gruber-De Gasperi e successivamente a consentire che fosse incluso nel trattato di pace fu il timore, che non sono però in grado di giudicare se fondato o meno, ma che certamente assai fondato dovette apparire ai nostri negoziatori, che senza la conclusione di quell'accordo fosse perduto il confine del Brennero, dati appunto i preconcetti e le intenzioni angloamericane in proposito.

In altri termini l 'accordo i tal o austriaco fu la contropartita e il prezzo, se così si vuol dire, che ha consentito, o, a torto o a ragione si credette che solo consentisse, la conservazione del confine raggiunto nel 1919.

Sarebbe, a mio giudizio, necessario mettere in evidenza tale circostanza, non tanto per giustificazione in sede storica di quanto allora si fece o per una pura e astratta preoccupazione di storica esattezza, ma perché questo motivo, forse unicamente o prevalentemente determinante, dà la giusta prospettiva per valutare quell'accordo in tutte le sue conseguenze pratiche e quindi nel suo valore e nella sua portata in termini politici e amministrativi attuali.

Il secondo punto che mi permetterei di toccare, e di cui d'altra parte ho già avuto occasione di occuparmi in via principale e subordinata in altra occasione, concerne la posizione in generale dell'Austria di fronte alla questione Alto Adige, in relazione, in funzione e in conseguenza dell'accordo di Parigi.

Ho visto a più riprese e da più parti sostenuto e svolto il tema e la tesi e li trovo in parte ripresi nell'appunto che mi è stato ora comunicato in visione, che una volta,

2 Si tratta dell'appunto riservato del 9 luglio predisposto dalla Segreteria generale per il sottosegretario Bmsasca avente ad oggetto l'accordo De Gasperi-Gruber e l'attuazione delle clausole in esso previste.

393 per così dire, adempiuto l'accordo di Parigi nelle sue varie stipulazioni, la questione d eli' Alto Adige non esista più o comunque ritorni ad essere una questione interna italiana sulla quale Vienna non ha più titolo e diritto per interloquire.

Anzi, nell'appunto sopra detto da queste premesse, la necessità e convenienza di affrettare la conclusione degli accordi esecutivi previsti nell'accordo di Parigi, per poter così in un certo senso mettere la parola fine alla questione dell'Alto Adige.

Ora, che la conclusione dei cosiddetti accordi esecutivi previsti dall'intesa De Gasperi-Gruber chiuda uno stadio della questione generale ed esaurisca una determinata serie di legittime, e dico legittime in quanto fondate nella stipulazione del trattato, aspettazioni austriache è certamente ovvio, ma ho la impressione che nello svolgere quella tesi, a cui sopra ho accennato, si tenda ad andare assai oltre questa constatazione e le ovvie conseguenze che ne derivano, e si tenda piuttosto a costruire, su un fondamento quasi giuridico, una tesi, che mi sembra nasconda un sofisma e possa indurre ad una deformazione di prospettiva nella considerazione di tutto il problema, in sede non solo pratica ma anche più largamente politica. E questo non solo per il fatto, a cui del resto si accenna anche nell'appunto, che gli austriaci non hanno mai aderito ed anzi sono !ungi dall'aderire ad una tale interpretazione e occorrerebbe quindi riaprire una discussione, che mi apparirebbe inopportuna in proposito, ma per ragioni giuridiche e politiche che hanno anche in parte una base di fatti così obiettivi da superare forse, almeno per ora, qualunque intenzione e la stessa volontà, ammesso che sussistesse da parte austriaca, delle parti in causa.

L'accordo di Parigi infatti è, in parte almeno, un patto de contraendo; come sempre in questi casi, la conclusione dell'accordo esecutivo viene ad esaurire la primitiva obbligazione, ma solo in parte e solo da un punto di vista esclusivamente formale.

Al di là dell'accordo vi è il problema che forma oggetto dell'accordo, vi è la soluzione che viene concordata nelle stipulazioni che si convengono.

Dalle varie questioni oggetto dell'accordo di Parigi, forse l'unica che veramente ha in sé stessa degli elementi di temporaneità e quindi di esaurimento in uno spazio di tempo forse di qualche anno è quella sulla revoca delle opzioni, ma per tutte le altre ho la impressione che si debba parlare piuttosto di vere e proprie servitù, per cui l'Austria avrà un titolo permanente, almeno finché rimane in piedi l'accordo di Parigi e il trattato di pace che lo contiene, per avere sempre potenzialmente, ma anche di fatto, un valido titolo giuridico a occuparsi di quei problemi i quali sussisteranno sempre e potranno formare oggetto o di reclamo o di nuove trattative, come del resto è normale nella vita internazionale.

Se ciò vale nel campo più strettamente giuridico, a maggior ragione è !ungi dal potersi considerare esaurita la questione alto-atesina sul terreno più propriamente politico.

Un approfondimento della questione in tale quadro, che potrebbe domani prendere anche più vasta colorazione, nella ipotesi di un riaccendersi di una idea paugermanista di provenienza più germanica che austriaca (e del resto vi è un chiaro accenno in proposito nell'appunto che mi è stato comunicato) condurrebbe forse troppo lontano e basta qui fame una rapida menzione, limitandosi ad accennare che in tale sede e in tale materia nessuna rinuncia di Governo ha un vero e proprio valore efficiente e nessuna rinuncia è stata mai considerata veramente valida, se questa non è accompagnata dalla coscienza e dal consenso dell'opinione pubblica.

Nel caso dell'Alto Adige, mancano almeno per ora queste premesse e ciò tanto in Austria, e meglio direi in Tirolo, quanto nell'Alto Adige stesso; e il miglior presidio a tutela del nostro diritto, ritengo saranno sempre, più che eventuali dichiarazioni austriache e verbali rinuncie, la nostra forza che ci consenta di restare al confine del Brennero e una politica così saggia e una amministrazione così buona che inducano lentamente nell'animo degli alto atesini, cittadini italiani, ma di lingua e di tradizione tedesca, la persuasione che la loro permanenza nella compagine politica della nazione italiana sia un loro interesse: una pratica di governo che in definitiva sostanzi il loro lealismo di fronte allo Stato italiano, in uno spirito e in una disposizione analoga a quella che anima per esempio gli svizzeri di lingua e di razza tedesca o i ticinesi italiani verso la Confederazione elevetica a cui politicamente appartengono.

Sarebbe questa la prova del più grande successo che potrebbe mai realizzare la politica italiana del prossimo avvenire nei confronti dell'Alto Adige, tenendo anche presente che si tratta di una politica che può portare frutto soltanto a lunga scadenza, essendo lungo necessariamente quel processo di maturazione che consenta ad un certo punto di raccogliere frutti, in campi del genere, e considerare la situazione come stabilmente consolidata.

Con le considerazioni che mi sono permesso di esporre, non è certo mia intenzione di diminuire la importanza di una rapida e leale esecuzione de li'accordo di Parigi, nel senso indicato nell'appunto, e a cui del resto si ispira la più recente direttiva di V.E. nei confronti di tale materia. Era ed è certamente una necessità: si sono così rapidamente disperse per intanto le inquietudini, e del resto infondate inquietudini, che si erano andate formando in proposito presso questo Ministero degli esteri, come ebbi recentemente l'occasione di riferire.

Forse erro nell'apprezzamento ma mi sembrerebbe che le considerazioni che precedono possono guidare forse a stabilire una prospettiva più esatta di fatti e di conseguenze, che appunto vanno oltre lo stesso quadro dell'accordo di Parigi ed investono il problema più generale dei rapporti itala-austriaci e domani magari italagermanici, in presenza di un problema storico che in termini di puro ed esasperato nazionalismo non sarebbe facilmente risolvibile, e forse non lo potrebbe essere affatto.

265 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

266

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA, TREZZANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

TELESPR. SEGRETO PERSONALE 20 l. Roma, 30 luglio 1948.

Rispondo al telespresso 3/550 in data 20 corrente mese 1•

Inutile avvertire che l'esame del problema del nostro atteggiamento in rapporto alla situazione internazionale, è qui condotto esclusivamente dal punto di vista tecnico-militare.

l) Le soluzioni possibili sono due: o la proclamazione della nostra neutralità, oppure il nostro inserimento in uno dei due blocchi: occidentale od orientale. Forse si può escludere l'adesione al blocco orientale e le ipotesi restano due: blocco occidentale o neutralità, per ridursi a quest'ultima ove l'altra appaia inattuabile per ragioni di politica internazionale.

È pertanto necessario esaminare con qualche attenzione le possibilità e le condizioni della neutralità.

2) La neutralità non può essere disarmata.

Una nazione può mantenersi neutrale in un conflitto generale e che ne lambisca i confini, solo a queste due condizioni: a) che nessuno dei belligeranti abbia interesse a violare la sua neutralità; b) che la violazione importi un onere e un'alea tali da annullare o rendere

aleatori i vantaggi che può dare.

La prima ipotesi è senza dubbio da escludere. L'entità della nazione italiana, dal punto di vista etico e morale, delle risorse, soprattutto demografiche, e la sua posizione geografica, fanno dell'Italia un elemento tanto importante che nel gioco delle parti non può essere trascurato.

Anche non entrando in guerra l'Italia rappresenta come un elemento di forza non trascurabile perché nessuno potrebbe escludere a priori che dallo stato potenziale possa, ad un certo momento, passare a quello attuale ed operante. Di qui l'utilità da parte dei belligeranti di un'azione preventiva, sia per eliminare il pericolo di averla contro sia per sfruttarne se non altro la posizione geografica, a proprio vantaggio.

A parte ciò, sono convinto che, anche nel futuro conflitto, l'Italia non sarà tagliata fuori dalle grandi linee di operazioni come si vuole credere. Anzi è probabile che ne sia coinvolta, molte essendo le ragioni che possono indurre il blocco orientale a violare la nostra neutralità e per converso quello occidentale ad intervenire per impedire tale violazione.

Infatti la pianura padana è obiettivo utile per un attacco da oriente, perché da essa si minaccia la tfontiera francese e si costringerebbe, ancora una volta, i francesi a ipotecare su questo scacchiere una parte notevole delle loro forze a danno della difesa del Reno.

I francesi con il diktat vollero i passi di confine così da sboccare in caso di guerra immediatamente nella pianura padana, per togliere di mezzo l'Italia, per sfìuttarne le risorse, per portare la lotta in casa altrui, per tenere il più lontano possibile le basi aeree nemiche dal loro territorio, ecc.

La valle padana interessa non solo la Francia ma l'intero blocco occidentale, potendo il nemico servirsene come base di operazione per un'offensiva contro l'Italia peninsulare con danno grave per gli occidentali che vedrebbero compromessa la libera navigabilità nel Mediterraneo e quindi l'accesso ali' Asia Minore e ai Dardanelli e perderebbero basi aeree importantissime per operazioni nella penisola balcanica. La stessa incolumità della Grecia sarebbe pregiudicata.

Una riprova di questa affermazione si ha considerando che la neutralità disarmata italiana è vivamente desiderata dagli orientali, mentre gli occidentali considerano indispensabile una difesa lungo la linea gotica; il che dimostra da parte dei primi l'intenzione di invadere l'alta Italia e da parte dei secondi la preoccupazione di perdere l'Italia peninsulare.

Ad ogni modo credo che nessuno possa assumersi la responsabilità di una neutralità disarmata perché agli interessi di chi vuole violarla non si potrebbe contrapporre altro che l'evanescente valore morale del diritto internazionale.

La violazione della neutralità di tanti Stati, dalla Norvegia alla Grecia, durante l'ultimo conflitto, conferma l'attendibilità dell'asserto. 3) Esclusa la possibilità di una neutralità disarmata, non resta che la neutralità armata.

In questo momento è pura utopia credere che con le sole nostre forze si possano difendere i nostri confini, almeno in attesa di aiuti dall'estero. Questi aiuti dovremmo averli prima del conflitto, così da poterei difendere da noi, anche per un principio di dignità nazionale, perché uno Stato incapace di difendersi non potrà mai tutelare il suo diritto nel campo internazionale.

E ciò senza considerare che un aiuto a ostilità iniziate conterrebbe tutte le ragioni per giustificare da parte degli orientali una violazione della nostra neutralità e ci porterebbe volenti o nolenti in pieno conflitto.

Le nostre possibilità finanziarie ed industriali, non solo non ci consentono di aumentare il nostro potenziale bellico, ma ci permettono appena di mantenere a stento in piedi l'esercito e la marina, mentre l'aviazione pur tanto importante va rapidamente esaurendosi e scomparendo. Ne consegue che i mezzi per una neutralità armata devono esserci fomiti dall'estero. Noi oggi abbiamo, oltre alle forze sotto le armi, un certo numero di classi in congedo istruite in questi ultimi anni e composte di elementi giovani, sani, sui quali si può fare un notevole assegnamento. Abbiamo altresì in servizio o in congedo gli ufficiali e i sottufficiali necessari per inquadrare queste forze. Al contrario manchiamo di tutto nel campo dell'armamento e dell'equipaggiamento.

Gli aiuti che finora abbiamo avuto furono minimi per entità, eterogenei per natura e sporadici per arrivo. Utili per il problema interno, irrisori ai fini di una guerra sia pure difensiva.

Per una buona efficienza militare dovremmo ricevere per l'esercito, dotazioni complete per intere divisioni da accantonare nei nostri magazzini di mobilitazione che ci consentano di creare rapidamente con le forze in congedo le divisioni necessarie per darci una possibilità di resistenza che si avrebbe se potessimo passare, in caso di mobilitazione, dalle 5 divisioni attuali a 15-20 divisioni.

Per l'aviazione siamo nelle stesse condizioni: abbiamo il personale, ci manca il materiale. Perciò come minimo ci sarebbe indispensabile avere apparecchi moderni con i quali mantenere addestrati i nostri aviatori, così che ricevendo in tempo gli apparecchi nella quantità necessaria possano entrare in azione.

Forse non è impossibile trovare questi contributi considerando che in caso di una conflagrazione generale, si può fondatamente ritenere che il blocco occidentale intenda mantenere dal Mare del Nord ali 'Egeo un contegno difensivo, mentre si svolgerebbe soprattutto per via aerea e mercé la bomba atomica, una azione offensiva per le ali, per arrivare direttamente nella parte centrale e vitale dell'organismo avversario, così da distruggere le sorgenti della sua azione periferica.

Un tratto importantissimo di questo settore difensivo è costituito dall'Italia, perciò la difesa dell'Italia rappresenta un interesse diretto delle nazioni occidentali e soprattutto dell'America e dell'Inghilterra. Se non provvediamo noi a questa difesa vi dovrebbero provvedere loro; molto meglio per loro farlo con semplice invio di materiali piuttosto che con quello di intere grandi unità. Si può credere che di ciò siano convinti anche gli americani; al contrario le altre nazioni europee del blocco occidentale ci sono ostili e ci vorrebbero esclusi oltre che per diffidenza verso la nostra politica, per la povertà delle nostre forze, che farebbe di noi più un peso che un aiuto.

Non sta a me dire come si possa agire per avere gli aiuti e per smantellare le ostilità al fine di realizzare le condizioni base per una neutralità armata alla quale appigliarci se non si ritenesse utile e possibile altra soluzione.

In base alle considerazioni sopra esposte, credo di poter arrivare a queste conclusioni:

a) una neutralità disarmata è un assurdo;

b) una neutralità armata che dia sufficiente garanzia è possibile, a patto che ci vengano fomiti i mezzi materiali necessari da parte di chi è interessato alla nostra resistenza in caso d'aggressione, cioè dal blocco occidentale;

c) ove questa soluzione non fosse possibile non ci resterebbe che o passare a far parte integrante del blocco occidentale o mettere l'avvenire d'Italia nelle mani del caso e della fortuna.

266 1 Non rinvenuto.

267

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL CONSIGLIO DEI SUPPLENTI DEI MINISTRI DEGLI ESTERI

DISCORSO. Londra, 30 luglio 1948.

La Commissione quadripartita di indagine, nominata per riconoscere le condizioni attuali ed i desideri delle popolazioni della Libia, Eritrea e Somalia, ha presentato i suoi rapporti. Sulle conclusioni di quei rapporti oggi il Governo italiano, in base all'invito fattogli dalla Conferenza stessa, desidera esporre alcune sue osservazioni. Queste sono:

l) la Commissione ha sottolineato nelle sue conclusioni come, sia pure in grado diverso, manchino oggi in quei territori (Libia, Eritrea e Somalia) le condizioni necessarie per una indipendenza immediata e, comunque, per una formazione statale a sé che prescinda dall'assistenza di altri Stati. Vi sono, a giustificazione di questo assunto, circostanze politiche, economiche e finanziarie che sono attestate dai fatti raccolti ed accertati dalla Commissione. Tali fatti hanno maggior valore nelle condizioni attuali del mondo, quando la complessità dei problemi della vita internazionale e la delicatezza di essi in alcuni settori rende più che mai necessario che la vita autonoma di ciascun paese si svolga, politicamente ed economicamente, in coordinamento con i maggiori interessi della pace mondiale.

Dunque, quei territori non possono essere dichiarati immediatamente indipendenti ed hanno perciò bisogno di un periodo più o meno breve di assistenza e di preparazione prima di essere ammessi, appena ne avranno diritto, nella comunità degli Stati alla pari con tutti gli altri. Se così è, e così è stato riconosciuto sostanzialmente dalla vostra Commissione, ricorrono nel caso della Libia, Eritrea e Somalia le condizioni che la Carta di San Francisco prevede per l'esercizio di un trusteeship. Ed il Governo italiano ritiene che anzitutto vada anche esclusa l'ipotesi di un trusteeship esercitato da più Stati insieme, perché ciò appare già riconosciuto praticamente inattuabile nei paesi in esame, che per la loro vastissima estensione in superficie, la difficoltà delle loro situazioni etniche ed economiche ed altri motivi minori sono assai lontani nel loro stato di fatto dalle amministrazioni plurime di municipi cittadini o di piccole isole scarsamente popolate. Ammessa quindi l'opportunità del trusteeship esercitato da un singolo Stato, il Governo italiano ritiene che la sua lunga esperienza di quei paesi e delle loro popolazioni ed i risultati dell'opera già svolta costituiscano una valida indicazione per un trusteeship italiano.

L'Italia ha più volte dichiarato che accetta pienamente, nello spirito e nella lettera, la nuova concezione che la Carta di San Francisco ha formulato per i rapporti con i paesi extra-europei non ancora autonomi. Tali paesi, nell'opinione italiana e nel programma del Governo italiano, vanno amministrati od assistiti allo scopo di creare in essi le condizioni necessarie alla loro indipendenza. Questo vuole l'Italia ed a questo è pronta ad impegnarsi. Ed una tale dichiarazione di principio, che il Governo italiano oggi ripete, è valida -è appena bisogno di dirlo -per tutti i tre territori in questione: Libia, Eritrea e Somalia. Il Governo italiano, su questa ferma base della sua politica, accetta anche il risultato chiaro dei lavori della Commissione sulla diversità delle condizioni locali nei tre territori sopra nominati ed ovviamente accetta che di tale diversità si debba tener conto nel graduare la soluzione politica della loro sorte finale.

2) Ma quale è stata l'opera dell'Italia in quei territori? Noi consideriamo, infatti, tale quesito come una delle premesse della richiesta italiana di trusteeship, in quanto l'opera compiuta dà garanzia per l'opera da compiere.

La Commissione di indagine ha nel complesso riconosciuto l'importanza ed il valore dei risultati dell'azione italiana. Ma questa parte delle conclusioni della Commissione va politicamente valutata, secondo l'avviso del Governo italiano, tenendo conto, anzi tutto, di alcune circostanze particolari, nelle quali i lavori della Commissione si sono svolti e quali conclusioni sono state formulate. Ecco alcune precisazwm:

l'Italia ha svolto in quei territori una lunga opera che è durata più di cinquanta anni per l'Eritrea e la Somalia e trenta anni per la Libia. I risultati di tale opera vanno apprezzati equamente comparando lo stato nel quale Eritrea, Somalia e Libia si trovavano prima dell'arrivo degli italiani e quello nel quale gli stessi paesi erano nel 1941, quando all'Amministrazione italiana è succeduta l'Amministrazione militare britannica. È perciò giusto redigere un esatto inventario delle condizioni attuali di quei paesi; ma per valutare politicamente tale documentazione è necessario porre anche una domanda essenziale: quale è stato il punto di partenza dell'opera italiana?

Apparirà allora evidente come nei tre paesi in esame mancassero, prima dell'arrivo degli italiani, assolutamente anche le condizioni iniziali di sviluppo di una moderna civiltà. Era allora ardita impresa degna di valorosi esploratori soltanto il tentare di percorrere, con scorta armata ed in carovana, i 150 chilometri da Massaua ali' Asmara od, in Somalia, i trenta chilometri da Mogadiscio ad Afgoi oppure, in Libia, raggiungere da Tripoli il Gebel Nefusa. E di quegli esploratori vi fu chi rischiò la vita od una dolorosa prigionia in simili tentativi. Chi percorre oggi quelle stesse distanze, ed altre di gran lunga maggiori, lo fa lungo delle belle e moderne strade costruite dagli italiani; e, partendo da città civilmente attrezzate come oggi sono Tripoli, Mogadiscio e Massaua, attraversa territori che l'Amministrazione italiana con paziente lavoro aveva pacificato ed ordinato ed aperto ad ogni libera iniziativa di progresso. Soltanto così, dunque, l'inventario di quel che di civile oggi sussiste in Eritrea, Somalia e Libia assume il suo esatto valore comparativo. E tutti potranno in tal maniera rendersi conto non solo delle ragioni storiche e morali per le quali il popolo italiano è così profondamente affezionato a quei risultati del suo lavoro di più di 50 anni, ma anche del contributo positivo che l'Italia con quel lavoro ha dato al progresso umano e civile di queste regioni del continente africano.

3) Come si è qui detto per l'inizio dell'opera dell'Italia, così egualmente, nella valutazione di essa, va tenuta presente la sua interruzione. La Libia, l'Eritrea e la Somalia, è appena il caso di menzionarlo, non sono più amministrate dall'Italia ormai da più di sette anni. Questo fatto, assai ovvio, va tuttavia continuamente richiamato, perché ha due importanti conseguenze politiche. Anzi tutto i consensi, che, pur attraverso tutte le altre difficili circostanze di luogo e di tempo, l'Italia ha avuto dalle popolazioni durante i lavori della Commissione, hanno tanto maggior valore in quanto sono consensi dati ad un Governo che è assente da sette anni dal territorio e la cui attività è da sette anni oggetto, per la prolungata incertezza sulla sorte di quei paesi, di una vivace propaganda contraria dall'esterno. Altra, e non minore, conseguenza politica dell'attuale assenza dell'Italia da quei paesi è il fatto che nel valutare l'azione italiana è giusto appunto riferirsi non già alla situazione attuale del mondo ma a quello che essa era, in generale e particolarmente nei rapporti con l'Africa, prima della seconda guerra mondiale, quando l'Amministrazione italiana fu sostituita e perciò non potè più seguire la suo opera in nuove direzioni. Si vedrà allora, tenendo presente questo stato di cose, come l'Italia, pur attraverso inevitabili deviazioni e possibili errori, che sono di tutti in Africa e fuori, con la sua opera più tardi interrotta abbia saputo ottenere simpatie costanti da parte delle popolazioni, di cui, nonostante tutto, non sono mancate le vivaci espressioni pur dopo sette anni; e come l'Italia è preparata, con larga e comprensiva simpatia verso le genti libiche, eritree e somale, a considerare dal punto di vista più ampio la nuova fase delle sue relazioni con loro.

4) Un'altra considerazione va ancora tenuta presente, secondo l'opinione del Governo italiano, nel valutare le conclusioni dei rapporti della Commissione. I lavori della Commissione si sono svolti in circostanze molto particolari della vita di quei territori. Le popolazioni della Libia, Eritrea e Somalia sono da molti anni nella incertezza della loro sorte. Questa incertezza, che, insieme ad altre circostanze, segna anche il carattere speciale dell'Amministrazione militare provvisoria, ha gravi conseguenze sulle condizioni economiche e politiche di quei territori. Si aggiunga a tutto questo la attivissima lotta dei partiti ed il fatto che, per anni e spesso sin quasi alla vigilia dell'arrivo della Commissione, nulla è stato consentito di fare alle correnti simpatizzanti per l'Italia per esporre le proprie vedute ed organizzare le proprie forze politiche. In tali deficienze ambientali si è inevitabilmente svolta l'opera della Commissione, e ciò va tenuto presente, indipendentemente dalla indubbia buona volontà e dal grande impegno dei singoli delegati, cui sono lieto di rendere oggi testimonianza.

Ma ancora la Commissione di indagine aveva dalla Conferenza un compito delimitato: accertare localmente la situazione di fatto dei territori ed i desideri delle popolazioni. Ed aveva una composizione ben precisa, comprendendo soltanto i delegati delle Quattro potenze, non avendo la Conferenza accolto la richiesta da noi fatta che i rappresentanti dell'Amministrazione italiana partecipassero o fossero sentiti durante i lavori, come invece furono sentiti quelli dell'Amministrazione militare britannica.

Perciò le conclusioni della Commissione vanno certamente integrate con tutto quanto risulta dalla documentazione che il Governo italiano ha ripetutamente presentato alla Conferenza dei Supplenti e, prima, alla Conferenza di Parigi, circa quei territori. E non vi è dubbio che molti dei quesiti che i componenti della Commissione si sono posti nei loro rapporti ed alcune delle riserve da loro accennate trovano la loro risposta appunto nella documentazione del Governo italiano. Basterà qui citare, a titolo di esempio, i dati sulla situazione finanziaria della Libia, Eritrea e Somalia esposti già in apposito memorandum e chiariti verbalmente alla stessa Conferenza dei Supplenti nella seduta del 21 novembre 1947. Si può aggiungere la documentazione contenuta nel rapporto sulla agricoltura in Somalia, che prova quanto il Governo italiano ha fatto in quel territorio per instaurare una legislazione di protezione del lavoro africano pienamente rispondente allo spirito degli Accordi di Ginevra del 1932 ed alla attività del B.I.T. 1 , cui l'Italia ha riferito in merito ancora nel 1945. E lo stesso criterio valga per molti altri casi, che sarebbe fuor di luogo qui enumerare. Comunque, il Governo italiano vuole soltanto oggi sottolineare come la Conferenza, oltre ai rapporti della Commissione sugli accertamenti locali, vorrà evidentemente valutare, in tutta equità, le relazioni presentate sui vari problemi dall'Italia.

5) La Commissione, come si è detto, ha riconosciuto che esistono in Libia, Eritrea e Somalia le premesse di fatto per un trusteeship; e l'opera dell'Italia, da valutare secondo i criteri che ho sin ora esposti, è un titolo valido perché ali 'Italia stessa venga affidato tale trusteeship.

In quali condizioni il trusteeship può essere esercitato? Vanno qui brevemente esaminate due questioni: una, per così dire, da un punto di vista esterno, ed una interna. Quella esterna è la seguente: esistono per alcuni dei territori in esame richieste di carattere territoriale da parte di altri Stati o progetti di soluzione che altererebbero gravemente la fisionomia politica e la consistenza del territorio dei paesi in esame. Il Governo italiano intende sottolineare alla Conferenza, a tale proposito, che la Commissione di indagine ha dovunque accertato la grande prevalenza, presso le popolazioni interessate, della tendenza che, al di sopra di ogni altra questione, vuole che sia mantenuta l'unità politica del territorio. Tale desiderio delle popolazioni è, nell'opinione del Governo italiano, perfettamente conforme agli interessi della pace in quei settori del Continente africano. Nell'opinione del Governo italiano, in questa materia non si può prescindere né dai voti delle popolazioni dei territori stessi né, d'altra parte, da alcune situazioni locali in quanto, però, queste non ledano né interessi generali né i desideri delle popolazioni. Ed in tal senso, ad

401 esempio, il Governo italiano, che è pure stato il primo già nel 1928 ad accordarsi col Governo etiopico per uno sbocco al mare dell'Etiopia, si è ancora dichiarato pronto in sue precedenti comunicazioni ad accettare una nuova pratica soluzione di tale problema, quale potrà essere studiata. Ma il Governo italiano deve preoccuparsi altresì che la soluzione di tutte le questioni locali, di cui qui si vuoi fare cenno, sia trovata in maniera da non creare in questi settori del Continente africano organismi politici artificiali o tracciati di frontiere fissati sotto l 'impulso di considerazioni momentanee e contingenti. Sarebbe un danno per tutti, e particolarmente per le popolazioni della Libia, Eritrea e Somalia. Queste, che debbono essere guidate all'indipendenza, hanno perciò anzi tutto la necessità di un territorio sicuramente delimitato e capace di sostenere un governo autonomo.

A questo si aggiunga una questione, come si è detto, di carattere interno: a quali criteri di governo si ispirerebbe il trusteeship italiano? Non è necessario qui ripetere ancora una volta le dichiarazioni già fatte dal Governo italiano sia nelle Conferenze internazionali che al Parlamento. Ma ritengo opportuno soltanto dire questo: il trusteeship che l 'Italia chiede sarà regolato dalla Statuto che l'Assemblea delle Nazioni Unite potrà fissare preliminarmente, a somiglianza di quanto è stato fatto per i trusteeships sinora affidati al Belgio, alla Francia, alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti di America, ecc. Ma, entro i principi di quelli che saranno gli Statuti deliberati dalle Nazioni Unite, l'Italia si dichiara pronta ad andare incontro ai desideri delle popolazioni, concordando con esse e con i loro rappresentanti qualificati le modalità dell'esercizio del trusteeship, in maniera che questo corrisponda in tutto alle aspirazioni delle genti di quei territori.

Con questi criteri l'Italia, nell'attuale fase della Conferenza dei Supplenti, rinnova la sua richiesta di amministrazione fiduciaria della Libia, Eritrea e Somalia, in conformità della Carta di San Francisco.

267 1 Bureau Intemational du Travail.

268

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10223/205. Atene, 31 luglio 1948, ore 1,35 (per. ore 7,50).

Nella conversazione avuta con Tsaldaris e di cui al mio odierno telegramma per corriere 096 1 , ho preso occasione per intrattener! o su passo compiuto per le colonie di cui al mio telegramma 2022 . Gli ho fatto presente pericolo che perdita di tempo cammino prescelto per accordo globale affari pendenti italo-greci minacciava farci trovare di fronte limitazioni generali situazione internazionale che avrebbe finito per

2 Vedi D. 233, nota l.

402 imporre fra Italia e Grecia matrimonio convenienza oscurante spontaneità due popoli di stringere invece rapporti sinceri di amicizia. L'ho pregato di riflettere occasione per Grecia con un gesto a noi favorevole nella questione coloniale almeno illuminare lungo e difficile cammino prescelto per suddetti accordi collegati, cosa che sarebbe comunque rimasta rimedio ogni deprecabile soluzione. Gli ho detto come cieca politica inglese spingeva sempre più Italia verso America dando convenienza Grecia per questa nostra questione sottrarsi a solita politica asservimento ottenendo vantaggio di un buon accordo stretto con noi per interessi greci nelle colonie che sarebbe valso anche nella dannata ipotesi di un trusteeship collettivo dal quale non vedevo come in nessun caso si sarebbe potuto escludere l'Italia.

Tsaldaris mi assicurò che avrebbe chiamato Pipinelis per decidere e che stimava giuste mie considerazioni.

268 1 Riferimento errato. Trattasi probabilmente del T. per corriere 10416/032 del 30 luglio, con il quale Prina Ricotti informava di aver ottenuto da Tsaldaris che Vakalis, «noto italofobo» che era stato nominato membro della Commissione per lo sblocco dei beni italiani, venisse sostituito.

269

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO 1 . Roma, . . . luglio 19482•

Sia intanto chiaro che le considerazioni che seguono non possono riferirsi alla eventualità di un conflitto immediato o a molto breve scadenza, ma a quella di un conflitto che potrebbe verificarsi a distanza di qualche anno.

Nella prima ipotesi infatti la nostra appartenenza o meno al Patto di Bruxelles, per quanto riguarda le possibilità militari di difesa, non ci offrirebbe vantaggi maggiori di quelli offerti ai paesi aderenti al Patto, con la sola differenza, dal punto di vista politico, che avremmo, per il fatto stesso di essere liberi da ogni impegno di alleanza, la possibilità, almeno teorica, per quanto debole, di rimanere neutrali, in una neutralità altrettanto inerme quanto la belligeranza dei Cinque.

La situazione cambia però radicalmente se si prende in considerazione la seconda ipotesi. Fra qualche anno l'America avrà terminato il proprio riarmo e iniziato --sin dal tempo di pace -quello dell'Unione Occidentale. A quell'epoca la differenza fra i paesi dell'Unione Occidentale e quelli che ne saranno rimasti fuori sarà più sostanziale. I primi, in caso di conflitto, saranno, è vero, coinvolti automaticamente, ma anche automaticamente saranno garantiti sul terreno militare e su quello diplomatico. I secondi potranno trovarsi soli con la sola teorica possibilità di potersi salvare con una neutralità disarmata e perciò affidata unicamente alla buona

Non si è in grado di precisare in quale giorno di fine luglio questo appunto sia stato redatto.

volontà o meglio al disinteresse strategico dei due gruppi avversari. Esiste questo disinteresse nel caso dell'Italia?

Per quanto riguarda le disposizioni russe, in caso di guerra, nessuna azione diplomatica potrebbe mai definirle in anticipo. Si può dire soltanto, e questo con qualche fondamento, che i russi, essendo i più forti per armata terrestre e nel primo periodo del conflitto, ma i più deboli sul mare e nell'aria e nella seconda fase della guerra, sarebbero verosimilmente portati facilmente a premunirsi contro l 'utilizzazione da parte americana di basi italiane così minacciosamente vicine al loro schieramento. Comunque, sarebbe già qualche cosa se si potesse accertare sino a qual punto l'Italia è inclusa nella zona strategica di interesse americano. A questo proposito è da ricordare che l'ambasciatore Tarchiani, con il suo rapporto n. 1568 del 27 aprile3 , riferiva di avere appresso da fonte ufficiale che sarebbero state impartite istruzioni all'ambasciatore Dunn di assicurare il Governo italiano che «in caso di pericolo gli Stati Uniti avrebbero considerato la difesa de li'Italia alla stessa stregua di quella della Francia e che il confine dell'Isonzo ha per Washington lo stesso valore di quello del Reno, rappresentando la Iran Curtain il limite di separazione tra i due mondi oggi in contrasto». Qualche voce successiva può avere gettato dubbio o incertezza su questa tesi; dubbio e incertezza che sarebbe nel nostro interesse di rimuovere.

Ma, naturalmente, il quesito non può essere posto in termini astratti. Innanzi tutto perché il pensiero strategico americano non è probabilmente ancora fissato, in secondo luogo perché l'Alto Comando americano prevede vari commitments di varia misura ed estensione a seconda del livello che il riarmo americano avrà raggiunto al momento dello scoppio del conflitto. In terzo luogo, infine, perché una simile decisione farebbe parte di un segreto militare che non potrebbe essere divulgato, e tanto meno ad uno Stato che ponga la domanda in vista di assicurarsi una neutralità che riuscirebbe certamente sospetta.

Il problema che si pone al Governo italiano è quindi, nella palese impossibilità di assicurare a priori al cento per cento la neutralità dell'Italia, di giudicare sino a qual punto la fiducia o meglio la speranza di poter conservare tale neutralità debba indurre ad astenerci dall'aderire all'Unione Occidentale la quale ci esporrà bensì ad entrare automaticamente in conflitto, ma ci offrirà al tempo stesso la possibilità di una effettiva difesa, che in caso diverso ci verrebbe a mancare. Questa possibilità è da considerarsi in progressione aritmetica e sarà pertanto più concreta col progredire del tempo; ed è in questa situazione che potrebbe forse trovarsi una formula atta a risolvere il complesso problema tenendo conto di tutte le considerazioni e circostanze già espresse dalle ambasciate che hanno trattato l'argomento e dal Ministero.

Dalle varie informazioni pervenute e confermate del resto da quanto lo stesso Bidault ebbe a dire all'ambasciatore Quaroni4 , risulta evidente che, attualmente, le possibilità di aiuti militari da parte degli Stati Uniti, alle cinque potenze del Patto di Bruxelles, non vanno oltre i termini della dichiarazione Vandenberg, in quanto gli

4 Vedi D. 218.

americani non ritengono di poter fare qualcosa di concreto sino a che il loro proprio riarmo, che a Washington continua ad essere considerato come la prima e più importante tappa da compiersi, non abbia raggiunto determinati livelli. È stato inoltre detto, da parte americana, che la messa in stato di difesa della Groenlandia, Irlanda e Islanda costituisce il primo obbiettivo da raggiungersi fuori delle frontiere degli Stati Uniti. Ciò risponde del resto ad esigenze tecniche e militari ben comprensibili ed è da ritenersi che l'eventuale difesa dell'Europa verrà presa in considerazione in tempi successivi estendendola progressivamente dall'estremo occidente europeo e nord Africa, via via verso est a seconda dei progressi del riarmo americano e delle disponibilità offerte da tale riarmo. In queste condizioni è da ritenersi che l'Italia non potrebbe venir compresa nell'area di una effettiva difesa americana che in un secondo o terzo tempo.

Tanto gli americani quanto le potenze del Patto occidentale dovrebbero comprendere come sia appunto tale prospettiva a renderei estremamente perplessi nell'esporre sino da ora il paese alla automaticità di un conflitto. Essi dovrebbero altresì chiedersi se per avventura sino a tanto che non saranno in grado di comprendere il nostro paese nella loro area strategica non soltanto teorica, ma pratica, e di poterlo quindi difendere e mantenere, non sia più conveniente per essi cercare di sottrarlo ad una eventuale occupazione dall'est cercando di facilitare il nostro tentativo di mantenerci non belligeranti. Affinché un tale programma possa però avere una qualche probabilità di riuscire è necessario che l'Italia sia in grado di far rispettare la propria non belligeranza; è quindi necessario che sia armata in modo da rappresentare per un eventuale aggressore un serio ostacolo da superare e non come ora -una invitante porta aperta. Ove non fossimo attaccati: tanto di guadagnato per noi e per gli stessi occidentali. Ove invece lo fossimo, diventeremmo automaticamente loro alleati con tutte le conseguenze che ne derivano. Una tale soluzione avrebbe anche il vantaggio di non compromettere-attraverso una nostra preventiva adesione al Patto occidentale -quella sia pur minima probabilità di facilitare una evoluzione in senso astensionista dei paesi balcanici che, ove dovesse verificarsi, costituirebbe una ulteriore garanzia di pace. Infine ci consentirebbe una trattativa diretta con Washington rinviando una formale adesione al Patto di Bruxelles, per la quale la nostra opinione pubblica non appare ancora matura, ad un tempo successivo quando saranno anche state tolte di mezzo talune delle questioni che abbiamo ancora pendenti con qualcuna delle potenze europee.

Le possibilità di questa soluzione sembrano quindi meritevoli di venire approfondite ed esplorate.

Nel frattempo si potrebbe cercare di insistere per spingere innanzi l'idea della Federazione europea di cui ha parlato il ministro Sforza a Perugia5 e cui sembra abbia anche accennato Bidault all'Aja6 : federazione teoricamente aperta a tutti i paesi europei, che potrebbe intanto comprendere quelli aderenti all'O.E.C.E. e mettere

l'accento sulla collaborazione economica, sociale e culturale, lasciando che la collaborazione militare fra i paesi stessi derivi poi come logica e automatica conseguenza del vincolo federativo che verrebbe fra di essi a costituirsi.

269 1 L'appunto reca a margine la seguente annotazione autografa di Sforza: «Segretario generale. A voce appena tomo. Fin d'ora è inteso che ne parlerò a fondo con Dunn e poi a tre, presidente del Consi~lio, Dunn, io».

269 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 620.

269 5 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 483-496. 6 Si riferisce alla riunione del Consiglio consultivo dell'Unione Occidentale che si tenne a L' Aja nei giorni 19 e 20 luglio, vedi DD. 235 e 249.

270

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

T. S. N.O. 8888/133. Roma, 2 agosto 1948, ore 23,45.

In queste ultime settimane abbiamo avuto colloqui con Mahmud Muntasser1 e Ben Shaban attualmente come noto a Roma. Colloqui si sono mantenuti su termini generali ma da essi abbiamo tratto impressione (che merita peraltro venire confermata costà) che Azzam Pascià sarebbe disposto riprendere conversazioni iniziate scorso anno tramite Lisi. Pregola prendere contatto con predetto, assodare se tali disposizioni siano reali e chiedergli se, a suo parere, sarebbe possibile raggiungere intesa su seguenti basi di massima:

l) da parte araba si prenderebbe atto conclusione Commissione di inchiesta secondo cui Libia non è attualmente in condizioni avere immediata indipendenza e si dichiarerebbe che, al fine raggiungere tali condizioni, assistenza italiana è preferibile a quella di altre potenze;

2) da parte italiana si prenderebbe atto constatazioni Commissione di inchiesta che larga maggioranza opinione pubblica libica aspira indipendenza e si assumerebbe impegno offrire propria assistenza alla Libia nell'intento metterla al più presto in grado raggiungere tale indipendenza;

3) da entrambe le parti si riconoscerebbe necessità che debbano immediatamente venire indette in Libia elezioni generali a suffragio segreto e diretto sotto il controllo delle quattro potenze o di un delegato dell'O.N.U. per la nomina di una Assemblea. Alle elezioni parteciperebbero tutte comunità residenti;

4) Assemblea avrebbe il compito nominare una delegazione incaricata trattare con Governo italiano termini assistenza e rapporti fra Italia e Libia per il periodo di così detta «amministrazione fiduciaria» e di ratificare accordo che stabilirebbe anche i limiti della emigrazione italiana.

Dica ad Azzam Pascià che i Quattro non si metteranno certamente d'accordo entro 15 settembre e che pertanto situazione attuale appare destinata prolungarsi con conseguente progressivo peggioramento condizioni economiche e sociali locali che danneggiano tanto comunità italiana quanto quella araba. Aggiunga che un diretto accordo italo-arabo avrebbe grande risonanza, aumenterebbe prestigio Lega araba e metterebbe quattro potenze di fronte loro responsabilità.

È probabile che prima di impegnarsi Azzam Pascià intenda attendere esito attuale missione Boshir Saadawi in Libia diretta compiere nuovo tentativo unificazione paese sotto Senusso. In tal caso gli lasci tempo riflettere. Riferisca appena possibile esito suoi contatti 2•

270 1 Vedi D. 152.

271

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10330-10359/167-168. Bruxelles, 2 agosto 1948, ore 21,10 (per. ore 18,30 del 3).

Miei telegrammi 165-166 1•

Riguardo questione colonie italiane ho avuto stamane colloquio con questo segretario generale Ministero affari esteri. Questi che conosco da moltissimi anni mi ha detto riconosceva motivi equità e interessi che militano in favore tesi italiana ma che doveva dirmi con tutta franchezza che non era possibile che Belgio prendesse in questo momento posizione contraria alla politica inglese.

Ho ripreso e sviluppato del mio meglio argomento solidarietà occidentale e ho ricordato come proprio di recente alla Camera dei deputati belga un deputato avesse auspicato il ritorno dell'Italia nelle sue antiche colonie per facilitare nell'interesse generale dell'economia internazionale la ripresa dell'attività produttrice in quei territori.

Ho osservato che conclusioni della Commissione d'inchiesta non rappresentano in definitiva che opinione personale dei singoli commissari; nessuno dei quattro Governi aveva finora preso ufficialmente posizione e non è detto che essi debbano in definitiva concordare in pieno nel modo di vedere dei singoli commissari. Questi avevano formulato le loro conclusioni in base sopratutto ad osservazioni e considerazioni di carattere locale; i quattro Governi al momento di prendere una decisione definitiva avrebbero certo tenuto conto anche di considerazioni di carattere generale. Per raccogliere appunto ogni opportuno elemento di giudizio il Comitato di Londra aveva invitato gli altri Governi interessati a formulare le loro eventuali osservazioni.

Non si trattava di prendere posizione contro nessuno ma mi sembrava evidente che gli Stati dell'Europa occidentale dovessero manifestare nella forma più equa e misurata le loro maggiori simpatie per quella soluzione che appariva meglio conforme agli interessi del! 'Occidente.

Segretario generale avendo ripetuto nel corso della conversazione che era difficile per il Belgio manifestare ufficialmente un parere al riguardo troppo discorde da quello che si conosceva essere il punto di vista britannico, gli ho detto che io ero stato incaricato di rivolgermi non solo al Governo belga ma personalmente al presidente Spaak facendo appello al suo spirito di comprensione ed ai sentimenti di uomo politico europeo, e che non dubitavo che oltre la comunicazione in via uffi

271 1 Vedi D. 262.

407 ciale del punto di vista belga Spaak avrebbe certo trovato modo per svolgere in forma più discreta e personale efficace azione in favore della nostra tesi.

Nel colloquio avuto con lui due giorni or sono presidente Spaak si era dimostrato favorevolmente disposto; pregavo molto gli uffici del Ministero di non ostacolare ora le buone disposizioni manifestate dal ministro.

Comunico infine che fino ad oggi 2 agosto il rapporto della Commissione di inchiesta non è pervenuto a questo Ministero.

270 2 Vedi D. 293.

272

L'INCARICATO D'AFFARI A V ARSAVIA, FERRETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0340/68. Varsavia, 2 agosto 1948, ore 16,30 (per. ore IO del 3).

Mio telegramma 67 1•

Segretario generale Ministero degli affari esteri mi ha comunicato oggi che risposta polacca alla conferenza sostituti circa colonie italiane sarà data per iscritto e confermerà punto di vista già espresso precedentemente.

Segretario generale ha aggiunto che nell'interesse buone relazioni fra i due paesi sperava opinione pubblica italiana informata favorevole atteggiamento polacco nei riguardi nostra richiesta.

Ha osservato che ciò non era accaduto prima volta forse causa vicinanza ele

ZIOni.

Gli ho risposto che il ministro Sforza non aveva mancato rilevare in Parlamento simpatico atteggiamento polacco e che stampa ne aveva informato ripetutamente opinione pubblica.

273

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI, MARSHALU

L. CONFIDENZIALE2 . Roma, 2 agosto 1948.

During August 1945, at the eve of the first preparatory meeting of London for the Italian Peace Treaty, l felt bound to address to your predecessor a warm appeal

so that, in the process of drafting the Treaty, the Powers should not loose sight of those moral and politica! necessities that appeared to us essential in order to ensure to the Italian people a peace based on justice, a peace that could not be considered a punishment for past errors but the solid foundation of a better future for all Europe.

Unfortunately, and notwithstanding the persistent friendly efforts of the United States Government, the Peace Treaty -signed in Paris on February 10th, 1947 -did not spare Italy heavy sacrifices, both economie and territorial, and humiliations that were deeply resented by the Italian people.

My Government, overcoming serious opposition throughout the country and within my very Party, did not however hesitate to shoulder the responsibility of proposing to -and obtaining from -the Constituent Assembly the ratification of the Treaty.

Like Foreign Secretary Sforza, I was then convinced, as I am as yet, that the ltalian ratification was necessary not only in the interest of our country and to ensure Italy's return -as you aptly cabled him at the time -to the community of free nations, but also having in view those aims of generai cooperation that all countries of Europe must pursue so as to build a better world. Since then a great deal has been achieved in that direction by Italy in full and loyal collaboration with the Western Powers. At this moment, however, I must frankly confess you that I feel deeply concerned by the consequences that a solution of the colonia! question causing the Italian people a fresh humiliation would bave on public opinion bere, especially if such a solution should be forced upon us by those Western nations with which Italy is so willing the collaborate.

As you are well aware, Mr. Secretary of State, the colonia! question is the only one the Peace Treaty left open instead of deciding against us; and with the passing of time, and pursuant the recurrent manifestations of solidarity that we bave offered to the W est, it appears bere more than justified to hope that it shall not be so difficult to solve the problem, with the aid of friendly countries, in a reasonable manner in accordance with Italian legitimate expectations, and following those principles of solidarity that ought to bind the Western world.

It is a question deeply felt by the Italian people without party or class distinction, and as such it has become a matter that involves the very responsibility of my Government towards the country. Should I not stress the consequences that an unfavourable solution of the question would bave from this angle, I would fail in my duty of beeing perfectly frank towards the American Government to which we are, and we want to remain bound by the firmest ties.

It is hardly necessary to reassure you, Mr. Secretary of State, that also in the colonia] field Italy proposes to adhere wholeheartedly to the principles set forth in the Charter of the United Nations. Italy, therefore, is fully resolved, once enabled to return to Africa, to set at work immediately for the independence of those lands, whose progess, after all, has been our work.

272 1 Del 29 luglio, con il quale Ferretti aveva riferito che il segretario generale agli esteri polacco non prevedeva cambiamenti del punto di vista del suo Governo circa le colonie italiane. 273 1 In Archivio De Gasperi. 2 Una annotazione a margine avverte: «Non si invia (già fatta comunicazione orale -rifare ora lettera a Dunn)». Per le comunicazioni qui citate vedi rispettivamente i DD. 243, nota I e 283.

274

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 941/13989/2866. Parigi, 2 agosto 1948 1•

L'incontro fra le delegazioni italiana e francese, cominciato sotto gli auspici di una terribile confusione, si è sostanzialmente chiuso in modo soddisfacente: dovrei dire, francamente, anzi assai meglio di quanto io mi aspettassi. Data la ristrettezza del tempo, esso non poteva fare altro che tracciare il programma di quello che le due delegazioni avrebbero dovuto mettere allo studio per potere poi concretare nella prossima riunione di settembre. Questo è stato fatto ed il programma di lavoro è vasto, sufficientemente ardito e dimostra volontà di riuscire. Quello che per noi è poi più importante è che questo programma è stato principalmente concretato per iniziativa francese. Nelle precedenti riunioni, eravamo stati noi a prendere l'iniziativa e a trascinare dietro i francesi: nel corso di questa riunione, per un complesso di ragioni, l'iniziativa è stata francese: nel complesso ritengo che questo sia stato un bene: e che, entro certi limiti, sia bene di continuare a fare lo stesso anche per l'avvenire. Tanto non saremo noi a far fare ai francesi il passo più lungo di quello che vogliono: stando così le cose è meglio che lasciamo, nelle grandi linee, l'iniziativa ai francesi.

Ella ha già visto il programma: Grazzi le avrà riferito a voce sullo svolgimento delle trattative: ho visto anche che il Ministero degli esteri ha già invitato i differenti dicasteri a predisporre i necessari lavori. Per la mia parte mi limito ad attirare l'attenzione dell'E.V. su alcuni aspetti, che ritengo salienti, del problema.

l) È una questione minore di carattere organizzativo. Il procedere dell'Unione doganale imporrebbe a questa ambasciata, e sempre più lo farà nell'avvenire, la necessità di nuovi contatti, studi; solleva problemi nuovi. Fin qui questo è stato cercato di fare dall'ufficio dell'addetto commerciale: attualmente, l'aumentata mole del lavoro dell'ufficio stesso, a causa della complicatezza dei rapporti commerciali, e le aumentate necessità concernenti l'Unione doganale, rendono impossibile il continuarlo col personale quale esso è: è necessario un rinforzo.

Il ministro Grazzi mi aveva già da tempo indicato a questo scopo il dott. Giancola: sulla persona sono perfettamente d'accordo: occorrerebbe però procedere alla sua nomina ed alla sua assegnazione a Parigi senza più tardare.

Se la riunione di settembre dà i risultati che speriamo, occorrerà gradatamente costituire una segreteria speciale dell'Unione doganale: si vedrà se conviene fare due organi separati o piuttosto, fin dal principio, una segreteria italo-francese: per molti esperti si potrà forse economizzare ricorrendo ai servizi di quelli che già stanno qui per il piano Marshall: ma comunque è ormai giunto il momento di cominciare a procedere alla creazione di un piccolo nucleo.

2) Nel suo telespresso n. 01316/c. del 24 luglio 48 2 inviatomi per conoscenza, il Ministero accenna ali' opportunità di promuovere accordi fra le due siderurgie. Vorrei sottolinearle come ho già fatto altra volta in una mia lettera privata, che non si tratta di un problema fra gli altri: si tratta del problema n. l, se noi vogliamo veramente arrivare all'Unione doganale.

Il Comité des Forges adesso non si chiama più Comité des Forges ma Chambre syndicale, «but you can call a rose different names ... ». È stato un po' nell'ombra per ragioni politiche, ma ne li 'ultimo anno ha ripreso fiato e sta rapidamente riprendendo la sua situazione di Stato dentro lo Stato. Esso controlla il 60 per cento almeno dei deputati, buona parte della stampa, l'alta burocrazia, eccetera. In una parola, se siderurgia italiana e siderurgia francese si mettono d'accordo si può dire che abbiamo fatto il 50 per cento dell'Unione doganale. Senza accordo fra le due siderurgie, per la parte francese, non faremo mai l'Unione doganale. Ho avuto occasione di incontrarmi direttamente con i veri capi, Wendel e Schneider, che per ragione di peccatucci passati preferiscono ancora stare nell'ombra dietro alcuni prestanomi. Non hanno nessuna intenzione di mangiarsi la siderurgia italiana: sono prontissimi a rispettare quello che esiste, non solo come produzione effettiva ma anche come produzione potenziale, ossia sui tre milioni e mezzo di tonnellate: un accordo quindi non dovrebbe essere impossibile a meno che noi si voglia tornare ai sogni ambiziosi dell'autarchia mussoliniana. Comunque bisogna trattare perchè se l'accordo dovesse dimostrarsi impossibile, è inutile perdere tempo e danari per riunioni e conferenze di altro genere: bisogna abbandonare l'idea.

Bisogna anche tener presente che il Comité des forges mai consentirà a trattare di questo accordo con i ministri competenti italiani e con i direttori generali italiani. Se noi vogliamo arrivare ad un accordo bisogna che lo facciamo trattare dai produttori italiani: bisogna cioè fare incontrare a Parigi, o in Italia, i rappresentanti autorizzati sia del settore Finsider, sia della siderurgia privata. So quanto sia difficile metterli d'accordo, ma è qui che si dovrebbe mostrare l'abilità del nostro settore governativo. Posso preparare il terreno dell'incontro, facilitarlo, fare qualche approccio di carattere generale; ma in ultima analisi, bisogna che trattino direttamente gli interessati. So che questa idea può urtare tutto il nostro concetto molto statista della faccenda, ma bisogna tener conto che la Francia non è l 'Italia e che noi non possiamo cambiarla. Se si vuole il fine bisogna volere anche i mezzi.

Questo accordo mi sembra poi necessario ed urgente anche per ragioni che esulano dall'Unione doganale.

a) Fra le varie incognite che ci sovrastano, in terreno di piano Marshall, è anche il futuro della nostra siderurgia. Tanto più che, come stanno andando le cose, non è più soltanto dagli americani che dovremo difenderla -forse gli americani li avremmo potuto anche convincere -ma anche e soprattutto dai suoi concorrenti europei. Se quando la questione della siderurgia europea verrà sul tappeto noi avremo già un accordo colla siderurgia francese la difesa sarà molto più facile: i francesi sono già connessi con belgi e lussemburghesi: la lotta sarà solo con la siderurgia tedesco-americana: avremo tutta l'Europa con noi e saremo assai più forti. Se siamo soli, la nostra sconfitta è certa.

b) Questo benedetto Patto di Bruxelles ha anche un aspetto materiale non privo di importanza. Esso prevede non solo il pool e la razionalizzazione delle forze militari, ma anche, e in primo luogo, quello delle industrie di guerra, ossia siderurgia e quasi tutta la meccanica. Le conversazioni e i contatti a questo proposito sono già in corso. Noi siamo fuori del Patto di Bruxelles e dalla maniera con cui stanno andando le cose ne staremo fuori per un pezzo. Corriamo quindi il rischio, un bel giorno, di trovare tutta l'industria meccanica e siderurgica europea accordatasi, e probabilmente, tra non molto anche, con qualche particolare aiuto americano sia dentro che fuori del piano Marshall, al di fuori di noi. Se noi ci siamo già accordati con la siderurgia francese, potremo provvedere alla difesa dei nostri interessi attraverso di essa. Se non lo avremo fatto, la nostra situazione sarà non delle più facili. È un aspetto molto materiale, ma non indifferente, della politica di neutralità che è evidentemente sfuggito agli interessi italiani; altrimenti avremmo già vista la stampa italiana di destra cambiare di registro.

Comunque è mio dovere attirare l'attenzione dell'E.V. e del Governo italiano su questi tre aspetti del problema dell'accordo fra siderurgia italiana e siderurgia francese: si tratta di un problema serio ed al quale bisogna provvedere di urgenza.

3) I contatti avuti in questo periodo fra il Patronat francese e la nostra Confederazione generale dell'industria hanno messo in rilievo alcune differenze e divergenze che occorre tener presenti se si vuole condurre a termine il lavoro.

a) Differenza di struttura. Il Patronat francese comprende rappresentanza dell'industria, del commercio, della banca e dell'agricoltura. Esso può quindi parlare a nome di tutti e quattro; la nostra Confederazione generale dell'industria comprende solo l'industria ed è solo a suo nome che essa può parlare. Di nuovo attiro l'attenzione di V.E. sul fatto che la situazione in Francia è differente che da noi. In Italia si può benissimo concepire un'Unione doganale fatta dal Governo, forzando la mano alla Confederazione generale dell'industria, e alle altre Confederazioni, almeno a considerevole distanza dalle elezioni: in Francia no. Se si vuole quindi l'accordo diretto fra interessati bisogna che anche le altre tre Confederazioni prendano contatto col Patronat francese e non soltanto gli industriali: e anche questo è abbastanza urgente.

b) Differenze di politica. La Confederazione generale de li 'industria italiana è composta di ottime persone, in buona parte «!rizzate», comunque dipendenti dal Governo per salvarsi dal fallimento, abituate, da moltissimi anni a risolvere i loro problemi, non con i loro mezzi, ma andando a Roma. Il Patronat, e l'Industria francese ha sì un settore nazionalizzato, ma per il resto è composto di persone indipendenti, che vogliono restare indipendenti, non solo, ma che sostengono, e mostrano coi fatti, di funzionare assai meglio del settore nazionalizzato. La proporzione quale rappresentata al Comitato consultativo presso il Ministero dell'industria è di dieci indipendenti contro due nazionalizzati. Ha condotto una dura battaglia contro le nazionalizzazioni e contro il dirigisme ed ha vinta la battaglia. Non so se si possa ancora dire che il partito socialista in Francia ha avuto un colpo mortale: ma la politica di economia controllata è morta: assistiamo ora alle sue ultime convulsioni preagoniche.

Il Patronat francese è molto preoccupato di quello che va scoprendo dello statismo italiano dietro l'apparenza del nostro liberismo. Essi vogliono fare una politica di liberismo intelligente: accettano la pianificazione come direttiva generale di massima, auto-imposta, ma sono nettamente contrari ad ogni statizzazione. E non

vorrebbero associarsi ad un paese, ad un complesso industriale le cui tendenze anche se involontarie o imposte dalle circostanze sono contrarie alle sue. Non pretendo esprimere nessun giudizio sulla politica generale del Governo italiano: mi limito a constatare uno stato di cose che può far naufragare tutta la politica di unione doganale. Non perdiamo di vista che l'ostacolo vero, e forse insuperabile all'approfondimento del Benelux è l'impossibilità di mettere d'accordo l'economia !iberista belga coll'economia controllata olandese. Nè d'altra parte va dimenticato che il giorno che l'Unione doganale fosse non dico compiuta, ma anche soltanto avviata, è fatale che i concetti economici prevalenti nel complesso più forte (il francese) si imporrebbero al complesso molto più debole (l'italiano).

Quello che sarà in avvenire l'economia italiana è difficile prevedere oggi, probabilmente dipende da forze che sono al di fuori di noi ma in questo primo periodo se noi non vogliamo far naufragare la barchetta dell'Unione, bisogna che, almeno apparentemente ci adattiamo alle esigenze del nostro futuro partner: altrimenti rischiamo che il Patronat già molto favorevole, ora un po' reticente per questo aspetto inaspettato della vita italiana che ha scoperto, diventi contrario: perchè in questo caso l'Unione doganale non si farà.

Ripeto, la situazione francese è differente dalla nostra: da noi i parlamentari designati a dirigere la delegazione sono stati designati, credo, dal presidente del Consiglio: in Francia essi sono stati designati pure dal presidente del Consiglio, formalmente in consultazione con il signor Villiers, in realtà prevalentemente designati dal signor Villiers. C'è tutto un complesso giuoco di mascherature, di interposte persone, di prestanomi che solo adesso comincio ad intravvedere ma che è pieno di divertenti sorprese. Cito per esempio un fatto: il segretario generale dell'O.E.C.E., il signor Marjolin, figura come impiegato dello Stato e tale lo ritenevo: qualche tempo addietro ho invece scoperto che era un funzionario del Patronat, a suo tempo prestato al Commissario del piano Monnet, adesso a sua volta prestato all'O.E.C.E. È così per tante altre persone. Da noi i funzionari -non mi riferisco a quelli degli esteri -sono abituati a comandare agli industriali: lo si vede ormai un po' troppo: sentendosi i padroni sono anche un po' gelosi delle loro interferenze: amano parlare loro, decidere loro. Bisogna che in questo caso continuino a tirarsi un po' in disparte, e facciano figurare in prima linea gli altri.

Sono questi elementi di grande importanza in cui bisogna tener molto conto se si vuole riuscire allo scopo che ci siamo proposti. Fare un accordo politico è relativamente facile: realizzare una Unione doganale è molto più difficile appunto perchè si mette la mano in ingranaggi assai più complicati e nascosti: ma essa domanda appunto una tecnica differente; bisogna non lasciarsi trascinare dal potere apparente, bisogna andare a cercare il potere reale laddove è, e tener conto delle sue reazioni e delle sue esigenze. Cosa tanto più difficile quando la situazione si presenta così differente come è il caso fra Italia e Francia. Ma a non tenerne conto si rischia di mandare in aria il tutto3 .

274 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

274 2 Non pubblicato.

274 3 Per la risposta vedi D. 303.

275

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA PERSONALE 942/13990/2867. Parigi, 2 agosto 1948.

Mi permetto di attirare la sua attenzione sul mio rapporto n. 941113989/2866 del 2 corrente 1 relativo all'Unione doganale: mano a mano che ci avanziamo sulla via della sua realizzazione appaiono dei problemi, non tecnici, ma più profondi, direi di struttura, di cui bisogna tener conto se si vuole condurre a buon termine, come vorrei, questa sua idea. Quello che c'era da fare nel campo politico, fino ad ora, è stato fatto: ora entriamo nei rouages economici, più complessi e difficili. Non sono affatto pessimista, ci si può arrivare: ma bisogna vedere gli scogli e cercare di evitarli.

Perché non ci siano equivoci, tengo a mettere in chiaro che mi rivolgo a lei direttamente non perché sia menomamente scontento del lavoro di Grazzi. Lo faccio perché penso che i problemi su cui ho attirata la sua attenzione sono in buona parte problemi che concernono non l'opera dei funzionari, ma tutta la politica del Governo italiano e che possono essere risolti, decisi o se necessario mascherati in stadi superiori presso i quali solo lei personalmente può agire.

Riservatamente poi vorrei anche attirare la sua attenzione sulla composizione della nostra delegazione parlamentare. Sono tutte eccellenti persone, le cui capacità sono indiscusse, ma che sono venute qui senza la minima preparazione, vorrei dire senza la minima idea di quello che venivano a trattare. Trattare dell'Unione doganale non è la stessa cosa che andare a fare un discorso politico. Se intendono continuare ad occuparsene bisognerebbe che si mettessero sul serio a studiare, a lavorare per essere in grado di affrontare la discussione con i loro colleghi francesi che hanno un livello di preparazione, sia generale che specifica, ben differente.

Contrariamente alle disperazioni di Grazzi -e forse anche un po' per amore del paradosso -sostengo che, in questo primo stadio, la preferenza dimostrata dai capi della nostra delegazione per le passeggiate turistiche attraverso Parigi piuttosto che per il lavoro di commissione sia stata una vera fortuna. In tutta questa questione dell'Unione doganale l'atteggiamento francese è stato sempre quello di difendersi contro l'impetuosità italiana: trovati gli italiani assenti, hanno presa l'iniziativa loro e si è andati più lontani di quello che sarebbe avvenuto se l'iniziativa fosse rimasta nelle nostre mani. Probabilmente, vorrei dire certamente, questo stato di cose, continuando, potrebbe rendere molto più facile, e rapida, la conclusione dell'Unione doganale. Ma siccome lei potrebbe non condividere il mio punto di vista, ho ritenuto mio dovere avvertirla per sua riservata norma2•

275 1 Vedi D. 274. 2 Per la risposta vedi D. 289.

276

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

T. S.N.D. 8905/134. Roma, 3 agosto 1948, ore 13,30.

In relazione al telegramma n. 1331 pregati tener presente:

l) che delle proposte in esso contenute non (dico non) è stato fatto cenno ai due esponenti tripolini qui presenti desiderando noi !asciarne primo esame ad Azzam Pascià;

2) che si parla di Libia in quanto non conviene né a noi né agli arabi assumere responsabilità compromettere principio unità quel territorio, ma che stesse proposte valgono evidentemente e a maggior ragione anche per Tripolitania;

3) che è reciproco interesse mantenere eventuali conversazioni riservate dandone comunicazione ai Quattro e all'O.N.U. ad accordo eventualmente raggiunto.

277

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0385/189. Belgrado, 3 agosto 1948, ore 18,30 (per. ore 8 del 4).

A tesi di delegazione britannica che anche Italia Grecia e Belgio conservino loro diritti derivanti da Convenzione danubiana 1921 (mio te1espresso 1440/636 del 31 luglio scorso ) 1 , Vyshinsky ha risposto con dichiarazione che telegrafo a parte in chiaro2 . Ritengo opportuna questa segnalazione per eventuale riserva che Governo italiano ritenesse di dovere fare nella forma creduta più opportuna. Aggiungo che Vyshinsky, appoggiato da maggioranza, si considera dominatore situazione; ha negato ogni e qualsiasi diritto acquisito ed ha dichiarato che nuova Convenzione entrerà in vigore piaccia o no alla gente (vedi ancora mio te l espresso).

2 T. 10384/190 in pari data, non pubblicato.

276 1 Vedi D. 270.

277 1 Non pubblicato.

278

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 794/242. Nanchino, 3 agosto 1948 (per. il 19).

Facendo seguito a quanto già comunicato per filo, riassumo la posizione di questo Governo sulla questione delle nostre colonie, quale mi risulta dai contatti avuti in questi ultimi tempi e dai passi fatti in questi giorni in conformità delle istruzioni ricevute.

l) Questo Governo deve fare i conti con la propria ideologia ufficiale anticolonialista: deve fare anche i conti con i molti elementi irresponsabili che nel Kuomintang, nello Yuan Legislativo e negli altri organi dello Stato muovono di frequente al Ministero degli esteri l'accusa di scarsa intransigenza su tali principii. In effetti, nelle questioni che toccano la Cina da vicino, e cioé nelle questioni relative ai paesi dell'Asia sud-orientale, gli elementi responsabili di questo Governo si rendono ben conto che la cessazione del regime coloniale rischia di dar luogo (come in Indocina e in Indonesia) alla formazione di regimi paracomunisti o (come nella stessa Indonesia o nelle Filippine) a regimi nazionalisti locali vessatori per le comunità cinesi ivi residenti. Quanto più la prudenza o la consapevolezza dei concreti interessi cinesi inducono questo Governo a mettere acqua nel proprio vino anticolonialista quando si tratta di territori vicini, tanto più esso deve far sfoggio di anticolonialismo dove può farlo senza correre rischi, quando si tratta cioé di territori lontani: l'appoggio malamente larvato dato agli arabi sulla questione della Palestina -anche rischiando un contrasto con gli Stati Uniti -è una caratteristica manifestazione di questo atteggiamento. Inoltre, sia per ragioni di principio, come forma cioé teoricamente migliore di amministrazione coloniale, sia per un suo preciso interesse, e cioé per avere parte nell'amministrazione dei possedimenti ex giapponesi, questo Governo accarezza progetti di amministrazione collettiva per i territori affidati al trusteeship delle Nazioni Unite: anche se questi progetti non hanno avuto finora forma ed espressione definita, essi trattengono questo Governo dal compromettersi con una proposta di amministrazione fiduciaria affidata a un solo paese.

È l'insieme di questi elementi in parte ideologici in parte riguardanti precisi interessi della Cina che non consente a questo Governo di pronunciarsi in modo esplicito e positivo in favore dell'amministrazione italiana degli antichi nostri possedimenti d'Africa. «Noi saremmo lieti di fare un gesto per voi, e che vi aiutasse -mi ha detto questo vice ministro degli esteri in uno dei più recenti colloqui al riguardo -ma temiamo, oltre a difficoltà interne, di pregiudicare la possibilità di proporre soluzioni diverse per questioni che ci interessano direttamente».

2) Se questo Governo non può dunque aiutarci m modo positivo con una proposta a nostro favore, esso tuttavia desidera -nei limiti costituiti dalle considerazioni di cui sopra -non ostacolare il soddisfacimento delle nostre aspirazioni. Mi è stato ancora una volta confermato che nessun impegno in senso a noi contrario esso ha preso con chicchessia. Ed è appunto per non crearci difficoltà che nel memorandum presentato ai Sostituti (ne indicai il contenuto con mio n. 1353/401 del 16 dicembre u.s. 1 , ne invio ora qui allegata la copia integrale2) questo Governo si è studiatamente limitato ad una posizione estremamente generica: proposta di trusteeship per Somalia ed Eritrea; affermazione di principio per l'indipendenza della Libia, subito seguita però dalla proposta di trusteeship «o ve l 'indipendenza non possa essere subito concessa», con la sola condizione che la durata di esso sia prastabilita. Ed è ancora per non crearci difficoltà -oltre che per non impegnarsi in una controversia che non riguarda i suoi diretti interessi -che alla nuova richiesta dei Sostituti questo Governo non intende rispondere, neppure verbalmente, limitandosi al puro e semplice richiamo al già presentato memorandum. È una posizione negativa: che non affronta il problema di chi debba esercitare il trusteeship. Ma questa posizione negativa, che tace tutto ciò che potrebbe andare contro le nostre aspirazioni, è appunto (vedi anche dispaccio n. 1726 dell'Il ottobre u.s_)3 quanto di più possiamo aspettarci da questo Governo in materia di colonie.

3) Se la questione delle colonie potrà essere decisa a Londra la Cina non ci avrà dunque creato imbarazzi. Se invece la questione dovrà andare all'O.N.U. mi par difficile che in tale sede la Cina possa mantenere lo stesso riserbo che ha mantenuto di fronte ai Sostituti. Di fronte ai Sostituti la Cina non è che una potenza consultata; all'O.N.U. la Cina è uno dei membri permanenti, e per di più l'unico che appartenga al mondo asiatico. Essa sente di avere all'O.N.U. una speciale responsabilità o uno speciale mandato su tutte le questioni che riguardano problemi coloniali: è del resto ad un vice segretario generale cinese che è affidato il dipartimento del trusteeship; e in più di una occasione, come è noto, la Cina si è atteggiata a componitrice dell'antitesi tra il mondo coloniale e le potenze colonialistiche. Anche all'O.N.U. tuttavia la Cina probabilmente si asterrà dal prendere iniziative sulla questione delle nostre colonie qualora un accordo sia raggiunto da i più diretti interssati, e se un tale accordo non sarà combattuto dal gruppo dei paesi ex coloniali (India, Filippine, ecc.). Ma se un accordo non fosse raggiunto o se la questione divenisse oggetto di dispute ideologiche pro o contro il colonialismo, è possibile che la Cina avanzerebbe una qualche proposta di compromesso: e in tale ipotesi è da prevedere essa manifesterebbe la sua preferenza per una qualche forma (questo Governo non ha ancora esso stesso idee chiare in proposito) di amministrazione fiduciaria collettiva.

2 Non si pubblica.

3 Vedi serie decima, vol. VI, D. 596.

278 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 7.

279

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2098/694. Atene, 3 agosto 1948 (per. il 6).

Mi riferisco al telespresso n. 45/22042/c. di codesto Ministero (S.E.T.) del 17 luglio a.c. 1 , relativo alla conversazione interceduta fra il segretario generale ed il ministro Capsalis in merito alla Nota presentata dai greci il l O luglio u.s. per un accordo globale italo-greco, Nota che in sostanza si è concretata nella domanda pura e semplice del regolamento di un esagerato conto «Riparazioni» (telespresso di codesto Ministero n. 23096/135 del 30 luglio u.s-)2.

Mi permetta V.E. di esprimere il convincimento che non si poteva meglio rispondere ai greci quello che meritavano di sentirsi dire.

In proposito mi preme riferire che, avendo avvicinato in questi giorni a varie riprese tanto questo sottosegretario permanente agli esteri quanto Tsaldaris (mio telegramma n. 205 del 31 luglio c.a-)1, mi è stato da entrambi ripetutamente detto che le notizie da Roma erano molto buone e che le intenzioni dimostrate da VE. e dal nostro Ministero erano molto favorevoli alla Grecia!

Una volta di più ripeto che questo Ministero degli esteri greco è contento e soddisfatto solo quando constata che non si conclude nulla, ovvero che la conclusione è rimandata alle calende greche. Motivo di così strano comportamento è che questo Ministero degli esteri greco prevede e persegue ora la formazione di un blocco mediterraneo che in un primo tempo sia strettamente limitato all'Oriente mediterraneo sotto l'egida americana, nel quale «blocco» la megalomania greca s'illude, escludendo l'Italia, di avere un'importanza maggiore e non vuole perciò ancora prendere con noi contatti autonomi e diretti, anzi, mantenendo in certo qual modo vivo il contrasto, intenzionalmente rimanda la possibilità di una collaborazione.

Credo che questo sia lavoro di Pipinelis e non di Tsaldaris e per premere quindi sull'animo di Tsaldaris pensai di vederlo, smascherare il giuoco e tentare di ottenere qualcosa almeno sul terreno coloniale. Per visitarlo avevo il pretesto d'intrattenerlo sull'incidente Vakalis, membro indesiderabile della Commissione per lo sblocco dei beni italiani (mio telegramma per corriere n. 032 del 30 luglio c.a.)4 .

Con questo pretesto volli parlare a Tsaldaris anche perché dubitavo delle intenzioni che Pipinelis avrebbe portato, da solo, nello studio che mi aveva promesso di fare della proposta di V.E. per le colonie (mio telegramma n. 202 del 28 luglio c.a-)5. Fu con quest'animo che sviluppai a Tsaldaris gli argomenti già riferiti

2 Non rinvenuto, ma vedi D. 225.

3 Vedi D. 268.

4 Vedi D. 268, nota l.

5 Vedi D. 233. nota l.

con mio succitato telegranma n. 205 del 31 luglio, aggiungendo che sul lungo cammino prescelto per il raggiungimento d'un laborioso accordo «globale» italogreco un gesto a proposito delle colonie avrebbe gettata su questo cammino una luce che sarebbe sempre rimasta ad illuminare quella qualsiasi conclusione che si fosse dovuta pure un giorno raggiungere in qualche modo meno desiderabile. Aggiunsi che se, in un ben prevedibile prossimo avvenire, la situazione generale europea dovesse divenire tale da precipitare un accordo mediterraneo, molto probabilmente a quel momento di maturazione politica internazionale corrisponderebbe una situazione interna greca per cui si renderebbe necessario comporre un Governo di tutti i partiti ed allora anche quel poco di spontaneo che in un accordo con l 'Italia ci fosse rimasto da cogliere, sarebbe stato merito dei nuovi venuti e non più del suo Governo e che perciò a lui Tsaldaris conveniva di non perdere almeno ora l'occasione coloniale.

Tsaldaris mi ha ascoltato con interesse e mi ha promesso di chiamare Pipinelis e decidere con lui nel senso da me desiderato. Troppe volte però tanto Tsaldaris quanto Pipinelis parlando sembrano concordare e compiacersi di quanto invece essi pensano in tutt'altre direzioni e sperano realizzare per scopi ben diversi da quelli in discorso. Non voglio perciò anticipare nessun giudizio e solo ho riferito quanto precede per informare V.E. di quanto mi è parso doveroso fare per tentare di sfruttare più che possibile, almeno ai nostri fini coloniali, un eventuale divario fra Tsaldaris e Pipinelis. Divario che in effetti sussiste fra questi due uomini anche per la loro diversa mentalità, l'uno -Tsaldaris -portato a vedere attualmente la guerra come inevitabile, l'altro invece ad escluderla del tutto; e ciò dico di sicura scienza per avermi più volte essi espressi in proposito questi loro convincimenti.

279 1 Vedi D. 238, nota 3.

280

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA

T. 89591153. Roma, 4 agosto 1948, ore 22.

Suo 168 1•

In relazione a quanto dettole da codesto Ministero esteri circa difficoltà per Belgio manifestare parere discorde da quello britannico, ricordi costì che stesso Governo sudafricano, che è membro Commonwealth britannico, si è espresso in questi giorni in modo a noi abbastanza favorevole. Infatti ha esposto suo punto di vista come segue:

l) ha proposto esplicitamente e senza riserve tutela italiana per Eritrea e Somalia dichiarandosi contrario a qualunque cessione di territorio all'Etiopia e sug

gerendo che questione sbocco al mare potrebbe essere risolta direttamente tra Italia ed Etiopia; 2) idem per Tripolitania (Fezzan compreso) ma non farebbe opposizione ed amministrazione francese nel Fezzan;

3) amministrazione britannica nella Cirenaica, in quanto Sudafrica si ritiene obbligato da impegni presi da Governo inglese verso Senusso consenzienti i vari Dominions.

280 1 Vedi D. 271.

281

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0436-10456/65-66. New York, 4 agosto 1948, ore 20,15 (per. ore 10,25 del 5).

Consiglio sicurezza iniziato stamane discussione nota jugoslava 1 con lungo discorso delegato Vilfan il quale ha violentemente attaccato amministrazione zona anglo-americana rilevando infine che difficoltà nomina governatore, proposta anglofranco-americana restituire territorio all'Italia ed accordi attualmente in discussione costituiscono sfacciata manovra per porre Consiglio di fronte fatto compiuto. Delegato americano risposto dicendo suo Governo essere sorpreso come accuse simili potevano essere avanzate in Consiglio sicurezza. Esse sono prive fondamento ed ha continuato «sebbene mio Governo, in conformità dichiarazione congiunta anglofranco-americana del 20 marzo trasmessa al Consiglio sicurezza per informazione, sia convinto inapplicabilità sistemazione Trieste prevista nel trattato pace, tuttavia in attesa nuova soluzione di questo vessato problema, posso assicurare che Comando alleato continua amministrare sua zona in stretta osservanza lettera e spirito disposizioni trattato». Dettagli circa amministrazione anglo-americana sono stati resi pubblici e sottoposti al Consiglio con due rapporti Airey. Invece non conoscesi nessun rapporto del Governo jugoslavo al Consiglio sicurezza. Delegato americano dichiarato essere pronto a giorni terzo rapporto generale Airey e Consiglio potrà considerare opportunità studiare aspetti più vasti delle sue responsabilità eventualmente decidendo inchiesta sull'amministrazione militare della zona jugoslava. Delegato inglese sostenuto che Comando alleato per articolo Il, annesso 7, aveva dovere procedere accordi con Governo italiano e fatto presente che trattato prevedeva anche formazione commissione per dirimere controversie statuto permanente (art. 36). Concluse chiedendo un ragionevole rinvio per preparare documentazione. Delegato francese Parodi affermato che per poter esaminare protesta jugoslava occorreva avere visione d'insieme di tutto territorio, Governo jugoslavo quindi poteva approfittare breve rinvio richiesto per trasmettere Consiglio sicurezza rapporto sul

420 l'amministrazione militare zona jugoslava. Delegato jugoslavo risposto essere pronto accedere tale richiesta se Consiglio così desiderasse tuttavia delegati sovietico ed ucraino oppostisi energicamente contro «manovra franco-americana» intesa distogliere attenzione da problema principale iniettando altre questioni e mettendo sotto accusa Jugoslavia. Parodi insistito su sua proposta e discussione è stata rinviata martedì l O agosto.

Circa seduta odierna Consiglio sicurezza faccio presente i seguenti punti: l) delegato americano è stato unico a riaffermare specificatamente proposta anglo-francese-americana 20 marzo;

2) dopo discorsi jugoslavo americano e inglese, preparati in precedenza, discussione protrattasi lungamente e vivacemente su proposta francese richiedere rapporto Jugoslavia su amministrazione sua zona. Malgrado evidente errore Vilfan accedere tale richiesta, sovietici prendevano difesa Jugoslavia rifiutando che essa potesse correre rischio venire messa in stato di accusa. Questione rimasta insoluta nonostante insistenze francesi;

3) segnalo infine inspiegabile intervento delegato Siria El Khoury il qualevenendo in aiuto tesi sovietica -chiesto al Segretariato compiere studio approfondito disposizioni trattato ed annessi per vedere se Jugoslavia avesse obbligo presentare Consiglio sicurezza rapporti periodici su amministrazione sua zona. Caso negativo Consiglio sicurezza, a suo avviso, non aveva diritto chiedere tale documento.

Trasmetto per aereo testo discorso2 .

281 1 Vedi D. 252.

282

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 10474-10475-10471-10433/ Washington, 4 agosto 1948, 608-609-610-611. ore 14,33 (per. ore 17,40 del 5).

Mio 605 1• Riassumo informazioni circa conversazioni Mosca, ottenute al Dipartimento per confidenziale notizia:

l) i tre rappresentanti alleati dopo aver tenuto a Molotov linguaggio identico nella sostanza e riaffermato comuni intendimenti, si sono recati insieme da Stalin anche per fargli constatare de visu inanità speranze ad eventuali tentativi separare potenze occidentali in questioni vitali.

2) Predetti rappresentanti si sono attenuti note direttive: a) hanno cioé chiesto urgente cessazione blocco Berlino senza darvi carattere ultimatum, ma ribadendo fermissimo proposito comune non lasciare città, «costi quel che costi»,

282 1 Del 2 agosto, non pubblicato.

421 dichiarando non ammettere di essere ulteriormente kicked around, pronti piuttosto fronteggiare ogni conseguenza. Tuttavia hanno scrupolosamente evitato durezze ed intransigenze non indispensabili astenendosi linguaggio che potesse apparire provocatorio. b) Nello stesso tempo hanno riaffermato vivo desiderio potenze occidentali mantenere e consolidare pace, assicurando che rispettivi Governi erano pronti esaminare e discutere con Kremlino tutti quei problemi -tedeschi, europei, mondiali -di competenza C.F.M., cui soluzione fosse ritenuta utile scopo. C.F.M. avrebbe potuto essere riconvocato non appena definito di comune accordo relativo ordine del giorno. Per parte loro tre Governi erano pronti considerare data anche molto prossima.

Stalin, accogliente e comprensivo durante lungo colloquio, si sarebbe mostrato disposto a che richieste ed offerte potenze occidentali fossero prese in considerazione da sovieti, protestando vivo attaccamento dell'U.R.S.S. alla pace. In sostanza avrebbe lasciato intravvedere che desiderava anche egli formula soddisfacente per problema Berlino.

In relazione richiesta cessazione blocco, ha chiesto: l) con carattere urgenza, conclusione accordo per unificazione valute in tutte quattro zone occupazione Berlino; 2) sospensione, almeno temporanea, da parte potenze occidentali dell'attuazione noto accordo tripartito di Londra per trizona e sistemazione Germania occidentale.

Secondo Dipartimento -verità od [illusione] -questa importante richiesta sarebbe stata formulata in modo meno categorico e preciso della precedente. Infine Stalin avrebbe in massima accolto con favore idea riunione C.F.M. Tuttavia a quanto mi è stato categoricamente assicurato, durante colloquio non si sarebbe affatto parlato del relativo ordine del giorno o delle questioni da inserire. Neanche a titolo esemplificativo.

Anche in risposta mie domande, mi è stato confidato:

l) richiesta Stalin circa unificazione valute circolanti Berlino potrà essere accolta, purché russi diano determinate garanzie (sembravasi alludere condizioni tecniche circa cambio banconote occidentali, regolarità rifornimenti, ecc.). Sorvolando su consolidamento posizioni russe a Berlino, si è ammesso trattarsi soluzione economicamente logica, data complicazione attuale circolazione di valute in città per giunta isolata nella zona occupazione sovietica.

2) Circa richiesa per sospensione -ossia forse per rinunzia -attuazione accordi Londra, interlocutore ha ricordato che in realtà essi non hanno avuto inizio esecuzione pratica, pur essendosi ora ottenuto, dopo tanti tentennamenti, dichiarazioni adesione da parte presidenti Uinder Trizona. Ha affermato che principi accolti in detti accordi non erano stati formulati per applicazione limitata Germania occidentale ma avrebbero dovuto essere estesi a Germania tutta. Alleati non mirando affatto creare totale frattura con zona occupazione russa. Ha aggiunto, con molta determinazione, che se Stalin per sbloccare Berlino intendesse ottenere rinunzia espicita applicazione accordi Londra tre potenze ed in particolare Stati Uniti non avrebbero (secondo lui) potuto acconsentirvi: ne sarebbe infatti derivata perdita fiducia popolo tedesco ed opinione pubblica europea. Era questo elemento più preoccupante nella prosecuzione trattative con Mosca le quali comportavano del resto varie incognite.

3) Riguardo nuovo incontro a quattro, interlocutore ha confermato possibilità e convenienza che C.F.M. sia convocato Parigi anche prima riunione Assemblea

O.N.U. Marshall aveva già deciso partecipare quest'ultima ed avrebbe potuto anticipare partenza. Interlocutore riteneva che Convegno sarebbe stato livello ministri esteri escludendo incontro grandi quattro.

4) Circa ordine del giorno C.F.M. era ovvio che questione tedesca ne formasse parte cospicua; così pure problema colonie italiane; due argomenti bastevoli assorbire ogni attività quattro ministri. A proposito eventuale inclusione Trieste, interlocutore nel riconfermare proposito Dipartimento rimanere fermo su posizione 20 marzo, ha formalmente assicurato che americani vi sarebbe attualmente del tutto contrari.

Udienza collettiva con Stalin venne chiesta contemporaneamente urgente domanda colloquio con Molotov, in conversazione 30 luglio dei tre rappresentanti occidentali con Zorin. Contemporanee richieste miravano troncare eventuali lungaggini col possibile pretesto assenza ministro esteri da Mosca, anche evitare dover successivamente mostrare di ricorrere a Stalin in seconda istanza nella ipotesi insoddisfacente colloquio con Molotov.

Secondo Dipartimento, sollecitudine con cui l'udienza era stata concessa e tono amichevole tenuto da Stalin potrebbero essere considerati buon segno per proseguimento conversazioni.

Tuttavia situazione mi è stata esplicitamente caratterizzata come fluida ed aperta tutte possibilità.

Contrariamente prassi locale nulla è finora trapelato alla stampa circa sostanza conversazioni e Dipartimento ha preso molte precauzioni per evitare indiscrezioni. Mi è stato pertanto vivamente raccomandato massimo riserbo.

281 2 Non pubblicato. Per il seguito delle discussioni vedi D. 322.

283

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, DUNN 1

L. CONFIDENZIALE 2 . Roma, 4 agosto 1948.

It is with much pleasure that I hear of the rapid progress of your health. I shall not see you before I leave Rome next Saturday and before going I want to express my very best wishes for your early and complete recovery.

You are well aware how deeply I appreciate the understanding and friendly sentiments you have always shown. Your presence here these days would have

2 Autografa. Una annotazione a margine avverte: «Consegnato a Byngton, ore 17 -5 agosto '48, che lo trasmetterà direttamente a Marshall e a Londra sabato. "Salvo ulteriori commenti dell'Ambasciatore che seguiranno"».

423 afforded us further evidence of your spirit of cooperation which it is my keen desire must become ever closer and more fruitful.

As you know, a decision on the colonia! problem is now pending. You are aware that this problem constitutes for us neither a strategie nor a financial issue and that it is in no way our wish to revive obsolete forme of colonia! occupation.

lt is however most difficult to convince a nation that it must be precluded from a mission the nature of which is human civilising and Christian, and the ultimate aim home rule. While the Italians fully realize that the friendly powers must seek such strategie guarantees as they may deem necessary, they cannot conceive why the most populated country in the Mediterranean should be excluded from the task of carrying western civilisation to Africa. So to ostracize a nation would heavily tax its morale and would not fai! to engender aversion for Great Britain at a time when we and the British are making every effort to promote friendship. Could not the United States take up an attitude of mediation in the interests of common cooperation? To postpone examination to the UN Assembly would mean prolonging an uneasy situation that is already aggravated by the presence of so many Italian refugees from, and of those Italians w ho await in Africa. It would above all involve a further heavy strain on the present Government.

You are aware that it is our resolve to achieve full cooperation with the western peoples of Europe with a view to attaining a European Federation. But we need a certain lapse of time for this idea to take root and develop in the minds of our people. But how can my Government ever succeed in this constructive undertaking if it has to start out by admitting the exclusion of Italy from cooperation in the Mediterranean and in the colonies?

Thats is why it is in the generai interest that the initiative be taken in London to allow us at least part of the colonies, and that those alone that constitute the more difficult problems be postponed for examination by the UN also in the light of native claims and wishes.

You are satisfied, I feel sure, that the view l have expressed are dictated by a desire for frankness and realism. I would indeed be grateful if you would cause as much to be conveyed to those in London who are now called to decide.

While l take this opportunity to ask you to convey my personal regards to Mrs. Dunn. I renew my warmest wishes to you for your rapid recovery and early return to Italy3•

PS. I have just had from Count Sforza copy of a strictly confidential letter he has written to Ambassador Gallarati Scotti4 . I am enclosing another copy for your own personal and secret information. Its contents may afford you some useful points.

283 3 Per la risposta di Marshall vedi D. 329, Allegato. 4 Vedi D. 285.

283 1 In Archivio De Gasperi.

284

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1207 SEGR. POL. 1 . Roma, 4 agosto l 948.

Apprezzo la franchezza con cui V.E. ha espresso il suo pensiero nel rapporto del 28 luglio u.s. n. 282 J2. Piena sincerità e franchezza è ciò che il Governo della Repubblica attende dai suoi ambasciatori.

A qualcosa di analogo al suo rapporto che mi scriveva il suo collega Tarchiani3 rispondevo il 26 luglio col telegramma seguente:

[Segue la riproduzione del T. s.n.d. personale 85411435]4 .

Ciò ripeterei a lei aggiungendo:

-che non ho mai esaminato il Patto occidentale in sé, non un sol momento; ma sempre ed esclusivamente dal punto di vista del contributo americano, sia alla collettività -patto, sia ai singoli membri di esso; che feci a Washington delle aperture che parvero un momento promettenti, ma senza ulteriore seguito;

-che lungi dal gettar inutili ponti «anche se solo simbolici e sentimentali colla parte avversa» ho, per esempio, alla vigilia dell'incontro di Mosca, espresso all'ambasciatore britannico (venuto a vedermi prima di partire in congedo) 5 e due giorni dopo all'incaricato d'affari americano 6 , la mia ferma e attristata opinione che il giuoco e il rischio erano solo pericolosi per gli occidentali, non per Mosca; che Mosca, essendo una dittatura, poteva giuocare al poker fino all'ultimo istante mentre le potenze democratiche, dovendo tener conto dell'amor di pace dei popoli, rischiavano di parer timide e pavide, ciò che avrebbe accresciuto il valore delle carte in mano a Stalin. Tenessero conto nelle due capitali -aggiunsi ai due diplomatici -che qui a Roma già si constatava come i comunisti, abbattuti dopo il 18 aprile, abbattutissimi dopo il folle sciopero mancato del 14-15 luglio, già rialzavano la testa al pensiero che a Mosca si delineerebbe una nuova Monaco; e che nelle due capitali si doveva tenere anche conto di ciò che potrebbe significare un partito comunista al servizio di Mosca ringalluzzito in Italia e in Francia, e più pronto ad ubbidire a ordini esterni che non accadde in Italia il 14-15 luglio.

V.E. ha quindi ragione di osservare che inglesi e francesi fanno opera di sterile appeasement a Washington; ma è in errore quando suppone che, in misura sia pur minima, ciò facciamo anche noi. È il contrario che accade; e ciò facendo so di servire la causa della pace più che con qualsiasi gesto di appeasement.

2 Vedi D. 255.

3 Vedi D. 209.

4 Per tale telegramma, che era qui riprodotto senza l'ultimo capoverso, vedi D. 209, nota lO.

5 Vedi D. 285.

6 Su questo incontro non è stato rinvenuto nessun documento.

V.E. ha in vero pienamente ragione quando consiglia una politica economica cordiale colla Jugoslavia. Subito dopo la scomunica di Tito, mentre ordinai da un lato che non apparisse neppur l'ombra di un nuovo atteggiamento politico, raccomandai invece ai miei colleghi dell'Industria e Commercio e del Commercio estero di far largheggiare negli scambi. Ciò è tanto divenuto una realtà che ora l'Italia è largamente creditrice della Jugoslavia, di che non dobbiamo affatto lagnarci nè preoccuparci.

Le aggiungerò che nella mia conversazione con sir V. Mallet5 gli espressi con assoluta franchezza, circa il Patto occidentale, le mie aspettative avvenire con fiducia piena in quanto deve accadere. Son certo che egli si rese conto della mia sincerità che non escluse un accenno nel senso indicato nel mio telegramma all'ambasciatore TarchianiJ

284 1 In pari data Sforza trasmise questo documento a Di Stefano con la seguente lettera ( 1208 segr. poi.): «Con riferimento all'ultima lettera particolare dell'ambasciatore, del 27 luglio [vedi D. 250] le accludo copia di un dispaccio che dirigo oggi all'ambasciatore Quaroni. Lo consideri come ugualmente diretto a lei».

285

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. Roma, 4 agosto 1948.

Fò seguito al mio dispaccio a Quaroni 1 che se come leggera reprimenda, era diretto a lui, era invece, come informazione, ancor più diretto a te. E scusami di ricevere informazioni per carambolaggio.

Dico qui a te ciò cui ho alluso nella parte finale del dispaccio ~e che intendo dire a te solo (talché sia inteso che questa lettera è tua, a te, non dell'ambasciata). In questo campo niente vale che non sia prima, per lo meno, formalmente deciso in Consiglio dei ministri.

A Mallet dissi dunque due giorni fa (ed egli partiva l'indomani per Londra) che poiché egli poteva riferire fresco fresco il mio pensiero a Bevin gli volevo aggiungere, oltre quanto gli avevo detto circa i rapporti con Mosca, anche la pià genuina realtà circa Italia e Patto occidentale:

~ che niente era più insensato che di supporre che noi tenessimo in serbo qualche contatto con Mosca; non bastava dunque a Londra e altrove il sapere che qualunque mutamento filo-russo avrebbe significato la fine fisica di De Gasperi, di Scelba e mia? Non sentivano dunque quanto ci imbarazzava la pretesa simpatia sovietica per le colonie, circa la quale non escludevo neppure che fosse formulata per aumentare in proposito le difficoltà per noi?

~ che era chiaro che anche senza patti la nostra posizione era, in caso di guerra, accanto a Londra, perché non solo una posizione di «equidistanza» era impensabile, ma anche una posizione di neutralità;

~ che solo era vero questo: che mentre in Italia nessuno pensava alla «equidistanza» (salvo i fellow-travellers), invece molti si dicevano, sia pure con tristezza e disperazione che, maltrattati come si credevano, forse nella neutralità ci era una lontana speranza di salvar la pace italiana;

285 1 Vedi D. 284, ritramesso da Sforza a Londra con L. 1206 segr. pol. in pari data.

-che però io ero pienamente convinto che gli eventi e la saggezza degli Alleati potevano molto facilitare una evoluzione del sentimento italiano; specie quando il Pattto fosse animato da una garanzia americana che sola gli può dare vita;

-quel giorno io ero quasi certo che l'immensa maggioranza degli italiani sentirebbe il vantaggio morale e politico di assidersi pari fra pari fra gli altri occidentali;

-ma che era molto pericoloso di deluderci nel problema coloniale -così sentimentalmente forte fra noi -mentre era facile trovare fin d'ora delle formule che dessero a Londra e a Washington una sicurezza strategico-militare ancor più forte che la firma di un Patto;

-ricordassero (così conclusi con Mallet) che Francia e Italia son due vasi comunicanti, che noi siamo certi, anche per le riforme agrarie che vogliamo assolutamente fare, di eliminare la forza comunista dall'Italia, e che la nostra attitudine detterà quella del popolo francese;

--ma se l'Italia è offesa nel suo sentimento africano, noi saremo indeboliti e che ciò indebolirà il Governo francese.

Ergo ...

Mi parve che Mallet fu molto colpito; certo mi espresse molte grazie per la franchezza con cui gli avevo parlato.

[PS.] Tieni questa lettera per te solo; ma parlala (sic).

284 7 Per la risposta vedi D. 360.

286

IL MINISTRO A PRAGA, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10481/131. Praga, 5 agosto 1948, ore 14 (per. ore 17,30).

Telegramma ministeri ale 8507 /c. del 23 luglio us. 1 Questo Ministero affari esteri mi comunica verbalmente che il Governo ceco-slovacco non (dico non) intende valersi diritto fare osservazioni supplementari circa avvenire colonie italiane dopo presa visione rapporti commissione quadripartita. Punto di vista questo Governo rimane pertanto quello precedentemente espresso.

287

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10511-10512/197-1981• Belgrado, 5 agosto 1948, ore 22 (per. ore 11 del 6).

Rispondendo ad osservazioni di Vyshinsky che, per dimostrare, nel corso della conversazione, decadenza convenzione 1921, domandava ironicamente al rappresen

287 1 La seconda parte del documento fu inviata con la classifica di segreto non diramare.

tante britannico dove fossero rappresentanti Italia, Belgio e Grecia, ambasciatore Peake aveva affermato, incidentalmente e con evidente scopo polemico, che, per suo conto, Gmn Bretagna non aveva nulla in contrario a che predetti paesi venissero invitati.

Stamane, confutando tesi Vyshinsky circa decadenza convenzione incrinata a causa pretesa violazione articolo 42, che stabilisce procedura per modificare convenzione stessa, delegato francese ha sostenuto che convocare presente conferenza non è affatto in contrasto con procedura prevista da predetto articolo 42; due terzi firmatari convenzione 1921 sono infatti presenti, con volontà procedere revisione, e Francia è potenza invitante.

«È invece esatto affermare che tale procedura deve essere integrata ed è per questo che delegazione francese coglie la occasione volentieri per proporre alla Conferenza, come già fatto da delegazione Regno Unito, di invitare immediatamente rappresentanti Governi belga, greco e italiano. Tuttavia se questa mozione non potesse ricevere gradimento Conferenza, noi proporremo che convenzione che sarà elaborata qui sia ugualmente aperta alla firma tre Stati suindicati».

Negli ambienti conferenza danubiana si attende discorso Peake che sarà probabilmente pronunciato domani mattina.

Delegato britannico presenterebbe testo di risoluzione, con la quale tutti Stati partecipanti Conferenza sottopongono Corte internazionale giustizia seguente quesito: «Quali accordi danubiani siano tuttora in vigore e quale Stato partecipi». Proposte sembmno derivare da preoccupazione delegazioni occidentali mantenere aperta ogni successiva possibilità O.N.U.

Secondo informazioni raccolte presso delegazione francese, si conferma, almeno per ora, sua intenzione dare esplicito seguito a proposta invitare a Conferenza Italia, Belgio e Grecia o almeno farle accedere a qualsiasi nuova convenzione danubiana.

Comunque ambasciatore Peake mi ha oggi confidenzialmente espresso sua opinione che la delegazione della Gran Bretagna non giungerà a firmare la convenzione proposta dalla maggioranza.

286 1 Vedi D. 234.

288

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, DUNN

L. 5/4619. Roma, 5 agosto 1948.

In relazione alla mia lettera del 18 giugno us. n. 5/4541 1 circa la delimitazione del nuovo confine italo-jugoslavo, ho l'onore di portare a conoscenza di V.E. che la legazione della Repubblica federativa popolare jugoslava in Roma, con la nota

n. 714 del 30 luglio us. qui unita in copia2 , ha comunicato che il suo Governo ha accettato le condizioni poste da quello italiano per la ripresa dei lavori di delimitazione nel settore settentrionale del confine italo-jugoslavo; e in particolare la condizione che le eventuali divergenze vengano deferite agli ambasciatori delle quattro potenze garanti della interpretazione e della esecuzione del trattato di pace.

288 1 Vedi D. 93, nota l. 2 Vedi Allegato.

In seguito a ciò, il Governo italiano ha dato disposizioni alla propria delegazione di porsi immediatamente in contatto con quella jugoslava per una ripresa dei lavori nei termini e secondo le modalità già precisate nella nota del Governo italiano del 17 giugno u.s. n. 5/45373 .

Lettere identiche alla presente ho contemporaneamente diretto alla LL.EE. gli ambasciatori di Gran Bretagna, Francia, e U.R.S.S.

ALLEGATO

LA LEGAZIONE DELLA REPUBBLICA FEDERATIVA POPOLARE DI JUGOSLAVIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 714. Roma, 30 luglio 1948.

La Légation de la République Fédérative Populaire de Yougoslavie présente ses compliments au Ministère des Affaires Etrangères et, se référannt à la Note du Ministère n. 5/4537 en date du 17 Juin 1948 3 , a l'honneur de lui faire savoir ce qui suit:

Le Gouvemement de la République Fédérative Populaire de Yougoslavie a pris avec satisfaction note de l'acceuil favorable par le Gouvemement d'Italie de la proposition yougoslave sur une solution en esprit d'accord de la question de la délimitation et de la continuation des travaux de la Commission Mixte; la Commission commencerait !es travaux sur le secteur du Nord pour procéder ultérieurement au secteur du Sud.

Le Gouvemement yougoslave exprime son accord avec la proposition du Gouvemement italien concemant la question des pleins-pouvoirs des Chefs des Sous-Délégations italienne et yougoslave; les Chefs seront munis des pleins-pouvoirs identiques comme il a été formulé par la Commission. Le Gouvemement yougoslave accepte en mème temps la proposition que !es éventuelles divergences soient portées devant !es quattre Ambassadeurs afin d'obtenir la solution aux termes de l'Art. 5, par. 3 et aux termes de l'Art. 86 du Traité de Paix. Toutefois le Gouvemement yougoslave espère qu'il n'y aura pas lieu d'appliquer !es réserves exprimées par le Gouvemement italien dans la Note sus-mentionnée à l'égard du secteur du Sud.

Selon le point de vue du Gouvemement yougoslave la possibilité d'une délimitation à la base d'un accord direct a existé toujours et le Gouvemement yougoslave a conservé ce point de vue aussi à l'occasion ou le Gouvemement italien, assumant une attitude différente, avait demandé l'intervention des quatre Ambassadeurs. Parsa proposition, acceuillie favorablement par le Gouvemement italien, le Gouvemement yougoslave a donné une nouvelle preuve de sa conviction de la possibilité d'un accord direct et de sa bonne volonté.

La Délégation yougoslave est disposé à rencontrer la Délégation italienne à partir du 2 Aoùt; aux termes du Réglement adopté, la réunion aurait lieu sur le territoire italien, à la suite de l'invitation de la Délégation italienne.

La Légation de la République Fédérative Populaire de Yougoslavie saisit cette occasion pour renouveler au Ministère des Affaires Etrangères !es assurances de sa haute considération.

288 3 Vedi D. 125.

289

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. Roma, 5 agosto 1948.

Ho la sua del 2 agosto 1• Quando nel decennio 1849-59 si dovè mandare un ambasciatore straordinario a Vienna, Cavour scelse il più ottuso degli aristocratici piemontesi e come istruzione gli disse: «faccia la ciula». Non osai consigliare tanto al presidente.

Ma, come lei, non sono scontento del come le cose si misero.

Non si può aver troppo a una volta. Fino a cose decise non è male che gli altri pensino che siamo un gregge provinciale facilmente guidabile.

Questo, certo, aumenta i suoi doveri di sorveglianza. Ma conto su lei.

290

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. 4080. Londra, 5 agosto 1948.

Come è noto a V.E., lunedì 9 corrente i quattro supplenti dei ministri degli esteri inizieranno finalmente il confronto diretto dei punti di vista dei rispettivi Governi in merito al problema delle nostre ex colonie.

Dipenderà dall'esito di queste riunioni se l'intera questione sarà rinviata all'Assemblea generale delle Nazioni Unite o se invece qualcosa di positivo potrà essere ottenuto.

Una soluzione totale, ossia una formula concordata dai Quattro per Libia, Eritrea e Somalia, non possiamo evidentemente aspettarcela. Il problema pertanto mi sembra quello di far sì che la data del 15 settembre non passi senza che si raggiunga una qualche soluzione parziale, che non pregiudichi le future discussioni alle Nazioni Unite, e che sia tale, in linea politica generale, da non costituire ostacolo, ma anzi incoraggiamento al rafforzamento delle buone relazioni fra l'Italia e le potenze occidentali.

Dai colloqui che sia Cerulli che io abbiamo avuto in questi giorni con Charles, Mallet (che aveva conferito con Bevin) e Massigli, la possibilità di tali soluzioni parziali mi sembra poter essere inquadrata in base ai seguenti punti:

-Somalia: non sembrerebbero esservi eccessive difficoltà da parte di alcuna delle quattro potenze;

-Eritrea: a quanto pare si sarebbe in questi ultimi tempi rafforzata anche in seno al Foreign Office una certa tendenza favorevole all'Etiopia e di ciò mi viene conferma anche da generiche allusioni di Charles a difficoltà, maggiori di quanto non si pensasse, nei confronti delle nostre rivendicazioni in Eritrea;

-per la Tripolitania appare più probabile un rinvio alle Nazioni Unite; i francesi appoggiano le nostre richieste desiderando un nostro ritorno senza eccessivi compromessi col mondo arabo, per le note considerazioni che già più volte sono state esposte a V. E. dali' ambasciatore Quaroni.

-la Cirenaica non è, temo, un soggetto che possa essere abbordato dai supplenti dei ministri degli esteri con la minima probabilità di intesa.

In questo stato di fatto credo che la nostra azione, e in particolare la mia opera a Londra, non possa che seguire la linea del colloquio del presidente De Gasperi con l'ambasciatore Malie t 1 , naturalmente con ogni possibile elasticità in modo da lasciare la porta aperta a ogni soluzione concreta che possa avere da parte dei Quattro il massimo dei voti e il minimo delle opposizioni2 .

289 1 Vedi D. 275.

291

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0546/263. Mosca, 6 agosto 1948, ore 23,15 (per. ore 8 del 7).

On. Nenni che è qui da mercoledì 4 è venuto farmi visita oggi. Confidenzialmente mi ha detto di aver visto Zdanov e Malenkov. Sempre riservatamente mi ha aggiunto che valutazione questi ambienti sovietici in cui è entrato in contatto sarebbe nel senso di non prevedere per immediato avvenire novità né nel senso di complicazioni né nel senso di una vera e propria distensione.

2 Con T. s.n.d. 9174/324 del 9 agosto Sforza rispondeva: «Concordo circa opportunità orientare nostra azione verso soluzione parziale, mantenendo ad azione stessa massima elasticità, nel senso di favorire in primo luogo quella soluzione, sia pure parziale, che però possa riunire il consenso delle quattro potenze».

290 1 Vedi D. 247.

292

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 9134/193. Roma, 7 agosto 1948, ore 24.

Suo 19Il.

Svolgimento Conferenza, che del resto non era affatto inatteso, non sembra dover portare alcun mutamento a nostro punto di vista, riassunto da ultimo con telespresso circolare n. 20024 del 24 giugno2 . Noi riserviamo nostri diritti quale Stato firmatario 1921, anche in relazione eventuale nuova convenzione. Comunque sulla base statistiche traffico fluviale, manteniamo richiesta partecipare qualsiasi futuro ente internazionale per Danubio.

Qualora Governo belga e greco intendano partecipare ad un'azione comune mediante presentazione di un memorandum al segretario della Conferenza, S.V vorrà naturalmente associarvisi.

Per quanto riguarda partecipazione italiana a Conferenza, di cui ai telegrammi di VS. 197 e 1983, ciò corrisponderebbe naturalmente a nostro desiderio anche perché consentirebbe esposizione diretta nostro punto di vista. V.S. può esprimersi in questo senso con delegazioni proponenti informando circa seguito iniziativa, che naturalmente renderebbe superfluo passo di cui sopra4 .

293

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 10592/166-167. Alessandria, 7 agosto 1948, ore 13,20 (per. ore 19,40).

Telegrammi di VE. n. 133 e 1341•

Ho avuto ieri sera con Azzam Pascià nella sua residenza di Alessandria d'Egitto colloquio durato oltre un'ora, d'intonazione marcatamente cordiale, nel corso del quale è stata ampiamente esaminata questione avvenire Libia. Azzam ha riaffermato

Vedi D. 142.

3 Vedi D. 287.

4 Per la risposta vedi D. 298. Il telegramma venne ritrasmesso con T. 9133 del 7 agosto ad Atene

confermando per parte nostra adesione a eventuale passo comune, telegrafando decisioni prese». 293 1 Vedi DD. 270 e 276.

432 noti principi relativi indipendenza e unità e, ove i Quattro insistano per amministrazione fiduciaria, intendimento Lega richiederla per sé o per paesi arabi. Non ha tuttavia escluso che Stati arabi, ove non riuscissero ottenere soluzione da essi propugnata, potrebbero eventualmente preferire Italia ad altre potenze.

Ha sottolineato insuccesso tecnico e psicologico per raggiungere accordo con noi, in quanto è estremamente difficile per Lega araba prestarsi a facilitare ritorno Italia nella sua ex colonia. Ha anche rilevato che maggiore difficoltà è data da mancanza di fiducia nutrita da paesi arabi verso potenze colonizzatrici ivi inclusa Italia di cui si teme risorgere sentimenti imperialistici nell'avvenire. Ciò implica assoluta necessità precise garanzie affinché eventuale accordo diretto a sancire prontamente avviamento indipendenza non rimanga poi lettera morta.

Dopo che mio interlocutore, sia pure nel quadro delle riserve di cui sopra, ha dimostrato di non escludere a priori possibilità di una qualche intesa con l'Italia, gli ho esposto nelle sue linee di massima progetto di V.E. su cui potrebbe essere basato accordo, e gliene ho lasciato una traccia.

Abbiamo convenuto che contatti rimangano per ora confidenziali. Azzam si è riservato di riflettere e di decidere se ed in qual momento sottoporrà questione Consiglio della Lega araba.

Azzam Pascià ha infine concordato circa inconvenienti che derivano dal protrarsi dell'attuale situazione in Libia, ma ha espresso avviso che potenze non hanno interesse a risolverlo per il momento, in quanto America e Inghilterra sono ora in possesso basi strategiche di cui si interessano in quel settore aviazione e preferiscono quindi rinviare soluzione definitiva fino a quando attuale incerta situazione internazionale sia chiarita. Abbiamo concordato opportunità mantenerci in contatto ed Azzam Pascià mi ha promesso che farà del suo meglio per evitare che l'Italia sia oggetto di attacchi da parte stampa araba per quanto riguarda questione coloniale. Segue rapporto 2 .

292 1 Del 3 agosto, con il quale Martino informava che l'incaricato d'affari di Grecia a Belgrado aveva proposto un passo comune degli Stati non partecipanti alla Conferenza danubiana (Italia, Grecia e BelgioJ diretto a confermarne il punto di vista ed i diritti.

(115) ed a Bruxelles (!56) con le seguenti istruzioni: «Pregola accertarsi disposizioni codesto Governo

294

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 10596/395. Londra, 7 agosto 1948, ore 13,55 (per. ore 20).

Ho avuto lunga conversazione oggi con Sargent. Benché evidentemente tenuto a stretta segretezza, impostagli da ufficio, non mi ha negato che situazione generale era alquanto migliorata dai colloqui di Mosca. Con ciò non si faceva illusione che difficoltà e complicazioni fossero superate ma mi sembrava prevedesse possibile un periodo meno teso politica europea. Egli mi aggiunse di rassicurare V.E. che passività ottimistica che potesse derivare da migliori notizie non sarebbe stata tale da

deviare Governo britannico da sua linea massima vigilanza e fermezza in conformità anche a messaggio di V.E. attraverso Mallet che era stato apprezzato. Quanto a posizioni reciproche nelle relazioni italo-inglesi, notai in Sargent una più fiduciosa distensione dovuta ritengo opera svolta in questi ultimi giorni a Londra da ambasciatore Mallet il quale appunto aveva desiderato e suggerito mio colloquio odierno.

Secondo quanto Mallet stesso mi aveva detto non persiste al Foreign Office inquietudine che nostra politica nasconda doppio giuoco. Sargent anzi mi ha detto esprimere questa fiducia a V.E. e a presidente del Consiglio con persuasione che se Stati Uniti fossero pronti a precisare loro aiuti militari all'Europa si sarebbe chiarito il punto di convergenza dei nostri interessi e della nostra collaborazione. Avendogli osservato che era importante proseguire in uno spirito di fiducia reciproca in una reale comprensione sopra tutto per quanto riguardava i nostri problemi vitali fra i quali quello delle colonie, egli pur riconfermandomi le gravi difficoltà della soluzione, come Cernili riferirà a voce, mi assicurò che il complesso lato politico della questione era tenuto ben presente dal Governo inglese, in modo particolare da Bevin le cui intenzioni erano aiutare fino dove l'avesse potuto un rafforzamento del Governo italiano.

293 2 Non rinvenuto.

295

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 106101175-176. Bruxelles, 7 agosto 1948, ore 17,53 (per. ore 8 dell'B).

Telegramma di V.E. n. 153 1• Ho conferito nuovamente con segretario generale e l'ho informato dell'atteggiamento Sudafrica.

Segretario generale mi ha detto in via confidenziale che Spaak aveva attentamente esaminato con lui questione ed era giunto seguente conclusione: Belgio era piccola potenza, non aveva partecipato commissioni d'inchiesta e non poteva permettersi mettere in dubbio fondatezza loro osservazioni né imparzialità loro rapporti e d'altra parte non poteva per evidenti ragioni associarsi critica formulata dal rappresentante sovietico.

Spaak si era formata impressione che atteggiamento altre potenze principali fosse meno rigido e che in definitiva si trattava di una questione tra noi ed Inghilterra. Egli era desideroso far qualcosa in nostro favore e si proponeva quindi parlare francamente con inglesi, invocando ragione solidarietà generale europea, necessità entrare [Unione] Occidentale, interesse comune razza bianca in Africa e opportunità

295 Vedi D. 280.

434 nell'interesse generale di [favorire] soluzione problema economico e demografico italiano. Se non è possibile nostra richiesta di un trusteeship generale su tutte colonie, conveniva trovare soluzione che assicurasse in una forma più o meno larga partecipazione italiana ad amministrazione e sfruttamento quei territori. Che gli inglesi escogitassero una specie condominio, amministrazione a ... 2 od altra formula analoga che permettesse collaborazione italo-inglese nei territori contesi. Italiani si erano sempre dimostrati buoni colonizzatori e loro presenza e collaborazione in quei territori, che il Governo britannico per ragioni strategiche non vuole abbandonare, sarebbe in definitiva utile anche per Gran Bretagna.

Segretario generale mi ha confidato allora che Spaak stava ventilando possibilità insinuare od addirittura suggerire agli inglesi idea trattare direttamente con noi per cercare equo componimento: italiani si sarebbero certamente mostrati ragionevoli e del resto importante e delicata questione italo-francese ed italo-jugoslava era stata di recente favorevolmente risolta mediante conversazioni dirette.

Spaak avrebbe avuto in mente parlare in questo senso a questo ambasciatore britannico, ma non lo aveva fatto ancora perchè, ha detto segretario generale, ministro ha molte idee ma è lento metterle esecuzione. Ho detto segretario generale che forse attuale viaggio Spaak a Londra poteva essere occasione favorevole perchè egli intrattenesse direttamente questione uomini Governo inglese. Ho pregato segretario generale perché telefonasse o telegrafasse ministro a Londra, gli ricordasse questione e riferisse mie premure. Segretario generale mi ha pregato a sua volta nuovamente considerare assolutamente confidenziale quanto mi ha raccontato; non vuole infatti che Spaak, il quale probabilmente me ne avrebbe parlato personalmente, gli rimproveri prematura indiscrezione; non vuole soprattutto che, dell'azione che Spaak intendeva svolgere, inglesi avessero sentore prima che egli avesse effettivamente parlato con loro.

296

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, LONDRA E PARIGI E ALLA LEGAZIONE AD ATENE

TELESPR. 1214/c. SEGR. POL. Roma, 7 agosto 1948.

Si trasmette qui acclusa copia di un rapporto 1 con il quale il ministro al Cairo illustra le serie ripercussioni interne della sfortunata campagna condotta dall'esercito egiziano contro le forze ebraiche. L'insuccesso militare, che ha colto di sorpresa l'opinione pubblica egiziana incautamente eccitata da una propaganda bellicosa, potrebbe, a parere del nostro ministro, provocare una crisi politica di rilevante portata.

296 1 Telespr. 2850/799 del 27 luglio dal Cairo, non pubblicato.

Il fatto appare tanto più meritevole di attenzione in quanto, per informazioni che giungono da varie parti, ripercussioni analoghe, se pure in misura diversa e proporzionata alle circostanze locali, sono state osservate e sono da attendersi in tutti i paesi arabi che hanno partecipato attivamente al conflitto, con la sola eccezione forse della Transgiordania, che di tutti, conserva più o meno intatta la sola forza militare efficiente ed ha in questo momento, grazie all'appoggio inglese, maggiori speranze di accrescimento territoriale e di prestigio.

La situazione che si è determinata in seguito al conflitto conferma in larga misura la valutazione datane con il telespresso di questo Ministero n. 14579/c. del 12 maggio u.s. 2 . È chiaro oramai che in avvenire dovremo contare con uno Stato ebraico saldamente stabilito in Palestina e capace di far sentire la sua influenza economica e politica in tutto il Medio Oriente. D'altra parte gli Stati arabi hanno palesato forse ancor più di quanto fosse lecito attendersi, la loro insufficiente maturità politica (la migliore prova di ciò si ha nel fatto che, pur essendo evidente che avrebbero finito per avere la peggio, essi hanno cercato di opporsi con violenza, almeno verbale, al rinnovo di una tregua che in realtà è venuta a salvarli tempestivamente da maggiori rovesci), hanno dato segni di assoluta impreparazione militare e di essere incapaci di procedere d'accordo con una visione unitaria dell'interesse generale. Il concetto politico stesso che ispira la Lega araba ha subito una grave scossa e può considerarsi in crisi.

Anche se questo bilancio provvisorio non è tutto a prima vista negativo per noi e per l'Europa occidentale, alcune conseguenze lontane dovrebbero sin da ora ritenere la nostra attenzione.

I paesi arabi o per meglio dire i regimi che attualmente li governano, saranno portati ad addossare la responsabilità di quanto, per loro colpa, è avvenuto, alle potenze occidentali. Di fronte al malcontento delle masse i Governi potrebbero cedere alla tentazione di cercare un riavvicinamento alla Russia, rompendo così l'equilibrio nel Medio Oriente che è anche interesse italiano di veder mantenuto. Oppure, inversamente, temendo le conseguenze interne di un simile passo cercherebbero sempre più di contrastare le aspirazioni «progressiste» delle masse, approfondendo così il solco che divide i regimi feudali e patriarcali dagli irrequieti elementi nazionalisti e radicali dei loro popoli. In un caso o nell'altro vi è ragione di temere che si vada incontro ad un pericolo di instabilità politica interna ed internazionale nel mondo arabo, che potrebbe essere, e con tutta probabilità sarà, sfruttata dalla propaganda comunista.

In queste condizioni ci domandiamo se, per tentare di parare a questi pericoli, non sarebbe saggio allargare il progetto di spartizione della zona araba della Palestina, e, anziché fame beneficiare la sola dinastia hascemita, estenderlo anche all'Egitto, alla Siria ed al Libano, in modo da concedere all'opinione pubblica di questi paesi, più direttamente coinvolti nel conflitto ed interessati alla sua soluzione politica, una soddisfazione che valga, almeno in parte, a lenire la delusione dell'insuccesso politico militare.

Prego V.E., in via di conversazione, di voler esporre questi argomenti e sostenere questa tesi presso codesto Governo. Mi sarà gradito essere informato delle eventuali reazioni.

Per quanto riguarda il nostro atteggiamento generale e in particolare la situazione in Gerusalemme, rimangono immutate le istruzioni di cui al telespresso già citato del 12 maggio.

295 2 Parola mancante.

296 2 Vedi D. 13.

297

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 964/14298/2929. Parigi, 8 agosto 1948 (per. il 18).

Mi riferisco al suo dispaccio n. 43/01514 del 28 luglio u.s. 1• Anche da parte francese mi erano stati chiesti, a suo tempo, chiarimenti circa la nostra missione a Mosca, ma non ho avuto difficoltà a spiegare il suo vero motivo basandomi, su per giù, sugli argomenti addotti nel dispaccio citato. Non ho avuto difficoltà a farlo, ripeto, perché il Governo francese le cui difficoltà di politica interna, specie per quello che riguarda i comunisti, sono molto analoghe alle nostre, è passato lui stesso del resto attraverso un periodo simile al nostro. E facile quindi convincere il Governo francese-direi quasi che è appena necessario il farlo -quali sono le nostre intenzioni e quali le difficoltà: ed aspettano, senza preoccupazioni che il tempo, l'esperienza, e gli americani si facciano il loro lavoro. Non ho avuto nessuna difficoltà anche perché i francesi, sapendo che non c'è nessun pericolo da parte nostra, sono estremamente soddisfatti della nostra attuale situazione. Una delle cose che ancora qualche mese fa dava più ai nervi ai francesi era la posizione speciale che noi avevamo in America: i francesi ci amano moltissimo, questo lo si sa: però ... dirò anzi che fra le tante ragioni che hanno spinto i francesi ad allinearsi così decisamente alla politica americana è stata anche il desiderio di portarci via la nostra posizione in America. Ora i francesi sono contentissimi di vedere che l'interpretazione che della nostra politica danno gli americani -e non mi stupirei affatto che i francesi contribuiscano a questa interpretazione americana ci ha fatto perdere la posizione che avevamo. Mi permetto però di dubitare, nonostante il risultato sembri soddisfacente delle conversazioni in proposito Grazzi-Walnisley, che il compito di Tarchiani sarà altrettanto facile che il mio, e ciò per differenti ragioni.

l) In sé e per sé è evidente che non c'è niente di male nel voler mandare una missione commerciale a Mosca: lo hanno fatto tutti -eccetto la Francia -e continuano a farlo tutti. Quello che cambia il carattere della nostra missione è il battage che ne è stato fatto, non soltanto nella stampa comunista, ma anche nella stampa governativa e nella stampa di destra; l'averlo presentato come un grande successo politico; l'avervi messo a capo una personalità politica importante e gli hints che vengono da varie parti -e che trovano largamente la loro strada nella stampa estera -di possibili, importanti suoi sviluppi. Tutto questo porta i malevoli che non sono pochi ad inserirla come parte importante di questa presunta politica di equidistanza, di neutralità che dà terribilmente ai nervi agli americani.

Caffery, il quale me ne ha parlato qualche giorno addietro -e non ho mancato di far valere presso di lui il nostro punto di vista -mi ha detto confidenzialmente che Dunn, in un suo rapporto in proposito, aveva scritto che mentre il Governo italiano aveva sempre avuto l'aria di scusarsi di aver mandato Lombardo in America, non faceva che vantarsi di mandare La Malfa in Russia.

2) Nessuno potrebbe negare che teoricamente una grossa parte delle difficoltà nelle quali ci dibattiamo dipende dal fatto di trovarci in parte tagliati fuori dai mercati dell'est europeo, anche se prendendo un po' troppo alla lettera le affermazioni dei comunisti, noi esageriamo alquanto la realtà: le cifre comparative del nostro commercio d'anteguerra stanno a dimostrarlo. Però noi ci facciamo una pericolosa illusione se noi pensiamo, che attraverso trattati di commercio o simili con i paesi dell'est europeo noi potremo, soprattutto in forma definitiva, risolvere questa nostra crisi. Ciò presupporrebbe una volontà da parte di tutti questi paesi e soprattutto della Russia a farlo. Purtroppo è proprio il contrario che è vero. Tutta l'azione dei nostri comunisti è diretta appunto ad evitare che noi possiamo uscire dalla presente crisi perché essi sanno benissimo che, se ne uscissimo, sarebbe la loro sconfitta: ora il ragionamento dei russi è identico.

I russi commerceranno con noi, e lo stesso la loro zona, solo quel tanto che è per loro necessario per i loro bisogni, evitando però, come hanno sempre fatto -e non solo con noi -che noi possiamo crearvici un mercato, e soprattutto un mercato sicuro. Bisogna rendersi conto che i mercati dell'est europeo, in quanto mercati nel senso classico della parola, sono perduti per noi, e per gli altri: che solo una guerra vittoriosa potrebbe ridarceli: che se noi vogliamo uscire da questa crisi bisogna che procediamo ad un lavoro di riattazione di tutta la nostra economia in modo da sostituire in qualche maniera ed in qualche posto questi mercati: contiamo su di loro solo come su di un possibile e parziale rimedio transitorio che renda meno difficile questo periodo di riattazione, ma nulla più. Che è poi esattamente la maniera con cui la Russia ed i suoi satelliti guardano i mercati cosiddetti capitalisti.

3) Il punto difficile a far digerire agli americani sarà quello delle riparazioni. Il caso è presentato molto abilmente: però la presentazione abile non toglie nulla alla sostanza: e la sostanza mi sembra appunto che noi, in pratica, abbiamo acceduto alla domanda sovietica di trattare in concreto il problema delle riparazioni. Si giri come si vuole, resta il fatto che noi iniziamo un programma di costruzioni navali per la Russia a titolo riparazioni un anno prima del termine fissato. Non che pensi che, anche in questo, ci sia nulla di male. Come V.E. sa sono, a suo tempo, stato della teoria che sarebbe stato per noi meglio rifiutarci di firmare il trattato di pace: ma visto che l'abbiamo fatto, la cosa più saggia da fare è quella di eseguirlo senza fare troppe storie, almeno in alcune sue parti. Così visto che le riparazioni, probabilmente le dovremo pagare, tanto è farlo con buona grazia e prendere finora i necessari accordi per questo pagamento. Questo per quello che ci concerne, ma la pensano così anche gli americani?

Materie prime a parte -e gli americani si annunciano particolarmente noiosi, e Dio sa se sanno esserlo, sull'uso delle loro materie prime-resta il fatto che anche se noi paghiamo in lire, in forma indiretta sono sempre gli americani che pagano le riparazioni. Poi una volta stabilito il precedente con i russi, alle riparazioni russe seguiranno quelle jugoslave, albanesi, ecc. Quindi comunque sarà sempre agli americani che direttamente o indirettamente dovremo domandare il permesso per pagarle. Ora data l'autorità che agli americani dà il fatto di essere in un certo senso i nostri amministratori -e temo che di qui a un anno lo saranno più che in un certo senso -io penso che il permesso [di pagare] o non di pagare le riparazioni al campo avverso essi se lo tengono in riserva come una arma di pressione, o di ricatto, contro la Russia. Non credo quindi, anche se riusciamo a persuaderli dei nostri motivi, che gli americani possono realmente dirci oggi se fra un anno vorranno o no che noi paghiamo le riparazioni alla Russia, ciò dipenderà da quello che saranno le loro relazioni con la Russia fra un anno, e questo il solo Padre Eterno può saperlo.

Quanto al materiale bellico, come V.E. dice, si tratta di sapere che cosa gli americani intendono per materiale bellico. Ora se non interviene qualche fattore veramente nuovo nei rapporti fra Russia ed America, mi sembra di vedere chiaramente che la lista delle merci tabù ha una tendenza impressionante ad allungarsi: che stiamo andando verso concetti molto simili a quelli del contrabbando di guerra, che alla fine comprende tutto: e che questa lista diventa sempre più restrittiva quando non si tratta di affari che fanno direttamente le ditte americane.

Tutte queste considerazioni a parte mi permetto anche da parte mia di raccomandare per tutto questo negoziato, ricco di materiale per noi esplosivo, la massima prudenza: e soprattutto di tenere gli americani, realmente -voglio dire senza riserve -informati di quello che facciamo. Il nostro Ministero degli esteri, tutta l'Italia è, per gli americani, una casa di vetro: per carità non pensiamo di poter concludere con i russi degli accordi, dei protocolli segreti: gli americani lo verranno a sapere. Mi rendo perfettamente conto delle ragioni di politica interna che ci hanno consigliato di intraprendere questi negoziati e che ci consigliano ancora oggi di condurli a buon termine: ma facciamo attenzione a non cadere in un pasticcio di politica interna ancora peggiore. Quello che noi rischiamo, e seriamente, è di concludere con i russi il nostro trattato di commercio e di navigazione, di fare dei bellissimi accordi commerciali e una volta conclusi di vedervi porre il veto americano con degli argomenti abbastanza convincenti per renderei difficile il non tenerne conto. In questo modo un atto di saggia politica interna rischia di finire in un grossissimo pasticcio di politica interna.

Quando sono arrivato in questo paese l'ho trovato in piena politica di equidistanza, di ponti, di non legarsi con nessun blocco. Ed ho seguito, si può dire giorno per giorno, per un anno e mezzo l'evoluzione della politica estera di questo paese, fino al suo attuale allineamento completo, sotto la pressione del long big stick americano. Ho visto giorno per giorno quanti dolori, quante difficoltà interne, quante umiliazioni la pressione americana è costata a questo paese: so per quanti uomini politici francesi tutto questo ha voluto dire la fine della loro carriera politica. E se mai in questo anno e mezzo la politica americana è diventata più diretta, più brutale, più semplicista. È precisamente, e soltanto, il desiderio di evitare, in quanto possibile, al mio paese queste crisi, queste umiliazioni, che m'induce ad esprimere francamente a V.E. e su questo e su tanti altri argomenti le mie apprensioni.

Nei tempi lontani in cui i Governi erano meno democratici ma più civili, quando la politica era fatta in Europa e dagli europei, quando si vedeva un paese di cui si desiderava l'amicizia o l'alleanza, flirticchiare con il proprio avversario si cercava di attirarlo a sé offrendogli dei vantaggi maggiori. Russi ed americani, ciascuno nel loro settore adottano una politica, forse più efficace, sul momento, ma certo meno piacevole: quella delle botte in testa.

Che gli americani non siano più tanto soddisfatti di noi e della nostra politica questo è un fatto che sarebbe oramai difficile negare. La dura strappata nella questione della flotta, l'atteggiamento loro ermetico, ma non certo favorevole nella questione delle colonie, alcune ben definite nuances in seno al piano Marshall sono, per me, tutte conseguenze di questo stato di fatto: purtroppo esse mi ricordano tanti episodi passati della vita francese.

297 1 Vedi D. 253.

298

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0678/203. Belgrado, 9 agosto 1948, ore 18,20 (per. ore 8 del l 0).

Telegramma ministeriale n. 193 1•

Questo incaricato d'affari di Grecia mi ha comunicato questa mattina che suo Governo ha deciso presentare a questo Segretariato Conferenza danubiana memorandum in cui chiede partecipare ogni futura commissione danubiana. È in attesa

testo memorandum che gli perverrà da Atene. Naturalmente suo Governo gradirebbe analogo passo da parte italiana. Ambasciatori inglese e americano, al corrente del passo greco, sono favorevoli. Questa legazione belga non ha invece ricevuto sino a stamane nuove istruzioni (mio telegramma n. 200)2• Prego informarmi urgentemente se devo associarmi a solo passo greco presentando memorandum che riservi diritti acquisiti e chiedendo partecipare futura commissione danubiana. Prego nel caso volermi telegrafare ogni utile elemento oltre quelli contenuti in telespresso circolare di codesto Ministero n. 20024 del 24 giugno 3 . Ritengo assolutamente improbabile

440 invito anche Italia per Conferenza danubiana m corso nonostante note richieste delegazioni britannica e francese 4 .

298 1 Vedi D. 292. 2 Del 6 agosto, con il quale Martino aveva comunicato che il Governo belga non intendeva presentare riserve circa il diritto di navigazione del Danubio in sede di Conferenza. 3 Vedi D. 142.

299

IL MINISTRO AD OTTAWA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 10687/45. Ottawa, 9 agosto 1948, ore 19,14 (per. ore 10,10 del 10).

Riassunto comunicato stampa relativo risposta inviata Londra circa nostre colonie ora avuto da Dipartimento esteri: Governo canadese premesso che basa sua dichiarazione su rapporti quadripartiti constata necessità ulteriore assistenza nostre colonie e sostiene

l) per Somalia trusteeship a Italia; 2) annessione una parte altipiano eritreo a Etiopia, trusteeship Gran Bretagna residuo territorio eritreo con porti franchi Massaua ed Assab per Etiopia; 3) per Libia trusteeship Gran Bretagna unica o separata per Tripolitania e Cirenaica; 4) sino approvazione Assemblea O.N.U. convenzioni trusteeship da sottoporsi da potenza prescelta nessun cambio attuale amministrazione territori. Dichiarazione concludesi esprimendosi favore riammissione lavoratori agricoli ed industriali italiani già precedentemente stabiliti Africa. Riferisco separatamente 1 e trasmetto testo2•

300

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 10713/634. Washington, 9 agosto 1948, ore 21,43 (per. ore 20,15 del 10).

Seguito 535 e 563 1•

299 Vedi D. 301.

2 Non pubblicato.

Appreso confidenzialmente che Consiglio superiore difesa (di cui telegrammi suindicati) avrebbe sottoposto proprio parere a presidente e segretario Stato circa problema colonie considerato da esclusivo punto di vista «sicurezza americana».

Sembra che tale parere, formulato in modo piuttosto vago e non impegnativo, rileverebbe in primo luogo interesse preminente americano per basi e loro efficienza e di conseguenza per mantenimento tranquillità e ordine relative zone tra popolazioni locali. Sottolineerebbe in secondo luogo l'importanza non compromettere rifornimenti petroli per marina ed aviazione e quindi opportunità non aggravare già esistente tensione con arabi per Palestina.

In terzo luogo additerebbe convenienza tener conto, in mancanza più diretti interessi americani, necessità ed aspirazioni potenze occidentali amiche quali Inghilterra e ltalia2 .

298 4 Per la risposta vedi D. 31 O.

300 1 Rispettivamente del 6 e 21 luglio, non pubblicati.

301

IL MINISTRO AD OTTAWA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0725/46. Ottawa, 10 agosto 1948, ore 15,53 (per. ore 7,30 dell'JJ).

Mio telegramma 45 1•

Memorandum canadese circa colonie italiane di cui ho riassunto testo comunicato stampa è redatto -senza dubbio alcuno -prevalentemente in base punto di vista britannico. Evidentemente questo Dominion e specialmente ambienti responsabili non sanno e non possono tuttora sottrarsi -in questioni in cui interesse inglese è preponderante -dal seguire indicazioni e aspirazioni di Londra.

Da due anni e mezzo per iscritto e a voce avevo illustrato questo Ministero esteri nostro punto di vista circa futuro colonie e messo in evidenza opera civiltà compiuta dall'Italia in Africa. Da ultimo avevo anche insistito-come da istruzioni impartite con telegramma 8508/c 2 -affinché Governo canadese si esprimesse almeno in forma generica in favore nostro, richiamando accenno del ministro esteri Saint-Laurent nel suo discorso Camera dei Comuni 14 maggio scorso (mio telegramma 27 3 e telespresso 573 4), che lasciava intravvedere atteggiamento realistico e umano. Devesi tale richiamo accenno finale dichiarazione, relativo riammissione in Africa nostri lavoratori precedentemente stabilitivi.

Ma per tutto il resto, anziché prendere in esame obiettivo nostro buon diritto o almeno considerare questione da un punto di vista indipendente ed imparziale m base equità, si è qui tenuto conto soltanto interessi e desideri Gran Bretagna.

2 Vedi D. 234, nota l.

3 Del 15 maggio, non pubblicato.

4 Non rinvenuto.

Riferisco con rapporto anche m relazione aspetto rapporti italo-canadesi alla luce di questo documento 5 .

300 2 Per la risposta vedi D. 308.

301 1 Vedi D. 299.

302

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE l 0799/0211. Parigi, l O agosto 1948 (per. il 12).

Circa colonie Schuman mi ha detto che ha speranza si possa arrivare soluzione parziale a noi favorevole per quanto riguarda Somalia, visto che, sostanzialmente, sono tutti d'accordo nel decidere che trusteeship Somalia sia affidato a Italia. Obiezioni giuridiche che erano state sollevate contro possibilità soluzione parziale sono state trovate infondate. Ignora soltanto se russi saranno disposti accettare questa soluzione parziale. Mi ha detto che per facilitare accettazione da parte russi, francesi hanno respinto suggerimento, inglese, avanzato del resto molto leggermente, per soluzione parziale comprendente anche Cirenaica. Governo francese stava concentrando tutta sua azione su questo punto ritenendo che, qualora fosse stato possibile ottenere soluzione parziale per Somalia, oltre a dare certa soddisfazione a Italia si sarebbe ottenuto risultato mostrare con fatti che soluzione trusteeship a Italia era un principio accettabile. Per quanto riguarda altre colonie, mi ha detto ritenere praticamente impossibile decisione in seno Comitato supplenti: era quindi inevitabile resto questione sarebbe stato rinviato ad Assemblea O.N.U. Mi ha aggiunto ritenere che rinvio a prossima Assemblea O.N.U. sarebbe stato puramente formale perché in fatto soluzione questione sarebbe stata rinviata futura Assemblea. Gli ho detto che da parte nostra si facevano molte obiezioni a questo rinvio: principale obiezione era che, prolungandosi stato di fatto amministrazione britannica, lavoro politico costantemente svolto da autorità britanniche contro di noi avrebbe avuto maggior tempo essere sviluppato. Noi temevamo che a forza rimandare soluzione avrebbe potuto finire con creare stato di fatto per cui Inghilterra, anche se non giuridicamente, avrebbe finito per installarsi definitivamente nostre colonie o almeno rendere estremamente improbabile soluzione favorevole Italia.

Schuman mi ha detto che, pur tenendo conto nostre osservazioni, non poteva condividere nostro punto di vista. Secondo lui, invece, a mano a mano che ci allontanavamo da atmosfera trattato di pace cresceva prestigio internazionale Italia, si normalizzava nostra situazione e che tutto questo avrebbe al contrario reso più difficile soluzione contraria a noi. Un anno fa -mi ha detto -soluzione favorevole a Italia per Somalia sarebbe stata impossibile: installazione pacifica ammini

443 strazione italiana in Somalia avrebbe potuto far cadere con i fatti affermazioni britanniche in senso contrario. Mi ha anche accennato al fatto che questione colonie è difficilmente separabile da questione nostri rapporti generali con mondo occidentale: trattavasi di questione complessa che difficilmente avrebbe potuto essere regolata in poche settimane. Per ultimo mi ha detto che da parte francese, per contatti avuti sia a Washington che a Londra, si aveva precisa impressione che rinvio fosse ormai stato deciso da americani e che rinvio fosse stato massimo che elementi a noi favorevoli Dipartimento di Stato avevano potuto ottenere. D'altra parte, nella situazione attuale, soluzione favorevole a noi era assolutamente esclusa e quindi sarebbe stato pericoloso insistere. Ha espresso speranza che anche da parte nostra si comprendesse questa situazione e la si accettasse con comprensione, che attualmente era il meglio che si potesse fare. Ha concluso ripetendomi che nulla era mutato nell'atteggiamento francese al riguardo.

301 5 Vedi D. 316.

303

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. 02168. Roma, l O agosto 1948.

Ringrazio V.E. del rapporto n. 941 in data 2 corrente 1 col quale ella ha riferito sui recenti lavori della Commissione mista per l'Unione itala-francese. Sono anch'io soddisfatto dell'andamento di essi, specie dopo aver avuto la sensazione, che ella mi ha confermato, dell'aumentato interesse francese e dell'iniziativa ed attività che, in tale occasione, il Governo di Parigi e la delegazione che esso ha nominato hanno spiegato.

Quanto alle varie considerazioni che ella svolge nel rapporto stesso, osservo quanto segue:

l) il Ministero del tesoro ebbe già a rifiutare la creazione della carica di 2° consigliere commerciale a Parigi in relazione all'aumento di lavoro relativo all'Unione. Questo Ministero ha insistito sulla necessità di far luogo a tale nuovo incarico, e torna a svolgere nuove sollecitazioni presso il Dicastero predetto, sulla base anche delle utili argomentazioni di V.E. È sperabile che una favorevole decisione possa essere raggiunta in breve.

2) Concordo sulla necessità di previe intese nel settore metallurgico. La «Finsider» mi ha testè confermato che intese del genere, sia pure in forma verbale, sono già state raggiunte con i signori Aaron e Bureau, sulla base di una produzione massima italiana da 2 milioni e mezzo di tonnellate annuali di acciaio a 3 milioni e mezzo. Anzi, proprio a seguito di queste intese, si è sospesa la costruzione del progettato nuovo stabilimento di Marghera.

Per gli acciai speciali le due parti sarebbero d'accordo a rinviare le discussioni ai problemi che possono sorgere di volta in volta. Aggiungo che verso il 15 settembre sono attesi in Italia, oltre i predetti signori, anche i signori Aubry, Wendel e forse Schneider. Sarà questa l'occasione in cui, proprio mentre si svolgeranno i negoziati della Commissione mista, tali intese potranno assumere veste concreta e definitiva.

3) Al Patronat francese fu a Parigi chiaramente specificato che nel periodo di attuazione del programma dell'Unione non si potrà fare a meno, da ambo le parti, di un determinato intervento statale, lo si chiami o non dirigismo. Non si può fare un programma di divisione e specializzazione di lavoro (quale quello che è insieme il presupposto e la finalità dell'Unione) senza intervento, forse talora anche coercitivo, delle autorità che dovranno dirigere e, se del caso, imporre le necessarie intese fra i vari gruppi e determinare l'emanazione di apposite norme legislative ed amministrative. Ad ultimata applicazione del programma il libero gioco dell'iniziativa individuale potrà avere la sua piena ripresa.

A tutto ciò il signor Villiers e il suo vice presidente mostrarono di essere d'accordo. Anzi, essi chiesero chi avrebbe garantito l'applicazione ed il rispetto delle intese di categoria una volta raggiunte: e fu risposto, i consorzi che man mano potranno formarsi e, in mancanza, il Governo. Quindi, quella maggior statizzazione che vige da noi, e che il Patronat sembra lamentare, costituisce in fondo per quest'ultimo una ottima garanzia di fronte alle preoccupazioni manifestateci.

4) È certo utile addivenire ad incontri ed intese dirette anche nei settori minori specie nell'agricoltura. Finora però gli incontri che hanno avuto luogo in quest'ultimo settore, non sono stati molto soddisfacenti, e non han servito, può dirsi, che a porre in luce le difficoltà. Nelle recenti riunioni della Commissione mista a Parigi, lo stesso presidente francese ha dovuto toglier la parola al signor Abbot (rappresentante delle categorie agricole algerine) per evitare spiacevoli affermazioni. Cosa accadrebbe se le riunioni dirette si moltiplicassero prima che le categorie interessate fossero poste dinanzi al fatto compiuto della unione dichiarata dai Parlamenti? È invece lecito supporre, che solo dopo essere poste di fronte alla decisione irrevocabile, le categorie sarebbero costrette a far buon viso a cattivo gioco.

A parere delle maggiori personalità italiane -non va dimenticato -una unione non si raggiunge se non attraverso un atto d 'imperio. Sperare che gli interessati siano così consapevoli che i vantaggi remoti superano gli interessi immediatamente conculcati, è forse vano. Può avvenire nei casi delle maggiori industrie, ma certo non avviene nei casi infinitamente più numerosi dei gruppi medi e piccoli, così frammentari, specie nell'agricoltura.

Tocca ai Governi, consapevoli di ciò, di illustrare la differenza fra vantaggi e svantaggi, tanto alle categorie quanto ai Parlamenti e tocca a questi ultimi a sapersi prendere la responsabilità di aprire o di sbarrare una nuova via all'Europa.

Il che non toglie, che dopo la definizione del programma d'applicazione e la discussione di esso ai Parlamenti, grossi incontri di categoria (quali quello così fruttifero avvenuto fra industriali) non possano e non debbano avvenire: ma senza che ne sia lecito sperare una influenza determinante e sopratutto senza che gli interessati vengano lasciati a loro stessi, ché altrimenti rischieremmo di distruggere e non di costruire.

Tale è almeno il parere degli organi responsabili italiani.

303 1 Vedi D. 274.

304

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2298/1027. Bruxelles, l O agosto 1948 (per. il 12).

Spaak mi ha detto che il cambiamento di titolare al Quai d'Orsay non porterà mutamenti nella politica estera della Francia. La posizione di Bidault era ormai scossa dopo tanti anni d'incarico ed il diverso atteggiamento che egli era stato più volte costretto a prendere a seconda del mutare delle circostanze, per l'antipatia che verso di lui si andava diffondendo negli ambienti parlamentari, e da ultimo per l'opposizione incontrata per l'approvazione delle decisioni di Londra sulla Germania.

Restano tuttavia i meriti di Bidault per l'opera tenace da lui svolta in favore della collaborazione europea. Ancora di recente, poche settimane or sono, quando egli era già praticamente dimissionario, ha voluto presentare alla riunione delle potenze del Patto di Bruxelles all'Aja la sua proposta per una federazione europea e la riunione di un'assemblea parlamentare europea.

L'iniziativa peraltro non ha incontrato il favore delle altre potenze ed in verità essa appariva per Io meno intempestiva. Bevin lo aveva subito dichiarato e Spaak aveva ritenuto dover appoggiare le considerazioni del ministro britannico. Bevin aveva fatto presente come fosse prematuro emettere un voto per la riunione di un'assemblea europea composta da rappresentanti nominati ufficialmente dai diversi Parlamenti. Sarebbe stato necessario compiere prima degli approcci, conoscere quale fosse il modo di vedere degli altri Governi e degli altri Parlamenti, preparare almeno un abbozzo di questo superparlamento, studiare quale avrebbe dovuto essere la sua composizione e la sua competenza. Bevin si era poi soffermato sul grave inconveniente che sarebbe derivato dalla presenza di comunisti nell'assemblea intereuropea come suggerito da Bidault. Non si poteva trascurare la circostanza che in molti Parlamenti europei i comunisti sono attualmente molto numerosi; come si sarebbe potuto evitare che le diverse assemble nazionali eleggessero per la superassemblea un certo numero di comunisti? E non è dubbio che i comunisti provenienti dalle diverse assemblee si sarebbero certo subito raggruppati ed avrebbero svolto azione concorde, particolarmente pericolosa data l'investitura ufficiale loro conferita.

Spaak aveva ritenuto utile associarsi subito alle considerazioni e preoccupazioni di Bevin. Ad una federazione europea si dovrà certamente addivenire, essa è nel pensiero di tutti, ma è pericoloso volere bruciare le tappe; molto meglio che pel momento il compito di tenere viva l'idea sia lasciato all'iniziativa di organizzazioni private. Un'affrettata iniziativa presa ora ufficialmente dai Governi si sarebbe probabilmente risolta in un insuccesso ed avrebbe compromesso in futuro l'attuazione dell'idea. Ma bisogna procedere a gradi. Il Benelux, il Patto a cinque, il piano Marshall sono organismi appena all'inizio; la loro concreta attuazione presenta ancora molte difficoltà le quali si stanno man mano eliminando con molta pazienza ma anche con molte difficoltà. Conviene procedere con prudenza e quando gli organismi già esistenti si saranno irrobustiti, e saranno stati attuati altri in corso di elaborazione, come ad esempio l'Unione doganale italo-francese, si potrà fare un passo avanti per un raggruppamento politico-economico di un maggior numero di potenze. Spaak ha ripetuto che un'iniziativa ufficiale appariva del tutto prematura, che conveniva lasciare che organizzazioni private continuassero a studiare e sviluppare la questione e preparassero progetti, sui quali si sarebbe potuta pronuniziare l'opinione pubblica e che nello stesso tempo avrebbero potuto offrire utili elementi all'attenzione dei Governi responsabili.

Spaak ha detto anche che una grande, anzi grandissima difficoltà per l'attuazione di una federazione europea è costituita dalle attuali differenze di monete ed instabilità dei cambi. Non si potrà pensare sul serio ad una federazione economica europea se non saranno state stabilizzate le monete e preparato il terreno per adottare possibilmente una moneta unica.

305

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 4117/1707. Londra, 10 agosto 1948 1•

È opinione generale che le conversazioni oggi in corso a Mosca non potranno portare nella migliore ipotesi che ad una distensione temporanea.

Perchè potessero approdare ad una sistemazione pacifica e relativamente definitiva dell'antagonismo fra Stati Uniti e U.R.S.S. accorrerebbero fatti nuovi di cui non si vedono per ora i segni. Per esempio è evidente che se non si giunge ad un controllo internazionale veramente efficace dell'energia atomica verrà un giorno in cui a Washington, prevedendosi imminente il momento in cui i sovietici disporranno delle nuove armi, si sarà irresistibilmente tentati di neutralizzare la minaccia con una guerra preventiva. Una crisi di disoccupazione in America potrebbe avere lo stesso risultato. Dobbiamo quindi vedere nel tentativo di conciliazione oggi in atto a Mosca soltanto-dal nostro punto di vista e nell'ipotesi che il tentativo non fallisca immediatamente -del tempo guadagnato; tempo che nella situazione attuale può essere prezioso.

Il primo punto da chiarire ancora una volta è la cosiddetta «garanzia americana». Se per questa s'intende un'assicurazione che gli Stati Uniti entreranno in guerra in caso di attacco sovietico all'Europa occidentale (dalla Norvegia a Trieste), parlarne oggi che inglesi, francesi e Benelux, e forse non loro soltanto, supplicano gli americani di non brusquer les choses con l'Unione Sovietica è per lo meno ridicolo; è chiaro che gli Stati Uniti hanno, se mai, troppa voglia di fare la guerra e che si deve piuttosto parlare di una assicurazione di non provocare il conflitto prima che l'Europa occidentale sia in grado di difendersi; soltanto in questo senso può la garanzia (sarebbe più esatto parlare di aiuti militari) americana essere non solo concepibile ma indispensabile. Non si tratta in realtà di politica ma di strategia e di

armamenti; non di patti di alleanza di crediti e di materiale bellico. La politica e i patti sono, se richiesti, soltanto un mezzo per ottenere:

l) che la strategia americana tenga possibilmente conto della esistenza e delle esigenze indispensabili dei paesi dell'Europa occidentale;

2) che in ogni modo gli Stati Uniti forniscano i crediti e -oppure -il materiale necessario perché gli Stati dell'Europa occidentale possano provvedere alla difesa dei loro territori di cui la strategia americana, operando per continenti, non può occuparsi che in quanto coincida con le proprie esigenze.

In altre parole, ammesso che gli Stati dell'Europa occidentale abbiano ancora la volontà di difendersi da sé e non intendano lasciare passivamente questo compito alle truppe americane (nel qual caso si può essere sicuri che arriveranno prima quelle sovietiche e che la «colonizzazione» totale dell'Europa passerà per un periodo moscovita anche se dovrà concludersi con una fase nord-americana), tutto quello che si fa in Europa occidentale in materia di politica internazionale è una apparenza destinata a mascherare più o meno velatamente una corsa ai crediti americani per il riarmo. Da questo punto di vista si spiegano numerose assurdità apparenti: per esempio, come ha messo tempo fa in rilievo l'ambasciatore a Parigi, che il Benelux possa «preoccuparsi di non allargare i propri impegni militari al Mediterraneo», frase che presa letteralmente non avrebbe senso; infatti il Benelux non ha oggi le forze necessarie per difendere neppure la metà del proprio territorio e anche nella migliore ipotesi ossia a riarmo compiuto nessun stratega per quanto ottimista potrebbe pensare sul serio di difendere la nostra frontiera orientale con le truppe del Benelux, né d'altra parte alcun uomo di Stato, per quanto ottimista, potrebbe illudersi che un attacco sovietico ali 'Italia possa liquidarsi sul posto senza ripercussioni immediate nell'Europa centrale e settentrionale. Invece se queste preoccupazioni del Benelux vengono interpretate come un argomento destinato unicamente a ottenere crediti militari da Washington esse diventano perfettamente comprensibili.

Prima di applicare queste considerazioni al caso nostro mi sembra necessario chiarire un'altra questione sulla quale il verbiage non manca cioè la difesa del Medio Oriente e del Mediterraneo.

Nel complesso l'inettitudine militare -e non militare soltanto -degli Stati arabi messa abbondantemente in luce dagli avvenimenti in Palestina ha qui superato l'aspettativa. Inoltre si considera che il fallimento -almeno temporaneo -della Lega araba apre la via a possibili rivolgimenti interni in quei paesi a tutto vantaggio dei sovietici i quali potrebbero facilmente l'indomani di una rivoluzione in Iraq o in Egitto affermare la loro profonda simpatia per il «popolo» arabo e, se necessario, buttare anche a mare almeno temporaneamente gli ebrei: è interessante notare che la xenofobia, che si sta manifestando sempre più acuta nei paesi arabi dopo lo scacco in Palestina, sembra diretta soprattutto contro gli inglesi i quali del resto ammettono di essere oggi gli stranieri più odiati in Egitto.

Tutto questo, mentre induce legittimamente a porsi la domanda se la politica britannica nei paesi arabi non sia sorpassata e avviata a un fallimento, porta ad alcune considerazioni:

Quando gli americani parlano di rifornirsi di petrolio dal Medio Oriente in caso di conflitto come pensano di difendere quei giacimenti dall'invasione russa? Non certo con l'esercito persiano che anche associato a quello iracheno e anche assistito da tutti gli altri eserciti arabi potrebbe, volendo essere ottimisti e pensare che si battesse, resistere al massimo per due ore alle forze sovietiche (molto considerevoli secondo le informazioni che si hano qui) ammassate alle frontiere turco-irachenopersiana: molto probabilmente non si batterebbe affatto. Gli americani potrebbero forse liquidare con un bombardamento atomico i giacimenti di Baku e successivamente quelli del Medio Oriente che venissero occupati dal nemico e, se ciò fosse sufficiente a paralizzare i movimenti delle armate sovietiche, il Medio Oriente senza petrolio -o almeno il Mediterraneo potrebbero considerarsi in certo modo difesi. Ma per difendere i pozzi di Kirkuk, Abadan e anche Dharan occorrono forze terrestri che, dopo la prova più che dubbia data dagli eserciti arabi, dovrebbero necessariamente venire sia dagli Stati Uniti sia dall'Europa occidentale.

D'altra parte è probabile che il Comando sovietico non ripeterà l'errore commesso da Hitler e attribuirà la massima importanza all'occupazione non solo del Medio Oriente ma possibilmente di tutta l'Africa del Nord attraverso il canale di Suez e l'Egitto. Da questo punto di vista la situazione strategica dell'Italia acquista particolare importanza non solo per gli Stati Uniti ma molto più per la Gran Bretagna. Infatti mentre a Washington la perdita dell'Africa del Nord potrebbe anche essere considerata soltanto un grave insuccesso militare, per gli inglesi una occupazione, sia pure temporanea, di quelle regioni da parte dei sovietici con le infiltrazioni e le ripercussioni che non mancherebbe di avere nel resto del continente africano significherebbe la fine -di fatto se non di nome -di una politica indipendente del Commonwealth, politica che dopo la perdita dell'Asia è costretta ad appoggiarsi alle basi e alle risorse africane.

È dunque interesse della Gran Bretagna che l'Italia possa difendersi contro la minaccia comunista sotto qualsiasi forma. A questo proposito osservo che è qui diffusa l'opinione che in caso di guerra i sovietici potrebbero seguire nei riguardi del nostro paese una tattica analoga a quella adottata da Hitler per l'occupazione della Norvegia, ossia un sollevamento all'interno aiutato da paracadutisti e da sbarchi di contingenti di truppe in determinate località. Si osserva qui che la configurazione del paese ad eccezione della pianura del Po non si presta all'impiego di grandi masse e facilita invece la difesa.

Data la pericolosa situazione della sua «area vitale» l 'Italia -si aggiunge deve in ogni modo basarsi per quanto riguarda il grosso delle industrie belliche e dei rifornimenti su paesi meglio attrezzati e più favorevolmente situati limitandosi a tenere sul posto le forze necessarie sia per reagire contro moti interni e attacchi si paracadutisti, sia per difendere le coste e la frontiera orientale. Queste forze, si ritiene, non sarebbero eccessive come numero purché fossero ottime di qualità e non supererebbero di molto gli effettivi stabiliti dal trattato di pace. L'Italia, di dice, è da considerarsi agli effetti strategici quasi come un'isola e la sua difesa deve basarsi su criteri adeguati; l'alleanza con le potenze che hanno il controllo del mare -nel senso combinato aeronavale della guerra moderna -è un vecchio assioma, qualche volta dimenticato, della politica italiana.

Non desidero addentrarmi in discussioni strategiche che sono al di fuori della mia competenza e sarebbero premature se si spingessero nei dettagli. Ho ritenuto però necessario sottolineare l) il carattere essenzialmente strategico-militare di tutta l'attività apparentemente politica odierna nell'Europa occidentale; 2) l'interesse maggiore in confronto agli Stati Uniti che la Gran Bretagna può avere alla difesa del nostro paese contro la minaccia russo-comunista in quanto mi sembrano due premesse indispensabili ad un orientamento realista della nostra politica estera nel periodo critico che attraversiamo.

Se la Gran Bretagna fosse ancora, come mezzo secolo fa, il centro della finanza mondiale il problema della difesa almeno per quanto ci riguarda potrebbe essere affrontato e forse anche risolto con relativa facilità. Cinquanta anni fa il Governo britannico ad una nostra richiesta di forniture e crediti per armamenti avrebbe probabilmente reagito esaminando con occhio critico i requisiti di stabilità e di fiducia presentati dal nostro Governo e chiedendo certe garanzie -non necessariamente pubbliche -sull'impiego che intendevamo fare dei mezzi fomitici. Una missione militare camoujlée in qualche modo sarebbe forse stata considerata una garanzia più soddisfacente di una alleanza formale ed aperta. Credo che sarebbe sostanzialmente su queste stesse linee che la Gran Bretagna, se ne avesse i mezzi, organizzerebbe anche oggi la difesa dell'Europa occidentale: il Patto di Bruxelles non è in realtà per lei che un surrogato sgradito imposto dalle sue condizioni finanziarie e dalla necessità di ottenere crediti da Washington. La Gran Bretagna ha una diffidenza istintiva e tradizionale per qualsiasi forma di unione politica in Europa; se fatta con lei in quanto la impegna, se fatta senza di lei in quanto ne sospetta. Essa accetta oggi la collaborazione economica perché è inevitabile ed imposta dagli Stati Uniti come condizione di assistenza, ed anche perché spera di trame dei vantaggi; per esempio di tornare ad essere il banchiere almeno dell'Europa occidentale considerando che la sterlina potrebbe diventare in questa area un mezzo di pagamento preferibile al dollaro, valuta che tutti oggi tendono a tesorizzare. Ma la forma di collaborazione che di fronte alla imminente minaccia sovietica essa comprende meglio, in certe forme e con certe riserve, è quella militare. Non avendo essa stessa i mezzi soprattutto finanziari per riarmare quegli Stati europei che considera essenziali alla propria difesa, la Gran Bretagna tende ad accentrare in sé la direzione strategia e tecnica di questo riarmo profittando del fatto che l'industria britannica e soprattutto quella canadese sono oggi, a parte gli Stati Uniti, quelle meglio in grado di provvedere l'equipaggiamento richiesto dalla guerra moderna. In altre parole, dati i crediti sufficienti -e per questi sarà sempre necessario ricorrere, oltre certi limiti molto modesti, agli Stati Uniti -essa potrebbe fornire a determinati paesi dell'Europa occidentale i mezzi per provvedere alla propria difesa territoriale naturalmente a determinate condizioni e con certe garanzie.

È difficile dire in anticipio quali potrebbero essere queste condizioni e queste garanzie nel caso nostro tanto più che gli inglesi debbono, presso a poco quanto noi, fare i conti con l'America, potrebbe darsi che venisse richiesta una formale partecipazione a un patto regionale di sicurezza che potrebbe essere quello di Bruxelles o un altro; potrebbe darsi invece che, entro i limiti modesti del nostro riarmo esposti sopra, garanzie meno appariscenti ma forse più efficaci, venissero domandate. Il punto importante è la possibilità di concretare la nostra difesa entro la strategia britannica

la quale, non affatto per amor nostro ma come conseguenza naturale della posizione geografica della Gran Bretagna e del Commonwealth, coincide più di quella degli Stati Uniti con gli interessi specifici ed immediati della protezione del nostro territorio. A mio parere, data la situazione internazionale il problema della nostra difesa dovrebbe essere affrontato sollecitamente. È appunto a causa della gravità di tale situazione che ho ritenuto mio dovere esporre a V.E. quanto precede.

305 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

306

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 971114600/2976. Parigi, l O agosto 1948.

Ho ricevuto la tua lettera n. 3/670 del 4 corrente1: vedo che anche tu hai il tuo colpo di nervi com'è successo a me più di una volta.

Secondo me, tutte le difficoltà di cui tu parli e i possibili errori che ne sono derivati sono secondari. Gli errori veramente fondamentali che noi abbiamo fatto nella questione delle colonie sono, per me, due: l) di non aver sufficientemente tenuto conto che la decisione definitiva era a Washington e non a Londra. Mi dirai che questi ultimi tempi gli approcci fatti non sono Stati troppo incoraggianti: c'è però da domandarsi se noi avessimo fatto fin dal principio tanti sforzi a Washington quanto ne abbiamo fatto a Londra se non avremmo oggi qualche risultato più concreto; 2) per me il più importante: non abbiamo tenuto conto che una soluzione a noi favorevole della questione delle colonie era impossibile senza un chiarimento della nostra posizione nel campo della politica generale. Solito argomento, che cioè una risoluzione della questione delle colonie a noi favorevole avrebbe facilitato l'allineamento con le potenze occidentali. Dall'altra parte però ci si dice o ci si fa capire esattamente il contrario. Siamo in un circolo vizioso dal quale, dati i rapporti d'importanza, bisognerà che ci decidiamo di uscire noi e non attendere che ne escano loro.

Comunque, mi sembra che nel complesso abbiamo fortuna e che le conseguenze degli errori di dettaglio e di quelli fondamentali non portino ancora a dei risultati definitivi. Quanto mi ha detto Schuman 2 , che corrisponde del resto anche alle affe1mazioni che vedo venire da Washington e da Londra, ci fa intendere chiaramente che la questione delle colonie non sarà decisa né dai supplenti, né dalla prossima Assemblea dell'O.N.U. ma sarà rimandata all'anno prossimo. Conosco le tue obbiezioni che del resto in buona parte mi ha confermato Cerulli. Ritengo però -pur non condividendo completamente le tue preoccupazioni -che ormai non ci sia niente da fare: abbiamo una decisione americana e qualsiasi sforzo noi potremmo fare per cercare di forzare una decisione più prossima sarebbe votato all'insuccesso. Credo quindi ci convenga adattarci di buona grazia a quello che succede e cercare, il che è possibile, di trarre vantaggio di quest'anno, sopratutto cercando di evitare gli errori commessi in precedenza.

2 Vedi D. 302.

Evidentemente l'ideale sarebbe di poter ottenere una soluzione parziale per la Somalia. Ti dirò francamente che, nonostante il recente ottimismo francese, faccio tutte le mie riserve: sarà anche per scaramanzia, ma preferisco aspettare a dire che la cosa è possibile o fatta a sentire le decisioni di Londra. Comunque, visto che si tratta di una decisione che si prenderà o non si prenderà al di fuori di noi, credo che la migliore politica che potremo fare è quella di tener bene i nervi a posto e di non cercare di insistere presso nessuno dei Quattro perché la soluzione «parziale» sia adottata.

Quanto ai contatti con la Lega araba, mi sembra di comprendere che ti stai orientando verso una soluzione tipo Transgiordania. In principio, come tu sai, era questa la mia idea, che allora, per ragioni del resto che avevano il loro peso, tu non condividevi. Come ti scrissi -e dissi verbalmente al ministro -mi rendevo perfettamente conto che la soluzione sarebbe dispiaciuta ai francesi. Però, allora come oggi non mi preoccupo delle conseguenze e farò il mio possibile per attutire lo choc. Vorrei soltanto attirare la tua attenzione sul fatto che è molto difficile che questi negoziati rimangano segreti. La tua lettera mi ha fatto capire il perché di certe domande fatteci da Chauvel: ora se lo sanno i francesi lo verranno a sapere facilmente anche gli inglesi. In un momento in cui esiste una possibilità di una soluzione parziale a noi favorevole ed in genere si è orientati verso un rinvio che, anche se discutibile, ci lascia comunque del tempo per agire, non ti nascondo che ho qualche preoccupazione sulle conseguenze che simili negoziati, specialmente se scoperti, potrebbero avere sulle disposizioni generali verso di noi. Dato che la disposizione generale sembra essere quella di lasciare la questione aperta e che il fatto che la questione resta aperta ci lascia libere tutte le eventualità, mi domando se non sarebbe meglio adesso stare assolutamente tranquilli fino a che il rinvio non diventi cosa giudicata. Dopo il rinvio si potrebbe vedere esattamente qual è la situazione: forse uno scambio di vedute per iscritto fra le principali rappresentanze, come è stato fatto per il Patto occidentale, potrebbe anche non essere inutile: preso poi atto della situazione, decidere sulla linea di condotta da prendere e lanciarsi poi sulla via che l'esperienza ci mostra la migliore.

306 1 Non rinvenuta.

307

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA PERSONALE 1 . Londra, l O agosto 1948.

Ho ricevuto e Ietto con la maggiore attenzione la tua lettera2 e ho apprezzato le giustissime ragioni per cui essa è rivolta a me solo. Sempre più sono del parere che tra noi due, direttamente, ci intendiamo subito con poche parole e con comprensione

307 1 Autografa. 2 Vedi D. 285.

intera. A te non dico che la verità o quella che mi sembra tale, ma per questo non ho bisogno di fare dei preamboli sulla verità che devo dirti, o prendere speciali toni solenni da ambasciatore. Amo in tutto la semplicità e tu mi comprendi. Certo siamo ormai a un punto così delicato e sensibile della situazione politica che converrà vederci presto, poiché comprendo che vi sono direttive che non mi possono essere trasmesse che a voce, e che devono rimanere nel cerchio chiuso e ristrettissimo. Penserei, se credi, di richiedere il mio congedo in settembre, essendo così a tua disposizione. Devo intanto dirti che mi sono rallegrato per due motivi: anzitutto perché la tua lettera risponde perfettamente alla mia linea di condotta e di pensiero. Anche quanto mi ha detto Vitetti rientra perfettamente nella visione della reale situazione di politica interna e estera italiana, per cui parlando con Bevin io potrò «parlare» la tua lettera con piena convinzione.

Inoltre devo dirti che grazie ai tuoi colloqui con Mallet3 la disposizione d'animo a nostro riguardo è assai mutata. Ho trovato Sargent cordialissimo e persuaso. Il lavoro di Mallet a Londra, a chiarificazione delle nostre posizioni, è stato utilissimo e vorrei che di questo tu tenessi conto. Con Mallet ci siamo ripromessi di ritrovarci a Roma a fine settembre per uno scambio di vedute. In quel momento la situazione generale ci permetterà di vedere con maggiore chiarezza le nostre possibilità e postztom.

Intanto io proseguirò qui i miei sondaggi. Può essere che te ne scriva prossimamente in via confidenziale. Lavoro con ardente fede alla soluzione delle nostre colonie. È, in questo momento, lavoro discreto e prudente.

Per oggi ti lascio, in unione di spirito e di buona volontà.

308

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. S.N.D. 9267/461. Roma, 11 agosto 1948, ore 23,50.

Suo 634 1•

Quanto ella riferisce farebbe supporre che, oltre a ragioni di altra natura, sussista ancora in codesti ambienti ufficiali e specialmente Consiglio supremo difesa qualche dubbio, nonostante nostre ripetute assicurazioni circa atteggiamento che Governo italiano assumerebbe di fronte interessi strategici americani in Tripolitania qualora ci venisse affidata amministrazione di tale territorio.

308 1 Vedi D. 300.

Autorizzala perciò in colloquio con Lovett, ed eventualmente anche con autorevoli esponenti Consiglio difesa, ad assicurare formalmente che siamo disposti assumere fin d'ora preciso impegno con codesto Governo di rinnovare lease concessogli da amministrazione inglese circa basi strategiche suddette2 .

307 3 Vedi DD. 230 e 285.

309

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 10771/642. Washington, 11 agosto 1948, ore 13 (per. ore 22).

Miei 608-11 1 .

Riassumo nuova conversazione confidenziale avuta al Dipartimento su trattative Mosca:

l) due ultimi colloqui fra i tre e Molotov non avrebbero consentito alcun rapido progresso del negoziato che rimarrebbe sostanzialmente nei termini segnati. Nessuna delle due parti sarebbe riuscita finora ottenere dall'altra concessioni di rilievo. Da parte degli Alleati si batterebbe sullo sblocco di Berlino e condizioni del relativo accordo monetario, senza uscire dalle generali per quanto concerne argomenti da discutere quando riconvocato C.F.M. Molotov invece insisterebbe contemporaneamente per strappare concessioni massime in questione valuta Berlino e saggiare instancabilmente disposizioni e resistenze alleate su problemi particolari della situazione tedesca (Ruhr, riparazioni, ecc.) nel tentativo acquisire sin da adesso

vantaggi ed impegni da sfruttare in sede C.F.M. 2) Potenze alleate si sarebbero già adattate a tattica defatigatoria sovietica. Si prevede infatti che nel caso più favorevole accorrerebbero ancora vari colloqui con Molotov.

308 2 Con il T. s.n.d. 10864/645 del 12 agosto Di Stefano rispose non risultargli l'esistenza di accordi lease tra Stati Uniti ed Inghilterra circa le basi strategiche in Tripolitania ma che «americani ne usano alla pari tutti altri porti ed aerodromi inglesi, nelle isole britanniche nel Mediterraneo e altrove, come casa loro, a titolo reciprocità e quasi alleati. Stati Uniti hanno poi concluso vari accordi con la Francia, uno dei quali aereo per trasporto, ed uso aeroporti metropoli e colonie. Conclusione di un analogo accordo aereo con l'Italia costì proposto non sarebbe stato tempo fa ritenuto opportuno da nostre competenti autorità» e concluse suggerendo di non scoraggiare l'imminente iniziativa statunitense di riprendere il progetto di accordo aereo. Con successivo T. s.n.d. l 0865/646, pari data, Di Stefano aggiunse che ritornare sull'argomento delle garanzie strategiche, dopo le ampie assicurazioni già comunicate ai più importanti esponenti politici e militari statunitensi, avrebbe potuto avere effetti controproducenti ma che tuttavia aveva chiesto udienza a Lovett per insistere nuovamente sulle colonie. Particolarmente per la Tripolitania. Egli riferì infine sul colloquio (T. s.n.d. l 0866-10835/649-650 del 12 agosto) preannunciando l'invio di una comunicazione ufficiale circa la posizione americana sulle colonie. Per tale documento vedi D. 329, Allegato.

309 1 Vedi D. 282.

310

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 9270/196. Roma, 12 agosto 1948, ore 1,30.

Suo 203 1• Qualunque sia decisione Governo belga, sembra opportuno che S.V., contemporaneamente suo collega greco, ed eventualmente belga, o altrimenti solo, presenti al segretario della conferenza dichiarazione italiana che tenga conto speciale situazione nostro paese che era non soltanto firmatario convenzione 1921 ma, a differenza altri due Stati, era anche rappresentato in Commissione Danubio. Si trasmette con separato telegramma2 argomentazione giuridica della dichiarazione che ella, dopo avere anche consultato suoi colleghi potenze occidentali, potrà utilizzare per redazione memorandum. In relazione proposta contenuta progetto sovietico dichiarare estinti debiti

C.E.D. ed altri organi internazionali si dovrà fare riserva diritti Italia per suoi crediti che solo per C.E.D. ammontano come noto oltre 952 mila franchi oro.

311

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0802/212. Atene, 12 agosto 1948, ore 0,50 (per. ore 12,30).

Telegramma n. 1151 .

Ho comunicato a questo sottosegretario Pipinelis che il Governo italiano è disposto associarsi passo comune proposto da ministro greco Belgrado presso segretario generale Conferenza danubiana.

Pipinelis si è mostrato lieto nostro atteggiamento e mi ha detto aver impartito istruzioni a rappresentante greco Belgrado concordare azione comune con nostra delegazione. Ha aggiunto dubitare che Belgio, per particolare sua situazione, voglia associarsi senza riserve azione comune. Mi ha infine consegnato a titolo confidenziale copia memorandum greco non ancora depositato Segretariato Conferenza danubiana di cui inoltro testo prossimo corriere.

2 T. 9269/195 dell'11 agosto, non pubblicato.

310 1 Vedi D. 298.

311 1 Vedi D. 292, nota 4.

312

IL MINISTRO A L' AJA, BO MBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 10818/83. L 'Aja, 12 agosto 1948, ore 14,06 (per. ore 19,40).

Telegramma di V. E. 8985 del 5 corrente 1 è qui giunto appena il giorno l O corrente per posta aerea, quando già risposta olandese era stata data al Consiglio dei sostituti.

Ad ogni modo il segretario generale Lovink in data 4 corrente mi faceva una comunicazione giunta in mie mani il 6 ed inviata a codesto Ministero col mio telespresso 446 del 9 corrente2 , nella quale (posteriormente alla informazione verbale data il 29 luglio u.s. dal direttore degli affari politici Boon -mio telegramma 733) egli diceva che «siccome i rapporti della commissione d'inchiesta dei Quattro non gli hanno fatto mutare il proprio punto di vista, il Governo reale non ha motivo di presentare, verbalmente o per iscritto, osservazioni supplementari riguardo a questa questione alla Conferenza dei sostituti».

Ho domandato di poter prendere riservata visione del testo della comunicazione inviata a Londra. Si è evitato di mostrarmela: però mi si è affermato che quanto precede formava oggetto della comunicazione stessa.

Da ciò appare che questo Governo continua ad essere dell'opinione già espressa nello scorso novembre (e cioè che, tranne per la Cirenaica, sia da affidarsi all'Italia l'amministrazione delle sue antiche colonie) e che tale opinione è stata confermata anche dopo aver preso conoscenza dei rapporti della Commissione d'inchiesta, sia pure in forma ...4 nella risposta al Consiglio dei sostituti.

313

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 10839/648. Washington, 12 agosto 1948, ore 21,26 (per. ore 10 del 13).

Seguito mio 641 1•

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 242, nota 3.

4 Gruppo indecifrato.

Insistito nuovamente affinché in ripresa domani discussione a Consiglio sicurezza in questione Trieste, americani continuino mantenersi fermamente su posizione 20 marzo. Questo pomeriggio Dipartimento ha assicurato confidenzialmente che delegazioni tre potenze occidentali:

a) respingerebbero ogni manovra tendente riaprire questione governatore, procurando per quanto possibile limitare attuali discussioni al solo dibattito relativo nota di protesta jugoslava;

b) insisterebbero nell'attribuire Jugoslavia piena responsabilità presente situazione per aver contravvenuto impegni assunti relativamente T.L.T., estendendo praticamente propri sistemi Zona B amministrata con criteri totalitari, contrari ad ogni più elementare principio di libertà.

312 1 Con il quale Zoppi sottolineava la mancata presa di posizione del Governo olandese a favore dell'assegnazione all'Italia dell'amministrazione fiduciaria sulle sue ex colonie.

313 1 Del IO agosto, con il quale Di Stefano aveva dato notizia del discorso di Jessup al Consiglio di sicurezza che riconfermava la posizione statunitense su Trieste.

314

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'OSSERVATORE ITALIANO PRESSO L'E.C.E. A GINEVRA

TELESPR. RISERVATO 02319. Roma, 12 agosto 1948.

Riferimento: suo n. 982 del 30 luglio 1 .

Nel mentre si segna ricevuta del telespresso sopra indicato, si ritiene opportuno fornire alla S.V. -a parte le istruzioni specifiche che le verranno impartite in prosieguo di tempo circa le singole questioni che saranno oggetto del prossimo Comitato dell'E.C.E. e a parte le direttive che recheranno seco i vari esperti delle amministrazioni tecniche -le seguenti direttive di massima:

l) la posizione che ha l'Italia di osservatore presso l'E.C.E. rende, per una volta, più agevole il suo compito in quanto sarà possibile evitare delle prese di posizione eccessivamente determinate nei rapporti di problemi che coinvolgono le relazioni oggi intercedenti tra i due gruppi di Stati, problemi che sorpassano l'ambito della stessa E.C.E.

2) Pur appartenendo senza dubbiezza alcuna al mondo occidentale, l'Italia deve continuare a cercare di tenere le porte aperte dei nostri traffici verso l'Est europeo. Il favorevole andamento dei nostri accordi con la Jugoslavia e la Polonia, e il tentativo in corso di riallacciare le relazioni economiche con l'U.R.S.S., stanno a dimostrare il buon successo di tale nostra politica. Essa ha tuttavia un limite: quello più ristretto del non impiego delle materie prime forniteci col piano E.R.P., e quello più largo del non urtare suscettibilità nord americane col fornire a tali paesi materiali troppo direttamente connessi con l'aumento del potenziale bellico. Trattasi quindi eli una politica estremamente difficile a condurre in buon porto, ma che conviene continuare sino a quando non ci venga dimostrata una assoluta e deprecabile necessità di modificarla.

3) In linea di massima l'Italia è quindi favorevole ad aumentare i poteri di acquisto dei paesi dell'Est, pure essendo escluso per ovvie ragioni che essa concorra alla concessione di importanti crediti a lunga scadenza. Quanto a quelli a breve scadenza sono da ricordare gli speciali disposti dell'accordo per le commesse speciali con la Polonia, i plafonds concessi alla Jugoslavia, quelli che potremmo concedere a l'U.R.S.S. Ciò, per dimostrare il nostro buon volere e più ancora il nostro contributo.

4) In genere l'Italia non è favorevole alla industrializzazione di detti paesi, in quanto ciò ci sottrarrebbe dei mercati interessati ai nostri prodotti finiti. Ma è chiaro che non dipende da noi uno sviluppo o l'arresto di un tale sviluppo in quel senso. Ove una decisione favorevole dovesse prevalere noi saremmo pronti a contribuire per lo meno a siffatta industrializzazione. Il che sta già avvenendo con la Jugoslavia ed in parte con la Polonia.

5) Non ci è noto il pensiero del Governo di Washington in merito alla possibilità di aiuti ai paesi dell'Est che va considerata unicamente in funzione del prossimo evolversi della politica generale. Per il momento tale eventualità dovrebbe sembrare da escludere. Se ci fosse possibile esercitare una qualsiasi influenza a tale riguardo, dovremmo concludere che una politica di aiuti limitata all'aumento del potere di acquisto dei paesi in questione ci è favorevole, mentre ci sarebbe sfavorevole una estensione degli aiuti che giungesse fino alla industrializzazione di essi. In ciò, crediamo, i nostri interessi coincidono con quelli americani.

6) Dato quanto precede, è sconsigliabile che la nostra delegazione prenda atteggiamenti di punta e tali da porci in urto con le affermazioni e le tendenze che sorgeranno da parte americana. Tenendo però presente che in genere l 'Italia è un paese maggiormente capace che non altri ad assorbire le produzioni dei paesi in questione, è lecito ritenere che se anche le decisioni generali in merito al risollevamento dei paesi dell'Est europeo dovessero essere negative, ci rimarrebbe sempre un margine per il nostro intercambio con essi. È questo margine che non conviene perdere e che conviene anzi cercare di sviluppare. Mai, forse, come in questo caso una politica e un atteggiamento di cauta attesa nel campo economico è stata più consigliabile e addirittura più facile a tradurre in atto.

314 1 Non pubblicato.

315

IL MINISTRO A PRAGA, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 10966/050. Praga, 13 agosto 1948 (per. il 16).

Mio te l espresso l 030/634 del 3 giugno con allegata dichiarazione cecoslovacca circa colonie; telegramma ministeriale 8507 /c. del 23 luglio; mio telegramma 131 del 5 agosto corrente 1•

Vengo informato da fonte autorevolissima e di piena fiducia che Mosca aveva suggerito questo Governo di integrare sua prima dichiarazione al Comitato di Londra di cui mio richiamato telespresso «sulla base dei risultati delle commissioni di inchiesta». Poiché qui non si è certo potuto pensare che Mosca intendesse di fare cosa gradita alla Gran Bretagna, suggerimento è stato interpretato nel senso di favorire interessi Etiopia che evidentemente non si credono collimare appieno con quelli britannici od essere con loro indissolubilmente legati.

Suggerimento ha dato luogo qualche incertezza e da ultimo questo Governo ha dato istruzioni suo rappresentante Londra di comunicare Zarubin che Cecoslovacchia non era in grado di integrare precedenti dichiarazioni prendendo atteggiamento particolare e specifico. Mi si è osservato che detta linea di condotta -che avvicinasi disinteresse -rappresenta massimo che Cecoslovacchia possa fare. Si è anche accennato che suggerimento dell'U.R.S.S. aveva costituito la causa di certe reticenze e dilazioni opposte da questo Ministero affari esteri mie sollecitazioni prima di darmi risposta che ho comunicato con citato telegramma.

Quanto sopra non può far pensare, a mio avviso, che Cecoslovacchia possa comunque non seguire pedissequamente atteggiamento sovietico in dibattimento questione.

A mia richiesta mi si è assicurato che né Gran Bretagna né altre potenze occidentali hanno rivolto in merito a Cecoslovacchia suggerimenti e indicazioni loro desideri.

Per quanto questa informazione, se controllata su altre analoghe pervenute possa contribuire a previsioni circa atteggiamento altri paesi oltre Cecoslovacchia, non posso trasmetterla per filo e approfitto del corriere che parte oggi stesso. Infatti per attenerla ho dovuto promettere che non mi sarei servito di telegramma sotto alcuna cifra.

Prego pertanto V.E., per riguardo persona informatore, usarne con prudente discrezione.

315 1 Vedi rispettivamente DD. 87, 234 e 286.

316

IL MINISTRO AD OTTA WA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 2484/866. Ottawa, 13 agosto 1948 (per. il 21).

Ho l'onore di trasmettere il testo ufficiale della comunicazione stampa qui pubblicata il 9 agosto dalla Divisione delle informazioni di questo Dipartimento degli affari esteri contenente un riassunto del memorandum presentato dal Governo canadese alla Conferenza dei Quattro sostituti a Londra circa il destino delle colonie italiane1 .

Non mi è stata data visiOne del testo integrale del documento presentato a Londra dall'alto commissario canadese signor Robertson, ma dall'esame del riassunto appare chiaro che il Canada, come avevo d'altra parte purtroppo ben previsto (e ne avevo accennato a codesto Ministero da ultimo al paragrafo n. l del mio te l espresso n. l 024/362 del 2 aprile u.s. 1), non ha saputo, o forse voluto, neppure questa volta esprimere un proprio indipendente parere sulle sorti delle nostre colonie.

Debbo dire del resto che, nonostante da due anni e mezzo a questa parte non abbia tralasciato occasione per porre in luce con ogni chiarezza ed obiettività presso i dirigenti della politica estera canadese la necessità di dare al problema delle nostre colonie una soluzione per quanto possibile giusta, umana ed equanime, non ho mai trovato in questi ambienti comprensione del problema. Per quanto mi sia costantemente tenuto a contatto con i vari funzionari che si sono susseguiti nella trattazione della questione, non ho potuto mai ottenere da alcuno di essi la pur minima assicurazione concreta di un appoggio alla nostra tesi.

Se anche gli accenni fatti dal signor St. Laurent nel suo discorso alla Camera dei Comuni il 14 maggio scorso (mio telegramma n. 272 e telespresso n. 1590/5733) potevano forse lasciar sperare un atteggiamento più umano e realistico, la traccia rimastane nell'attuale memorandum è ben poca cosa. Gli unici due punti del documento canadese nel quale questo Ministero degli affari esteri ha cercato, molto cautamente e debolmente, di appoggiare la nostra tesi, sono quello nel quale si è espresso a favore della concessione all'Italia della trusteeship per la Somalia e quello nel quale viene formulato il voto che siano riammessi in Africa i nostri lavoratori già nel passato colà stabiliti.

Ritengo, come ho fatto presente col mio telegramma n. 464, che il punto di vista ora manifestato dal Canada in merito alle nostre colonie sia direttamente ispirato dalla Gran Bretagna.

Come ebbi a scrivere nel mio rapporto n. 750611174 del24 novembre 194t ed in altre occasioni, la politica estera canadese è tuttora soggetta, nelle più importanti questioni, in ispecie di politica europea, all'influenza ed ispirazione inglese. Nel mio predetto rapporto facevo del resto notare come i rapporti politici tra l'Italia ed il Canada potessero definirsi «buoni, ma non ottimi e non suscettibili, almeno per ora, di grandi mutamenti».

Mi occorre, obiettivamente, rilevare che il Canada si è dimostrato verso di noi generoso e comprensivo per talune cose. Così per esempio per gli aiuti post U.N.R.R.A.; per lo sblocco (sebbene limitato e per i soli casi compassionevoli) di piccole somme sequestrate a danno di italiani in Canada; per la concessione del trattamento della nazione più favorita (sebbene determinato dell'applicazione dello stesso trattato di pace); per la concessione una volta tanto della somma di

3 Non rinvenuto.

Vedi D. 301.

$ 3.900.000, corrispettivo di una parte dell'ammontare della paga delle truppe canadesi in Italia e da ultimo per l'atteggiamento preso nei riguardi della questione di Trieste5 .

D'altro canto tuttavia non si possono non constatare molti elementi negativi nell'atteggiamento canadese nei nostri riguardi, ad esempio: mancato rimborso integrale delle Amlire (paga truppe canadesi in Italia circa $ 12.000.000) e rifiuto a considerare alcun obbligo da parte del Canada di rimborso all'Italia della somma residua dopo il pagamento dei primi $ 3.900.000; mancata garanzia per il noto prestito dei $ 50.000.000 offerto da parte di un gruppo privato franco-canadese; subordinazione dello sblocco dei beni italiani in Canada, ivi comprese le successioni, al soddisfacimento da parte del Governo italiano delle richieste canadesi di indennizzo verso l'Italia; svogliatezza nella conclusione di un trattato di commercio-amicizia-navigazione con l'Italia, che mi fa persino pensare ad una preconcetta opposizione a tale conclusione; limitazione della immigrazione in Canada di italiani (sebbene in linea di principio ammessa) praticamente a poche categorie di lavoratori ed ai parenti di coloro che sono già qui residenti; atteggiamento della stampa, salvo poche ma lodevoli eccezioni, spesso poco favorevole e talvolta persino ancora ostile nei nostri confronti ed il più delle volte riservato e freddo. (Valga come esempio di quest'ultima osservazione un editoriale di un quotidiano della capitale, Ottawa Journal dell'Il corrente, che allego al presente rapporto 1).

Anche per quanto riguarda gli scambi commerciali tra il nostro paese ed il Canada, se è vero che essi sono abbastanza soddisfacenti e che il Canada li ha certamente favoriti con varie misure, d'altra parte essi presentano tuttora un fortissimo attivo in favore di questo Dominio. Infatti le cifre sono le seguenti:

1946) importazioni italiane in Canada: 2.704.000, importazioni canadesi in Italia: 20.387.000; 194 7) importazioni italiane in Canada: 3 .872.250, importazioni canadesi m Italia: 35.687.685; primi 5 mesi del 1948) importazioni italiane in Canada: 2.211.621, importazioni canadesi in Italia: 12.491.535. Nelle predette cifre delle importazioni canadesi in Italia sono peraltro incluse le cifre degli aiuti post U.N.R.R.A. (in tutto circa $ 4.000.000).

Aggiungo infine che nella recente campagna svoltasi nella Provincia dell'Ontario e in quelle dell'Alberta, della British Columbia, del Saskatchewan, del Manitoba, per la raccolta di fondi in favore di aiuti all'Italia (mio rapporto n. 2410/835 del 6 agosto corrente)3 il contributo propriamente canadese è stato piccolo perché la maggioranza delle somme raccolte proviene dagli italo-canadesi.

Sembra fosse almeno da attendersi che al gesto amichevole del Governo italiano di accogliere, dopo neppure un anno dall'istituzione di legazioni nei due paesi, la richiesta canadese dell'elevazione ad ambasciate delle rispettive rappresentanze

diplomatiche, seguisse un concreto atteggiamento canadese di positiva operante amicizia verso il nostro paese. Ma sembra invece doversi purtroppo constatare che effettivamente nessun concreto motivo sia stato l'ispiratore dell'anzidetta proposta canadese tranne le ripetute insistenze (come ho telegrafato a suo tempo) del signor Desy che si considerava diminuito nel proprio prestigio personale dal vedersi attribuito il titolo di ministro anziché quello di ambasciatore.

Prima di spedire il presente rapporto ho voluto conoscere direttamente le reazioni di questo Dipartimento degli esteri recandomi a far visita al signor Escott Reid, sottosegretario aggiunto agli affari esteri.

n mio interlocutore, che ho trovato visibilmente imbarazzato, e quasi spiacente di dover discutere con me una questione in cui si rendeva conto del mio disappunto, mi ha detto che il ministro degli esteri St. Laurent aveva voluto personalmente studiare a fondo la questione e si era fatto dare da tutti i funzionari responsabili la documentazione più accurata. Il giudizio da lui stesso dato ed in base al quale era stato formulato il memorandum presentato ai Sostituti a Londra era basato unicamente sui risultati dei rapporti della Commissione d'inchiesta. Tale Commissione, secondo il mio interlocutore, era giunta a conclusioni alquanto drastiche, adottate in taluni casi a maggioranza assoluta come per esempio la dichiarazione che le popolazioni dell'Eritrea e della Libia sarebbero in maggioranza opposte ad un ritorno dell'Italia, anche come potenza mandataria.

Il ministro St. Laurent, secondo il signor Reid, aveva voluto tener conto di ogni elemento disponibile ma le conclusioni del rapporto della Commissione d'inchiesta lo avrebbero costretto a decidere nel senso esposto nel memorandum.

Il signor Reid ha tenuto peraltro a farmi osservare che il memorandum canadese è redatto, come è esplicitamente detto nel comunicato stampa, in base alle informazioni sino ad oggi ricevute ed ha carattere provvisorio. Se nel futuro si verificheranno nuove circostanze in cui la Commissione dei Quattro giunga a decisioni unanimi circa la sorte delle nostre colonie, il Canada sarà ben volentieri disposto ad esaminare tali conclusioni e se del caso vi si associerà.

Avendogli io fatto presente l'impressione veramente spiacevole che è suscettibile di produrre nella pubblica opinione italiana la pubblicazione del punto di vista canadese, egli ha mostrato di rendersene conto con rincrescimento.

Avendogli chiesto se potevo dedurre che, facendo parte del Commonwealth britannico, il Canada abbia creduto di orientare la sua posizione in base alle direttive generali della politica britannica nella questione delle colonie, egli lo ha recisamente negato affermando che basta vedere per esempio quanto il punto di vista sud-africano differisca da quello canadese.

Egli poi ha aggiunto che l'U.R.S.S. è in malafede nell'appoggiare il nostro punto di vista e cioè nel proporre che i mandati siano affidati all'Italia, dato che è essa stessa ad opporsi alla nostra ammissione all'O.N.U. Ed automaticamente noi verremmo esclusi dal trusteeship fino a tanto che non faremo parte dell'O.N.U.

Concludendo il signor Reid ha dichiarato che ben difficilmente si raggiungerà un accordo a Londra e pertanto la questione sarà sottoposta all'Assemblea generale dell'United Nations, e che dato che le decisioni della Commissione dei Quattro non possono essere approvate dall'Assemblea dell'O.N.U. senza la prescritta maggioranza dell'Assemblea stessa, l'Italia ha ancora la possibilità di sperare in una votazione in suo favore.

316 1 Non pubblicato.

316 2 Del 15 maggio, non pubblicato.

316 5 Vedi serie decima, vol. VII, D. 532.

317

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 780. New York, 13 agosto 1948 (per. il 23).

Telespresso n. 779 in data odierna 1 . Richiamandomi a quanto ho comunicato con il telespresso sopracitato, ho l'onore di informare V.E. che, discutendo con il dott. Cremona sull'eventualità che l'Assemblea generale venga investita il 15 settembre della questione delle colonie italiane, egli mi ha detto che occorre, sin d'ora, che l'Italia si occupi e si preoccupi dell'allineamento probabile che le delegazioni degli Stati-membri potranno assumere, in seno alla quarta commissione e in seduta plenaria dell'Assemblea, sul problema dell'assegnazione della tutela delle colonie stesse all'Italia.

l. Stati sui quali l'Italia potrebbe contare (32): Gruppo europeo: Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo. Gruppo latino-americano: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costarica,

Cuba, Equador, Rep. Dominicana, Messico, Nicaragua, Panama, Perù, Venezuela, Paraguay, El Salvador, Honduras, Uruguay. Gruppo scandinavo: Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda. Gruppo slavo: U.R.S.S., Bielorussia, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia.

II. Stati «influenzabili» a nostro favore (5): Stati Uniti, Grecia, Turchia, Cina, Filippine.

III Stati «non influenzabili» a nostro favore (5): Gran Bretagna, Canada, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda.

IV. -Stati «teoricamente» contrari (8): Afghanistan, Iran, Birmania, Siam, India, Guatemala, Haiti, Liberia. V. -Stati contrari (8): Etiopia, Egitto, Siria, Iraq, Libano, Yemen, Arabia Saudita, Pakistan.

È indubbio che l'atteggiamento degli Stati Uniti avrà, come sempre, un'influenza determinante in Assemblea ed una loro azione a nostro favore trascinerebbe molti Stati «influenzabili» ed alcuni tra quelli «teoricamente» contrari.

È da escludere che l'Inghilterra ed i Dominions si possano astenere in una votazione del genere. A seconda dell'allineamento che si profilerà in Assemblea la Gran Bretagna voterà o a nostro favore, se l'allineamento sarà in ogni modo a noi favorevole, o contro se il suo gruppo di voti porterà alla nostra sconfitta.

317 Non rinvenuto.

Occorre quindi curare:

l) a che tutti gli Stati considerati a noi favorevoli votino effettivamente a nostro favore e non si astengano come molti sogliono fare all'ultimo momento (vedi alcuni sudamericani e gli scandinavi);

2) concentrare tutti i nostri sforzi a che Stati «teoricamente» a noi contrari, ad esempio Guatemala (per la questione di Belize), Birmania, Siam, India (anticolonialisti e anti-trustee per definizione, data la loro recente liberazione), si decidano a votare a nostro favore; e che, infine, Stati mussulmani come l'Iran, l'Afghanistan, o di colore, come Haiti o Liberia, siano indotti a darci il loro voto.

La maggioranza di due terzi è calcolata sul numero di votanti, astenuti esclusi. Quindi:

l) se tutti gli Stati dei gruppi I e II votassero a favore, ed il gruppo IV si astenesse, noi avremmo partita vinta, anche poiché ritengo che, in questa circostanza, Inghilterra e Dominions voterebbero a nostro favore;

2) qualora i gruppi II e IV si astenessero o tutti gli Stati del gruppo I votassero a nostro favore, noi avremmo lo stesso partita vinta, anche contro i voti del V e III gruppo;

3) qualora poi i gruppi IV e V votassero contro, qualsiasi nostro sforzo sarebbe vano, a meno che il gruppo inglese -cosa imprevedibile in questo momento -votasse compatto a nostro favore.

Richiamo infine l'attenzione di V.E. su di una notizia apparsa oggi sul New York Times, secondo la quale il Sudafrica avrebbe deciso di appoggiare in Assemblea la candidatura britannica per la tutela sulle colonie italiane: qualora ciò non fosse possibile, il Sudafrica sarebbe pronto a sostenere una trusteeship italiana.

318

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1531/690. Belgrado, 14 agosto 19481•

Da fonte che ho ragione di ritenere bene informata, perché in contatto confidenziale con questi dirigenti comunisti e di Governo, ho appreso che uno dei motivi fondamentali del dissenso tra U.R.S.S. e Jugoslavia sarebbe la mancata accettazione da parte jugoslava di un progetto russo di unione fra Bulgaria, Jugoslavia e Macedonia. Si sarebbe trattato di formare un solo Stato con un unico Governo centrale, in cui il Ministero della difesa sarebbe stato affidato ad uno jugoslavo, mentre quello dell'Interno, considerato ministero-chiave specialmente nei regimi comunisti, sarebbe stato affidato a persona di fiducia della Russia.

Sempre dalla stessa fonte ho appreso che i dirigenti jugoslavi pensano che debba essere possibile ai singoli Stati comunisti di condurre la loro politica senza un'incondizionata obbedienza a Mosca che pretenderebbe ingerirsi negli affari interni degli altri Stati senza conoscerne bene né la situazione né i bisogni. Ritengono anzi che il loro atteggiamento, assunto in conseguenza della risoluzione del Cominform, debba costituire esempio e monito ai comunisti italiani e francesi qualora essi giungano ad ottenere il Governo dei loro paesi.

La loro sensazione è che la frattura permanga grave, perché sembra impossibile che la Russia possa mutare atteggiamento senza il sacrificio degli attuali capi, da essa condannati e che d'altra parte qui non si ha alcuna intenzione di allontanare. Sembra addirittura un assurdo il sacrificio di Tito, capo riconosciuto del paese. Si ritiene che la Russia abbia commesso un grave errore di valutazione, di cui si fa risalire gran parte di colpa a questo ambasciatore sovietico che avrebbe male informato sulla reale situazione jugoslava. D'altra parte questi dirigenti si rendono conto della difficoltà in cui si trovano specialmente nelle relazioni con i paesi occidentali. Essi temono infatti che ogni contatto con loro possa dare esca e motivi alla propaganda dei loro nuovi avversari. Essi tuttavia ritengono di avere preso la via giusta e non intendono allontanarsela.

Sin qui il mio informatore.

A confermare l'atteggiamento assunto dai dirigenti jugoslavi è intervenuto il discorso del l O agosto del maresciallo Tito alla I Divisione proletaria, che riassumo a parte, nel quale sembra che egli abbia voluto parlare con molta risolutezza non soltanto nei confronti del mondo occidentale.

Il suo abbandono di Belgrado alla vigilia dell'inizio della Conferenza danubiana, il suo isolamento a Bled, salvo il sopraccennato contatto con l'organizzazione di partito, sembrano voler indicare la sua fermezza nelle conclusioni prese al Congresso del partito.

(A questo punto mi viene un dubbio: Vyshinsky manca da Belgrado da un giorno e mezzo ed ufficialmente non è stato dichiarato nulla sulla sua assenza. Dove sarà andato?). Intanto continuano i motivi di polemica della Jugoslavia con l'uno o l'altro degli Stati «progressivi».

E ieri della anormalità e, sotto un certo aspetto, della incongruenza della situazione si è avuto un episodio alla Conferenza del Danubio. L'ambasciatore Peake con evidente premeditazione aveva proposto che sede della Commissione danubiana fosse Belgrado invece che Galatz in omaggio agli ospiti jugoslavi. Il delegato jugoslavo Bebler non ha appoggiato la proposta, dicendo che la Jugoslavia si era dichiarata in anticipo favorevole al complesso del progetto russo di convenzione. Ma ha aggiunto e, mi risulta, dopo dovuta meditazione, che si trattava di una proposta di evidente sapore politico ispirata dall'attuale situazione e che ciò doveva far meditare i fattori «non jugoslavi» che questa situazione hanno voluto creare.

Il capo della delegazione sovietica si è limitato a dire che Galatz era stata scelta come sede perché già lo era prima, ma che in seguito i membri della Commissione avrebbero potuto deciderne il cambiamento.

Sempre nel campo dei «colpi di spillo» vale la pena di accennare che nella seduta dell'll agosto presieduta dallo jugoslavo Bebler, questi dopo la discussione e la votazione di un articolo negò la parola a Vyshinsky, per averla nella mattinata negata in analoghe condizioni al delegato francese. Bebler cercò di spiegare dopo la seduta a Vyshinsky il motivo del diniego, ma Vyshinsky, seccatissimo, lo respinse. Del pari Vyshinsky ha trattato piuttosto freddamente, in un ricevimento offerto da questo ministro degli esteri, i compagni Kardelj e Rankovic che misero anche in disagio Anna Pauker quando si trovò faccia a faccia con loro. Sembra che la Pauker sia qui la più odiata fra tutti i capi comunisti che hanno condannato questi dirigenti. Un'altra opinione che si va formando qui, è che la Russia e il Cominform comincino a diffidare dei «compagni» che hanno combattuto in Spagna. A tale diffidenza si collegherebbe il fatto della degradazione a ministro degli esteri (che in un paese satellite è assai meno importante) di Rajk fino a qualche giorno fa ministro degli interni nel Governo ungherese, e che per l'appunto sarebbe un ex combattente in Spagna.

Ma il fatto più sensazionale di questi ultimi tempi è la campagna semi-clandestina che la Russia conduce all'interno della Jugoslavia. Essa infatti ha pubblicato a Mosca e diffuso un fascicoletto di lettere scambiate tra dirigenti sovietici e jugoslavi.

Con tali lettere si vogliono dimostrare parecchie colpe a carico dei dirigenti jugoslavi, fra cui: avere Tito messo la Russia nello stesso piano delle potenze anglosassoni, l'avere mantenuto il vice ministro Velebit al Ministero degli esteri, nonostante che i dirigenti jugoslavi sapessero che era un agente dell'Inghilterra, e avere i dirigenti popolari messo la Russia nel pericolo di una guerra per la questione di Trieste.

E qui si è subito reagito pubblicando un fascicoletto a stampa in cui si denuncia la manovra sovietica e si contestano tutte le accuse. Tale volumetto viene diffuso soltanto tra i membri sicuri del partito.

Col prossimo corriere conto di essere in grado di fornire più ampi elementi, se, come spero, ho trovato la via per venire in possesso di una copia di questa pubblicazione semi-clandestina.

Mi par di rivivere altri tempi: con la differenza che allora le pubblicazioni

clandestine venivano diffuse dagli oppositori al Governo, e ora sono invece i

Governi a diffonderle, di cui uno è nientemeno la Russia.

318 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

319

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1532/691. Belgrado, 14 agosto 19481•

Questa mattina ho depositato presso il Segretariato della Conferenza del Danubio il memorandum di cui allego copia2 .

2 Non pubblicato. Con T. 10984/216 del 16 agosto Martino informava dell'avvenuta consegna dei memorandum anche da parte del Belgio e della Grecia, nonché della decisione della Conferenza di non ammettere i predetti documenti né alla distribuzione né alla discussione.

Prima di presentarlo, lo avevo sottoposto in visione ai capi delle tre delegazioni dei paesi occidentali e precisamente all'ambasciatore Cannon, per gli Stati Uniti, all'ambasciatore Peake per la Gran Bretagna e all'ambasciatore Thierry per la Francia, i quali non hanno sollevato alcuna eccezione, ed anzi mi hanno detto che la nostra decisione era stata molto opportuna per la salvaguardia dei diritti dell'Italia. Ho anzi saputo che essi hanno consigliato un analogo passo a questa legazione del Belgio.

L'incaricato d'affari di Grecia ha presentato ieri un memorandum nell'interesse del suo paese.

Il nostro memorandum non condurrà evidentemente né a una nostra partecipazione alla Conferenza, di cui del resto si prevede assai prossima la fine, né ad una discussione in questa sede. Il passo è stato però certamente utile, tanto più in considerazione del fatto che, con tutta probabilità, le potenze occidentali non firmeranno la Convenzione, di cui ora si stanno discutendo, con molta pazienza, ma con altrettanta inutilità per le potenze occidentali, i singoli articoli secondo il progetto russo: tali articoli vengono sistematicamente approvati nel testo proposto dalla delegazione sovietica.

Ho evitato di proporre nel memorandum delle domande specifiche per un duplice ordine di considerazioni.

Anzitutto, perché qualora esse fossero state accolte come base di discussioni, sarebbero state in pari tempo bocciate dalla maggioranza dei voti delle potenze orientali. Secondariamente, perché qualora, certo della vittoria, Vyshinsky o altro capo di delegazione satellite avesse ritenuto di farle mettere ai voti, la proposta avrebbe potuto mettere in difficoltà anche le delegazioni dei paesi occidentali.

Infatti, nonostante la richiesta del capo della delegazione francese per la partecipazione dell'Italia, del Belgio e della Grecia alla presente Conferenza, richiesta rimasta poi platonica, la delegazione degli Stati Uniti, appoggiata dalla delegazione britannica aveva chiesto che della Commissione danubiana facessero parte le tre grandi potenze occidentali, presenti alla Conferenza, nonché l'Austria e, in un secondo tempo, la Germania, ma aveva taciuto circa l'Italia, il Belgio e la Grecia. Si aggiunga che la clausola relativa alla composizione della Commissione danubiana è già stata votata ed approvata nel testo russo (art. 5). Quindi una nuova votazione su una nostra richiesta di partecipazione alle Commissioni danubiane, oltre che essere tardiva, avrebbe messo in imbarazzo, con grande soddisfazione di Vyshinsky, le potenze occidentali che non avevano mantenuta la proposta della nostra inclusione e che anzi ci avevano implicitamente escluso nei loro emendamenti al progetto russo.

Poiché come ho detto, difficilmente le potenze occidentali firmeranno la Convenzione che dovrebbe uscire dalla presente Conferenza, il nostro passo ha acquistato particolare importanza per il futuro in cui almeno le potenze occidentali non potranno dimenticarsi di noi, come hanno fatto i quattro ministri degli esteri nel dicembre 1946. Questo futuro potrà essere anche lontano, perché la Russia ed i suoi satelliti intendono regolare comunque per conto loro il problema danubiano e quindi non tanto facilmente esso ritornerà in discussione in una conferenza internazionale in cui partecipino le potenze occidentali.

Ritengo opportuno segnalare che il capo della delegazione francese, ambasciatore Thierry, ha tenuto a farmi rilevare come egli, a nome del suo Governo, avesse sostenuto gli interessi e i diritti dell'Italia.

319 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

320

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 9404/328 (Londra) 631 (Parigi). Roma, 15 agosto 1948, ore 13,30.

Incaricato d'affari americano ha rimesso a questo Ministero comunicazione confidenziale' contenente punto di vista suo Governo questione colonie.

Premesse alcune considerazioni di diverso ordine sia a favore sia contro richieste italiane che avevano determinato decisione americana (grave onere che per economia italiana avrebbe rappresentato amministrazione di tutte antiche colonie, vantaggi economici che invece potevano derivare per nostra sovrabbondanza demografica da una maggiore espansione, difficoltà fino a che veto sovietico ci impedisse partecipare Nazioni Unite di ottenere autorizzazione aumento forze armate necessarie mantenere ordine in colonie, pareri contrari di altri Governi interessati, aspirazioni popolazioni native ecc.), proprio punto di vista suddetto viene concretato come segue:

l) Somalia: amministrazione fiduciaria italiana; 2) Eritrea meridionale (che secondo comunicazioni ambasciata Washington dovrebbe comprendere Dancalia e distretti interno abitati da popolazioni etiopiche): ceduta ad Etiopia; 3) Eritrea settentrionale e Tripolitania: decisione differita per permettere ulte

riore esame da parte competenti organi Nazioni Unite;

4) Cirenaica: appoggio all'impegno britannico contratto con senussi;

5) favorire infine, nell'interesse loro e delle popolazioni locali, ritorno m colonia degli italiani già residenti Tripolitania ed Eritrea settentrionale. Nel consegnare comunicazione incaricato d'affari ha avvertito che per ora è da considerarsi segreta.

320 1 Vedi D. 329, Allegato.

321

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1500. Istanbul, 15 agosto 1948.

Ho ricevuto il telespresso n. 1214/c. del 7 agosto sulla questione palestinese 1• Questo ministro degli esteri è a letto con una polmonite ed è assente per qualche giorno il segretario generale. Sicchè ancora non ho parlato nel senso prescrittomi, essendo perfettamente inutile che io ne intrattenga funzionari di secondo ordine, che non farebbero che prendere atto delle mie comunicazioni, o, nella migliore delle ipotesi, mi darebbero risposte generiche che non gioverebbero a nulla. Ne parlerò comunque a giorni e riferirò subito, col prossimo corriere2 .

Non vi ha dubbio che la campagna palestinese è stata dal punto di vista politico, diplomatico e sopratutto militare condotta dalla Lega araba coi piedi (in altra parte di questo corriere ti mando un'intervista di Glubb pascià, che ritengo autentica e dove mi pare si dica a questo proposito pane al pane e vino al vino). Né vi è dubbio che le ripercussioni di codesti insuccessi sono, salvo in Transgiordania (benchè anche in Transgiordania vi siano state agitazioni e sommovimenti), e più saranno in avvenire, gravi. Questo ministro d'Egitto in uno sfogo che mi pregava di considerare come assolutamente personale, mi diceva ier l'altro che sino a quando il suo paese sarà completamente nelle mani di un sovrano giovanissimo, inesperto ed ostinato e di consiglieri che interpretano il loro mestiere soltanto in termini della più dimessa cortigianeria, continuerà l 'Egitto a fare sciocchezze grosse, come questa palestinese, che rischia di essere molto grossa. Ma è questo ministro d'Egitto un ricco signore che non vede altra salvezza per il suo paese -e per i suoi molti agi che l'assistenza britannica ed è quindi ostilissimo alla politica del suo Governo nella questione, ad esempio, sudanese e vorrebbe che a tutti i costi Londra e il Cairo marciassero mano nella mano. Si sarebbe così ottenuto, a suo giudizio, mollando cioè sul Sudan, lo sgombero dei britannici dalla zona del Canale e quell'assistenza inglese che si concentra oggi sulla Transgiordania si sarebbe invece accentrata sul Cairo o sarebbe stata, almeno, equamente divisa fra i due.

A me, modestamente, pare che il novanta per cento della classe dirigente araba sia invecchiatissima e in definitiva inetta a governare popolazioni che si sono ormai risvegliate e marciano, quantunque a passo estremamente ridotto, coi tempi nuovi. Sicchè la ragione degli insuccessi arabi sta appunto in questa inettitudine di chi li amministra, e non altrove, inettitudine che permarrà immutata anche se la torta palestinese sarà divisa in quattro parti piuttosto che in una sola e con essa resteranno dunque in piedi, vive ed attive, tutte le ragioni dell'attuale manifesto scontento degli amministrati e i conseguenti pericoli.

321 1 Vedi D. 296. 2 Vedi D. 395.

Per considerare le cose sotto altro verso, bisognerebbe altresì aggiungere che se è perfettamente esatto che si sta creando nel Medio Oriente un pericolo comunista, è anche altrettanto vero che codesto pericolo non è attizzato dalle diaboliche arti dei sovietici -sebbene anche questi pongano evidentemente mano al gioco -ma, piuttosto, dalle miserande condizioni di abbandono in cui tutti i paesi arabi, salvo forse il Libano, lasciano la grossa massa della loro gente. La quale non sembra più disposta ad accettare ad occhi chiusi codesta permanente miseria, sin qui contemporaneamente sfruttata dal feudatario locale e dallo straniero britannico e contro gli uni e contro gli altri ha dunque iniziato sia pure lenti ed incerti movimenti soltanto per ora di sospetto e dispetto, piuttosto che di vera e propria rivolta, ma che tali molto probabilmente diventeranno, col tempo, se le cose dovessero continuare ad essere lasciate su questa china.

Su questi invecchiati e arretrati dirigenti, mi pare che l'Inghilterra continui da per tutto a puntare ancora oggi come ieri, sebbene il clamoroso fallimento del trattato anglo-iracheno, che si può proprio dire lacerato a furia di popolo, avesse dovuto porla sull'avviso e suonare da campana d'allarme.

Ora io non dico che l'Inghilterra faccia bene o male a fare quello che fa. Probabilmente fa bene per quel che concerne i tempi che ci stanno immediatamente dinnanzi, visto che l'evoluzione delle masse arabe non può non essere che faticosa e tarda. Soltanto dico che è vana illusione ritenere che «l'ordine britannico» così come tuttora è concepito, possa valere a sopire i fermenti di rivolta e a spegnere i focolai di indipendenza che sono vivi ed accesi in quelle regioni, essendo piuttosto vero il contrario, che è proprio cioé questo «ordine britannico», appoggiato com'è ai vecchi regimi feudali e patriarcali, ad aizzare quei focolai ed a galvanizzare quei fermenti, a porre dunque nelle mani della Russia carte belle e fatte e sotto i piedi sovietici terreno favorevole per quelle manovre che passano poi per diaboliche e non sono che conseguenze naturali di situazioni ben note. Io conosco, ad esempio, perfettamente bene il nuovo ministro sovietico a Te! Aviv, Erchov, giunto in Palestina, fra sbandieramenti e fanfare, or è qualche giorno, e che fu per due anni incaricato d'affari ad Ankara. Non dirò che sia proprio un cretino. Ma è certo uno spersonato funzionario di secondo e terzo ordine. Vuoi credere che fra qualche mese diventerà anche lui il torvo organizzatore dei complotti più machiavellici?

Per quel che riguarda più specificamente la Turchia tu sai perfettamente che Ankara è, fra gli Stati arabi, legata da accordi soltanto con gli Hascemiti, cioè con l'Iraq e la Trangiordania, e divisa invece da alcuni altri, ad esempio, la Siria, da vecchie e non sopite contese (Alessandretta). Sai altresì che, tutto sommato, vedrebbe la Turchia con piacere il progressivo affermarsi della politica britannica (attraverso i famosi accordi bilaterali o altrimenti) nel Medio Oriente, che giudica a torto o a ragione come la più atta a parare al pericolo comunista in quelle regioni e cioè a guardarle le spalle. Sicchè io non credo che caverò gran che dalle conversazioni che avrò fra qualche giorno.

Bada che questa lettera è un excursus, che ha soltanto carattere interlocutorio. Riconosco del resto l'allargamento del progetto di spartizione, cui molta gente già pensa, può effettivamente giovare a temporaneamente acquietare le delusioni ed amarezze degli Stati arabi e quindi a temporaneamente calmare le pericolose irrequietezze delle loro opinioni pubbliche e sia quindi saggia cosa cercare di promuoverlo e agevolarlo. E potrebbe anche essere forse da tentare di monetizzare in qualche modo codesto amichevole atteggiamento presso gli Stati arabi che ne risultassero beneficiari -per quel poco che il nostro peso può valere nella soluzione della controversia -per ottenere a nostra volta azioni e reazioni migliori per la nostra questione africana. Ciò che avrebbe certamente la sua importanza sopra tutto se il problema delle nostre colonie dovesse finire col giungere all'Assemblea del l'O.N.U.

322

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. l 0995/81. New York, 16 agosto 1948, ore 19,52 (per. ore 8 del 17).

Suo telegramma 32 1 . Con importante discorso odierno Cadogan è passato al contrattacco accusando Jugoslavia violazione trattato nella Zona B creando sistema «stranamente somigliante quello Jugoslavia». Egli però non ha proposto alcuna azione da parte Consiglio lasciando a Jessup compito richiedere rapporto su amministrazione Jugoslavia. Oggi inaspettatamente è emersa tattica procrastinatrice del presidente del Consiglio sovietico il quale senza nessuna ragione e contrariamente desiderio unanime continuare dibattito nel pomeriggio ha deciso rinviarlo mercoledì 18 corrente.

Ho eseguito istruzioni prescrittemi.

Tutti mi hanno fatto rilevare che qualora si giungesse voto contrario su risoluzione Jugoslavia non si poteva contemporaneamente richiamare proposta 20 marzo se non con altre risoluzioni che avrebbero prolungato dibattito inasprendolo. Sarà invece richiesta presentazione rapporto jugoslavo che permetterà chiudere dignitosamente discussione.

Comunque intero dibattito verte sostanzialmente su questione politica creata da proposta tripartita ampiamente riconfermata da anglo-americani.

Parodi che ho interessato stamane nel senso di intesa mi ha detto essere preoccupato non aver preparato alcuna dichiarazione scritta. Rinvio inaspettato gli darà tempo redigerla2 .

2 Per il seguito vedi D. 336.

322 1 Pari data, con esso Guidotti aveva comunicato i passi effettuati affinchè la delegazione francese affiancasse l'azione anglo-americana ed aveva dato istruzioni di premere per la conclusione della questione con un voto contrario alla risoluzione jugoslava basato sul richiamo alla dichiarazione tripartita del 20 marzo. Per i precedenti della questione vedi DD. 252 e 281.

323

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO PER CORRIERE 11050/035. Beirut, 16 agosto 1948 (per. il 18).

Telespresso ministeriale 22536/17 del 23 luglio scorso1• Il Governo libanese ha accettato ufficialmente di aprire riservate trattative per la conclusione di un trattato di amicizia e di stabilimento fra l'Italia ed il Libano.

Per giungere a tale risultato, il ministro degli esteri Frangié, che ha ancora una volta dato prova dei sentimenti amichevoli e del particolare favore con cui egli considera ogni iniziativa che ci interessi, ha dovuto evitare non pochi ostacoli iniziali. Il principale era rappresentato dalle difficoltà che la nostra proposta avrebbe forse incontrato se ne fosse stato previamente informato il Consiglio della Lega araba, come questo ultimo desidera per ogni trattativa dei singoli Stati membri con altre Potenze e come la Siria va da tempo proponendo di rendere obbligatorio. Un secondo e forse non minore ostacolo sarebbe stato rappresentato dai sospetti, dalle richieste di informazioni e dalle difficoltà che sarebbero probabilmente state sollevate da altre potenze e specialmente dalla Francia, e forse dalla Gran Bretagna, se la nostra proposta fosse subito stata da esse conosciuta. Deve infatti essere tenuto presente che il Libano non ha ancora, da quando ha raggiunto l'indipendenza, concluso alcun trattato con altri paesi eccettuato quelli arabi. Frangié è malgrado ciò riuscito ad ottenere il consenso di massima di questo presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio. L'adesione di quest'ultimo è particolarmente importante poichè egli, come mussulmano, è in generale preoccupato per le eventuali reazioni degli altri Stati arabi e pertanto restio ad iniziative che non siano da essi previamente conosciute.

Nel parteciparmi la sua accettazione di massima (dopo avermi chiesto di prendere riservata conoscenza del testo del trattato, che gli ho sottoposto a titolo confidenziale e personale) Frangié mi ha pregato di esprimere a V.E. la soddisfazione del Governo libanese per la nostra proposta e di trasmettere alcune sue iniziali informazioni e considerazioni.

Il Libano ha in corso trattative per la conclusione di trattati di amicizia, di stabilimento e di commercio con la Siria, l'Iran, l'Iraq e la Grecia. A nessuno di tali trattati, che si annunciano del resto abbastanza laboriosi, il Libano attribuisce però altrettanta importanza quanto a quello che esso concluderebbe per noi. Ciò per il fatto che il trattato con l 'Italia sarebbe il primo ad essere concluso con una potenza occidentale e come tale assai utile per servire di modello ad altri trattati con altri paesi (leggi Francia) che hanno una tendenza a chiedere l'inclusione di clausole non

interamente bilaterali. «D'altronde ed analogalmente -ha detto Frangié -la conclusione di un buon trattato con il Libano ha per l 'Italia il vantaggio di aprirle e di facilitarle la strada per la seguente conclusione di altri trattati con i paesi del Medio Oriente».

Il ministro ha aggiunto che il testo da me sottopostogli comporta alcune clausole relativamente inutili per il Libano mentre manca di altre alle quali il Libano terrebbe. Egli preannunzierebbe pertanto parecchie proposte di modificazioni che, egli spera, saranno favorevolmente esaminate dal Governo italiano. Gli ho naturalmente fatto presente che il testo in questione mi era stato mandato unicamente allo scopo di permettermi di avere una generica idea della portata e del contenuto degli accordi che dovevo proporre.

Il ministro mi ha poi chiesto se il Governo italiano sarebbe disposto a considerare anche la conclusione di un accordo speciale per i pagamenti fra i due paesi. Egli mi ha detto che il Libano non può continuare ulteriormente a pagare in dollari le importazioni americane, che sono oggi qui preminenti e che esso si propone di ridurre grandemente.

Poichè l'Italia può provvedere con le sue esportazioni a quasi tutte le necessità del Libano, egli sarebbe pronto ad esaminare qualsiasi nostra proposta per il pagamento di tali nostre esportazioni.

Frangié mi ha infine pregato di trasmettere la preghiera che le trattative siano per ora tenute riservate.

Nel comunicare quanto precede a V.E. ritengo necessario fare una indispensabile riserva. L'accettazione di massima del Governo libanese appare sincera e tutto fa pensare che la sua presente determinazione sarà mantenuta. Ma si deve anche por mente al fatto che sulla condotta del Libano giocano elementi imponderabili, derivanti dalla complessa, sospettosa e gelosa politica tanto degli altri compari della Lega quanto delle altre Potenze, la cui influenza può sempre far mutare rotta a questo Governo. Vi è poi un altro fattore che deve essere tenuto presente: quello della influenza che può in avvenire essere esercitata anche sul Libano dalle vicende e dalle conclusioni della questione coloniale italiana.

Evidentemente bisognerebbe fare presto. Ho detto ciò al ministro Frangié, facendogli presente che non possiamo attendere troppo; anche per non tenere a lungo in sospeso le conclusioni di altri trattati consimili. Egli ha convenuto. Ma siamo in Oriente e devono essere previste le remore derivanti dalla particolare concezione del tempo che si ha in questi paesi.

Segnalo infine a V.E. il fatto, confermatomi da Frangié, che uno dei princiapli elementi determinanti l'accettazione libanese è stato rappresentato dalle comunicazioni verbali che V.E., ha per mio tramite, fatto personalmente pervenire nel dicembre scorso a questo presidente della Repubblica. Lo stesso presidente mi ha infatti detto più volte che tali comunicazioni gli sono sempre rimaste presenti per il loro senso profondamente amichevole e per quel significato di costruttiva solidarietà mediterranea che esse hanno e che egli interamente condivide.

Non vi è dubbio che il presidente e il Governo sono stati anche lusingati dalla nostra proposta. Si vedrà ora se essi riusciranno a portare a conclusione le trattative senza essere distrurbati od impediti da altri.

Ho l'impressione che, se la negoziazioni saranno felicemente qui concluse, il Governo libanese accetterà anche che la firma del trattato avvenga a Roma.

323 1 Trasmetteva lo schema di un trattato di amicizia e stabilimento che l'Italia proponeva al Libano di stipulare.

324

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, EINAUDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. Roma, 16 agosto 1948.

Mi consenta di scriverle i miei complimenti per i rapporti che ella invia al suo ministro. I complimenti non vogliono dir consenso alle opinioni da lei sostenute, consenso che non rientra nei miei compiti di dare o di non dare. Vogliono dire invece che i suoi rapporti sono scritti in maniera tale da non lasciare nessun dubbio nel ministro, al quale spetta di leggerli, intorno a quella che è l'opinione dell'ambasciatore sui grossi problemi internazionali che egli è chiamato a trattare. Ritengo che questo sia precisamente il dovere di ogni funzionario: dire nettamente, senza possibilità di equivoci la propria opinione al superiore, uniformando poscia l'azione a quelli che saranno gli ordini del superiore. Quanti malanni sono accaduti in passato perchè ambasciatori, direttori generali, prefetti eccetera raccontavano ai propri ministri, non quella che essi ritenevano essere la verità, ma quella che immaginavano essere la versione dei fatti gradita al superiore !

Detto ciò; mi consenta uno sfogo. Ho l'impressione che, in generale, i rappresentanti dell'Italia all'estero, ed anche lei con gli altri, vedano gli avvenimenti sopratutto e quasi esclusivamente al punto di vista del momento che passa. Comprendo che ciò sia, che ciò debba fatalmente essere. Noi viviamo la vita d'oggi; non quella di domani. A guardare troppo il domani, si rischia di cadere nella fantasia, nell'utopia. Ma il domani non deve essere la guida d'oggi? Possiamo dimenticarlo del tutto?

Due esempi mi vengono spontanei: l) Blocco occidentale. Confesso di non riuscire a formarmi un'opinione sul problema staccandolo dal fine a cui si mira.

Possiamo concepire l'alleanza fra i cinque paesi occidentali o fra i sei o fra i sedici come qualcosa desiderabile per se stessa? Ovvero, per dare un significato a quella qualunque azione positiva o negativa o di attesa che si volesse preferire, non è necessario inquadrarla in un ideale al quale si tende? In poche parole, una alleanza fra Stati è cosa che, oggi, possa essere considerata veramente stabile se non sia collegata ad un altro ideale, a quello della federazione fra popoli o Stati uniti?

Cavour faceva la politica delle alleanze; ma accanto a lui c'era Mazzini, provvisto di un ideale europeo. Se l'Italia nacque ciò accadde perchè gli italiani agitarono e propugnarono un'idea maggiore di quella italiana. Ottennero le simpatie straniere perchè bandirono un principio che era europeo: quello della nazionalità, che era il modo proprio a quel tempo di propugnare la pace fra i popoli. Oggi che il principio della nazionalità è degenerato nei nazionalismi, bisogna trovare qualcosa d'altro. L'Italia non può chiedere soltanto il ripristino dei confini, le colonie eccetera e destreggiarsi con alleanze per ottenere queste cose. È troppo ed è troppo poco. Se si vuole ottenere qualcosa per sé, bisogna domandarlo in nome di un esigenza superiore e farsi propugnatori dell'utopia per ottenere, entro essa, quel che è nostro diritto avere.

L'Italia può avere oggi un peso in Europa e nel mondo se essa non si faccia banditrice di qualcosa che dia veramente ai popoli una speranza, una luce che ci tragga fuori dalle pur necessarie transazioni e dai necessari accordi o non accordi? Possiamo venire buoni ultimi nel sostenere una idea solo perché questa sembra essere un'idea del domani?

2) Unione doganale con la Francia. Ella dice che non se ne farà nulla se gli industriali italiani della siderurgica e della meccanica non si metteranno d'accordo con la potente rinata unione dei siderurgici e meccanici francesi. Non metto minimamente in dubbio che ciò sia opportuno, anzi necessario se si vuole recare in porto l 'unione. Anche qui panni tuttavia che per amore del risultato di oggi non convenga dimenticare il domani.

Ed il domani ci dice che «unione doganale» è la stessa cosa, è sinonimo di lotta contro gli accordi fra industriali a danno dei consumatori. Se una unione doganale ha un senso, se essa è un ideale per cui valga la pena di adoprarsi, essa deve costituire uno strumento per rendere più difficili gli accordi fra gruppi di produttori, per fare con maggior comodo i propri affari. Francia e Italia separate, come sono oggi, sono due mercati di quarantacinque milioni di consumatori l'uno. Dentro ognuno di essi i produttori (siderurgici, meccanici, tessili, ecc) hanno una probabilità di mettersi d'accordo per tenere su i prezzi, profittando dei dazi doganali, dei contingenti, dei vincoli valutari ecc.ecc. Basta che si accordino dieci o venti persone perchè la cosa sia possibile. Se ci riescono, e nella misura in cui riescono, costoro sono simili ai banditi che sulla pubblica strada taglieggiano i viandanti. Se il mercato, per l'unione doganale Francia-Italia, si allarga a 90 milioni, a mettersi d'accordo dovranno essere, non più in dieci o venti, ma in venti o quaranta. Se oggi, in un mercato ristretto, c'è una probabilità di uno su cento che nascano concorrenti, allargato il mercato, la probabilità sarà non di due, ma di tre o quattro su cento. Non dico affatto che i consumatori siano sicuri di sottrarsi, con l 'unione doganale, alla prepotenza dei briganti; ma una certa maggiore possibilità di vedere i briganti azzuffarsi fra di loro, c'è. Sarà minima; ma in questa possibilità sta il sugo, sta lo scopo dell'unione doganale. Se, dopo l'unione, le cose andassero come prima, varrebbe la pena di lavorare per costruirla?

Quello che ho esposto ora non è una critica alla sua tesi che, allo scopo di togliere di mezzo un grosso ostacolo all'unione, importi fare in modo che i due briganti si mettano ora d'accordo. Si vuole dire solo che, così facendo, non si deve dimenticare che l'unione ha come suo connotato essenziale di rendere meno agevoli, meno comodi i briganti a danno del pubblico.

Lei penserà: questi economisti pensano sempre ai problemi di long run, laddove noi diplomatici dobbiamo provvedere al short run, alla bisogna di ogni giorno! Verissimo; ma coloro i quali hanno il duro compito di risolvere le questioni di ogni giorno opereranno bene se non dimenticheranno del tutto lo scopo vero, ultimo della loro meritoria azione quotidiana.

325

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11001/832. Parigi, 17 agosto 1948, ore 13,30 (per. ore 17,30).

Suo 633 1• Al Quai d'Orsay non si avevano notizie particolareggiate su andamento discussione relativa Trieste in sede O.N.U. Comunque, intervento è servito a richiamare sulla questione attenzione Quai d'Orsay, che mi ha promesso suo immediato interessamento.

326

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CONSOLE MANZINI, A MOGADISCIO

T. 9488/40. Roma, 18 agosto 1948, ore 22.

È da prevedersi imminente publicazione notizia concorde avviso dei quattro sostituti per assegnazione Somalia ad amministrazione italiana (sorte altre colonie verrebbe invece probabilmente deferita O.N.U. ad eccezione Eritrea meridionale ceduta Etiopia). Naturalmente tale concorde avviso non esclude possibilità che intera questione colonie sia deferita O.N.U.

Comunque, anche tenendo conto analoghe raccomandazioni Foreign Office, è necessario che V.S. svolga tempestivamente opportuna azione chiarificatrice tra codesta nostra collettività in modo da evitare che notizia suddetta possa dar luogo ad inopportune manifestazioni che per molte ragioni potrebbrero riuscire dannose nostri interessi. In particolare raccomando che italiani mantengano con autorità britanniche contegno correttissimo cordiale astenendosi anche verso funzionari meno ben visti da manifestazioni di risentimento; anche nei riguardi popolazione locale atteggiamento italiano deve rimanere prudentissimo scartando ogni idea di vendette o rappresaglie ed ogni allusione a vecchia mentalità e sistemi coloniali. Faccia presente connazionali che vero patriottismo si prova con sacrificare certi risentimenti a superiori interessi del paese e che è anche loro interesse individuale non offrire esca ad eventuali possibili reazioni di cui essi sarebbero le prime vittime.

Contemporaneamente V.S. faccia circolare la voce che è fermo intendimento Governo italiano appena assunta amministrazione concedere generale amnistia per

476 reati carattere politico, che è pronto ricevere sottomissione ed accettare collaborazione anche elementi più compromessi e che nuova amministrazione si ispirerà criteri completamente nuovi ben diversi da sistemi colonialisti del passato.

Ritengo infine necessario che S.V. esamini opportunità prudenti approcci con esponenti Lega giovani somali allo scopo avvicinarla a noi ed impedire movimenti di resistenza; in tale ordine idee S.V. può fare promesse donativi purché rimanga entro modesti ragionevoli limiti.

325 1 Del 16 agosto, con il quale Guidotti sollecitava l'intervento presso il Governo francese affinchè la sua delegazione all'O.N.U. affiancasse la posizione anglo-americana.

327

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO PER CORRIERE 11133/036. Beirut, 18 agosto 1948 (per. il 20).

Durante una conversazione amichevole questo ministro degli esteri ha pregato di segnalare al Governo italiano il pericolo che il Libano sia costretto, in seguito a decisioni collettive della Lega araba, a prendere provvedimenti sospensivi nei riguardi delle compagnie estere di navigazione ed aeree che esercitano in questo momento traffici regolari ed irregolari con la Palestina controllata dalle forze di Israele. Tali provvedimenti sarebbero naturalmente presi assai a malincuore dal Libano, che non si nasconde l 'inutilità di tali provvedimenti e che è assai soddisfatto dei servizi marittimi ed aerei italiani. Ma -ha continuato Frangié -il Libano non potrebbe sottrarsi a tale obbligo ove gli Stati della Lega decidessero di condurre una indiscriminata guerra economica contro il nascente Stato ebraico ed ove le società italiane persistessero nel mantenere gli attuali traffici fra Italia ed Israele.

Ho risposto al ministro Frangié dicendogli che la pretesa del Consiglio della Lega di interferire nei traffici internazionali è inammissibile così come è assurda e pericolosa l'idea di condurre una guerra economica a spese degli altri paesi. Gli ho altresì enumerato le benemerenze dei nostri servizi marittimi ed aerei ed i vantaggi economici che essi offrono al Libano.

Il ministro ha -a titolo personale -convenuto ma mi ha ugualmente pregato di segnalare quanto precede al Governo italiano.

328

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 836/259. Nanchino, 18 agosto 1948 (per. il 6 settembre).

Ho via via riferito sull'andamento della guerra civile in Cina e sui vari aspetti della situazione politica cinese. Stimo dare qui di seguito, anche in relazione a quanto riferito in questi ultimi tempi da altre rappresentanze, uno sguardo d'insieme alla situazione in questo settore nel quadro del contrasto russo-americano.

l) L'euforia con la quale a Mosca -secondo quanto riferisce quella nostra ambasciata -si giudica la situazione cinese è ben giustificata da quel che è qui avvenuto da un anno a questa parte: ad essa fan riscontro le difficoltà, che da tempo sono andato segnalando, che gli americani incontrano per risolvere la questione cinese e, in genere, per mantenere la loro influenza in questa parte del mondo.

Scrivevo circa due anni or sono che la competizione fra gli americani e russi si svolge in questo continente in condizioni di obiettiva inferiorità per i primi per ragioni psicologiche storiche sociali ed economiche oltre che, naturalmente, geografiche; e, più tardi, che solo miracoli di intelligenza politica da parte degli americani potranno impedire che questo continente diventi, a profitto dei sovietici, un'altra ed immensa Balcania.

I motivi per cui questa parte del mondo offre alla penetrazione sovietica un terreno così più favorevole che non l'Europa occidentale possono riassumersi in un'osservazione di carattere storico, del resto banale: ed è che in Europa l'urto dei partiti comunisti si esercita su strutture statali e sociali che hanno dietro di sé i frutti della rivoluzione liberale, e in particolare l'indipendenza nazionale raggiunta e la riforma agraria in più o meno larga misura compiuta; laddove in questa parte del mondo i problemi del secolo XX-posti dall'esistenza di un grande Stato comunista eurasiatico -si sommano con i problemi lasciati qui insoluti dal secolo XIX. Del resto è questa un po' la rançon della politica coloniale, che per riservare questi mercati all'industria della madre patria non vi favorì la trasformazione industriale e con essa il sorgere di una borghesia locale; né vi favorì, vuoi per politica conservatrice (Gordon e i Taiping), vuoi per mantenervi coltivazioni coloniali estensive, la riforma agraria.

Alle condizioni storiche e sociali proprie di questo continente han saputo con grande maestria e duttilità adattare i loro programmi e le loro attività i partiti comunisti o paracomunisti asiatici: i quali si atteggiano (a poco serve fare il processo alle intenzioni) a partiti che si battono non già per realizzare il comunismo ma per realizzare in Asia quelli che furono in Europa i motivi storici e le conquiste del liberalismo: e cioè essenzialmente appunto l'indipendenza nazionale e la riforma agraria. Che questi paesi, per dover passare da un'economia feudale ad un'economia capitalista siano i più lontani che si possano immaginare dalla realizzazione di un'economia socialista è ovvio: ma dalla consapevolezza di ciò i partiti comunisti locali han tratto non già la rassegnata conclusione di attendere il compiersi della fase capitalista e rinviare la loro azione alla generazione successiva, ma quella di dover essere essi stessi a promuovere -purché guidandola e controllandola -la trasformazione capitalista. Quando Mao Tse-tung dichiara che per molti e molti anni la Cina dovrà essere un paese ad economia borghese, non vi è ragione di non crederlo sincero. L'importante per lui e per i suoi è che il partito comunista conquisti e mantenga il controllo politico della situazione. Un liberalismo, insomma, con la libertà in meno.

Si aggiunga che la mancanza di ceti medi vivi, e di una tradizione liberale, l'esistenza, di fronte a forze retrive e feudali o politicamente logore, di immense masse di contadini poveri che han trovato nel partito comunista il loro partito, ha una

conseguenza assm Importante: che quella parte dell'intelligentsia che è malcontenta dell'ordine esistente non trova di fatto altra forza politica concreta cui agganciarsi che il partito comunista. Può darsi che alla gravitazione di intellettuali e studenti verso il partito comunista contribuisca il fatto che manca qui l'esperienza europea dello Stato organizzato e accentrato, e che quindi è meno sentito il timore di un Governo totalitario armato della tecnica moderna; così che intellettuali e studenti malcontenti o «progressisti», vedono nel partito comunista il partito che opera una certa trasformazione sociale ma -per non avere come si ha da noi l 'esperienza e il senso dello Stato -pensano meno, in ogni caso meno che da noi, a quella che sarebbe o sarà l'organizzazione statale in regime comunista. Comunque, il fatto resta: come l'individualismo dei contadini non impedisce al partito comunista cinese di essere un partito di contadini, così studenti e giovani docenti, che presi uno per uno si dichiarano liberali o magari laburisti, di fatto servono da quinta colonna ai comunisti. Inoltre, e a tacer d'altro, il fattore religioso che nel mondo cristiano e in quello islamico è un forte ostacolo alla penetrazione comunista (non sono in grado di dire ma sarebbe interessante, sapere in che misura esso lo sia o lo possa essere in India) è qui praticamente inoperante.

In una parola: si ha qui l'impressione che mentre in Europa i comunisti non potrebbero vincere che con la forza, in Asia orientale solo la forza può impedire che vincano. l dirigenti di Mosca han quindi ben ragione di considerare con ottimismo le grandi possibilità che alla Russia sovietica si offrono in Asia. Se in Europa l 'Unione Sovietica è sulla difensiva, per me non v'è dubbio che in questa parte del mondo sono gli americani a essere sulla difensiva. Ed è una difensiva su posizioni difficili a tenersi.

2) La superiorità strategica dei russi in questa parte del mondo appare ancor più evidente infatti se si pon mente ai problemi che l'Asia pone agli americani. E' caratteristico della situazione in Asia di presentare agli americani esigenze contraddittorie. Ad esempio in Europa l'appoggio alle forze di centro è per gli americani una via segnata; è una politica che può riuscire o non riuscire: ma non ce n'è altra da fare. Qui, no. Qui gli americani sono sempre a dover scegliere fra due mali. Se essi appoggiano «l'uomo forte» là dove lo trovano, se si identificano con le forze conservatrici e feudali locali, la gravitazione della intelligentsia verso i partiti comunisti si accentua; e il processo di trasformazione sociale che è in corso in questo continente e che non sembra d'altra parte arrestabile avverrà sotto l'egida di Mosca anziché sotto quella americana; ma d'altra parte se essi non intervengono a sostenere «l 'uomo forte» e le forze conservatrici locali per feudali che siano, dal momento che forze politiche concrete e attive di centro non esistono (la tattica comunista di ridurre i termini della lotta politica a due soli essendo cioè qui largamente riuscita) la via resta libera ai comunisti. E ancora: se gli americani non intervengono direttamente con le proprie forze con le proprie armi con la propria presenza militare, le forze anticomuniste indigene possono non essere in grado (e nella maggior parte dei paesi dell'Asia orientale esse non sembrano in grado) di costituire un argine solido ai comunisti; ma se essi intervengono con la loro presenza militare -o spalleggiano le superstiti dominazioni coloniali europee -in un continente dove il nazionalismo costituisce una specie di parossismo, essi hanno contro di sé comunismo più nazionalismo, o più esattamente hanno contro di sé i comunisti coperti dalla bandiera dell 'indipendenza nazionale e dall'anticolonialismo. Insomma, mentre in Europa occidentale

l'influenza degli Stati Uniti riesce a mantenersi con la consacrazione del suffragio universale, qui essi non possono fondarla che su posizioni politicamente intenibili.

3) Questi elementi non sono nuovi, e sono familiari a chiunque si occupa di problemi asiatici; né data da oggi la progrediente attività comunista nei paesi dell'Asia orientale. La Cina ne è il teatro principale: ed elementi cinesi emigrati tengono le fila dell'azione comunista in altri paesi dell'Asia orientale. In Corea le prospettive per gli americani non sono più brillanti che in Cina. Anche se le elezioni nel sud, avvenute all'ombra dell'occupazione americana, sono andate meglio, come partecipazione alle urne, di quanto gli americani si aspettassero sta di fatto che l'uomo su cui l'influenza americana si fonda a Seoul-Syngham Rhee-è considerato esponente dell'estrema destra coreana, il che non è fatto per aumentare la popolarità dei suoi patroni; sopratutto, una posizione di estrema destra della Corea del sud non è la più idonea a esercitare un'attrazione sulla Corea del nord. Per di più si ha qui l'impressione che il giorno in cui le truppe americane se ne andassero, la Corea del sud non sarebbe in grado di resistere alla superiorità militare e probabilmente all'attrazione politica della Corea paracomunista del nord. La Corea ci mostra i problemi del mondo asiatico in modo tipico: l'assorbimento di tutta la Corea da parte dell'Unione Sovietica sembra avere il solo limite della presenza militare americana al di sotto del 38° parallelo. In Malesia, sono note le misure di forza a cui le autorità britanniche han dovuto ricorrere; l'attività dei comunisti sembra in questa fase diretta essenzialmente alla conquista delle organizzazioni del lavoro e, attraverso essa, al sabotaggio delle produzione (gomma, stagno) che servono alle potenze occidentali: non sembra che i comunisti vi siano molto numerosi ma essi hanno le posizioni chiave nelle organizzazioni sindacali e beneficiano della popolarità della loro accanita propaganda anticolonialista. In Birmania il noto recente discorso del primo ministro, anche se non è un discorso filocomunista, testimonia dell'acceso radicalismo diffuso in quella popolazione; parte dell'esercito è in rivolta; vi è una guerriglia comunista in atto in cinque province; l'organizzazione statale che dovrebbe contenerla è ancora da fare. In Indocina e così in Indonesia è ben noto come i comunisti abbian saputo mimetizzarsi e identificarsi con il movimento per l'indipendenza nazionale: essi colgono i frutti della posizione di favore per l'indipendenza indonesiana presa dall'Unione Sovietica all'O.N.U. in contrasto all'oramai molto cauta politica adottata dagli americani. In Siam è da tempo in atto un'infiltrazione di comunisti cinesi, e si osserva da qui con preoccupato interesse l'installarsi a Bangkok di una cospicua rappresentanza sovietica di mole sproporzionata ai suoi compiti ufficiali; per ora la situazione del Siam sembra -a quanto si può giudicare da qui -abbastanza stabile; ma è un'eccezione che conferma la regola: la stabilità è dovuta alla presenza al potere del maresciallo Pibul, già alleato dei giapponesi e dell'Asse.

E' giudizio corrente, anche da parte di scrittori politici inglesi o americani, che l'attività sovietica si andrebbe spostando da occidente ad oriente; giudizio che può convertirsi, forse con maggiore esattezza, in quest'altro: che l'attività sovietica, quando anche arrestata in occidente, continuerà -e in condizioni propizie -in oriente. In realtà infatti anche se l'aggravarsi della situazione in Malesia è un fatto

recente, la progrediente attività comunista nell'Asia orientale non data da oggi, né datano da oggi le condizioni che offrono ad essa un terreno favorevole: sopratutto non data da oggi quella che è la manifestazione più grandiosa di quest'attività e cioè il rafforzarsi e l'avanzare, del partito comunista in Cina. Sarei portato a dire che quello che c'è di nuovo in questi ultimi mesi è, piuttosto, uno spostamento verso l'oriente dell'attenzione degli osservatori del mondo politico anglo-americano, che potrebbe preludere alla ricerca di più attive e concertate misure delle potenze occidentali in questa parte del mondo: uno degli effetti della guerra di nervi per Berlino sia o no questo effetto consapevolmente voluto da Mosca -è stato quello di interrompere questo spostamento di attenzione che si andava delineando abbastanza chiaramente dopo le elezioni italiane. Non mi pare che la situazione in queste settore richieda ai russi iniziative clamorose: a meno che esse non siano dettate da eventuali necessità, che non sono in grado di giudicare, di prestigio interno (sottolineando e affrettando visibili successi in Oriente per compensare l'opinione pubblica della mancanza di eguali successi in Occidente) o in ipotesi -ma sarebbe l'opposto di quanto è avvenuto sino ad oggi -dall'intento di distogliere l'attenzione delle potenze occidentali dai problemi europei. Va tenuto presente che quegli elementi che determinano qui condizioni estremamente favorevoli ai progressi dei partiti comunisti e, in particolare, l'essersi i partiti comunisti impadroniti dello slogan dell'indipendenza dei paesi asiatici, pone alla stessa azione sovietica dei limiti: obbliga cioè Mosca ad agire con una politica discreta, a continuare -come abilmente ha fatto finora -a non apparire apertamente, a non manifestare insomma troppo pesantemente ai popoli asiatici l'esistenza, dietro ai partiti comunisti locali con i loro slogans di riforma agraria e di nazionalismo, della Russia come potenza. Tutto ciò è particolarmente vero in un momento in cui la condanna del partito comunista jugoslavo-messo all'indice per il suo nazionalismo e per la sua politica agraria non ortodossa -può creare, se abilmente sfruttata, qualche imbarazzo alla propaganda comunista in Asia. In secondo luogo, i russi avrebbero interesse a cristallizzare l'influenza da essi raggiunta in questa parte del mondo il giorno in cui si trovassero sulla difensiva. Ma finché essi sono all'offensiva, ed un'offensiva che ha di fronte a sé un largo margine di successo prima di dar luogo ad urti decisivi, essi non panni abbiano ragione di creare fatti nuovi militari o diplomatici: a meno, ripeto, che ciò non sia ad essi dettato da considerazioni estranee a questo settore.

Per quel che riguarda poi in particolare la Cina vari elementi dovrebbero concorrere a consigliare a Mosca una politica scevra di impazienze. In primo luogo il nazionalismo cinese. Ho già accennato al sentimento nazionalistico come a uno dei fattori dominanti in tutta l'Asia orientale. Ma se c'è un paese in cui l'orgoglio nazionale è suscettibile vivo e morboso, questo è la Cina.

Il Kuomintang riacquisterebbe una buona parte della sua vitalità il giorno in cui Nanchino potesse dimostrare ai cinesi che la guerra civile è in realtà una guerra nazionale per difendere l'integrità della Cina da un attentato russo (per tacere poi delle reazioni e contro misure americane che un più aperto e sostanziale intervento russo a favore dei comunisti cinesi potrebbe provocare e giustificare). In secondo luogo la natura dell'interesse russo alla Cina: che se è un interesse positivo e tradizionale alla Manciuria e alle province periferiche della Cina, non è detto che per quel che riguarda la Cina propria sia più di un interesse negativo: che la Cina cioè non sia una piattaforma per gli americani. Per questo ho sempre pensato che i russi sarebbero pronti ad andare d'accordo con qualunque warlord cinese -e specialmente con warlords provinciali -che non fossero legati agli Stati Uniti. (Del resto, anche per gli americani la natura del terreno e la povertà di vie di comunicazione fan della Cina una piattaforma di valore non comparabile con l'Europa e il Medio Oriente. E il fatto che entrambi i contendenti abbiano per la Cina un interesse piuttosto negativo che positivo, e che entrambi considerino la Cina come una posta da togliere bensì all'avversario, ma che non vale lo sforzo che occorrerebbe fare o i rischi che occorrerebbe correre per togliergliela tutta quanta e rapidamente, contribuisce -panni -a fare tutto sommato della Cina un fronte secondario, e a rendere improbabile che nel lento andamento della guerra civile cinese si presenti di punto in bianco una linea di frattura). In terzo luogo, posso sbagliarmi, ma non riesco a convincermi che i russi (pur giovandosi dell'azione del partito comunista cinese come mezzo per la tendenziale espulsione degli americani dalla Cina) pensino con grande entusiasmo alla prospettiva di una Cina pacificata e unificata, anche se unificata dai comunisti. A tal proposito, mi è accaduto altra volta di indicare nel contrasto fra una possibile politica russa di smembramento della Cina e la coscienza unitaria dei comunisti cinesi il possibile punto di attrito fra i comunisti cinesi e Mosca. Già oggi le informazioni, per quanto frammentarie e poco controllabili, che giungono dal Nord sembrano indicare che fra i quadri comunisti che operano in Manciuria (Li Li-san) e quelli che operano nella Cina propria (Mao Tse-tung, Chou-teh, Chou En-lai) non ci sia identità, e che i primi siano più intimamente e direttamente legati a Mosca dei secondi. I problemi che una Cina unificata -sia pure unificata sotto il segno comunista -porrebbe o porrà alla Russia sono ovvii; e insomma «digerire» la Cina-e cioè un popolo di 400 milioni, dall'orgoglio nazionale e razziale morboso, consapevole di un'antica civiltà, intimamente xenofobo -sarà altra cosa che digerire la Mongolia esterna o magari la Corea. Questo non vuole sminuire le grandi possibilità che alla penetrazione comunista si offrono in Cina: vuoi porre un interrogativo circa il modo con cui i russi vorranno profittare di queste possibilità.

4) La politica di Marshall, alla quale Nanchino attribuisce tutti i propri guai, era basata su una valutazione realistica e politicamente intelligente dei dati del problema cinese. Attraverso la conoscenza che il tentativo di mediazione gli diede della situazione locale Marshall si rese conto che la sola via da tentare (a meno di addossare agli americani tutto il peso della guerra civile cinese con gli oneri e i rischi che ne derivano) era quella di suscitare in Cina una formazione governativa anticomunista sì ma godente di una certa popolarità. Come egli ebbe più tardi a sottolineare, nel giustificare al Congresso la sua politica verso la Cina, nessun Governo può resistere con successo alla guerriglia se non ha il favore della popolazione, nel caso specifico della popolazione rurale. La formula adottata dopo il fallimento del tentativo di mediazione fu, com'è noto, quella dell'appoggio condizionato: ossia dell'appoggio a Nanchino subordinato all'adozione di riforme sociali e amministrative e all'emergere di uno schieramento politico di centro. Era, per usare un'espressione di moda, il tentativo di suscitare in Cina una terza forza. Alla sua base stava la considerazione che la resistenza ai comunisti in Cina andava fatta, e va fatta, su un duplice terreno: militare da un lato, politico dall'altro, col sottrarre ai comunisti quelle forze politiche (i contadini e gli intellettuali) che senza essere intrinsecamente comuniste hanno finito in Cina col gravitare verso il partito comunista per mancanza di alternativa. Ma gli americani non hanno trovato in Cina né generali capaci di condurre la guerra civile con l'adozione di una strategia intelligente e di sistemi di reclutamento ed addestramento idonei, né forze politiche capaci di riconquistare una certa misura di fiducia popolare. In sede di giudizio retrospettivo si può aggiungere che al fallimento della politica dell'appoggio condizionato contribuì la contraddizione fra lo spirito che la guidava e quello della dichiarazione Truman; e vi contribuì, anche, il modo con cui essa fu applicata: che fu piuttosto pedagogico e negativo che politico e costruttivo, lesinando gli aiuti a Chiang Kai-Shek e reiterando al Governo di Nanchino le consuete accuse d'incapacità e reazionarismo, ma senza indicare e suscitare in concreto forze nuove. Dominato dall'impressione di un perpetuo ricatto, dall'impressione cioè che Nanchino tendesse a scaricare sugli americani tutto il peso della lotta contro i comunisti in Cina senza nulla fare per alleggerirlo -e che i gruppi dominanti della Cina nazionalista facessero conto sulla ineluttabilità dell'aiuto americano per sottrarsi e al sacrificio dei loro privilegi e allo sforzo di una riorganizzazione amministrativa e militare -il tentativo di Marshall fu quello di rovesciare il ricatto, e di far intendere che gli aiuti americani non sarebbero venuti se Nanchino non avesse creato le condizioni necessarie perché l'aiuto potesse essere efficace. In realtà di un anno di polemica aperta o diplomatica tra Nanchino e Washington (dalla partenza di Marshall nel gennaio 47 alla decisione del Congresso sugli aiuti alla Cina nel febbraio 48; e che in certi momenti diede l'impressione che esistesse un fatto personale fra Marshall e la Cina, e che Nanchino ricevesse più insulti a Washington che a Mosca) non dovevano profittare che i comunisti. Fallita la politica di Marshall e constatato che l'apparato governativo cinese, militare e politico, non è uno strumento idoneo a preservare l'integrità della Cina, non restano che tre vie agli americani: o rassegnarsi all'idea di dover gradualmente ridurre le proprie posizioni in Estremo Oriente alle isole (Giappone, Formosa, Filippine), adattarsi cioè all'idea che i loro aiuti a Nanchino non hanno altro effetto che quello di un'azione ritardatrice; o decidersi a un intervento militare in Cina non solo quantitativamente maggiore dell'attuale ma qualitativamente diverso, intervenendo cioè se non addirittura colle proprie truppe sul fronte almeno con i loro ufficiali vicino al fronte come advisers di unità combattenti, partecipando cioè direttamente, molto più direttamente di quanto non facciano ora, alla guerra civile e insomma affrontare la questione cinese come un grosso problema di polizia coloniale; oppure accettare un compromesso che, nella speranza di arginarli consacri i progressi compiuti dai comunisti e mettendo in soffitta la tradizionale «open door policy» risusciti la divisione della Cina in zone di influenza.

5) Perché quello che è accaduto in Cina nel corso di questi due anni e quello che va accadendo in maniera più o meno pronunciata in tutta l'Asia orientale rappresenta qualche cosa di più del fallimento di questo o quel tentativo; rappresenta il fallimento di tutta la tradizionale impostazione della politica americana verso i problemi del mondo asiatico, anche e specialmente in quello che essa aveva di più generoso. E' noto che se nel tradizionale atteggiamento anticolonialistico degli americani vi era una componente che non si potrebbe definire altrui

stica (il desiderio cioè di aprire alla penetrazione commerciale americana i domini coloniali europei) vi era anche, in essa, qualcosa di profondamente sincero e che del resto si riannodava all'origine stessa dell'indipendenza americana. Ed era su questo tradizionale atteggiamento anticolonialistico che l'America sperava di poter fondare amicizie e solidarietà politiche in Asia: in tal senso, l'atteggiamento anticolonialista era a suo modo una forma di politica conservatrice, anzi di grande politica conservatrice. Ché esso doveva servire a strappare alla propaganda russa in Asia lo slogan potente dell'indipendenza nazionale; doveva servire, con la tempestiva concessione dell'indipendenza, a rafforzare le forze moderate locali, nazionaliste ma amiche dell'Occidente. In realtà quanto sta accadendo in Asia fa credere estremamente improbabile che il posto lasciato vuoto dalla dominazione coloniale europea sia preso da regimi nazionali orientati verso l'Occidente. Mi sembra vi sia un solo caso in cui quella politica sia riuscita nel suo intento conservatore: ed è il caso delle Filippine, che è poi un paese cattolico e con impronte europee fortemente pronunciate. Ma non ne conosco altri: in Birmania p armi estremamente dubbio che l'esperienza riesca; l'India è ancora un'enorme incognita; in Indonesia, in Indocina, in Malesia l'infiltrazione comunista nei movimenti per l'indipendenza è tale che sceverare forze politiche locali nelle cui mani affidare il paese senza troppi rischi per l'Occidente è impresa disperata (e ne è ben consapevole il Governo di Nanchino che a parole deve fare dell'anticolonialismo e in cuor suo si augura, per paura del peggio, che olandesi francesi e britannici restino dove sono). Così che la differenza di situazione politica sociale e storica tra l'Europa e l'Asia impone alla politica estera americana, per adeguarsi a quelle che sono le sue nuove responsabilità di ordine mondiale, un adattamento in senso opposto: in un senso più «idealistico» verso l'Europa, intendo dire più idealistico di quanto non sia nel tradizionale atteggiamento americano verso l 'Europa; e in un senso più «realistico» verso l'Asia e cioè meno idealistico di quanto non sia nelle tradizioni americane verso questo continente. Parmi cioè, che i dati diversi della situazione in Europa e in Asia richiedano agli Stati Uniti una politica che verso l'Europa occidentale è, al limite, federalistica e verso l'Asia è al limite, colonialistica. Il che significa per gli americani essere pronti a mantenere certe posizioni in Asia sul puro terreno della forza, della resistenza ed occupazione militare, delle necessità strategiche sia questo o non sia il desiderio delle popolazioni locali: del resto né i romani né gli inglesi si preoccupavano di essere popolari. Che la differente situazione esiga dagli americani «idealismo» in Europa occidentale e «realismo» in Asia equivale poi a dire una cosa abbastanza ovvia: che come la politica estera di un'amministrazione democratica ha determinato a favore degli Stati Uniti maggiori solidarietà in Europa ma non è riuscita a arginare i progressi sovietici in Asia, così la politica estera di un'amministrazione repubblicana creerà probabilmente dei problemi all'Europa (ne creerà certo ai partiti di centro sinistro europeo) ma potrà innalzare più efficaci difese per il mantenimento delle posizioni americane in Asia. Ma si badi bene: dire che la sola difesa possibile per gli americani sta in una posizione di forza, in una posizione virtualmente colonialistica, non fa che confermare quanto sia estremamente difficile e sfavorevole la posizione americana in questa parte del mondo.

6) Il confine virtuale tra le due Cine che un anno fa avrebbe potuto essere costituito dal fiume Giallo sì è andato gradualmente spostando verso Io Yangtzé. Anche se da parte comunista non ci sono state conquiste di grandi centri (anche

Mukden e Changchun sono ancora in mano ai governativi sia pure come isole in un mare comunista) la posizione di Nanchino è andata gradualmente e sensibilmente deteriorandosi. I comunisti hanno una direzione strategica più intelligente, una tattica adatta alle particolarità del terreno, hanno truppe che combattono (che combattono per difendere la propria terra nel senso più letterale della parola: terra che i comunisti hanno distribuito alle loro famiglie), hanno il vantaggio di poter scegliere i propri obiettivi perché, non avendo l'onere di difendere grandi centri, possono colpire quando e dove vogliono. Tuttavia gli avvenimenti militari cinesi vanno giudicati con scala cinese. Per quanto sia azzardato fare previsioni, non direi che ci sia da aspettarsi una decisione improvvisa radicale e definitiva sul terreno militare, per lo meno non a breve scadenza. Portano a questa conclusione e la considerazione ovvia dell'immensità degli spazi e della natura del paese che è povero di vie di comunicazione, con campagne in larga misura autosufficienti, talché anche la caduta di questo o quel centro non avrebbe conseguenze militari decisive, come non ne ebbe durante la guerra sino-giapponese; e il fatto che non esiste un unico fronte destinato a rompersi in un certo momento in un senso o nell'altro; e infine la sensazione che i comunisti danno che, se sono in grado di avere dei successi -e di mantenere l'iniziativa-non sono però ancora in grado di compiere quello che i militari chiamano lo sfruttamento del successo. A giudicare dalla situazione attuale sembra che più che un epilogo rapido e drammatico di natura militare sia quindi da attendersi il perdurare forse ancora per anni della guerra civile con un tendenziale deterioramento delle posizioni governative.

Ma vi sono altre ipotesi da fare: anzitutto quella di una disintegrazione della Cina nazionalista. Quanto più le cose vanno male per Nanchino tanto più vive diventano le tendenze alla disintegrazione in seno alla Cina nazionalista: il che è naturale, se si pensa che il più forte elemento unificatore della Cina nazionalista è ancora il prestigio di Chiang Kai-Shek. Già riferii delle tendenze autonomiste del generale Fu Tso-yi, l'attuale warlord di Pechino e dell'atteggiamento di virtuale opposizione a Chiang Kai-Shek del vice presidente della Repubblica generale Li Tsung-Jen, e con lui di gruppi di militari legati agli esuli di Hong Kong e in particolare al generale Li Chi-shen che è in certa guisa il leader dell'emigrazione politica cinese. Questi movimenti sono stati finora tenuti in freno da qualche recente successo governativo (vedi mio n. 695/217 del 14 luglio 1948) 1 e dal fatto che gli aiuti americani passano per Nanchino. Ma ancora un peggioramento della situazione, ed è fortemente possibile che queste tendenze prendano corpo. Gli americani stanno, pel momento, facendo a questo riguardo una doppia politica: da un lato si rendon conto che la scomparsa di Chiang potrebbe ridurre la Cina non comunista a un conglomerato di warlords a tutto vantaggio dei comunisti, dall'altro accarezzano Li Tsung-Jen e i possibili «ribelli» per avere una carta di ricambio nei confronti di Chiang e assicurarsi che se un movimento di rivolta

contro Nanchino, o di secesswne da Nanchino, dovesse prender corpo non sia diretto contro di loro. Vi è poi l'ipotesi, che può abbinarsi alla precedente, di un compromesso cm comunisti. Voci di compromesso ricorrono di tanto in tanto. Recentemente vi è stata una nuova ondata di voci in tal senso: si è parlato di prese di contatto a Pechino, smentite dall'una e dall'altra parte. In realtà contatti più

o meno autorizzati fra i due campi ci sono sempre stati. Sembra poco probabile un compromesso finché Chiang Kai-Shek conserva il potere: sia per il suo impegno personale all'intransigenza di continuo riaffermata (e che egli del resto ha ogni interesse a mantenere fin quando le elezioni americane non gli abbian dato la misura di quello che egli può attendersi dagli Stati Uniti), sia per la pregiudiziale che i comunisti affermano di avere oramai nei suoi confronti. Le probabilità aumenterebbero il giorno che la Cina nazionalista fosse guidata da Li Tsung-Jen o comunque da altri che Chiang Kai-Shek. Resta la difficoltà intrinseca di un accordo. L'ipotesi che più di frequente ricorre, quando si parla di possibile compromesso, è quella di un Governo di coalizione con larghe autonomie regionali: il che vorrebbe dire sotto la formula apparentemente unitaria del Governo di coalizione la realtà di una spartizione della Cina.

Non sarebbe probabilmente una soluzione definitiva. Nella sua lunga storia le partizioni hanno sempre costituito in Cina fasi transitorie, di neutralizzazione reciproca di forze, una delle quali ha sempre finito per ricostruire l'unità del paese. Ma sarebbe una soluzione che potrebbe convenire per un certo numero di anni ai vari contendenti. Gli americani vi troverebbero la possibilità -o la speranza -di poter organizzare almeno una parte della Cina senza gettare i loro dollari nel pozzo senza fondo della guerra civile e di potervi costruire qualche cosa che, in ragione del più alto tenor di vita della popolazione -possa servire di attrazione al resto del paese. (Per questo, esponenti autorevoli di questa ambasciata degli Stati Uniti non nascondono di vedere in un compromesso territoriale la sola soluzione possibile: ma mi par dubbio che la presente amministrazione americana voglia assumersene le responsabilità prima delle elezioni). Ci si può domandare piuttosto quale interesse abbiano ad un compromesso i comunisti cinesi per cui le cose sono andate così bene fino ad ora, e quale interesse avrebbero i russi a scambiare in una partizione nell'ordine l'attuale partizione nel disordine. La risposta può essere: che i comunisti cinesi sanno che essi possono vincere ma non vincere rapidamente (per impadronirsi di tutta la Cina essi stessi parlano di tre anni); che man mano che il loro controllo si estende e che da guerriglieri devon farsi amministratori si pongono ad essi problemi anche economici analoghi a quelli che si pongono al Governo; che il popolo anche dalla loro parte è stanco; e che, con la prospettiva d'una guerra lunga, essi ignorano fin dove gli americani si spingeranno, specialmente dopo un'eventuale vittoria repubblicana, nel loro intervento in Cina. Del resto, un accordo che consolidasse le posizioni da essi raggiunte a nord dello Yangtzé non impedirebbe alla loro propaganda, alla loro agitazione, alla loro guerriglia di ricominciare prima o poi a sud dello Yangtzé. La Russia vi troverebbe per ora la consacrazione della sua influenza in Manciuria e l'estensione della sua fascia di sicurezza fino nel cuore della Cina; e la partita per il resto non sarebbe che rinviata.

328 1 Non pubblicato.

329

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA

NOTA. Roma, 19 agosto 1948 1•

Il presidente del Consiglio e il ministro degli affari esteri hanno apprezzato la franchezza della risposta pervenuta loro il 14 agosto circa gli interessi italiani in Africa2•

Ma il Governo americano non si stupirà se, malgrado certe sue osservazioni di cui essi riconoscono il peso, gli on. De Gasperi e Sforza stimano loro dovere di riaffermare le aspirazioni unanimi del popolo italiano.

Convinti come sono che queste aspirazioni rispondono alle più permanenti finalità di interesse universale, essi confermano le domande formulate, pur ringraziando vivamente per le assicurazioni circa la Somalia ed esprimendo la loro personale riconoscenza per la decisione del Governo americano di premere pel ritorno in Africa degli antichi coloni italiani.

A questo proposito dichiarano la loro certezza che quello sarà un urgente atto di umanità e di giustizia che ovunque sarebbe benefico allo sviluppo della civiltà, senza il menomo pericolo per qualsiasi considerazione strategica. È per ciò che gli on. De Gasperi e Sforza sperano che il Governo americano si adopererà perché i coloni italiani possano tornare anche in Cirenaica e nell'Eritrea meridionale (quale si sia la sorte di queste regioni) perché anche là saranno ugualmente preziosi e leali, come preziosa e leale è stata ovunque l'emigrazione italiana. Questo allargamento delle generose intenzioni americane toccherebbe il cuore del popolo italiano, come tutto ciò che fa credito alla sua laboriosità e lealtà. Devono esistere ancora a Washington le prove degli effetti commoventi che provocò negli Stati Uniti durante l'ultima guerra la generosa decisione del presidente Roosevelt di non considerare come enemy aliens i cittadini italiani.

Della fiducia che si può porre negli italiani come compagni di lavoro era certo convinto anche Mr. Bevin quando nell'autunno del 19473 , a Londra, egli parlò all'o n. Sforza di un vasto piano di sviluppo dell'Africa centrale con intervento italiano su basi che il suo interlocutore italiano trovò altamente comprensive dei bisogni dei suoi compatrioti.

L'Italia spera che le decisioni finali, oltre che a considerazioni strategiche che sono importantissime ma transitorie -saranno ispirate alla comprensione dei più elementari bisogni italiani -bisogni che non contrastano con nessun altro bisogno -creando così una ben più sicura opera di concordia e di solidarietà.

Accennando alle necessità italiane sia demografiche, sia morali, gli on. De Gasperi e Sforza sentono di compiere il principale dovere di una fedele amicizia quale è la loro verso l'America: mostrare quelli che a loro sembrano i lati più profondi e permanenti del problema in discussione.

2 Vedi Allegato.

3 Sulla visita di Sforza a Londra vedi serie decima, vol. VI, DD. 660, 663, 667, 674, 677 e 681.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA CONFIDENZIALE4 . Roma, 14 agosto 1948.

The American Govemment has given most thoughtful consideration to severa! communications from the President of the Council of Ministers and the Foreign Minister regarding the disposition of the former Italian colonies5 . It appreciates the importance which the Italian people attach to this question, as well as broader implications regarding European cooperation which the Italian Govemment has stressed.

It is self evident that the disposition of ali the territories has not been an easy matter. As far as the Italian position is concemed, consideration has had to be given to the additional burden which these deficit areas would impose upon the already strained Italian economy if trusteeship awarded Italy, as well as any possible economie benefits which might result from additional outlets for Italian surplus population. In addition, examination of the question whether Italian military forces as limited by the Peace Treaty are sufficient for maintenance of public order in the former coloni es has been rendered serious by the fact that the Soviet veto of Italian membership in the United Nations has barred any possibility of a simple solution through Security Council action should it develop that additional forces were required.

Conflicting views of the other interested Govemments have also had to be taken into account. Finally, the wishes and welfare of the !oca! inhabitants of these areas had to be given equitable regard in concurrence with well established principles of the United States Govemment.

In the circumstances, the United States Govemment has decided that it is prepared at this stage to take a fina! decision only as regards Italian Somaliland and the Southem portion of Eritreé. As regards Northem Eritrea and Tripolitania, the United States is reluctant to take a definite position owing to the more complex factors involved, but has concluded that a decision should be postponed to permit further study by the appropriate United Nations Body. Pending results of this further study, the United States would not wish to preclude any settlement which may find generai support. Regarding Cyrenaica, the United States feels it is bound to respect the British Govemment's pledge to the Senussi, and to support the British Govemment in giving effect to this promise. This Govemment feels confident that the Italian Govemment will understand the United States' position in this matter.

As regards Southem Eritrea, the United States will support cession to Ethiopia, and feels equally confident that this solution will meet with the approvai of the Italian Govemment. For Italian Somaliland, the United States will support Italian trusteeship, feeling in the light of the present situation there that retum of Italian administration can be achieved without overriding difficulty or opposition, and that such retum will afford the Italian Govemment opportunity to demonstrate to world opinion its willingness and capacity to bring about progress and development for mutuai benefit of native and of Italian peoples. Furthermore, the United States will urge that the former Italian residents of Northem Eritrea and Tripolitania be allowed to retum to their homes during the period of postponement of disposition of these areas. It is

-Vedi DD. 243 e 283.

6 Una nota presente nel testo avverte: « M. Byington non è in grado di precisare a quale regione si riferisca l'espressione "Southern portion of Eritrea", ma tutti i precedenti fanno ritenere che si tratti dello sbocco ad Assab».

recognized that otherwise postponement will work further hardship on these people, who have thus far been unable to plan for the future, and that it is only equitable and just that they be allowed to retum to the settlement upon which they have exploited their labor and resources.

The President of the Council of Ministers is assured that the United States Govemment will continue to give the most careful and sympathetic consideration to Italian views in this matter, faithful to the policy of friendly collaboration between the American and Italian peoples which we have consistently pursued in this post war era.

329 1 Il documento reca la seguente annotazione: «Dato a Byington, 20 agosto 1948».

329 4 Questo documento riproduce le istruzioni trasmesse da Marshall il 13 agosto, edite in Foreign Relati~ns o{the United States. 1948, vol. III, cit., pp. 940-941.

330

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MOSCA, PARIGI E WASHINGTON

TELESPR. SEGRETO 3/783. Roma, 19 agosto 1948.

Il 14 corrente l'incaricato d'affari americano ha qui rimesso un memorandum confidenziale, in cui, richiamandosi alle varie comunicazioni fatte dal presidente del Consiglio e da me sul problema delle antiche colonie italiane, era riassunto il punto di vista adottato dal Dipartimento di Stato su tale problema. In data odierna ho consegnato allo stesso incaricato d'affari la risposta del presidente del Consiglio e mia. Unisco copia dei due documenti 1•

A voce ho sottolineato che, per quanto riguardava la Tripolitania e l'Eritrea settentrionale, confidavamo che l'ulteriore studio di tale problema avrebbe indotto il Governo americano -alla luce anche dei risultati che nel frattempo saranno stati dati dall'amministrazione fiduciaria italiana in Somalia -a riconoscere il fondamento delle nostre richieste relative ai due territori suddetti.

Ho poi aggiunto che intanto ritenevo poter fare appello alle dichiarate amichevoli disposizioni del Governo americano affinchè il suo rappresentante alla Conferenza di Londra suggerisse che, nel deferire all'Assemblea generale dell'O.N.U. la decisione circa la sorte delle antiche colonie italiane -sia che tale decisione debba essere circoscritta ad alcune soltanto di esse, sia che le riguardi tutte -la conferenza stessa:

-esprimesse un apprezzamento favorevole per l'opera svolta dall'Italia durante la sua passata amministrazione nei territori di cui trattasi, opera che è stata più volte unanimamente riconosciuta anche nei tre rapporti della Commissione quadripartita d'inchiesta;

-invitasse per quanto riguarda l'Eritrea, i Governi italiano ed etiopico a cercare di esaminare direttamente tra loro tale questione allo scopo di trovare una soluzione da sottoporsi di comune accordo all'O.N.U.;

-nell'eventualità inoltre che i quattro ministri degli esteri risultassero in massima d'accordo nel raccomandare per uno o più dei territori di cui trattasi il trusteeship italiano, senza tuttavia che tale accordo potesse concretarsi in una decisione a causa di una pregiudiziale di procedura, facesse esplicita menzione della raccomandazione unanime dei quattro ministri.

Ho infine assicurato che erano state già prese disposizioni2 per adottare i suggerimenti fatti pervenire dal Dipartimento di Stato a mezzo del nostro incaricato d'affari a Washington circa:

l) il riavvicinamento con gli esponenti della «Lega della gioventù somala» in modo da evitare il pericolo di movimenti di resistenza da parte di elementi estremisti contrari ad un'amministrazione italiana;

2) la concessione di un'amnistia generale anche per reati politici commessi in Somalia durante la guerra e durante il periodo dell'amministrazione britannica;

3) l'adeguamento alla nuova situazione dei criteri di amministrazione della Somalia in modo da eliminare ogni residuo della vecchia mentalità e dei vecchi sistemi «colonialisti».

Quanto precede potrà servire di traccia alla E.V. per fare analoghe comunicazioni a codesto Governo.

330 1 Vedi D. 329.

331

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 992/14717/3001. Parigi, 19 agosto 19481•

Mi riferisco al suo dispaccio n. 02168/c. del l O c.m.2• l) Ringrazio V. E. per quanto mi promette di fare per la nomina di un secondo consigliere commerciale per occuparsi particolarmente dell'Unione.

2) Sono stato molto interessato di quanto V.E. mi dice circa l'abbandono della costruzione del progettato nuovo stabilimento siderurgico di Marghera in quanto mi sembra possa essere interpretato come una accettazione, in principio, da parte delle nostre autorità, de li'intesa siderurgica con la Francia.

Quanto alle intese raggiunte dalla Finsider con i signori Aaron e Bureau, tengo a far rilevare che se esse confermano quanto ho già avuto occasione più volte di riferire che, in linea di massima, un accordo fra le due siderurgie non dovrebbe essere impossibile senza che questo significhi la fine della nostra siderurgia, sarebbe però prematuro chiamarle già intese, «sia pure solamente verbali»: si tratta appena di primi approcci, molto a low leve!, almeno da parte francese. Ho avuto, successivamente a questi contatti, degli ulteriori approcci da parte francese, di cui ho informato

2 Vedi D. 303.

490 il comm. Santoro, approcci che avranno il loro seguito e su cui riferirò; intanto avverto che i francesi sono ancora allo stadio di informarci sulle persone che avevano parlato con loro.

Siamo dunque assai lontani -anche se secondo me le possibilità di intesa permangono -dallo stadio avanzato che il dispaccio in questione farebbe supporre.

Tengo comunque a ripetere che questa intesa è elemento sine qua non dell'Unione doganale: è solo dopo che sia stata raggiunta questa intesa che si potrà dire, almeno per quello che concerne la Francia, se si potrà effettivamente arrivare ali 'Unione doganale, e se sarà possibile accelerare i tempi.

Vorrei anche osservare -a meno che abbia male interpretata la formulazione del dispaccio di cui sopra -che, da parte nostra, mi sembra si consideri questo incontro siderurgico come qualche cosa a coté della riunione di settembre della commissione mista. In realtà è la riunione dei siderurgici, ammesso che essa possa aver luogo ad un livello decisivo -il che è ancora dubbio -che è importante, non la riunione della commissione. L'intesa dei siderurgici è l'arrosto, la commissione il fumo.

3) Per quanto riguarda l'atteggiamento del Patronat francese, non posso che confermare quanto ho detto nel mio rapporto n. 941/13989/28663 . Tengo anzi a precisare che è appunto dopo la conversazione avuta da alcuni membri della nostra delegazione col signor Villiers e che allegedly avrebbe chiarito tutto, che le preoccupazioni del Patronat francese hanno preso forma più concreta.

È chiaro che quando si parla di intese dirette fra gli interessati, non ho mai voluto intendere intese fra tutti gli interessati, evidentemente impossibili ed inutili, ma di intese fra i principali interessati, fra quei gruppi cioè che, almeno in Francia, hanno un'importanza risolutiva sulle decisioni del Governo. Gli agricoltori francesi dispongono in Parlamento di una diecina di deputati: i comunisti nella loro lotta accanita contro l'Unione doganale -elemento questo di cui dovremo tener conto anche per l'Italia -prenderanno le loro difese, ma non sono questi che hanno voce decisiva.

In sé non potrei che condividere il parere delle maggiori personalità italiane, che cioè un'unione non si raggiunge se non attraverso un atto di imperio. Ne prendo comunque atto con piacere in quanto ciò significa che il Governo italiano ritiene di avere l'autorità di potere imporre al paese questa sua volontà. È però mio dovere di far presente che questo parere, e questa volontà, sono soltanto il parere e la volontà di una delle due future parti contraenti, la parte italiana: bisogna vedere che cosa ne pensa l'altra. Ora può essere, anzi è probabile, che anche alcune alte autorità francesi (per esempio Reynaud) pensino la stessa cosa: quello che però è certo è che l'attuale traballante Governo francese, che si regge a mala pena sulle gambe, non è in grado di imporre questo atto di imperio, né al Parlamento né al paese. Qui siamo alla vigilia delle elezioni4 , e continueremo per parecchio tempo a essere in clima preelettorale: immaginarsi che in questa situazione ministri, deputati, partiti si prendano

331 3 Ved1 D. 274. 4 Si nferisce alle elezioni cantonali e senatoriali previste per ottobre.

491 la responsabilità di imporre delle decisioni non accette a chi dovrà dare dei fondi per le elezioni, è certo fare della wishful thinking. Il Parlamento francese, se non è sicuro dell'approvazione di chi lo paga, si prenderà a cuor leggero la responsabilità di sbarrare una nuova via all'Europa.

L'elemento più particolarmente politico potrà e dovrà giuocare anche lui in questa questione dell'accordo italo-francese: e giuocherà su linee e per considerazioni di cui tengo parola in altro mio rapporto in pari data5 : ma per quanto concerne la Francia, l'elemento politico non è che uno degli elementi e esso non avrà un peso decisivo se non si basa sull'appoggio di quegli interessi organizzati, i più importanti, che hanno in mano le leve di comando effettive della vita del paese.

Concludendo: vogliamo noi realmente arrivare all'Unione doganale colla Francia? Per quanto riguarda V.E. non ho dubbi che è proprio questo quello che vuole: ora se ci si vuole arrivare bisogna prendere la Francia quale essa è e non quale potrebbe fare comodo che essa fosse. Non voglio discutere, in sé, il parere degli organi responsabili italiani: per quel poco che posso dire ormai di conoscere la Francia debbo ripetere che se vogliamo arrivarci, bisogna battere le vie possibili, per sgradite che possano essere ai nostri pareri, alle nostre abitudini, ai nostri desideri, a certe nostre orientazioni politiche. Se ho dato dei consigli, in un certo determinato senso, pur sapendo che essi andavano contro il pelo di molti, lo ho fatto soltanto perché anche io desidero, e molto vivamente, che a questa unione ci si arrivi. Se da parte italiana non si desidera tenerne conto io non ci posso fare niente: più che avvertire che in questa maniera non si fa ma si danneggia l'Unione doganale non posso fare 6 .

330 2 Vedi D. 326.

331 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

332

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 993/14718/3002. Parigi, 19 agosto 19481 .

V.E. avrà già ricevuto il rapporto n. 3451169 del 14 corrente del ministro CattanF.

Consultatomi anche con Cattani ho ritenuto più opportuno non interferire nelle conversazioni, limitandosi Cattani ad accennare a Hirsch che ero al corrente delle conversazioni, ed io ad un accenno «di esserne informato» ad Alphand.

Si tratta comunque di un elemento nuovo che si inserisce nel complesso negoziato per l'Unione doganale e che può avere importanti sviluppi.

6 Per la risposta vedi D. 364.

2 Non rinvenuto.

Come ho già detto, arrivare ad una Unione doganale è infinitamente più difficile che realizzare un semplice accordo politico; data la complessità degli interessi che si toccano, bisogna lavorare su vari piani, anche indipendentemente: nessuno, nè in Francia nè in Italia, nemmeno -vorrei dire tanto meno -l'ambasciatore a Parigi può sperare o pretendere di arrivarci da solo: bisogna lavorare per tutte le vie facendo convergere gli sforzi verso il fine comune.

Le avances del signor Hirsch sono interessanti per ovvie ragioni:

l) egli rappresenta, in certo modo, il commissariato del piano Monnet: un'organizzazione che in Francia ha un suo peso importante e complesso: è un piano apparentemente socialista ma fatto col concorso ed appoggiato dai grandi interessi industriali: fino a poco tempo addietro esso era contrario all'Unione doganale: ora sembrerebbe essere disposto a cambiare idea: sarà importante se lo farà poichè l'idea di Monnet è: o non se ne fa niente o lo si fa presto;

2) egli è stato ed è legato tuttora con i cantieri navali e la Marina mercantile francese: ossia con uno dei grandi gruppi organizzati, senza il cui appoggio l'Unione doganale non la si può fare;

3) egli è strettamente legato ai gruppi gaullisti, come lo sono gli elementi del Quai d'Orsay che hanno partecipato alle conversazioni.

I due primi punti suelencati portano elementi su cui ho più volte riferito. È invece sul punto 3 che mi permetto di attirare la sua attenzione poichè lo considero il più importante. Come VE. sa, continuo a ritenere l'avvento al potere di De Gaulle come inevitabile: ma questa potrebbe essere una opinione personale e anche sbagliata: comunque c'è oggi praticamente una sola maniera di impedire a De Gaulle di andare al potere: ed è quella di portargli via le idee che fanno la sua popolarità, ossia realizzare il suo programma senza di lui: è quindi opportuno tenere presenti queste idee.

Perché certi circoli francesi vogliono l'Unione doganale franco-italiana? (E aggiungo: sono i soli circoli politici francesi su cui potremo, ad un certo momento, contare per spingere i tempi ed arrivare a quello che noi chiamiamo «l'atto di imperio»). Essi ritengono che la crisi economica inglese, anche con il concorso del Commonwealth, sia insolubile, mentre invece non lo è il problema economico francese: ritengono possibile, ad un certo momento, far passare dall'Inghilterra alla Francia la leadership del continente europeo: ritengono che, ad un certo momento, probabihnente vicino, in primo luogo per necessità di difesa contro la Russia bisognerà affrontare, con idee differenti il problema della collaborazione con la Germania (l'opposizione al programma di Londra non è che demagogia ad uso interno) ma in modo che alla Germania non spetti, naturahnente, il primo posto. Per questo programma ambizioso, essi si rendono conto che la Francia, sola, è troppo piccola: per poterei riuscire bisogna annettersi l'Italia: Francia ed Italia insieme costituiscono un blocco di 90 milioni di abitanti, ossia una base demografica sufficiente per questa politica ambiziosa.

Ho adoperato la parola annettersi perché talvolta il paradosso rende più chiaramente l'idea; in realtà essi intendono che, una volta realizzata l'Unione doganale, l'Italia dovrà, in politica estera, seguire la leadership della Francia: si immaginano le futuri relazioni fra Francia e Italia un po' come quelle dell'Inghilterra con i suoi Dominions prima dell'ultima guerra. Per arrivare a questo risultato essi sono disposti a pagare un prezzo: e questo prezzo è appunto accollarsi, ossia aiutare a risolvere, i problemi economici italiani: l 'Italia nel suo complesso dovrà beneficiare della sua

unione, della sua immissione in un organismo economico più solido e più ricco, un pò come l'Italia meridionale ha beneficiato della sua unione con il Nord più ricco e più progredito.

Non so se e fino a che punto queste idee corrispondano alle sue: ho approfittato di questa occasione per esporgliele chiaramente perché non vorrei che, un giorno, mi si rimproverasse di non averlo detto. Ho citato le idee estreme, quelle di de Gaulle: perché rendono più chiaramente i concetti. Ma con differenze di nuance, sono le idee di tutta la destra francese. Ora la Francia sta andando rapidamente a destra -anche se l'espressione destra non significa più oggi esattamente quello che essa significava qualche anno addietro -, la Francia degli Herriot, dei Blum, dei Briand sta agonizzando: queste sono le idee dominanti ed esse si imporranno, sia che ad imporle sia de Gaulle, Reynaud o Flandin o qualche altro.

Questa politica chiama adesso al suo soccorso l'esperto: si tratta di vedere quello che questa politica costerà alla Francia. Ed è questo che Hirsch intende quando dice che bisogna comparare i piani quadriennali della Francia e dell'Italia. Il piano francese ci è stato esposto nelle sue linee generali: come tutti i piani è un pò ottimista, ma nel suo complesso, mostra una situazione seriamente rimediabile: ora i francesi vogliono vedere il piano nostro. Vogliono vedere, cifre alla mano, cosa noi possiamo e cosa intendiamo fare: vogliono vedere se e fino a che punto la situazione italiana è sanabile. In altre parole la Francia sa che annettendosi l'Italia, si annette un passivo, prima di decidersi se farlo o no, vuole vedere, un pò più da vicino, di che passivo si tratta: vuoi vedere se il costo dell'operazione non è troppo grave per lei, se esso non è sproporzionato ai vantaggi che essa se ne ripromette per lo svolgimento di una certa politica.

Mi riprometto, appena sarà passata l'attuale crisi di lavoro di vedere Reynaud e di sentire se egli sia ancora -come lo era qualche mese addietro quando non era al potere -non solo favorevole all'Unione doganale, ma soprattutto favorevole a forzarne i tempi. Lo stesso farò con le altre personalità importanti del Gabinetto che rappresentano le tendenze di avvenire. Mi riprometto di approfondire i sondaggi già fatti -con risultati favorevoli -con lo Stato Maggiore. Ma una decisione, su questo piano, non sarà possibile averla fino a che non abbia avuto luogo l'esposizione del nostro piano di ricostruzione ai francesi. Bisogna, quindi, mettersi in grado al più presto di procedere come richiesto da Hirsch, allo studio comparato dei due piani, con tutto quello che esso significa in realtà.

Soltanto quando sapremo se i francesi trovano il prezzo accettabile, si potrà, concretamente, parlare di forzare i tempi de li'unione, di arrivare ali' «atto di imperio». È inutile che dica che tutto questo non sostituisce quello che ho detto nel mio rapporto n. 941/13989/2866 del 2 corr.3 e ripetuto col mio rapporto n. 992/14717/ 3001 4 in data odierna: sono due piani di lavoro paralleli e complementari non alternativi.

Ma il giorno in cui la situazione, anche sul piano politico interno francese, sarà matura per arrivare alla decisione, ed alla decisione sollecita, mi permetto di

4 Vedi D. 331.

dirlo fin d'ora, il problema si sposterà dal piano economico al piano politico e militare. I francesi non amano l'empirismo britannico, vogliono le cose ben precise, fissate giuridicamente: per cui a quel momento, bisognerà definire la carta della convivenza itala-francese: bisognerà forse parlare di Ministeri comuni, certo parlare di coordinamento della direzione economica, di coordinamento delle due banche di emissione, della politicia estera dei due paesi, di coordinamento militare, navale, areonautico, avendo ben chiaro che i francesi non dubitano che in questo coordinamento l'organismo più ricco, più solido, più preparato (ossia la Francia) deve avere la prima voce in capitolo. Una volta precisato tutto questo, allora si potrà marciare.

Al punto in cui siamo, sono contento che V.E. sia d'accordo con me nell'opportunità di lasciare ai francesi l'iniziativa. È però necessario prevedere, sin da oggi, in caso affemativo, dove ci porterà l 'iniziativa francese, per essere preparati.

E siccome è più che probabile, al punto a cui sono le cose, che in questi contatti che mi propongo di avere, alcuni almeno di questi soggetti saranno certamenti sfiorati, mi sarebbe necessario conoscere qual'è il pensiero di VE. e del Governo italiano su questi sviluppi, per me certi, senza dubbio probabili, dell'Unione doganale5 .

331 5 Vedi D. 332.

332 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

332 3 Vedi D. 274.

333

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 996/14950/3036. Parigi, 19 agosto 1948 1•

Riferimento: miei telespressi n. 930/13639/2826 del 30 luglio u.s. e n. 944/ 13992/2869 del 3 corrente2 .

Il Consiglio dei ministri ha ieri approvato e fatto suo il progetto di costituzione di una Assemblea europea preparato dal «Comitato Internazionale per l'unità europea» presieduto dall'ex presidente del Consiglio ed attuale ministro di Stato Pau! Ramadier (socialista).

Il progetto si presenta sotto forma di Memorandum, i cui punti principali sono i seguenti:

L'Assemblea dovrà nella sua forma finale riunire i rappresentanti di tutte le nazioni europee; tuttavia -dato che un certo numero di paesi non potrebbe probabilmente esservi rappresentato nel momento attuale -verrà fatto appello soltanto, ali 'inizio, ai «Diciannove».

2 Non pubblicati.

L'Assemblea non avrà alcun potere legislativo e esecutivo sino a quando le nazioni partecipanti non avranno deciso di conferirle un certo numero di diritti di sovranità.

Per ragioni di semplificazione amministrativa viene suggerito che i cinque firmatari del Patto di Bruxelles assumano la responsabilità della sua convocazione ed organizzazione.

Una Conferenza preparatoria, che riunirà le delegazioni delle cinque Potenze nominate nell'ambito o fuori dei Parlamenti rispettivi, sottoporrà ai Governi dei «cinque», tutte le raccomandazioni relative alla progettata Assemblea.

La Conferenza comprenderà il seguente numero di delegati: Benelux 25 (Olanda 11, Belgio 11, Lussemburgo 3) ~Francia 25 ~Gran Bretagna 25. Essa si riunirà al più tardi nel mese di novembre 1948 a Bruxelles.

Il Memorandum è stato inviato, per lo studio, dal Governo francese a1 Governi del Patto di Bruxelles, e per informazione, ai paesi partecipanti al piano Marshall.

Tale inattesa iniziativa del Governo francese sembra doversi attribuire al desiderio di calmare in certo qual modo le inquietudini di Londra nei confronti della comune volontà di alcune potenze continentali di arrivare ad una Unione che facendo perno sulla Francia, potrebbe sfuggire al controllo della Gran Bretagna, ancora incerta come è tra Europa e Commonwealth.

Devolvendo la preparazione di questo nuovo organismo internazionale alle potenze del Patto a cinque, il Gabinetto André Marie ha attenuato l'idea di Bidault (la stessa del resto de Gaulle) di fare di Parigi il centro motore degli Stati Uniti d'Europa, spostandolo a Bruxelles e quindi ponendolo più a contatto col mondo britannico. Non è detto tuttavia che Londra modifichi il suo atteggiamento riservato, per non dire ostile, ribadito da Bevin stesso nel giugno scorso all' Aja in occasione dell'ultmo incontro dei ministri degli esteri dei «Cinque», quando Bidault rappresentò e sostenne l 'urgenza della creazione degli Stati Uniti d'Europa.

L'iniziativa del Governo francese ha scavalcato quella analoga approvata recetemente dalla Commissione parlamentare degli affari esteri. La mozione da questa adottata avrebbe dovuto venire iscritta nell'ordine del giorno ed approvata dalla Assemblea al rientro dalle vacanze. Essa non conteneva alcun riferimento al Patto occidentale e, come ho avuto occasione di riferire, secondo Bonnefous, suo principale sostenitore, avrebbe dovuto costituire un invito al Governo francese di arrivare alla creazione degli Stati Uniti d'Europa con qualunque Stato; evidente la sua punta anti -britannica.

Il nuovo Gabinetto André Marie, di cui ho già segnalato il maggior orientamento filo-britannico in confronto al precedente, ha pris les devants ed ha collegato l'idea degli Stati Uniti d'Europa all'O.E.C.E., e, sopratutto, al Patto occidentale diluendo il concetto d'unità con una negazione di potere centrale che ne ha svuotato praticamente il contenuto.

332 5 Per la risposta vedi D. 364.

333 1 Copia priva della indicazione della data di arrivo.

334

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, FERRETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4019/804. Varsavia, 19 agosto 1948 (per. il 23).

Riferimento: mio telegramma n. 70 del 3 agosto u.s. 1 .

Ben poco è trapelato, anche nei circoli diplomatici e giornalistici solitamente ben informati, sull'incontro fra l'on. Nenni e questo presidente del Consiglio Cyrankiewicz. Quanto i morituri socialisti polacchi potevano dire all'ex presidente del Partito socialista italiano non era certo cosa nuova né per costui, né per gli osservatori stranieri. Sulla posizione del «socialismo di sinistra» fatalmente sboccante nella fusione coi comunisti l'on. Nenni è forse da ancor più tempo che i suoi correligionari polacchi e i risultati del congresso di Genova non possono che averlo confermato su di essa, oltre tutto per motivi d'indole personale. Quanto alla situazione polacca le uniche nuove informazioni che l'on. Nenni avrà potuto raccogliere riguardano il passaggio a una nuova fase economica, caratterizzata dalla lotta contro i residui elementi capitalistici e dalla collettivizzazione dell'agricoltura, nonché il lieve ritardo alla fusione dei due partiti operai: a proposito della quale si dice nei circoli socialistici polacchi che i comunisti non dimostrano ora nessuna particolare fretta. Eventuali indiscrezioni (che certo questa ambasciata avrebbe tentato di raccogliere se l'on. Nenni fosse venuto a Varsavia) gli saranno state probabilmente fatte da Cyrankiewicz circa la questione Gomulka.

Ma evidentemente, quando l'on. Nenni ha affermato al ministro a Praga (rapporto di quella legazione n. 1517/934 del 13 agosto)1 che i partiti comunisti non gradiscono le fusioni con i socialisti, ha detto cosa che sapeva benissimo, e se non altro per il ricordo personale delle pressioni su di lui esercitate dall'on. Togliatti fin dal 1946, essere inesatta. I comunisti gradiscono e vogliono un partito unico della classe operaia (in Polonia la richiesta in tal senso è stata fatta nella primavera del 194 7 e ribadita senza mezzi termini da Gomulka stesso al congresso socialista del dicembre scorso): il che non vuoi dire naturalmente che essi gradiscano e vogliano tutti coloro che militavano nel partito socialista. Gelosi come sono dell'unità ideologica del loro partito, così da colpire le minime eresie con un'intransigenza reminiscente dell'Inquisizione medioevale, ci si può immaginare se essi considerino con piacere la prospettiva di dover lavorare con gente di formazione ideologica e tradizione politica sostanzialmente diversa, anzi addirittura con gente che essi hanno sempre accusato (e non a torto) di essere estremamente ondeggiante e traballante in fatto di ideologia. È per questo che ogni fusione è preceduta da una prima epurazione in seno al partito socialista soccombente, nel corso della quale

vengono espulse le scorie più evidenti; e seguita da un'altra epurazione entro il partito unico, nel corso della quale coloro che si sono mostrati più refrattari alla rieducazione marxista-leninista vengono messi da parte o comunque in posizione in cui non possono nuocere.

È esatto invece quanto l'on. Nenni ha riferito al ministro Tacoli essergli stato confidato da Cyrankiewicz: e cioè che questi, ben sapendo di dover essere un giorno

o l'altro divorato dai comunisti, ha preferito scegliere la salsa in cui essere cucinato. Dal P.P.S. stavano infatti allontanandosi, e per lo stesso ordine di considerazioni, non gli elementi più attivi, ma quelli più carrieristi che preferivano arrivare al partito unico come portatori di una tessera P.P.R. Tra questi distacchi e l'epurazione, il numero dei soci del P.P.S. è sceso da 700 mila a 600 mila; mentre quello dei comunisti è salito a 900 mila. È sembrato preferibile a Cyrankiewicz trattare la fusione (e la relativa distribuzione di posti e cariche) prima che il vecchio partito socialista polacco si dissolvesse del tutto.

334 1 Non pubblicato.

335

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 11158/416. Londra, 20 agosto 1948, ore 21,30 (per. ore 8 del 21).

Nell'eventualità di una mia partenza in congedo ho ritenuto opportuno avere stamane lungo colloquio con Bevin prima che circostanze permettendo egli stesso si assenti da Londra per breve periodo di riposo.

Secondo più recenti direttive di V.E. ho passato in rassegna stato attuale dei rapporti italo-britannici circa i quali mi riprometto riferire di persona.

Poichè nonostante assoluto riserbo qui mantenuto avevo buone ragioni dubitare che a Lancaster House atteggiamento britannico si stesse sviluppando in senso non rassicurante anche per quanto riguarda Somalia, credetti bene esprimere a Bevin con la maggiore chiarezza gravità della situazione che sarebbe derivata se su quel poco in cui altre tre potenze sembravano concordare, la sola Gran Bretagna si fosse mostrata dissenziente. Gli feci anche comprendere importanza che avrebbe avuto di fronte opinione pubblica italiana accompagnare eventuale annuncio decisioni sia pure parziali circa ex colonie con concreta conferma delle assicurazioni a suo tempo date a V.E. e a me per partecipazione italiana a progetti europei collettivi per sviluppo Africa 1•

335 1 Per la risposta vedi D. 338.

336

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11161/83. New York, 20 agosto 1948, ore 17,28 (per. ore 8,15 del 21).

Seguito al telegramma 82 1•

Con votazione odierna su risoluzioni Jugoslavia e Ucraina conclusosi dibattito questione Trieste. Accuse jugoslave infatti erano passate in questi due ultimi giorni in seconda linea mentre questione governatore proposta tripartito divenuta centro intera discussione.

Tesi inglese non richiedere rapporto jugoslavo (vedi mio 68) 2 finito col prevalere; mi è stato spiegato prevedersi a Parigi nuove forti pressioni sovietiche per nomina governatore essendo questione tuttora all'ordine del giorno Consiglio; allora forse potrà far buon gioco avanzare richiesta rapporto basandola su ampia documentazione violazioni jugoslave che non si è potuta utilmente sfruttare oggi mancanza di tempo (Consiglio chiude sessione).

Parodi dopo giorni di silenzio fatto brevi dichiarazioni e parte relativa proposta tripartita telegrafata testualmente in chiaro. Sforzi sovietici approfittare occasione per portare ribalta nomina governatore falliti di fronte indifferenza Consiglio stanco e convinto dell'ostruzionismo russo. Delegato jugoslavo è stato trascinato da intransigente atteggiamento sovietico ad intensificare, con evidente crescendo, violenza suoi discorsi.

Da intero dibattito è apparso chiaro che discussione ormai esulava da interessi locali (vedi proposta sino-siriana sbarazzarsi questione deferendola a Corte permanente di giustizia internazionale dell' Aja) per inquadrarsi più che mai nell'intero problema equilibrio politico-militare russo anglo-sassone.

337

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE ACCREDITATE PRESSO I GOVERNI MEMBRI DELL'O.N.U.

TELESPR SEGRETO 3/795. Roma, 20 agosto 1948.

Come all'E.V. (S.V.) è noto, il 15 settembre p.v. scade il termine entro cui, in base a quanto disposto dall'art. 23 e dall'Annesso XI del trattato di pace, i ministri

2 Del 5 agosto, non pubblicato.

degli esteri delle quattro grandi potenze dovrebbero decidere sulla sorte delle antiche colonie italiane. Date le divergenze esistenti tra i punti di vista dei rispettivi Governi, sembra ormai impossibile che i quattro possano giungere ad un accordo su tutti i territori in questione. Nella migliore delle ipotesi pertanto essi potranno prendere una decisione solo per alcuni di tali territori, rimandando invece la sorte degli altri all'Assemblea generale dell'O.N.U. La «raccomandazione» di quest'ultima, votata con almeno una maggioranza di due terzi, avrà valore determinante.

La prossima assemblea generale dell'O.N.U. dovrebbe avere inizio a Parigi alla metà di settembre e la questione delle antiche colonie italiane potrebbe, a rigore di termini, esserle deferita ed esservi trattata: è però probabile -e sembra che sia a Washington che a Londra ci si vada orientando in tal senso -che la prossima assemblea abborderà la questione soltanto in via preliminare per rimandarne la decisione definitiva all'assemblea del 1949.

Anche però in quest'ultimo caso potrà riuscire molto utile alla nostra tesi avere fin d'ora un favorevole orientamento da parte della maggioranza delle varie delegazioni alle Nazioni Unite. Conviene quindi che codesta rappresentanza svolga senz'altro, nel modo che riterrà più opportuno, i passi del caso presso codesto Governo onde ottenere che la sua delegazione riceva istruzioni di prendere ufficialmente posizione in favore dell'assegnazione all'Italia dell'amministrazione fiduciaria di tutte le sue colonie pre-fasciste la cui sorte verrà deferita all'O.N.U.

Vi sono tuttavia Governi che, o per insuperabili pregiudiziali «anticolonialiste»

o per l 'impossibilità in cui si trovano di sottrarsi alle pressioni esercitate dalle potenze che hanno interessi contrari ai nostri, non sono in grado di adottare un simile aperto atteggiamento; in questo caso occorre cercare almeno di ottenere da essi l'assicurazione che le rispettive delegazioni non si schiereranno contro una decisione a noi favorevole.

Per quanto rigurda infine i paesi aderenti alla Lega araba ed alcuni altri paesi abitati da popolazioni affini per religione o per razza, è evidente che non possiamo sperare che rinuncino a sostenere la tesi della indipendenza della Libia; da costoro occorre quindi cercare di ottenere un appoggio soltanto per le colonie dell'Africa orientale e, per quanto riguarda la Libia, svolgere con essi le seguenti considerazioni: essere possibile, anzi molto probabile, che l'Assemblea generale dell'O.N.U., ispirandosi anche alle risultanze dell'inchiesta condotta dalla commissione quadripartita, non ritenga che tali territori siano ancora maturi per una piena indipendenza politica; in tal caso, non sarà possibile evitare una decisione che ponga la Libia per un limitato numero di anni sotto l'amministrazione fiduciaria di una qualche potenza; scartata allora l 'ipotesi di un 'amministrazione collettiva -perchè politicamente e tecnicamente inattuabile -tra le varie potenze cui potrebbe essere affidato tale incarico, l 'Italia è la più qualificata, sia per la sua esperienza dei luoghi e delle genti, sia per l'opera da essa compiuta nei precedenti decenni, sia per i legami d'ogni genere esistenti tra italiani e libici, sia per il fatto stesso che questi territori continuano necessariamente a gravitare economicamente verso l'Italia.

E nel caso che tale amm1mstrazione fiduciaria venisse affidata ali 'Italia questa è disposta ad assumere precisi impegni -e la E.V. (S.V.) può dare formali assicurazioni al riguardo -che tale amministrazione sarà attuata su un piano di strettissima collaborazione pacifica con le popolazioni native e che, scevra da qualsiasi mira imperialistica, essa mirerà sopratutto a portare il paese entro il più breve tempo possibile a quel grado di maturità politica, economica e sociale considerato come un presupposto necessario per ottenere il riconoscimento della indipendenza.

Prego telegrafarmi i risultati dei passi fatti.

336 1 Del 19 agosto: con esso Mascia aveva comunicato che il Consiglio di sicurezza aveva respinto la risoluz10ne jugoslava e la mozione dell'Ucraina per la nomina del governatore di Trieste. Per i precedenti della questione vedi DD. 252, 281 e 322.

338

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 9600/337. Roma, 21 agosto 1948, ore 20,30

Suo 416 1 . Nell'ipotesi che consenso britannico sia dubbioso perfino per Somalia V.E. ha fatto benissimo a parlare chiaramente a Bevin. Poichè da suo telegramma rilevo che egli non ha replicato prego rivelare subito confidenzialmente a Sargent:

l) che proprio ieri io ripetevo ai miei principali collaboratori che se trovavo prezioso anche il solo immediato mandato Somalia era perchè mediante la scelta di un commissario circa cui nome volevo mettermi d'accordo con Mallet e mediante le istruzioni fermissime che avevo già mandato attraverso ManzinF agli italiani di Mogadiscio ero convinto che avremmo mostrato coi fatti quanto facile era creare una collaborazione anglo-italiana in Africa.

2) che là e ovunque De Gasperi ed io avevamo da tempo deciso usar solo uomini nuovi tanto che il vecchio Ministero dell'Africa italiana stava per scomparire;

3) infine che noi ben sappiamo quel che nella loro leggerezza ignorarono i fascisti: che l'Italia non può stare in nessun punto dell'Africa senza perfetto accordo con l 'Inghilterra e la Francia.

Questo accordo è per noi una necessità assoluta: lo desideriamo anche per i suoi riflessi in Europa; ma se gli inglesi spingono all'assurdo le loro diffidenze strategiche essi stessi creeranno quei dolorosi imponderabili che il presidente del Consiglio ed io abbiamo tanto lavorato per eliminare.

338 1 Vedi D. 335. 2 Vedi D. 326.

Quanto le dico qui era in sintesi già espresso in un messaggio mandato a Washington3 di cui ella riceverà testo posdomani col corriere di gabinetto4 .

339

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 11214-11208/679-680. Washington, 21 agosto 1948, ore 2,31 (per. ore 19).

Miei 608, 611 e 642 1• Avuto oggi [20] Dipartimento seguenti informazioni confidenziali su trattative Mosca:

l) intimi colloqui 12 e 16 corrente con Molotov. Alleati avevano insistito categoricamente sblocco Berlino come condizione necessaria convocazione C.F.M., unico organo competente questioni tedesche che U.R.S.S. volesse esaminare. Anche compilazione ordine del giorno C.F.M. era stata subordinata fissazione nuovo convegno ministri esteri.

2) Molotov aveva persistito in consueta tattica battendo inutilmente su stessi punti specie per rinvio applicazione accordi Londra.

3) Tuttavia qualche progresso era stato raggiunto in questioni relative regime valutario Berlino e quindi sblocco, pur non potendosi affermare che relativi punti di vista siano già del tutto riavvicinati.

4) Dopo colloquio 16, i tre avevano avuto qualche difficoltà concordare posizione unica riguardo proposta da presentare a russi per suindicata questione monetaria. Solo ieri notte Dipartimento era stato in grado telegrafare Foreign Office (presso il quale funziona Comitato coordinamento tripartito per Germania) proponendo tre diverse soluzioni qui accettabili circa dettagli regolamentazione valuta berlinese. Londra avrebbe scelto ed inviato relative istruzioni a Mosca dopo di che i tre avrebbero chiesto nuove udienze sia con Molotov che con Stalin.

Interlocutore ha confidenzialmente ammesso che non si era qui affatto sicuri raggiungere accordo in suindicate udienze. Dovuta considerarsi eventualità interruzione o anche rottura trattative. Ma era forse più probabile russi tirassero in lungo nella speranza avvalersi in prosiego pressione fattore tempo (nei due significati del termine) su blocco Berlino.

Interlocutore ha affermato che contrariamente voci non solo inglesi ma anche francesi (Schuman lo avrebbe confermato a Caffery) sarebbero del tutto solidali con americani riguardo impossibilità appeasement in tutte questioni essenziali.

A tale proposito gli ho ricordato opinione manifestata da VE. ad incaricato affari americano (dispaccio 1208 teste pervenutomi)2 .

4 Per la risposta vedi DD. 348 e 356.

2 Vedi D. 284, nota l.

Egli mi ha espresso vivo apprezzamento Dipartimento per uso illuminato giudizio che era condiviso da Governo americano. Informazioni qui giunte confermavano anche pienamente valutazione VE. circa condizioni dei comunisti in Italia e Francia.

Infine interlocutore ha spontaneamente espresso convinzione che sviluppo eventi in Germania e tono conversazioni Mosca davano serio motivo ritenere che

U.R.S.S. non desiderasse attualmente conflitto; come si era qui invece temuto metà scorso marzo ed in qualche altra occasione.

338 3 Vedi D. 329.

339 1 Vedi DD. 282 e 309.

340

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 11638/0123. Washington, 21 agosto 1948 (per. il 31).

Riferimento miei telegrammi del 7 corrente 1• A quanto confermato dal Dipartimento le istruzioni moderatrici di cui ai telegrammi in riferimento, vennero effettivamente inviate a codesta ambasciata americana: i rappresentanti americani ricevettero pertanto la raccomandazione di non associarsi a passi collettivi troppo drastici e di dimostrare simpatia per le esigenze Governo italiano. Nelle istruzioni non vennero inclusi accenni ad opportunità subordinare relativi passi ai risultati di trattative in corso tra Roma e Mosca, il Dipartimento avendo considerato informazioni fomite in proposito costì ad ambasciata Stati Uniti come strettamente confidenziali. Istruzioni di cui sopra si sono incrociate con comunicazione di codesta rappresentanza americana concernente aumentate pressioni di codesti delegati russi perché un nuovo energico passo presso Governo circa consegna noto naviglio venisse questa volta effettuato da quattro ambasciatori. Questa ambasciata non ha mancato di insistere su tutte le argomentazioni che sconsigliavano, a parere nostro, ogni associazione americana alle segnalate insistenze russe. Interlocutori americani hanno ripetuto come, a lungo andare, sarebbe riuscito impossibile ai rappresentanti delle potenze occidentali di rifiutare loro concorso per le unità assegnate alla Russia dal trattato di pace. Tanto più che il Governo sovietico si sarebbe dichiarato pronto ad effettuare la restituzione delle unità americane ed inglesi a suo tempo cedute in prestito: ed in particolare verrebbe restituito agli americani l'incrociatore «Milwaukee» non appena venisse consegnato il nostro

«Duca d'Aosta», e la corazzata ceduta dagli inglesi ad avvenuta consegna della «Giulio Cesare».

Comunque, in seguito a nostre insistenze sono state preparate nuove istruzioni per il rappresentante americano nella Commissione navale, che si sperava fare approvare dal Segretario di Stato.

Predette istruzioni, oltre confermare opportunità che rappresentanti americani evitino associarsi passi troppo energici, suggeriscono di consigliare al Governo italiano di informare la Commissione navale dello scambio note con Russia: di modo che rappresentanti occidentali vengano messi in grado di prospettare a delegato sovietico necessità attendere risposta russa a nota italiana prima di procedere ulteriori passi.

Confermo peraltro considerazioni mio telegramma 624 1 •

340 1 Di Stefano aveva comunicato le notizie, qui confermate, con il T. s.n.d. 10622/623 dell'8 agosto, alle quali aveva aggiunto (T. s.n.d. l 0625/624, pari data) le seguenti osservazioni: «Non dubito affatto buona fede interlocutore. Non sarebbe però da escludere che qualcuna o tutte potenze occidentali, oltre rispettivo interesse o per esecuzione trattato o per restituzione naviglio /end lease, tenda a suscitare adeguate reazioni nostra opinione pubblica per intransigenza russa, che esse largamente pubblicizzerebbero. Dipartimento è certo sensibile considerazioni del genere».

341

L'ESPERTO DELLA COMMISSIONE CONFINI, GUILLET, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Roma, 21 agosto 1948.

Ieri sera mi sono incontrato con il Sayed Ali Mohammed el Gebeli inviato dall'Imam Nasred-din re dello Yemen in Italia. Egli è qui da qualche tempo ed è già in contatto con il nostro Ministero; ha visitato i più importanti centri industriali italiani accompagnato dal comm. Selim Cattan dell'Ufficio I Direzione generale affari politici. Egli ha già fissato una notevole quantità di prodotti italiani per conto del Governo yemenita.

Ali Gebeli che avevo già avuto occasione di conoscere durante la mia permanenza in Arabia, è ora l'esperto finanziario del suo sovrano ed è Stato qui inviato allo scopo di allacciare una larga rete di scambi commerciali con l 'Italia. L'Imam Nasred-din, egli mi ha detto, si è proposto di modemizzare il suo Stato, e pure avendo ricevuto diverse offerte da altri paesi preferirebbe possibilmente servirsi della collaborazione degli italiani per i quali come il defunto genitore ha grande simpatia e dai quali egli non teme le violenze politiche che invece potrebbero venirgli dalle altre potenze europee.

Il notabile yemenita è in trattative attualmente per acquistare una motonave, aeroplani, macchine agricole, complessi elettrogeni, e per tutti i ricambi, come per l'industrializzazione del paese vorrebbe fossero utilizzate maestranze e macchinari italiani. Comperata la motonave tutta la merce acquistata dovrebbe esservi caricata e direttamente inviata all'Hodeida evitando così di attraversare gli impedimenti fiscali di altri porti e di navi straniere; detta nave dovrebbe poi cominciare in tempo utile (metà settembre) il servizio di trasporto dei pellegrini per la Mecca.

Il Governo yernenita si servirebbe, ha ripetuto il Gebeli, di maestranze italiane, equipaggi e piloti di aeroplani italiani e pagherebbe in dollari a contratti avvenuti tutto quanto acquistato.

Le trattative dell'acquisto della motonave sarebbero già state concluse dall'interessato con la «Salpanavi» di Venezia che è emanazione per quanto riguarda i motori della Fiat, ma sono insorte a causa di malintesi sul tonnellaggio piccole divergenze sul prezzo, le quali non giustificherebbero il fallimento di relazioni economiche tanto immediate e promettenti.

Mi ha detto inoltre che ha avuto la massima assistenza dalla Direzione affari economici del Ministero esteri, il comm. Cattan lo ha accompagnato dovunque e data la sua conoscenza della lingua araba gli ha facilitato molto il viaggio. Egli ha fiducia che il nostro ministro vorrà ancora benevolmente interessarsi delle sue trattative con la Fiat per dirimere le ultime difficoltà nei riguardi dell'Italia.

Gli ho parlato della questione coloniale italiana ed egli mi ha esplicitamente detto che lo Yemen fa parte della Lega araba in modo del tutto platonico e che già l'Imam prima dell'arrivo ad Asmara della Commissione mista aveva mandato disposizioni ai 15mila yemeniti della comunità eritrea di pronunciarsi a favore dell'Italia. Data la politica indipendente che intende seguire lo Yemen, egli mi ha aggiunto, non sarebbe difficile ottenere dal Governo yemenita un atteggiamento favorevole all'O.N.U. nei riguardi dell'Italia, specie qualora fossero in corso delle attive correnti di collaborazione economica.

Ali Mohamed Gebeli è un uomo di aspetto leale, molto intelligente e capace. Egli appartiene a quel gruppo di yemeniti di idee avanzate e amanti del progresso del loro paese.

L'attuale è il primo tentativo serio e positivo fatto dal Governo del nuovo Imam per collegarsi con una nazione europea, questo tentativo potrebbe essere foriero di grande avvenire considerando che lo Yemen è un paese che fino ad ora non ha mai sfruttato le notevolissime risorse del suo territorio ove potrebbe esservi un grande e pacifico sfogo per il nostro commercio e per i lavoratori italiani.

342

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. STRETTAMENTE CONFIDENZIALE S.N 1 . Roma, 22 agosto 1948.

Ricevuta tua lettera 21 2 .

Comincio a ritenere che obbiezione Russia imporrà rinvio onde a maggior ragione si giustifica nostra rivendicazione di principio ed esitazione nel dichiararsi soddisfatti di proposti compromessi. Comunque il nostro atteggiamento si profila esatto: rivendicazione globale, accettazione graduata soluzione, a patto che gli altri territori non appaiano pregiudicati. Diciamo però fino da ora che riconosciamo alcune necessità strategiche in Cirenaica e altre riguardanti lo sbocco sul mare ad Assab e ammettiamo opportunità speciale statuto in Tripolitania per partecipazione araba.

Penso che il solo preannunzio perdita colonia primigenia Eritrea avrebbe disatroso effetto psicologico. Bisognerebbe almeno che in ipotesi questione venisse rinviata O.N.U. Ma se ragioni inglesi sono veramente strategiche, sarà possibile che i russi lascino passare? Interessante tuo colloquio con Scià3 . Spero avrai letto messaggio Dewey4 che ritengo salvo tua obbiezione pubblicabile. Inoltre vorrei profittare inviando a Dewey seguente telegramma: «Riservandomi di consegnare personalmente al vostro distinto collaboratore una più diffusa risposta al vostro gradito messaggio, mi affretto a ringraziarvi sentitamente per il vostro così cordiale saluto, ma sopratutto per il vostro caldo riconoscimento dello sforzo di ripresa compiuto dal popolo italiano. Questa così autorevole testimonianza ci conforta a temprare ancora più le nostre energie morali e sociali fino a che avremo assicurato al nostro popolo pane, lavoro e giustizia. Noi sappiamo che questa meta non è raggiungibile se non nel clima della libertà e della democrazia di cui gli Stati Uniti ci forniscono un esempio fortunato. Noi siamo grati ali' America per il suo appoggio morale ed economico. La generosità del vostro popolo ci fa sperare nell'avvenire e nella solidarietà delle nazioni.

Colgo questa occasione anche per ringraziarvi del vostro pubblico interessamento per il nostro problema coloniale5 . Voi sapete che la nuova Italia repubblicana non cerca avventure ma lavoro e cooperazione civile con popolazioni africane autonomamente organizzate. Anche nella nostra attività coloniale noi non deluderemo le speranze di coloro che confidano nel rapido cammino della civiltà sulla base della dignità personale e della libertà politica.

Col grato ricordo della vostra cortesia in occasione dei nostri incontri a New York vi ripeto, caro Dewey, l'espressione della mia sentita e riconoscente amicizia». Se questo testo non solleva obbiezioni pregoti autorizzare Bartolotta a tradurre e

spedire come telegramma a Dewey. Se nel frattempo sarà pubblicato messaggio Dewey potrà pubblicarsi anche mia risposta.

4 Il governatore dello Stato di New York, Thomas Dewey, aveva incaricato un suo collaboratore in visita a Roma di recapitare due messaggi diretti rispettivamente a De Gasperi ed a Sforza, entrambi editi in «Relazioni internazionali», a. XII (1948), n. 36, p. 594.

5 Il 18 agosto Dewey aveva rilasciato una dichiarazione favorevole alle tesi italiane sulle colonie, edita in «Relazioni internazionali», a. XII (1948), n. 35, p. 579.

342 1 Ed. in De Gasperi scrive. Corrispondenza con capi di Stato cardinali uomini politici giornalisti diplomatici. a cura di M.R. DE GASPERI, Brescia, Morcelliana, 1974, vol. II, pp. 108-109. 2 Non rinvenuta.

342 3 Non è stato rinvenuto il verbale di tale colloquio.

343

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11257/277. Mosca, 23 agosto 1948, ore 13,39 (per. ore 16,30).

On. La Malfa comunica quanto segue: «Giorni scorsi abbiamo avuto primi contatti delegazione sovietica presieduta da ministro del commercio estero Mikoyan. In seduta plenaria ho tracciato a grandi linee nostro programma1 , superando alcune difficoltà iniziali procedura. Nostre liste scambi sono già all'esame delegazione sovietica, che prossimi giorni farà conoscere al riguardo suo punto di vista.

Sottocommissione per trattato di commercio ha iniziato discussione su progetto italiano e su progetto sovietico, che, basato su incondizionata clausola nazione più favorita riproduce quasi alla lettera analogo trattato russo-danese e non si discosta molto da recentissimo trattato russo-svizzero. Ad ogni modo sembra esclusa richiesta sovietica per clausola amicizia o simile.

Come era previsto, prime serie discrepanze fra due delegazioni delineatesi circa riparazioni, per le quali abbiamo posto nota pregiudiziale priorità beni Ungheria, Romania, Bulgaria, mentre sovietici considerano priorità produzione corrente.

Comunque trattative si svolgono fino ad ora in atmosfera cordiale».

ALLEGATO

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE COMMERCIALE, LA MALFA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

VERBALE. Mosca. 18 agosto 1948.

TRATTATIVE COMMERCIALI ITALO-SOVIETICHE

Il 18 agosto 1948 è stata tenuta a Mosca, nei locali del Ministero del commercio estero, una riunione cui hanno partecipato al completo la delegazione economica italiana e quella sovietica incaricate di condurre le trattative commerciali per la stipulazione di un trattato di commercio e di navigazione, e di un accordo commerciale di pagamento fra i due paesi. Conversazioni saranno anche tenute riguardo la questione delle riparazioni di guerra dovute dall'Italia all'U.R.S.S. a termini del trattato di pace.

Apre la seduta l'on. La Malfa, presidente della delegazione italiana, il quale ringrazia le autorità sovietiche per le cortesi attenzioni usate ai delegati italiani al momento de li'arrivo nella capitale sovietica e durante i primi giorni passati in essa. Passa quindi ad illustrare

l'ordine dei lavori come stabilito nella corrispondenza intercorsa fra i due Governi per le normali vie diplomatiche. LA MALFA: Ricorda che l'ordine dei lavori delle trattative fra i due paesi prevede conversazioni:

-per la conclusione di un accordo commerciale di pagamento;

-questioni relative alle riparazioni di guerra;

-per la conclusione di un Trattato di commercio e di navigazione.

Scambi commerciali: il punto di vista italiano intende consentire con la conclusione di un accordo di commercio la ripresa e la normalizzazione dei rapporti commerciali fra i due paesi. Sono note le esigenze e le condizioni della economia italiana per cui le richieste di importazioni dall'U.R.S.S. saranno ovviamente orientate verso materie prime e derrate di primaria importanza. Il Governo italiano intende infatti chiedere all'U.R.S.S. contingenti di esportazione verso l'Italia di cereali, oli minerali, minerali di ferro, minerale di manganese, legname, amianto, ecc. Da parte italiana si è disposti ad offrire, oltre ad i prodotti dell'industria meccanica ed elettromeccanica verso i quali notoriamente si polarizza l'interesse sovietico, altri prodotti di notevole importanza che sono tipici delle nostre correnti di esportazione, quali i prodotti agricoli, tessili e alcuni prodotti minerari. La Malfa precisa che la produzione industriale che formerà oggetto dell'accordo commerciale è quella corrente, mentre le forniture su ordinazioni speciali dovranno formare oggetto di uno specifico accordo a parte. La durata dell'accordo commerciale normale non dovrebbe superare i dodici mesi.

Forniture speciali: sulla base degli elementi di cui è in possesso, il Governo italiano è disposto a concludere un accordo specifico che disciplini le forniture industriali di carattere speciale che il Governo sovietico intende passare alle industrie italiane. Al riguardo La Malfa osserva che sarebbe opportuno per noi conoscere con maggior dettaglio, verso quali settori sia maggiormante orientato l'interesse sovietico, anche in considerazione degli impegni che l'industria italiana ha assunto o assumerà, non soltanto verso terzi paesi, ma verso l'Italia stessa in vista dei nuovi piani di ricostruzione interna che il Governo intende presentare alla prossima riapertura dei lavori del Parlamento. Comunque è opportuno che da parte sovietica si tenga ben presente che il Governo italiano non può prescindere in alcun modo, nelle impostazioni del problema delle forniture speciali, dalla condizione che il committente estero assicuri in ogni caso il reintegro totale delle materie prime impiegate nella fornitura stessa.

Pagamenti: è evidente che ogni questione relativa ai pagamenti, sia nel settore degli scambi commerciali che il quello delle forniture speciali (per quanto si riferisce alla quota lavoro) è strettamente connessa alle trattative che saranno tenute dalle apposite sottocommissioni, sia in materia di scambi commerciali che di forniture speciali stesse. Comunque avverte che da parte italiana si sarebbe lieti che il Governo sovietico accettasse di regolare tali pagamenti attraverso un conto unico, tenuto in Italia in lire italiane. Osserva inoltre che in relazione a quanto esposto più sopra, la delegazione italiana vedrebbe con piacere la possibilità di trattare nella stessa sede, sia i problemi relativi agli scambi che quelli concernenti i pagamenti.

Redazione testi: contrariamente a quanto proposto da parte sovietica nel corso di conversazioni preliminari a questa riunione plenaria, da parte italiana si vedrebbe con piacere la possibilità che ogni sottocommissione, incaricata della trattazione di una determinata materia, rediga anche il progetto di testo relativo alla materia stessa, salva la facoltà per le due delegazioni di discutere in seduta plenaria i testi medesimi; comunque le due delegazioni potrebbero demandare ad un apposito Comitato di coordinamento la redazione dei testi definitivi.

MrKOYAN: Il ministro del commercio sovietico, sig. Mikoyan, risponde osservando che i principi esposti da parte italiana sono in linea di massima accettabili. Si dichiara d'accordo sul desiderio italiano di compilare due liste relative agli scambi commerciali correnti ed una lista

relativa alle forniture speciali; si dichiara altresì d'accordo circa la forma del pagamento e ritiene quindi che le sottocommissioni possano iniziare senz'altro i loro lavori. Non gli riesce chiaro il concetto di «contropartite» come accennato dal presidente italiano. Nulla da obiettare in merito alla procedura per la redazione dei testi. Chiede se la parte italiana ha predisposto un piano di offerte di esportazione verso l'U.R.S.S. e ricorda al riguardo che i sovietici sono particolarmente interessati ai prodotti dell'industria meccanica.

LA MALFA: Risponde comunicando che da parte italiana si procederà senz'altro alla presentazione di una lista indicativa delle richieste di importazione dali 'U.R.S.S. Per le esportazioni italiane conferma l'interesse a collocare anche prodotti non industriali quali prodotti agricoli, tessili e minerari. Da parte italiana si desidererebbe inoltre conoscere le richieste sovietiche di massima, sia relative alle esportazioni italiane normali che alle forniture speciali.

MIKOYAN: Si dichiara d'accordo.

LA MALFA: Passa al secondo argomento dell'ordine del giorno: riparazioni. Premette una dichiarazione che definisce «politico-sentimentale». Ricorda di essere stato anche lui ministro del commercio estero italiano, dopo la liberazione e sa quindi che i problemi economici vanno trattati con asciuttezza. Tuttavia, avendo fatto parte per venti anni della organizzazione anti-fascista italiana, ritiene di poter affermare che il popolo italiano, nella sua maggioranza, non è responsabile delle colpe del regime che ad esso si era imposto. Attualmente poi l'Italia democratica non dimentica il contributo che l'U.R.S.S. ha dato alla causa della libertà dei popoli. Conferma di essere stato inviato dal Governo italiano per concretare l'intendimento di questo a dare piena esecuzione all'art. 74 del trattato di pace per quel che concerne le riparazioni all'U.R.S.S., ma si attende, tuttavia, su tale problema la maggiore comprensione sovietica della situazione in cui attualmente il popolo italiano si trova.

MIKOYAN: Risponde osservando che i danni subiti dal popolo sovietico durante la guerra e l'occupazione, sono molto più gravi di quanto il trattato di pace impone all'Italia in materia di riparazioni. Il Governo sovietico è già venuto incontro all'Italia stabilendo il minimo per tali riparazioni. Tuttavia su tali basi non dovrebbe essere difficile trovare una intesa.

LA MALFA: Ricorda che a termini dell'art. 74 del trattato di pace nelle riparazioni da corrispondere all'U.R.S.S. debbono essere compresi i beni italiani dislocati in Romania, Bulgaria ed Ungheria e che secondo le nostre valutazioni ammontano a cifre piuttosto rilevanti. È su tale materia che La Malfa stesso ha inteso invocare una benevola comprensione da parte del Governo sovietico. È evidente che una volta raggiunto l'accordo su tale punto non dovrebbe essere difficile trovare una intesa in merito al sistema di corresponsione delle riparazioni per quanto si riferisce alla differenza fra il totale ed il valore dei beni italiani in Bulgaria, Romania, Ungheria. Conferma altresì che una volta raggiunto l'accordo, il Governo italiano è disposto ad iniziare immediatamente dopo il 16 settembre 1949, i versamenti in lire italiane occorrenti per il pagamento del lavoro delle forniture da consegnare all'U.R.S.S. a titolo di riparazioni. Ricorda a tale riguardo che, a termini del trattato di pace medesimo, la parte sovietica è tenuta a fornire le materie prime occorrenti per l'esecuzione di tali forniture. Da parte italiana non si ha nulla in contrario a che le due parti concordino un sistema per collegare le forniture speciali, di cui si è parlato dianzi, alle forniture a titolo di riparazione.

MIKOYAN: Risponde che il problema della valutazione dei beni è molto complesso, comunque ritiene che l'apposita commissione riuscirà a trovare una soluzione. La questione delle materie prime di reintegro non presenta invece alcuno aspetto speciale in quanto esplicitamente prevista dal trattato di pace: occorrerà soltanto che da parte italiana siano indicate quali materie prime interessano. Su tutta la questione riparazioni, da parte sovietica non si mancherà di tener presenti i precedenti stabiliti al riguardo con altri paesi ex nemiCI.

LA MALFA: Esamina il terzo punto di discussione e cioé il trattato di commercio e di navigazione fra i due paesi; comunica che da parte italiana è stato già predisposto uno schema di trattato sulla base del vecchio trattato stipulato nel febbraio del 1924, opportunamente ritoccato per quanto si riferisce allo stato giuridico della rappresentanza commerciale in Italia nonché alle possibilità di lavoro dei cittadini di un paese contraente nel territorio dell'altro. Procede quindi alla consegna dello schema di cui sopra.

MIKOYAN: Accetta lo schema, avvertendo tuttavia che anche da parte sovietica si è proceduto alla compilazione di un progetto di trattato.

343 1 Vedi Allegato.

344

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 11275/278. Mosca, 23 agosto 1948, ore 22,21 (per. ore 7,50 del 24).

Telegramma l 02 1•

Stamane ho parlato nuovamente con Zorin del problema colonie illustrandogli conformemente istruzioni ricevute fondamento giuridico e opportunità politica di rimandare all'O.N.U. la deliberazione su quelle sole colonie su cui vi fosse effettivamente disaccordo. Ho subito precisato che una eventualità d'accordo si presentava attualmente soltanto per Somalia e che constatando questo limitato accordo si sarebbe potuto presentare all'O.N.U. un favorevole precedente senza d'altro lato pregiudicare aspirazioni italiane su rimanenti colonie nè comunque ammettere fin da ora quelle distinzioni e distribuzioni di territori cui U.R.S.S. fosse contraria. Zorin mi ha risposto che ormai lavoro dei sostituti erano alla fine e le conclusioni erano in via di redazione cosicché sarebbe stato pressoché impossibile modificarle. Mi ha aggiunto che tesi sovietica era stata in quella sede quella della totale contemporaneità di decisione e che a suo avviso difficilmente sarebbe stata cambiata essendo Governo sovietico contrario alle egoistiche spartizioni secondo interessi vari delle singole potenze. Avendo io insistito rilevando che le decisioni definitive riservate ai ministri erano tuttora impregiudicate e chiarendo ancora il carattere limitato e non pregiudiziale di un eventuale accordo su Somalia egli mi ha rsposto dichiarando di aver compreso la portata diversa e più limitata da me attribuita al consenso su sola Somalia e assicurandomi che, specialmente sotto tale aspetto, la questione sarebbe stata sottoposta ed esaminata dal suo Governo.

È tuttavia mia impressione che sovietici siano fermi alla tesi del tutto o niente specialmente al fine di non creare un sia pur minimo precedente al distacco sotto qualsiasi forma di una parte della Libia o della sola Cirenaica a favore degli angloamencant.

344 1 Del 20 agosto, con il quale Sforza incaricava Brosio di far sapere al Governo sovietico che l'Italia avrebbe apprezzato, in caso di mancato accordo dei Quattro alla Conferenza di Londra, il suo consenso ad una soluzione parziale assegnando il trusteeship della Somalia all'Italia.

345

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 11279/279. Mosca, 23 agosto 1948, ore 22,22 (per. ore 7,50 del 24).

Alla fine colloquio oggi 1 e nell'atto del commiato Zorin mi ha fatto cadere a titolo personale discorso su trattative per consegna navi italiane manifestando insoddisfazione Governo sovietico e dichiarandomi aver egli impressione che «gli organi militari e forse governativi italiani non volevano eseguire trattato». Gli ho risposto che non ero stato più in alcun modo incaricato di trattare argomento ma che da quanto mi risultava non si trattava di rifiutare senz'altro consegna navi violando trattato di pace ma di trovare piuttosto formula di accordo a soddisfazione esigenze principalmente morali cui erano state sensibili altre potenze ed anche francesi. Mi ha replicato piuttosto seccamente dicendo che i trattati vanno eseguiti, i termini erano da tempo scaduti e si era in presenza di una grossolana violazione del trattato aggiungendo ancora e sottolineando che ciò secondo sua personale opinione ostacolava anche andamento degli altri affari in corso fra i nostri paesi. Evidentemente comunicazione Zorin, gli fosse stata o no espressamente ordinata in rapporto colloquio odierno, manifesta notevole scontento e accennate sue ripercussioni corrispondono probabilmente ad effettive intenzioni Governo sovietico.

346

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO PER CORRIERE 11661/Q 124. Washington, 23 agosto 1948 (per. il l o settembre).

Nel corso odierna conversazione al Dipartimento ho chiesto notizie circa questione ammissione Italia alle Nazioni Unite. Interlocutore americano, nel ricordare come questione fosse iscritta ordine del giorno lavori prossima Assemblea

O.N.U. Parigi, ad iniziativa delegato argentino, ha confermato ancora una volta intendimento questo Governo appoggiare con ogni possibile mezzo predetta nostra ammissione.

Egli ha aggiunto -in via del tutto confidenziale -che nei giorni scorsi delegato aggiunto Stati Uniti in Consiglio sicurezza, signor Jessup, aveva intrattenuto su argomento delegato russo Malik. Prendendo spunto da insistenze sovietiche nel

Consiglio supplenti a Londra per concessione all'Italia trusteeship sue ex colonie, Jessup avrebbe domandato a Malik come tale punto di vista sovietico, che -ove accettato -avrebbe dovuto comportare l'inclusione di diritto dell'Italia nel Consiglio di tutela dell'O.N.U. si potesse conciliare con l'atteggiamento negativo sempre mantenuto dall'Unione Sovietica nei confronti dell'ammissione dell'Italia alle N.U. Malik, a detta interlocutore, avrebbe dovuto ammettere, con evidente imbarazzo, che, almeno negli ambienti della delegazione sovietica al Consiglio di sicurezza, non si era ancora presa in considerazione tale contraddizione. Jesup avrebbe allora suggerito a Malik di prospettare la cosa a Mosca.

345 1 Vedi D. 344.

347

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. S.N.D. 970l/483. Roma, 24 agosto 1948, ore 21,45.

Suppongo V.S. abbia già ricevuto telespresso del 19 u.s. n. 783 1 relativo mia conversazione con questo incaricato d'affari americano circa questione coloniale. Le raccomando continuare svolgere costà opportuna azione perché nel caso decisione favorevole venisse raggiunta per un solo territorio, questioni restanti non vengano ora pregiudicate. Richiamo in proposito telegrammi odierni n. 481 2 e 482 3 da cui risulta che inglesi hanno proposto sottoporre Eritrea ad amministrazione etiopica sotto controllo di un Comitato internazionale non meglio precisato e che insistono sulla richiesta di abbinare decisione a noi favorevole per Somalia a decisione a noi nettamente contraria per Eritrea.

Simile soluzione svaluterebbe presso nostra opinione pubblica ogni portata psicologica e politica a concessione relativa Somalia e non otterrebbe quindi risultati che ci ripromettiamo conseguire, anche su un piano politico più generale, da un gesto amichevole da parte potenze occidentali. Occorre quindi insistere perché nella peggiore ipotesi prevalga almeno punto di vista espresso nel memorandum americano4 che lascia sospese questioni che non potessero essere risolte a nostro favore. Eventuale concessione Etiopia sbocco al mare ci pare già compenso sufficiente a decisione favorevole Italia per Somalia senza necessità compromettere sin da ora futuro sorte Eritrea5 .

2 Ritrasmetteva a Washington il T. s.n.d. per corriere 11254/0221 del 21 agosto da Parigi, non pubblicato.

3 Ritrasmetteva a Washington il D. 348.

4 Vedi D. 329, Allegato.

5 Con T. s.n.d. urgente 11350/688 del 25 agosto Di Stefano comunicò di essersi espresso con Bohlen conformemente alle presenti istruzioni.

347 1 Vedi D. 330.

348

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 11283/419. Londra, 24 agosto 1948, ore 0,12 (per. ore 7,30).

Parlerò domani [24] con Sargent nel senso indicato nel telegramma di V.E. 3 3 71 . Devo però avvertire sin d'ora che miei dubbi circa sviluppi atteggiamento britannico trovano conferma nelle più recenti e confidenziali notizie datemi da chi prende parte ai lavori Lancaster House. Difatti:

-Gran Bretagna pur non contraria in principio a nostro trusteeship Somalia si è irrigidita sulla richiesta di abbinare decisione in tal senso a decisione a noi nettamente sfavorevole per intera Eritrea. Uno dei motivi di tale intransigenza per Eritrea sarebbe convinzione Gabinetto britannico avere contro sia Labour Party che gran parte opposizione capeggiata da Eden se accettasse senz'altro eventuale decisione rinunciare controllo strategico su ambedue colonie;

-Francia sarebbe favorevole rinviare Nazioni Unite questione Eritrea ma insiste perché sia deciso invece futuro Tripolitania prevedendo che rinvio sarebbe fatale a nostro ritorno e giocherebbe quindi a svantaggio stessi interessi francesi;

-atteggiamento sovietico come insistentemente mi conferma Zarubin rimane quello già noto;

-ambasciatore Douglas delegato per Stati Uniti sembra dare scarsissimo contributo alle discussioni alle quali personalmente non annette importanza essendo preoccupato in modo esclusivo da problemi Mosca Berlino: non credo potrà agire in contrasto con tesi che codesta ambasciata Stati Uniti ha reso nota a V.E., ma ritengo sarebbero indispensabili nuove urgenti istruzioni da Washington affinché intervento americano a Lancaster House possa essere decisivo per ottenere che questione Eritrea sia rinviata rimanendo impregiudicata salvo naturalmente proposta cedere Dancalia all'Etiopia.

Si prevede che discussioni Supplenti avranno termine entro presente settimana2 .

349

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE I 1449/041. Atene, 24 agosto 1948 (per. il 27).

Telespresso V.E. n. 31795 del 20 corrente1•

2 Per il colloquio Gallarati Scotti-Sargent vedi D. 356. 349 1 Vedi D. 337.

Nella conversazione avuta stamane con questo sottosegretario permanente di cui al mio odierno telecorriere n. 0402 premettendo compenetrarmi difficoltà posizione politica greca, ho colta occasione per parlargli delle nostre ex colonie.

A titolo strettamente personale ho detto: ormai marciamo verso più o meno prossima votazione Assemblea O.N.U., voi greci avete in mano una nostra proposta formale di accordo di stabilimento e di pesca, so che conte Sforza ha scritto giorno 5 corrente una lettera a Capsalis3 nella quale gli diceva avere istruito nostro delegato Parigi appoggiare in pieno Grecia nella ripartizione aiuti E.R.P., siete certamente convinti che Italia e Grecia, presto o tardi, debbono camminare in una stretta collaborazione d'amicizia cementata da preminenti interessi mediterranei, perché mai non fate un gesto simpatico e significativo che sarebbe molto apprezzato prendendo subito voi che avete diritto ad un voto nell'Assemblea-la iniziativa di parlare amichevolmente subito agli inglesi invocando, a nome solidarietà europea, riconoscimento indiscutibilità diritto italiano trnsteeship sopra sue ex colonie, quanto meno, come fosse vostro particolare interesse, chiedete inglesi cercare direttamente con noi un'intesa? Questo gesto avrebbe presso inglesi grande significato morale, non vi comprometterebbe, servirebbe lasciare aperte future prese di posizione in eventuali votazioni, non urterebbe arabi trattandosi di scelta fra italiani ed inglesi tanto più che Egitto non può aspirare Libia ove appunto su Cirenaica nasce il contrasto con gli inglesi.

Riallacciandomi poi alla conversazione avuta con Pipinelis su atteggiamento Tito di cui al mio telecorriere n. 025 del 24 luglio3 , notavo che Jugoslavia già ci aveva promesso appoggio per colonie. Se in seguito -come lo stesso Pipinelis mi aveva fatto prevedere -Jugoslavia avesse dovuto rivolgersi mondo occidentale, il suo ravvicinamento con l'Italia sarebbe stata la prima conseguenza e quindi alla Grecia non poteva non convenire differenziarsi sin d'ora con manifestazione autonoma e spontanea appunto perciò maggiormente apprezzabile da noi.

Pipinelis mi ringraziò di avergli parlato delle colonie perché egli voleva giustappunto incontranni per dinni francamente che Grecia in un contrasto con Inghilterra non avrebbe mai potuto prendere netta posizione contro inglesi, e che risultavagli Inghilterra per nostre ex colonie avesse decisamente assunto ferma posizione contro di noi; che però lui, malgrado ciò, voleva giusto dirmi che ai margini della prossima Assemblea O.N.U. era intenzione greca fare tutto il possibile per aiutarci.

Al mio suggerimento di almeno cominciare subito e continuare poi, Pipinelis eludeva di rispondere e mi chiedeva invece precisazione nostro ultimo limite soluzione coloniale. Sempre a titolo strettamente personale rispondevogli: il trusteeship all'Italia che d'altronde è sempre pronta andare incontro amichevoli oneste soluzioni, come dimostrava il patto offerto alla Grecia, ed altresì pronta a conciliare giusti interessi di ciascuno non esclusi gli arabi per i quali poteva prendersi ad esempio nostra politica loro favore per spartizione Palestina (mio telecorriere n. 040 del 24 corrente) onde persuadersi onestà e lungimiranza nostre intenzioni e direttive.

3 Non pubblicato.

348 1 Vedi D. 338.

349 2 Con tale telegramma Prina Ricotti aveva riferito sulle reazioni, improntate ad interesse e cautela, di Pipinelis alla proposta italiana di riesame del progetto di spartizione della zona araba della Palestina (vedi D. 296). Su tale argomento Prima Ricotti tornò a riferire con il D. 434.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. 3/828. Roma, 24 agosto 1948.

Riferimento: telespresso di V.E. del 3 agosto n. 944/13992/28691 e n. 996/14950/ 3036 del 19 agosto2 e telespresso di Bruxelles n. 2298/1027 del 1 O agosto, qui unito in copia3 .

I telespressi di cui è cenno in riferimento sono pervenuti quando già erano in corso di studio, da parte nostra, alcune proposte che avevamo in animo di sottoporre al Governo francese in vista di concordare possibilmente una comune iniziativa per dare principio all'attuazione pratica di una unione europea, che sempre più si presenta come una esigenza inderogabile e fondamentale per la ricostruzione economica e per la rinascita sociale e politica del continente.

I risultati di tali studi, in base ai quali il problema della unione europea viene impostato come problema di Governi piuttosto che affidato alla iniziativa di parlamenti supernazionali la cui costituzione riteniamo possa ancora incontrare notevoli difficoltà, sono contenuti nell'unito «Memorandum», nel quale si è peraltro tenuto anche conto della sopraggiunta iniziativa francese.

V.E. vorrà consegnare il «Memorandum» medesimo al ministro Schuman, opportunamente illustrandolo ed esprimendo la fiducia che esso verrà esaminato dal Governo francese nello stesso spirito col quale è stato da parte nostra prospettato: avviare i due paesi verso forme di sempre più intima collaborazione, nell'interesse loro comune e in quello dell'Europa.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI AL MINISTERO DEGLI ESTERI DI FRANCIA

MEMORAI'-DUM4 . Roma, 24 agosto 1948.

Il Governo della Repubblica italiana constata colla più viva soddisfazione che il Governo della Repubblica francese, interprete del pensiero illuminato e lungimirante de li'opinione pubblica di Francia, persegue con energia la realizzazione di quegli ideali di organica intesa e di inter-dipendenza europea che soli possono salvare la pace del mondo e la democrazia.

Fu una felice coincidenza che, senza sapere gli uni degli altri il ministro Sforza nel suo discorso di Perugia5 e autorevoli uomi di Stato francesi come il presidente Reynaud e il signor Bidault esprimessero negli stessi giorni le stesse esigenze unitarie dell'Europa e le stesse speranze e volontà di soddisfarle senza pericolosi ritardi.

2 Vedi D. 333.

3 Vedi D. 304.

Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 69-73. 5 !h id.' pp. 483-496.

È per questa ragione che il Governo italiano sarebbe lieto di poter scambiare col Governo francese le proprie vedute al fine di giungere possibilmente a concordare con gli altri paesi europei una formula che consenta di dare inizio a questa unione da ogni parte invocata.

Il Governo italiano è per parte sua convinto che alla realtà di una unione o federazione europea deve giungersi procedendo per gradi successivi, partendo da premesse di ordine economico (in parte già in atto e che non chiedono se non di essere perfezionate), per arrivare gradualmente a forme di collaborazione politica, economica e sociale che avvicinino sempre più i paesi europei gli uni agli altri, dimostrando quella interdipendenza che ormai esiste in fatto e che solo per ignavia mentale di taluni non è ancora riconosciuta in ogni campo.

Il Governo italiano ritiene che un procedere empirico e graduale incontrerebbe più facilmente l'adesione di altri paesi, in particolare della Gran Bretagna la cui partecipazione alla unione europea è tanto necessaria, quanto è spiegabile che, per rispettabili ragioni storiche, essa sia colà pel momento meno unanimemente sentita che sul continente.

Il Governo italiano si rende pieno conto dei vantaggi che dal punto di vista dei contatti con Londra possono consigliare al Gabinetto di Parigi di suggerire che un'iniziativa sia presa dai Governi già legati dal Patto di Bruxelles. E per parte sua non solo non fa la menoma obiezione a tale schema, ma, al contrario, se tale schema debba realizzarsi il Governo italiano gli augura pieno successo e farà quanto è in suo potere perché ciò sia. Non sono le vie che si prendono che contano; è il punto di arrivo.

Desiderando tuttavia che fra i Governi di Roma e di Parigi mai manchi quella assoluta franchezza di espressione che è la prima condizione di ogni solida amicizia -e considerando anzi ciò come un dovere in vista di quell'Unione doganale che tanto prestigio anche morale darà ai due paesi nel mondo-il Governo italiano si domanda se un'azione svolta sulle basi delle esperienze che si stanno facendo all'O.E.C.E. non avrebbe anche altri vantaggi. Si pensi, a titolo d'esempio, alle maggiori possibilità di adesione da parte dei paesi dell'Europa del Nord i quali forse avrebbero delle esitazioni di fronte a iniziative provenienti da un raggruppamento che una certa propaganda dipinge a torto come avente un carattere militare offensivo, per quanto sia chiaro a tutti che esso è esclusivamente difensivo.

Pare al Governo italiano che presto si dovrà riconoscere che la via più sicura e più storicamente evidente è quella che porrà la definitiva iniziativa dell'Unione Europea nelle mani dei sedici Stati che già collaborano all'O.E.C.E. sul piano economico per la ricostruZIOne europea.

Sarà questa iniziativa, e questa sola, che solleverà in America quell'entusiasmo e quella simpatia che già colà si manifestarono all'annunzio degli studi per l'Unione franco-italiana. E nessuno può escludere che di tale simpatia popolare l'Europa non avrà gran bisogno fra qualche mese, quando si tratterà a Washington di decidere la continuazione degli aiuti.

E' appena necessario aggiungere che un'unione iniziata a Parigi, all'O.E.C.E., non esclude affatto l'esistenza nel suo quadro di un'unione militare come quella di Bruxelles cui è anzi augurabile che altri paesi possano aggiungersi, fino al giorno in cui la generale Unione Europea conglobi e riunisca tutti gli sforzi consacrati alla difesa della pace e della democrazia.

Pare al Governo italiano che la dichiarazione di volontà concorde da parte dei sedici paesi dell'O.E.C.E. di voler promuovere una federazione europea -dichiarazione aperta a successive adesioni -dovrebbe essere seguita da altre dichiarazioni concernenti:

a) la decisione di dare carattere permanente all'O.E.C.E., facendone così un organismo di permanente cooperazione fra le varie economie dei paesi aderenti, anche indipendentemente dagli aiuti Marshall, allargandone l'attività nel campo delle unioni doganali e di altre iniziative economiche;

b) la decisione di dar rapida vita a forme attive di collaborazioni sociali, demografiche, culturali che in parte furono già utilmente previste nel Patto di Bruxelles;

c) la decisione di creare un Comitato politico composto da rappresentanti dei paesi aderenti all'Unione Europea, per l'esame in comune delle questioni politiche internazionali e per la possibile adozione su tali questioni di punti di vista comuni rispondenti agli interessi generali della comunità europea;

d) la decisione di creare una Corte di giustizia europea (ferma restando la competenza della Corte dell' Aja), cui sottoporre tutte quelle questioni che dovessero sorgere fra i paesi aderenti e che non potessero essere risolte per via di diretti contatti fra le Cancellerie.

Circa i problemi economici europei più strettamente connessi coll'O.E.C.E. il Governo italiano si riserva di sottoporre alcune sue considerazioni allo studio dei Governi interessati.

350 1 Non pubblicato.

351

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

L. SEGRETA CONFIDENZIALE 1 . Roma, 24 agosto 1948.

C'est en premier lieu à vous que je désire soumettre les idées du Gouvemement de la République italienne sur la question qui nous est également a coeur: l'Union européenne.

Je suis sur que vous pensez comrne moi que si Briand échoua en son temps ce fut parce que il vit trop grand, voulant faire le toit en mème temps que les fondations. Il faut commencer par le comrnencement. Il faut surtout que ceux qui voient dans l'Union européenne non seulement la défense la plus sure de la paix, mais aussi le moyen le meilleur de sauvegarder la prospérité et la sécurité de leur pays, travaillent d'accorci. C'est notre cas.

Pour ma part, Monsieur le Président, je sens que ma vie n'aura pas été vécue en vain si je réussis à contribuer à cette entente organique et permanente entre nos deux pays qui seule nous évitera un jour le retour de la folie agressive des Allemands. Toute ma vie, au fond, a été consacrée à ce but. C'est à présent que je sens pour la première fois que nous avons entre nos mains la possibilité de guérir les Allemands; la possibilité d'empècher qu' ils deviennent l es lansquenets d 'un terrible danger; la possibilité de leur faire sentir qu'ils pourront un jour s'asseoir parmi nous, égaux entre égaux. Mais pour cela il faut qu'il y ait cent millions de Latins vis-à-vis d'eux.

C'est dans cet esprit~ et dans cet esprit seulement ~que j'ai écrit le mémorandum que M. Quaroni vous soumettra2 . Votre prédécesseur connaissait, je pense, ma pensée la plus profonde. Je ne crois pas qu'il soit utile que je vienne à Paris; il faut fa ire; il ne faut pas se donner l 'air de fa ire.

Mais si vous allez prendre deux ou trois jours de vacance vers la frontière italienne n'oubliez pas, je vous en prie, que je serai heureux de vous rencontrer, sans secret, certes, mais dans la forme la plus intime et la moins publicitaire. J'ai

Vedi D. 350.

517 passé dix ans, de 1930 à 1940, dans la Provence Maritime, près de Toulon, voyant venir l'affreuse catastrophe, et ne pensant qu'à cela: comment faire pour unir un jour nos deux pays, devenus de nouveau les pionniers de la paix dans la chrétienté? Nous y sommes, si nous somme sages. C'est pourquoi j'ai pensé vous envoyer-à travers notre Ambassade -le mémorandum que je recommande à votre attention personnelle3 .

351 1 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 80-81.

352

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1895/665. Roma, 24 agosto 1948 1•

Ebbi già nel passato occasione di rilevare come la Santa Sede, pur facendo sentire il proprio peso quando e dove occorre, non intende però lasciarsi trascinare ed esporre nelle singole fasi del contrasto col comunismo russo, e men che meno a rimorchio degli Stati Uniti o di un congresso ecumenico protestante qualsiasi.

Gli americani, mi diceva ieri mons. Tardini in Segreteria, spesso non comprendono bene questi ritegni, queste prudenze, che corrispondono invece agli interessi delle due parti, specie quando sono diretti a preservare posizioni dottrinali che costituiscono poi l'essenziale della forza del Cattolicesimo, su cui si conta tanto per la lotta.

Chiestogli da me, approfittando dello spunto, se credesse che, nel campo dei rapporti con gli Stati europei e particolarmente con l 'Italia, l'America mostrasse una maggiore sensibilità, un senso più raffinato delle opportunità politiche, mons. Tardini mi disse che anche in questo campo c'era, secondo lui, poco da ammirare. Per quanto, ad esempio, riguardava l'Italia aveva notato in certi circoli americani (e mi pare che non alludesse soltanto ai laici) la tendenza ad attendersi dall'Italia un orientamento deciso verso la collaborazione politica col gruppo occidentale: e in ciò, aggiungeva, secondo me sbagliano di grosso perché il vero e ben inteso interesse, non solo dell'Italia, ma anche dell'America, sarebbe che la prima continuasse a mantenersi formalmente sul terreno della neutralità e conservasse cogli orientali rapporti non troppo compromessi dalla palese adesione al campo nemico. L'Italia è, per l'America, una bella carta, ma è anche un peso: perché accrescerlo ancor più, aggiogandola visibilmente al carro di Bruxelles? A cui, viceversa, l'Italia non può portare alcun contributo in caso di emergenza?

352 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

In conclusione, mons. Tardini approvava e caldeggiava una somma prudenza nella linea di condotta italiana.

Osservai che al suo concetto si sarebbero potute obiettare due osservazioni: la prima, che, in caso di conflitto, l'essere o no formalmente nel campo occidentale, non avrebbe apportato alcuna apprezzabile variazione alla nostra sorte; la seconda che, non rispondendo in pieno alle aspettative americane (e britanniche), potevamo perdere vantaggi politici immediati: per esempio, una soluzione più favorevole della questione coloniale.

Qual era il parere di chi, come lui, riceveva tante notizie ed impressioni da ogni parte del mondo?

Mi rispose subito, e con energiche espressioni, che qualsiasi nostra altra linea di condotta non avrebbe portato sensibili vantaggi, e men che meno nel campo delle colonie, dove erano in giuoco interessi, pregiudizi ed ostinazioni britanniche non modificabili per atteggiamenti nostri che, per quanto ben visti, avrebbero avuto un carattere puramente accademico e non di reale spostamento di forze: unica cosa a cui badano gli inglesi.

Quanto al primo punto, mons. Tardini mi dichiarò che, secondo lui, il trovarci, al momento del conflitto, formalmente neutrali o no, poteva comportare invece delle grandissime differenze.

Nahtralmente, era pericoloso farsi soverchie illusioni, e nulla v'è di sicuro in simili avvenimenti. Pure, ci poteva essere riparmiata un 'immediata, brutale ed irresistibile invasione: il trapasso del regime sociale e politico poteva essere più lento e graduale; si sarebbe quasi certamente guadagnato del tempo, un tempo prezioso; e, finalmente, saremmo stati dalla parte della legalità internazionale. È poca cosa, quest'ultima, ma non preferibile all'esser considerati e trattati come petulanti nemici, vinti e schiacciati dopo una parvenza di resistenza?

Mons. Tardini mi manifestò poi inequivocabilmente che queste conclusioni rappresentavano ciò che il Vaticano riteneva più conforme ai propri particolari interessi e come Stato temporale e come potenza spirituale. La Segreteria di Stato non è così ingenua da credere che la neutralità italiana possa senza altro salvaguardare il Vaticano; ma crede che l'altra alternativa potrebbe avere sulla situazione della Santa Sede conseguenze peggiori.

Ad ogni buon fine, faccio notare che quanto precede appare subordinato alla pregiudiziale dell'impossibilità per gli anglo-americani, di difendere l'Italia continentale; pregiudiziale a cui mons. Tardini mi sembrò annettere il carattere di fatto indiscutibile. Sul che pensare, ove una difesa efficace dei confini italiani venisse a risultare dall'eventuale nuovo orientamento politico dell'Italia, non entrammo a discutere anche perché la conversazione fu casuale e senza pretese di approfondire il progetto.

Ne ho riferito a titolo di semplice informazione di cronaca.

351 3 Per la risposta di Schuman vedi D. 584.

353

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LIMA, CICCONARDI

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 9722/27. Roma, 25 agosto 1948, ore 16,45.

Per interposta persona è stato fatto presente che ex presidente Manuel Prado desidera, per motivi politici, allontanarsi dal Perù e passare qualche tempo in Italia.

Non avremmo nessuna difficoltà, naturalmente, ad accordargli visto. Prado avrebbe però espresso anche singolare desiderio essere invitato da Governo italiano.

A parte difficoltà di realizzare praticamente simile progetto, richiesta potrebbe creare situazione imbarazzante con attuale Governo peruviano.

Pregasi pertanto V.E. telegrafare quanto le risulti circa natura e grado dissensi politici che dividono Prado da Governo attuale, ed esprimere avviso circa opportunità e modalità accoglimento richiesta 1•

354

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. URGENTE 11316/182. Buenos Aires, 25 agosto 1948, ore 0,40 (per. ore 11).

Questo ministro affari esteri Bramuglia partirà 2 settembre per Parigi quale capo della delegazione argentina prossima sessione Assemblea O.N.U.

Mi è stato fatto al riguardo chiaramente intendere che Bramuglia sarebbe vivamente desideroso estendere viaggio Italia cogliendo l'occasione per incontrarsi con l'E.V. ed eventualmente altri membri del Governo. D'altra parte anche per rilievo che si desidererebbe imprimere alla visita sarebbe gradito quest'ultima avvenisse su invito ufficiale Governo italiano. Superfluo suffragrare favorevolissimo riflesso che avrebbe qui tale visita. Qualora idea incontri approvazione dell'E.V. pregherei far pervenire invito o direttamente o per mio tramite entro questa settimana dovendo Bramuglia prestabilire programma sua permanenza Europa. Ministro affari esteri sarebbe accompagnato dal sottosegretario per gli esteri ambasciatore Vignes, dalle loro rispettive consorti e probabilmente da altre due persone seguito. Pur essendo

figlio italiani Bramuglia non conosce nostro paese: visita che avverrebbe ottobre ha anche quindi sfondo sentimentale 1•

353 1 Con T. 11423/41 del 26 agosto Cicconardi rispondeva che Prado non era stato fatto oggetto di alcuna persecuzione da parte del Governo peruviano, e confermava il suo parere favorevole ad un invito all'ex presidente da parte del Governo italiano. Per il seguito della vicenda vedi D. 405.

355

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 11452/038. Beirut, 25 agosto 1948 (per. il 27).

Telespresso ministeriale n. 31795 del 20 agosto 1 . Ho intrattenuto il ministro degli esteri Frangié in merito alla questione delle nostre colonie.

Egli mi ha incaricato di trasmettere a V.E. i suoi personali ringraziamenti per la comunicazione fattagli, che ha trovato molto interessante ed in merito alla quale mi ha pregato di comunicare quanto segue:

a) Egli non è in grado di dare per ora alcuna fondata risposta, né di fare alcun autorizzato commento alle considerazioni da me espostegli. Ogni decisione, ogni orientamento in merito alla questione predetta deve infatti essere previamente approvato dal Consiglio politico della Lega araba, la quale, come è noto, ha espresso finora solo una sua intransigente richiesta di totale ed unitaria indipendenza della Libia senza entrare in merito al destino delle altre due nostre colonie.

b) Il Libano, che si trova nella necessità di non apparire troppo contrario a tale intransigente richiesta, ha tuttavia già svolto in passato (come questa legazione ha già segnalato con i telegrammi n. 00 l del 12 ottobre 1947 e n. 004 del 12 ottobre 194 7)2 , opera di moderazione intesa ad impedire dichiarazioni troppo ostili e dirette a chiamarci in causa come colonizzatori.

c) Egli prevede che né il Libano né alcun altro Stato arabo potrà ora darci alcuna sicura risposta, e tanto meno alcuna assicurazione, circa l'atteggiamento dei rappresentanti della Lega all'O.N.U. in merito alla questione, che appassiona molto la pubblica opinione e che si va sempre più connettendo con gli altri gravissimi problemi per i quali il mondo arabo sta affannosamente cercando una soluzione.

d) Poiché tuttavia il Libano non vuole che abbiano ad accendersi altri focolari di disordini nel Medio e Vicino Oriente, e poiché esso desidera farci per quanto possibile cosa gradita, egli si propone di convocare una apposita riunione del Consiglio della Lega, prima della prossima Assemblea dell'O.N.U., allo scopo di esporre le sue concezioni, che concordano in molti punti con quelle che V.E. mi ha incaricato di esporgli,

521 ed al fine di attirare l 'attenzione degli altri Stati arabi sui pericoli e sulle disillusioni che una eccessiva, rigida intransigenza può presentare in questa nuova partita d'azzardo.

e) Egli proporrà ai suoi colleghi della Lega di scindere la questione coloniale italiana in due: da un lato il problema libico, dall'altro quello dell'Eritrea e della Somalia per cercare di ottenere che due differenti atteggiamenti siano adottati nei loro riguardi.

t) Per la Libia egli cercherà (così come ho nuovamente insistito sulla base delle vecchie e delle nuove istruzioni di V.E.) di insistere affinchè sia proposta una spartizione del territorio libico, e siano evitate soluzioni di sorpresa, con l'accettazione di un trusteeship italiano limitato nel tempo. Egli è molto pessimista sulle possibilità di successo di tale proposta ma ha tuttavia ammesso l'importanza delle formali assicurazioni che l'Italia è pronta a dare e degli impegni precisi che essa è pronta ad assumere per la futura indipendenza della Libia. Egli cercherà di presentare tali assicurazioni nella miglior luce.

g) Per l 'Eritrea e la Somalia egli farà un deciso tentativo diretto a tentare di ottenere che gli arabi «facciano un gesto» in favore dell'Italia appoggiandone la richiesta di trusteeship, sia per compensarla delle eventuali perdite in Libia sia «per assicurare in avvenire quelle buone relazioni italo-arabe che sono assolutamente necessarie per la pace mediterranea e che il Libano desidera, più di ogni altro Stato arabo». Ha aggiunto che rappresenterà agli altri Stati arabi e specialmente all'Egitto il pericolo di una soverchiante supremazia inglese in Africa.

h) Egli si riserva di farci riservatamente sapere quale accoglimento avranno avuto le sue comunicazioni ed i suoi suggerimenti al Consiglio della Lega3 . Desidera tuttavia segnalare fin da ora a V.E. la difficoltà di ottenere risultati favorevoli, anche parziali, pur assicurando che egli non mancherà di compiere a tale fine ogni possibile sforzo.

354 1 Con T. 9744/144 in pari data Taliani rispondeva che il Governo italiano sarebbe stato lieto di ricevere il ministro degli esteri argentino in visita ufficiale. La visita si svolse dal l" al 7 dicembre. 355 1 Vedi D. 337. 2 Non pubblicati.

356

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 4395/1846. Londra, 25 agosto 19481•

Come da mio telegramma n. 42!2, fui da Sargent per una lunga conversazione circa le nostre colonie. Non gli nascosi anzitutto ciò che già avevo accennato a Bevin, ossia le ragioni della nostra ansietà e dei nostri dubbi circa l'atteggiamento inglese a Lancaster House, poiché mentre da parte degli Stati Uniti d'America ci era

stato esposto con chiarezza il punto di vista con cui essi studiavano la soluzione del problema delle ex colonie italiane, mentre il Quai d'Orsay non ci aveva fatto mistero dei suoi propositi a nostro riguardo, e Mosca si era espressa in termini chiarissimi a nostro favore, io non ero stato in grado di dare al mio Governo una sola indicazione concreta di quanto pensasse il Governo britannico sull'argomento. L'unica cosa che mi ero sentito rispondere da Sir Noel Charles, chiuso in ermetico silenzio, era che la Gran Bretagna si sentiva disposta ad affrontare anche qualche anno d'impopolarità in Italia pur di non venire meno alla linea di condotta che il Gabinetto aveva deciso di prendere nell'interesse dell'Europa e dell'Italia stessa.

Devo dire però che il colloquio con Sargent mi parve improntato subito a ben maggiore comprensione e cordialità e da alcune parole (come ad esempio che egli si augurava che tra pochissimo «la mia agonia sarebbe stata finita») direi che anche le posizioni di incertezza degli ultimi giorni erano state sorpassate.

Ciò che mi fece intendere era che la soluzione parziale che si prospettava per noi era quella di una restituzione della Somalia in trusteeship purché «si trovasse un accordo con la Russia, ciò che non si poteva prevedere dati i sistemi sovietici» che nulla lasciano trasparire fino all'ultimo momento.

Significativo è che dal discorso che aveva tono generico e in cui Sir Orme Sargent tentava di giustificare l'atteggiamento del suo Governo, egli passò subito a considerazioni più concrete riguardo «alla eventualità» che la Somalia ci fosse restituita.

In tal caso, diceva, aveva forti dubbi che il Governo italiano si rendesse conto esattamente delle gravi difficoltà e delle responsabilità che affrontava di fronte all'avvenire. Gli pareva che mentre si era fatta finora in Italia molta propaganda generica, l'opinione pubblica non era stata diretta a considerare che cosa esattamente significasse avere il mandato di una colonia e chiedeva inoltre se veramente noi ci fossimo preparati a questo.

Le osservazioni di Sargent mi diedero allora occasione di entrare in pieno argomento sulle basi del telegramma di V.E. n. 3373 . Le assicurazioni in esso contenute furono da me chiarite in ogni senso, cercando di persuadere che il telegramma non rappresentava una convenzionale esposizione di buone intenzioni ma una precisa volontà e una nuova linea di condotta del Governo italiano.

Non posso nascondere che la persuasione che Sargent mostrava di condividere con me circa la larga comprensione del problema da parte di V.E. e del presidente De Gasperi, [non] si estendesse a tutti gli organi collaboratori che pur hanno tanta importanza nella attuazione di un simile piano di politica coloniale. Sargent era ben sicuro della intenzione di V.E., ma dubitava fortemente che ambienti saturi di retorica nazionalistica e di imperialismo fascistico potessero paralizzare tali vedute, come pure dimostrava avere parecchie esitazioni sulla possibilità che di colpo potesse essere creato un personale con spirito nuovo atto a prendere posizioni direttive in un momento così delicato come quello dello stesso trapasso di amministrazione e di pacificazione degli animi per la ripresa di un lavoro fecondo di civilizzazione. A

questo proposito mi accennò anzi con la maggiore simpatia ali' opera di Manzini e mi domandò per quali ragioni credevo egli non continuasse nella sua opera tanto apprezzata dalla stessa Amministrazione militare britannica.

Da tutto ciò concluderei che la previsione di una soluzione nel senso di accordarci il mandato per la Somalia fosse già abbastanza chiara nella mente di Sargent. Naturalmente io risposi punto per punto e con la massima convinzione alle osservazioni più o meno scettiche dell'alto funzionario del Foreign Office.

Devo anche aggiungere che Sargent parlando sempre «in via di ipotesi come se già la Russia avesse accettato la soluzione» mi pregò di fare presente a V.E. e al Governo italiano quanto sarebbe stato importante nell'interesse stesso del nostro paese che «l'eventuale notizia della parziale soluzione» non avesse suscitato subito una di quelle immoderate e incoscienti manifestazioni giornalistiche che avessero travisato il significato vero di tale restituzione nascondendo la gravità degli impegni che si assumeva il Governo italiano e lasciando intravedere mal celate aspirazioni di infiltrazione politico-militare in tutta l'Africa, di ripresa di concezioni di espansione imperialistica ecc. ecc. Il Governo italiano si rendesse perfettamente conto della reazione che tali atteggiamenti inconsulti avrebbero potuto determinare specialmente nelle popolazioni locali di tutta l'Africa senza contare quella nella stessa opinione pubblica inglese che, quanto al nostro ritorno nelle ex colonie, è molto divisa.

Io garantii che, per quanto sapevo, il mio Governo era perfettamente conscio di questi pericoli e che avrebbe in ogni modo cercato di dirigere la stampa e l'opinione pubblica in modo che una tale notizia non dovesse degenerare in atteggiamenti che avessero potuto sempre più rendere difficile quella cooperazione con la Gran Bretagna nelle colonie, che ci era indispensabile. A proposito di tale collaborazione ripetei anzi quanto già avevo detto a Bevin: che cioè sarebbe stato augurabile che una soluzione parziale del problema delle nostre ex colonie fosse presentata al pubblico italiano come un principio di una nostra reale partecipazione a tutto lo sviluppo delle risorse africane in unione con le altre nazioni che già vi lavoravano e vi hanno lavorato a beneficio comune degli africani e dell'Europa. Mi pareva importantissimo che le parole «ritorno in Africa» potessero essere subito interpretate in Italia non come una ripresa di posizioni politiche ormai superate, ma come inizio di un nuovo e più vasto piano di civilizzazione e di lavoro. «Date agli italiani possibilità di lavoro e di pane e le vacue promesse del nazionalismo perderanno ogni senso e ogni vana suggestione sul nostro popolo».

Sento che su questa linea sono in perfetto accordo con V.E. Abbiamo attraversato insieme troppo lunga parte della storia d'Italia per non comprendere che il massimo degli errori sarebbe di lasciare che le terribili esperienze che abbiamo fatto partendo proprio dalle false posizioni del colonialismo possano essere ripetute domani da uomini più amanti delle loro grandi frasi retoriche che non coscienti delle responsabilità verso l'avvenire del nostro paese4 .

355 3 Vedi D. 428. 356 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Del 24 agosto, con il quale Gallarati Scotti aveva riferito in sintesi circa il colloquio avuto con Sargent in base alle istruzioni impartitegli col D. 338 e di cui al presente documento. Vedi anche D. 348.

356 3 Vedi D. 338.

356 4 Per la risposta vedi D. 369.

357

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 11422/424. Londra. 26 agosto 1948, ore 21 (per. ore 7,40 del 27).

Massigli è venuto oggi a mettermi al corrente di nuovi sviluppi questione libica. Mentre sinora Gran Bretagna insisteva per vedere decisione per il momento solo su trusteeship Cirenaica, aderendo per Tripolitania alla tesi di rinvio alle Nazioni Unite, ultime conversazioni tra Massigli e Bevin avrebbero portato seguente progetto cui aderirebbero Stati Uniti: nella impossibilità ottenere consenso sovietico alla ripartizione della Libia, tre Alleati occidentali si accorderebbero per orientare loro ulteriore azione all'Assemblea delle Nazioni Unite affinché si giunga a decidere quale regime transitorio debba installarsi in Tripolitania in attesa che entro periodo da destinarsi questa sia affidata in trusteeship all'Italia.

Si proporrebbe trusteeship britannico per Cirenaica. Fezzan (quantunque su ciò Massigli sia stato molto reticente) andrebbe alla Francia. Nel periodo transitorio si vorrebbe garantire ritorno profughi italiani in Tripolitania e nomina nostro rappresentante ufficiale. Massigli chiede conoscere d'urgenza e in via assolutamente riservata nostro parere su progetto ed eventuali suggerimenti circa attuazione regime provvisorio per sua norma in ulteriori conversazioni a tre.

Dato che Massigli non è sempre del tutto preciso cercherò confermare sue informazioni1 che trasmetto per ora con riserva ma prego nel frattempo farmi conoscere pensiero di V.E. in proposito2 .

358

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MADRID E PARIGI E ALLE LEGAZIONI A BRUXELLES, LISBONA E STOCCOLMA

TELESPR. RISERVATO 24698/c. Roma, 26 agosto 1948.

È noto a V.E. l'interesse con cui una parte importante della nostra opinione pubblica e soprattutto talune categorie direttamente interessate seguono l'attuale fase dell'evoluzione economica culturale e quindi anche, in senso lato, politica dell'America latina e le possibilità che da tale evoluzione derivano per l'Italia.

357 1 Vedi D. 373. 2 Per la risposta vedi D. 366.

Il problema presenta caratteristiche sostanzialmente analoghe per tutti i paesi dell'Europa occidentale che vi sono tradizionalmente interessati. Riuscirebbe pertanto utile conoscere quale sia, nelle sue linee generali, l'orientamento di codesto paese al riguardo nonché quali siano le manifestazioni più salienti e concrete attraverso cui tale orientamento si esplica.

Sulla questione sono anzitutto da tenere presenti taluni dati di fatto che hanno acquistato uno speciale rilievo nell'attuale periodo postbellico e fra i quali basti citare: lo sviluppo economico sia in atto sia potenziale dei paesi latino-americani e, reciprocamente, lo sconvolgimento economico causato in Europa dalla guerra; in relazione a tale fenomeno, la necessità di assistenza tecnica ed organizzativa in cui si trovano tali paesi; il loro maggiore potere di assorbimento di mano d'opera e, rispettivamente, la necessità di intensificare la emigrazione da vari paesi europei; l'aspirazione di taluni paesi latino-americani a prendere parte alla politica mondiale, sia pure in forma per ora generica ed embrionale; il consolidamento del sistema panamericano e il suo peso negli organismi internazionali; la necessità di armonizzare le esigenze di tale sistema con le relazioni fra l'Europa e l'America latina, ecc.

Appare chiaro ai più attenti osservatori di tali problemi che l'ascesa dell' America latina costituisce un fenomeno storico di progressivo sviluppo e che esso può rappresentare in certa misura uno sbocco alle necessità presenti e sopratutto a quelle future dell'Europa. È in questo quadro d'insieme che riusciranno utili gli elementi e le considerazioni che codesta ambasciata (legazione) potrà raccogliere ed esporre al riguardo.

È noto poi che esistono costà tradizionalmente istituzioni e che vengono prese iniziative dirette a sviluppare i rapporti con i paesi latino-americani; tali istituzioni si possono grosso modo riassumere come segue:

-attività di carattere economico-finanziario (camere di commercio ed altri istituti analoghi; speciali organismi bancari; compagnie miste o specializzate nei rapporti con l'America latina in materia commerciale, assicurativa, di trasporti, ecc.).

-Attività di carattere culturale (istituti di cultura; scuole, università e accademie; scambi di insegnanti, studiosi e alunni; cicli di conferenze; iniziative varie nel campo del teatro, del cinema, delle arti figurative ecc.).

-Attività di stampa (speciali servizi di agenzie informative; trasmissioni radio; notiziari cinematografici ecc.).

-Attività direttamente o indirettamente politiche (visite di personaggi ufficiali; accordi di carattere vario, di larvata ispirazione politica, comitati interparlamentari ecc.).

Si tratta di tutta una vasta e complessa materia che può costituire nel suo insieme, ove diligentemente raccolta ed oculatamente vagliata, un utile mezzo di documentazione ed orientamento.

Sarà pertanto gradita un'esposizione schematica degli elementi suindicati nonchè ogni considerazione che V.E. credesse opportuno svolgere circa altri eventuali aspetti della questione.

359

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 26 agosto 1948.

Ho partecipato presso il signor Zellerbach ad una riunione cui erano presenti il ministro di Grecia (Capsalis) e vari funzionari dell'ambasciata degli Stati Uniti.

V.E. ricorderà che il Governo ellenico aveva, or è qualche tempo, impostata la questione delle riparazioni in modo per noi non accettabile. Ci si richiedeva di pagare tutto in anticipo (107 milioni di dollari) ma non già nelle condizioni previste dal trattato bensì fornendo noi anche le materie prime, e anzi addirittura, taluni prodotti agricoli che di solito noi vendiamo all'estero in dollari.

D'accordo coi ministri Berio e Guidotti ebbi a lanciare una proposta: che le richieste greche venissero modificate e che le materie prime per eseguirle venissero fomite alla Grecia dall'E.R.P.: così-ebbi a dire agli americani, convincendoli-lo spirito informativo dell'E.R.P. (aumentare la capacità produttiva dell'Europa) sarà rispettato, saranno aiutati insieme due paesi (noi per il lavoro e la Grecia per i prodotti) e la stessa quantità di dollari troverà un doppio impiego.

Scopo della riunione presso Zellerbach era appunto di dar vita pratica a tale progetto. Sostenni: -che l'Italia per ragioni politiche non si opponeva al soddisfacimento anticipato delle riparazioni alla Grecia;

-che per rendere ciò accetto al Parlamento ed evitare che analoga richiesta ci venga rivolta da altri paesi (U.R.S.S., Jugoslavia, Albania, Etiopia) era necessario che vi fosse un vantaggio per noi;

-che questo vantaggio poteva consistere: o in una riduzione del quantum; o nell'eseguire lavori che impiegassero nostre ditte e maestranze in Grecia (elettrificazione del Peloponneso: ricostruzione del porto del Pireo, ecc.): o che una parte di lavoro venisse pagata dai greci;

-che ci venissero fomite le materie prime. Il richiederlo era compito greco e non nostro. Se una tale richiesta dovesse essere avanzata come aiuto supplementare alla Grecia, o inserita nel programma già presentato, non ci riguardava;

-che il miglior sistema sembrava consistere nell'informare il Governo ellenico ad opera della sua legazione e Harriman ad opera del signor Zellerbach. Se il Governo greco era d'accordo ci avrebbe potuto avanzare una nuova richiesta, sulle basi sopra accennate, riservandosi di confermare le materie prime secondo le quantità corrispondenti agli studi che da parte italiana si sarebbero tosto iniziati.

Così venne convenuto, con viva soddisfazione del ministro Capsalis e del signor Zellerbach. Non resta che attendere dunque gli ulteriori sviluppi della questione.

360

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1020/15396/3135. Parigi, 26 agosto 1948 1•

Mi riferisco al suo dispaccio n. 1207 del 4 corrente2 .

La ringrazio di avere apprezzata la franchezza con cui ho espresso il mio pensiero: ma la ringrazio tanto più in quanto, apprezzando la mia franchezza, ella sopportava anche la vivacità del mio stile. È un mio grave difetto di non riuscire ad esprimere con chiarezza il mio pensiero in uno stile pacato, nonostante gli sforzi considerevoli che faccio -non lo si direbbe, ma è proprio così -per aulicizzare la mia penna.

Indirettamente -e molto cortesemente -ella mi rimprovera di non rendermi conto dello stato dell'opinione pubblica italiana e del fatto che di questa atmosfera gli uomini di Stato italiani debbono tener conto.

Ora tengo è dirle che di questo stato dell'opinione pubblica italiana mi rendo perfettamente conto: e non potrebbe essere del resto diversamente. Uno dei difetti, e non dei minori, del nostro Ministero degli esteri, almeno da quando lo conosco, è quello di non essere mai riuscito ad escogitare un sistema che permetta agli agenti all'estero di essere veramente al corrente, non solo di quello che accade, ma anche di quello che si pensa e si dice in Italia. Ora, se di questo difetto possono soffrire l'ambasciata a Washington ed in larga misura anche l'ambasciata a Londra, lo stesso non si può dire per quella di Parigi, dove il quotidiano contatto con gente di ogni categoria che viene dali 'Italia permette di essere al corrente del pensiero del paese come se si fosse in Italia. Se non ne ho fatto menzione nei miei rapporti era perchè ritenevo dovere, in primo luogo, riferirmi ad una situazione internazionale di fatto di cui, come agente all'estero, era mio dovere riferire esattamente al mio Governo.

Anche se la situazione italiana è delicata, gli Stati Uniti possono permettersi di tener conto soltanto, o quasi, della loro opinione pubblica. Noi invece, nello stato di dipendenza in cui ci troviamo, per infinite ragioni, soprattutto dagli Stati Uniti, non possiamo tener conto soltanto della nostra opinione pubblica, ma dobbiamo tener conto almeno altrettanto di quello che di noi si pensa all'estero. Questo complica molto la vita, lo so: ma è purtroppo molto più difficile essere ministro degli esteri o presidente del Consiglio di un piccolo Stato di quanto non lo sia esserlo di uno grande. Questa considerazione, molto lapalissiana, mi porta ad insistere sulla necessità di una franca spiegazione, specialmente con gli americani.

La conversazione di V.E. con Mallet, cui ella accenna nel suo dispaccio, e secondo quanto mi è stato detto qui -anche una conversazione che Mallet ebbe personalmente con il presidente del Consiglio3 è stata da Londra riferita a Parigi con

2 Vedi D. 284.

3 Vedi D. 247.

questo commento personale di Bevin: «Le dichiarazioni sarebbero estremamente importanti se ci si potesse fidare di quello che dice il Governo italiano: bisognerà stare a vedere se alle parole tengono dietro i fatti». Prego tenere questa informazione come strettamente confidenziale, poichè V.E. facilmente comprende che non l'ho avuta da Schuman. Essa mi sembra però molto significativa dello stato d'animo, o se meglio si vuole dell'incomprensione, che regna a nostro riguardo.

Penso che perfino gli americani si rendano conto della complicazione della situazione interna italiana: quello che ci rimproverano, credo, non è la situazione stessa ma, mi scusi l'espressione, una certa passività del Governo di fronte alla sua opinione pubblica.

Che in Italia si parli di neutralità, di equidistanza, o di cose simili, questo non può sorprendere nessuno, né si potrebbe comunque rimproverarne il Governo italiano. Quello che sorprende, e che ci si rimprovera, è che nessuno si levi in Italia a far sentire una voce in contrario. Con questo non voglio dire che dovrebbe essere, almeno a questo stadio, V.E. o il presidente del Consiglio a prendere pubblicamente posizione. Ma è possibile -e se possibile come è spiegabile -che non ci sia nessuno in Italia che abbia il coraggio sulla stampa, magari anche sulla pubblica piazza, di dire che la neutralità nel caso dell'Italia è una utopia, e che l'Italia deve, se vuol vivere, aderire al Patto occidentale, con tutto quello che esso significa?

L'impressione che si finisce per dare all'estero è che gli italiani siano dominati dalla paura di compromettersi: che ogni singolo italiano abbia come principale preoccupazione di crearsi un alibi politico per il giorno in cui l'Italia possa essere in mano dei comunisti. Come la principale ragione del pessimismo straniero sulle elezioni italiane è stato lo spettacolo ignobile di moltissimi italiani che si preoccupavano solo di far passare all'estero le loro ricchezze e predisporre i mezzi di fuga: così oggi, la principale ragione della diffidenza sulla situazione e per conseguenza sulla politica italiana sta in questa impressione che forse senza rendercene conto stiamo dando, che la maggior parte degli italiani pensino che un Governo comunista è alla fin dei fini inevitabile, e che sia necessario fin da ora salvarsi la pelle evitando di prendere posizione.

Preciso: non è questa l'opinione che si ha dei principali esponenti del Governo italiano: è l'opinione che si ha della massa degli italiani: essa però ha i suoi riflessi sull'opinione che si ha del Governo italiano, perchè ci si domanda se e fino a che punto esso ha la possibilità di sottrarsi a questo atteggiamento dell'opinione pubblica italiana.

Se, durante le elezioni italiane, non ci fosse stato il magnifico esempio di coraggio politico e fisico, dato personalmente in primo luogo dal presidente del Consiglio, esempio che ha trascinato l'opinione pubblica italiana, crediamo noi che ci sarebbe stata intorno all'Italia l'atmosfera di simpatia che c'è stata? Certamente no: ci si sarebbe limitati a write off the ba/ance l'Italia, come lo si è fatto per la Cecoslovacchia di Bendi.

Non vorrei che l 'ultima parte del mio rapporto n. 2821 4 , nel quale indicavo, oltre che la necessità, i mezzi del chiarimento con gli americani fosse frainteso.

Intendevo che bisogna dire agli americani ~e con tutta chiarezza perchè essi non capiscono le tradizionali sfumature del linguaggio europeo ~in via diplomatica e non pubblica, naturalmente: noi siamo decisi a prendere parte al sistema politico militare dell'Europa che si va creando intorno al Patto di Bruxelles: la nostra opinione pubblica, per queste e queste ragioni, non è ancora matura per una decisione del genere: !asciateci il tempo necessario e la libertà di mezzi necessari, per preparare questa opinione pubblica. È probabile che questa nostra dichiarazione sia, al momento attuale, accolta con lo stesso scetticismo con cui l'ha accolta Bevi n. Ma se, una volta detto questo, si comincerà realmente una opera di preparazione della nostra opinione pubblica, allora gli americani cominceranno a crederci e l'equivoco comincerà ad essere chiarito.

L'opinione pubblica italiana ha tutto il diritto di essere disorientata e contùsa: ma separati come noi siamo oggi da tutto il resto del mondo, chiusi in un'atmosfera di provincialismo come raramente nella storia c'è n'è stata l 'uguale, come si può sperare che essa si raddrizzi da sè se non si fa nessuno sforzo per indirizzarla sulla via inevitabile?

Mi permetto di insistere ancora una volta sulla necessità e l'urgenza di questa chiarificazione della nostra posizione nei riguardi dell'America. Non dico questo perchè sono statunitofilo, perchè proprio questo non lo sono: lo dico soltanto perchè noi siamo talmente dipendenti dagli Stati Uniti che non possiamo prescindere per un solo momento dal loro atteggiamento verso di noi. Ora in questi ultimi tempi, in parte forse senza accorgercene, noi stiamo nei loro riguardi troppo giuocando col fuoco. Due sono i nostri punti deboli: uno il piano Marshall con tutto quello che da parte americana si sta ogni giorno più accumulando di nostra inefficienza, mancanza di idee, di piano, eccetera; l'altro l'interpretazione che gli americani continuano a dare alla nostra politica estera. Se noi fossimo perfettamente efficenti sul piano

E.R.P. ci potremmo forse prendere qualche libertà sul piano della politica estera. Se fossimo perfettamente allineati nel campo della politica estera, potremo forse prenderei qualche libertà in campo E.R.P. Ma non essendo né l'uno né l'altro noi andiamo incontro ad una crisi grave, le cui ripercussioni, anche e soprattutto di politica interna possono essere di gravità incalcolabili.

Gli americani stanno procedendo al loro riarmo e stanno precisando le idee circa la difesa del continente europeo. Sul riarmo americano poco posso dire: quanto alla precisazione delle loro idee per la difesa non sarei sorpreso se ci arriveranno più presto di quello che crediamo. Apparentemente ~e sostanzialmente ~si tratta di due fenomeni apparentati: in quanto sarebbe logico che gli americani aspettassero a mettere in esecuzione i loro piani teorici di difesa del continente quando saranno sufficentemente riarmati loro: ma questa è logica europea, non logica americana: il giorno che le loro idee saranno chiarite essi vorranno subito mettere in moto il dispositivo europeo che, un giorno, sarà poi riempito dagli armamenti americani.

Non si arriverà certo a decisioni prima delle elezioni: dopo, il tempo del processo americano sarà, in buona parte, regolato dallo stato delle loro relazioni con la Russia su cui non c'è da farsi troppe illusioni anche se potremo avere, forse, una tregua per Berlino: bisognerebbe che di colpo i russi diventassero realmente molto intelligenti e questo è sperare troppo. Comunque, sarà qualche mese prima sarà qualche mese dopo, ma il giorno in cui gli americani avranno chiarite le loro idee sulla sistemazione europea e la funzione dell'Italia in questa sistemazione, quel giorno gli americani ci diranno, con la loro abituale brutalità, quello che essi si aspettano che noi facciamo e vorranno lo facciamo subito.

So che in Italia hanno ripreso a circolare delle voci su di un preteso disinteresse americano all'Italia: può essere che qualche americano «in grado di riferire» lo abbia anche detto: ma non ci facciamo illusioni in proposito: basta guardare la carta e lo Stato Maggiore americano, durante l'ultima guerra, ha dimostrato di saper guardare la carta, anche se, nell'esecuzione, ha fatto delle bestialità non meno di tutti gli Stati Maggiori europei.

Cosa facciamo, cosa possiamo fare noialtri, il giorno in cui gli americani ci dicano: o l 'Italia aderisce al sistema europeo o cessa di avere gli aiuti E.R.P.? E che un ultimatum in questa forma o presso a poco ci possa arrivare non credo sia solo una manifestazione mia di pessimismo: credo che anche il mio collega di Washington pensi che ciò non sia affatto da escludere.

E questo ultimatum può essere tanto più brutale, se noi non avremo approfittato del tempo che ci sta davanti per chiarire la nostra posizione con gli Stati Uniti. E se, a quel momento, da parte nostra non sarà stato fatto niente per cercare di chiarire certe idee storte che hanno troppo corso in Italia, per fissare nella via inevitabile la nostra atmosfera nazionale, in che razza di tragico pasticcio si troverà il Governo italiano? Nella migliore delle ipotesi si troverà a dover fare in due settimane quel lavore di preparazione psicologica che si sarebbe potuto dosare e scaglionare in parecchi mesi.

Le confesso che tutto questo è il mio incubo costante. Non credo alla guerra immediata: credo purtroppo alla guerra inevitabile anche se a molto più lunga scadenza: ma non ho la minima speranza di vedere cessare o anche soltanto attenuarsi quella che con bell'eufemismo si chiama la guerra fredda: e di questa guerra fredda di cui noi siamo, senza che possiamo farci niente, una delle vittime, io vedo purtroppo i tempi stringersi. Non credo di essere pessimista nel darci un lasso di tempo di non più di qualche mese prima dell'inevitabile decisione: temo piuttosto di essere troppo ottimista. Come V.E. vede, non faccio affatto astrazione del problema italiano interno, anzi è proprio il problema interno che mi preoccupa. Fino a che il malcontento americano nei nostri riguardi si materializza in piccoli dispettucci come la questione della flotta o quella delle colonie, o altre questioni di dettaglio, il male non è grave, almeno non irrimediabile: ma possiamo arrivare. e presto, a molto peggio.

Non creda V.E. che non mi renda conto delle immense responsabilità che gravano, in questo campo, sul Governo italiano: non creda non mi renda conto della grande differenza che esiste fra il consigliare e il decidere. Che non comprenda come in questa situazione nostra difficilissima, tragica vorrei dire, la politica del wait and see non sia escapism, ma soltanto senso della propria responsabilità. La differenza effettiva fra i nostri punti di vista è che io, vedendo gli avvenimenti dal di fuori, temo, credo anzi, che gli avvenimenti se corsent: che il periodo che ci separa ancora dal momento in cui una decisione sarà, non presa da noi, ma più o meno a noi imposta, sia assai più breve di quanto mi sembra almeno in Italia si pensi. Temo quindi che questo momento della decisione possa arrivare prima che noi ci siamo preparati e che possa essere causa per noi, proprio all'interno, di scosse e disturbi assm gravi.

È inutile che le aggiunga che nessuno più di me si augura di sbagliarsi.

360 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

360 4 Vedi D. 255.

361

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 8197/2997. Washington, 26 agosto 1948 (per. il 31).

Il 20 e il 21 corrente il mm1stro americano della difesa, signor Forrestal ha riunito presso il collegio navale di Newport (Rhode Island) i tre segretari dei dicasteri militari e i capi di Stato Maggiore delle Forze armate statunitensi.

Al pubblico la riunione è stata presentata come una delle conferenze periodiche tra i dirigenti responsabili delle Forze armate, di cui si era iniziato il sistema con il Convegno di Key West dello scorso marzo 1 , si sono infatti anticipate altre riunioni ad intervalli di tre o quattro mesi.

In realtà la riunione sarebbe stata indetta in concomitanza con le conversazioni di Mosca sulla questione di Berlino ed in particolare in relazione al timore -qui ad un certo momento diffuso -che le conversazioni stesse potessero bruscamente concludersi senza raggiungere alcun accordo.

La riunione di Newport è stata pertanto dedicata in modo precipuo alla questione di Berlino ed in particolare si sono esaminati i rapporti del capo di Stato Maggiore dell'Aviazione generale Vandenberg e del segretario per l'aria signor Symington, reduci da un giro d'ispezione nella Germania occidentale ed a Berlino. Le relazioni dei due esperti di problemi aeronautici sarebbero state favorevoli alla possibilità di continuare a rifornire Berlino durante l'autunno e l'inverno con quantitativi sufficienti di viveri e combustibili. Secondo i calcoli più ristretti Berlino potrebbe essere infatti rifornita con una media di 4 mila tonnellate giornaliere di viveri e combustibili trasportati per via aerea. Con ciò si potrebbero soddisfare le necessità di vitto e riscaldamento della popolazione dei settori «occidentali» della città.

Secondo calcoli più ottimistici il quantitativo di materiale vario trasportato per aereo potrebbe raggiungere la media giornaliera di 8 mila tonnellate: in questo caso vi sarebbe un discreto margine per rifornire almeno in parte le industrie berlinesi, con il vantaggio di utilizzare gli aerei «di ritorno» per il trasporto di prodotti di esportazione.

Anche il costo delle operazioni di rifornimento aereo di Berlino, considerato qui in un primo momento particolarmente oneroso, sarebbe stato dopo un esame più

532 attento, ritenuto sopportabile: calcolando che dei 250 mila dollari al giorno che vengono attualmente spesi per rifornire Berlino per via aerea, la metà circa dovrebbe essere spesa lo stesso nella manutenzione degli apparecchi e per i salari dei piloti, si è calcolato che l'operazione non dovrebbe comportare uno stanziamento straordinario di più di 100 milioni di dollari per un anno.

Naturalmente, data la recente visita al Canada del signor Forrestal nel corso della conferenza sono stati discussi anche gli argomenti trattati durante la predetta visita (telegramma per corriere di questa ambasciata n. 0122 del 21 corrente)2 .

Si trasmette in allegato copia di un rapporto diretto da questo addetto aeronautico colonello Unia al Ministero della difesa, che contiene alcuni dettagli sul Convegno di Newport ed in particolare sulla parte di esso dedicata ai colloqui del signor Forrestal con le autorità canadesi3.

361 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 416.

362

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON E ALL'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA

T. URGENTE PER CORRIERE 9799/c. Roma, 27 agosto 1948.

(Solo per Londra-Parigi-Washington) Ho comunicato a Mascia quanto segue:

(Per tutti) Pregola rendere noto Segretariato O.N.U. che Governo italiano, nell'intento affrettare pacificazione in Palestina ed agevolare azione che su direttive Consiglio di sicurezza viene svolta dal mediatore, ha deciso associarsi risoluzione per tregua a tempo indeterminato approvata dal Consiglio 15 luglio u.s.

Verranno pertanto emanati provvedimenti necessari per dare attuazione in Italia alle disposizioni derivanti paragrafo 5 predetta risoluzione. S.V. potrà aggiungere che Governo italiano ha dovuto tuttavia rilevare come anche in questa occasione Segretariato O.N.U., pur sapendo di poter fare assegnamento sul nostro volenteroso concorso a qualsiasi azione internazionale diretta assicurare pace anche se con nostro sacrificio, non abbia creduto opportuno rivolgere direttamente previo invito al Governo italiano aderire tregua.

(Solo per Londra-Parigi-Washington). Prego V.E. informare di quanto precede codesto Governo aggiugendo che decisione adottata, per venire anche incontro suggerimento pervenutoci dal Governo americano e pur senza attendere un invito dell'O.N.U., deve considerarsi nuova prova nostra viva preoccupazione per protrarsi di

3 R. segreto 117 del 26 agosto, non pubblicato.

533 una situazione nel Mediterraneo orientale suscettibile dannose conseguenze in Palestina e nei paesi circostanti e che pertanto formuliamo voti che codesto Governo si adoperi nel modo migliore per equa e sollecita soluzione che non esasperi nazionalismi delle parti in conflitto 1•

361 2 Con esso Di Stefano aveva comunicato che le consultazioni di Ottawa si erano incentrate sull'organizzazione di un sistema comune di difesa aerea ed aveva aggiunto che, negli immediatamente successivi colloqui di Pearson a Washington, erano stati trattati anche i temi del sistema difensivo nord atlantico e delle varie questioni in discussione all'O.N.U.

363

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI

T URGENTE PER CORRIERE 9820. Roma, 27 agosto 1948.

Questo Ministero ha seguito con particolare interesse l'opera svolta da codesta rappresentanza allo scopo di tutelare gli interessi italiani in codesto paese gravemente minacciati dai vari provvedimenti di nazionalizzazione.

Come la S.V. del resto ha ripetutamente segnalato, codesto Governo non ha praticamente dato fino a ora seguito ai passi svolti da codesta rappresentanza mettendo in varie circostanze questo Ministero in situazione di imbarazzo nei riguardi degli interessati.

D'altra parte codesto Governo, anche attraverso le segnalazioni della S.V., ha negli ultimi tempi manifestato il desiderio di riesaminare gli attuali accordi commerciali con l'Italia al fine di ampliarli e di assicurare alla propria economia un maggior volume di importanti forniture da parte dell'Italia particolarmente necessarie per la realizzazione dei noti piani economici.

Il Governo italiano vede naturalmente con la massima simpatia ogni sforzo che venga fatto per sviluppare relazioni commerciali in generale -con codesto paese in particolare -ma d'altra parte nella situazione attuale non ritiene compatibile la conclusione di nuovi accordi commerciali con la situazione di disagio per i nostri interessi ai quali è stato fatto cenno più sopra.

La S.V. vorrà quindi nelle forme che riterrà più opportune richiamare vivamente l'attenzione di codeste autorità sulla gravità della situazione e sulla necessità nella quale ci troviamo di considerare come pregiudiziale alla intensificazione dei rapporti commerciali un sostanziale e concreto mutamento nell'attegiamento seguito fino ad oggi nei confronti dei nostri interessi.

Analoghe comunicazioni verranno fatte in via breve a questa rappresentanza.

Prego telegrafarmi 1•

362 1 Per la risposta di Mascia vedi D. 411.

363 1 Con T. 12296/62 del 12 settembre Guamaschelli comunicò di aver eseguito le presenti istruzioni. Per il seguito della questione vedi D. 416.

364

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. 42/02878. Roma, 2 7 agosto 1948.

Riferimento: rispondo ai due rapporti di V. E. n. 300 l e 3002 del 19 agosto 1•

Quanto alle intese dirette fra interessati, appunto perché comprendo appieno le sue preoccupazioni, e anzi le condivido, non posso che ripetere che tutto è stato fatto per favorirle, quando possibile.

L'incontro dei metallurgici non va considerato à coté della Commissione mista: esso è su di un piano differente. La Commissione infatti ha il compito di redigere il programma governativo, sulla base anche delle consultazioni nel frattempo intervenute fra le autorità dei due Governi e gli interessati: per contro i metallurgici dei due paesi dovranno -o meglio dovrebbero -porsi d'accordo per rendere possibile il voto favorevole da parte dei Parlamenti al programma quando esso verrà a essi sottoposto. È quindi difficile determinare quale sia come ella dice «il fumo e quale l'arrosto», poiché si tratta di due cucine diverse.

Rilevo anche che V.E. teme che i metallurgici non si pongano d'accordo. Ciò è purtroppo possibile; ma il Governo italiano ha tutto fatto per evitare tale eventualità. Ha fatto il Governo francese altrettanto nei riguardi dei suoi industriali? Evidentemente no, forse perchè non può neanche farlo; ma non vedo come su questo possa influire il Governo italiano e che cosa questo ultimo possa fare di più.

Le grandi difficoltà sono da prevedere nel settore dell'agricoltura: e là, gli incontri (ne hanno avuto luogo tre) danno risultati tutt'altro che incoraggianti, perchè non va dimenticato che vi sono ostacoli assai forti anche da parte degli agricoltori italiani. Per conseguenza il problema si sposta. È superfluo chiedersi se sarebbe o non preferibile che le intese di categoria debbano o meno precedere le decisioni governative, perché su tale punto, in via teorica, non si potrebbe che essere d'accordo: è da chiedersi se, in via pratica, tali intese sono suscettibili di essere raggiunte e sopratutto quali mezzi abbia il Governo (se si eccettua la legge che approvi l'Unione) per farle riuscire.

Ciò, senza neppur porsi la domanda se incontri fra gruppi non favorevoli non siano destinati piuttosto a scoraggiare che ad incoraggiare. Infatti quanto V.E. dice circa il •<Patronat français» che ha avuto dei dubbi maggiori proprio dopo aver parlato con la delegazione italiana, non può che avvalorare i nostri timori.

Per nostra parte in Italia si è fatto molto per chiamare l'opinione pubblica ad interessarsi della questione. Molte sono state le conferenze tenute a tale uopo presso i gruppi industriali di Roma, Milano, Torino, Alessandria: molti gli articoli di riviste

e di giornali (/l Globo; 24 Ore; Politica Internazionale, Vita Economica, eccetera); molte le inchieste rivolte per scritto ai maggiori esponenti dell'economia italiana; e persino una indagine compiuta secondo il metodo Gallupp ad opera dell'Unione delle Camere di commercio, senza contare i convegni speciali, tra i quali quello prossimo di Torino. Non una volta la nostra delegazione ha mancato a Parigi di dare interviste e di parlare alla stampa; e sono state gettate persino le basi per un Comitato privato di divulgazione, del quale faranno parte A. Pirelli, l'ing. Giustiniani (Temi) l'ing. Faina (Montecatini) il dottor Marzotto (Lanieri) ecc.

Tutto questo si rammenta non già per chiedere se non si sia fatto altrettanto, ma per dimostrare che al Governo la necessità di uscire dai chiusi ambienti della burocrazia non è mai sfuggita.

Quanto all'adeguamento dei programmi di lunga durata, V.E. sa che ero d'accordo su tale necessità, che del resto la nostra delegazione a Parigi ha già sostenuto. Le nostre amministrazioni ne sono già state informate e verranno costantemente tenute su tale linea. Il Ministero degli esteri non può far di più, perché non ad esso incombe la formulazione dei programmi italiani. In tal senso quindi V.E. può esprimersi sia in seno alla rappresentanza francese dell'O.E.C.E. sia ogni qualvolta le potrà parere utile. Naturalmente, l'adeguamento dei programmi è questione che può svolgersi al lato ed anche successivamente alla redazione del programma governativo di applicazione dell'Unione, che si tratta ora di stabilire: ma non può precedere o, meglio, sostituirsi a quest'ultimo. Si tratta anche qui di questioni poste su due piani diversi, le quali meritano ambedue la più grande attenzione, ma che comandano due diversi metodi di lavoro. In altre parole non è soltanto attraverso l'adeguamento dei programmi che si arriverebbe all'Unione per quanto l'adeguamento sia utile per arrivare alla legge dichiarativa di essa e addirittura indispensabile dopo.

Ciò vale in risposta anche al rapporto n. 164 della delegazione presso I'O.E.C.E.2•

Quanto alle conseguenze politiche, nessuno in Italia ha mai dubitato che una unione economica, è più o meno sostanzialmente una unione politica, con tutti i suoi vantaggi e le sue conseguenze oggi tanto più sostanziali, in quanto la Francia ha dei legami più precisi e più stretti con l'Unione Occidentale. Noi vogliamo l'unione economica e per ragioni politiche e per ragioni economiche: e possiamo anche renderei conto che da parte di codesto paese si marci più decisamente su questa strada solo perché si spera o si conta di non riservare a noi la parte del cavaliere. Ma il tempo -tutto sommato -lavora per noi e le parti, a lungo andare, potrebbero invertirsi. Oggi, intanto, chi economicamente ci guadagna è l 'Italia, la quale, del resto, può trovare anche comoda questa via per marcare un più deciso orientamento nella sua politica generale.

Quello che mi preme perciò ella sappia è che il Governo fa di tutto e farà di tutto, conscio che il cammino è irto di difficoltà e che nessuno degli organi respon

sabili italiani se le nasconde. Se essi evitano di sottolinearle troppo è anche per non aver l'aria di cercare scuse se, malauguratamente, le cose non andassero come desideriamo fermamente che vadano, il che, beninteso, confido non avverrà.

364 1 Vedi DD. 331 e 332.

364 2 Non rinvenuto.

365

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE LEGAZIONI A BEIRUT, IL CAIRO, DAMASCO E GEDDA

T. 9802/c. Roma, 28 agosto 1948, ore 3.

Secondo notizie stampa Lega araba avrebbe denunciato a Governi Stati arabi connivenza autorità italiane con sionisti e invitato predetti Governi rivedere loro atteggiamento verso Italia.

È bene ella chiarisca costì che Italia ha aderito volontariamente (ripeto volontariamente perchè non ne era tenuta non essendo membro O.N.U.) a risoluzione Consiglio Sicurezza circa tregua. Nessuna clausola tale risoluzione vieta normale funzionamento linee navigazione con porti palestinesi e arabi e dispone solo divieto trasporti armi e combattenti verso tali porti. Trasporti clandestini di armi per la Palestina si sono avuti dall'Italia come da ogni altro paese, ma è notorio che tutti Stati arabi acquistano in Italia grosse partite armi con tacito nostro consenso. Lo stesso Azzam Pascià ha qui inviato suoi agenti a tale scopo. È altresì noto che tratteniamo in Italia oltre ventimila ebrei provenienti da Europa orientale e diretti Palestina nonostante loro presenza qui sia indesiderabile da ogni punto di vista e, nonostante scarse forze disponibili, cerchiamo impedire loro ulteriore afflusso d'oltre frontiera. È anche noto, che, nonostante nostri notevoli interessi nel litorale palestinese, non abbiamo ancora riconosciuto Stato d'Israele come hanno fatto altri paesi che Lega araba si guarda bene dall'accusare e dai quali vengono dati a sionisti ingenti aiuti di ogni genere. Come ella sa abbiamo anche fatto presente a varie potenze opportunità, in caso spartizione Palestina, tener nel dovuto conto anche interessi altri Stati arabi oltre quelli Transgiordania. È infine di questi giorni invio grossa partita olio italiano, a richiesta Bernardotte, verso paesi arabi. Tutto ciò abbiamo fatto e siamo disposti continuare a fare per spirito amicizia verso codesti paesi. Ma se Lega araba, per ragioni non molto chiare, e misconoscendo nostro apporto causa araba, va cercando farfalle sotto arco Tito saremo noi a rivedere nostro atteggiamento. Riferisca 1•

365 1 Per le risposte da Beirut e Damasco vedi DD. 371 e 372. Fracassi, che aveva già riferito sull'argomento con il D. 367 incrociatosi con il presente telegramma, confermò (T. 11562/181 del 29 agosto) il riconoscimento del Governo egiziano della politica amichevole dell'Italia e dell'infondatezza delle notizie apparse sulla stampa. Dali' esame della corrispondenza telegrafica non risulta che Gedda abbm risposto.

366

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 9850/344. Roma, 28 agosto 1948, ore 21.

Suo 424 1•

Per Tripolitania dovrebbe secondo noi prendersi come punto di partenza relazione Commissione inchiesta che ha messo in luce da un lato desiderio popolazioni ottenere indipendenza dall'altro loro immaturità attenerla attualmente. Pertanto dovrebbe venir deciso periodo amministrazione fiduciaria che, per stesse considerazioni contenute in altra parte relazione e che riconoscono meriti da noi acquisiti, dovrebbe venire affidata ad Italia come potenza meglio indicata. In attesa mandato definitivo si potrebbe, nel breve periodo transitorio, consentire a Governo italiano concordare con rappresentanti qualificati popolazioni, sotto controllo O.N.U., termini amministrazione fiduciaria che verrebbero poi approvati da O.N.U. stessa2 .

367

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11560/180. Alessandria, 28 agosto 1948, ore 22,48 (per. ore 9 del 29).

Da indagini svolte mi risulta notizia secondo la quale Lega araba avrebbe chiesto paesi arabi di rivedere relazioni con l'Italia causa contrabbando verso la Palestina è stata originata da un abbozzo di progetto preparato tempo fa dagli uffici del Segretariato della Lega, dopo peraltro senza alcun seguito.

Solo avantieri quotidiano Ahram ne era venuto a conoscenza attraverso indiscrezioni, e aveva pubblicato notizia come si trattasse di decisioni già prese dal segretario generale.

È da rilevare atteggiamento fermo ed amichevole assunto sia da questo presidente del Consiglio che da ministro degli affari esteri i quali hanno subito ufficialmente smentito notizie in termini energici ed amichevoli per l'Italia (mio telegramma 177) 1 .

2 Con successivo telegramma (T. s.n.d. urgentissimo precedenza assoluta 9896/346 del 30 agosto) Sforza raccomandava a Gallarati Scotti di dire a titolo personale a Massigli che «qualunque soluzione si adotti, dovrebbe costituire per tutti un obbligo ed un interesse morale e politico decidere immediato ritorno di tutti i nostri profughi non solo in Tripolitania ma in Cirenaica e altrove».

Ministro affari esteri, che ho visto oggi, e che ho ringraziato per sue dichiarazioni, mi ha confermato che notizia di pretesi passi paesi arabi verso Italia eragli in precedenza del tutto sconosciuta. Avendola letta nei giornali, ne aveva intrattenuto Azzam Pascià, il quale spontaneamente aveva redatto dichiarazione trasmessa con mio telegramma n. 177.

Khashaba Pascià ha aggiunto essere a conoscenza attività sionista che si esercita in tutti paesi, non escluso lo stesso Egitto. Ha tenuto a sottolineare che, date amichevoli relazioni esistenti con Italia e che egli intende coltivare ed incoraggiare al massimo, sarebbe stata «una vera ingratitudine» indicare l'Italia come solo responsabile del contrabbando esercitato dai sionisti.

In definitiva indiscrezioni giornalistiche hanno avuto risultati favorevoli in quanto da un lato hanno obbligato questo Governo a prendere ufficialmente posizione, riconoscendo cordiali rapporti italo-egiziani e sforzi Governo italiano limitare contrabbando; d'altro Jato articolo ufficioso del Popolo di ieri perfettamente intonato ed ampiamente divulgato stampa locale (mio telegramma 178)2 , ha messo opportunamente in luce imparzialità italiana riguardo conflitto palestinese.

366 1 Vedi D. 357.

367 1 Del 27 agosto, con il quale Fracassi riportava le seguenti affermazioni di Azzam Pascià: «La Lega araba non nutre alcun risentimento particolare contro l'Italia: tutto al contrario, essa ben conosce le buone intenzioni del Governo italiano e suo desiderio intrattenere le migliori relazioni con i paesi arabi, come sa che il Governo italiano non ha mai mancato di riservare una buona accoglienza a tutte le domande che gli sono state rivolte in argomento».

368

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11541/60-61. Osio, 28 agosto 1948, ore 17,30 (per. ore 24).

Mi è stato detto da questo ministro degli affari esteri che nella riunione che si terrà prossimamente a Stoccolma da parte dei ministri degli affari esteri scandinavi, essi oltre all'atteggiamento concreto comune nella prossima Assemblea dell'O.N.U. specialmente in vista di una possibile candidatura norvegese al Consiglio di sicurezza, discuteranno ed approveranno la costituzione di un organo speciale che si propone l'esame in comune dei problemi militari e giudiziari. Il sig. Lange in via assolutamente riservata ha aggiunto che le discussioni preliminari in questa materia hanno di nuovo fatto rilevare le divergenze fra l'atteggiamento di neutralità svedese ad ogni costo ed il noto punto di vista nettamente occidentale della Norvegia.

Alla fine si è giunti ad un compromesso -del quale peraltro non verrà fatto cenno alcuno nel comunicato ufficiale -nel senso che avranno la precedenza nell'esame i problemi militari che potrebbero derivare da un eventuale atteggiamento neutrale comune a tutti i paesi scandinavi: detto esame dovrà essere termi

nato per gennaio prossimo. La detta clausola è stata anche chiesta ed ottenuta dalla Norvegia poiché si ha qui la convinzione che subito dopo la installazione del nuovo presidente americano nel prossimo gennaio saranno affrettati e condotti a termine i negoziati attualmente in corso per un patto militare dell'Atlantico del Nord. Il Governo norvegese, per quell'epoca, non vedendo altra strada se non quella di aderire a quel patto e prevedendo che la Svezia rimarrà anche allora fedele al proprio principio di neutralità, desidera di poter provare alla propria opinione pubblica che ha esaminato anche la possibilità di un accordo militare con Stoccolma al di fuori di ogni impegno con le potenze occidentali prima di separare la politica norvegese da quella svedese.

367 2 Del 27 agosto, non pubblicato.

369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 9895/345 1 . Roma, 29 agosto 1948, ore 20,30.

Ho visto rapporto del 252 dopo telegrafato stamane mia risposta personale3 . Prego dire Sargent che Governo italiano si rende conto «delle difficoltà e responsabilità che affrontava» quando Somalia ci fosse restituita.

È Governo britannico che non si rende conto che noi sappiamo di non poter tornare in Africa che sorretti dall'amicizia e benevolenza delle potenze di cui saremo mandatari.

È chiaro che ci sentiamo sicuri essere all'altezza del nostro compito appunto perché siamo certi che meriteremo tale amicizia e benevolenza.

Ma a voler amicizia bisogna essere in due: le frasi di Sargent mi fan temere che non si capì costì quanto necessariamente sincero era ciò che dissi a Mallet4 .

Se non mi si voleva far l'onore di credermi si doveva almeno capire che De Gasperi ed io abbiamo abbastanza visione delle cose per sentire che possiamo tornare in Africa solo sorretti dalla meritata fiducia dei nostri mandanti. Aggiungerò che poco colonialista come sono ho desiderato vivamente i mandati perché essi ed essi soli costituirebbero il suggello infrangibile dell'amicizia con Londra che il fascismo ruppe.

Autorizzo parlare in questo senso anche Massigli.

2 Vedi D. 356.

3 Vedi D. 366.

4 Vedi D. 285.

369 1 Minuta autografa.

370

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BUDAPEST, BENZONI

T. PER CORRIERE 9901. Roma, 30 agosto 1948.

Suo 31 1•

Questo Ministero, sentito anche il parere dei dicasteri tecnici, è d'accordo per un riesame dei rapporti commerciali italo-ungheresi che potrebbe avere inizio a Roma verso il 20 di ottobre.

Per impegni precedenti dei funzionari dei Ministeri competenti non è possibile anticipare come è stato richiesto le trattative né trasferirle a Budapest come, secondo comunicazioni ufficiose di questa legazione di Ungheria, sarebbe ora desiderato da codesto Governo.

Per quanto si riferisce agli argomenti che potranno formare oggetto di trattative, mentre questo Ministero concorda per la realizzazione di un nuovo accordo commerciale e di pagamento nonché per la risoluzione dei problemi relativi alle sale cinematografiche ed alle specialità farmaceutiche, per il trattato di commercio, navigazione e stabilimento osserva quanto segue: una trattativa del genere è di sua natura lunga e complessa ed è quindi da dubitare appesantisca e ritardi quella di cui sopra. D'altronde il Trattato di stabilimento del 14 luglio 1928 è sempre in atto fra i due paesi e si tratterebbe di aggiustarlo e modificarlo. Perciò si propone che codesto Governo ci faccia conoscere sin d'adesso, tramite codesta legazione (che potrebbe così utilmente commentarle) le sue idee e le modifiche che credesse di avanzare. A nostra volta potremmo studiarle per presentare eventuali controproposte e stabilire se e quando potrà avvenire il negoziato. Circa proposte risoluzione pendenze carattere finanziario si fa riserva di ulteriori comunicazioni non appena questo Ministero sarà in possesso delle precisazioni preannunziate per corriere.

In relazione alle prossime trattative commerciali si prega V.S. di richiamare vivamente l'attenzione di codesto Governo sulla situazione di crescente disagio nella quale viene sempre più a trovarsi il Governo italiano in conseguenza dei provvedimenti di nazionalizzazione che vengono presi da codesto Governo dichiarando che, per ovvi motivi, i risultati di tali trattative per quanto si riferisce alle nostre possibilità di forniture interessanti l'economia ungherese non potranno non tenere conto oltre che delle contropartite dirette in merci anche delle ripercussioni dei citati provvedimenti di nazionalizzazione. Ciò a meno che nel frattempo da parte del Governo ungherese si siano date concrete prove di buona volontà nei riguardi degli inconvenienti sopra lamentati.

Per riservata informazione della S.V. ed anche perché ne faccia uso, ove lo ritenga necessario se opportuno, si comunica che nei riguardi ad esempio della

Bulgaria e della Romania è stato risposto negativamente a richiesta di trattative per un aggiornamento ed ampliamento degli accordi commerciali esistenti, motivando esplicitamente il nostro atteggiamento con lo sfavorevole trattamento riservato ai nostri interessi in tali paesi dalle misure di nazionalizzazione e che la decisione di massima favorevole presa nei riguardi dell'Ungheria va intesa come una particolare prova di buona volontà da parte nostra alla quale attendiamo venga data adeguata risposta.

Riservomi telegrafare circa proposte italiane per proroga accordi italo-ungheresi denunciati da codesto Governo a decorrere da 15 ottobre p.v. 2 .

Prego telegrafarmi 3 .

370 1 Del 17 agosto, con il quale Benzoni aveva comunicato la proposta ungherese di avviare nel mese di ottobre le trattative oggetto del presente documento.

371

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO PER CORRIERE 11674/041. Beirut, 30 agosto 1948 (per. il l o settembre).

Telegramma ministeriale 9802/c. del 28 agosto'.

La notizia della «riconsiderazione» dei rapporti con l'Italia da parte della Lega araba era stata pubblicata, e messa in particolare evidenza, da tutta questa stampa. In uguale evidenza è stata messa la susseguente smentita.

Tale smentita è stata confermata anche dalla legazione del Libano al Cairo, alla quale questo Ministero degli esteri aveva subito telegrafato. Il segretario generale Fuad Ammoun mi ha tuttavia detto che, malgrado la smentita «il y a peut ètre, là dedans, quelque chose qui cloche».

Ho oggi intrattenuto in proposito questo ministro degli esteri, Hamid Frangié, consegnandogli anche un appunto in cui ho elencato gli argomenti esposti nel sopracitato telegramma di V.E. Frangié come era prevedibile, ha convenuto su tutto.

«Noi libanesi siamo ~egli ha detto ~forzati a viaggiare nello stesso vagone con gente molto presuntuosa e poco intelligente, ma non mancheremo di farci sentire, come abbiamo fatto già altre volte e spesso con considerevole successo».

Gli ho nuovamente fatto presente la necessità di evitare, nell'interesse comune, che vengano artificiosamente turbati i rapporti fra noi e gli arabi. Ed ho soggiunto che se l'Italia non ha oggi una sua forza materiale ha però certamente una sua forza

· Con T. 12459/37 del 15 settembre Benzom comumco l'accettaziOne da parte ungherese della sede di Roma e della data del 20 ottobre per l'inizio delle trattative commerciali. 371 1 Vedi D. 365.

542 morale che gli arabi non si possono permettere il lusso di ignorare o di sottovalutare. Mi ha subito e calorosamente risposto di essere più che convinto di ciò, aggiungendo di dover, fra l'altro, ammettere che una presa di posizione dell'Italia contraria agli arabi può nuocere assai alla causa di questi ultimi «anche perché essa influenzerebbe, fra l'altro, l'atteggiamento degli Stati sud-americani sul cui eventuale aiuto all'O.N.U. la Lega conta molto ed alla cui opinione qui si tiene assai, a causa soprattutto delle numerose collettività arabe colà stabilite».

Ha particolare commentato l'argomento relativo ai nostri suggerimenti per una eventuale spartizione della Palestina (telespresso ministeriale 1214 del 7 agosto)2 , dicendo che le nostre concezioni in merito alla soluzione del problema palestinese «sono le più serie e le più realiste che gli siano state presentate finora» ma che esse saranno probabilmente inapplicabili a causa delle incessanti beghe e gelosie fra i membri della Lega. Frangié mi ha incaricato di assicurare V.E. che non mancherà di richiamare seriamente l'attenzione del Consiglio della Lega su tutta la questione dei rapporti con l 'Italia ed ha ripetuto quanto mi ha detto giorni addietro circa suoi intendimenti in favore della nostra tesi sulla questione delle nostre colonie (mio telegramma per corriere n. 038 del 25 agosto)3 . Egli non sa tuttavia quando il Consiglio si riunirà.

Frattanto telegraferà al Cairo; non al ministro del Libano Sami Khoury, persona colà poco grata, ma a Takieddine Solh, intelligente ed attivo rappresentante del Libano presso la Lega, affinché sia fermamente affermato il desiderio del Libano di evitare che i rapporti con l'Italia abbiano ad essere turbati. Ha concluso dicendo che l'esame tecnico del noto progetto di Patto d'amicizia procede nel modo migliore e pregandomi di assicurare personalmente V.E. che egli si considera sempre a nostra disposizione per qualunque cosa possa esserci utile o gradita.

370 2 Di tale decisione ungherese, motivata dalla necessità di riesaminare gli accordi commerciali con l'Italia, Benzoni aveva dato comunicazione il 23 luglio (T. per corriere 9933/038). A tale proposito Grazzi telegrafò (T. 11818/61 del 16 ottobre) che si era proceduto allo scambio di note con la legazione di Un~heria per prorogare l'accordo commerciale fino al 15_ ~icembre. .

372

IL MINISTRO A DAMASCO, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 11788/1526. Damasco, 30 agosto 1948 (per. il 3 settembre).

Telegramma V.E. n. 9802 del 28 agosto 1 e mio n. 39 del 30 agosto 2 . Ho avuto oggi un lungo colloquio col sig. Barazi, ministro degli esteri in Siria.

3 Vedi D. 355.

2 Riferiva circa l 'accoglimento da parte siriana della richiesta italiana di voto al proprio delegato alla Banca di Bretton Woods. Tale accoglimento veniva condizionato all'approvazione del presidente della Repubblica e del capo di Governo, approvazione che sarebbe intervenuta dopo pochi giorni (T. 11876/42 del 4 settembre da Damasco).

Fondandomi sulle chiare direttive del telegramma di V.E. n. 9802/c. del 28 corrente ho fatto notare che, nelle relazioni italo-siriane, da parte italiana non v'erano che gesti amichevoli, quali i suggerimenti circa la spartizione della Palestina; la istituzione di una legazione d'Italia a Damasco non condizionata, per ora, a reciprocità da parte siriana; la nostra spontanea adesione alla risoluzione del Consiglio di sicurezza circa la tregua, da cui avremmo potuto esimerci, non facendo parte dell'O.N.U., con infiniti vantaggi di ogni genere; infine, il dono della partita di venti tonnellate d'olio a beneficio dei profughi palestinesi.

Da parte siriana, invece, eravamo dolorosamente sorpresi di vedere calunniose notizie a nostro riguardo troppo spesso e senza discernimento accolte dalla stampa siriana e gli inspiegabili ripetuti interventi contro di noi del delegato siriano all'O.N.U. Faris el Khoury, nella questione, per noi delicatissima, di Trieste (suo telegramma 27 del 5 agosto) 3 .

Alla questione della denunzia del segretario della Lega araba Azzam Pascià, abbiamo accennato solo di sfuggita, data la formale smentita intervenuta nel frattempo.

In queste condizioni era ben comprensibile che il Governo italiano si attendesse da quello siriano qualche gesto chiarificatore che ristabilisse a nostro vantaggio la bilancia politica italo-siriana, così decisamente deficitaria per la Siria, in vista della prosecuzione della attuale amichevole politica italiana.

Chiedevo quindi, in particolare, a nome del Governo italiano: a) l'assicurazione della concessione del voto siriano ai delegati italiani alle prossime elezioni alla Banca e Fondo internazionali di Bretton Woods; b) l'assicurazione che il delegato siriano all'O.N.U. avrebbe da ora in poi assunto un atteggiamento non solo non ostile, ma consono a quello dell'Italia verso la Siria.

Ho ottenuto dal ministro l'assicurazione che l'una e l'altra cosa sarebbero state fatte al più presto, non appena, nei prossimi giorni, egli avesse avuto la relativa approvazione dal presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio, temporaneamente assenti.

371 2 Vedi D. 296.

372 1 Vedi D. 365.

373

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 11649/427. Londra, 31 agosto 1948, ore 20,55 (per. ore 8 del l o settembre).

Mio 424 1 .

Ho chiesto a Massigli di dirmi francamente se avevo ben compreso che progetto di cui mi aveva parlato ultima volta potevasi riassumere in poche parole come segue: n eli 'impossibilità trovare accordo a quattro sulla Libia, Stati Uniti, Gran Bretagna e

373 1 Vedi D. 357.

Francia ne proporrebbero, spartiziOne assegnando Cirenaica all'influenza inglese, Fezzan alla francese e Tripolitania alla italiana. Massigli confermò e mi fece capire essere quasi intermediario anche degli altri due supplenti occidentali per conoscere nostre osservazioni.

In base istruzioni VE.2 misi bene in evidenza che Governo italiano non avrebbe potuto accettare formalmente rinuncia a parte delle legittime richieste già avanzate. Tuttavia di fronte ad una decisione dei tre atteggiamento italiano sarebbe molto dipeso dal modo e dal quadro generale entro cui si sarebbe realizzato questo riassetto dell'Africa mediterranea. Naturalmente insistei sulla impossibilità per il Governo abbandonare alla loro sorte interessi italiani anche in quei territori che tale riassetto dovesse sottrarre all'Italia (suo 346)3 .

Massigli mi rispose comprendere benissimo come non vi potesse essere accettazione aperta di una rinuncia.

Ciò che alleati speravano era che qualora progetto per Libia venisse effettivamente avanzato e discusso ci si rendesse conto che nelle circostanze era quanto di meglio si poteva ottenere per Italia visto anche che il non presentarsi con formula concreta e tripartita alle Nazioni Unite avrebbe potuto originare gravi sorprese.

In conclusione mi parve che per bocca di Massigli ci fosse espresso suggerimento di non lavorare su linee troppo intransigenti nell'ambiente delle Nazioni Unite contro eventuale soluzione sia pure non del tutto favorevole ma che però ci assicurava possibilità ritorno in Tripolitania, ritorno che lo stesso Massigli aveva visto sino a qualche giorno fa come molto improbabile.

Comunque specie per quanto riguarda procedura siamo tuttora piuttosto nel vago.

372 3 Non pubblicato.

374

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11647/294. Mosca, 31 agosto 1948, ore 23,03 (per. ore 8 del l o settembre).

A firma an. La Malfa.

Al termine seconda settimana trattative posizioni due delegazioni si possono riassumere come segue:

l) Trattato di commercio e navigazione. Sovietici sostengono formulazione generica e illimitata clausola nazione più favorita e finora oppongono resistenza ai principali punti da noi sostenuti sia per quanto concerne trattamento del nazionale per tasse interne su prodotti importati, per trasporto persone e cose e per marina

3 Vedi D. 366, nota 2.

mercantile, sia circa limiti alla clausola nazione più favorita contenuti progetto italiano in relazione a unione doganale, agli accordi multilaterali, ecc. ecc., sia infine per una formulazione dei diritti di stabilimento che ammetta reciprocità in concreto. Altre discrepanze piuttosto notevoli sono sorte circa formulazione statuto rappresentanza sovietica e clausole arbitrali.

2) Riparazioni. Non è finora superato contrasto tra tesi sovietica e italiana per beni italiani in Ungheria, Bulgaria e Romania. Circa riparazioni produzione corrente, progetto sovietico fattoci pervenire sabato scorso prevede macchinoso e complesso sistema controllo per esecuzione dette forniture nonché commissione riparazioni, simile a quelli imposti Finlandia e altri paesi zona d'influenza sovietica.

Delegazione italiana prossima seduta non mancherà respingere tali proposte e contrapporre procedura in armonia principi stabiliti a Roma prima nostra partenza. Per quanto riguarda varie categorie qualitative prodotti che dovrebbero costituire questo settore riparazioni, sovietici hanno presentato richieste di navi piccolo tonnellaggio, motori Diesel, locomotori elettrici, impianti per produzione cuscinetti a sfera, impianti per produzione tubi cemento amianto, macchinari per impianti frigoriferi, cuscinetti a sfera nonché zolfo, mercurio, piriti, fibre articiali Viscosa; tal i richieste non dovrebbero sollevare particolari rilievi in rapporto ai nostri impegni di carattere internazionale, salvo impianti la cui richiesta è stata da noi respinta trattandosi prodotti che non rientrano nella definizione «produzione corrente» contenuta nell'art. 74 del trattato di pace.

3) Accordi commerciale e pagamenti. Delegazione sovietica intenderebbe concludere accordo commerciale triennale con tre liste contingenti di cui una relativa forniture russe all'Italia primo anno, una seconda relativa esportazioni italiane nel primo anno comprendente prodotti all'infuori quelli meccanici, infine terza lista comprendente programma triennale esportazioni meccaniche da espletarsi nel primo anno in misura di almeno 25%, fermo restando che i sovietici passerebbero immediatamente ordinazioni relative intero programma triennale.

Per quanto riguarda pagamenti delegazione sovietica ha accettato pagamenti in lire, ma intenderebbe sostenere conto unico in Italia con due conti paralleli nonché prevedere regolamento punte e saldi in valuta libera.

Noi abbiamo contrapposto ed illustrato nostri progetti e prevedesi per questa e prossima settimana discussione in merito. Due delegazioni si sono scambiate liste contingentali di massima.

Al riguardo si fa presente che sovietici hanno dichiarato essere disposti a forniture grano superiori quantitativi da noi proposti. Anche per quanto riguarda forniture italiane nel quadro accordo commerciale, richieste sovietiche non sono in genere di natura tale creare seri imbarazzi in connessione con nostra situazione internazionale, salvo problema dei reintegri che non è stato ancora affrontato concretamente1•

373 2 Vedi D. 366.

374 1 Per la risposta vedi D. 380.

375

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MOSCA, PARIGI E WASHINGTON

TELESPR. SEGRETO 1284/c. SEGR. POL. Roma, 31 agosto 1948.

Questo Ministero, esaminate le considerazioni svolte nei precedenti rapporti dalle ambasciate a Washington, Londra, Parigi e Mosca e dallo Stato Maggiore Generale, e tenute presenti anche le osservazioni formulate nel proprio telespresso del 14 luglio 1 , ritiene di potere ~ nel momento attuale ~ fissare come segue il proprio pensiero sull'argomento in oggetto2 .

Tale pensiero ovviamente non può riferirsi alla eventualità di complicazioni internazionali immediate o a molto breve scadenza. In tale caso infatti la nostra appartenenza o meno al Patto di Bruxelles, per quanto riguarda le possibilità militari di difesa, non ci offrirebbe vantaggi maggiori di quelli offerti ai paesi aderenti al Patto, con la sola differenza dal punto di vista politico, che avremmo, per il fatto stesso di essere liberi da ogni impegno di alleanza, la possibilità, almeno teorica, per quanto debole, di rimanere neutrali, in una neutralità altrettanto inerme quanto la belligeranza dei Cinque.

La situazione cambia naturalmente se si prende in considerazione la situazione quale si presenterà fra qualche anno quando cioè l'America avrà terminato il proprio riarmo e iniziato quello dell'Unione Occidentale. A quell'epoca la differenza tra i paesi de li 'Unione Occidentale e quelli che ne saranno rimasti fuori sarà più sostanziale. I primi, in caso di conflitto, saranno, è vero, coinvolti automaticamente, ma anche automaticamente saranno garantiti sul terreno militare e su quello diplomatico. I secondi invece potranno trovarsi soli con la sola teorica possibilità di potersi salvare con una neutralità disarmata e perciò affidata unicamente alla buona volontà

o meglio al disinteresse strategico dei due gruppi avversari.

Esiste questo disinteresse nel caso dell'Italia? Per quanto riguarda le disposizioni russe nessuna azione diplomatica potrebbe mai definirle in anticipo. Si può dire soltanto, e questo con qualche fondamento, che i russi, essendo i più forti per armata terrestre e nel primo periodo di un eventuale conflitto, ma i più deboli sul mare e nell'aria e nella seconda fase della guerra, sarebbero verosimilmente portati a premunirsi contro l'utilizzazione da parte americana di basi italiane così minacciosamente vicine al loro schieramento.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti può ritenersi che il pensiero strategico americano non sia probabilmente stato ancora fissato, anche perché l'Alto Comando americano prevede vari commitments di diversa misura ed estensione a seconda del livello raggiunto dal riarmo americano. È prevedibile però che in caso di conflitto l'Alto Comando statunitense e quello dell'Unione Occidentale,

375 1 Vedi D. 217. 2 Il presente documento aveva ad oggetto: «Italia e Patto occidentale».

compatibilmente con le proprie possibilità, cercherebbero di prevenire l'occupazione avversaria di basi in Italia.

Il problema che si pone per noi è quindi, nella palese impossibilità di assicurare a priori al cento per cento la neutralità de li 'Italia, di giudicare sino a qual punto la fiducia o meglio la speranza di poter conservare tale neutralità possa indurre ad astenerci dall'aderire a raggruppamenti politici, i quali ci esporrebbero bensì ad entrare automaticamente in conflitto, ma ci offrirebbero al tempo stesso la possibilità di una effettiva difesa, che in caso diverso ci verrebbe a mancare. Questa possibilità di difesa è da considerarsi in progressione aritmetica e sarà pertanto più concreta col progredire del tempo; ed è in questa situazione che potrebbe forse trovarsi una formula atta a risolvere il complesso problema tenendo conto di tutte le considerazioni e circostanze già espresse dalle ambasciate che hanno trattato l'argomento, e dal Ministero.

Dalle varie informazioni pervenute risulta infatti che, attualmente, le possibilità di aiuti militari, da parte degli Stati Uniti, alle cinque potenze del Patto di Bruxelles, non vanno oltre i termini della dichiarazione Vandenberg3 , in quanto gli americani non ritengono di poter fare qualcosa di concreto sino a che il loro proprio riarmo, che a Washington continua ad essere considerato come la prima e più importante tappa da compiersi, non abbia raggiunto determinati livelli. È stato inoltre detto, da parte americana, che la messa in stato di difesa della Groenlandia e Islanda costituisce il primo obiettivo da raggiungere fuori delle frontiere degli Stati Uniti. Ciò risponde del resto ad esigenze tecniche e militari ben comprensibili ed è da ritenersi che l'eventuale difesa dell'Europa verrà presa in considerazione in tempi successivi estendendola progressivamente dali' estremo occidente europeo e nord Africa, via via verso est a seconda dei progressi del riarmo americano e delle disponibilità offerte da tale riarmo. In queste condizioni è di ritenersi che l'Italia non potrebbe venir compresa nell'area di una effettiva difesa occidentale che in un secondo o terzo tempo.

Tanto gli americani quanto le potenze del Patto occidentale dovrebbero comprendere come sia sopratutto tale prospettiva a rendere il paese e quindi il Governo estremamente perplessi nell'esporre sino da ora la nazione alla automaticità di un conflitto. Vi è quindi motivo di chiedersi se, per avventura, sino a tanto che non saranno in grado di includere il nostro paese nella loro area strategica non soltanto teorica, ma pratica, e di poterlo quindi difendere e mantenere nel loro stesso interesse, non sia più conveniente, anche per essi, cercare di sottrarlo ad una eventuale occupazione dall'est cui non potrebbero validamente opporsi, col facilitare il nostro tentativo di mantenerci, nel nostro e nel loro vantaggio, non belligeranti, almeno per un certo tempo.

Affinché un tale programma possa avere una qualche probabilità di riuscita è però necessario che l'Italia sia in grado di far rispettare le proprie frontiere; è quindi necessario che sia armata in modo da rappresentare per un eventuale aggressore un serio ostacolo da superare.

Ove in tali condizioni non fossimo né attaccati né molestati: tanto di guadagnato per noi e per gli stessi occidentali. Ove invece lo fossimo, diventeremmo automaticamente loro alleati con tutte le conseguenze che ne derivano. Una tale soluzione avrebbe anche il vantaggio di non compromettere -attraverso una nostra immediata adesione al Patto occidentale -quella sia pur minima probabilità di facilitare una evoluzione in senso astensionista dei paesi balcanici che, ove dovesse verificarsi, costituirebbe una ulteriore garanzia di pace.

Le possibilità di questa soluzione sembrano quindi meritevoli di venire approfondite ed esplorate. Essa del resto non ci porrebbe, nei confronti degli occidentali, in posizione formale diversa da quella in cui già si trovano la Turchia e la Grecia, entrambe, come l'Italia, marche di confine e i cui mezzi di difesa contro una eventuale aggressione già vengono rafforzati dagli Stati Uniti, senza che tali paesi abbiano formalmente ancora aderito ad alcun patto: adesione che per essi, come per noi, potrebbe effettuarsi in prosieguo di tempo quando divenisse effettivo e concreto un generale schema difensivo europeo e mediterraneo.

Questa linea di condotta presuppone un franco scambio di vedute col Governo nordamericano che l'ambasciata a Washington è pregata di avviare e che verrà anche qui avviato con l'ambasciatore Dunn.

Le ambasciate di Parigi e Londra potranno esporlo ai Governi francese e britannico.

Ove si incontrassero favorevoli e comprensive disposizioni di massima non avremmo difficoltà ad avviare con Washington conversazioni tecniche per l'esame della nostra situazione difensiva.

Contemporaneamente ci proponiamo di seguire e favorire quelle iniziative che rispondono ad una sempre più sentita esigenza dei popoli europei e che mirano a promuovere la formazione di una unione europea che possa in un primo tempo comprendere almeno tutti i paesi aderenti all'O.E.C.E. e nella quale l'Italia potrà più agevolmente inserirsi in un piano di generale e ampia collaborazione4 .

375 3 Vedi D. Il, nota 2.

376

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4497/1885. Londra, 31 agosto 19481•

La pubblicazione di un scambio di lettere fra Churchill ed Attlee circa la convocazione di una Assemblea europea è valsa a richiamare l'attenzione di questa stampa su un argomento che da vari mesi passava sotto silenzio.

376 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

La corrispondenza, di cui allego copia2 , si è iniziata con una lettera di Churchill in data 27 luglio nella quale chiedeva di conoscere il parere del primo ministro circa un progetto, da sottoporsi ai diversi Parlamenti interessati, per la costituzione di una Assemblea europea. Attlee rispondeva in data 30 luglio dichiarandosi «in simpatia con l'idea base del movimento per l'Unione Europea» ma aggiungendo che «se una Assemblea dovesse essere convocata ciò dovrebbe avvenire, in vista della vitale importanza della questione, per iniziativa dei Governi interessati e non per il tramite di organizzazioni indipendenti o di Parlamenti» e proseguiva «d'altra parte non mi pare che questo sia il momento opportuno per prendere una iniziativa di tale portata quando già i diversi Governi sono così impegnati da problemi difficili ed urgenti».

A questa comunicazione Churchill rispondeva il 21 agosto e dopo aver deplorato l'atteggiamento negativo di Attlee si augurava che a seguito delle dichiarazioni di Spaak3 e delle proposte ufficiali del Governo francese4 «il Governo di Sua Maestà troverà possibile allinearsi meglio con le opinioni dell'Europa occidentale su di una questione che esso stesso ha fatto molto per promuovere». Il primo ministro replicava quindi in data 21 agosto sottolineando che, allorquando il sig. Bidault sollevò la questione di una Assemblea europea in occasione dell'incontro all'Aja il 20 luglio del Comitato consultivo del Trattato di Bruxelles, Bevin aveva dichiarato di non poter per il momento pronunciarsi al riguardo e che «nell'adottare tale atteggiamento il ministro degli esteri prendeva in considerazione il fatto che l'intera questione ha degli importanti riflessi sulle relazioni con il Commonwealth e che di conseguenza il Governo prima di esprimere qualsiasi giudizio definitivo desidera uno scambio di vedute con i primi ministri del Commonwealth in ottobre».

Prima di cercare di analizzare i motivi che hanno indotto Attlee a rigettare, sia pure con tono blando ed amichevole, la proposta di Churchill mi sembra dover far notare come, nonostante i tentativi degli ambienti meglio informati e della stampa, la questione di una Unione Europea non è affatto sentita nel paese.

Ci si rende vagamente conto che una certa collaborazione economica, sopratutto in vista della continuazione degli aiuti Marshall e della possibilità di esportazione dei prodotti britannici, ed un certo grado di integrazione strategica è necessaria e comunque attesa dagli Stati Uniti ma al di là ed all'infuori di ciò questa opinione pubblica non è né desiderosa né convinta della opportunità di legarsi maggiormente all'Europa; tutte le loro tradizioni insulari, tutti i loro istinti storici portano gli inglesi sopratutto in questo momento a racchiudersi in un egocentrico isolazionismo preoccupato soltanto della risoluzione dei propri problemi e della rimessa in ordine della propria casa restando del tutto avversi all'associarsi sullo stesso piede di postulanti con le altre nazioni continentali.

Alcuni ambienti politici sia dentro il Governo, sia fuori, si rendono conto della assurdità di una simile politica o mancanza di politica ma è pur vero che essi

3 Vedi D. 304.

4 Vedi D. 333.

debbono risentire di questo stato d'animo dell'opinione pubblica e che specie per quanto riguarda i laburisti esso ha la sua reale importanza.

Quando Churchill lanciò due anni or sono da Zurigo il primo appello per una Unione Europea il Governo laburista vi si poté abbastanza agevolmente opporre adducendo la propria riluttanza, condivisa dall'opinione pubblica, a partecipare a qualsiasi iniziativa che promuovesse la cristallizzazione del mondo in due blocchi ostili. La evoluzione ed il peggioramento della situazione economica e politica non consentono più oltre un simile atteggiamento e di conseguenza la Gran Bretagna ha dovuto accettare a braccia aperte l'E.R.P. e Bevin ha dovuto evolvere il concetto di una Unione Occidentale. In sostanza, l'atteggiamento del Governo inglese nei confronti di qualsiasi progetto federativo o di una Unione Europea appare tuttora viziato da due ragioni fondamentali:

l) il Partito laburista ed i suoi esponenti peccano per la maggior parte di provincialismo e non sono in grado di ben capire o valutare passi, sistemi politici o movimenti diversi dai loro: essi parlano con facilità di fratellanza del lavoro, di abolizione di barriere fra popoli, di interessi comuni ma all'atto pratico danno prova di una miopia in questo campo quasi certamente maggiore dei loro avversari conservatori; essi inoltre mantengono un forte rancore di classe che li rende automaticamente sospettosi di qualsiasi iniziativa del genere di quella propugnata da Churchill per timore sopratutto che essa possa tradursi tanto all'interno come all'estero in un movimento non socialista e soffrono, nonostante ogni loro dichiarazione del contrario, di una profonda radicata diffidenza per tutto ciò che non conoscono e che non appare loro familiare.

2) Il Foreign Office, il War Office e il Commonwealth Relations Office riconoscono la ineluttabile necessità di una più stretta e coordinata collaborazione europea tanto dal punto di vista economico come da quello politico-militare ma sembrano continuare a non vederci ancora chiaro. Ammesso il principio sembrano diffidare per quanto ne concerne l'applicazione. Il procedere per gradi, il fare una cosa alla volta, il non volere pregiudicare il tutto con l'agire precipitosamente sarebbe spiegabile e ragionevole se non facesse sorgere il dubbio che in realtà il Governo non sia ancora affatto deciso ad andare a fondo nella questione di un'Europa unita qualsiasi ne possano essere le conseguenze. Tale riluttanza traspare del resto anche nelle comunicazioni di Attlee a Churchill in cui per evitare di compromettersi parla di preventive consultazioni con il Commonwealth cercando così di fornire l'impressione che la Gran Bretagna non è del tutto libera nelle sue decisioni ma deve tener conto di fattori di cui invece gli altri paesi europei non hanno la responsabilità.

Questi tentennamenti, queste esitazioni, questo desiderio di tenere il piede in due staftè sono dettati da una parte dalla posizione geografica del paese e dal tradizionale istinto «to muddle through» rifuggendo da ogni concetto o schema teorico, dall'altra dal carattere, dall'educazione e dal background della maggioranza degli attuali governanti inglesi che si trovano più al loro agio ragionando di salari e profitti, nazionalizzazioni ad assicurazioni sociali che non di vasti e generali concetti di politica internazionale.

Resta il fatto che è ugualmente essenziale per l'Inghilterra come per gli altri paesi dell'Europa occidentale giungere ad una concorde soluzione dei problemi

economici e di difesa e che in ciò essa dipende non meno degli altri dagli amti americani. Le diffidenze di cui mi sembra dar prova questo Governo ad altro non potranno servire che a fargli sfuggire la possibilità di cui forse ancora oggi potrebbe valersi di essere il pernio e l'animatore dell'indispendabile nuovo assetto politico europeo. Esso per timorosità o per incapacità rischia di far perdere a questo paese l'occasione di avere quella parte di primo piano che gli Stati Uniti sono probabilmente i primi ad auspicargli.

In conclusione mentre non si può dubitare che questo Governo dovrà finire per associarsi ad ogni «concreta» iniziativa intesa a realizzare una più stretta collaborazione europea per la quale nel campo economico e militare ci si può attendere qui una certa comprensione ed un certo incoraggiamento, converrà tuttavia tener conto che concetti troppo radicali o di carattere troppo generale sono destinati ad urtarsi e dover sormontare molti sospetti, molte tergiversazioni ed una considerevole resistenza passiva.

375 4 Pe:r il seguito vedi D.D. 385, 390, 394.

376 2 Non rinvenuta.

377

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO PER CORRIERE 11786/042. Beirut, r settembre 1948 (per. il 3).

Mio telegramma per corriere n. 041 del 30 agosto 1•

Ho intrattenuto ieri questo presidente della Repubblica in merito ai nostri rapporti con la Lega araba ed in merito alla questione delle nostre colonie. Egli era perfettamente al corrente delle argomentazioni da me presentate i giorni scorsi al ministro Frangié e mi ha ripetuto le stesse assicurazioni di quest'ultimo circa la determinazione del Libano di far intendere agli altri membri della Lega la necessità di non turbare artificiosamente le relazioni con il nostro paese.

Il presidente mi ha altresì assicurato che la delegazione libanese al Consiglio della Lega presenterà nel modo migliore la nostra tesi per la risoluzione del problema delle colonie italiane. Mi ha tuttavia espresso nuovamente il suo pessimismo circa l'atteggiamento che sarà assunto dagli altri membri, soprattutto per quanto riguarda la Libia.

A tale proposito ha apertamente indicato Azzam Pascià come il maggiore nostro antagonista. «So che avete dei contatti con lui -egli mi ha detto -ma non ho bisogno di invitarvi a diffidare».

Mi risulta che il presidente della Repubblica ha poi convocato il presidente del Consiglio, Riad El Solh (che dirigerà probabilmente la delegazione libanese al prossimo Consiglio della Lega), ed il ministro degli esteri per intrattenerli in merito

377 Vedi D. 371.

552 a quanto aveva fatto oggetto del nostro colloquio ed alla condotta della delegazione predetta. Mi risulta altresì che questo segretario generale del Ministero degli esteri, Fuad Annnoun, sta mettendo a punto le argomentazioni libanesi in nostro favore, così come mi aveva promesso Hamid Frangiè.

378

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4129/898. Madrid, l o settembre 1948 (per. il 4).

Riferimento: telespresso di questa ambasciata n. 3889/839 del 10 agosto u.s. 1• La richiesta della Polonia che sia nuovamente posta all'ordine del giorno della

O.N.U. la questione spagnola ha irritato i circoli ufficiali responsabili più che altro per una ragione di principio, poiché ferisce l'orgoglio spagnolo il fatto che la condotta della Spagna possa essere messa in discussione da un paese satellite; ciò nonostante si spera che la nuova discussione obblighi le cancellerie ad una presa di posizione più chiara e definita, e si ritiene che questa sarà favorevole al Governo di Franco. Si giudica sintomatico a questo proposito che il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite abbia respinto una proposta russa chiedente che venissero sospese le relazioni fra le Nazioni Unite e l'organizzazione internazionale della aviazione civile finché non fosse stata ufficialmente chiarita la situazione della Spagna. La nota russa, a quanto sembra, dichiara che la esclusione della Spagna si realizza con eccessiva lentezza giacché finora solamente nove delle ventotto nazioni avevano ratificato il relativo emendamento alla carta costitutiva dell'organizzazione. (Ricordo che durante la guerra gli Stati Uniti ammisero la Spagna nell'organizzazione provvisoria, però l'anno scorso, basandosi sulla raccomandazione della O.N.U. del 1946, approvarono la esclusione dall'organizzazione definitiva dell'I.C.A.O.)

Altro elemento che viene a confermare il mutato clima internazionale a favore del Governo di Franco è la proposta degli Stati Uniti per la annnissione della rappresentanza spagnola al Congresso internazionale della Croce Rossa che si riunisce in Svezia. Pertanto, alla vigilia della riunione a Parigi della O.N.U., questo Governo ha intensificato la sua azione diplomatica verso i paesi membri suscettibili di votare a favore, ed a tale scopo darà la più ampia diffusione al suo punto di vista circa gli aspetti giuridici della raccomandazione da parte dell'Assemblea della

O.N.U. del 1947 la quale sostanzialmente non ratificò il divieto di inviare i capi missione a Madrid. Tale punto di vista è contenuto nell'accluso foglio edito a cura

della Associazione «Francisco da Vitoria» 2 il quale sostiene che la risoluzione adottata dalla Assemblea della O.N.U. nel 1947 circa il caso spagnolo, annullando la «raccomandazione» del 1946, segna la fine della dibattuta questione e conseguentemente indirizza gli Stati membri della O.N.U. a procedere all'invio di loro capi missione a Madrid.

A quanto qui si afferma il Governo degli Stati Uniti d'America ha manifestato di non approvare la interpretazione spagnola di cui sopra; ma ha anche riconosciuto da parte degli altri Stati la piena libertà di condividere tale interpretazione e di seguirla. Questo Ministero degli affari esteri ritiene che presto altri Stati americani (e particolarmente il Brasile) seguiranno il Perù nel ritenersi liberi dall'impegno morale consigliato dalla O.N.U. nel 1946 e che, anche indipendentemente dalle discussioni di Parigi, potrebbero venire accreditati nuovi capi missione. Si confida anche alla

O.N.U. nel voto favorevole dei paesi della Lega araba verso i quali, come è noto, la Spagna ha svolto una politica di avvicinamento, offuscata bensì, mesi or sono, dall'incidente nazionalista di Tetuan, ma rafforzata in seguito dall'atteggiamento antiebraico assunto nella questione di Palestina.

In conclusione questi ambienti del Ministero degli affari esteri, pur esitando per precauzione, e forse anche per «superstizione» a pronunciarsi sulle probabilità di vittoria della tesi spagnola, hanno fiducia in una nuova fase che consenta agli Stati membri della O.N.U. una sempre maggiore libertà di iniziativa nelle lore relazioni diplomatiche con la Spagna.

378 1 Con il quale Vanni d'Archirafi aveva riferito circa l'ottimismo dei circoli ufficiosi spagnoli riguardo all'evoluzione della situazione internazionale del regime franchista.

379

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1029/15404/3143. Parigi, l o settembre 19481•

Schuman, a cui avevo annunziato l'arrivo del suo memorandum2 circa la Federazione europea, mi ha fatto dire che, in vista della sopravvenuta crisi ministeriale, non si riteneva più autorizzato intrattenermi della questione: mi pregava quindi di rimettere il nostro memoriale al Ministero riservandosi di parlarne con me nel caso che fosse stato riconfermato al suo posto o trasmettendo la questione al suo successore.

Ho quindi rimesso il nostro promemoria a Chauvel a cui ho spiegato:

l) il nostro memorandum era stato redatto prima della decisione del Governo francese: il Governo italiano non era stato ufficialmente saisi della questione dal Governo francese; non poteva quindi prendere ufficialmente posizione. Potevo dirgli

2 Vedi D. 350, Allegato.

d'altra parte che il Governo italiano vedeva con piacere qualsiasi iniziativa che potesse portare a qualche cosa di effettivo, ad esclusione di nessuna. Il nostro memorandum doveva essere considerato quindi come una esposizione del nostro pensiero su certi determinati argomenti. Se l'iniziativa francese avesse incontrato successo, alle proposte contenute nel memorandum del Comitato permanente dell'Unione Europea, si sarebbero potute forse aggiungere anche alcune delle nostre. Se invece l'iniziativa avesse dovuto fallire si sarebbe potuto prendere in esame la possibilità di avanzare qualche nuova proposta franco-italiana.

2) Si trattava di considerazioni che, almeno per il momento, venivano sottoposte da parte nostra solo al Governo francese: dato che, in sostanza, i Governi francese e italiano erano i soli Governi europei veramente decisi a far muovere l'Unione Europea -e nella atmosfera dell'Unione doganale -era, in primo luogo, con il Governo francese che volevamo avere uno scambio di idea esauriente sull'argomento.

Chauvel mi ha detto di avere pienamente compreso il nostro punto di vista ed i motivi che ci avevano suggerito tale passo: che il Governo francese era molto desideroso di avere questo scambio di vedute con noi. Avrebbe subito proceduto allo studio del nostro memorandum in modo che, appena costituito il nuovo Governo, io fossi in grado di parlarne con il ministro degli esteri, questi essendo già al corrente delle nostre proposte e della maniera pratica con cui le nostre proposte avrebbero potuto se del caso essere inquadrate nell'iniziativa francese.

Circa quest'ultima Chauvel mi ha spiegato che il Governo francese si era limitato a fare sue le proposte avanzate dal Comitato permanente dell'Unione Europea proposte che, mi ha detto, dovrebbero essere a conoscenza del Governo italiano per il tramite della sua delegazione.

Il Governo britannico, in questo assai meno progressivo dei conservatori, era e si manteneva contrario a qualsiasi iniziativa concreta di Unione Europea: si permetteva di dubitare quindi che esso sarebbe stato più ricettivo a proposte di unione basate su di una cooperazione economica, come proponevamo noi, che non al passaggio sul piano politico. Lo stato dell'opinione pubblica sia mondiale che americana, e anche inglese, non permetteva però al Governo laburista di mettersi decisamente contro qualche provvedimento effettivo. Il Governo britannico stava quindi manovrando in modo da lasciare tutto quello che concerneva la Federazione europea sul piano privato, contando di riuscire a farlo enliser in quella direzione, senza dare però l'impressione netta di esservi contrario.

Lo scopo dell'iniziativa francese era appunto di evitare il successo della manovra britannica. Il Governo francese, facendo sua la proposta della Commissione, l'aveva trasportata decisamente sul piano governativo. Schuman si proponeva nell'esposizione del suo programma governativo all'Assemblea di porre anche esplicitamente la questione dell'Assemblea europea. Approvata la presa di posizione del Governo francese dal Parlamento, cosa che era fuori di dubbio, il Governo francese sarebbe passato ali' azione forse anche senza attendere la formazione del Gabinetto che avrebbe potuto essere anche assai lunga.

L'idea di sottomettere la questione in primo luogo ai Cinque era stata suggerita al Governo francese solo da ragioni di carattere pratico. Esiste un comitato politico permanente previsto dall'accordo di Bruxelles, il Consiglio dei cinque ambasciatori a Londra: era a questo consiglio dei cinque ambasciatori che il Governo francese intendeva sottoporre il suo progetto; in questo modo la questione era posta ufficialmente sul piano governativo e non era più possibile cercare di farla morire indirizzandola sul terreno privato. Riteneva necessario far presto e sottomettere le proposte a Londra prima della fine del Convegno di Interlaken. La robusta delegazione inglese era partita per Interlaken con istruzioni di accertare il carattere «privato» della riunione. Il rappresentante francese aveva istruzioni contrarie: era quindi opportuno creare al più presto un fatto compiuto. Si poteva non arrivare a nulla, ma comunque, in questa maniera il Governo inglese sarebbe stato obbligato a dire nettamente di no, prendendo, anche di fronte ali' America, l'odium di far cadere un progetto reale. Il Governo britannico aveva già accusata la sua sconfitta trincerandosi dietro la necessità, probabilmente statutariamente esatta, di dovere consultare i Dominions: questo poteva loro permettere di rimandare la decisione ma non di sottrarvisi: non era del resto sicuro che la reazione dei Dominions sarebbe stata favorevole al punto di vista del Governo britannico.

Quanto alle reazioni di altri paesi, mi ha detto che gli Stati Uniti si erano dimostrati favorevoli: che oltre alla presa di posizione ufficiale, il Governo americano aveva fatto sapere ufficialmente al Governo francese di vedere con occhio assai favorevole la sua iniziativa e di essere disposto ad appoggiarla in tutti i modi che il Governo francese ritenesse opportuni.

Mi ha detto di averne parlato con Spaak al suo recente passaggio per Parigi e che questi aveva promesso tutto il suo appoggio. Avendogli accennato all'atteggiamento contrario assunto da Spaak3 nei riguardi della proposta di Bidault all' Aja, mi ha detto che questo era esatto, ma che Spaak si era poi successivamente lasciato convincere dalla necessità di trasportare tutta la questione dal piano privato al piano governativo4 . Particolarmente interessante sembrava a Chauvel la reazione assai favorevole che l'iniziativa francese aveva avuto in Germania. Mi ha detto confidenzialmente che il Governo francese vi aveva visto una maniera indiretta di cominciare a mettere anche la Germania nel «giro». Che questo aspetto aveva particolarmente interessato gli americani: contava avrebbe interessato anche noi.

Chauvel ha tenuto a ripetermi, anche a nome del Governo francese, che non si trattava quindi di esclusione dell'Italia (gli ho fatto rilevare il passaggio del nostro memoriale in cui mostravamo di non preoccuparcene affatto). La procedura dei Cinque era stata suggerita solo come quella che permetteva più rapidamente di porre la questione sul piano governativo, senza possibilità di tirarsene indietro. Ma che il Governo francese era deciso a condurre, parallelamente, delle conversazioni con l'Italia: che aveva anche avvertito Spaak di questa sua intenzione, avendone il più cordiale consenso. Se l'iniziativa francese avesse avuto seguito il primo problema che essa avrebbe posto sarebbe stato quello dell'inclusione ex equo, e fin dal principio, d eli 'Italia alle consultazioni. Mi ha aggiunto che doveva considerare questa nostra conversazione come la prima presa di contatto parallela in proposito.

4 Vedi D. 386.

Gli sviluppi della questione erano difficili a prevedere. Pur riservandosi di ritornare sulla questione del nostro memoriale, quello che il Governo francese era interessato a sapere, in primo luogo, era se il Governo italiano condivideva il pensiero del Governo francese che la questione della Federazione europea era una cosa troppo importante per !asciarla ad iniziative private e doveva quindi esser trasportata sul piano governativo, oppure se propendevamo per la tesi inglese di lasciare il tutto all'iniziativa privata.

378 2 Non pubblicato

379 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

379 3 Vedi D. 304.

380

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. l 0030/114. Roma, 2 settembre 1948, ore 18.

Suo 2941 .

Letto con molto interesse. Occorre tener presente:

l) che clausola nazione più favorita illimitata è per noi inaccettabile. Estenderemmo tutti i vantaggi concessi Stati Uniti senza contropartita alcuna. Inoltre occorre salvaguardare Unione doganale.

2) Sta bene respingere nettamente richieste impianti. Per cuscinetti sfera prima di impegnarsi ad inserirli programma occorre che noi conosciamo quantità e tipi richiesti. Comunque precedenza a liquidazione beni Balcani rimane condizione previa a discutere futuro programma esecuzione commesse.

3) Se possibile evitare accordo pluriennale per settore scambi normali. Tali indicazioni sono necessariamente di massima in attesa più dettagliate informazioni ed ulteriore andamento conversazioni.

381

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1031/15406/3145. Parigi, 2 settembre 1948 (per. il 4).

Debbo ritenere che codesto Ministero sia già al corrente dei risultati cui è giunta la conferenza dei sostituti dei quattro ministri degli esteri in tema delle nostre ex colonie. Riferisco a ogni buon fine qui appresso quanto al riguardo è stato verbalmente comunicato all'ambasciata dal Quai d'Orsay.

Sulla Somalia l'accordo tra i Quattro sarebbe completo, se non fosse per una riserva britannica, sotto forma di timido rinvio in calce, che subordina il consenso alla soluzione del problema eritreo.

C'è poi da osservare che sono contemplate delle rettifiche di frontiera non solo a nord-est e a sud ma anche verso l'Etiopia, nel senso che sono previste complesse revisioni in base ai trattati relativi sottoscritti dali 'Italia e dali 'Etiopia. E complesse perché ignorando i negoziatori di Londra il testo del trattato del 1897 -cui quello del 1908 si riferisce -che non sono riusciti a procurarsi, sono state fatte varie ipotesi. È anche da osservare che mentre l'U.R.S.S. si è dichiarata a tàvore di una tutela italiana, gli altri tre hanno chiesto una tutela dell'O.N.U. con amministrazione italiana.

Per l'Eritrea le opinioni sono del tutto divergenti, i francesi, subito dopo i russi, sostenendo la tesi a noi meno sfavorevole: l'amputazione di tutta la Dancalia compresa Assab (con una piccola rettifica a favore della Somalia francese) e una decisione da riservare all'O.N.U. per il resto; gli inglesi come gli americani d'accordo per la Dancalia, discordano per il residuo: una forma di tutela etiopica per la durata di dieci anni secondo gli inglesi, una decisione da riservare secondo gli americani. Ma con questa originale variante americana: che le regioni del Sera! e dell' Achele Guzai siano passate sotto sovranità etiopica. Tesi considerata sballata dai francesi: dette regioni fanno un tutto inscindibile con l'altopiano di Asmara e sebbene gli italiani vi siano pochi i prodotti agricoli sono indispensabili a quel residuo di Eritrea che potrebbe eventualmente restarci. Ma i tecnici americani hanno scoperto che le popolazioni sono copte di religione politicamente unionista per suffragare questo loro poco sostenibile punto di vista.

Per la Libia l 'accordo anglo-americano per attribuire la Cirenaica alla tutela britannica ha posto i francesi in una situazione delicata: temono le nostre reazioni in caso di «mollamento» ma sostanzialmente sono già d'accordo per l'amputazione della Cirenaica, compensata da quella del Fezzan. L'oggetto del contendere si riduce pertanto al lembo di territorio intorno a Tripoli, dato che, come ho segnalato col mio telegramma n. 861 1 di ieri, le rettifiche di confine reclamate dall'Inghilterra a favore della Cirenaica, benché non ben definite, arrivano fino a Sirte: poco confortante conclusione per chi giudica di queste cose dando un'occhiata alla carta geografica, come suole fare l'opinione pubblica di tutti i paesi, in particolare quella di un paese travagliato come il nostro. Ci resterebbe cioè poco più di una affermazione di principio essendoci risparmiata soltanto la maxima capitis diminutio della nostra proclamata incapacità coloniale. Affermazione di principio tuttavia non del tutto priva di valore in quanto riserva l'avvenire e se si tiene presente, cosa che ormai ben pochi italiani fanno, il punto di partenza: una guerra decisiva persa. Ma delicata la situazione dei francesi è anche per un altro riguardo: votando contro (o semplicemente astenendosi) la proposta anglo-americana, vale a dire schierandosi a favore di Mosca contro Londra e Washington compirebbero un atto di coraggio di cui non

558 appare purtroppo evidente l 'utile. Donde l 'iniziativa di carattere «personale e ufficioso» di Massigli di cui al mio telegramma già citato. S'intende che se tale iniziativa trovasse il gradimento del Governo italiano i francesi tirerebbero un grosso sospiro di sollievo. Intanto Londra ha dato istruzioni al governatore britannico a Tripoli perché sia posto un freno all'azione intesa a favorire l'unione della Libia sotto il Senusso: il che, oltre tutto, potrebbe anche far ritenere che le cose, in tutta questa faccenda, siano andate molto più avanti di quanto si voglia far credere. Comunque sia, se una decisione in questo senso ci sarà, dovrà concretarsi prima della prevista riunione dei quattro ministri degli affari esteri: e il termine del 15 settembre sembra, in quanto determinato nel trattato, imperativo.

380 1 Vedi D. 374.

381 1 Del 1" settembre, riferiva quanto già segnalato da Londra, vedi D. 357.

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IL MINISTRO A L' AJA, BO MB IERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3032/504. L 'Aja, 2 settembre 1948 1•

Riferimento: mio telegramma per corriere n. 035 del 24 agosto u.s. 2 .

Come rilevato nel sopracitato telegramma per corriere, un'Assemblea parlamentare europea, caldeggiata recentemente da Schuman, non ha qui riscosso il plauso e gli entusiasmi della stampa politica e degli ambienti responsabili.

Il silenzio seguito alla proposta Schuman, solo sporadicamente rotto in seguito da alcuni evasivi commenti giornalistici, ha anzi evidentemente testimoniato di una notevole freddezza espressasi da ultimo in notizie di fonte ufficiosa riflettenti il punto di vista del Governo olandese, per cui si ritiene più efficace per il momento, la collaborazione inter-europea promossa da Benelux, dali 'Unione Occidentale e dai vari organi dell'E.R.P., che non quella eventualmente realizzabile da un ancor lontano ed indefinito Parlamento europeo.

Lo stesso comunicato non esclude che successivi e concreti sviluppi di questa iniziativa possano contare sulla partecipazione olandese, ma la sua stessa formulazione prova quanto la reticenza della stampa ed il riserbo ufficiale hanno già chiaramente dimostrato: le concezioni francesi sono in Olanda considerate premature.

Non farà certo meraviglia che un movimento di così marcato contenuto ideale sia stato in questo paese sì unanimemente bocciato e privato di quel consenso che pure altre volte non è stato lesinato agli apostoli della solidarietà internazionale. Oggi si tratta infatti di passare dal piano speculativo e teorico a quello della pratica attuazione; ed è proprio allora che si impone con tutto il suo peso la secolare tradizione politica di vantaggiosa neutralità che nelle direttive del Plein (ministero

2 Non pubblicato.

degli esteri) ha sensibilmente indebolita la capacità di cogliere il lato europeo dei gravissimi problemi d'oggi giorno.

Non ci si può sottrarre all'impressione che la sensibilità di molti uomini politici olandesi sia ancora in notevole misura offuscata dall'impronta mercantilistica della loro storia passata: un latente do ut des soffoca spesso il desiderio di una larga e disinteressata collaborazione con gli altri popoli del continente, e quando si ricorda che alle proposte di ampliamenti dell'Unione Occidentale, qui ci si è trincerati dietro un discutibile e per lo meno assai egocentrico «meglio pochi ma buoni», non si fa che confermare il persistere, in molti campi, di questa limitatezza di visione politica.

Conviene d'altra parte aggiungere che buona parte delle esitazioni olandesi trova sorgente nell'ostile atteggiamento britannico che non manca di influenzare costantemente, e non certo solo in questo campo, il giudizio olandese; significativo è stato infatti il rilievo dato da questa stampa alla corrispondenza epistolare intercorsa a questo proposito fra Churchill ed Attlee3 .

Scorrendo i pochi commenti che la stampa locale ha pubblicato su questo argomento, e che in parte sono già stati riferiti nel sopraccitato telegramma, si scorge ben presto che, pur non volendo deludere il lettore con troppo realistico cinismo, anche correggendo qualche più favorevole atteggiamento tenuto ali 'inizio, essa considera il progetto di un Parlamento europeo «il prodotto di un candido idealismo, fuori posto nella nostra indifferente epoca storica», tanto più che «non si possono cancellare all'improvviso secoli di assoluta indipendenza e piena sovranità» (Tijd, quotidiano cattolico di Amsterdam, del 26 agosto).

Il Maasbode (quotidiano cattolico di Rotterdam del 27 agosto) non esclude l'utilità di una simile Assemblea coordinatrice purché (ed anche qui si rivela quella diffidenza nei riguardi di iniziativa di respiro troppo ampio, e troppo lontana dall'ambito nazionale) «essa si mantenga tale e non aspiri alla fisionomia ed ai poteri di un Parlamento europeo, che resta ancora l'incognita di un lontano futuro».

Solo il liberale Niewe Rotterdamse Courant del 2 settembre, vede nel consenso dato dall'Italia, dal Belgio e da altri paesi europei al progetto francese un indizio incoraggiante di solidarietà continentale, e dopo aver sottolineati gli ostacoli che certamente verranno ancora frapposti dalle varie sovranità nazionali a questa nuova evoluzione politica europea, dichiara che sarà in ogni caso opportuno procedere con cautela, secondo quanto ritengono britannici ed olandesi. «Ma che una maggiore unità politica europea debba essere realizzata, è un requisito fondamentale per la sopravvivenza della nostra civiltà occidentale», conclude il quotidiano.

A conclusione di quanto sopra, può ancora aggiungersi che, se il riserbo e la freddezza di questi ambienti sono stati talvolta venati da una, se pur moderata, intonazione favorevole, ciò è principalmente dovuto al timore di urtare, con una netta astensione, la sensibilità nord-americana, notoriamente incline a stimolare ogni tentativo unitario europeo.

382 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

382 3 Vedi D. 376.

383

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO PER CORRIERE 11957/048. Vienna, 3 settembre 1948 (per. il 6).

Sono stato confidenzialmente informato che sono in corso istruzioni a codesto ministro Austria per concretizzare dettagli visita ministro Gruber. Egli esprimerà desiderio che data venga fissata fra l o e 20 ottobre.

Sarebbe prospettato seguente programma:

ministro Gruber sarebbe accompagnato da ministro Leitmaier direttore generale affari politici e da un segretario, quasi certamente da ministro Kripp referente per questioni italiane, e incerto se da un addetto stampa.

Visita potrebbe durare quattro giorni di cui l'ultimo a titolo privato. Ho l'impresisone che vi sarà anche visita a pontefice.

Argomenti da trattare:

a) esposizione generale direttive politiche austriache;

b) loro coordinamento a politica italiana nel quadro europeo;

c) concetto di cui a recenti dichiarazioni di V.E. al Parlamento che indipendenza e rafforzamento Austria sono una garanzia europea in funzione antipangermanista; d) questioni specifiche dirette itala-austriache e naturalmente in primo luogo accordi in esecuzione trattato Parigi. Come prevedibile ho l'impressione che su queste ultime si voglia porre l'accento: infatti mi risulterebbe:

l) circa opzioni propriamente dette vi sarà certamente menzione viaggi ricognizione per ora ancora in sospeso, nonché richiesta esaminare benevolmente la nostra riassunzione di coloro che prima dell'opzione facevano parte amministrazione italiana; egualmente dicasi per situazione pensionati, invalidi e simili.

Data complessità tecnica questioni, ritengo richiesta limitarsi nostra eventuale promessa che questione sia esaminata da un comitato di esperti da convocare a data determinata.

2) Si vorrebbe poi procedere firma due accordi transito per strada e per ferrovia attraverso Pusteria che sarebbero ormai definiti dopo adesione austriaca a nostra ultima controproposta circa controverso art. 7 che sarebbe stata comunicata costì in questi ultimi giorni, insieme a qualche altra osservazione di dettaglio facilmente definibile in prossime settimane.

3) Eguale aspirazione a procedere a firma accordo traffico privilegiato persone interregionale fra Tirolo e Alto Adige di cui codesta legazione Austria avrebbe ricevuto giorni addietro comunicazione del nuovo atteso controprogetto italiano, su cui riferisco a parte.

Ho fatto su questo punto osservare che data complessità problema e alcune riserve che, almeno in via preliminare, vengono a quanto sembra formulate da parte austriaca, mi appariva quasi impossibile che accordo potesse essere pronto per la firma al momento della visita.

4) Circa traffico privilegiato merci, stante fase ancora iniziale di discussione di merito, credo in rapporto a visita, ci si proporrebbe far risultare almeno da un comunicato che questione sarà discussa da commissione esperti da convocare a data fissa.

Per riassumere su questa parte più direttamente concreta visita, da parte austriaca ci si prometterebbe firma almeno due accordi e pubblico impegno a rapido inizio negoziati per questioni ancora in sospeso.

Dato che due accordi per transito Pusteria sono effettivamente ormai definiti, penso che sia difficile evitarne firma in occasione visita, a meno che non vi si potesse opportunamente procedere subito, cioé prima, come prospettato in lettera segretario generale cortesemente comunicatami con dispaccio di V.E. del 3 corrente

n. 23296 1• D'altra parte entrambi hanno carattere locale e tutto particolare.

Riterrei invece preferibile escludere firma altri accordi, che son del resto più importanti e a carattere più generale, e per ragioni già altre volte accennate, tanto più che ciò è anche più che giustificato da stadio di ancora incompleta elaborazione in cui si trovano.

Evidentemente scopo visita è a effetti interni ed esteri sottolineare interesse Governo austriaco e ministro esteri, che per note ragioni vi è personalmente impegnato, a progressiva realizzazione accordi di Parigi e fame forse constare in un certo senso azione di sindacato su loro esecuzione ancora in corso. Non è escluso che si debba moderame qualche esuberanza dimostrativa in sede di comunicati e di stampa.

Ad ogni modo farò fin da ora giungere a tale riguardo qualche discreta osservazione e avvertimento, come pure, in quanto sia possibile, vedrò di accertare se vi siano altre più specifiche questioni su cui Gruber potrebbe volere intrattenere V.S. 2 .

384

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 6155/1160. Trieste, 3 settembre 1948 1•

Il Congresso straordinario del Partito comunista (cominformista) del Territorio Libero, conclusosi il 24 agosto u.s. e di cui ho dato notizia nel mio telegramma n. 1082 , non ha portato, in sostanza, che ad un'ulteriore precisazione del dissidio che si

2 Per la risposta vedi D. 406.

Del 24 agosto, non pubblicato.

562 era venuto delineando fin dal princ1p10 di luglio in seno alle masse comuniste triestine. Ormai, attraverso le decisioni, del resto facilmente prevedibili, del congresso cominformista, cui fanno riscontro le deliberazioni del congresso della frazione filo-titina che si sta svolgendo in questi giorni ad Isola d'Istria, la divisione nel campo comunista, su cui avevo riferito con i miei telespressi n. 4701/884 del 2 luglio 19483 e n. 4873/908 del l O luglio4 , può dirsi definitivamente ed irrevocabilmente compiuta.

Tale scissione assume un carattere territoriale nel senso che viene ormai spezzata l'unità organizzativa comunista nel Territorio, con la creazione di due distinte frazioni, l'una filo-jugoslava, che ha la sua base nella Zona B del T.L., ed una cominformista che ha il centro di attività a Trieste. Come era pure prevedibile, mentre nella Zona B l'attività degli organi cominformisti è praticamente vietata, gli organi filo-titini continuano indisturbati la loro propaganda anche nella Zona anglo-americana.

Tuttavia si può affennare che, in conseguenza degli avvenimenti degli ultimi due mesi, tutta l'organizzazione attivistica jugoslava a Trieste, che era stata creata e mantenuta in vita con ingenti sforzi e con enorme dispendio di capitali nel corso degli ultimi tre anni, ha riportato un colpo da cui non le sarà facile riprendersi: ed è questo, forse, il risultato più concreto e più notevole delle ripercussioni triestine del dissidio fra Mosca e Belgrado.

Non occorre certo sopravalutare questa paralisi jugoslava, che è dovuta ad un fenomeno di dislocazione che ha carattere temporaneo. I capitali, i fondi, gli immobili delle varie organizzazioni sono rimasti in mano jugoslava; e Belgrado non cesserà certo le sue sovvenzioni in questo particolare momento.

Già si intravvede verso quali linee si stia ora indirizzando la propaganda jugoslava, la quale è ritornata al concetto della difesa ad oltranza del trattato di pace, alla riaffermazione deJJa vitalità del Territorio Libero e si serve degli indipendentisti come di una pattuglia di punta, cui è affidato il compito di recuperare fra la borghesia italiana di Trieste il terreno perduto fra le masse operarie. Questa propaganda indipendcntista, cui l'acquisto del Corriere di Trieste (mio telespresso n. 5959/1121 del 27 agosto us) 4 ha dato improvvisamente una impreveduta possibilità di espansione tanto più pericolosa in quanto essa è vista con certa simpatia in molti ambienti alleati, affianca ora in maniera cauta e sistematica le azioni della frazione comunista filo-titina. Questa, di conseguenza, ha abbandonato, almeno per ora, il tentativo di mantenere in vita I'U.A.I.S. ed il fronte democratico che, per uno strano paradosso, sono invece sostenuti dalla frazione cominformista, contro le stesse direttive della risoluzione dell'Ufficio Informazioni.

4 Non pubblicato.

Quanto all'attività dei «cominformisti» è da notare che essi, se, a quanto pare, sono riusciti ad assicurarsi la maggioranza della Zona A, attirando a sé non soltanto la massa dei lavoratori italiani, ma anche non trascurabili gruppi sloveni, hanno subito mostrato una enorme debolezza finanziaria. Lo stesso Lavoratore ha rischiato di non poter essere pubblicato durante alcuni giorni, per mancanza di fondi. Anzi, è stata rilevata, con stupore, la lentezza con la quale i partiti comunisti ortodossi, da Mosca o da Roma, sono venuti in soccorso agli elementi che, in uno dei pochissimi territori dove una scissione comunista era possibile, si sono mantenuti fedeli agli ideali internazionalisti del partito. Tale situazione sembra ora superata. Vidali è stato nella settimana scorsa a Roma dove, a quanto si dice, il partito comunista italiano gli avrebbe promesso il suo aiuto finanziario: e, di fatto, gli appelli del Lavoratore ai suoi lettori si sono fatti in questi giorni meno insistenti. Resta a domandarsi fino a che punto il Partito comunista italiano, a parte i motivi ideologici, abbia interesse a sostenere la frazione cominformista.

Intanto, per quanto riguarda il Territorio Libero, anche Vidali si è pronunciato per il rispetto del trattato: è la tesi russa, ripetuta pochi giorni or sono a Lake Success, che Vidali ha giustificato facendo presente l 'impossibilità, per i comunisti italiani, di accettare o quanto meno di propugnare il ritorno di Trieste ali 'Italia: atteggiamento che finirebbe di dar ragione alle accuse rivolte ai «cominformisti» dagli elementi filo-titini e che non consentirebbe di evitare per quanto è possibile, quei problemi nazionalistici su cui si è infranta, a Trieste, l'unità della classe operaia. In complesso, sembrerebbe erroneo ritenere che la crisi del partito comunista a Trieste possa produrre un sostanziale vantaggio numerico a favore dei partiti italiani. Vi è, nel campo comunista, una scissione che si sta facendo di giorno in giorno più aspra: e questa ha originato certamente una diminuzione della massa di manovra a disposizione degli agitatori politici jugoslavi. Ma, nonostante lo smarrimento e le incertezze, si può dire che non si è constatato un passaggio di elementi operai italiani dal campo comunista ( cominformista o filo-ti tino) a quello dei nostri partiti: il che è da attribuire, in parte, al carattere indubbiamente borghese dei nostri partiti, anche di sinistra, riuniti nella Giunta d'intesa, ed in parte forse maggiore al fatto che nulla di concreto sembra sia stato fatto per sfruttare, sul posto, la situazione che si era venuta creando.

Ciò trova una spiegazione quando si ricordi che alla crisi del partito comunista si è contrapposta, se pure meno visibile e meno grave, una contemporanea crisi della Giunta d'intesa: ma sopratutto quando si abbia presente che da parte italiana è venuto a mancare un piano preordinato di azione e ci si è limitati ad indirizzare alle masse operaie dei più o meno altisonanti proclami.

Oggi è forse troppo tardi per riguadagnare l'occasione perduta: le organizzazioni comuniste hanno avuto il tempo di ricostruire i loro quadri e l'arresto dei cosidetti «agitatori» del cantiere San Marco, nonchè il loro processo che si sta celebrando in questi giorni hanno servito egregiamente per dare l'impressione che il Governo militare alleato, sostenuto dai partiti borghesi, persegue, innanzitutto, una politica anti-operaia. Il che non è, dopo tutto, che uno slogan propagandistico, ma uno slogan efficace.

Queste considerazioni e queste impressioni sulla situazione dei vari partiti a Trieste devono forse essere tenute presenti in relazione ad un altro proplema di cui si è tornato a parlare con, insistenza, in questi giorni, negli ambienti alleati e triestini: quello delle elezioni amministrative. Sia sotto l'impulso delle critiche rivoltegli al riguardo, sia per la mentalità dei funzionari che lo compongono, il Governo militare alleato è stato indotto ad esaminare con particolare cura, specialmente negli ultimi tempi, la possibilità di indire delle elezioni a Trieste. La terza relazione del generale Airey, su cui ho riferito col mio telespresso n. 5705/ l 072 del 13 agosto u.s. 4 , contiene delle sintomatiche espressioni in merito. Quanto ai partiti italiani, ci si è domandato in certi ambienti se l'attuale crisi del partito comunista non consentirebbe che le elezioni dessero dei risultati insperabilmente favorevoli agli elementi nazionali; e si è prospettata l'opportunità di prendere un'iniziativa al riguardo, in modo che non sembri, ove le elezioni si dovessero tenere per decisione del Governo militare alleato, di aver accettato o subito l'iniziativa altrui.

Ora, circa questo problema, che è certo uno dei più delicati che si dovranno affrontare a Trieste, sembra opportuno tener presenti due considerazioni:

l) che, come ho detto più sopra, l'attuale crisi comunista, se impedisce la formazione di un forte blocco di sinistra, non costituisce solo per questo una sostanziale modificazione dei rapporti di forza esistenti fra i vari partiti;

2) che per ragioni tecniche (compilazione delle liste elettorali ecc.) le elezioni non potranno tenersi, al dire di funzionari competenti del Comune di Trieste, che almeno sei mesi dopo che saranno state indette. Ciò fa sì che, nel chiederle, si debba aver riguardo non tanto alla situazione attuale, quanto a quella che, presumibilmente, sarà la situazione della città al momento in cui esse potranno effettivamente aver luogo. Sembra pertanto necessario concludere che l'attuale crisi comunista triestina non deve modificare sostanzialmente l'atteggiamento dell'elemento italiano, qualunque esso sia, nei confronti del problema delle elezioni: atteggiamento che deve essere basato su considerazioni di carattere prospettiva, e sopratutto su elementi di carattere permanente e su modificazioni della situazione tendenzialmente costanti.

La scissione delle organizzazioni comuniste locali ha senza dubbio una grande importanza in quanto sottrae alla Jugoslavia una buona parte delle masse di cui essa poteva servirsi per la sua politica intimidatoria nei confronti di Trieste ed in quanto diminuisce la possibilità per Belgrado di servirsi di fattori locali per appoggiare le sue rivendicazioni territoriali (causa, questa, non ultima del ripiegamento della fazione tìlo-titina sull'atteggiamento di rispetto assoluto del trattato di pace). Ma, dal punto di vista interno, non sembra costituire una variazione importante nei rapporti fra i gruppi finora contrapposti e nemmeno preludere alla possibilità di un loro schieramento che, ai fini nazionali, presenti elementi di sostanziale vantaggio rispetto alla situazione attuale.

383 1 Non rinvenuto. ma vedi D. 156

384 1 Copia priva dell'indicazione della data di an·ivo.

384 3 Vedi D. 180.

385

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T S.N.D. URGENTE 11868/707. Washington, 4 settembre 1948, ore 2, 12 (per. ore 17).

Miei 539 e 547 1 .

In seguito arrivo da Londra via Ottawa di Gladwyn Jebb è stata convocata 1en Dipartimento nuova riunione fra rappresentanti Stati Uniti e Canada da una parte e potenze Unione Occidentale dall'altra. Seconda riunione tenuta oggi. In conversazione con dirigente affari politici europei mi è stato detto a titolo confidenzialissimo che nell'esaminare attuale situazione e prospettive Unione Occidentale si è parlato partecipazione Italia, per la quale da qualche tempo inglesi andrebbero spingendo e dimostrando notevole interesse ben più di altri membri continentali. Discussioni attuali circa Italia sarebbero anche dovute a richieste e osservazioni precedentemente formulate da Governo americano e che attendevano risposta. Secondo interlocutore, americani avevano infatti qualche tempo fa posto in particolare rilievo:

l) necessità che Stati della Unione «definissero sollecitamente loro pensiero circa accessione Italia e suo ruolo nella Unione stessa»; 2) grande importanza partecipazione italiana per riassetto tanto Europa occidentale quanto zona Mediterraneo.

Interlocutore mi ha poi rivolto insistenti domande su attuali intendimenti Governo italiano. Ho risposto dialetticamente, diffondendomi su noti eventi da nostro periodo pre-elettorale alle discussioni dei sostituti a Londra per colonie. Mi è stato allora accennato alla perplessità di Bevin per persistente mancanza indicazioni precise circa propositi Roma: né sembravano mancare motivi per ritenere Governo italiano alieno dal definire sua posizione. Al riguardo mi è stata data lettura telegramma Douglas circa quanto dettogli da Bevin su conversazione 20 agosto con nostro ambasciatore in materia Unione Occidentale2 . Anche a ciò mi è stato facile rispondere osservando che Bevin sembrava aver completamente taciuto all'ambasciatore americano suo silenzio ad ansiose ed importantissime osservazioni Gallarati Scotti circa questione coloniale. Ho poi informato confidenzialmente interlocutore delle istruzioni telegrafiche inviate a Londra da V.E.3 dopo detto colloquio e, pur negando che Roma intendesse porre connessione tra due questioni, ho fatto rilevare ovvie difficoltà nostra opinione pubblica specie qualora le continuasse essere ostinatamente negata da Londra ogni soddisfazione in que

2 Vedi D. 335.

3 Vedi D. 338.

566 stione coloniale. Interlocutore ha mostrato rendersi conto esattezza osservazioni ed apprezzare in tutta sua importanza necessità venire incontro esigenze popolo italiano non essere escluso da Africa. Ho peraltro tratto da conversazione precisa impressione che interesse americano per posizione Italia nei confronti Unione Occidentale tenda indubbiamente aumentare4 .

385 1 Vedi DD. 188 e 203.

386

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T 119151197-198. Bruxelles, 4 settembre 1948, ore 20,25 (per. ore 9 del 5).

Spaak mi ha detto che proposta francese per la riunione di una conferenza preparatoria che dovrà studiare progetto costituzione di una assemblea europea verrà esaminata dagli ambasciatori a Londra che costituiscono come è noto comitato permanente previsto dal Patto Brusselle. Esame questione da parte cinque potenze è strettamente conforme spirito e lettera patto e suggerimento francese investirne comitato permanente appare saggio ed opportuno.

Spaak è stato sempre d'avviso che bisognerà giungere ad una federazione europea; alla riunione dell' Aja del 20 luglio u.s. egli si era associato a perplessità manifestate dagli inglesi soltanto per quanto concerneva tempestività proposta Bidault che giungeva inattesa e poteva apparire prematura. Ma poichè questione è stata di nuovo sollevata in forma ufficiale dal Governo francese, Spaak ha dato subito sua adesione, considerando altresì che è forse preferibile che la questione venga studiata ufficialmente dai Governi piuttosto !asciarla sollevare liberamente alle iniziative private che si vanno moltiplicando creando qualche confusione.

Cammino per una Federazione europea non sarà facile a causa esitazione inglesi, preoccupati sia per ripercussioni in rapporto con Dominions sia per timore che impegni troppo stretti nel campo economico con gli altri paesi europei possano incidere su programma nazionalizzazione che attuale Governo laburista non ritiene poter abbandonare.

Ho detto al ministro che iniziativa aveva incontrato calorosa approvazione in Italia. Risulta dalle importanti dichiarazioni del conte Sforza e dai favorevoli commenti di tutta la nostra stampa. Ministro mi ha detto che ne era al corrente, ma non aveva compreso l'atteggiamento della delegazione italiana ad Interlaken che non si

era dimostrata favorevole acché un primo studio della questione fosse affidato alle potenze del Patto di Brusselle.

Ho detto al ministro che forse i rappresentanti italiani ad Interlaken non erano al corrente dell'evoluzione del nostro punto di vista, ed ho creduto accennargli alle notizie di che al tel espresso 841 del 26 agosto 1 , informandolo della nostra idea di concordare possibilmente col Governo francese una comune iniziativa per sollevare la questione in occasione della prossima riunione dell'O.E.C.E.

Sopraggiunta la proposta francese 2 il Governo italiano ha subito comunicato a Parigi la sua calorosa approvazione3 , aggiungendo di trovare naturale che un primo scambio d'idee a riguardo abbia luogo fra le potenze del Patto di Brusselle già legate da recente accordo di reciproca consultazione politica.

Spaak ha dimostrato molto interesse per quanto gli esponevo ed ha detto che l'appoggio sincero dell'Italia poteva risultare di grande importanza per la sollecita e favorevole riuscita della iniziativa.

385 4 Per la risposta vedi D. 390.

387

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1630/734. Belgrado, 4 settembre 1948 (per. il 7).

È venuto da me a colazione il ministro aggiunto al commercio estero, Pavlic.

Riassumo brevemente la sostanza della conversazione che ho avuto con lui.

Il Governo jugoslavo desidererebbe concludere un accordo commerciale su nuove basi; allo scopo, secondo Pavlic, non sarebbe sufficiente una riunione della Commissione mista prevista dall'accordo commerciale in vigore.

A quanto sembra, interesserebbero alla Jugoslavia prodotti che non erano stati inclusi, o lo erano stati in misura minima, nell'attuale accordo commerciale. In specie egli mi ha parlato di tessuti. Mi ha anche informato che oggi il ministro Ivekovic aveva, a Roma, una conversazione con il ministro Merzagora per trattare l'acquisto, da parte della Jugoslavia, di tessuti e materie prime per un importo di circa due miliardi di lire.

2 Vedi D. 333.

3 Vedi D. 350.

Mi ha pregato di svolgere la mia opera perchè vengano facilitate le compensazioni tra i due paesi, e perchè vengano accelerate le pratiche di autorizzazione all'esportazione da parte dei competenti organi governativi italiani.

Mi ha fatto rilevare, per sottolineare l'importanza che il Governo jugoslavo annette ai rapporti commerciali con l'Italia, che il nuovo addetto commerciale presso la legazione jugoslava a Roma è stato ministro aggiunto al Ministero dell'industria. Circa la sua proposta di addivenire a nuovi accordi commerciali, egli mi ha detto che sarebbe urgente iniziare le conversazioni in modo che possano essere concluse prima della scadenza dell'attuale accordo commerciale, e cioè del 28 novembre p.v.

Mentre sulle sue proposte mi sono limitato ad esprimere la speranza di una sempre più feconda attività commerciale fra i due paesi, gli ho osservato che, per aversi rapporti commerciali veramente fecondi, occorre migliorare progressivamente anche le relazioni di natura politica.

Non intendevo con ciò accennare ai più gravi problemi che possono, in questo momento, dividere i due paesi, ma mi riferivo piuttosto a fatti di minore portata, (quali consolato di Fiume, esecuzione dei provvedimenti di amnistia, ecc.) dai quali, essendo di più facile soluzione, si poteva vedere meglio la reale buona volontà di addivenire a rapporti di buon vicinato.

Io ho accennato anche al problema della pesca. L'anno scorso eravamo stati sollecitati alla firma dell'accordo commerciale, con la promessa che si sarebbero poi subito iniziate trattative per risolvere questo problema, così importante per la popolazione costiera dell'Adriatico, ma tuttavia a tutt'oggi non è stato fatto, da parte jugoslava, un solo passo concreto e fecondo di sviluppi.

Il sig. Pavlic ha ammesso con me la necessità che lo sviluppo di rapporti commerciali sia accompagnato dal miglioramento di rapporti politici. Fin qui il contenuto sostanziale della conversazione.

Sembra che il Governo jugoslavo intenda veramente modificare i suoi piani di importazione per rispondere, pare, alle recenti critiche sul basso tenore di vita della popolazione jugoslava; perciò che si è indotto all'importazione di tessili, mentre, d'altra parte, come mi ha detto lo stesso Pavlic, non sarà in grado di esportare grano per potere distribuire alla popolazione pane migliore di quello che è stato fin qui distribuito.

Ho avuto anche la sensazione che il Ministero del commercio estero intenda rivedere tutto il problema delle importazioni ed esportazioni, anche per le ripercussioni che la risoluzione del Cominform ha avuto nei rapporti della Jugoslavia con gli altri Stati «progressivi».

Poichè durante il mio congedo avrò occasione di venire a Roma, avrò modo di tornare verbalmente n eli' argomento 1 .

386 1 Si tratta di un circolare che ritrasmetteva alle ambasciate ad Ankara, Bruxelles e Londra e alle legazioni ad Atene, Bema, Copenaghen, Dublino, L'Aja, Lisbona, Lussemburgo, Osio, Stoccolma e Vienna il D. 350.

387 1 Per la risposta vedi D. 398.

388

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.O. 11894/30l. Mosca, 5 settembre 1948, ore 1,22 (per. ore 7,30).

Mio 279 1• Stamane la delegazione La Malfa è stata invitata con me a colazione da ministro Mikoyan in presenza Zorin. Colazione aveva preciso scopo politico perché al caffè Mikoyan è entrato decisamente nel merito delle conversazioni in corso rilevando che mentre le trattative commerciali procedevano bene vi erano serie difficoltà sul punto delle riparazioni ed aggiungendo che altre questioni politiche generali rendevano più difficile un accordo. Precisando a questo proposito Mikoyan ha sviluppato senz'altro accenno già fattomi da Zorin nel telegramma in riferimento ponendo in modo chiaro la connessione fra trattative economiche e specialmente sulle riparazioni da un lato e questione consegna navi da guerra dall'altro. Pur essendo espressa in termini amichevoli e con molte dichiarazioni sia sulla obiettiva reciproca convenienza di scambi economici tra i due paesi sia sulla simpatia fra i due popoli e persino col riconoscimento dell'umanità dei soldati italiani durante occupazione territorio russo, la connessione è stata posta nel modo più deciso. Naturalmente on. La Malfa appoggiato da me ha risposto adeguatamente ponendo accento su questione riparazioni e su aspettativa da parte nostra di un atto amichevole dei sovietici a nostro riguardo declinando d'altra parte competenza su questione navi. Mikoyan ha insistito dicendo che se anche questione navi non andava trattata in sede conversazioni economiche essa subiva influenza posizione politica navi per la soluzione della quale si rivolgeva a Zorin e a me. Questo era in sostanza lo scopo dell'invito e pur essendo difficile dire se i sovietici sosterranno il collegamento fino in fondo è fuori dubbio che essi lo hanno posto con estrema fermezza e col fine di fare intendere che i due problemi sono a loro avviso inscindibilmente intrecciati. È chiaro che la delegazione continuerà sulla via tracciatale senza preoccuparsi di problemi ad essa estranei ma deve pur considerarsi prossimo il momento in cui trattative si areneranno col tacito presupposto della pendenza questione navi. In vista di quel momento ritengo debbasi fin da ora studiare e decidere linea da seguire tenendo presente che mentre assoluta distinzione due problemi potrebbe essere più utile nel caso si volesse su entrambi mantenere rigida intransigenza rischiando rottura su entrambi i rapporti, nella ipotesi invece in cui si volesse trovare componimento su problema navi converrebbe forse non farlo isolatamente ma valersene per farlo pesare, con tutta la indubbia influenza che i sovietici gli attribuiscono, sul problema delle riparazioni.

Ad ogni modo anch'io ho opposto di fronte a Mikoyan e Zorin di non avere alcun mandato su questione navi per nulla compromettere fino a decisioni codesto Ministero2 .

388 1 Vedi D. 345.

389

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 33201• Alessandria, 5 settembre 1948 (per. 1'11).

Questo mmtstro degli esteri, Khashaba Pacha, in un lungo colloquio con lui avuto oggi nella sede estiva di Bulkeley, mi ha detto che stava dedicando tutta la sua attenzione al problema palestinese per ricercarne la soluzione, anche nell'eventualità che esso venga discusso nella prossima Assemblea dell'O.N.U. a Parigi, dove egli si recherà quale presidente della delegazione egiziana.

Mi ha lasciato intendere di essere angustiato dalle grandi difficoltà che incontrava, e mi ha chiesto quale fosse i l mio punto di vista sulla questione e possibilmente anche quello del mio Governo.

Premettendo che parlavo a titolo personale, ho detto al ministro che l'Italia manteneva un atteggiamento ispirato alla più stretta neutralità; ed a tale riguardo mi rallegravo per le amichevoli dichiarazioni da lui fatte in occasione dell'asserita iniziativa della Lega araba diretta ad indicare l'Italia come il principale centro del contrabbando a favore dei sionisti (mio telegramma n. 180)2 . Ne ho approfittato poi per comunicargli, !asciandogli una nota scritta, la decisione del mio Governo di associarsi alla risoluzione del Consiglio di sicurezza per la nuova tregua a tempo indeterminato, malgrado che non facciamo parte dell'O.N.U. (telegramma di V.E.

n. 9800/cY,

Ho aggiunto che il nostro principale interesse, data la nostra posizione geografica, era il mantenimento della stabilità politica interna ed internazionale nel Mediterraneo orientale: avremmo perciò appoggiato qualunque soluzione che potesse riuscire gradita sia agli arabi che agli ebrei. Il mio Governo si era anche preoccupato delle sfavorevoli ripercussioni che avrebbe potuto avere nei paesi arabi una soluzione del conflitto palestinese non conforme ai loro interessi, ed ai gravi sacrifici di sangue e di danaro incontrati nelle recenti operazioni belliche, tanto che, potevo dirgli a titolo confidenziale, si era indotto a fare un passo presso le principali potenze interessate affinché si esaminasse favorevolmente l'eventualità di dare qualche com

2 Vedi D. 367.

3 Del 27 agosto, non pubblicato.

penso agli Stati arabi, Egitto compreso, anche di carattere territoriale ove si realizzasse una spartizione della Palestina. Sempre a titolo personale ho osservato che la nascita di un'entità nazionale ebrea in Palestina era ormai un fatto compiuto, visto che essa aveva ottenuto il riconoscimento, de facto o addirittura de jure, di due grandi potenze quali gli Stati Uniti e la Russia. Tale circostanza doveva esser tenuta presente nella ricerca di una soluzione, compresa quella federativa che mi sembrava rappresentare il punto di partenza più accettabile per gli arabi.

Il ministro mi ha risposto che egli non riusciva a capacitarsi ancor oggi dell'affrettata decisione degli Stati Uniti di riconoscere de facto lo Stato ebraico, il quale, se rappresenta un pericolo per l'America a più o meno lunga scadenza, costituisce una minaccia immediata per gli Stati arabi.

Occorreva trovare la maniera di limitare le possibilità di azione dei sionisti, sopratutto per quanto concerne l'immigrazione, le forze armate ed il diritto di rappresentanza diplomatica. Un assetto basato sul principio federale, con maggioranza degli arabi, avrebbe potuto fornire la migliore garanzia: egli era però convinto che gli ebrei non avrebbero accettato tale soluzione. Stava quindi studiando una formula secondo la quale il compito di stabilire i limiti dell'immigrazione, delle forze armate e della rappresentanza estera verrebbe affidato ad una commissione di cinque, composta di due rappresentanti arabi, due ebrei ed un rappresentante neutrale che garantisse l'imparzialità delle decisioni. Ha tenuto a sottolineare trattarsi di un suo progetto personale, che sottoporrà al Comitato politico della Lega araba che si riunirà domani in Alessandria.

Ho colto l'occasione per fare osservare al ministro che il punto di partenza per ogni futura intesa era necessariamente il ristabilimento di relazioni di fiducia tra arabi ed ebrei. Occorreva quindi anzitutto far cessare al più presto non soltanto ogni forma di persecuzione contro le persone ed i beni degli ebrei, ma bensì infondere loro fiducia per quanto riguardava il loro avvenire nei paesi arabi. Riferendomi in particolare alla colonia italiana di religione ebraica in Egitto che ammonta a diverse migliaia, ho osservato risultarmi che molti dei suoi più importanti esponenti, alcuni dei quali hanno posizioni di primissimo piano nel mondo della finanza e del commercio, stanno domandandosi se non convenga loro di liquidare gli averi e trasferirsi altrove. Ciò vale anche per la maggioranza degli ebrei di altre nazionalità, inclusa quella egiziana; se dovesse effettivamente verificarsi un esodo, limitato ovviamente ai più abbienti, il primo ad esserne colpito sarebbe lo stesso Egitto. Gli ho suggerito l'opportunità di cogliere la prima occasione favorevole per tranquillizzare gli ebrei qui residenti, sia con qualche pubblica dichiarazione che riaffermi la distinzione tra sionisti ed ebrei, sia con un atto concreto. Ne ho approfittato per chiedergli di riesaminare la posizione degli ebrei italiani tuttora internati (circa venti) per liberare

. .

1 meno compromessi.

Khashaba Pacha, pur cercando di scusare i recenti eccessi antiebraici verificatisi or è qualche settimana in Egitto con le feroci persecuzioni di donne e bambini arabi in Palestina da parte degli ebrei, ha detto esser egli stesso convinto della necessità di una distensione, e mi ha promesso di adoperarsi per ottenere le liberazioni da me ancora una volta richiestegli.

Non dubito che il ministro degli esteri, che è uomo di sentimenti moderati, farà del suo meglio sia per ricercare una soluzione di compromesso in Palestina, sia per dare qualche soddisfazione a me ed ai miei colleghi esteri circa la detenzione di cittadini stranieri accusati di sionismo. Resta da vedere se riuscirà a far trionfare la sua politica di moderazione in contrasto con quella intransigente e ultra nazionalista del presidente del Consiglio, Noqraschi Pacha. A questo proposito segnalo per debito d'ufficio un'informazione secondo la quale l'attuale ministro degli esteri sarebbe il candidato in pectore alla presidenza del nuovo Governo, che dovrebbe quanto prima sostituire l'attuale. Ma la realizzazione di quest'eventualità dipende tuttavia da molti fattori, ed in primo luogo dalla misura di successo che Khashaba Pacha potrà ottenere nella prossima Assemblea dell'O.N.U., e dalle relazioni con l'Inghilterra, di cui egli ha pazientemente ricercato il miglioramento nei mesi scorsi, finora senza successo.

388 2 Per la risposta vedi D. 392.

389 1 Il rapporto reca a margine l'annotazione di Zoppi: «Con riserva per una migliore composizione della commissione la formula mi pare meritevole» e quella di Sforza: «Consento».

390

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. S.N.D. l 0183/492. Roma, 6 settembre 1948, ore 22,30.

Suo telegramma n. 707 1•

Con il telespresso n. 1284 del 31 agosto2 , che nel frattempo dovrebbe esserle pervenuto, è stato precisato punto di vista Governo italiano su attuale posizione Italia e le sono state impartite istruzioni avviare conversazioni con codesto Governo dirette accertare possibilità pratiche ottenere aiuto americano per riarmo, ciò che non implicherebbe immediata adesione formale italiana a Patto occidentale o ad altra alleanza regionale, ma rappresenterebbe, rispetto a questi, pratico coordinamento.

Quanto ella riferisce non dovrebbe mutare, a un primo esame, valutazioni e conclusioni di cui al telespresso già citato.

Comunque: noi restiamo dell'opinione che immediata adesione italiana Unione Occidentale non porterebbe alcun contributo positivo problema difesa Europa occidentale in genere e stessa Italia in particolare. Né sarebbe facile, in queste condizioni, farla accettare da nostra opinione pubblica. Ci sembra perciò sarebbe più saggio procedere sin da ora graduale rafforzamento nostre forze militari in stretta intesa con Stati Uniti come già avviene, benché in tutt'altre forme e circostanze, con Grecia e Turchia. Tanto più che Italia ha dato e darà sempre forte appoggio ad ogni iniziativa cooperazione europea, che si voglia prendere come punto partenza Unione Occidentale oppure, come io preferirei, sedici Stati piano Marshall. Potrebbe essere così possibile raggiungere egualmente nostro posto in schieramento politico definitivo, ma in uno stadio più progredito sviluppo europeo.

2 Vedi D. 375.

In tutto questo è insensato che taluno cerchi mm1ma traccia illusione equidistanza e tanto meno doppio giuoco. Al contrario se ad aumentato interesse americano per posizione Italia nei confronti Unione Occidentale corrispondesse in pari tempo più concreta volontà includere Italia zona strategica americana saremmo pronti esaminare e discutere con massima franchezza e lealtà anche questa nuova situazione.

Quanto sopra per suo orientamento a complemento istruzioni contenute nel sopracitato telespresso e nella misura che fosse giudicata necessaria in relazione sviluppi accennati suo telegramma3 .

Ambasciatore Tarchiani, al suo ritorno costà, provvederà illustrare nostro punto di vista.

390 1 Vedi D. 385.

391

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 11968/304. Mosca, 6 settembre 1948, ore 19,39 (per. ore 6,30 del 7).

Da an. La Malfa.

Nel corso terza settimana trattative, delegazione sovietica ha accettato di inserire nel trattato di commercio clausola circa unione doganale nella formulazione art. 6 recente trattato svizzero-sovietico e cioè «sono eccettuati dagli impegni assunti articoli 2-5 vantaggi comuni o da concordarsi in avvenire da una Parti contraenti a Stati confinanti per agevolare traffico frontiera come pure vantaggi risultanti da unione doganale già conclusa o che potrà concludersi avvenire una Parti contraenti». Non credo sarà possibile ottenere più completa formulazione per quanto nostra delegazione tenterà far ampliare articolo fino a comprendere «regime similare» di cui al comma b dell'art. 19 nostro primitivo progetto. Prego farmi conoscere se, ove delegazione cedesse nella questione fondamentale clausola nazione più favorita, si possa rinunziare a commi c e d su cui sovietici hanno preso deciso atteggiamento negativo 1• Continuano scambi idee e discussioni per quanto riguarda contingenti e accordo commerciale e pagamenti. Accordo di principio raggiunto nel settore prodotti agricoli.

Nel settore riparazioni si sono concretati punti opposizione di principio fra noi e sovietici, che possono riassumersi come segue:

l) questione beni;

2) valutazione da applicare alle forniture riparazioni, che sovietici -analogamente a quanto hanno fatto con Stati satelliti -vorrebbero imporci in base ai prezzi del 1938 aumentati con ridicole percentuali, mentre noi in base trattato di pace sosteniamo applicabilità prezzi al momento consegna; 3) organizzazione e procedura d'esecuzione riparazioni, che sovietici vorrebbero formulare nei termini degli analoghi accordi con paesi satelliti.

391 1 Vedi D. 397.

Ma è indubbio che avvenimento più importante settimana è rappresentato dichiarazioni fattemi da Mikoyan circa connessione politica fra problemi consegna

. . . .

nav1 e nparaztom.

Da parte mia ribattuto mandato affidatomi !imitasi ad argomenti concordati con contatti preliminari avvenuti prima partenza da Roma; e questa rimane attualmente posizione delegazione.

Comunque dopo quanto avvenuto mi parrebbe utile che, qualunque decisione possa essere presa, sia assicurato al massimo possibile coordinamento Ministero, ambasciata di qui e delegazione2 .

390 3 Per il seguito vedi D. 467.

392

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 10220/116. Roma, 7 settembre 1948, ore 23,50.

Suo 301 1•

Con telespresso 1293 del 3 corrente2 le sono stati trasmessi resoconti conversazioni Rubartelli-Karpounin dai quali V.E. potrà rilevare che negoziati, unicamente a causa intransigenza russa, sono giunti a punto morto. In tali condizioni posizione Governo italiano di fronte opinione pubblica è resa particolarmente difficile.

Per sua riservatissima conoscenza la informo che è nostro proposito, in vista esito negativo dei negoziati tecnici, riportare intera questione innanzi Commissione navale ed eventualmente, in secondo tempo, innanzi Quattro ambasciatori con dichiarazione che metta in evidenza intendimento Governo italiano eseguire articolo 57 trattato di pace purché ciò avvenga con modalità moralmente accettabili e materialmente realizzabili, secondo quanto è avvenuto in particolare con Francia.

Per quanto riguarda discorso fattole da Mikoyan osservo che connessione tra negoziati commerciali propriamente detti e questione navale è ovviamente inammissibile. Altrettanto inammissibile lo sarebbe per questione riparazioni a meno che codesto Governo non intenda dedurre da importo totale di quest'ultima congrua quota rappresentante controvalore navi. Ciò che corrisponderebbe del resto a nostra richiesta concordare cessione navi non come «bottino guerra» ma come compenso per danni arrecati in guerra da Marina italiana che in questo caso, a differenza Francia, non sono in realtà mai esistiti o furono del tutto insignificanti.

Lascio a VE. giudicare opportuno esplorare anche questa via. Preclusa la quale, nonostante riconosca giustezza suo ragionamento, non potremmo prestarci tentativo russo trarre da trattative commerciali profitto anche in altro settore, tanto più che

392 1 Vedi D. 388. 2 Non pubblicato. Per una sintesi del colloquio Rubartelli-Karpounin vedi D. 412.

575 questione navi difficilmente potrebbe essere considerata elemento determinante attuale stato rapporti italo-sovietici.

391 2 Per la risposta vedi D. 392.

393

IL VICE DELEGATO PRESSO L'O.E.C.E., PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA 1

APPUNTO. Roma, 7 settembre 1948.

Il C.I.R. -E.R.P. ha preso in esame, in una sua recente riunione, le difficoltà, già altre volte segnalate, che il paese incontra ad assorbire i rifornimenti messi a sua disposizione dal piano Marshall. Tali difficoltà sono venute accentuandosi in maniera da imporsi alla evidenza degli stessi americani. La situazione è la seguente:

l'E.C.A. ci ha assegnato per il primo trimestre (aprile-giugno) una quota gratuita di 140 milioni di dollari ed un'altra parimenti gratuita di 133 milioni per il secondo trimestre. Di questi complessivi 273 milioni ne sono stati finora acquistati ed importati effettivamente solo 98.

Non vi è dubbio che questo ritardo nell'utilizzare i fondi messi a nostra disposizione dipende in buona parte dalla complicata e lunga procedura seguita dall'E.C.A. per emettere le requisitions e cioè per autorizzare gli acquisti, ma v'influiscono altresì difficoltà sia da parte delle nostre Amministrazioni che dovrebbero portarsi a un livello di adeguata efficienza, sia degli operatori privati che si mostrano piuttosto riluttanti a procedere agli acquisti nel quadro delle forniture E.R.P.

Per quanto riguarda le difficoltà imputabili all'E.C.A. è da rilevare che l'acquirente è sottoposto a numerosi vincoli, limitazioni e modalità particolarmente onerosi. L'E.C.A. non ammette altro che pagamento a contanti mentre è normale nella pratica commerciale la concessione di dilazioni di pagamento; il nolo per merci che in base alla legge occorre trasportare su navi americane è notevolmente superiore a quello di mercato (ad esempio per il carbone è superiore di 4 $ cioè di circa il 50%); l'operatore deve infine presentare una numerosa e complicata documentazione. A parte ciò, pesa su di lui l'incertezza di provvedimenti di carattere generale che l'E.C.A. si riserva di adottare per timore di accaparramenti e di inflazione di prezzi e per altre preoccupazioni d'ordine non solo economico ma anche politico, che determinano depennamenti di voci dal programma, sospensive di permessi di esportazioni, richieste suppletive di dati e di giustificazioni, incompatibili con le pratiche del libero commercio privato. Ne deriva uno scoraggiamento negli operatori privati, ai quali è facile dimostrare che gli acquisti sul piano E.R.P. importano un onere e un rischio maggiori degli acquisti sugli altri mercati.

Si aggiungono a queste difficoltà quelle provenienti dalla nostra prassi amministrativa. Basti citare che per la fornitura di macchinario agricolo, che figura nel

576 primo trimestre E.R. P. per un ammontare di 245 mila dollari, i ministeri dell'Agricoltura e dell'Industria non sono riusciti ancora ad accordarsi sul tipo di macchinario da importare.

Va infine segnalata la giacenza di considerevoli quantitativi di merci pervenute a seguito dei precedenti programmi di aiuti americani (U.N.R.R.A. -Interim Aid) che urge immettere al più presto nel consumo giacché appesantiscono il mercato e trattengono l'operatore da nuovi acquisti per il timore che merci identiche a quelle da lui acquistate sul piano Marshall vengano poste in vendita al miglior offerente dagli enti incaricati della loro liquidazione. D'altro canto un rapido smaltimento di questi stocks non può essere determinato che da una forte ripresa della nostra produzione e in particolare da un intensificato stimolo alle esportazioni. Per questo motivo la Missione americana insiste nel sostenere che «il problema immediato, che richiede innanzi tutto un'azione nel campo fiscale, è di riattivare la domanda e pertanto di accrescere l'attività industriale e l'occupazione fino al limite consentito dai quantitativi di combustibile e di materiali che sono programmati».

Per tutti i motivi ora accennati s'incontrano gravissime difficoltà persino a compilare dei programmi trimestrali di acquisti. Non siamo ad esempio riusciti a definire le nostre richieste per l 'utilizzo completo dei 133 milioni di dollari assegnatici per il secondo trimestre e neanche a indicare l'aver programme e cioè la lista suppletiva di merci per un ulteriore 15% come c'era stato richiesto. Abbiamo perciò dovuto dividere il programma in due parti: nella prima, per 117,5 milioni di dollari, abbiamo incluso le voci per le quali (tranne anche qui alcune eccezioni) siamo in grado di richiedere le requisitions e nella seconda, per 18,5 milioni di dollari, abbiamo compreso voci per cui non abbiamo ancora potuto ottenere, dalle Amministrazioni italiane interessate, elementi precisi.

Analoghe difficoltà incontriamo ad assorbire la quota di prestiti (loans) assegnataci dall'E.C.A. e che si aggira prevedibilmente, per questo primo anno, sugli 80 milioni di dollari. È noto d'altronde che persino il prestito di l 00 milioni di dollari dell'Export-Import Bank non è stato ancora integralmente assorbito.

Per quanto riguarda i loans, mentre dagli altri paesi partecipanti sono state avanzate richieste e stipulati i relativi contratti per quote notevoli, da noi si denota finora scarsezza di richieste per l 'utilizzo di questi prestiti che dovrebbero permettere l'acquisto di attrezzature. Tale scarso interessamento è sopratutto dovuto alla mancata pubblicazione fino ad ora delle condizioni (interessi, ammortizzo e garanzia di cambio) e delle modalità alle quali l'I.M.I. è disposto a concedere ai privati i prestiti ch'esso ottiene dall'E.C.A. Ora quest'ultima ha fatto le più vive istanze perché i contratti relativi ai prestiti del primo anno siano possibilmente stipulati entro il dicembre 1948.

Quanto al prestito dei l 00 milioni di dollari della Eximbank sono stati stipulati contratti per 67 milioni, e ne sono in corso di stipulazione altri per 20 milioni. La somma totale utilizzata ammonta perciò a soli 36 milioni e mezzo di dollari.

Le conseguenze di questa situazione sono facilmente comprensibili. Recentemente la nostra delegazione tecnica a Washington, che coordina gli acquisti sui fondi E.R.P., ha segnalato le ripercussioni che la nostra difficoltà di assorbimento provoca negli ambienti americani, tra i quali si diffonde il convincimento che i fondi messi a nostra disposizione eccedano la nostra possibilità di utilizzarli. Ne potrebbe conseguire che, a differenza di quanto è stato concesso dall'E.C.A. per il residuo non

utilizzato del l o trimestre, ci venga negato di riportare sui trimestri successivi le somme non utilizzate dei programmi trimestrali precedenti. Ma sopratutto il pericolo che corriamo è che ci venga diminuita l'assegnazione annuale che ci è stata provvisoriamente fissata, com'è noto, in milioni 611 di dollari.

393 1 In Archivio centrale dello Stato, Carte Sforza.

394

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4561/1918. Londra, 7 settembre 1948 (per. !'11).

Riferimento: telespresso ministeriale 1284/c. segr. pol. del 31 agosto u.s. 1•

Corrispondenze da Parigi e da Washington riportate oggi più o meno ampiamente dalla stampa di Londra, affermano che gli Stati Uniti hanno risposto negativamente alla richiesta francese di forniture militari su basi lease-lend all'infuori dagli aiuti Marshall: dietro suggerimento di Harriman gli americani avrebbero invece proposto che «France should manufacture Iight arms and munitions but the heavy armaments should come from Britain who would be asked to divert part of her industry for their manufacture. Britain would be paid in dollars, not France, for these arms» (corrispondenza da Parigi al Daily Express).

La corrispondenza premette che Harriman avrebbe sostenuto a Washington la semplice tesi che <mnless the Western Union countries can defend themselves, America is wasting dollars, since the money would be lost in an invasion».

Non so sino a che punto sia attendibile la fonte francese o americana di tali notizie: esse comunque si inquadrano perfettamente con l'idea che ci si può fare da qui dei propositi americani per la condotta della loro cosidetta «guerra fredda» contro la Russia attraverso la difesa dell'Europa occidentale. Se tale idea è giusta, taluni dei concetti espressi nella comunicazione ministeriale citata in riferimento andrebbero forse riveduti. Visto da qui, infatti, il problema si presenta, in schema molto elementare, come segue:

-non è detto che la «guerra fredda» sia solo un preludio della «guerra combattuta» (nel qual caso si avvererebbero le ipotesi delineate nel telespresso ministeriale già citato): essa può esserne anche un sostituto dettato dal desiderio di evitare di dover giungere alla guerra totalitaria;

-per raggiungere tale obiettivo, ossia per fermare l'espansione non solo della Russia in quanto Stato ma anche della sua influenza in quanto comunismo senza ricorrere ad azione armata, la «guerra fredda» deve essere totalitaria e partire da un fronte unico e senza settori di debolezza; ogni vacillazione, impreparazione o mancanza di cooperazione da parte di Stati occidentali (ossia di Stati che sono in Europa occidentale non per dichiarazione del loro Governo ma per il fatto che i loro popoli

hanno scelto di essere governati da regimi non comunisti e sono quindi ad est della «cortina di ferro») indebolisce il fronte e rende più difficile allontanare il pericolo (o la necessità) della guerra vera;

-il piano Marshall è stato accettato da tutti i Governi europei non comunisti ed è stato ed è avversato da tutti i regimi comunisti, i quali ultimi, forse più chiaramente di alcuni Governi non comunisti, ne hanno compreso il significato: il piano è difatti la prima fase della «guerra fredda» in quanto vuol «armare» economicamente i paesi aderenti e creare in essi condizioni di prosperità nelle quali è più difficile si diffonda il comunismo nelle masse, inteso come espressione di protesta contro la miseria: quindi i paesi che aderiscono al piano Marshall e che fanno nel campo economico e politico interno una politica anticomunista o non comunista, non possono illudersi di essere considerati neutrali dalla Russia, la cui intransigenza è nota persino nei riguardi di Governi comunisti non del tutto ortodossi (il caso Tito insegni);

-la prima fase della «guerra fredda» (E.R.P.) è seguita da analoghi schemi politici e militari: come nel campo economico gli Stati Uniti anziché aiutare o sovvenzionare i singoli paesi separatamente desiderano prima che i vari beneficiari coordinino i loro sforzi, così anche nel campo militare essi vogliono che l'aiuto americano serva a colmare le deficienze di un fronte unico dell'Europa occidentale;

-il caso degli aiuti diretti alla Grecia e alla Turchia (come agli altri Stati «tampone» Persia, Corea, Cina) è una eccezione dovuta ai motivi di urgenza che hanno ispirato la cosiddetta «dottrina Truman»: quantunque non firmatari di patti europei, tali due paesi sono ancora meno neutrali di qualsiasi altro, né i loro Governi parlano di equidistanza politica o militare tra i due blocchi. Sono addirittura «posti di frontiera>• americani; la Grecia è in guerra col comunismo e, nei due paesi, gli ufficiali americani in divisa, i mezzi e gli equipaggiamenti americani, sono la prova anche visiva di una rinuncia alla neutralità. (A tale proposito, sembra alle volte ingenua e pericolosa la impostazione anti-occidentale data dalla nostra legazione in Atene alla trattazione di alcuni problemi con il Ministero degli esteri ellenico: vedasi ad esempio il telespresso ministeriale 3/674/c. del 5 agosto u.s.)2 .

In base a queste sin troppo ovvie osservazioni, non sembra possa considerarsi il problema dei rapporti tra Italia ed Europa occidentale solo dal punto di vista della posizione del nostro paese nella eventualità di un conflitto, nel quale non saremmo comunque dalla parte della Russia a meno di diventare comunisti (mons. Tardini parlando dei vantaggi della neutralità, dà la consolante notizia che «il trapasso del regime sociale e politico» potrebbe in tal caso «essere più lento e graduale», vedi telespresso ministeriale 24777/c. -D.G.A.P. Uff. I del 27 agosto) 3: è invece necessario esaminare le nostre possibilità di azione nell'ipotesi più immediata della continuazione della «guerra fredda».

Sotto tale prospettiva il problema, sempre visto da qui e in forma molto elementare, sembra riassumersi come segue:

3 Ritrasmetteva a Londra, Mosca, Parigi e Washington il D. 352.

-essendo beneficiaria di aiuti americani e avendo eletto un Governo non comunista, l'Italia nella prima fase della «guerra fredda» è già nel fronte occidentale, anche se difficoltà di ordine interno e influenze di vario genere rendono difficile consacrare con atti clamorosi (adesione al Patto di Bruxelles o simili) il mantenimento di detta posizione quando si passi dalla prima alla seconda fase (politicomilitare);

-d'altra parte, almeno di fatto, siamo automaticamente solidali col fronte occidentale anche nella seconda fase: nel campo politico, perché manteniamo un Governo non comunista e non vogliamo rinunciare agli aiuti americani; nel campo militare, perché desideriamo riarmarci con l'aiuto dell'Occidente e non con quello della industria sovietica;

-alla nostra richiesta di conversazioni tecniche per esaminare la nostra situazione difensiva (e per chiedere materiale bellico) gli Stati Uniti potranno rispondere:

(a) negativamente, nel quale caso saremmo disarmati pur non essendo di fatto neutrali dato che facciamo politica economica anticomunista; (b) affermativamente, nel senso di considerarci alla stregua della Turchia e della Grecia (nel qual caso le difficoltà di ordine interno che militano contro la nostra adesione al Patto di Bruxelles si opporrebbero a più forte ragione alla presenza in Italia di missioni militari americane e alla direzione americana delle nostre forze armate); oppure (c), se sono attendibili le corrispondenze da Parigi e da Washington di cui all'inizio del presente rapporto, con l'invitarci a coordinare il nostro riarmo con gli altri paesi dell'Europa occidentale, il che equivale, sia pure in modo meno clamoroso e a noi più conveniente nelle circostanze attuali, a una presa di posizione altrettanto importante e impegnativa che non l'adesione al Patto occidentale4 .

394 1 Vedi D. 375.

394 2 Non rinvenuto.

395

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 12161/0136. Istanbul, 8 settembre !948 (per. il 10).

A te!espresso del 7 agosto n. 12141•

Ho detto a questo segretario generale Ministero esteri che, a lenire la delusione dell'insuccesso e ad assicurare una qualche stabilità nel Medio Oriente -che è anche interesse nostro salvaguardare -Governo italiano ritiene molto gioverebbe assegnare zona araba della Palestina non alla sola dinastia hascemita, ma anche ali 'Egitto, Siria, Libano.

395 1 Vedi D. 296.

Mi risponde che gli arabi, da re Faruk a Ibn Saud, potrebbero indursi ad accettare una soluzione di questo genere, ma non re Abdullah di Transgiordania, il quale ha dalla sua, non soltanto, come gli altri Stati arabi, parole, ma argomenti più solidi. Sicché, appoggiato come è sulla sola forza o quasi, di cui in definitiva gli arabi dispongono, è la sua una opinione che conta. Spartire fra molti la torta palestinese non sarebbe poi cosa facile. Sorgeranno certo contese e contrasti fra gli interessati, col probabile risultato di porre a rischio proprio quella stabilità del mondo arabo che si intende salvaguardare.

Io credo che la Turchia, la quale ha, per assicurarsi le spalle, un ..... 2 ed urgente interesse a porre dell'ordine nel mondo arabo, sia press'a poco persuasa che codesto obbiettivo può essere meglio e più rapidamente raggiunto soltanto attraverso l'egida britannica. E favorisce quindi gli Stati hascemiti, che sono appunto la maggiore carta in mano britannica e con i quali del resto, non con gli altri, è legata da vincoli di accordi. Governo turco ha, d'altra parte, pochissima o nessuna opinione degli arabi, per averli amministrati per secoli. E mostra di ritenere che l'insuccesso politico e militare cui con così estrema leggerezza sono andati incontro, gioverà almeno a porli in contatto con la dura realtà e cioè ad assaggiarli e, in definitiva, a piegarli a quei patti con la Gran Bretagna, di cui sinora si sono mostrati insofferenti.

È certamente questa, a mio avviso, un'opinione semplicista. Che sarebbe stata validissima vent'anni fa, ma che lo è molto meno oggi.

Segretario generale ha comunque preso atto della mia comunicazione e della rinnovata conferma che, per quello che concerne Gerusalemme, Governo italiano mantiene il suo punto di vista favorevole allo statuto internazionale.

394 4 Per la risposta vedi D. 445.

396

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1332/288. Guatemala, 8 settembre 1948 (per. il 5 ottobre).

Il ministro degli affari esteri di El Salvador dott. Ernesto A. Nufiez, al quale avevo comunicato il contenuto del telegramma per corriere di codesto Ministero

n. 6853 (A. Pol. 3°) in data 14 giugno 19481 , mi ha fatto conoscere che il suo Governo preferiva che la dichiarazione formale del ristabilimento dello stato di pace fra il Salvador e l'Italia avvenisse non a mezzo di uno scambio di note, ma bensì di un trattato di cui egli mi ha sottoposto la bozza (Allegato l )2.

396 Vedi D. 113. 2 Non pubblicata.

Le ragioni di questa preferenza sono esposte nel rapporto del nostro rappresentante consolare a San Salvador sig. Pennaroli che qui unisco in copia (Allegato 2)3 .

In merito ali' art. 2 del trattato progettato osserverò che le misure restrittive adottate all'inizio della guerra contro i sudditi italiani sono state di fatto già abolite, come ho avuto occasione di riferire col rapporto n. 884/165 del l O giugno scorso4 relativo alla presentazione delle mie lettere credenziali al presidente del Salvador, gen. Salvador Castaneda Castro.

Il contenuto, poi, de il'art. 3 corrisponde pressappoco al paragrafo 2 (pagina 19) del «memorandum» honduregno del 26 aprile 194 7, trasmesso in copia a codesto Ministero con te l espresso n. 776/146 del 5 maggio 19475 .

Secondo quanto mi è stato riferito dal sig. Pennaroli, il ministro Nuììez sarebbe disposto a prendere in considerazione le eventuali modificazioni che si volessero apportare al testo del progetto.

Sarò pertanto grato a codesto Ministero, se, dopo averlo opportunamente esaminato, volesse darmi in merito le istruzioni del caso con cortese urgenza6 .

395 2 Parola illeggibile.

397

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 102961118. Roma, 9 settembre 1948, ore 17, 15.

Per delegazione.

Suo 304 1 .

Prendiamo atto con soddisfazione accettazione sovietica formulazione che copre unione doganale con Francia. Siamo disposti lasciar cadere lettera d) nostro progetto se viene accolta frase «regime similare» di cui comma B. Quanto lettera c) stante impegni che stiamo assumendo O.E.C.E. è impossibile abbandonare concetto che l'ha ispirata. Vedrà VS. se può venir sostituita con clausola analoga se pur di diverso tenore o con scambio note, eccetera.

Per questione beni e valutazione riparazioni VS. potrà in ultima analisi proporre rinvio per decisione contrastanti tesi a quattro ambasciatori. Valutazione beni a momento consegna dovrebbe risaltare da frasi contenute art. 74 quali «produzione

4 Non rinvenuto.

5 Non pubblicato.

6 Non è stata rinvenuta risposta.

582 corrente» che implica concetto di attualità al momento consegna o quanto meno ordinazione e concetti non aggravare ricostruzione italiana o carichi sopportati da potenze alleate. Infatti se prezzi fossero al disotto quelli attuali è chiaro che tali concetti economici verrebbero posti in non cale.

Circa navi già risposto a parte2 .

396 3 R. 104 del l" luglio, con il quale Pennaroli aveva comunicato che Nufiez teneva alla firma di un trattato perché potesse essere presentato all'Assemblea nazionale un documento equipollente a quello sottopostole al crearsi dello stato di guerra, per il prestigio che sarebbe derivato al suo paese dalla firma di un trattato individuale e per evidenziare la capacità del Salvador di differenziare la propria condotta da quella del gruppo degli Stati latino-americani.

397 1 Vedi D. 391.

398

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. PER CORRIERE 10332. Roma, 9 settembre 1948.

Suo 1630/734 del 4 settembre 1 .

Per quanto particolarmente riguarda la proposta di addivenire mediante regolari negoziati a nuove trattative per modificare «SU nuove basi» l'accordo del 28 novembre 194 72 (il quale funziona per noi egregiamente per quanto ha tratto alla sua intelaiatura, specie in rapporto ai pagamenti), si osserva quanto segue:

a) gli impegni precedentemente presi dai nostri esperti per negoziati da condursi con terzi paesi sia a Roma che all'estero escludono la possibilità di una trattativa a fondo nei mesi di ottobre e novembre;

b) ma anche a prescindere da ciò, l'opinione pubblica italiana non si renderebbe conto della nostra adesione a negoziare ex nova, lasciando totalmente insoluta la questione della pesca, la quale avrebbe pur dovuto trovare una base di negoziato subito dopo l'entrata in vigore dell'accordo commerciale vigente. Rischieremmo perciò addirittura di peggiorare anziché di migliorare la situazione esistente qualora si addivenisse a negoziazioni su basi nuove;

c) ciò non toglie che, come abbiamo già fatto, non si possano approntare miglioramenti ed estensioni ali 'accordo in vigore, mediante conversazioni singole anche di commissione mista. Ciò valga in particolare per i nuovi acquisti di tessuti per i quali l'operazione è già allo studio.

Voglia comunicare quanto precede al signor Pavlic in relazione all'apertura fattale, aggiungendo che ogni altra iniziativa che possa migliorare a fondo le nostre relazioni con la Jugoslavia ci troverà sempre estremamente favorevoli e che proprio a ciò è dovuta la nostra insistenza per la questione della pesca3 .

2 Vedi serie decima, vol. VI, D. 768.

3 Con T. 13765/289 del 14 ottobre Martino comunicava di aver eseguito le presenti istruzioni. Inoltre con T. 13798/293 del 15 ottobre informava di aver avuto conferma da Brilej dell'intenzione del Governo jugoslavo di trattare tutti i problemi di natura economica pendenti con l'Italia e di iniziare le conversazioni per risolvere il problema della pesca prima di quelle commerciali.

Analogamente CI espnmeremo con la legazione di Jugoslavia, quando se ne presenti occasione.

397 2 Vedi D. 392.

398 1 Vedi D. 387.

399

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12116/309. Mosca, 9 settembre 1948, ore 12,15 (per. ore 21.30).

Seguito 308 1•

Sono evidenti sforzi questo Governo apparire sempre più strenuo sostenitore concessione amministrazione ex colonie a Italia e suo intento rigettare su potenze occidentali responsabilità disaccordo.

400

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12128/62. Oslo, 9 settembre 1948, ore 17,40 (per. ore 6 del l 0).

Mi riferisco al telespresso della E.V. n. 3/795 dello scorso 20 agosto', ma pervenutomi soltanto ieri.

Pregiomi informare la E.V. che Governo norvegese non ha preso finora in considerazione suo eventuale atteggiamento a Parigi in merito alle colonie italiane, sia perché esso non ha nessun interesse diretto nella questione e sia perché qui si ritiene che sia da escludersi una definitiva decisione in materia durante la prossima Assemblea dell'O.N.U. Questo ministro degli esteri, che ho potuto vedere prima della sua partenza per Stoccolma (ove si è recato per nota riunione dei ministri degli esteri scandinavi e dove sarà discusso atteggiamento Parigi), pur protestando sua amicizia verso nostro paese e comprensione nostra tesi, mi ha detto che alla Norvegia, piccola potenza senza alcuna storia coloniale, riuscirebbe assai difficile di giustificare un proprio interessamento diretto ad un problema così complesso e delicato, ma che, ad un esame superficiale, non vede neppure nessuna ragione per cui suo paese dovrebbe schierarsi contro una decisione a noi favorevole, la quale, del resto, non potrebbe esser presa che a seguito di un accordo fra Washington e Londra.

Per quanto concerne l'Islanda farò passi personali durante prossima visita a Reykjavik: visita che ho dovuto ritardare di alcuni giorni, stante che quel ministro degli esteri partecipa egli pure alla conferenza dei ministri degli esteri scandinavi.

Però va tenuto fin da ora presente che voto dell'Islanda sarebbe in definitiva quasi certamente subordinato a quelli degli Stati scandinavi.

399 1 In pari data, con il quale Brosio aveva sottolineato il grande rilievo dato dalla stampa locale al passo sovietico per indire, prima del 15 settembre, la convocazione del Consiglio dei ministri degli esteri per la discussione del problema coloniale.

400 1 Vedi D. 337.

401

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 12129/310. Mosca, 9 settembre 1948, ore 23,18 (per. ore 6 del l 0).

Telegramma 1161 . Telespresso 1293 2 non (dico non) mi è pervenuto ieri 8 settembre e quindi non sono per ora al corrente delle conversazioni Rubartelli-Karpounin, dei dettagli sulle ultime posizioni assunte da noi e dai sovietici sulle quali le conversazioni si sono arenate. Per tale ragione non comprendo esattamente nostra ultima posizione circa navt. Se la nostra è una posizione unicamente morale e noi intendiamo dare navi a titolo di riparazioni ma per una cifra puramente simbolica, forse la soluzione sarebbe possibile e noi potremmo anzi far pesare questa nostra posizione per ottenere che sovietici cedano su questione prezzi 1938, beni danubiani e modalità controllo

esecuzione riparazioni. Se invece noi volessimo computare navi per una somma congrua ossia negoziare ai fini di ridurre sostanzialmente nostro debito complessivo riparazioni, sembrami che posizione sarebbe moralmente e politicamente poco tenibile ed in tal caso non riterrei opportuno esplorare tale via. Aggiungo che essa non troverebbe neppure appoggio presso on. La Malfa non solo per sua intrinseca natura, ma anche perché inevitabilmente essa indurrebbe i sovietici a irrigidirsi sulle altre loro tesi in tema di riparazioni portando la discussione su un piano di do ut des delicato e pericoloso. In tale ipotesi o egli oserebbe a mio avviso affrontare nettamente la situazione cercando convincere i sovietici a non collegare questioni diverse,

o in tale situazione si giungerebbe probabilmente a una rottura con una nostra posizione sulle riparazioni giuridicamente e politicamente forte ma con una posizione complessiva che lascio a codesto Ministero giudicare. Ad ogni modo per ora sembrami più prudente saggiare fino in fondo nei limiti del possibile intenzioni sovietiche e grado loro intransigenza su collegamento fra le varie questioni, il che farò in questi giorni stretto accordo con la delegazione.

401 1 Vedi D. 392. 2 Vedi D. 392, nota 2.

585 Nel frattempo ed in attesa del richiamato telespresso 1293 desidererei avere per telegrafo precisazioni su nostra tesi navi in rapporto ad alternative sopra esposte3 .

402

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12134/57. Santiago, 9 settembre 1948, ore 19,40 (per. ore 6 del IO).

Dispaccio 3/795 del 20 agosto 1 , incrociatosi con mio telegramma per corriere 0102 in cui ho riferito circa delegazione cilena Assemblea O.N.U. e circa colloqui da me avuti con sottosegretario affari esteri prima della sua partenza per Parigi ove si reca assumere direzione detta delegazione. Come comunicato in esso, tanto nuovo ministro esteri quanto sottosegretario, ai quali di mia iniziativa avevo voluto ricordare affidamenti a suo tempo dati in via privata in proposito, anche per iscritto, mi hanno confermato che la delegazione cilena ha istruzioni appoggiare in termini generici aspirazioni italiane per amministrazione fiduciaria colonie.

Occorre comunicare e tener presente che, quando si passerà esaminare concretamente singoli aspetti questione, delegazione cilena, nonostante ogni buona volontà, non potrà non tener conto eventuali pressioni nord-americane, data speciale situazione Cile rispetto Stati Uniti d'America.

403

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Roma, 9 settembre 1948.

In una conversazione con il signor Sale, vice capo de li'Ufficio Italia del Dipartimento di Stato, si è parlato anche dei possibili sviluppi della questione di Trieste in occasione della prossima Assemblea generale dell'O.N.U. a Parigi.

Il signor Sale ha detto che il Dipartimento di Stato non prevedeva una ripetizione di quegli attacchi all'Amministrazione alleata della Zona A che hanno carat

2 Del 6 settembre, non pubblicato.

586 terizzato gli ultimi dibattiti di Lake Success: e comunque tali attacchi avrebbero potuto essere facilmente neutralizzati rinnovando la richiesta che anche il comandante della Zona B presenti il suo rapporto.

Era invece da attendersi, e ciò è confermato anche dall'agenda provvisoria di Parigi, che gli jugoslavi, probabilmente appoggiati dall'Unione Sovietica e da altri paesi satelliti, riaprissero la questione della nomina di un governatore per il Territorio Libero di Trieste. E a questo proposito il mio interlocutore ha lasciato intendere che il Governo americano si sarebbe trovato imbarazzato ad eludere una simile richiesta.

Ho fatto osservare al signor Sale che una presa di posizione nettamente negativa non mi sembrava poi così difficile. Tanto il rappresentante americano quanto quelli inglese e francese avrebbero potuto obiettare che l'Unione Sovietica non aveva ancora né declinato né accettato la proposta contenuta nella dichiarazione tripartita del 20 marzo 1• D'altra parte lo spirito della dichiarazione era appunto di far constatare nel modo più esplicito come, a parere delle tre potenze occidentali, il trattato di pace si fosse dimostrato praticamente inapplicabile per tutta la parte che concerne la creazione del Territorio Libero di Trieste e una delle principali ragioni di questa constatazione era appunto l'esperienza negativa fatta dai Quattro Grandi nei loro ripetuti tentativi di accordarsi per la nomina di un governatore. Ho ricordato a questo proposito che oltre e a seguito del fallimento delle trattative svoltesi in seno al Consiglio di sicurezza dell'O.N.U., si era avuto anche, per incarico dello stesso Consiglio, un tentativo ugualmente infruttuoso di trovare un accordo diretto tra le due parti interessate e cioè tra Italia e Jugoslavia.

In queste circostanze a me sembrava che ogni procedura internazionale prevista dal trattato di pace per la designazione di comune accordo di un governatore del Territorio Libero fosse stata già largamente esplorata, e che non fosse opportuno, a distanza di tempo e dopo la dichiarazione tripartita, prestarsi né al gioco jugoslavo né a quello sovietico. Ho aggiunto infine che l'opinione pubblica italiana, che aveva accolto con gioia la dichiarazione del 20 marzo, difficilmente avrebbe capito per quali ragioni si ritornasse al punto di partenza, cioé a un nuovo tentativo di applicare lo statuto al Territorio Libero che proprio le potenze occidentali avevano riconosciuto come inapplicabile, per ultimo a Lake Success.

Il signor Sale mi ha detto che si rendeva conto della portata di questi argomenti, e che li avrebbe fatti presenti al Dipartimento di Stato. Egli sperava comunque che si sarebbe potuto evitare di accedere ad una eventuale richiesta jugoslava e che la questione di Trieste avrebbe finito per essere accantonata, almeno per quanto riguarda la prossima Assemblea generale. In questo caso egli vedeva, come futuro possibile sviluppo, un nuovo e ultimo sollecito delle tre potenze firmatarie della dichiarazione del 20 marzo presso l'Unione Sovietica. Dopo di che, avutane una risposta esplicitamente negativa o semplicemente evasiva come la precedente, si sarebbe studiato la possibilità di sottoporre l'intera questione all'Assemblea generale allo scopo di far approvare dall'Assemblea stessa, con maggioranza qualificata di due terzi dei voti, l' endorsement della dichiarazione tripartita.

401 3 Vedi DD. 412 e 417.

402 1 Vedi D. 337.

403 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

404

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 9061 . New York, 9 settembre 1948 (per. il 15).

Riferimento: seguito mio telespresso 838 del 23 agosto u.s. 2 .

La discussione del ricorso jugoslavo contro i Governi americano ed inglese per le pretese violazioni al trattato di pace con l'Italia commesse dalle autorità militari anglo-americane amministranti la Zona A del T.L.T., ha occupato sei sedute del Consiglio di sicurezza.

Prima dell'inizio del dibattito la delegazione americana, ma ancor più la delegazione inglese, si erano dimostrate, malgrado le assicurazioni generali datemi, alquanto riservate sul loro «piano di battaglia», perché, per precise dichiarazioni fattemi da entrambe, volevano prima di tutto constatare quale sarebbe stata la reazione sovietica di fronte al problema in discussione.

Ciò che volevano verificare in antecedenza era fino a che punto il dissidio TitoCominform aveva inciso sulle relazioni russo-jugoslave; e cioè constatare se la delegazione russa avrebbe lasciato cadere, senza alcun intervento favorevole, l'azione intrapresa dalla delegazione jugoslava. Dal risultato di queste constatazioni, evidentemente, l'atteggiamento dei due Governi anglo-sassoni avrebbe potuto essere graduato opportunamente.

Ho il dovere di dichiarare tuttavia che gli accenni a me fatti in questo senso furono, in verità, molto cauti: ma essi erano ciò non pertanto assai significativi per non rivelarmi uno stato d'animo alquanto preoccupante.

Anche dopo il primo intervento sovietico, nelle predette delegazioni vi era ancora chi non era sicuro fino a che punto il Governo di Mosca avrebbe dato man forte a quello di Belgrado. Alcuni funzionari cercavano di sottilizzare sulle parole per cercare di riconoscere, nell'atteggiamento del delegato sovietico, un non so che di nuovo che avrebbe giustificato le loro presupposizioni.

Eppure sin dall'inizio della discussione i delegati ucraino e sovietico non lasciarono dubbi sul loro atteggiamento; essi si opposero persino a che la Jugoslavia fornisse un rapporto al Consiglio di sicurezza sull'amministrazione della sua zona, cosa che il delegato jugoslavo aveva già accettato in principio. Non solo quindi «appoggio», ma completa «direzione» della linea politica del dibattito, arrivando persino a trascurare pubblicamente una dichiarazione jugoslava.

Da una lettura accurata del primo discorso jugoslavo si poté subito rilevare che il Governo di Belgrado si era sopratutto preoccupato a porre in luce le violazioni agli annessi del Trattato di pace che il Comando militare alleato aveva commesso con lo stringere gli accordi del 9 marzo con il Governo italiano. Non vi era dubbio che tale

588 preoccupazione era sopratutto determinata dalla proposta fatta dalle tre potenze alleate il 20 marzo scorso; ma non si era avuto, da parte jugoslava, il coraggio di porre sul tappeto il problema nella sua interezza.

Non fu che dopo il primo ed aggressivo discorso sovietico che ci si rese subito conto quali fossero le vere intenzioni di Mosca. Il Governo sovietico non era eccessivamente interessato alle querele legalistiche del Governo di Belgrado, su questo o quell'articolo degli annessi predetti; esso invece desiderava approfittare dell'occasione per tentare di bloccare i propositi anglo-franco-americani di restituire all'Italia l 'intero Territorio Libero di Trieste. Per raggiungere questo scopo il delegato sovietico non poteva avere mezzo migliore che insistere sulla necessità di porre fine alle cause che avevano determinato lo stato attuale delle cose, cioè la mancanza della nomina del governatore. Gli anglo-americani risposero nettamente che la soluzione adottata dalla Conferenza della pace non poteva più essere mantenuta per l'azione svolta dalle autorità jugoslave nella loro zona, azione che equivaleva ad una virtuale annessione della zona al resto del paese.

Fu a questo punto che le delegazioni inglese ed americana furono portate a riconfermare in pieno i loro propositi, già enunciati il 20 marzo u.s. E le dichiarazioni non potevano essere né più ferme né più esplicite.

Tuttavia l'attacco sovietico non si allentò; accusando gli anglo-americani di malafede e scartando sprezzantemente i chiari accenni fatti da sir Alexander Cadogan di voler presentare tutta una serie di documenti sulle spaventose malversazioni, atrocità e violazioni commesse dagli jugoslavi nella loro zona, i delegati sovietici insistettero nel loro tentativo di trasformare il fondo della questione inserendo nella discussione -che doveva proceduralmente essere limitata alle sole pretese violazioni denunciate dagli jugoslavi -il problema fondamentale della nomina del governatore con la presentazione, da parte ucraina, di una risoluzione al riguardo.

Tanto gli americani, ma sopratutto gli inglesi, si ribellarono vivamente contro questo tentativo; ma le loro proteste, quantunque fossero basate su precisi punti di diritto e di procedura, non vennero tenute in nessun conto dal presidente sovietico Malik. Il delegato inglese, sir Alexander Cadogan, indignato contro tale manovra, dichiarò che «non avrebbe preso parte al voto». E così fece.

Nella delicata situazione che si era venuta creando il delegato siriano tentò di togliere dalle braccia del Consiglio l'intero spinoso problema cercando di rinviare alla Corte dell' Aja le accuse jugoslave ed invitando le cinque grandi potenze a risolvere tra di loro la questione del governatore; ma il presidente non si fece distogliere dal suo divisamento e mise ai voti la risoluzione ucraina.

Il Consiglio di sicurezza la rifiutò con cinque astensioni contro quattro voti favorevoli: la Siria e la Cina si erano affiancate, per considerazioni giuridiche molto discutibili, all'U.R.S.S. ed all'Ucraina.

Così falliva il tentativo sovietico di risollevare pubblicamente l'aspetto politico della questione di Trieste. Non rimaneva quindi che di liquidare la protesta jugoslava, e ciò venne fatto senza alcuna difficoltà, con un votazione significativa: due voti favorevoli contro nove astensioni.

Ho letto con molto interesse quanto codesto Ministero ha comunicato all'ambasciata di Mosca circa il problema procedurale che si può presentare nel prossimo futuro per cercare di trovare una soluzione, nel quadro delle N.U., al problema posto

dalla dichiarazione tripartita del 20 marzo (telespresso ministeriale n. 5/4532 del 16 giugno u.s-)3.

È pacifico che l'Assemblea può discutere (secondo l'art. 11, paragr. 2) tutte quelle questioni relative al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che le vengano sottoposte da qualsiasi membro delle N.U., ecc. -salvo quanto disposto dall'art. 12 ecc. -e può fare raccomandazioni riguardo a qualsiasi questione del genere allo Stato od agli Stati interessati, od al Consiglio di sicurezza o ad entrambi. Però, secondo questo articolo, «qualsiasi questione del genere per cui si renda necessaria un'azione, dovrà essere deferita al Consiglio di sicurezza da parte dell'Assemblea generale prima o dopo la discussione».

È invece l'art. 14, come VE. ha ben rilevato, che potrebbe essere più opportunamente invocato nel nostro caso. Esso infatti dispone: «Subordinatamente alle disposizioni dell'art. 12, l'Assemblea generale potrà raccomandare misure per il regolamento pacifico di qualsiasi situazione che, indipendentemente dalla sua origine, essa ritenga suscettibile di pregiudicare il benessere generale o le relazioni amichevoli tra le nazioni, ivi comprese le situazioni risultanti da una violazione delle disposizioni del presente Statuto che enunciano i fini ed i principi delle Nazioni Unite».

Quest'articolo, con l'inciso sottolineato4 , è il solo che, nello Statuto delle N.U., può essere indicato come quello invocabile pel caso di una eventuale revisione di un trattato.

VE. è certamente al corrente come a Dumbarton Oaks era stata adottata una formula molto più limitativa per esprimere lo stesso concetto. «The Generai Assembly should initiate studies and make recommendations for the purpose of adjusting situations likely to impair the generai welfare».

Non fu che a San Francisco che le «quattro potenze invitanti» presentarono un emendamento alle proposte di Dumbarton Oaks; dalle prime discussioni risultò chiaro che esse volevano trovare un equivalente dell'art. 19 del Covenant ginevrino, e cioè una formula che permettesse la revisione pacifica dei trattati.

Senonché nei dibattiti si rivelò una forte opposizione -organizzata sopratutto da alcuni Stati sud-americani -contro qualsiasi inclusione nel futuro Statuto di un articolo che facesse speciale menzione al problema della revisione dei trattati. Si arguì che esso avrebbe indebolito la «struttura delle obbligazioni contrattuali internazionali che doveva essere la base delle ordinate relazioni degli Stati nel mondo». Si aggiunse che un articolo del genere avrebbe potuto sembrare un invito agli Stati nemici di tentare di ottenere una revisione dei trattati di pace.

Si venne così alla redazione attuale dell'art. 14 che un ben noto commentatore dello Statuto di San Francisco ha definito «un ben modesto approccio al problema della "revisione pacifica" in un mondo così dinamico».

Per rendere l'idea fino a che punto la corrente antirevisionista fosse prevalente in quell'Assemblea costituente -come purtroppo è tuttora in questi ambienti ritengo opportuno riportare, nel testo originale, una dichiarazione che il senatore

4 Si tratta delle parole «indipendentemente dalla sua origine».

Vandenberg -delegato revisionista americano che ebbe una parte molto importante nella redazione di quest'articolo -pronunciò nel luglio 1946 in seno alla Commissione competente della Conferenza.

Egli spiegò che «although he had originally contemplated a specific allusion in the Charter to the question of revision of treaties, h e had foregone this in favor of the broad version ... put forward by the four sponsoring governments and France. It was inconsistent to launch an international Organization based on international integrity and at the same time to intimate any lack of respect for the instruments through which international integrity functions, namely, treaties. He recognized the objections to identifying treaties as such with this paragraph and held that the concern of the Assembly was not with treaties per se, but with adjusting conditions which might impair peace and good relations between nations.

Considerations of the generai welfare may call for a recommendation that a treaty be respected rather than revised. He submitted that it was wiser not to connect the broad version (of the paragraph) with any specific definition regarding treaty revision. The phrase "the peaceful adjustment of any situation, regardless of origin", in his view, should not be interpreted to mean that the subject of treaty revision was foreclosed to the Assembly. If treaties gave rise to situations which the Assembly deemed likely to impair the generai welfare or friendly relations among nations, it could make recommendations in respect of these situations».

Malgrado però la tendenza antirevisionista della Conferenza, pure si dovette finire per ammettere, sia pure con una formula di grande latitudine, il concetto del riaggiustamento dei trattati divenuti inapplicabili e che quindi possono diventare causa di tensione internazionale.

La formula quindi «indipendentemente dalla sua origine» (regardless of origin) dell'art. 14 assume, in questo caso, una particolarissima importanza: essa è la prova che, malgrado i pregiudizi politici e le disquisizioni giuridiche prevalenti in quella particolare atmosfera post-bellica, pure il criterio revisionistico attraverso negoziati pacifici di trattati divenuti inapplicabili fu dovuto ammettere e finì per essere incluso, sia pure incidentalmente, nelle norme costituitive dell'organizzazione.

È fuori dubbio che, per poter applicare una formula così vaga cd imprecisa, occorrerà che la «situazione» sotto esame raccolga un tale consensus dell'opinione pubblica ed un tale favore da parte dei Governi societari da spingerli ad applicare una procedura così temuta e così pericolosa.

E Trieste, a mio avviso, potrà diventare il test case della formula adottata.

Senonché, purtroppo, la «Charter» contiene ben altre difficoltà che non occorre sottovalutare: l'art. 14 ha due grandi limitazioni: la prima -non interessante il nostro problema -è quella che risulta dalla vasta eccezione contenuta nell'art. 2 paragr. 7, che impedisce ali' Assemblea di fare qualsiasi raccomandazione o ve la «situazione» dovesse sorgere da una questione di giurisdizione interna di un qualsiasi Stato; l'altra invece è contenuta nel testo stesso con il richiamo all'art. 12; e per quanto riguarda il problema che stiamo trattando, questo richiamo è importantissimo.

L'articolo infatti dispone che «durante l'esercizio da parte del Consiglio per la sicurezza delle funzioni assegnategli dal presente Statuto, nei riguardi di qualsiasi controversia o situazione, l'Assemblea generale non farà alcuna raccomandazione riguardo a tale controversia o situazione, a meno che ciò non sia richiesto dal Consiglio per la sicurezza».

Orbene, nelle attuali circostanze, malgrado che la «questione di Trieste» (e con ciò intendo dire specificamente la protesta jugoslava contro l'amministrazione angloamericana) sia stata discussa dal Consiglio di sicurezza e sia intervenuto un voto che potrebbe essere considerato come risolutivo, pur tuttavia l'argomento-indicato con una dizione ampia e generale che mal riproduce lo scopo limitato delle proteste jugoslave -continua a figurare ancora nel nuovo ordine del giorno del Consiglio di sicurezza (vedi documento allegato S/973, punto I5f

È evidente che la decisione di mantenere la questione all'ordine del giorno è stata presa a ragion veduta: essa comporta, oggi, l'impossibilità giuridica che l'Assemblea discuta questo importante problema nel suo insieme e quindi rende impossibile un dibattito pubblico, pericoloso per la Jugoslavia e per l'U.R.S.S., sulla proposta tripartita anglo-franco-americana.

Si può obiettare che ciò non porta in pratica alcun cambiamento poiché nello stesso ordine del giorno, al punto 6, figura la questione «nomina del governatore del

T. L.T.». Ciò tuttavia potrebbe non essere esatto. Non voglio addentrarmi in una discussione di carattere tecnicamente difficile, ma, volendo, ritengo si potrebbe sostenere che la questione «nomina del governatore» -questione limitata nello scopo e ben definita nell'oggetto -non dovrebbe essere sfruttata dalle parti interessate per impedire una discussione in Assemblea sull'intero problema politico del T.L.T. Ad ogni modo la situazione è oggi, purtroppo, proceduralmente molto chiara. L'articolo 12 giuoca in pieno. È stata infatti costante preoccupazione del Governo sovietico evitare che problemi politici e controversi fossero portati in Assemblea, ove non esiste il diritto di veto. Ciò spiega la sua ostinata ostilità contro la «Piccola assemblea» ed il relativo boicottaggio delle sue sedute. È chiaro, per contro, l'interesse sovietico a che questioni di importanza politica

rimangano di stretta competenza del Consiglio di sicurezza, perché qualsiasi soluzione che si tentasse di proporre, in questa sede, nei riguardi di Trieste e che non fosse stata convenuta in anticipo tra le Cinque grandi potenze, si urterebbe inevita

bilmente contro il veto di Mosca.

Cade così, per il momento, l'unica possibilità -per quanto teorica -di sperare di ottenere, in sede delle Nazioni Unite, quella «raccomandazione di valore morale tanto più rilevante quanto più numerosi dovessero essere i consensi», che codesto Ministero intravedeva come un possibile crisma alla bontà della nostra causa.

Ma ciò non dovrebbe essere impossibile in un futuro anche non lontano.

Con l'andare del tempo, però, e con le esperienze che si fanno diuturnamente in

questa sede, si è sempre maggiormente portati a constatare che questa gigantesca organizzazione, verso cui si era rivolta e continua a rivolgersi l'aspirazione unanime dell'umanità assetata di pace, è invece paralizzata nella sua azione dai poteri inconcepibilmente vasti che le «quattro potenze invitanti» si sono assegnati a Yalta e si sono fatti confermare a San Francisco, con uno dei più deplorevoli abusi di autorità della storia, nella fallace ed imprevidente speranza di un duraturo accordo fra di loro.

404 1 Ritrasmesso con Telespr. 15/26870/c. del 28 settembre alle ambasciate a Londra, Mosca e Parigi, alla le~azione a Belgrado e alla rappresentanza italiana a Trieste. Non pubblicato.

404 3 Non rinvenuto.

405

IL CAPO DEL CERIMONIALE, TALIANI, ALL'AMBASCIATORE A LIMA, CICCONARDI

T. 10352/28. Roma, l O settembre 1948, ore 15, 15.

Suo 43 1• Poiché ex presidente Prado già lasciato Perù, non vedesi possibilità rivolgergli formale invito. Resta comunque inteso -ed ella potrà farlo sapere opportunamente costà che ove egli manifesti desiderio venire Italia, vi sarà accolto con viva simpatia.

406

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. 10385/179. Roma, 10 settembre 1948, ore 24.

Suo 048 1•

Per quanto riguarda termini da lei indicati, piuttosto che lo ottobre sarebbe preferibile data prossima al 20 stesso mese; giorno esatto dovrebbe essere concordato compatibilmente impegni presidente.

Sta bene per scambio generale vedute su punti da a) a d) restando inteso che specifiche questioni tecniche di cui a numeri l e 4 non possono essere oggetto che di un esame generico o, se lo si desidera, di una enunciazione indicativa ai fini di una successiva approfondita disamina da parte esperti due paesi in sede diversa in un momento ulteriore da convenirsi.

Circa punto 2) nulla osta da parte nostra a firma, in occasione visita, due convenzioni transito che in questo momento sono le sole su cui possa presumersi

593 raggiunta convergenza vedute. Sarà, peraltro, opportuno che V.E. accerti adesione ufficiale ad articolo 7 convenzione ferroviaria ed accoglimento nostro progetto convenzione stradale.

Voglia lasciar comprendere costì come viaggio sia qui visto con maggiore simpatia e come da scambio vedute ci ripromettiamo non solo consolidamento rapporti miglior vicinato tra due paesi ma anche raggiungimento visione comune su più largo orizzonte europeo2 .

405 1 Del 4 settembre, con il quale Cicconardi aveva riferito circa il largo consenso di cui Prado godeva presso la quasi totalità dello schieramento politico del paese. Per i precedenti vedi D. 353.

406 1 Vedi D. 383.

407

IL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 12206/190. Alessandria, l O settembre 1948, ore 21,04 (per: ore 8 dell'Il).

Mio telegramma n. 187 1• Questo ministro esteri, imbarcatosi questo pomeriggio per Parigi dove prenderà parte lavori Assemblea O.N.U., mi ha detto che nel corso della riunione Comitato politico della Lega araba tenutasi in questi giorni in Alessandria, la questione delle colonie italiane è stata esaminata soltanto nelle sue linee generali. Quanto alla Libia, è stato deciso di riaffermare il principio dell'unità e dell'indipendenza. Quanto all'Eritrea, Khashaba Pascià mi ha confermato che Egitto aveva rinunziato alle proprie rivendicazioni avanzate in passato nei riguardi di quella nostra

colonia, aggiungendo di aver ricevuto vive premure da parte Governo etiopico, il quale ha richiesto insistentemente l'appoggio del Governo egiziano in tale questione. L'Egitto inoltre, in omaggio alle aspirazioni dei popoli alla libertà, si pronuncerà

in favore dell'indipendenza sia dell'Eritrea che della Somalia. Il Comitato della Lega araba, nel quadro di questo principio, ha lasciato ai singoli delegati, i quali si terranno in stretto contatto, la facoltà di fissare sul posto la loro linea di condotta a seconda dell'andamento dell'eventuale discussione. Il ministro esteri egiziano ritiene che soluzione intero problema verrà rinviata e poiché continua ad essere animato dal più sincero desiderio di mantenere le migliori relazioni col Governo italiano, egli si augura che non si addivenga al voto nell'attuale sessione dell'Assemblea, che lo costringa a prendere posizione.

406 2 Con T. per corriere 12X20/059 del 14 settembre Cosmelli infonnò che Gruber, messo a conoscenza del contenuto del presente telegramma, aveva in linea di massima aderito a quanto in esso proposto.

407 1 Del 5 settembre, non pubblicato.

408

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 3/969. Roma, l O settembre 1948.

Mi riferisco da ultimo al tuo telegramma n. 0238 1 .

È giunto Gallarati Scotti e ha consegnato l 'unita memoria2 in cui fa il suo «punto» sulla questione coloniale. Ci ha pure esposto, come risulta dal secondo allegato2 , lo stato attuale della iniziativa Massigli3 , di cui ho a lungo parlato con Fouques Duparc il quale ne era al corrente e mi ha detto che il suo Governo lascia a noi ogni decisione facendo solo osservare che sarebbe conveniente attendere qualche settimana.

A parte che il Dipartimento di Stato non ha ancora dato il proprio assenso, e ammesso che lo dia, il progetto Massigli suggerisce le seguenti considerazioni che ho svolto anche a Fouques Duparc premettendo che non rappresentavano ancora né il nostro punto di vista, né le nostre decisioni, ma unicamente le elucubrazioni che andavamo facendo appunto per arrivare a make up our mind.

Dunque:

l) una soluzione favorevole per la Somalia e di rinvio per tutto il resto (ad eccezione di Assab) avrebbe il vantaggio di presentarsi alla nostra opinione pubblica come un primo successo e creerebbe già quell'atmosfera favorevole che da tempo attendiamo per poter promuovere una reale distensione nei rapporti itala-inglesi, prodromo di tante altre possibilità. Per quanto la Somalia sia poca cosa, è il fatto del ritorno in Africa che avrebbe importanza, mentre pel resto, che apparirebbe non compromesso, rimarrebbero le speranze.

2) Una spartizione della Libia, suggerita all'O.N.U. e da questa deliberata, sulle linee tracciate da Massigli potrebbe essere accettata da noi pur di salvare qualche cosa e piuttosto di perderla tutta, ma a condizione che l'attribuzione dei tre tronconi, immediata o posticipata che sia, avvenisse simultaneamente. Il dire: Cirenaica all'Inghilterra, Fezzan alla Francia, Tripolitania rinvio, con la sola tacita e segreta intesa di darla a noi fra un anno (quante cose possono accadere in un anno!) avrebbe un effetto disastroso e in particolare:

a) toglierebbe ogni valore psicologico e ogni possibilità di sfruttamento politico alla attribuzione della Somalia;

2 Non pubblicato.

3 Vedi DD. 357, 366 e 373.

b) riaprirebbe polemiche e risentimenti verso la Francia, e a distanza di un mese dall'accordo per le navi e dalla nostra (dico di Palazzo Chigi) presa di posizione in relazione a quell'accordo ci esporrebbe ad accuse di illusi, fessi, eccetera eccetera.

Però anche una divisione simultanea dei tre tronconi, se fatale, a mio avviso, dovrebbe avvenire in un secondo tempo, alquanto distanziato dalla decisione per la Somalia e dal nostro effettivo ritorno colà. Gallarati Scotti ha detto a Massigli4 -e concordo con lui -che in ogni caso non potrebbero aspettarsi da noi -almeno ufficialmente e pubblicamente -una collaborazione attiva a tale soluzione, ma una «rassegnazione collaborante». La collaborazione ce la chiedono perché dicono che senza le nostre pressioni sui nostri amici sudamericani sarebbe difficile raggiungere i due terzi in Assemblea.

3) Rimane il punto importante che non si può dimenticare, specialmente di fronte alla nostra opinione pubblica: la dichiarazione Dewey5 . Essa avrà all'atto pratico -il valore che avrà.

Sta però di fatto che il mettere -anche solo simbolicamente -il nostro avallo al progetto Massigli, prima che Dewey abbia dimostrato che seguito vorrà o potrà dare alla sua dichiarazione, può esporci e con ragione ad essere accusati di inettitudine o peggio. Gallarati Scotti si preoccupa anche lui molto di questo e ne deduce che la dichiarazione Dewey, lungi dall'essere come la definì Chauvel, un colpo magistrale della diplomazia italiana, è stato un colpo che si risolve a nostro danno. Mi pare un ragionamento troppo semplice. Certo è che se Dewey trova la questione risolta, ne avrà personalmente molto piacere: gli avranno levato le castagne dal fuoco -potrà però sempre dire (e la prova del contrario non si potrebbe fare!), che se avessimo aspettato lui, eccetera eccetera. Tanto più che non può escludersi al cento per cento che il cedimento di Bevin sulla Tripolitania possa essere suggerito dal desiderio di risolvere la questione prima delle elezioni amencane.

Concludendo sembrerebbe che la soluzione più soddisfacente pel momento sarebbe: Somalia ali 'Italia; rinvio pel resto, secondo la proposta francese e cioè che l'O.N.U. prolunghi il mandato dei Quattro. Nel periodo di rinvio si potrà con più calma studiare una soluzione tenendo in considerazione anche il progetto Massigli. Fouques Duparc trova anche lui che sarebbe pel momento la migliore soluzione, ma fa queste osservazioni: che la Gran Bretagna sembra presa dall'isterismo di avere subito la Cirenaica (non ce l'ha già?) e che durante il rinvio potrebbero gli inglesi compromettere la situazione in Tripolitania.

Mi sarebbe grato conoscere il tuo pensiero, da costì 6 .

5 Vedi D. 342, nota 5.

6 Quaroni rispose con L. 1080/16417/3355 del 15 settembre, non pubblicata.

408 1 Del 6 settembre, non pubblicato.

408 4 Vedi D. 373.

409

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, l O settembre 1948.

Credo utile fornire qualche dettaglio a V.E. sull'accordo dei pagamenti multilaterale che sta in discussione a Parigi. Trattasi è vero di materia molto tecnica: ma come ebbi ad osservare in altre occasioni essa domina ormai le relazioni fra i Diciotto e fra questi e gli Stati Uniti, dalla quale dipende la continuazione dell'aiuto americano, e che costituisce la prima prova di una solidarietà effettiva europea, quasi come una delega delle sovranità singole ad un ente superiore comune. Si crea quindi un «precedente» che è della massima importanza quale prima pietra di un edificio in costruzione, e che sta dando luogo a lodi ed a critiche meritevoli le une e le altre di qualche commento, anche perché le cose non si presentano per noi, a causa delle circostanze di fatto, in maniera solamente favorevole.

Premesse generali.

l. L'America ha promesso degli aiuti in merci ai vari paesi europei. Né l'ammontare globale né quelli singoli sono ancora definitivi: sono anzi sospesi in relazione all'accordo sui pagamenti. Per cui non è certo nel caso non venisse firmato tale accordo che gli aiuti ci sarebbero, mentre è certo che comunque essi sarebbero inferiori alla cifra preventivata, per noi -pare -di 606 milioni di dollari. Di più l'assegnazione da parte del Congresso per gli anni venturi appare condizionata a questa prova di solidarietà europea che gli americani ci richiedono.

2. -La cifra di 606 milioni che ci verrebbe assegnata (per gli altri paesi le cifre sono diverse ma il principio è il medesimo) è divisa in due categorie: in loans (per 60 soli milioni) e in grants. Questi ultimi a loro volta sono distinti in due classi: una parte «incondizionata» e una «condizionata». La prima significa che le lire formate dalla vendita delle merci americane ai privati italiani andranno allo Stato che se ne serve per fini di ricostruzione e quindi indirettamente a sanare il bilancio. La seconda significa che le lire formate come sopra è detto andranno all'agente dell'O.E.C.E. per i pagamenti multilaterali, come dirò appresso. (È chiaro che all'agente vanno anche le sterline, i franchi, le corone ecc. delle quote condizionate dei vari paesi). 3. -Taluni paesi -come il Belgio e la Gran Bretagna-non avrebbero ricevuto gli aiuti americani (grants) o li avrebbero ricevuti in misura minore, data la loro buona situazione economica. Tuttavia, siccome fanno parte dell'accordo per i pagamenti multilaterale, ne riceveranno in relazione ai suoi disposti, come appresso specificato. Ne consegue che il sistema serve, tra l'altro, all'E.C.A. per evitare critiche al Congresso di aver aiutato paesi ricchi, e a questi di ottenere un aiuto che non avrebbero avuto. È appena il caso di dire che questi paesi sono i promotori dell'accordo. È doveroso però riconoscere che si inseriscono nel circuito europeo delle merci-dollaro che altrimenti non vi sarebbero state.

Premesse speciali.

l. I promotori di questo accordo dicono onestamente che non sperano risolvere la crisi europea con questo solo metodo il quale è assolutamente monetario: che anzi sono indispensabili delle mutazioni radicali di politica economica (unioni doganali, abbassamento di contingenti, ecc.). Per mia parte dico di più: che se queste misure generali non precedono o non accompagnano l'accordo, questo rischia, come vedremo, di divenire controproducente. Malgrado ciò, gli americani fanno della stipulazione di esso una conditio sine qua non; e, siccome esso conduce fatalmente a delle distorsioni artificiali e a una pianificazione programmatica dei traffici europei, ne consegue che chi ne ha la direzione, ha in mano la direzione effettiva degli scambi e quindi delle relazioni fra gli Stati. Valga questa osservazione tanto per gli Stati Uniti, quanto per l'O.E.C.E. quanto per la Gran Bretagna che in essa mena il gioco.

2. -L'accordo parte dalla constatazione che prima della guerra i pagamenti intereuropei non si saldavano fra loro. Rimaneva scoperto un saldo che si saldava in dollari: e poiché allora la Gran Bretagna era creditrice degli Stati Uniti, erano questi dollari che chiudevano il circuito. L'accordo mira a ristabilire questa iniezione di dollari che -notisi -non sono però in più di quelli prevedibilmente assegnati ai vari Stati, ma sono compresi in essi, e in detrazione di essi, in quanto costituiscono appunto la parte «condizionata» degli aiuti. 3. -Gli autori del progetto ammettono che non si tratta né di una panacea né di un sistema definitivo. Essi riconoscono che avendo tutti gli Stati consumato o quasi i plafonds di finanziamento degli accordi commerciali, e stabiliti quali volani per permettere la continuità degli scambi, questi si arresterebbero conducendo ad una paralisi generale. La prevista iniezione di dollari servirà a rimettere la macchina in moto, aspettando tempi migliori che si tratta di creare o di rendere possibili con altra forma bilaterale o collettiva di collaborazione.

Funzionamento.

L'accordo prevede tre meccanismi concomitanti: le compensazioni; gli switches; i grants in monete europee.

l. Anzitutto si procederà al consolidamento dei plafonds attualmente esistenti allo scopo di partire da una situazione pulita. Noi saremo colpiti per il plafond (12 miliardi di lire) con la Francia e 2 miliardi con il Belgio. Trattative per riassorbire in avvenire tali plafonds saranno svolte bilateralmente in prosieguo di tempo ma è evidente che è ben scarsa la possibilità di recupero. In tal modo sono proprio coloro i quali hanno fatto fido ad altrui per non arrestare i traffici che verranno ad essere danneggiati, e proprio coloro i quali hanno ricevuto delle merci a credito che avranno la soddisfazione di non pagarle. In secondo luogo ogni paese concorderà con gli altri la concessione dei nuovi plafonds, preferibilmente allargati. Avrà luogo quindi un ulteriore aumento della circolazione monetaria, presumibilmente non coperta.

2. Viene stabilito per approssimazione il traffico e il complesso dei pagamenti tra un paese e ciascuno degli altri partecipanti, prevedendo quindi quale sarà il saldo netto di ciascuno. L'Italia, la quale deve mettere in conto oltre i traffici commerciali ed i normali trasferimenti finanziari anche le rimesse degli emigranti,

figura come creditrice nei riguardi di tutti eccetto che dell'Inghilterra. Supponiamo, ad esempio, che l'Italia preveda fino al luglio 1949 un saldo attivo di 5 milioni di dollari con il paese A, di 10 con il paese B e di 15 con il paese C, nonché un saldo passivo di 20 con il paese D; avrà un saldo netto di 10 milioni di dollari creditore (5 + 10 + 15 = 30 -20 = 10).

3. -Per tale saldo, l'Italia metterà gratuitamente a disposizione dell'agente per le compensazioni il controvalore in lire di 10 milioni di dollari, formando così il suo grant in moneta europea il quale sarà a disposizione di tutti gli altri paesi che presentano un saldo passivo nei suoi riguardi e sul quale questi ultimi potranno prelevare quando saranno esauriti i nuovi plafònds, allo scopo di poter acquistare quelle merci che rappresentano il controvalore di l O e che altrimenti non potrebbero essere acquistate per mancanza di contropartite. Analogamente gli altri paesi creditori (nel caso nostro la sola Gran Bretagna) metteranno a disposizione dell'Italia una somma in valuta nazionale corrispondente all'ammontare dei loro crediti previsti nella bilancia dei pagamenti. Se questo sistema lo si considera applicato ai Diciotto paesi, si realizza come si formi presso l'agente una massa di valute nazionali dei vari Stati a disposizione del commercio intereuropeo, formato dai vari grants europei. Si noti che in nessun caso un paese è tenuto a mettere a disposizione più di quanto non sia stato previsto come saldo netto totale. Il risultato è che i vari Stati pongono a disposizione la loro moneta nazionale per facilitare un volume di scambi che altrimenti non sarebbe raggiunto, in misura corrispondente a quei dollari «condizionati» che vengono detratti dalla assegnazione generale americana e specifica nei riguardi di ogni paese. In ultima analisi quindi sono dollari iniettati dall'America nel circuito europeo, ma sacrificando una parte di aiuti verso ogni paese. Supponiamo infatti che il sistema non avesse luogo e che i dollari «condizionati» fossero invece «incondizionati»: essi rimarrebbero nel paese in cui sono destinati, aumenterebbero il fondo in moneta nazionale e sarebbero quindi delle merci che rimangono a casa. Se per contro il sistema funziona, sono altrettante merci che invece di rimanere in casa vanno all'estero senza contropartita, ossia gratuitamente. 4. -Ogni paese debitore-cioè ogni paese che ha diritto a prelevare sul fondo in moneta nazionale messo a disposizione da un altro -può, oltre che servirsene per i propri usi, come è detto al n. 3, porre i fondi stessi a disposizione di un paese terzo per saldare uno squilibrio prodottosi con questo ultimo. Ne consegue che gli scambi non saranno più come adesso bilaterali, ma multilaterali, e che non seguiranno più né l'iniziativa, né le correnti tradizionali di uno Stato singolo, confondendosi le varie correnti in qualche cosa di nuovo e perciò stesso non costituente, perché suscettibile di continue variazioni, un orientamento duraturo. 5. -Le previsioni dei vari saldi netti indicati al n. 2 saranno integrate dagli switches. Supponiamo che l 'Italia abbia previsto in importazioni dall'America sui grants in dollari 1.000 tonn. di acciaio e che queste siano ottenibili anche in Belgio. Ciò è indifferente per noi nel caso esaminato, in quanto è l 'Italia beneficiaria; ma quando trattisi ad esempio di automobili italiane da fornire alla Turchia, è chiaro che la nostra quota «incondizionata» viene diminuita perché di altrettanto viene aumentata quella «condizionata», col risultato che la fornitura di tali automobili rappresenta non già una perdita per l'economia italiana bensì un lucro cessante perché il fondo lire a disposizione libera del Governo italiano diminuisce di altrettanto. Ora, malauguratamente, l'Italia è necessariamente in condizione di dover concedere più switches, di quanto ne riceva. 6. -In più dei sistemi sopra descritti, tra i vari Stati, nei limiti dei plafonds che essi saranno per concedersi, avranno luogo compensazioni di pagamento. Cioè ogni Stato potrà, sempre attraverso l'agente, pagare un altro per il proprio debito, con il credito che esso vanta verso un terzo. I tipi di tale compensazione sono due: uno automatico, se la partita tra i tre paesi si chiude a zero; uno non automatico se la partita chiude con un aumento del saldo di uno degli Stati verso il terzo.

Osservazioni.

Il sistema, così come si presenta (per quanto non ancora definitivo e neppure accettato da tutti gli Stati in maniera ferma), dà luogo a varie considerazioni. Anzitutto che per l'Italia è da prevedere una quota condizionata di 20 milioni di dollari, ossia una perdita sul fondo lire di 12 miliardi. Se la Svizzera entrasse nell'accordo il nostro gravame aumenterebbe grandemente.

l. Prima dell'accordo tutti i paesi desiderano essere debitori o diminuire le loro posizioni ereditarie per aver da mettere a disposizione degli altri minor quantità di fondi nazionali. Dopo l'accordo ogni paese tenderà a rallentare le proprie vendite per poter tirare sul fondo, e a comperare merci di sua scelta ossia evidentemente quelle più ricche. È più che probabile quindi che il sistema conduca ad una diminuzione degli scambi invece che al loro aumento.

2. -Il sistema costituisce un premio ai paesi che hanno una moneta sopravalutata per ragioni di prestigio (Gran Bretagna, Belgio) e che perciò stesso hanno venduto di meno e comperato di più. 3. -Esso rappresenta un danno per i paesi come il nostro che hanno venduto più di quello che abbiano comperato e che si trovano oggi nella impossibilità di recuperare il saldo. Essi sono altresì danneggiati dall'aumento della quota condizionata cioè dalla diminuzione del fondo lire da impiegare per la ricostruzione. 4. -Il sistema prevedendo una compensazione, prevede un saldo: e questo a sua volta prevede dei cambi intercorrispondenti. Il che è un male, poiché i rapporti tra le monete europee non corrispondono oggi al loro valore economico effettivo e poiché tale disparità viene ad essere consolidata attraverso il sistema. Non risulta che la delegazione italiana abbia avanzato la riserva di una previa revisione dei cambi europei. 5. -Di più per l'Italia risorge il problema della cross-rate colla Gran Bretagna. Noi che non abbiamo voluto negoziarlo da pari a pari con possibilità di garanzie e contropartite di ordine finanziario e commerciale, saremo costretti ad accogliere le richieste inglesi in via indiretta come una imposizione e senza possibilità di negoziato. Se noi rifiutassimo, il sistema salterebbe: e non possiamo certo prenderei una simile responsabilità né di fronte all'Europa né di fronte all'America. 6. -Con la Gran Bretagna noi abbiamo un saldo non utilizzato di circa 20 milioni di sterline a nostro favore. Poiché la previsione del nostro commercio con l'area della sterlina dà all'incirca la stessa cifra a nostro passivo avremmo diritto di ricevere un grant in moneta inglese di altrettanto. Ma la Gran Bretagna afferma che prima di concederci tale grant noi dovremmo consumarci i 20 milioni che già abbiamo, col risultato che il sistema giocherebbe sempre a nostro sfavore, tanto quando siamo attivi, quanto l'unica volta in cui siamo passivi.

Sembra che una via di uscita sia stata trovata, consistente nel porre l'Inghilterra a nostra disposizione un gran t di soli l O milioni di sterline, intendendosi che noi cominciamo ad utilizzare altri l O milioni delle nostre disponibilità dietro promessa di addivenire entro tre mesi a negoziati per la concessione della cross-rate (circa tale complessa questione rimando ai miei precedenti appunti in occasione dei negoziati con la Gran Bretagna), salvo noi a restituire i 10 milioni di grants se i negoziati non andassero a buon porto. È chiaro che l'operazione nella migliore delle ipotesi si salda per noi con il sacrificio di l O milioni di sterline.

Tutto ciò premesso, e fatto quindi un quadro di sintesi obiettiva, non sollevo neppure la domanda se dobbiamo o non aderire al sistema. Chi, come noi, sostiene la cooperazione europea non può sottrarvisi quando una prima forma di essa non è a noi troppo favorevole, ed anche se ne vediamo con gli occhi bene aperti gli inconvenienti. Né è supponibile che mancando la nostra adesione il sistema possa non essere applicato, in quanto l'unanimità è necessaria, perché si produrrebbero conseguenze di estrema gravità a nostro danno nei riguardi degli Stati Uniti.

Quanto a critiche ex post su riserve di principio che avrebbero forse potuto essere elevate con più o meno larghe possibilità di vederle accolte, sarebbe inutile fame. Si può dire anzi che la nostra delegazione a Parigi, nelle circostanze in cui si è trovata, non poteva battersi meglio. Ora bisogna, a mio avviso, stare alle regole del gioco, anche se esse possono apparire pesanti.

V.E. vorrà scusarmi se mi sono tanto dilungato su di un terreno così arido. Ma ritengo che la questione verrà in discussione anche approfondita in seno al Governo e, costituendo essa la prima prova di una cooperazione europea effettiva, desideravo che ella non avesse a rimproverarmi di non averla sufficientemente informata.

410

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2271/1338. Sofia, l O settembre 1948 (per. il 14).

Riferimento: Seguito mio telegramma n. 54 dell' 11 agosto 1948 1•

La lunga assenza da Sofia di questo ministro d'Albania Heba mi ha impedito di dare prima d'ora corso alle istruzioni contenute nel telegramma di V.E. n. 372 , riprendendo con lui il colloquio avuto il 16 luglio u.s. 3 .

Egli è rientrato a Sofia qualche giorno prima della festa del 9 settembre e malgrado sapesse che avevo ripetutamente richiesto di lui non si è dato pena di telefonanni. Ho avuto l'impressione che cercasse di sfuggirmi.

2 Vedi D. 259.

3 Vedi D. 223.

Incontrandolo il 9 settembre durante la manifestazione ufficiale del corteo celebrativo gli ho ripetuto che desideravo incontrarmi con lui, dovendogli fare delle comunicazioni; egli si è da principio schermito, e mi ha chiesto se non potevo dirgli subito -eravamo in piedi e fra altra gente -il contenuto delle istruzioni da Roma. Mi sono rifiutato, dicendo che l'interesse di parlargli era reciproco, e che se egli lo riteneva opportuno potevamo incontrarci in sede più adatta e tranquilla. Egli ha obiettato che non aveva istruzioni da Tirana. Gli ho replicato che per accordarsi bisogna essere in due; e che se egli non voleva incontrarmi, avrei riferito al mio Governo che l'approccio fatto non aveva avuto esito favorevole. Ci siamo così lasciati.

Ma dopo una notte di riflessione egli ha telefonato questa mattina, chiedendo di venire in legazione per un colloquio. Questo ha avuto luogo nel pomeriggio di oggi.

Heba ha tentato di spiegare il suo repentino mutamento di atteggiamento raccontandomi che aveva ritenuto di telefonare a Tirana per essere autorizzato ad incontrarsi con me; ciò che gli era stato consentito. (Dall'ulteriore corso del colloquio, qui di seguito riassunto, si vedrà che Heba non mi ha detto la verità o quanto meno non me l'ha detta completa).

Sulla base delle istruzioni di cui al telegramma di V.E. n. 37, ho detto al sig. Heba che, avendo riferito al mio Governo il colloquio avuto con lui il 16 luglio, ero in grado di comunicargli che, per quanto riguardava l'eventuale ripresa di rapporti ufficiali fra l 'Italia e l'Albania, l 'Italia non vedeva inconvenienti a tale ripresa che non veniva subordinata da noi a speciali condizioni, sempre che lo stesso avvenisse da parte albanese. Ho aggiunto che da parte nostra ritenevamo che la ripresa dei rapporti ufficiali costituisse la base più adatta per poter trattare le varie questioni derivanti dal trattato di pace, ed in genere tutte le questioni interessanti l 'Italia e l'Albania.

Il sig. Heba ha accolto questa comunicazione con soddisfazione anche perché -a suo dire -nel passato vi erano stati accenni che l'Italia subordinava la ripresa dei rapporti ufficiali a particolari condizioni.

Egli mi ha detto che avrebbe riferito al suo Governo. Ha aggiunto di non essere in grado da parte sua di espormi quali fossero le vedute del Governo di Tirana circa la ripresa dei rapporti diplomatici; ma ha osservato -a titolo personale -che non gli sembrava matura la situazione per una ripresa di rapporti immediata. «In Albania -mi ha detto il sig. Heba -non vi è più ostilità contro gli italiani, ma non si può negare che vi sia ancora verso di essi molta diffidenza e direi quasi paura. L'Albania ha dimostrato -trascrivo le sue argomentazioni -molta buona volontà verso l'Italia. Ha accolto la missione Palermo, e più tardi la missione del console generale Turcato4 . Nel corso di questa ultima missione il Governo albanese chiese di poter a sua volta mandare un console a Roma, ma il visto di ingresso in Italia, sollecitato anche dallo stesso Turcato, si fece attendere per oltre due mesi, e poi la situazione cambiò e Turcato dovette partire.

41 O 4 Vedi serie settima, vol. II, DD. 80, l 08 e 466.

Io ero allora -aggiunge Heba -segretario generale al Ministero degli affari esteri, e Turcato deve ben ricordarsi di questo che dico. La situazione interna dell'Albania impose allora l'allontanamento di Turcato. Successivamente vi furono degli incidenti spiacevoli: l'arresto in Italia di un albanese in missione ufficiale, poi rilasciato, ma soprattutto il rifiuto di accogliere in Italia una missione che doveva, in base al trattato, ricercare gli oggetti d'arte asportati dall'Albania fecero a Tirana una pessima impressione, che tuttora influenza l'atteggiamento albanese verso di noi. Ciò malgrado, il Governo albanese ha consentito al rimpatrio della grande maggioranza degli italiani d'Albania, anzi di tutti coloro -sostiene H e ba -che ne hanno fatto richiesta. Questi atti di buona volontà albanese non hanno trovato corrispondenza da parte italiana.

Io sono personalmente favorevole a una ripresa di rapporti ufficiali con l'Italia; ma credo che questa ripresa vada preparata, e che gioverebbe assai se da parte italiana si facesse qualche atto di buona volontà verso l'Albania».

Ed a questo punto il sig. Heba ha uscito dalla tasca una nota verbale con busta chiusa già preparata, debitamente protocollata e timbrata, che invio qui unita in copiaS, con la quale si attira l'attenzione del Governo italiano sulle disposizioni dell'articolo 78 del trattato di pace, relative ai beni, diritti ed interessi dei cittadini albanesi in Italia, e nella quale si chiede, seppure in forma vaga, la restituzione di tali beni diritti ed interessi, ovvero un'indennità.

Il ministro Heba ha aggiunto che il Governo di Tirana avrebbe apprezzato in modo particolare se il Governo italiano avesse autorizzato una piccola commissione albanese, composta di non più di due o tre persone, a recarsi a Roma per discutere con le autorità italiane la situazione dei beni, diritti ed interessi albanesi in Italia, e concretare l'applicazione dell'articolo 78 del trattato di pace.

Da parte mia ho detto che non potevo pronunciarmi, essendo l'applicazione di detto articolo materia per me completamente nuova, ma che era mio dovere trasmettere al mio Governo la nota verbale rimessami.

Ho subito aggiunto che desideravo richiamare la sua attenzione sul fatto che, se si doveva accantonare almeno per il momento una ripresa di rapporti ufficiali con l'Albania, vi era una questione che stava a cuore del Governo italiano e che era stata all'origine dei nostri colloqui, quella cioè del rimpatrio dei seicento italiani trattenuti in Albania, questione il cui carattere umanitario rendeva preminente e urgente.

E qui il ministro Heba mi ha ripetuto la tesi espostami nel primo colloquio, e che cioè gli italiani che sono ancora in Albania vi sono di loro spontanea volontà e non hanno chiesto di rimpatriare. Gli ho obiettato che, indipendentemente dalla presentazione da parte loro di una richiesta formale o no di rimpatrio, constava a Roma il desiderio della maggior parte di essi di rimpatriare. Gli ho ripetuto che, mentre la presenza di un rappresentante italiano a Tirana avrebbe smorzato l' acuità di questo problema, la sua assenza lo rendeva sempre più delicato. Dovevo quindi insistere, chiedendogli che, mentre io avrei mandato a Roma la richiesta contenuta nell'allegata nota verbale, egli da parte sua avrebbe dovuto richiedere a Tirana un ulteriore atto di buona volontà riaprendo i rimpatri degli italiani per tutti coloro che desiderassero lasciare l'Albania.

Egli mi ha promesso che avrebbe scritto in tale senso, e che avrebbe comunque provocato delle comunicazioni al riguardo del suo Governo.

Doveva d'altra parte insistere anche egli sulla convenienza, ai fini di un futuro allacciamento di rapporti ufficiali, di autorizzare da parte italiana la visita in Italia della commissione albanese per discutere circa il contenuto dell'articolo 78 del trattato di pace. Questa visita -ha aggiunto Heba -potrebbe dare lo spunto per una successiva visita di una commissione italiana in Albania e si potrebbe così, forse, senza formalità e gradatamente, giungere praticamente a quella ripresa di rapporti che appare conveniente per ambedue le parti.

Questo è il riassunto del colloquio, che è durato circa un'ora, e che è stato improntato alla maggior cordialità. Malgrado le sue riluttanze dei giorni scorsi, Heba ha continuato a mostrarsi personalmente pieno di buona volontà ed animato dal desiderio di far sboccare questi colloqui in un risultato positivo; ma mi ha dato insieme anche l'impressione di essere molto incerto sulle reali intenzioni del suo Governo che probabilmente, come tutti i Governi dittatoriali, gli invia istruzioni mutevoli e non ha una linea di condotta chiara e precisa.

Mi consenta V.E. qualche osservazione, a commento del colloquio.

Manco qui quasi totalmente di notizie sulla situazione generale politica in Albania. Qualche albanese che prima indirettamente me ne forniva è ora scomparso dalla circolazione. Questo ministro di Francia mi ha detto anche recentemente di non avere alcuna notizia sull'Albania salvo quella che il suo collega a Tirana è partito in congedo. I giornali locali, come il Bollettino albanese, non riproducono che notizie dell'Agenzia telegrafica schipetara (A. T. S.) e commenti a carattere propagandistico.

Non si può quindi che speculare sui motivi che consigliano il Governo di Tirana, anche dopo il voltafaccia delle sue relazioni con la Jugoslavia di Tito, a mantenere verso di noi un atteggiamento di riservatezza, evitando un'immediata ripresa di rapporti ufficiali.

Il Governo albanese può desiderare di evitare, nel momento attuale, l'apparenza di un cambiamento della sua politica nei riguardi dell'Italia per non dare esca alla propaganda della vicina Jugoslavia, e non farsi da questa accusare di aver voltato casacca, e di essere stato obbligato di cercare l'appoggio dell'Italia, a seguito della rottura dei rapporti economici con la Jugoslavia. Allo stesso modo come il Governo di Belgrado, dopo la scomunica del Cominform, si sforza di apparire intransigentemente fedele ai principi marxisti e leninisti, e di evitare apparenze di contatti con il mondo occidentale, il Governo di Tirana vuole forse nell'attuale delicato momento, tenere un prudente atteggiamento nei nostri confronti, per non essere accusato a sua volta dalla Jugoslavia di trescare con gli occidentali.

Ma può anche esservi un secondo motivo; ed è questo forse il sostanziale. Il vuoto lasciato dagli jugoslavi in Albania tanto nel campo politico che in quello economico può ragionevolmente presumersi che venga man mano riempito dai russi. Mi parrebbe ovvio e naturale che la Russia non si lasci scappare questa occasione per installarsi stabilmente sul Canal d'Otranto, e per cercare di dare alla piccola Albania, bisognosa di tutto, quell'assistenza economica, militare, tecnica, che le hanno man mano fornito nella sua recente storia, con alterna vicenda e con maggior o minore disinteresse, l'Impero asburgico prima, il regno serbo-croato-sloveno poi, l'Italia, ed infine la Jugoslavia di Tito. Sarebbe particolarmente interessante potere accertare a quale profondità sia giunta la penetrazione sovietica in Albania; e se essa non miri a trasformare quel piccolo paese in una nuova repubblica sovietica, di fatto anche se non giuridicamente riunita all'U.R.S.S.

Ma qualunque sia il grado di penetrazione dell'U.R.S.S. in Albania, è chiaro che questa è costretta a evitare di dare l'impressione di un riavvicinamento verso di noi, che alla diffidente U.R.S.S. dobbiamo apparire i concorrenti più pericolosi a riempire il vuoto lasciato dalla Jugoslavia.

Non mi sembra quindi che sia da meravigliarsi se, in questo momento, l'Albania procrastina una ripresa di rapporti ufficiali con l'Italia. Non conviene a noi forzarla a questo riguardo; ma curare invece di non spezzare quel tenue filo che qui si è riusciti ad allacciare.

Io non so se i fatti del passato citati dal signor Heba sono tutti veritieri; ma mi sembra che, senza entrare in polemiche su quello che è stato, e pur tenendo presente la posizione presa da codesto Ministero circa la richiesta applicazione dell'art. 75 (telespresso ministeriale n. 17964/c. dell'8 giugno u.s.)6 potrebbe essere per noi vantaggioso in definitiva non respingere la richiesta, formalmente presentata ora dal Governo albanese, per l'applicazione dell'articolo 78 del trattato, anche se dietro ad essa sta la spinosa questione dell'oro della Banca d'Albania. Mi sembra anche che ci converrebbe non opporci a una visita di una commissione ufficiale albanese in Italia, per trattare con i nostri tecnici le questioni sorgenti dall'applicazione dell'art. 78. Questa visita potrebbe dare lo spunto a colloqui su problemi economici più vasti, ed altresì giustificare l'invio di una nostra commissione a Tirana per interessi analoghi italiani da difendere in Albania. Da cosa nasce cosa. E questo inizio di rapporti, seppure limitati per ora ad un campo economico, potrebbe in definitiva far giungere gradualmente a quella ripresa di rapporti ufficiali, cui è difficile che oggi l'Albania consenta in un modo formale per le ovvie ripercussioni politiche che comporterebbe.

Per quanto riguarda la questione dci rimpatri degli italiani attualmente in Albania, ho riferito a V.E. che ho cercato nel mio colloquio di appaiare questa questione con quella dell'invio della commissione albanese in Italia; e ciò ispirando mi al contenuto del telespresso ministeriale suindicato.

Non debbo tuttavia nascondere a V.E. che mi mancano elementi e dati di fatti esaurienti per poter provare a questo ministro d'Albania la falsità della sua ripetuta affermazione che tutti gli italiani che desideravano il rimpatrio sono già stati rimpatriati. E capisco d'altra parte come sia difficile procurare delle prove senza compromettere forse gravemente la posizione e magari la vita stessa dei nostri connazionali in Albania.

Noto infine come la presentazione della nota verbale rimessami costituisce un principio di ripresa di rapporti ufficiali; e ci dà ad ogni modo possibilità di rispondere nella stessa forma.

Resto in attesa di istruzioni 7•

7 Il documento reca a margine la seguente annotazione di Zoppi: «l. Spiegherei come andò che al tempo di Turcato non venne il rappresentante albanese in Italia; 2. Confermerei che non poniamo condizioni alla ripresa dei rapporti; 3. Confermerei che per applicazione art. 78 poniamo condizione rimpatrio italiani». Per la risposta vedi D. 506.

410 1 Con il quale Guamaschelli comunicava che avrebbe dato corso alle istruzioni di cui al D. 259 appena possibile.

410 5 Non pubblicata.

410 6 Non rinvenuto.

411

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI

TELESPR. 91 7. New York, l O settembre 1948 (per. il 20).

Ho ricevuto soltanto ieri il telegramma per corriere n. 9799/c. del 27 agosto 1•

Poiché la comunicazione prescrittami, per prassi costante di questo Segretariato, doveva essere fatta per iscritto in modo da permettere la sua eventuale pubblicazione e diramazione nella collezione dei documenti gialli del Consiglio di sicurezza, ho ritenuto consigliabile, avvalendomi della latitudine concessami nel telegramma predetto, )imitarla ai primi due periodi.

Trasmetto a V.E. copia del testo della nota consegnata oggi al Segretario generale aggiunto, signor Benjamin Coen 2 .

A voce poi ho aggiunto le considerazioni contenute nel terzo periodo.

Sono stato indotto a sdoppiare la comunicazione nel modo predetto dalle seguenti considerazioni:

l) Includere nella comunicazione scritta il grave appunto che il Governo italiano rivolgeva al Segretariato delle N.U. sarebbe equivalso a rendere di pubblica ragione un'ingiustificabile e criticabile linea di condotta adottata dal Segretariato in una questione così delicata come quella del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. L'incidente sarebbe stato divulgato immediatamente dalla stampa, la quale ne avrebbe potuto approfittare per porre in cattiva luce, come spesso avviene, l'opera del Segretariato.

2) Ho ritenuto opportuno evitare quanto precede perché nei prossimi dibattiti dell'Assemblea generale -ove questioni per noi così importanti, come quelle della nostra ammissione, delle colonie e del Territorio Libero di Trieste, verranno in discussione -alienarci sin d'ora le simpatie degli alti funzionari del Segretariato avrebbe potuto significare pregiudicare una collaborazione che poteva risultare molto utile al momento opportuno.

Data la vecchia amicizia che mi lega al segretario generale aggiunto, signor Coen, ho potuto quindi esprimermi, nel rendergli noto il grave inconveniente, con maggiore ampiezza e con maggior forza; e l'ho pregato personalmente di aver cura a che questo nostro richiamo sia portato subito all'attenzione del segretario generale signor Trygve Lie.

Il signor Coen mi ha risposto subito che il Segretariato delle N.U. aveva comunicato la risoluzione soltanto agli Stati membri con la sola eccezione della

411 Vedi D. 362. 2 Non pubblicata.

Transgiordania perché essa rientrava nella formula adottata dalla risoluzione «ali govemments and authorities concemed».

Gli ho risposto che una risoluzione della gravità di quella del 15 luglio, la quale addirittura stabiliva, per la prima volta nella storia delle N.U., che «la situazione in Palestina costituiva una minaccia per la pace secondo il concetto dell'art. 39 dello Statuto» doveva essere comunicata a tutti gli Stati concerned, e quindi anche all'Italia, potenza mediterranea direttamente interessata a quanto succedeva in tal settore, la quale oltretutto aveva da secoli intrattenuto relazioni seguite con la Palestina; e ciò indipendentemente dal fatto se essa fosse o meno uno Stato membro. Ho aggiunto tra l 'altro che in tutti gli altri campi la collaborazione con il Segretariato era continua, efficace e soddisfacente per entrambi. Una minaccia per la pace era, infine, un avvenimento troppo grave e troppo importante perché si dovesse tener riservato ai soli Stati membri.

Non potendo trovare argomenti validi, oltre quelli protocollari, il signor Coen ha cercato di scusare il Segretariato dicendo che se, nella trattazione delle questioni politiche, si fosse inclusa anche l 'Italia, ciò avrebbe potuto provocare delle proteste da Stati non consenzienti, cosa che il Segretariato voleva scrupolosamente evitare.

Il signor Coen ha concluso dicendomi che le N.U. apprezzavano altamente l'adesione spontanea dell'Italia alla tregua in Palestina; circa la comunicazione verbale egli avrebbe immediatamente richiamato l'attenzione del segretario generale Trygve Lie sull'inconveniente lamentato ed avrebbe messo in tutta evidenza la nostra dichiarazione che le «Nazioni Unite potevano fare assegnamento sul volenteroso concorso del Governo italiano a qualsiasi azione internazionale diretta ad assicurare la pace anche se ciò avesse potuto comportare dei sacrifici>>.

Posso assicurare V.E. che il signor Coen ha preso nella più attenta considerazione il richiamo che ho fatto sul modo di agire del Segretariato e che farà tutto il possibile perchè la questione venga attentamente studiata dagli uffici competenti del Segretariato tanto dal lato protocollare quanto dal lato politico. Egli me ne ha data formale assicurazione.

Qualora poi V.E. avesse, ciò malgrado, l'intenzione di fare ulteriormente rilevare, e per iscritto, al Segretariato delle N.U. la grave omissione lamentata, la cosa si potrebbe sempre fare in un secondo tempo e con comunicazione a parte, facendo in più rilevare la disparità di atteggiamento del Segretariato, il quale, mentre ricerca quotidianamente la nostra collaborazione, con note scritte, nel campo economico, sociale, sanitario, scientifico ed umanitario, ci ignora d'altra parte nel campo politico che tanta maggiore importanza ha per la vita e la sicurezza del popolo italiano.

Rimango quindi in attesa di un cenno di benestare da parte di VE.

412

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BR OSIO

T. S.N.D. 10429/124. Roma, 11 settembre 1949, ore 23.

Suo 310 1• Karpounin-Rubartelli hanno discusso: l) consegna navi: in conformità accordo italo-francese chiediamo avvenga non a titolo bottino guerra bensì compenso danni arrecati marina sovietica. Richiesta avanzata esclusivamente per ragioni morali è per noi pregiudiziale qualsiasi accordo bilaterale ed è stata respinta pur non comportando in se stessa riduzione tonnellaggio. 2) Termine consegna: fissato da sovietici 15 agosto e prorogato 15 settembre; chiediamo termine materialmente realizzabile. 3) Rinuncia U.R.S.S. a almeno parte aliquota navi assegnatele seguendo esempio altre Potenze; 4) dotazioni navi: analogamente accordo italo-francese chiediamo siano fissate in relazione disponibilità effettive. Tutte queste richieste, come è messo in rilievo in nota di cui telegramma

n. 119 2 , sono state respinte.

413

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12248/67. Lussemburgo, II settembre 1948, ore 14 (per. ore 17).

Ho avuto occasione toccare con Bech argomento Assemblea europea. Egli mi ha in sostanza fatto comprendere che Lussemburgo al quale non era consentito prendere iniziativa si sarebbe accodato a direttive prevalenti durante prossima riunione Comitato Patto a Cinque. Per quanto ho potuto comprendere suo pensiero è che bisognerebbe procedere per gradi e che Assemblea europea anziché specie costituente con poteri che potrebbe in pratica difficilmente esercitare dovrebbe contentarsi per ora avere fisonomia di organo di studio.

412 1 Vedi D. 401. 2 Del l O settembre, non pubblicato.

414

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTIN I, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12275/126. Rio de Janeiro, 11 settembre 1948, ore 13,35 (per. ore 7,30 del 12).

Suo telegramma 3/889/c. del l o corrente 1 . Non ho mancato intrattenere questo ministro degli affari esteri m senso prescrittomi con telespresso 3/795 del 20 agosto u.s. 2 .

Fernandes mi ha confermato che atteggiamento delegazione brasiliana prossima Assemblea O.N.U. nei riguardi questione antiche colonie italiane sarà conforme al punto di vista già espresso a Londra dal Governo brasiliano e sul quale ho a suo tempo riferito a V.E. 3 . Tale punto di vista, come è noto, si concreta in opinione che le nostre colonie siano poste sotto il regime di tutela previsto nella carta Nazioni Unite e affidate ad amministrazione Governo italiano, rispettandosi però gli impegni assunti dal Governo britannico con i senussi.

415

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 12282/107. Stoccolma, 11 settembre 1948, ore 23,30 (per. ore 7,30 del 12).

Poiché non era al corrente ho illustrato a questo ministro esteri nostro punto di vista sulla questione colonie e sue fasi, fornendo dettagli circa argomentazioni con le quali crediamo utile controbattere atteggiamento soprattutto dell'Inghilterra.

Ho insistito su carattere nostre aspirazioni aggiornate ai tempi ed ho aggiunto -marcando carattere strettamente personale mia affermazione -che impressione da me riportata a Londra era che difficoltà da noi quivi incontrate dipendevano più che da Bevin da dicasteri militari ed amministrazioni coloniali britanniche, ambienti più restii ad allontanarsi da linea tradizionale.

Unden è stato, come suo solito, molto attento interessandosi particolarmente lato tecnico legale che come ex ginevrino e giurista gli è più famigliare. Ha ammesso questione era tra le più importanti da discutere ed ha poi chiesto conferma dell'atteggiamento sovietico, dicendomi risultargli da Washington che Governo americano

Vedi D. 337. 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 402.

609 cercherà rinvio. Ho creduto osservare che ciò avrebbe prolungato inquietudine opinione pubblica italiana e, avendogli sottolineata importanza dal punto di vista morale che avrebbe avuto per noi atteggiamento favorevole di un paese certamente disinteressato come Svezia, mi ha fatto presente che principi cui ispirare politica svedese alle Nazioni Unite è di astenersi dal pronunziarsi nei problemi derivanti direttamente dalla guerra. Ha peraltro consentito che quello nostre colonie andava esaminato su più vasto piano europeo. Delegazione svedese studierà comunque a fondo questione e gradirà tra l'altro avere possibilmente visione rapporto Commissione investigativa.

Se V.E. sarà a Parigi Unden sarà lieto incontrarla per discutere anche questa faccenda se no siamo rimasti d'accordo che nostri esperti prenderanno contatto delegazione svedese per illuminarla toccando se necessario punto per punto argomenti a noi contrari.

Persona più indicata cui rivolgersi sarebbe direttore generale affari politici e nuovo rappresentante presso Nazioni Unite Grafstverg il cui ufficio in sua assenza è stato da me posto al corrente. Grafstverg parte martedì per Parigi.

Posso aggiungere che Unden dà impressione rendersi conto del gioco contrastanti interessi che fanno passare in seconda linea tanto quelli delle popolazioni indigene che quelli esistenti tra quei territori e la madre patria.

414 1 Non rinvenuto.

416

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR 2268/1336. Sofia, 12 settembre 1948 (per. il 20).

Riferimento: telegramma per corriere di codesto Ministero n. 9820 del 27 agosto u.s. 1 e seguito telegramma odierno n. 622•

In adempimento alle istruzioni contenute nel telegramma ministeriale suindicato ho provveduto a consegnare in data odierna al capo dell'Ufficio coordinamento (che tratta gli affari economici) di questo Ministero degli esteri la nota verbale documentata di cui unisco copia3 .

Ho spiegato al suddetto funzionario che mentre il Governo italiano ha dimostrato ogni migliore disposizione ad allacciare e facilitare rapporti di scambio con la Bulgaria, da parte bulgara sono state adottate una serie di misure che hanno gravemente danneggiato gli interessi economici italiani esistenti in Bulgaria. Non soltanto: ma le numerose note verbali indirizzate dalla legazione al Ministero degli esteri in

416 1 Vedi D. 363. 2 Vedi D. 363, nota l. 3 Non pubblicata.

relazione alle varie questioni economiche in corso non hanno, nella maggior parte dei casi, avuto non dico esito favorevole ma neppure una risposta. Non è quindi da sorprendersi se da parte italiana si chiede, quale pregiudiziale per la stipulazione di nuovi più ampi accordi, un cambiamento sostanziale e concreto nell'atteggiamento del Governo bulgaro verso gli interessi economici italiani.

Il capo dell'Ufficio coordinamento ha sostenuto la tesi che la questione degli scambi commerciali va tenuta distinta dal regolamento degli interessi economici italiani in Bulgaria, colpiti da provvedimenti di nazionalizzazioni o danneggiati per altre ragioni. Gli ho replicato che da parte nostra dovevamo insistere nell'opinione espressa nella nota verbale. Egli ha promesso di studiare la complessa questione e di farmi avere comunicazioni appena possibile.

Mi riservo di riferire quale sarà ulteriormente la reazione di queste autorità bulgare alla posizione da noi ora presa4 .

417

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. l 0484/126. Roma, 13 settembre 1948, ore 23,30.

Suo telegramma n. 3101 .

Per quanto riguarda eventuale valutazione navi in connessione riparazioni, non dico non sarebbe possibile (anche di fronte opinione pubblica) accontentarci soltanto di cifra che abbia puro significato simbolico. Potrebbero tuttavia essere studiati, in concorrenza o alternativamente, vari criteri. Mentre sul piano morale si conseguirebbe comunque cessione navi a titolo molto simile a quello da noi suggerito, e dai russi respinto, del «compenso per perdite inflitte», sul piano materiale si potrebbe ottenere, secondo nostra richiesta egualmente respinta, rinunzia russa ad aliquota tonnellaggio (e in questo caso controvalore del resto potrebbe essere calcolato simbolicamente) oppure inversamente consegna totale ma con deduzione certo controvalore che potrebbe anche venire presentato come riduzione riparazioni. Confermo che sarebbe comunque preferibile evitare connessione tra questione navale e trattative La Malfa.

Attendo conoscere risultati suoi sondaggi in questo senso che dovrebbero essere presentati esclusivamente come sua idea personale. Quanto rileva V.E. circa nostra posizione è esatto; ma d'altra parte, mentre non è possibile escludere a priori esecuzione forzata trattato, opinione pubblica non comprenderebbe che esecuzione avvenisse in libero negoziato per accordo bilaterale ove tale accordo non compor

417 Vedi D. 40 l.

tasse alleggerimento oneri trattato. Per questa ragione siamo stati costretti, di fronte intransigenza russa, interrompere conversazioni tecniche2•

416 4 Vedi D. 711.

418

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE MANZINI, A MOGADISCIO

T. PER CORRIERE l 0546. Roma, 14 settembre 1948.

Suo l 09-110-111 1 . Governo britannico, nel dichiararsi favorevole nostro ritorno in Somalia, ha chiesto che Governo italiano riconosca delimitazione frontiera provvisoria fra Ogaden ed Etiopia attualmente in corso. Ha altresì proposto che Italia ed Etiopia vengano poi invitate riconoscere come definitiva tale delimitazione e che in caso rifiuto, frontiera venga fissata da commissione O.N.U. Quanto precede per sua riservata conoscenza ed opportuno orientamento in relazione questione prospettatale che a nostro avviso conviene evitare possa attualmente divenire fonte disordini con ripercussioni a noi dannose.

419

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 12539/0140. Istanbul, 14 settembre 1948 (per. il I 7).

Questo ministro degli esteri, ancora convalescente, è partito ieri l'altro per Parigi, ove presiederà delegazione turca all'Assemblea generale dell'O.N.U. Al momento della sua partenza gli ho vivamente e caldamente raccomandato nostra questione africana, di cui avevo, in sua assenza, già lungamente intrattenuto segretario generale Ministero esteri. Ministro mi ha detto in sostanza rendersi perfettamente conto dell'importanza della questione e proporsi agire con spirito più ami

chevole. Discussione è del resto tuttora aperta fra i Quattro, quantunque siano le speranze di accordo, in questa sede, pressoché nulle. Resto d eli' opinione che ho già espresso nel mio telegramma per corriere

n. O134 del l o settembre1• Lasciata a se stessa, voterebbe la Turchia, nonostante i remoti ricordi della guerra libica e le più recenti diffidenze verso nostra espansione mediterranea, molto probabilmente, a nostro pieno favore. Se vi fossero invece, come è probabile, avverse pressioni anglo-americane e se queste fossero davvero energiche, finirà probabilmente con l'orientarsi, per le questioni più controverse, verso il comodo rifugio dell'astensione.

417 2 Per la risposta vedi D. 427.

418 1 Del 3 settembre, con il quale Manzini riferiva che la restituzione di una zona deii'Ogaden all'Etiopia stava procedendo regolarmente e che nella zona di Varder, dove la popolazione era nettamente contraria all'occupazione abissina, si profilavano disordini. Egli riteneva perciò opportuno che gli elementi indigeni filo-italiani rimanessero nella zona di Varder per scoraggiare i tentativi di accordo del negus con gli elementi estremisti ostili all'Italia.

420

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. S.N.D. 10576/500. Roma, 15 settembre 1948, ore 23.

È necessario attirare attenzione codesti ambienti responsabili su ultimi sviluppi questione coloniale che malauguratamente rischiano porre in luce sfavorevole presso nostra opinione pubblica posizione anglo-americani. Infatti, presso stesse correnti non (dico non) di estrema sinistra cambiamento atteggiamento sovietico viene considerato come conseguenza resistenze anglo-americane ad aderire a tesi più favorevoli all'Italia ciò che ha indotto Mosca ricercare nuove soluzioni pur sacrificando nostri interessi. E ciò proprio quando sarebbe necessario creare ben diverso clima anche in vista sviluppi questioni di cui da ultimo telegramma ministeriale 492 1• A nostro avviso conseguenze azione sovietica possono essere qui neutralizzate ottenendo che Assemblea O.N.U. voti conferimento mandato Somalia all'Italia e rinvio altre questioni di un anno dando mandato ai Quattro continuare conversazioni in vista trovare soluzione entro quel periodo. In questa maniera restituzione Somalia apparirebbe, quale è, voluta dalle tre potenze occidentali malgrado posizione sovietica, e, in assenza decisioni sfavorevoli per altri territori, potrebbe essere qui ampiamente valorizzata; mentre eventuali contemporanee decisioni noi contrarie circa Eritrea (fatta eccezione Dancalia) e Libia toglierebbero ogni valore politico psicologico a riacquisto Somalia.

Trovi modo far pervenire queste nostre considerazioni anche a Foster Dulles2 •

2 Di Stefano comunicò che, dal colloquio con Foster Dulles (T. s.n.d. 12568-12545/743-744-745 del 17 settembre) e dagli intensificati contatti con gli ambienti responsabili (T. s.n.d. 13197/793-794 del l" ottobre), aveva riportato l'impressione di una maggiore ricettività verso le tesi italiane e che la questione coloniale non sarebbe stata probabilmente discussa all'O.N.U. prima delle elezioni presidenziali del 2 novembre.

419 1 Non pubblicato.

420 1 Vedi D. 390.

421

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 12464/321. Mosca, 15 settembre 1948, ore 23,43 (per. ore 7,30 del 16).

Oggi approfittando di un colloquio già fissato con Zorin per altro argomento gli ho domandato chiarimenti sulla inaspettata proposta Vyshinsky nella riunione serale parigina di ieri circa le colonie1 . Mi attendevo che replicasse rinfacciandomi le inadempienze italiane al trattato di pace e riallacciando sua risposta a generico monito fattomi, in relazione questione navi di cui al mio telegramma 279 2 , anche perché Vyshinsky nella seduta diurna di ieri non aveva mancato accennare alla elusione del trattato da parte nostra. Viceversa Zorin è stato estremamente riservato e mi è sembrato quasi imbarazzato. Mi ha detto di essere solo sommariamente informato e di attendere dettagli. Mi ha aggiunto che secondo sue notizie la proposta sovietica presentava un compromesso dell'ultimo momento imposto dal fatto che le altre potenze, Francia compresa, non avevano sostenuto la tesi sovietica di trusteeship italiano. La proposta sovietica secondo Zorin altro non faceva che richiamare in vita proposta Byrnes settembre 1946 e perciò appariva tanto più illogico che Douglas l'avesse respinta dichiarandosene anzi turbato. Senza dare alle mie richieste puramente informative una importanza eccessiva né il minimo tono di risentimento ho semplicemente insistito per sapere se la tesi del trusteeship all'Italia doveva intendersi abbandonata dai sovietici o soltanto momentaneamente accantonata se cioè vi era stato o no un netto cambiamento di posizione sovietica al riguardo. A queste mie domande Zorin è sfuggito ripetendo ancora che egli per mancanza di informazioni non poteva fare commento alcuno sulla ultima proposta di Vyshinsky. Rimane dunque difficile stabilire fino a che punto nuova posizione sovietica sia espressione malcontento e sfiducia in relazione nostra posizione politica e specialmente questione navi italiane e fino a qual punto sia determinata invece da necessità di trovare una tesi che possa avere un maggior appoggio all'Assemblea dell'O.N.U. opponendosi nel contempo a trusteeship britannico nonché a trusteeship congiunto potenze occidentali del tipo proposto da Times.

Probabilmente i due motivi concorrono e fino a questo momento non ho elementi per affermare o escludere se appoggio ad Italia sia stato definitivamente abbandonato o se esso non sia invece tenuto in sospeso anche in vista nostro atteggiamento su adempimento trattato di pace. Intanto posso aggiungere che due giorni fa Mikoyan ha toccato nuovamente in occasione di altra colazione con delegazione italiana il tema delle navi e che oggi Zorin in un accenno conclusivo del

1 Vedi DD. 430 e 443. 2 Vedi D. 345.

nostro colloquio si è riferito alle precedenti dichiarazioni dello stesso Mikoyan qualificandole significativamente come «condizioni» per il successo della trattative in corso.

422

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 12542/0143. Istanbul, 15 settembre 1948 (per. il 17).

È venuto a vedermi nuovo ambasciatore di Turchia a Roma, Ragip Baydur.

Ha già trascorso in Italia otto anni della sua carriera. È soddisfatissimo di tornare in un paese che conosce e che ama. Partirà per Roma, dopo un breve periodo di riposo, in ottobre.

Mi dice di non aver ancora preso personale contatto né col suo ministro, che è in viaggio per Parigi, né col suo Ministero. Può dunque darsi che le sue idee non siano, o non siano completamente, aggiornate. Ha insistito per conoscere a che punto stanno le cose in materia di accordi ed intese mediterranee ed è sua ferma opinione personale che molto quegli accordi gioverebbero a dare alle potenze che dovrebbero parteciparvi peso molto maggiore di quello che oggi singolarmente non abbiano. Soprattutto all'Italia, che verrebbe, a suo giudizio, pressoché automaticamente, ad esercitare funzioni di tramite e di allacciamento col gruppo occidentale. A mia richiesta, mi assicura che a Washington, da dove egli, come è noto, rientra dopo quattro anni di capo missione, nessuno gli ha comunque parlato, in un senso o nell'altro, di codesto patto od intesa mediterranea. Ma è sua opinione essere assurdo ritenere che gli Stati Uniti possano promuovere alcunché ed essere invece necessario che le potenze interessate concretino in un primo tempo per conto loro codesto patto od intesa e si rivolgano agli Stati Uniti soltanto in un secondo tempo, a cose fatte. Ed egli è persuaso che Washington non mancherebbe allora di dare alla nuova associazione quell'assistenza ed appoggio che oggi non dà ed è difficile si convinca a dare in modo veramente impegnativo agli Stati che dovrebbero fame parte, singolarmente presi. Comunque, mi dice che progetti siffatti -nei confronti dei quali è del resto naturale che la Turchia non vede inconvenienti di alcun genere e soltanto eventuali vantaggi -non hanno carattere di urgenza e si potrà dunque parlame con tutte le ponderazioni e la calma che richiedono, in avvenire.

Incontrerò Baydur nuovamente al suo ritorno da Ankara e cercherò di accertare allora se e con quali istruzioni egli parta, su questo argomento, per Roma.

Gli ho vivamente raccomandato, come vecchio amico dell'Italia e prossimo ambasciatore a Roma, di volere insistere in questi giorni col maggiore calore presso il suo Governo perché la delegazione turca a Parigi abbia istruzioni di adottare, nella

questione africana, quell'atteggiamento apertamente favorevole che è solo compatibile con solidarietà e collaborazione mediterranea di cui egli mi parlava con così viva comprensione. Ciò che mi ha promesso.

423

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ANZILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 12597/049. Londra, 15 settembre 1948 (per. il 18).

In colloquio avuto da un segretario di questa ambasciata con alto funzionario State Department1 di passaggio Londra questi ha confidenzialmente precisato quanto segue riguardo alla posizione dell'Italia nei confronti dell'Unione Occidentale:

l) ogni tentativo di mantenere una posizione di neutralità, di non belligeranza

o di wait and see anche se giustificabile per ragioni di opinione pubblica interna od altro, è francamente illusorio di fronte alla realtà della situazione internazionale;

2) soltanto se il Governo italiano giungerà alla ferma e chiara decisione di voler aderire senza condizioni e riserve alla Unione Occidentale esso potrà avere l'appoggio dello State Department che desidera la sua inserzione in tale sistema non tanto da un punto di vista strategico immediato quanto come contributo alla creazione di un organismo europeo capace di contrapporsi all'espansionismo sovietico;

3) in mancanza di tale manifestazione di volontà da parte nostra Stati Uniti e potenze occidentali non solleciteranno certo adesione italiana che del resto non è ritenuta essenziale funzionamento sistema;

4) assistenza economica e riarmo nazioni europee sono considerati unicamente come il mezzo per creare una «terza forza» che partendo dall'Atlantico dovrebbe comprendere tutta l'Europa occidentale. Qualora le nazioni europee mostrassero di interpretare diversamente l'aiuto americano esso verrebbe rapidamente a cessare. I casi eccezionali come Grecia e Turchia non vanno confusi con il piano generale né è pensabile il loro ripetersi per altri paesi;

5) lo State Department è convinto che nonostante le evidenti difficoltà e lentezze un principio di Unione dell'Europa occidentale, come futura terza forza, già esista e che essa sia destinata a svilupparsi. In tali circostanze nessuna assistenza di carattere politico economico o militare a lunga scadenza verrà fornita a nazioni europee che non mostrino chiaramente di voler attivamente collaborare in questo senso. Se l'Italia desidera restare al di fuori della nuova organizzazione occidentale è naturalmente libera di farlo ma resti chiaramente inteso che in primo luogo gli Stati

616 Uniti non intendono assistere le nazioni europee singolarmente ma in un quadro generale ed in secondo luogo che i piani strategici americani terranno conto dell'Italia a seconda della sua volontà o meno di far parte dell'Unione Occidentale.

423 1 Samuel Reber.

424

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

L. 3/1018. Roma, 15 settembre 1948.

Desidero -in relazione alle trattative commerciali in corso con l'U.R.S.S. esporle alcune considerazioni che riflettono l'opinione che ci si può formare della situazione vista da qui al termine di questa prima fase di negoziato.

Aspetto politico della questione. Come ella ben sa, noi non abbiamo da trarre dall'U.R.S.S., in corrispettivo di nostri cedimenti sia in campo navi, che in quelli riparazioni o scambi, alcun pratico vantaggio, sia perché l'U.R.S.S. non è in grado di darcene, sia perché lo stato dei nostri rapporti politici con l'U.R.S.S. dipende sopratutto dallo stato generale dei rapporti fra mondo occidentale e mondo orientale nei quali non è in nostro potere, come non è del resto nel potere di altri anche di maggior peso di noi, di influire. Nell'unica questione politica circa la quale l'U.R.S.S. ci appoggiava (quella coloniale), questo appoggio ci è proprio in questi giorni venuto meno appunto in funzione dell'urto di interessi fra i due mondi!

Conviene quindi secondo il mio modo di vedere considerare il negoziato puramente sotto l'Aspetto tecnico. Su questo terreno pare a me che noi abbiamo carte in mano abbastanza buone. Infatti non chiediamo né ci aspettiamo, come dicevo, alcuna contropartita di natura politica. Abbiamo un interesse economico a far lavorare i nostri cantieri e le nostre fabbriche, che ha ugual peso, riterrei, dell'interesse sovietico a procurarsi quello che ci viene chiesto di vender loro. In più i sovietici hanno interesse ad ottenere le riparazioni (anzitempo) e ci chiedono le navi. A proposito di queste ultime la situazione si presenta oggi in questi termini: non appena fatto l'accordo con la Francia i sovietici ci hanno proposto un accordo bilaterale dichiarandosi disposti a rinunciare ai lavori. Siamo entrati in trattative dicendo: un accordo bilaterale sostituisce con un consenso l'imposizione del trattato e può giustificarsi solo se allevia la clausola del trattato -altrimenti si ritorna al trattato. E così è stato fatto. Naturalmente i sovietici devono sapere che su questa questione siamo in grado di tirare in lungo. Gli alleati ci hanno detto che essendo co-firmatari del trattato non possono sottrarsi al dovere di appoggiare la richiesta sovietica. Ma sino ad ora non mostrano di voler fare pressioni eccessive (solo gli inglesi sarebbero impazienti per via delle navi che debbono aver restituite dall'U.R.S.S.). Quindi se si dovesse arrivare ad un abbinamento, questo dovrebbe essere a vantaggio nostro e non dell'U.R.S.S.

In altre parole, se i russi facessero questo ragionamento: «cari italiani, volete il trattato e l'accordo commerciale? Se sì, dateci le riparazioni come le vogliamo noi e le navi» -essi invertirebbero i termini del problema. Secondo vediamo le cose il trattato e l'accordo commerciale e la premura che essi dimostrano nel voler riparazioni e l'ansia che dimostrano di non riuscire ad avere le navi, dovrebbero essere carte in nostra mano per portare un negoziato, per quanto non facile, a conclusione non sfavorevole. Mi faccia liberamente conoscere il suo pensiero 1•

425

L'AMBASCIATORE A NANCHINO, FENOALTEA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12495/56. Nanchino, 16 settembre 1948, ore 18,45 (per. ore 17,30).

Suo 3/795 1•

Questo ministro esteri su cui posizione confermo mie precedenti comunicazioni2 mi ha fatto intendere non essere in grado prefissare proprio atteggiamento che dipenderà da sviluppi conferenza. Mi ha comunque dichiarato recarsi Parigi senza pregiudiziali di sorta.

426

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12499/65. Oslo, 16 settembre 1948, ore 15,40 (per. ore 21).

Mi riferisco al mio telegramma n. 62 1 .

Pregandomi di ritardare a suo ritorno da Parigi mia visita Reykjavik, ministro degli affari esteri islandese mi ha fatto dire da questo rappresentante Islanda che, per quanto concerne nostre colonie, egli seguirà atteggiamento altri paesi scandinavi tenendo presente sempre rapporti amichevoli tra i due paesi e interesse suo paese conservare e incrementare mercato esportazione italiano.

425 1 Vedi D. 337. 2 Vedi DD. 244 e 278. 426 1 Vedi D. 400.

424 1 Per la risposta vedi D. 451.

427

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 12524/324. Mosca, 16 settembre 1948, ore 23,30 (per. ore 8 del 17).

Telegramma 126 1•

Ho esaminato attentamente proposte V.E. anche in rapporto allo stato attuale trattative sua delegazione. Mi pare difficile poter presentare qui come suggerimenti miei personali quelle proposte (alludo specialmente riduzione tonnellaggio) che già sono state avanzate e respinte a Roma. D'altro lato la proposta di valutare un controvalore navi da computare in conto riparazioni fu già sostanzialmente avanzata da me a Malik nel gennaio scorso (mio tele gr. 2, del l o gennaio corrente anno )2 in conformità istruzioni codesto Ministero ed egualmente respinte. Inoltre essa non potrebbe non avere una influenza negativa sulle trattative per le riparazioni nel senso di irrigidire i sovietici sulle relative questioni.

Mi parrebbe quindi più opportuno soprassedere per il momento da passi miei ulteriori. Mi riservo approfittare imminente rientro a Roma on. La Malfa per far pervenire V. E. lettera personale o ve potrò chiarire ampiamente mio pensiero3 .

428

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. RISERVATO PER CORRIERE 12599/045. Beirut, 16 settembre 1948 (per. il 18).

Questo m1mstro degli esteri mi informa che, durante la recente riunione del Consiglio della Lega araba tenutasi ad Alessandria i giorni scorsi, non è stato dedicato alla questione delle colonie italiane, che era pur compresa nell'agenda, quell'approfondito esame che si prevedeva. La ragione va ricercata non solo nel fatto che le questioni poste all'ordine del giorno erano tanto numerose e complesse da richiedere un tempo notevole per la loro discussione ma anche nel tacito desiderio dei membri di lasciare da parte per il momento, per quanto possibile, la questione stessa.

2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 61 (erroneamente indicato col n. l)

3 Del 18 settembre, non rinvenuta, ma vedi M. BROSIO, Diari, cit., pp. 356-357.

Il presidente del Consiglio libanese, Riad El Solh, ha tentato, ad un certo momento, di far considerare la questione coloniale italiana sotto due aspetti distinti, l 'uno concernente la Libia, e l'altro concernente la Somalia e l 'Eritrea 1•

Per la Libia Riad El Solh non ha potuto sottrarsi ad una solidale accettazione delle note tesi arabe della indipendenza unitaria di quella colonia. Egli ha tuttavia notato perplessità ed incertezze dei vari membri della Lega di fronte alla presa di posizione egiziana in favore del Senusso. Per quanto concerne le altre due colonie, Riad El Solh ha tentanto (come mi era stato promesso da questo presidente della Repubblica)2 di far determinare un atteggiamento arabo favorevole ad un trusteeship italiano, o per lo meno ad esso non contrario, ma si è urtato ad una decisa e violenta opposizione egiziana. La questione delle nostre colonie è allora stata lasciata da parte.

Hamid Frangié si è caldamente raccomandato di tenere strettamente riservato questo sommario resoconto da lui fattomi delle discussioni di Alessandria.

L'atteggiamento e le dichiarazioni della Lega araba, che avrebbe avuto un valore molto relativo prima delle riunioni a Parigi dei quattro ministri degli esteri

o dei loro sostituti, poiché evidentemente la risoluzione della questione delle nostre colonie dipendeva principalmente, in tale sede, da ben altri fattori, può assumere ora un valore assai maggiore con il passaggio della questione all'O.N.U. e con tutte le sorprese che il meccanismo dell'Assemblea può comportare.

È su ciò che anche questo ministro degli esteri ha attirato stamane la mia attenzione pregandomi di segnalare personalmente a VE. l'importanza per noi italiani e per la nostra tesi di avere a Parigi, durante l'Assemblea dell'O.N.U., diretti e confidenziali contatti con Riad El Solh, che presiederà la delegazione libanese. «Desidero attirare la vostra attenzione sul fatto -ha detto Frangié -che Riad El Solh è molto autorevole ed ascoltato in tutti gli ambienti arabi e che il suo intervento può in certi momenti essere determinante per le decisioni della Lega». Ha aggiunto che Riad El Solh è d'altronde molto sensibile per natura ad attenzioni ed a cortesie di carattere personale.

I suggerimenti di Hamid Frangié hanno confermato impressioni analoghe da me riportate durante un colloquio che ho avuto con il presidente del Consiglio avant'ieri. Dopo aver premesso che egli non manca mai di mettere nella luce migliore le questioni che ci interessano, Riad El Solh mi ha infatti dichiarato, pur evitando di parlare della Libia, che egli è pronto «a fare tutto il possibile affinché sia esaminata la possibilità di un trusteeship italiano sulla Eritrea e sulla Somalia». «lo sono favorevole a tale soluzione -egli ha aggiunto -non solo per i meriti e le capacità del vostro paese ma anche perché i mussulmani di quelle due regioni stanno molto meglio con voi che con i copti, così come ci ha testimoniato al Cairo una delegazione mussulmana venuta da Harran>.

Il presidente del Consiglio ha aggiunto -ed è ciò che ritengo particolarmente interessante ed utile segnalare a V.E. -che egli sarebbe felicissimo di incontrare riservatamente a Parigi il nostro ambasciatore e di tenersi a confidenziale contatto con lui per tutte le segnalazioni ed i consigli che potranno apparire utili nel momento in cui sarà sollevata la questione delle nostre colonie.

427 1 Vedi D. 417.

428 1 Alessandrini aveva già comunicato con il D. 355 l'intenzione libanese di agire in tal senso presso il Consiglio della Lega araba. 2 Vedi D. 377.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

Roma, 16 settembre 1948.

È venuto a vedermi il ministro di Jugoslavia e dicendomi che parlava a titolo personale (il che non credo), mi ha detto se non si poteva riprendere un'idea espressagli tempo fa da V.E. di esaminare cioè tutte le questioni pendenti fra i due paesi alcune delle quali erano nel frattemtpo state risolte o avviate abbastanza bene a soluzione.

Gli ho detto che non vedevo ragione per non fare ciò. Mi ha allora esposto sempre a titolo personale -alcune idee che potrebbero da noi essere almeno esaminate. In fatto di pesca sarebbe quasi pronto un progetto di Convenzione che ci verrebbe sottoposto. In fatto di riparazioni di cui, ha detto, «bisognerà pure un giorno o l'altro parlare», si domanda se non si potrebbe trovar modo di studiare una forma di pagamento, almeno per un certo ammontare, in mano d'opera. La Jugoslavia ha bisogno di mano d'opera anche specializzata. I progetti studiati in passato non poterono aver corso per la difficoltà dei trasferimenti dei risparmi: una parte del salario, egli dice, quella destinata essere trasferita in Italia, potrebbe venir pagata dal Governo italiano in conto riparazioni.

Il ministro Ivekovic mi ha poi detto che da parte di ditte italiane egli riceve offerte per la cessione di impianti industriali che in Italia non sono più in attività: anche questi, dice, potrebbero essere acquistati dal Governo italiano e trasferiti a titolo di riparazioni. Richiesto di precisare di che impianti si tratti mi ha accennato a fabbriche di prodotti per l'edilizia e per l'alluminio.

Mi ha poi lasciato capire che la richiesta del «Vulcania» e «Saturnia» potrebbe essere lasciata cadere se l 'Italia tiene molto a conservare quei piroscafi; sarebbe da studiare se non si potrebbe sostituirli con una o due altre navi.

Gli ho detto che avrei esaminato le sue idee. Mi ha poi parlato delle colonie e mi ha detto che l'atteggiamento jugoslavo continua a rimanere favorevole alla tesi italiana.

429 1 Trasmesso anche alla legazione di Jugoslavia, alla Direzione generale degli affari politici e a quella degli aftàri economici con Telespr. 3/1 039/c. del 17 settembre.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1076/16413/3351. Parigi, 16 settembre 1948 1 .

Prescindendo dalla questione sollevata da Vyshinsky, se la Contèrenza a Quattro abbia o meno avuto carattere di riunione di ministri, con conseguente, nella seconda ipotesi, pretesa violazione da parte delle potenze occidentali di una clausola del trattato di pace con l'Italia, il fatto più notevole di codesta riunione è stato l'improvviso cambiamento di fronte dei sovieti con la loro proposta di una amministrazione fiduciaria collettiva. Al Quai d'Orsay si osserva peraltro al riguardo che tale atteggiamento sovietico non può a rigore essere considerato definitivo: Vyshinsky, argomentando che la tutela dei territori tutti da affidarsi all'Italia secondo la proposta sovietica sarebbe stata negata dalle potenze occidentali -le quali contestano questa asserzione -ha avanzato l'altra proposta, sempre, secondo lui, ispirata dallo stesso desiderio di venire incontro ai desideri italiani. Nulla esclude -si aggiunge -che in sede di Assemblea, i sovieti ritirino fuori la proposta originaria o una terza proposta ancora. Tutto ciò in linea teorica. La nuova proposta sovietica sembra infatti ispirata al proposito di sfruttare al massimo le tendenze anticolonialiste che avranno campo di manifestarsi all'Assemblea. Benché non sia da darvi molto peso, merita poi di essere registrato che, nella loro nuova proposta, i sovieti2 hanno fatto una concessione agli altri tre con l'ammettere uno sbocco al mare della Etiopia. Ed è anche da osservare che, non prevedendo la tutela della Somalia un limite di tempo prima della proclamazione della indipendenza, la porta rimane teoricamente aperta a una tutela italiana.

Da parte inglese, sia pure allo scopo preciso di strappare il consenso dei sovieti, sono state fatte delle concessioni al punto di vista favorevole all'Italia: si è rinunziato all'abbinamento con la soluzione eritrea e si è rinunciato anche alla rettifica del porto di Bender Zenda (fosse stato anche Southampton ha detto scherzosamente McNeil) a favore della Somalia britannica.

Tutto ciò, comunque, verificatosi in un negoziato conclusosi col più completo dei disaccordi, ha un valore relativo. L'Assemblea è ormai investita della questione, che pertanto va considerata su questo nuovo piano. Nuovi quesiti si pongono. Uno intanto, di procedura: come e in che punto dell'ordine del giorno la questione verrà inserita? Poi, che probabilità avrebbe una proposta sovietica -analoga a quella originaria degli Stati Uniti del 1945 -di ottenere la maggioranza, semplice o qualificata? E infine, che probabilità avrebbe una proposta di tutela italiana per la sola Somalia, con rinvio di tutto il resto alla prossima Assemblea? (Al Quai d'Orsay

430 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 421.

si pensa, in prima approssimazione, che ben difficilmente gli inglesi consentiranno una decisione per la Somalia, e non per la Cirenaica).

S'intende poi che tutta la procedura va inquadrata nella questione maggiore: i rapporti tra Oriente ed Occidente, rapporti che non sembrano aver preso in questi giorni una piega particolarmente favorevole e che, quindi, rinforzano le argomentazioni anglo-sassoni per soluzioni ispirate in via principalissima da considerazioni strategiche.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1083/16420/3358. Parigi, 16 settembre 1948 (per. il 18).

CRONACA DELLA CONFERENZA DI PARIGI SULLE COLONIE ITALIANE (13-15 settembre 1948)

Come stabilito, alle 15,30, Robert Schuman, ministro degli esteri francese, McNeil per la Gran Bretagna, Lewis Douglas per l'America e Vyshinsky per la Russia, si sono riuniti al Quai d'Orsay nella sala dei Pappagalli, assistiti ognuno da altri quattro delegati.

È occorsa più di un'ora di discussione perché i rappresentanti delle quattro potenze si mettessero d'accordo sulla pubblicità da accordare alle sedute. Il signor McNeil dichiarava subito essere in principio favorevole al segreto, mentre Vyshinsky chiedeva che i dibattiti fossero, se non pubblici, almeno pubblicati. Il delegato sovietico sosteneva la sua tesi, riferendosi ai precedenti creati dalle ultime riunioni del Consiglio dei Quattro alla fine di ognuna delle quali gli addetti stampa delle varie delegazioni davano lettura delle note di seduta. Di fronte alla posizione assunta dai rappresentanti americano e francese, mostratisi disposti ad accedere alla richiesta sovietica, anche il signor McNeil finiva per accettare tale forma di pubblicità delle discussioni.

La sola questione poi discussa nella prima seduta della Conferenza è stata quella della «natura» della riunione stessa.

Vyshinsky sosteneva non trattarsi di un «Consiglio dei ministri». La Russia aveva proposto in realtà un Consiglio dei ministri, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, pur accettando, avevano notificato che non avrebbero inviato i ministri degli esteri. Essi avevano dunque violato la clausola del trattato di pace con l'Italia che prevede che la sorte delle sue ex colonie sia risolta da un Consiglio dei ministri.

Vyshinsky sosteneva la sua tesi con tutta una serie di argomenti. Iniziava citando un proverbio francese: «Per fare un ragù di montone occorre il montone; e poiché non sono presenti i ministri degli esteri non ci può essere il Consiglio dei ministri». Aggiungeva inoltre che l'Accordo di Potsdam in cui trova le sue origini il Consiglio dei ministri, precisava che i ministri stessi potevano essere accompagnati dai supplenti, ma che non è possibile accompagnare degli assenti.

Vyshinsky ricordava che, se pure vi erano state nel passato delle eccezioni (nel novembre 1946 Couve de Murville sostituì Bidault a New York), esse confermano precisamente la regola. «Soltanto i ministri hanno l'autorità necessaria, l'esperienza, il senso di responsabilità per poter prendere delle decisioni».

Il delegato sovietico concludeva che l'articolo 23 dell'allegato 2° del trattato di pace precisa la procedura da seguire per le colonie italiane: le raccomandazioni dei Supplenti debbono essere sottomesse al Consiglio dei ministri.

Alla tesi sovietica si opponevano i delegati inglese e americano i quali sostenevano che:

l) vi può essere Consiglio dei ministri senza la presenza dei quattro ministri. Nel 1946 nessuno contestò la validità della sessione né quella dei testi redatti nonostante Bidault fosse assente;

2) la presenza di Schuman dimostra che si tratta effettivamente di un Consiglio dei ministri. «Si è parlato di ragù e di montone -ha detto il signor Douglas -. Poiché vi è il signor Schuman, vi è il montone. Facciamo dunque il nostro ragù»;

3) l'assenza di Bidault nella sessione del 1946 non fu temporanea e durò due mest; 4) la sessione del 1946 non fu un affare di importanza minore: si trattava niente di meno che di stabilire cinque trattati di pace;

5) pur non avendo «la scienza e l'autorità dei rispettivi ministri degli esteri, i delegati inglese e americano facevano presente di essere stati investiti degli stessi poteri;

6) secondo l 'articolo 23 del trattato di pace la sorte delle colonie italiane dovrà essere regolata dai «Governi». Per conseguenza l'intervento dei ministri è una questione di procedura e non di sostanza.

McNeil e Douglas concludevano pertanto che la sessione di Parigi doveva considerarsi in pieno una sessione del Consiglio dei ministri.

Prendeva infine la parola Schuman. Egli si dichiarava imparziale dato che era ministro e presente. Si esprimeva tuttavia in senso favorevole alla tesi dei due delegati occidentali e dichiarava che bisognava trattare del problema essenziale. «Ciò che importa è che la decisione sia presa in ultima analisi dai Governi». Rivolgendosi a Vyshinsky, Schuman chiedeva: «se le quattro potenze si fossero messe d'accordo per via diplomatica, avreste voi invocato un vizio di forma?». L'oggetto dei lavori attuali è di far sì che i Governi possano mettersi d'accordo.

A questo punto Douglas dicharava di essere autorizzato a prendere una decisione in nome del Governo americano ed altrettanto dichiarava McNeil. Vyshinsky invece informava di essere autorizzato dal proprio Governo a partecipare alle «discussioni», ma di non poter prendere nessuna decisione. I Quattro stabilivano di riprendere le discussioni il giorno successivo (martedì 14 settembre) per esaminare il rapporto dei supplenti sulle colonie italiane.

Le conclusioni presentate dai supplenti erano le seguenti:

Somalia. Le quattro potenze sono d'accordo per piazzare la Somalia sotto la tutela italiana. Vi sono però delle riserve. Il supplente britannico fa dipendere il suo accordo dalla soluzione del problema dell'Eritrea. La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia ritengono che la durata della tutela non deve essere precisata. L'Unione Sovietica chiede invece che il termine sia fissato in maniera «precisa ed accettabile».

La frontiera tra l 'Etiopia e la Somalia italiana, definita con gli accordi del 1897 e del 1908, che non è stata mai tracciata sul terreno, dovrà essere stabilita (tesi francese, inglese e americana) mediante una procedura in due stadi (prima una frontiera provvisoria e poi un arbitraggio per la frontiera definitiva), mentre per l'Unione Sovietica bisognerebbe tornare alla frontiera di fatto del 1934.

Eritrea. Tesi sovietica: l'Eritrea sarà piazzata sotto la tutela italiana «per un periodo definito ed accettabile».

Tesi britannica: l'Eritrea sarà amministrata per dieci anni dall'Etiopia. Quindi l'Assemblea della Nazioni Unite deciderà se questo regime debba essere prolungato ed in quali condizioni. Durante questi dieci anni l'amministrazione etiopica sarà assistita da un Consiglio consultivo composto di eritrei e di rappresentanti di talune potenze (Italia, uno Stato mussulmano, uno Stato scandinavo ...). La situazione giuridica di tal uni abitanti (copti, etiopici ... ) sarà regolata con uno speciale statuto.

Tesi francese: l'Eritrea sarà piazzata sotto la tutela italiana ad eccezione del territorio fra il golfo di Zeila e la costa dei Somali. Tale costa dovrà ritornare all'Etiopia. Una rettifica di frontiera che riguarda solamente un villaggio di 400 abitanti è richiesta lungo la costa francese dei Somali.

Tesi america: l'Etiopia riceverà la banda costiera già menzionata nonché due distretti abitati da popolazioni cristiane sulle frontiere dell'Etiopia. Il resto dell'Eritrea non riceverà un proprio statuto che entro un anno.

Stati Uniti e Francia propongono infine che, nel caso in cui la sorte dell'Eritrea non fosse regolata, i coloni italiani possono ritornare in Eritrea durante il periodo di aggiornamento.

Libia. Tesi sovietica: tutela italiana. Tesi anglo-americana: la Cirenaica sarà messa sotto tutela britannica. La sorte degli alti territori sarà aggiornata di un anno. Tesi francese: il regolamento dell'insieme del territorio libico sarà aggiornato di un anno.

Come per l'Eritrea, la Francia e gli Stati Uniti propongono che i coloni italiani possano ritornare in Libia, qualora il regolamento di tale territorio sia aggiornato. Tale facoltà concerne però unicamente i coloni della Tripolitania. La Gran Bretagna appoggia con qualche riserva tale proposta chiedendo tuttavia che il ritorno dei coloni avvenga progressivamente. Inoltre se la Cirenaica deve essere messa sotto tutela britannica, la Gran Bretagna chiede che la frontiera sia spostata verso occidente al fine di includervi la Sirte e le altre zone a predominanza senussita.

La seconda seduta della Conferenza si è iniziata alle 11 del mattino del 14 se ttembre ed è durata sino alle 13,30, sotto la presidenza di McNeil. Schuman si era fatto rappresentare da Couve de Murville.

Nonostante gli sforzi delle delegazioni francese, americana e britannica per risolvere immediatamente la questione della Somalia, non è stato possibile raggiungere alcun accordo.

All'inizio della seduta, i Quattro decidevano che i poteri loro accordati dal trattato di pace italiano sarebbero scaduti alle 12 del susseguente 15 settembre: che cioè, qualora non fosse intervenuto per allora un accordo, la questione delle ex colonie italiane doveva essere rimessa all'Organizzazione delle Nazioni Unite.

Il signor McNeil chiedeva quindi che fosse preso per base di discussione il rapporto dei supplenti per trattare della Somalia, dato che su tale punto si era addivenuti ad un accordo di principio. Ma Vyshinsky faceva una dichiarazione generale sulla posizione dell'Unione Sovietica, affermando che il suo Governo desiderava che tutte le colonie italiane fossero messe sotto tutela italiana e che le frontiere fossero quelle del 1934. «L'Italia è capace di assolvere tale compito». Vyshinsky ricordava che il IO maggio 1946 l'atteggiamento sovietico era identico a quello attuale. Byrnes lo aveva approvato e un accordo era stato praticamente realizzato tra tre delle quattro potenze interessate. Poi erano intervenuti numerosi cambiamenti. Il Governo sovietico era restato invece fedele alla sua tesi, nonostante che il Governo italiano venisse sempre meno ai suoi obblighi verso l'U.R.S.S. L'Unione Sovietica chiedeva inoltre che un regime democratico venisse stabilito nei territori italiani.

Vyshinsky criticava quindi la posizione delle altre potenze che, secondo il delegato sovietico, tenterebbero suddividersi con accordi separati le antiche colonie italiane. Vyshinsky aggiungeva che l'Inghilterra chiedendo la Cirenaica non faceva affatto gli interessi di quelle popolazioni. Criticava lo stabilimento di basi aeree sugli ex territori italiani ed in particolare quella di Mellaha. Accusava la Francia di voler ingrandire il suo impero coloniale a detrimento dell'Italia.

Dopo un intervento di Douglas che prendeva la parola per rettificare un certo numero delle asserzioni di Vyshinsky, Couve de Murville rispondeva al delegato sovietico: «Nessuna potenza più della Francia si felicita di vedere l'Unione Sovietica allinearsi ad una posizione che fu inizialmente francese». Couve de Murville ricordava che nella conferenza di Londra del settembre 1945 Bidault già aveva proposto che tutte le colonie fossero rimesse sotto tutela ali 'Italia. «Ma allora nessuno accettò tale proposta ed in particolare l'Unione Sovietica fece delle obbiezioni». Il delegato francese ricordava a questo punto le parole di Molotov: «L'Italia non ha compiuto il suo dovere: essa ha utilizzato per una guerra di aggressione e con disprezzo degli interessi degli abitanti, i territori che aveva il compito di amministrare. Se si lasciassero queste popolazioni sotto un controllo italiano, esse non avrebbero mai la fortuna di ottenere l'indipendenza».

Couve de Murville ricordava quindi che Molotov aveva proposto una tutela collettiva delle Nazioni Unite, riservando ali 'Unione Sovietica la tutela sulla Tripolitania e concludeva con una proposta: «Poiché un accordo di principio sembra essere intervenuto tra i supplenti sulla Somalia, si prenda immediatamente una decisione a proposito di questa colonia nel senso che essa sia affidata alla tutela italiana. Gli esperti preciseranno le condizioni per l'applicazione pratica di tale accordo».

Il delegato americano accetta la proposta francese.

Il delegato sovietico chiedeva se la delegazione britannica manteneva le riserve che aveva formulato a Londra in seno al Consiglio dei supplenti e che cioè non fosse decisa la restituzione della Somalia all'Italia se non dopo aver deciso anche la sorte dell'Eritrea.

Il delegato britannico rispondeva che la Gran Bretagna ritirava le sue riserve. Ricordava poi che Molotov nel 1945 aveva accettato il mandato britannico sulla Cirenaica, a condizione però che l'Unione Sovietica ricevesse quello sulla Tripolitania.

La delegazione francese, la delegazione americana e quella britannica si trovavano dunque a questo punto d'accordo per regolare la questione della Somalia.

Rimaneva a conoscere l'atteggiamento della delegazione sovietica.

Vyshinsky faceva sapere che non avrebbe dato una risposta se non dopo un periodo di riflessione. Il delegato sovietico ricordava quindi che i francesi, gli americani e gli inglesi, in Consiglio dei supplenti, chiedevano che la durata della tutela italiana fosse lasciata in sospeso, mentre i delegati russi volevano fissarle un termine accettabile. Vyshinsky ricordava infine che la Russia era favorevole alla tutela italiana, «ma per l'insieme dei territori e non solamente per uno di essi».

La seduta veniva sospesa, per essere ripresa alle 15,30. All'inizio della seduta pomeridiana, Couve de Murville dava lettura della proposta franco-americana per la Somalia.

«Si decide che l'antica colonia italiana della Somalia verrà piazzata sotto un regime di tutela della Nazioni Unite, l'Italia essendo incaricata dell'amministrazione del territorio. Una Commissione sarà incaricata di studiare e di presentare le proposte per la seduta del 15 settembre sulle seguenti questioni: l) frontiera tra l 'Etiopia e la Somalia italiana; 2) frontiera tra la Somalia britannica e la Somalia italiana; 3) modalità di trasferimento del territorio alla autorità italiana; 4) disposizioni economiche e finanziarie».

Il signor McNeil dichiarava di accettare tale proposta per conto del Governo britannico.

Interveniva Vyshinsky, il quale invece chiedeva di discutere prima la proposta presentata precedentemente dalla delegazione sovietica tendente a consegnare tutte le colonie alla tutela italiana.

Couve de Murville proponeva allora, per dare soddisfazione a Vyshinsky, una specie di esame generale della questione per conoscere il punto di vista dei vari Governi e non soltanto sulla Somalia, ma anche sull'Eritrea e sulla Libia. Dopo di che si sarebbe ritornati alla questione specifica della Somalia, per prendere una decisione. Ma Vyshinsky insisteva perché fosse prima di tutto accettata o respinta la proposta d'insieme sovietica.

Il delegato sovietico aggiungeva quindi di non poter accettare la proposta parziale franco-americana per la Somalia, proposta che lo costringeva a considerare come respinta in blocco la proposta sovietica per una soluzione generale della questione.. In conseguenza di ciò, Vyshinsky si vedeva costretto a fare una nuova proposta. Essa era la seguente:

«La Libia otterrà l'indipendenza fra dieci anni. Fino allora sarà oggetto di un accordo di tutela con l'Organizzazione delle Nazioni Unite che assicuri la creazione di una amministrazione democratica composta dei rappresentanti della popolazione locale. Questo accordo prevederà un amministratore che sarà designato dal Consiglio di tutela dell'O.N.U. e responsabile davanti ad esso e che avrà il pieno potere esecutivo. A tale amministratore sarà affiancato un comitato consultivo di sette membri, composto dei rappresentanti del Regno Unito, dell'U.R.S.S., della Francia, dell'Italia e degli Stati Uniti d'America ed altresì di un residente europeo e di un residente arabo scelti dai cinque Governi sopranominati.

L'Eritrea riceverà lo stesso trattamento della Libia.

Verrà assicurata la creazione di un'amministrazione democratica che sarà composta dai rappresentanti della popolazione locale. Tuttavia in questo caso, il Comitato consultivo comporterà due residenti dell'Eritrea, designati dai cinque Governi. Sarà fatta una cessione territoriale all'Etiopia che riceverà un accesso al mare attraverso il porto di Assab.

Nel caso della Somalia, sarà concluso un accordo analogo di tutela che assicuri la creazione di un'amministrazione democratica composta dei rappresentanti della popolazione locale, senza tuttavia che sia fissata una data per la concessione dell'indipendenza a questo paese. Un amministratore sarà designato dal Consiglio di tutela dell'O.N.U. e sarà responsabile verso di esso; il Comitato consultivo comprenderà due residenti della Somalia, oltre ai rappresentanti dei cinque Governi sorpanominati.

Nel caso di questi tre territori coloniali, il Consiglio di sicurezza dell'O.N.U. potrà, se lo giudica necessario, designare alcuni punti strategici che saranno amministrati da esso, in quanto zone strategiche nell'interesse della sicurezza mondiale».

N el sottomettere questa nuova proposta, Vyshinsky faceva osservare che essa riproduceva quasi esattamente una proposta americana presentata da Byrnes in una delle prime riunioni del Consiglio dei Quattro nel settembre 1945.

Dopo un'interruzione di quindici minuti, il delegato americano prendeva la parola per sottolineare le contraddizioni che esistevano fra l'antica e la nuova proposta sovietica. «La prima dava tutto all'Italia; la seconda le rifiuta tutto. L'antica insisteva per prevedere un termine per l 'indipendenza alla Somalia. La nuova non prevede più niente».

Couve de Murville teneva a sottolineare per parte sua che la prima proposta sovietica non era stata respinta, come affermava Vyshinsky, dato che essa non era stata neppure discussa. Per conseguenza egli doveva concludere che la proposta sovietica era stata ritirata ancor prima di essere discussa. Nello stesso tempo il delegato francese teneva a sottolineare che la prima proposta sovietica era in larga misura approvata dalla Francia, la quale invece non approvava affatto la seconda. Faceva quindi una critica dettagliata della nuova proposta sovietica, affermando particolarmente che essa non teneva conto delle esigenze attuali del benessere delle popolazioni e della sicurezza. Anche se i Quattro si fossero messi d'accordo su tale proposta, essi non sarebbero stati qualificati per fissare i dettagli di applicazione, che erano di competenza esclusiva dell'O.N.U.

A sua volta McNeil faceva la critica della nuova proposta sovietica sottolineando «che essa ritira all'Italia ogni speranza di ottenere soddisfazione immediata quanto alla sua partecipazione all'amministrazione delle antiche colonie». Il delegato britannico citava quindi le critiche che Molotov aveva fatto nel settembre 1945 alla proposta di Byrnes e ricordava questa frase del ministro degli esteri sovietico: «Quando un bambino ha sette nutrici, nessuno se ne occupa». Il delegato britannico proponeva quindi di riprendere la discussione sulla Somalia, <<Unico punto sul quale sembra possibile un accordo».

Riprendeva allora la parola Vyshinsky per criticare la proposta anglo-americana sulla Somalia che «dimostra ambizioni territoriali britanniche sui territori limitrofi

dell'Etiopia». Concludeva mantenendo il suo punto di vista che l'antica proposta sovietica era stata respinta e che pertanto bisognava discutere la nuova.

McNeil replicava che la Gran Bretagna non ha mire territoriali per quanto concerne il porto somalo di Bender-Zaida. La Gran Bretagna rinunciava volentieri a chiedere che esso fosse annesso alla Somalia britannica, se ciò dovesse servire ad ottenere l'adesione sovietica alla proposta franco-americana per la Somalia italiana.

A questo punto si iniziava una discussione peregrina, in seguito ad un telegramma inviato dall'Alto Commissario australiano a Londra, che chiedeva di essere ascoltato dal Consiglio. Il telegramma essendo stato indirizzato al «presidente del Consiglio dei ministri degli affari esteri», Vyshinsky sosteneva «che la posta francese doveva essersi sbagliata di indirizzo» dato che -secondo lui -non vi era riunione di Consiglio dei ministri degli affari esteri.

Alle 21,30 il delegato sovietico proponeva di sospendere la seduta per riprenderla alle 23,30.

Riuniti al Quai d'Orsay i rappresentanti delle quattro potenze constatavano di non aver più nulla da dirsi sul fondo del problema delle colonie italiane e decidevano di rinunciare a trattarne la sostanza.

Venivano invece discusse tre questioni di procedura:

l) redazione di un processo verbale: in ragione dell'opposizione della delegazione sovietica a sottoscrivere un verbale «del Consiglio dei ministri degli affari esteri», le quattro delegazioni, dopo una lunga discussione, decidevano di riunciare ad un testo comune. Ogni delegazione poteva quindi stendere il proprio verbale, oppure accordarsi con altre delegazioni su di un testo comune;

2) comunicato alla stampa: veniva ugualmente deciso che non vi sarebbe stato un comunicato comune e che ogni delegazione avrebbe potuto comunicare alla stampa un suo proprio testo;

3) notifica del disaccordo alle Nazioni Unite: anche su questo punto, cioè sulla lettera da inviare al segretario generale dell'O.N.U., non si poteva giungere ad un accordo; è quindi stato deciso che gli esperti si sarebbero riuniti alla l O del giorno 15 settembre per cercare di redigere il testo di una lettera destinata ad informare il signor Trygve Lie del rinvio del problema delle colonie italiane alle Nazioni Unite. Dopo di che i capi delle delegazioni si sarebbero di nuovo incontrati alle 12 e se necessario dopo colazione per prendere conoscenza del risultato del lavoro degli esperti.

I rappresentanti delle quattro potenze si separavano così alle ore 3 del mattino senza aver potuto raggiungere un accordo né sulla sostanza del problema, né sulla redazione di un verbale comune della discussione, né sul testo di un comunicato alla stampa, né infine, sul testo della notifica di tale disaccordo al segretario generale delle Nazioni Unite.

Il 15 mattina, dopo la riunione degli esperti ed un nuovo incontro dei delegati delle quattro nazioni, è stata approvata ed inviata al signor Trygve Lie, segretario generale dell'O.N.U. la seguente lettera:

«Secondo le istruzioni dei Governi degli Stati Uniti d'America, di Francia, del Regno L'nito di Gran Bretagna e d'Irlanda e dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ho l'onore di farle sapere che la questione della sorte delle ex colonie italiane è trasmessa all' Assembela generale delle Nazioni Unite, conformemente all'articolo 23 del paragrafo 3 dell'Allegato Il del trattato di pace con l'Italia, affinché conformemente alle sue nonne di procedura, l'Assemblea generale possa esaminare tale questione durante la sessione che si inizia il 21 settembre».

La lettera portava la firma dei capi delle quattro delegazioni.

Inoltre la Conferenza dei quattro decideva di trasmettere alle Nazioni Unite la relazione della Commissione d'inchiesta internazionale e quella dei supplenti.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ANZILOTTI

T. S.N.D. l 0646/358. Roma, 17 settembre 1948, ore 16.

Circa questione coloniale, allo stato attuale delle cose, ci sembra che miglior soluzione sia far proporre (per esempio da Argentina) ad Assemblea O.N.U. risoluzione che attribuisca ad Italia amministrazione fiduciaria Somalia (per la quale i Quattro si erano già dichiarati sostanzialmente d'accordo) e che rinvii puramente e semplicemente ai Quattro, per un altro anno, esame questione concernente altri territori senza prendere posizioni di merito. Appare infatti questa soluzione più suscettibile raccogliere maggioranza adesioni lasciando impregiudicato status qua ed evitando discussioni che accentuerebbero dissensi allargandone portata e conseguenze.

Ne intrattenga d'urgenza codesto Governo (per mia parte ne parlo a questo incaricato d'affari britannico) assicurandolo che, per tale soluzione, o ve incontrasse favorevole accoglienza codesto Governo, siamo pronti usare tutta nostra influenza presso paesi nostri amici membri dell'O.N.U. particolarmente quelli dell'America latina 1•

433

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO

T. l 0670/21. Roma, 17 settembre 1948, ore 20.

Suo telespresso 222 1 .

V.E. è autorizzata ad inviare Governo Costarica nota ufficiale a nome Governo italiano, in risposta nota 20 luglio con cui Governo stesso notificato formale ristabilimento stato di pace.

Ella potrà attenersi formula usata per Honduras con nota del 12 maggio 1947. Pregola confermare e trasmettere testo.

432 1 Per la risposta vedi D. 468.

433 1 Non rinvenuto. Con T. 7567/18 del 29 giugno Zoppi aveva dato istruzioni a Zanotti Bianco di notificare al Costarica il riconoscimento italiano del Governo provvisorio recentemente costituitosi e di procedere, mediante scambio di note, al formale ristabilimento dello stato di pace.

434

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 12600/046. Atene, 17 settembre 1948 (per. il 18).

Seguito mio telegramma per corriere n. 040 del 24 agosto u.s. 1• Questo Sottosegretario agli affari esteri riprendendo occasionalmente conversazione sulla suggestione di V.E., di cui al mio succitato telegramma per corriere, dicevami risultargli America ed Inghilterra essersi accordate di abbandonare ogni progetto di federazione palestinese per tornare giusto appunto all'idea della spartizione. Pipinelis, dopo avermi lungamente intrattenuto sulle mosse comuniste che ovunque nel mondo (Indonesia, Malesia, Birmania ecc.) esasperano i fermenti interni di opposizione politica e sociale aprendo nei singoli paesi piaghe ultranazionaliste o socialiste a seconda dei casi e dei luoghi per poi associarsi ai movimenti rivoltosi così generati, concludeva che nel mondo arabo questa era attualmente la politica russa, molto pericolosa specie in Egitto da dove le notizie in possesso di questo Governo risultano sempre peggiori nel senso del conflitto fra Governo ed opinione pubblica in antagonismo con lo stesso re. La lunga conversazione mirava a ripetermi come scottante fosse la questione palestinese e di cui ogni soluzione ed ogni indirizzo eccitano in ogni paese le opinioni più disparate e contrastanti fra le quali ad esempio quelle che parteggiano per l' «ordine britannico» e quelle che viceversa trovano questo ordine inconcludente e pericoloso. Pipinelis perciò, pur apprezzando giusta la suggestione di V.E. a favore allargamento spartizione fra singoli Stati arabi, ritiene che al pratico sia bene nostra azione resti riservata limitandosi a dimostrazione presso singoli Stati arabi sincera simpatia verso di loro senza pregiudicarsi in attesa maturazione eventi. Insomma monetizzare la politica suggerita da V.E. presso i singoli Governi arabi compromettendosi il meno che sia possibile.

434 1 Vedi D. 349, nota 2.

435

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 17 settembre 1948.

Ho convocato l'incaricato d'affari britannico per scambiare con lui alcune impressioni sulla nuova fase della questione coloniale.

Gli ho detto che a nostro avviso era necessario evitare che l'Assemblea dell'O.N.U. entrasse nel merito della questione. Gli stessi dissensi che si erano manifestati fra i Quattro sarebbero riapparsi su scala maggiore ali' Assemblea e nuovi elementi di dissenso sarebbero affiorati ad opera di altri paesi che non avrebbero mancato, sia per motivi ideologici sia per tirare l'acqua al proprio mulino, di surriscaldare l'atmosfera. Gli ho ripetuto quanto già detto a FouquesDuparc1 e già telegrafato a Londra2 che la migliore soluzione sarebbe quella di far presentare ali' Assemblea una risoluzione che, senza entrare nel merito della questione, attribuisca all'Italia l'amministrazione fiduciaria della Somalia e reincarichi i Quattro di continuare per un altro anno la ricerca di un accordo per gli altri territori.

Questa proposta avrebbe il vantaggio di dare una certa soddisfazione al popolo italiano, non apparirebbe come antisovietica in quanto l'esame dei problemi insoluti verrebbe rimesso ai Quattro e quindi anche all'U.R.S.S., eviterebbe una discussione complessa nel merito e avrebbe più probabilità di raccogliere la maggioranza necessaria. Da parte nostra se il Governo britannico aderisse a questa proposta, ci impegneremmo ad usare tutta la nostra influenza presso i membri dell'O.N.U., specie sud-americani, per assicurarne il successo. A conti fatti -se i Tre Grandi adottassero questa linea di condotta -potremmo contare più o meno su di uno schieramento conforme ali 'unito specchio di cui gli ho dato copia3 .

Ward mi ha detto di comprendere bene il nostro punto di vista e di trovarlo logico -lo trasmetterà oggi stesso a Londra. Rileva solo che, a quanto sapeva, almeno relativamente ad una fase precedente degli sviluppi della questione, il Governo britannico tendeva ad avere subito una decisione per la Cirenaica. In Cirenaica, gli ho detto, ci siete e intanto ci rimanete -non conviene quindi cercare di forzare all'O.N.U. una risoluzione che può creare grossi inconvenienti, né conviene guastare in Italia la buona impressione che farebbe il ricupero della Somalia e il rinvio per tutto il resto.

2 Vedi D. 432.

3 Non si pubblica.

435 1 Vedi D. 408.

436

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRETO. Roma, 17 settembre 1948.

Il signor Ward, nel corso della conversazione che ho avuto con lui oggi, dopo esaurito il tema coloniale per il quale lo avevo convocato 1 , è venuto a parlarmi della recente conversazione Gallarati-Bevin a proposito della posizione internazionale dell'Italia. Aveva ricevuto il verbale di detta conversazione (presumo sia quella del 20 agosto )2 e voleva avere chiarito il punto sollevato da Gallarati Scotti secondo cui l'Italia non solo non sarebbe stata invitata ad entrare nell'Unione Occidentale, ma ne sarebbe stata scoraggiata da ripetute dichiarazioni di Bevin. È noto a V.E. che lo stesso Bevin reagì a questa osservazione del nostro ambasciatore. Ho detto a Ward che effettivamente dopo la prima dichiarazione favorevole all'Italia fatta da Bevin quando propose il patto che prese poi il nome da Bruxelles, lo stesso ministro britannico e gli stessi Governi del Benelux avevano in ripetute occasioni dato l'impressione che il momento non fosse ancora venuto di pensare a comprendere l'Italia

o ad allargare i loro impegni militari sul continente. Ward ha replicato che forse le stesse dichiarazioni fatte dal presidente De Gas peri e l'atteggiamento della nostra stampa, nonché la sensazione che la nostra opinione pubblica non fosse matura per un tale evento, avevano indotto Bevin a mostrarsi più prudente, tenendo conto del resto della nostra reale posizione e delle nostre preoccupazioni. Ho a mia volta osservato che effettivamente nella nostra opinione pubblica vi erano ancora forti correnti fiduciose nella possibilità di poter mantenere un atteggiamento neutro fra i due blocchi e che comunque la questione coloniale, quella militare e l'atteggiamento politico di persistente diffidenza tenuto da taluni paesi nei nostri riguardi, rafforzavano tale tendenza. Che comunque V.E. aveva dichiarato più volte in modo che non poteva dar luogo ad equivoci di sorta che l 'Italia è un paese occidentale e che il suo posto è fra gli occidentali: nel che la grande maggioranza della nostra opinione pubblica può considerarsi d'accordo.

Gli ho poi riassunto il contenuto del telespresso n. 1284/c. del 31 agosto u.s. 3 diretto alle quattro ambasciate con le istruzioni di V.E. relative a tale questione, e gli ho esposto le istruzioni data a Tarchiani. Gli ho detto che, ferme restando le nostre riserve sulla combinazione di Bruxelles e la nostra inclinazione a più vasti raggruppamenti (i Sedici dell'E.R.P.) a base in un primo tempo economica, avevamo dato incarico a Tarchiani di abbordare in America il problema dal punto di vista della nostra posizione militare. L'ambasciatore avrebbe posto agli americani il quesito se, nell'impossibilità in cui essi si trovano oggi di difendere il nostro territorio, trovas

2 Vedi D. 335.

3 Vedi D. 375.

633 sero di loro interesse un tentativo italiano di evitare che la penisola venisse sin dal primo momento di una eventuale guerra invasa ed occupata dali' est, e se e quali provvidenze sarebbe possibile concordare in considerazione di un graduale estendersi dell'area strategica americana (proporzionale cioè al loro riarmo) sino ali 'Italia compresa. N eli' ambito di queste considerazioni noi eravamo disposti ad esaminare sin da ora con gli americani (ed eventualmente con altri) quale ruolo dovesse o potesse avere l'Italia in un compito generale difensivo del continente e del Mediterraneo, quale parte di tal ruolo l'Italia potebbe assolvere da sola, quale in cooperazione con altri, e con chi, ecc. ecc., problemi tutti che era necessario affrontare in concreto e che sono assai più importanti di una adesione formale, clamorosa e controproducente ad un testo diplomatico per ora privo di sostanziale contenuto. Ward mi ha chiesto se il Governo britannico sarebbe stato messo al corrente dal nostro ambasciatore, delle istruzioni date a Tarchiani. Gli ho detto di sì: anche il Governo francese 4 .

436 1 Vedi D. 435.

437

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATA AD ANKARA E ALLE LEGAZIONI A BEIRUT, IL CAIRO E DAMASCO

T. S.N.D. l 0725/c.1 . Roma, 18 settembre 1948, ore 23.

Questione colonie, in seguito mancato accordo fra i Quattro, è stata rimessa all'Assemblea O.N.U. che dovrà adottare sue decisioni con maggioranza due terzi. Decisione che noi patrociniamo è voto favorevole per immediata attribuzione amministrazione Somalia all'Italia per cui Quattro si erano già dichiarati sostanzialmente d'accordo, e reincarico puro e semplice ai Quattro, senza che Assemblea prenda posizione di merito, per un altro periodo tempo, di continuare esaminare questioni altri territori in vista soluzione.

Appare questa soluzione più pratica e favorevole allo stato attuale delle cose e la più suscettibile di raccogliere maggioranza adesioni evitando discussioni che accentuerebbero dissensi allargandone portata e conseguenze.

Pregola interessarsi per ottenere che delegazione codesto paese all'O.N.U. si adoperi in tal senso.

(Solo per Beirut) Dica a codesto ministro affari esteri che apprezzeremo sua azione nello stesso senso presso altri Governi arabi, anche in relazione quanto comunicato con suo 045 2 .

(Solo per Cairo) Dica a codesto ministro affari esteri che soluzione prospettata avrebbe anche vantaggio evitare da parte egiziana (suo telegramma 190)3 prese di posizione che, mentre avrebbero valore puramente ideologico, rischierebbero sfavorevoli ripercussioni in Italia ciò che conviene evitare nello stesso interesse Egitto specie dopo recente conclusione favorevole accordi commerciali. Nello stesso senso verrà intrattenuto Hakki bey.

436 4 Per disposizione di Sforza questo appunto fu trasmesso alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington con Telespr. 1342 segr. poi. del 22 settembre. 437 1 Trasmesso anche alle ambasciate a Nanchino, Ottawa e Teheran e alle legazioni a Kabul, Karachi, Manila e Pretoria con T. s.n.d. 10760/c. del 20 settembre. 2 Vedi D. 428.

438

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 12988/031. Copenaghen, 18 settembre 1948 (per. il 2 7).

Parlando ieri con questo ministro degli affari esteri gli ho chiesto se in relazione alla recente riunione di Stoccolma la posizione della Danimarca potesse dirsi tuttora intermedia tra quella della Svezia della neutralità armata e la tendenza della Norvegia ad avvicinamento alle potenze occidentali. Ministro Rasmussen ha precisato che posizione Danimarca è tuttora mediatrice tra le due. Egli ha poi sottolineato decisione presa dalla conferenza di dare incarico ad esperti militari dei tre paesi di studiare possibilità collaborazione militare nordica, aggiungendo che conversazioni detti esperti non impegneranno ancora tre Governi. Avendogli poi chiesto se eventuale realizzazione detta collaborazione portasse conseguenza deciso orientamento verso potenze occidentali, Rasmussen ha senza esitazione affermato che Governo danese ritiene che questa non sarebbe una conseguenza necessaria e che tre paesi resterebbero indipendenti nella loro linea politica.

Ministro Rasmussen ha infine rilevato che lavori esperti militari dureranno qualche mese.

439

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 12995-12996-12997/08-09-010. Osio, 18 settembre 1948 (per. il 27).

Questo ministro degli esteri mi ha detto, in via assolutamente riservata e con preghiera di riferirne a V.E. a titolo confidenziale, che ministri degli esteri scandinavi

durante riunione tenutasi recentemente a Stoccolma, oltre a questioni di cui al comunicato diramato alla stampa e su cui riferisco con rapporto a parte 1 -hanno anche trattato altri argomenti di carattere riservato. Su di essi è stato redatto un processo verbale marcato «segreto» e sul cui contenuto egli mi ha dato le seguenti informazioni:

l) il Comitato interscandinavo (Svezia-Norvegia-Danimarca) che dovrà studiare i problemi comuni di difesa e che sarà composto di due civili e di un militare di ogni nazione i cui nomi saranno diramati alla stampa fra pochi giorni, dovrà riunirsi entro il l o ottobre prossimo. Norvegia aveva insistito che a detto Comitato dovesse essere dato un termine fisso ed improrogabile ( 15 gennaio), ma, a seguito obiezioni svedesi, protocollo segreto si limita a dire che i ministri degli esteri esprimono il voto che il Comitato stesso abbia a terminare i suoi lavori entro il lo febbraio 1949. Come avevo già riferito in precedenza2 Norvegia desidera per quell'epoca avere, di fronte agli altri due Stati scandinavi, una certa libertà di azione nel caso che essi decidessero definitivamente di opporsi a qualsiasi adesione ad un eventuale Patto dell'Atlantico del Nord.

2) Riunioni Comitato anzidetto dovranno essere precedute durante corrente mese di settembre da una conferenza non ufficiale dei tre ministri della difesa ai quali spetterà il compito di definire nei dettagli i limiti dei lavori del Comitato stesso.

3) Protocollo segreto menziona, in linea di principio, che Comitato dovrà esaminare lo stato attuale degli armamenti dei singoli paesi, le deficienze relative, la maniera di porvi riparo, la possibilità di procedere ad una unificazione di tali armamenti ad un pool di tutte le risorse scandinave in materia. Il Comitato inoltre dovrà studiare quali sono le condizioni tecniche secondo cui i tre Governi potrebbero eventualmente addivenire alla redazione ed alla firma di un «accordo regionale» (il protocollo aggiunge fra parentesi la frase «alleanza militare») con una clausola difensiva scambievole e nel quadro della Carta di S. Francisco delle Nazioni Unite.

Il fatto che la Svezia -di cui è noto il punto di vista e per la quale la neutralità ad ogni costo è assioma fondamentale di politica estera -abbia aderito a porre allo studio (anche se solo in maniera riservata e niente affato impegnativa) una simile possibilità, viene considerato dal Governo norvegese un notevole punto al proprio attivo.

Le discussioni per giungere a un simile risultato -che però il signor Lange non considera acquisito e definitivo, ma sempre passibile di eventuali pentimenti o modifiche da parte svedese -sono state lunghe e difficili.

439 1 Non rinvenuto. 2 Vedi D. 368.

Il signor Lange ha esposto chiaramente ai suoi colleghi il suo punto di vista secondo cui al momento in cui i negoziati per un Patto dell'Atlantico del Nord dovranno essere riassunti e eventualmente conclusi, subito dopo la installazione del nuovo presidente americano, la Norvegia dovrà considerare e decidere una propria partecipazione al patto stesso. «Ove la Norvegia -ha aggiunto il signor Lange -dovesse essere in quel momento isolata dai propri vicini scandinavi non potrebbe che accettare senza possibilità di discussioni il già preannunciato invito americano a partecipare a quel patto. Non sarebbe invece più utile a tutti gli effetti aver considerato per quell'epoca anche le eventuali possibilità di un qualsiasi accordo scandinavo in funzione o meno del patto stesso? Noi non sappiamo quali saranno gli sviluppi della situazione europea nei prossimi mesi: sia che essa peggiori, sia che essa migliori, cerchiamo di studiare in dettaglio quali siano le nostre possibilità. Solo dopo un tale studio ognuno di noi deciderà sul da farsi.

Tanto più che non è da escludersi che, ove gli Stati scandinavi dovessero trovarsi di accordo per addivenire ad un patto fra di loro più o meno sugli stessi principi di quello di Bruxelles, non dovrebbe essere neanche escluso che Stati Uniti e Gran Bretagna rinuciassero ad una formale ed ufficiale adesione del gruppo scandinavo al Patto dell'Atlantico del Nord, giudicando garanzia sufficiente una unione scandinava così concepita».

Portata la discussione su simili basi, il ministro degli esteri svedese non ha potuto che aderire al punto di vista del signor Lange pur riservandosi ogni libertà di future decisioni, anche in vista del risultato delle elezioni parlamentari nel suo paese.

4) Protocollo segreto porta anche una clausola che prevede che, se nel periodo intercorrente fra la riunione della Commissione militare e la fine dei suoi lavori uno degli Stati ritenesse opportuno iniziare negoziati per la propria adesione ad un patto non esclusivamente scandinavo, esso potrebbe farlo senza previa consultazione con gli altri due Stati, ma mettendoli immediatamente al corrente dell'inizio di tali negoziati.

Questo ministro degli esteri mi ha detto che nella recente riunione di Stoccolma egli e i suoi colleghi scandinavi hanno a lungo discusso il problema posto dal Governo di Parigi in merito alla riunione di un parlamento europeo e si sono trovati d'accordo nel considerare l'iniziativa francese affrettata e prematura.

Nessuna opposizione di principio gli Stati scandinavi possono fare all'idea di una unione europea, ma nel momento attuale essa -a loro avviso -può essere avviata a soluzione solo per gradi. Un volerne affrettare il ritmo sarebbe forse anche controproducente.

Avendogli accennato -come se si trattasse di mie idee personali -ai punti principali del memorandum consegnato dal Governo italiano e quello francese 3 e

637 di cui al telespresso riservato 3/841/c. del 26 agosto 4 di codesta segreteria generale, egli mi ha detto che la possibilità di dare una forma permanente all'O.E.C.E. ed agire nel quadro dell'organizzazione già esistente per il piano Marshall onde giungere ad un inizio di risultati concreti in materia di unione europea, trova, a suo avviso, la principale obiezione nel fatto che dell'O.E.C.E. fanno parte Turchia e Grecia mentre dall'O.E.C.E. è assente la Spagna. Sono questi due punti per lui essenziali e a cui occorre trovare una soluzione prima di procedere oltre allo studio della futura unione europea, visto che essa non potrebbe essere all'inizio che una unione esclusivamente occidentale, mentre che una inclusione in tale stadio della Grecia e della Turchia altererebbe fondamentalmente il problema quale è considerato qui.

Circa il suo punto di vista sulla questione spagnola ho già riferito col mio telegramma filo n. 64 del 16 corrente 5 .

L'atteggiamento del signor Lange su tale argomento è senza dubbio significativo, tanto più ove si pensi che in ogni classe ed in ogni ambiente norvegese l'avversione per il regime di Franco è veramente diffusa e profondamente sentita, e che un miglioramento dei rapporti con il dittatore spagnolo, quale quello previsto e preannunciato dal ministro degli esteri, solleverà vivaci reazioni in mezzo all'opinione pubblica dell'intero paese.

Evidentemente però, in materia, il signor Lange ed il suo Governo, hanno fatto dei tali passi in avanti nella loro evoluzione occidentale ed europea che sono pronti anche ad affrontare eventuali difficoltà di politica interna pur di affermare la loro completa adesione al principio di solidarietà dei paesi dell'Occidente.

Non è da escludersi però -nel caso specifico spagnolo -che abbiano contribuito al mutamento di linea di condotta anche forti pressioni statunitensi, oltre che, naturalmente, il desiderio di migliori relazioni commerciali con un paese con cui la Norvegia ha avuto nel periodo prebellico un attivo ed interessante interscambio che la tensione politica fra i due Governi ha notevolmente diminuito.

Questo ministro degli esteri parlandomi della candidatura norvegese al Consiglio di sicurezza approvata dagli Stati scandinavi nella recente riunione di Stoccolma e per cui vi sarebbe la adesione di principio anche delle potenze occidentali e degli Stati sud e centro americani, mi ha detto che la candidatura stessa, prima di diventare ufficiale, è stata oggetto di esame approfondito e di varie discussioni in seno al Gabinetto. Alcuni ministri infatti, e parecchi parlamentari, non erano d'accordo su di essa.

La principale obiezione si basava, come naturale, sul fatto che, una volta nel Consiglio di sicurezza, la Norvegia avrebbe dovuto rinunciare definitivamente all'idea di poter, anche se solo in linea di principio, mantenere un equilibrio più o meno stabile fra i due blocchi. Entrare a far parte di quell'organismo avrebbe significato per essa la adesione completa incondizionata e senza ritorno al blocco occidentale, e la conseguente completa e incondizionata inimicizia sovietica.

Altra obiezione sollevata era quella che la Norvegia non possiede, nella sua qualità di piccola potenza il cui campo di azione in politica estera è stato sempre più che limitato, una tale rete di servizi di informazioni che possa permetterle di basarsi anche su fonti dirette per giudicare gli avvenimenti che vengono sottoposti al Consiglio di sicurezza.

A tale obiezione e alle altre minori il signor Lange ha risposto che dentro o fuori il Consiglio, la direzione occidentale del paese è dettata da ragioni superiori ed evidenti, e non più discutibili oggi, che la limitazione dei servizi di informazioni è relativa e facilmente superabile, e che, infine, un paese, se vuoi vivere e non vegetare, non può sottrarsi alle responsabilità che sono inerenti al fatto stesso di essere membri delle Nazioni Unite.

Ove la candidatura della Norvegia dovesse avere la approvazione dell'Assemblea, rappresentante norvegese nel Consiglio sarebbe il ministro Finn Moe, attualmente capo della delegazione norvegese permanente presso l'O.N.U.

437 3 Vedi D. 407.

439 3 Vedi D. 350, Allegato.

439 4 Vedi D. 386, nota l. 5 Con il quale Rulli informava che il Governo norvegese era pronto a ristabilire con la Spagna normali rapporti diplomatici.

440

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 18 settembre 1948.

È venuto stamane a vedermi, di passaggio per Roma, il sig. Pipinelis, sottosegretario permanente al Ministero degli affari esteri greco. Abbiamo passato in rivista le questioni di interesse italo-greco.

Abbiamo constatato che il progetto riparazioni con forniture E.C.A. è ormai impostato in termini accettati da entrambe le parti e attende solo per essere messo a punto la raccolta dei dati tecnici. Abbiamo altresì constatato che la questione dell'«Eugenio di Savoia» ha fatto ulteriori progressi verso una soluzione. Idem il trattato di amicizia.

Ho l'impressione che il sig. Pipinelis vorrebbe riuscire a concretare questi accordi durante la sua permanenza a Parigi per l'O.N.U. in modo di potere, rientrando in Grecia, considerarli risolti o pervenuti alla vigilia della conclusione.

Abbiamo poi passato in rassegna problemi di comune interesse balcanici e mediterranei e confermata l'opportunità che i due Governi si mantengano in consultazione su tali questioni. Egli mi ha comunicato che il Governo greco è deciso di appoggiare le nostre richieste per quanto si riferisce al Fondo monetario internazionale.

Lo ho poi intrattenuto sulla questione coloniale indicandogli la soluzione da noi proposta come più confacente all'interesse generale: attribuzione della Somalia all'Italia e reincarico ai Quattro di continuare ad occuparsi della questione relativa agli altri territori per un altro periodo di tempo. Gli ho svolto le stesse argomentazioni che avevo svolto ieri con Ward1• Pipinelis mi ha detto che gli pare una buona via di uscita e che a Parigi la sosterrà. Spera di vedere V.E. prima di partire (mercoledì) per Parigi.

441

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 18 settembre 1948.

Giunti a metà dei lavori con la delegazione francese, ritengo utile sottoporre a

V.E. talune impressioni d'insieme, salvo a riferire più dettagliatamente a sessione ultimata.

Le impressioni generali non sono troppo favorevoli. Posso dire di aver riscontrato in linea di massima presso la delegazione francese quella stessa differenza nei rispetti dell'atteggiamento precedente che V.E. ebbe a rilevare fra il suo discorso e quello del signor Letourneau. Non voglio dire con questo che le direttive francesi abbiano subito una modificazione sostanziale; voglio solo rilevare che esse non trovano maniera di esprimersi in linea pratica.

Le ragioni sono molteplici ed indipendenti dalla nostra volontà. La prima e più forte di tutte è la carenza del Governo francese e la sicurezza che esso ha di non poter contare su di una propria maggioranza. Anzi ieri i deputati francesi non nascondevano la loro convinzione che il Governo sarà indotto a procedere alle elezioni, col risultato che molti di essi perderanno probabilmente il loro collegio. Ne consegue che avendo dovuto constatare essere certo raccomandabile che intese dirette fra gruppi di produttori fiancheggino l'operato della commissione ma essere pericoloso rimettersi soltanto alle intese stesse per raggiungere l'Unione, non si è oggi in situazione di poter contare neppure approssimativamente su di una decisione ferma del Governo francese di impegnarsi a favore di essa di fronte al proprio Parlamento.

Questa situazione di fatto, imputabile soltanto alle circostanze, domina lo svolgimento dei lavori ed impedisce che si raggiunga una decisione definitiva la quale si manifesti -come avevamo sperato -in un documento concreto e preciso che racchiuda il programma di applicazione e formi cioè sostanzialmente il progetto di legge che i Governi avrebbero dovuto presentare ai Parlamenti entro quest'anno.

Di più dalle inchieste compiute presso i gruppi industriali ed agricoli dei due paesi, secondo quanto avevamo convenuto nell'ultima sessione di Parigi, è emerso che mentre l'industria italiana è in genere favorevole e l'agricoltura italiana leggermente esitante, l'industria francese, o non ha addirittura risposto ai questionari rivoltile, o ha risposto in maniera che il rapporto della delegazione francese definisce in questi termini: «L'industria francese in genere si dimostra esitante e preoccupata di fronte al progetto dell'Unione».

Altre difficoltà sorgono nei settori agricoli e del lavoro. Nei primi la presenza degli esperti (che sono poi gli interessati) conduce a moltiplicare le obiezioni che potrebbero essere risolte solo con atto di volontà e d'imperio che la delegazione francese non è in grado di compiere. Nel settore del lavoro i rappresentanti francesi ed italiani delle forze sindacali esercitano una azione evidentemente ostruzionistica; gli esponenti del Ministero francese si preoccupano della incondizionata libertà di movimento delle persone mentre i rappresentanti italiani del Ministero del lavoro, efficacemente controbattuti dai nostri rappresentanti della Direzione dell'emigrazione, si perdono in costruzioni puramente teoriche che non tengono conto della visione d'insieme.

Tutto questo non rappresenta che difficoltà inevitabili e non determinati. L'elemento invece che mi preoccupa grandemente è la carenza di una ferma volontà governativa francese che non può né prodursi né manifestarsi per i motivi anzidetti. Con l'abbandono del Ministero degli esteri da parte del signor Bidault temo che abbiamo perso una buona carta dalle nostre mani.

Infine -non posso nasconderlo a V.E. -la delegazione italiana, nei suoi dirigenti, non risponde come dovrebbe. Per turno, tocca a noi la presidenza dei vari comitati: ora il senatore Aldisio non è mai intervenuto, neppure alla sessione inaugurale: l'on. De Martino non presenzia alle riunioni: l'on. Cavinato, pur presenziandole, ne risulta praticamente assente. Una più energica presenza generale sarebbe stata forse desiderabile.

Tutto ciò premesso, senza voler dare un quadro eccesivamente pessimista ma soltanto fotografico, la situazione sta nei seguenti termini:

--i francesi, adducendo la necessità della formazione di un Governo che sia in grado di assumersi una responsabilità così grave, e constatando che i lavori dei singoli comitati non conducono entro la prossima settimana alla risoluzione di tutte le questioni proposte, suggeriscono il rinvio ad una terza sessione che dovrebbe tenersi entro i primi di gennaio. Ciò, perché i mesi di ottobre e novembre verrebbero impiegati ad ultimare quelle inchieste che si appalesano ancora necessarie, ad attendere eventuali decisioni governative circa le elezioni nonché circa la modifica del tasso di cambio fra il franco ed il dollaro (problema che sta alla base di tutti gli altri). Il mese di dicembre è per contro occupato dalla conferenza sulle unioni doganali di Bruxelles.

-Gli italiani in un primo tempo volevano opporsi nettamente al programma di una terza sessione. Tuttavia si è dovuto constatare anzitutto che i lavori non sarebbero stati ultimati egualmente, e in secondo lugo che una opposizione netta non avrebbe verosimilmente che condotto i francesi a diluire il documento finale della sessione odierna alla scopo di rendere inevitabile una sessione prossima. Per contro, la nostra accettazione può avere il risultato favorevole di rendere i francesi più impegnativi circa i punti finora esaminati.

È stato perciò deciso che la terza sessione di gennaio non venga esclusa. Ciò nell'intesa che nel frattempo venga sottoposto ai due Governi il lavoro compiuto nella sessione attuale affinché essi vi diano la loro approvazione o avanzino suggerimenti od istruzioni da tenere presenti per la terza sessione. In tal modo un passo avanti sarebbe sempre compiuto e l'opinione pubblica dei due paesi troverebbe giustificato il rinvio ad un terzo incontro per il fatto che un approfondimento di taluni punti è reso necessario per poter procedere alla redazione di un progetto di legge definitivo, quale era nel compito assegnato alla delegazione mista.

Mi riservo di riferire ulteriormente a V.E. 1•

440 1 Vedi D. 435.

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATISSIMA PERSONALE 1704. Istanbul, 18 settembre 1948.

È venuto a vedermi l'ex presidente del Consiglio ungherese Ferencz Nagy. Mi ha consegnato la tua lettera 1• Mi dice di essere stato pregato a Roma di prendere contatto con gli emigranti albanesi e di cercare di dar loro una qualche organizzazione, inquadrandone possibilmente l'attività in quella più vasta, svolta dalle opposizioni agli attuali regimi balcanici.

Ho incontrato stamani il signor Ghasichan, rappresentante di re Zog. È stato stabilito di indire per il prossimo ottobre una riunione di fuorusciti albanesi presso l'ex sovrano, al Cairo. Non ha ancora visto Frasheri. Sa peraltro che anche quest'ultimo è stato invitato a partecipare alla riunione predetta. Egli avrebbe risposto di essere pronto a recarvisi, non come rappresentante della tendenza repubblicana, quale egli è, ma semplicemente come privato. Nagy ha consigliato che re Zog continui a sollecitarne la partecipazione: ciò varrà a dimostrare che tutte le tendenze vi saranno rappresentate e che non si tenta affatto di pregiudicare in nessun senso la libera manifestazione della volontà del popolo albanese circa il futuro regime del paese, se e quando codesta volontà avrà modo di trovare espressione.

Si riserva di prendere ulteriori contatti e di informare questa ambasciata. Come ti ho telegrafato, conta di partire per Roma, in aereo, lunedì prossimo, giungendovi il giorno stesso.

La venuta di Nagy in Turchia, ha provocato qui un certo rumore. Tutta la stampa vi dedica ampi commenti. E effettivamente l'afflusso dei rifugiati, sopra tutto dalla Bulgaria e dalla Romania, si è andato in questi ultimi tempi intensificando. Anche si presume che, in seguito alle epurazioni in corso e alla stretta di freni sovietica, cotesto afflusso possa ancora ingrossare nelle settimane che ci stanno immediatamente dinnanzi. Ciò che mi pare effettivamente molto probabile. Non vi è tuttavia, o non vi è ancora, in Turchia nessuna personalità di primo piano, fra i fuorusciti balcanici, che possa avere l'autorità e il peso necessari per inquadrare l'azione e dirigerla. Nagy conta di stabilire qui un semplice ufficio di liaison con i centri di opposizione più importanti.

Dovrei aggiungere che non mi pare che, almeno in materia albanese, il Nagy possa fare gran che, nei pochi giorni della sua permanenza in Turchia. È comunque certo che la situazione sembra oggi, in Albania, delicata e crescente l'opposizione al regime. E poiché non è da presumere che Tito possa dare ad un Governo quale l'albanese, che lo ha attaccato con maggiore violenza di qualunque altro, aiuti o assistenza per trarsi eventualmente d'impaccio, mi par ottima cosa cercare, come tu fai, di sorvegliare la situazione da vicino. L'avvenire può -mi pare -riservare delle sorprese, cui conviene essere preparati.

441 1 Grazzi trasmise a Sforza lo schema di trattato dell'Unione doganale con la relazione del 16 gennaio 1949 per la quale si veda il volume successivo.

442 1 Non rinvenuta.

443

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1772/418. Mosca, 18 settembre 1948 1 .

La nuova proposta di Vyshinsky a Parigi sulle ex colonie italiane, presentata all'ultimo momento dopo che per due giorni il vice ministro sovietico aveva insistito sulla precedente tesi del trusteeship all'Italia voleva essere e fu una sorpresa, di cui non è facile definire con sicurezza le ragioni e i fini.

Quando Zorin il 23 agosto, sul finire di un lungo colloquio, quasi distrattamente entrò sul tema delle navi italiane e mi lasciò cadere l'accenno che l'inadempienza italiana a questo riguardo avrebbe potuto influire sugli altri rapporti in corso fra i due paesi (mio telegramma n. 279)2 il monito pareva riferirsi più alle trattative per gli scambi commerciali e le riparazioni (la nostra delegazione era appena arrivata) che alle colonie, sulle quali lo stesso Zorin aveva recentemente assunto e ripetuto in modo solenne e caloroso una decisa posizione in nostro favore.

443 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 345.

Quando poi nel corso di una successiva colazione, l'autorevolissimo ministro Mikoyan, e lo stesso Zorin, tirarono in ballo di nuovo la questione delle navi mettendola in diretto rapporto con le trattative in corso per le riparazioni e per gli scambi, ogni dubbio parve dissipato; tanto più che in quel momento stesso il ministro Mikoyan, nel fare un breve elenco di benemerenze sovietiche nei nostri riguardi, toccò pure di sfuggita la difesa del nostro punto di vista sulle colonie; che fino a quel momento sembrava ferma.

Vi fu dunque un mutamento successivo? Oppure tutto era già predisposto, ed i sovietici erano decisi ad abbandonare l'appoggio fino allora datoci facendoci pagare il ritardo nella consegna delle navi, nonché la nostra generale linea politica, sia sul piano coloniale, sia sul piano delle riparazioni e degli scambi? E per ciò che riguarda le colonie, hanno i sovietici posto semplicemente una alternativa, riservandosi ancora di ritornare sul progetto precedente a seconda del corso delle trattative e dei loro rapporti con noi, oppure hanno definitivamente abbandonato la vecchia tesi per la nuova, rinunciando alla speranza di avere nell'Italia un trustee più o meno degno di fiducia?

Nessuna luce si può ricavare a questo riguardo dalla stampa sovietica: la quale si è occupata per due giorni ampiamente del Consiglio delle quattro potenze di Parigi ed ha anche pubblicato un commento del corrispondente della Pravda (Zhukov) sui suoi risultati, ma nulla ha detto per spiegare i veri motivi e la portata della proposta di Vyshinsky nei nostri riguardi. Il commento di Zhukov non ha toccato per nulla il merito della nuova proposta sovietica, limitandosi a polemizzare con le tre potenze, ed a smascherare i loro tentativi di dilazionare la soluzione del problema delle colonie, avendo l 'aria di rigettare esclusivamente sugli Stati occidentali la responsabilità del cambiamento sovietico. Quanto ai resoconti, essi hanno riportato le due giustificazioni che Vyshinsky ha dato al suo voltafaccia: da un lato il disaccordo delle altre tre potenze sulla precedente proposta a nostro favore (responsabilità dei paesi capitalisti), dall'altro il fatto che il Governo italiano eludeva l'adempimento del trattato di pace (responsabilità dell'Italia). Queste sono le ragioni ufficiali.

Se è chiaro da un lato che gli inglesi e gli americani non ci sono stati affatto amici, è pure chiaro dall'altro che Vyshinsky ha mutato posizione, non certo perché non riusciva a far passare il nostro trusteeship. D'altra parte non è facile vedere quale vantaggio pratico si riprometta l'Unione Sovietica dalla proposta nuova. Essa sa perfettamente che il suo tentativo di partecipare alla tutela attraverso la formula suggerita sarà implacabilmente avversato dagli Stati Uniti, dali 'Inghilterra e da tutti gli altri Stati più o meno legati al blocco occidentale. Se il trusteeship italiano era difficilissimo a sostenere, quello collettivo è impossibile. Non è nemmeno probabile che l'U.R.S.S. pensi di ottenere all'Assemblea, sulla nuova base, un numero di voti maggiori di quelli che avrebbe raccolto con il trusteeship all'Italia: giacché, se potrà eventualmente in tal modo guadagnare i voti dei paesi arabi e di qualche altro Stato orientale, perderà secondo ogni probabilità un numero uguale o maggiore di voti sudamericani.

Indubbiamente la nuova tesi è più conforme ai principi anticolonialisti dell'Unione Sovietica, offre una maggiore piattaforma di propaganda; ma è questo un vantaggio sufficiente per indurre ad adottare una posizione quasi certamente disperata?

Qui hanno influito, evidentemente, il risentimento e la sfiducia verso l'Italia, la sensazione di non potere, attraverso il trusteeship italiano, evitare il predominio militare anglo-americano sulle basi della Libia. Giacché questa è in sostanza la preoccupazione dominante, ripetutamente manifestata in precedenza dai sovietici e ripetuta da Vyshinsky a Parigi.

La ragione per cui l'U.R.S.S. rifiutò di aderire alla scissione del problema, ed all'immediato accordo sul trusteeship all'Italia per la sola Somalia, fu evidentemente quella di non ammettere nemmeno lontanamente la possibilità di una soluzione inglese od araba per la Libia, o quella di una lunga continuazione dello status qua, con gli inglesi a Bengasi e gli americani alla Mellaha.

In funzione di questa preoccupazione si intende come a un certo punto anche la soluzione italiana ha potuto sembrare pericolosa. I sovietici sono persuasi (e su questo punto si ingannano) che gli italiani per ordine angloamericano non consegnano loro le navi previste dal trattato, e così domani per ordine angloamericano lasceranno costruire tranquillamente sulle loro ex colonie le basi militari che essi temono. Non è tanto la esistenza e la tendenza politica in genere del Governo De Gasperi che li rende diffidenti (benché anche questo, naturalmente, abbia il suo notevole peso) quanto la concreta dimostrazione di atteggiamento di politica estera in contrasto con quello che essi ritengono il loro indiscutibile diritto, atteggiamento eh' essi attribuiscono alle direttive americane. Di fronte a questo, la speranza di avere nell'Italia un trustee debole, facilmente controllabile, incapace sia di consolidarsi imperialisticamente nei territorii della tutela, sia di osare apertamente la loro trasformazione in punti di appoggio strategici antisovietici, si attenua sempre più, e viene meno ogni ragione di sostenere le aspirazioni di un potenziale avversario.

Il gesto sovietico ha dunque, a mio avviso, nei nostri confronti, una importanza che non è facile esagerare, come elemento di valutazione della nostra politica generale nei riguardi dell'Unione Sovietica. Accanto ad esso, parallelo e nello stesso spirito, sta il collegamento che i sovietici hanno voluto porre fra la consegna delle navi e le trattative economiche ora in corso a Mosca. Essi non si illudono certo, io penso, di avere nell'Italia democratica ed anticomunista del Governo De Gasperi una nazione veramente amica, né tantomeno disposta ad atti servili verso di loro, o a venir meno per debolezza ai doveri di lealtà verso le potenze occidentali, che le derivano dal piano Marshall. Si attendono tuttavia semplicemente di ottenere da noi, sullo stretto piano dei rapporti internazionali, un comportamento che non appaia nettamente ostile, e difforme dai trattati in vigore. Non ottenendo questo, essi ne traggono gli atti di pressione e di reazione conseguenti.

L'altro interrogativo, ch'io ho tentato vanamente di chiarire con Zorin nel mio colloquio del 15 settembre (telegramma 321 )3 è se in presenza di tale situazione, la nuova posizione sovietica nei riguardi delle nostre colonie sia da considerarsi o no definitiva. Come ho già comunicato, l'ultima corrispondenza «Tass» da Parigi, del 15 settembre, riassumeva la posizione del Governo sovietico come una posizione

alternativa: o le colonie all'Italia, o il trusteeship collettivo. Può darsi che questa formulazione, riprodotta da tutta la stampa sovietica, sia semplicemente occasionate e giornalistica. Se dovesse invece intendersi come ufficiosa, essa significherebbe che l'Unione Sovietica ha inteso anche esercitare su di noi una pressione, analoga a quella che va esercitando con le trattative economiche di Mosca, per ottenere l'adempimento del trattato di pace circa le navi.

Probabilmente un chiarimento su questo punto si potrebbe ora ottenere; ma evidentemente ogni passo in tale senso va accuratamente studiato, perché un eccessivo interessamento ed una sopravalutazione della posizione sovietica sulle colonie potrebbe in questo momento indebolire, anziché rafforzare, la nostra posizione in un momento senza dubbio delicato.

Occorre che noi valutiamo freddamente fino a che punto, pur rimanendo perfettamente leali verso gli Stati Uniti, noi possiamo e vogliamo condurre con la Unione Sovietica una politica che questa possa considerare, se non amichevole, almeno corretta e non ostile; e dopo questa complessiva valutazione, agire fermamente di conseguenza.

443 3 Ved1 D. 421.

444

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BR OSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1786/431. Mosca, 18 settembre 1948 (per. il 2 7).

Ho letto con grandissimo interesse quanto scrisse il console generale di Zurigo il 30 giugno 1948 (telespresso ministeriale 24776/c.) 1 .

In quel meditato rapporto si affaccia l'ipotesi che i sovietici siano disposti ad accordarsi con gli americani allargando il terreno della discussione oltre i ristretti confini della Germania, per giungere ad una ripartizione di zone di influenza, nella quale ai sovietici spetterebbe libertà di azione in Asia (Corea, Cina, India e forse anche Vicino Oriente) a spese, principalmente, dell'Inghilterra.

L'ipotesi parte da un fatto più o meno stabile, ma per il momento sicuro: ossia, il tempo d'arresto che l'espansione sovietica verso l'Occidente europeo ha subito dali' autunno 194 7 in poi, cui ha corrisposto, quasi per necessità, un rivolgersi della pressione politica sovietica verso l'Oriente (vedi telespresso ministeriale 17877/c. del 7 giugno u.s. 2 e mio rapporto n. 933/208 del 3 maggio 1948 3). L'induzione che si trae da tali fatti non è d'altra parte né isolata né arbitraria, ma corrispondente alla

2 Non pubblicato.

3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 640.

valutazione della situazione fatta da taluni serii diplomatici ed osservatori politici, i quali credono che l'Unione Sovietica non voglia estendere ancora la sua influenza in Europa, ma preferisca invece inchiodarvi l'attenzione e l'interesse degli Stati Uniti, per poter agire più liberamente altrove, ed anche per creare così le basi di un compromesso (vedi mio rapporto sopracitato ). Poiché il Ministero mi invita ad esporre le mie osservazioni, debbo ripetere quanto già ebbi altra volta ad accennare, e cioè che io non sono di tale avviso. Non mi nascondo, naturalmente, l'enorme interesse che l'Unione Sovietica dimostra per l'Estremo Oriente -basterebbe la costante attenzione al problema giapponese a confermarlo ogni giorno -ma non credo che essa sia disposta a sacrificare ad esso le sue posizioni e le sue aspettative in Europa, né che, d'altro lato, gli Stati Uniti abbiano interesse ed intenzione di seguirla su un compromesso di tale natura.

A tale riguardo mi limito ad alcune brevi osservazioni:

l) non bisogna dimenticare che quando il 13 novembre 1940 Ribbentrop propose a Molotov di dividere il mondo in sfere di influenza, lasciando praticamente ai sovietici mano libera in India, in Cina e nel rimanente dell'Asia centrale ed

orientale, Molotov, gli rispose il 26 novembre chiedendogli lo sgombro della Finlandia, il controllo della Bulgaria e degli Stretti, e precisando che il centro della zona di influenza sovietica doveva essere non già il Medio e l 'Estremo Oriente, ma il Vicino Oriente, al sud della linea Batum-Baku fino al Golfo Persico. Tutte quelle trattative sono illuminanti anzitutto sulla mentalità sovietica, aliena dai progetti grandiosi e lontani e amante dei patti immediati e concreti; ma lo sono pure nel senso di svelare l'interesse dominante dell'U.R.S.S. verso il Mediterraneo e verso l'Europa.

Naturalmente, allora i sovietici non pensavano né potevano parlare di Europa occidentale ... né di Germania: ma all'invito di rivolgersi verso l'Oriente «spalla contro spalla» rispondevano mettendosi ben di fronte, e verso l'Europa. In verità, per quel che ho potuto intendere studiando a Mosca le aspirazioni sovietiche, ritengo di poter affermare che la esigenza europea dei russi è fondamentale, e che essi non sono disposti a mercanteggiarla. La loro costante, ombrosa diffidenza verso qualsiasi accenno a un progetto di unione europea deriva soprattutto da questa loro tendenza. Ancora in questi giorni la loro stampa ha rinnovato per l'ennesima volta la vecchia aspra polemica contro simili progetti paneuropei, prendendo lo spunto dalla conferenza parlamentare europea di Interlaken4 . Essi dicono che si tratterebbe soltanto di una Europa americanizzata, controllata dagli Stati Uniti, e in tal modo giustificano la loro opposizione; ma se questo fosse il solo vero motivo, dovrebbero cercar di valorizzare una Europa diversa, di favorire una autentica terza forza europea. Non lo fanno perché in Europa, non solo non ci vogliono gli Stati Uniti, ma ritengono di dover dominare a buon diritto essi soli. Nel campo culturale come nel campo politico, la loro campagna antioccidentale è in fin dei conti espressione della loro convinzione di essere essi soli i legittimi eredi spirituali e politici dell'Europa:

nessuna offesa è più cocente per un russo sovietico, che quella di volerlo considerare come un orientale, o di voler limitare all'Oriente la sua capacità di azione e di dominio. (Dal punto di vista culturale mi riferisco al mio rapporto odierno

n. 1780/426 sul congresso degli intellettuali di Vroslavf Una riprova di tutto ciò si è che le trattative coi sovietici si sono bensì aperte dopo il 30 giugno, ma si sono aperte con le tre potenze e non con gli americani soltanto, e si sono limitate, a quanto risulta, ai problemi di Berlino e della Germania; il che deriva non solo e non tanto dal fatto che i britannici si tengono disperatamente agganciati agli americani, quanto dal fatto che i sovietici non sono così facilmente disposti ad abbandonare l'Europa, nemmeno in presenza di grandiosi progetti di ripartizione del mondo. Che, dunque, vi sia per ora un arresto della espansione sovietica in Europa, sta bene; che i sovietici non siano disposti a rischiare tanto presto una guerra per avere in mano una Europa impoverita ed ostile, d'accordo: ma che essi accettino di sanzionare queste posizioni provvisorie con un accordo a lunga scadenza fondato sul loro volgere le spalle all'Europa, questo non lo credo.

2) Alla ipotesi di cui si discute concorrono a condurre i dubbi, assai ragionevoli, che da più parti ora si sollevano circa il reale interesse dell'Unione Sovietica a realizzare la unità della Germania. Di qui si passa a supporre che tutta la posizione politica impostata con tanta fermezza dai sovietici dalla fine della guerra in poi su tale problema non sia che una immensa manovra diversiva; ma la conclusione mi pare eccessiva. Questo rischio della ricostituita unità della Germania, i sovietici sanno di doverlo correre o un giorno o l'altro, come lo dovranno correre pure gli anglo-franco-americani: essi non ignorano che una Germania unità può facilmente rivolgersi, anzitutto, verso le sue antiche frontiere orientali, e rappresentare un grave pericolo in questo senso. La politica che essi svolgono significa semplicemente che essi preferiscono correre questo rischio subito che più tardi: significa ancora ch'essi hanno, come hanno indubbiamente, una fiducia persino eccessiva nella influenza moderatrice delle idee e delle élites comuniste sulle tendenze revanchiste tedesche; e che essi sperano nella vittoria di queste tendenze in una Germania unita e democratica. Aggiungo ancora che la possibilità di una revisione delle frontiere orientali germano-polacche col consenso sovietico non è affatto da escludere nel caso dell'instaurazione di un Governo germanico amico; questa è, almeno, la mia personale

. .

ImpressiOne.

Queste considerazioni, ed altre che si potrebbero aggiungere, spiegano la linea di condotta sovietica, la quale è un fatto, mentre le considerazioni contrarie hanno il torto di essere costrette a supporre una politica sovietica sulla Germania, del tutto occulta e contraria a quella ufficiale.

Anche qui, non escludo che i sovietici possano transitoriamente accontentarsi di una divisione della Germania, e che appunto per questo insistano tenacemente per avere Berlino a loro piena disposizione; ma anche questo, come il loro segnare il passo di fronte all'Europa, deve considerarsi piuttosto come un ripiego imposto loro dai fatti, e non vi sono ragioni sufficienti per convincere eh' esso possa convertirsi in una base di accordo permanente.

3) D'altro lato, io non credo sia così facile, né tantomeno conveniente per gli Stati Uniti, realizzare un accordo con l'U.R.S.S. a spese dell'Impero britannico (ed anche, in parte, della Francia). Hitler poteva ragionare così e promettere questo, perché nel 1940 partiva ancora dali' ipotesi che l 'Inghilterra fosse ormai battuta e che un giorno o l'altro avrebbe capitolato; ma qui si tratterebbe di vendere la pelle di un orso il quale sarà magari alquanto vecchio e spelacchiato, ma è certo ancora duro e maligno. Certamente i sovietici avrebbero tutto da guadagnare a fomentare un dissidio Stati Uniti-Gran Bretagna; il compiacimento col quale presentano in ogni occasione gli Stati Uniti come eredi ed usurpatori della potenza imperiale britannica esprime questo loro interesse. Ma da questo a spartire un impero non ancora battuto vi è di mezzo una guerra; e vi è di mezzo l'interesse opposto degli Stati Uniti, di presentare in questa eventualità, di fronte alla Unione Sovietica, un blocco compatto di nazioni capitaliste ed occidentali. Ho già avuto occasione di rilevare che una delle grandi novità di questo dopoguerra, ed una delle più gravi ragioni di debolezza dell'Unione Sovietica, sta nel non essere più riuscita, almeno finora, a giocare sui dissensi fra le stesse potenze capitaliste. Prestandosi ad una politica di tipo hitleriano, gli Stati Uniti rinnoverebbero questi dissensi e farebbero in sostanza il gioco dell'Unione Sovietica; ma per fortuna, io ritengo che malgrado le facili analogie che gli avversari dei due blocchi opposti si affrettano a gettarsi addosso ad ogni occasione, come vi è differenza grande fra la politica di Stalin e quella di Hitler, vi è anche maggiore fra quella di Hitler e quella degli Stati Uniti.

4) Quando poi si dovesse scendere al concreto, e mettere sulla carta la divisione delle sfere di influenza su cui si dovrebbe fondare l'accordo, apparirebbero subito ostacoli a mio avviso insormontabili. L'uno deriva dal fatto che, come il consolato generale di Zurigo giustamente osserva, l'Unione Sovietica vorrebbe riservarsi il Vicino Oriente e l 'Iran: il che corrisponde esattamente alla posizione assunta da Molotov di fronte a Ribbentrop. È ben noto che i sovietici difettano di petrolii, [sic!] per loro i rifornimenti del Vicino Oriente sono vitali; ma è altrettanto noto che su questo punto gli angloamericani non faranno mai loro alcuna concessione.

Non più facile si presenta la questione di fronte all'India indipendente; e di fronte a quelle preziosissime riserve di materie prime indispensabili della Indocina, della Birmania e della Malesia, che è interesse non soltanto inglese o francese, ma anche e soprattutto americano di non lasciare a libera disposizione dei sovietici in quei territori. Ciò significherebbe dare loro la possibilità di sviluppare una potenza minacciosa e forse irrefrenabile anche se gli Stati Uniti si riservassero Europa ed Africa.

5) Sarebbe davvero un accordo simile -concluso cioè a spese dei britannici giovevole all'Europa? Trascuro per il momento il fatto, già di per sé abbastanza decisivo, che esso a rigore sarebbe anche effettuato a spese della Francia; cosicché sembrerebbe assai difficile concepire un interesse europeo che si attui con una azione contraria non solo all'Inghilterra, ma anche alla Francia stessa.

A parte ciò, se si intende per vantaggio dell'Europa quello di acquistare una unità conservando una certa autonomia e una possibilità di politica propria di fronte agli Stati Uniti e all'Unione Sovietica, non vedo bene come un accordo russoamericano del tipo ipotizzato potrebbe facilitarla.

A meno che non si pensi alla possibilità di rifare della Germania il centro di forza di questa Europa -il che mi pare fuori della realtà -oggi una Europa autonoma che non poggi anche sull'Inghilterra non mi sembra concepibile. Anzi, è proprio perché l'Inghilterra oscilla e pencola fra interessi imperiali ed esigenze europee, che questo progetto di Europa zoppica e tarda a mettersi in cammino.

Fuori di questa soluzione, una Europa senza l'Inghilterra, o con una Inghilterra indebolita e impoverita, non sarebbe altro che una Europa in funzione americana. Qui i sovieitici hanno ragione; la Francia da sola non ha né la forza né la vitalità per dirigere e sostenere l'Europa: se essa lo vuoi fare indipendentemente dall'Inghilterra, lo può fare solo rinunziando ad ogni speranza di vera autonomia europea. In realtà, un accordo per lasciare mano libera ai sovietici in Oriente avrebbe proprio il significato di consentirla agli Stati Uniti in Europa e in Africa, altrimenti avrebbe scarso senso. Ed allora, naturalmente, di interesse dell'Europa, ossia di vera e propria indipendenza politica dell'Europa, non si potrebbe più parlare.

Certamente le conclusioni che si potrebbero trarre da queste modestissime osservazioni, sarebbero piuttosto negative: negata la possibilità di una divisione del mondo fra i due grandi -che dilazionerebbe per un tempo ragionevolmente lungo il loro conflitto -la sola possibilità di accordo deve avere, secondo me, come base l'Europa, ed anzitutto la Germania. Né i sovietici rinunceranno a giocare le loro carte europee, né gli americani lasceranno loro libertà in Oriente, tanto meno nel Vicino Oriente.

Poiché l'accordo sulla Germania è difficile, per non dire impossibile, ne risulterebbe come unica prospettiva una separazione di fatto della Germania e dell'Europa, un rinforzarsi di ciascuno sulle posizioni attuali, con tentativi di disturbo in quelle altrui. Situazione esplosiva, senza dubbio; ma io non ho mai manifestato un ingenuo ottimismo a lunga scadenza. Sono sempre stato convinto che i sovietici non avrebbero preso in questo momento l'iniziativa di un conflitto, e che il conflitto stesso non era da ritenersi immediato; ma quel che avverrà dopo le elezioni americane, a partire dalla prossima primavera, per ora Dio solo lo sa.

444 1 Vedi D. 171.

444 4 Il Congresso di Interlaken dell'Unione parlamentare europea (l o_ 4 settembre 1948) approvò lo schema di una costituzione federale europea da sottoporre ad un'Assemblea costituente.

445

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ANZILOTTI

TELESPR. SEGRETO 1333 SEGR. POL. Roma, 20 settembre 1948.

Circa il telespreso di codesta ambasciata n. 4561/1918 del 7 settembre 1 debbo osservare che non so di paesi occidentali i cui Governi parlino «di equidistanza politica o militare fra i due blocchi». Certo non l'Italia ove si deve bensì notare

650 una diffusa aspirazione popolare alla neutralità -e come stupirsene dopo tante amare prove passate? -ma ove nessuno (salvo comunisti o cripto-comunisti) pensa un sol momento a posizioni di equidistanza.

Sarà bene che anche nelle conversazioni dei membri di codesta ambasciata si chiarisca costì quanto ingiusta e fallace sarebbe, riferendosi al popolo italiano, una confusione fra il concetto di neutralità (che non è se non una speranza o aspirazione popolare) e quello di equidistanza che è essenzialmente comunista.

445 1 Vedi D. 394.

446

IL CONSULENTE STORICO DELL'UFFICIO STUDI, TOSCANO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Roma, 20 settembre 1948.

L'improvviso e per molti aspetti matteso voltafaccia dell'U.R.S.S. in rapporto al problema delle colonie italiane è oggetto di molte congetture nella ricerca della sua spiegazione. Fra le ipotesi più verosimili e degne della maggiore attenzione, una sembra particolarmente suggestiva e cioè essere questa mossa in rapporto con la decisione di trasferire in Estremo Oriente lo sforzo offensivo contro le potenze occidentali. Una Russia fautrice della restituzione delle colonie italiane difficilmente avrebbe potuto patrocinare un movimento insurrezionale nelle colonie europee in Asia ed in Indonesia. Una requisitoria contro gli imperialisti occidentali sferrata all'Assemblea dell'O.N.U. potrebbe invece segnare l'inizio della nuova offensiva e giustificherebbe la rinuncia ad un'arma locale in favore del solo comunismo italiano. Dell'estensione dell'offensiva di Mosca all'Estremo Oriente non mancano segni premonitori tanto nella stampa sovietica quanto nelle dichiarazioni ufficiali, non ultima quella relativa al ritiro delle truppe russe dalla Corea.

447

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 13464/0134. Washington, 21 settembre 1948 (per. il 7 ottobre).

Il 18 corrente l'«Associated Press» ha diffuso la notizia che il nuovo ambasciatore di Turchia, Feridun Kemal Erkin, aveva fatto ad un corrispondente dell'agenzia stessa delle dichiarazioni sostenendo la necessità della costituzione di altre due unioni regionali in Europa: al nord una unione scandinava ed al sud una unione mediterranea. Queste due unioni avrebbero dovuto poi essere collegate con l 'Unione Occidentale per formare un unico aggruppamento continentale, sul modello già costituito dali 'Unione Panamericana. Erkin aveva infine dichiarato che il Governo turco, pur non essendo stato ancora invitato a partecipare ad alcuna unione regionale, intenderebbe comunque avere il suo posto in una eventuale unione mediterranea.

Sempre secondo l' «Associateci Press» il 20 corrente a richiesta di giornalisti, funzionari del Dipartimento di Stato avrebbero precisato che gli Stati Uniti, mentre favorivano unioni regionali difensive nell'Europa occidentale e nella Scandinavia, erano perplessi circa una analoga iniziativa nel Mediterraneo.

Mentre Washington riteneva infatti auspicabile ed opportuna una unione militare tra la Svezia, la Norvegia e la Danimarca, non vedrebbe la necessità o la possibilità di costituire per il momento un blocco militare nel Mediterraneo. La divergenza di interessi, di risorse ed anche di Governi nella zona del Mediterraneo e del Medio Oriente farebbe sì che un raggruppamento militare di questi paesi costituirebbe piuttosto un peso che non una forza militare e porrebbe gli Stati Uniti in grande imbarazzo dovendosi tra l'altro decidere la inclusione o meno in tale unione di paesi come la Spagna, Israele ed altri. Si considerava pertanto preferibile che, nell'attuale situazione internazionale, venissero eventualmente continuati oltre il 30 giugno 1949 i già decisi aiuti militari degli Stati Uniti alla Grecia ed alla Turchia: tale assistenza militare, insieme ad altre misure, avrebbe dovuto essere sufficiente a stabilizzare le condizioni politiche della zona considerata, almeno fin quando l'Unione Occidentale non potesse allargarsi fino a comprendere oltre l'Italia, anche la Grecia e la Turchia.

Nonostante la consueta forma giornalistica piuttosto colorita, l'intervista dell' ambasciatore di Turchia e la messa a punto attribuita al Dipartimento hanno avuto scarso rilievo su questa stampa. Pur sembrando trattarsi di una delle sorprese pubblicistiche che i giornalisti americani riservano alle personalità appena arrivate agli Stati Uniti, mi è sembrato opportuno chiedere dirette informazioni sulla questione sia al Dipartimento di Stato che al signor Erkin.

Al Dipartimento in sostanza mi sono state confermate, a titolo confidenziale, le notizie riportate dali' «A. P.», con qualche altro particolare su cui mi riservo riferire a parte dopo ulteriori accertamenti 1 .

Da parte sua l'ambasciatore di Turchia mi ha precisato trattarsi non di dichiarazioni ufficiali fatte per istruzioni di Ankara, ma di franche risposte da lui date, a titolo personale, a domande rivoltegli da giornalisti in sede di conferenza stampa. Gli era stato chiesto il suo pensiero circa la possibilità di riorganizzazione pacifica dell'Europa: egli si era quindi riferito alla opportunità di costituzione di unioni regionali difensive in genere ed alla conseguente necessità -a suo modo di vedere -di organizzare anche una unione scandinava ed una unione mediterranea da collegarsi all'Unione Occidentale.

Come noto, egli aveva sempre avuto particolarmente a cuore il problema, sia come segretario generale del ministero degli esteri turco, sia come rappresentante del

suo paese a Roma. Con l'occasione mi ha confidenzialmente informato di colloqui avuti costì, poco prima della partenza, con S.E. il presidente del Consiglio, con V.E. e con il segretario generale2 . Come pure ha accennato ai suoi primi contatti in merito al Dipartimento: i capi della Direzione generale per l'Africa e il Medio Oriente sarebbero stati a sentirlo con molta attenzione, pur evitando di impegnarsi. Mi ha dichiarato che per la costituzione dell'unione mediterranea, da lui auspicata, erano necessarie e sufficienti le partecipazioni dell'Italia, Grecia e Turchia. Sempre a tale proposito considerava un auspicio favorevole -pel quale si è molto rallegrato -la felice conclusione dei negoziati tra l'Italia e la Grecia per l'imminente patto di amicizia e per gli altri accordi stipulati tra Roma ed Atene, che sgombravano il terreno dei relegati del passato.

Con vivo interesse mi ha infine chiesto se, a differenza della Turchia, fossero state qui già fatte delle aperture all'Italia per la sua partecipazione ad unioni regionali. Ho risposto un po' evasivamente.

447 1 Vedi D. 467.

448

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, VANNI D'ARCHIRAFI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA 4330/950. Madrid, 21 settembre 1948 (per. il 2 3 ottobre).

Questo direttore generale di politica estera signor Erice giorni or sono mi ha convocato per incarico del ministro degli affari esteri Martin Artajo attualmente a San Sebastiano, per dirmi che si rammaricava della mia partenza e che il ministro aveva ritenuto di incaricare Sangroniz di formulare a Roma alcuni apprezzamenti sul mio lavoro. Mi ha anche accennato alla risposta data all'ambasciatore Sangroniz dal capo del Cerimoniale e ne ha preso occasione per aggiungere quanto di seguito ti riferisco:

Qui si era soddisfatti dei sentimenti di amicizia verso la Spagna che in questa contingenza erano stati manifestati tramite l'ambasciatore Taliani; ma ci si rammaricava dei motivi di politica estera che obbligavano il nostro paese a «compassare» la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con la Spagna con l'atteggiamento che avrebbero seguito gli Stati Uniti d'America e l 'Inghilterra. Erice, nel mettermi al corrente di quanto aveva riferito Sangroniz, voleva attirare la mia attenzione su tàtti ed elementi che, a sua avviso, potevano dare al nostro atteggiamento una maggiore libertà di valutazione e decisione conforme a quella assunta recentemente da altri paesi membri della O.N.U.

In via preliminare teneva a mettere in rilievo che il Governo spagnolo, pur dovendo perseguire per la peculiare situazione geografica della penisola iberica una complessa e difficile politica atlantica (evidentemente intendeva alludere alle relazioni con gli Stati Uniti d'America e l'Argentina in rapporto alla utopistica politica della «terza posizione» seguita da quest'ultima), mirava in primo luogo alla collaborazione mediterranea, per la quale l'Italia non aveva minore interesse. Era stato per questo spirito di collaborazione, oltre che per sentimenti di fratellanza e di simpatia per la «abilissima e riuscitissima politica» svolta dali' Italia dopo la pace, che il Governo spagnolo, regolandosi differentemente da come era stato costretto a fare a Washington, Londra e Santiago, aveva evitato di ritirare il suo ambasciatore da Roma ed aveva appoggiato con ogni mezzo il nostro ritorno a Tangeri.

Poiché motivi di politica estera mantenevano il nostro paese in una anormalità di relazioni diplomatiche con la Spagna, egli voleva farmi notare che la deliberazione della O.N.U. del 1947, non ratificando la precedente del 1946 che aveva raccomandato il ritiro dei capi missione, indirizzava gli Stati membri a procedere al loro invio (telespresso di questa ambasciata n. 4129/898 del l o settembre u.s. che spiega la teoria spagnola sull'argomento )1• Gli Stati Uniti avevano bensì dichiarato al Governo spagnolo di non condividere questa interpretazione, ma avevano anche aggiunto di ritenere gli altri paesi liberi di prendere un atteggiamento differente. Era stato appunto in base a tale criterio che diversi Stati sudamericani avevano proceduto alla nomina di capi missione: dopo l'Argentina, la Bolivia, El Salvador, la Repubblica Dominicana e più recentemente il Perù e il Paraguay. Il Brasile ed altri Stati probabilmente avrebbero seguita la stessa strada ed anche le relazioni con i paesi della Lega araba tendevano alla completa normalizzazione di pari passo con un indubbio ed accresciuto prestigio del Governo di Franco presso di essi. La Spagna, in occasione della prossima riunione della O.N.U. a Parigi (ove questa volta si recherà come osservatore il sottosegretario agli affari esteri accompagnanto da alti funzionari) perorerà il punto di visa anzidetto con prospettive di esito favorevole.

Erice, pur non volendo influire sul mio personale giudizio di valutazione e pur esorbitando dalla sua competenza le questioni attinenti alla situazione interna del suo paese, voleva in via amichevole manifestarmi l 'impressione che in Spagna si era alla vigilia di importanti avvenimenti che avrebbero dato un più sicuro indirizzo al paese la cui situazione appariva sempre più solida; il contatto del generale Franco con il conte di Barcellona con la decisione della residenza del figliolo in Spagna per motivi di studio ne costituiva un sintomo importantissimo, e degna di rilievo era la decisione di dar luogo in novembre alle elezioni amministrative. Il regime nel corso degli ultimi anni aveva indubbiamente evoluto e pel futuro occorreva andare cauti nell'attuale clima sociale ed internazionale dell'Europa. D'altra parte, nella prossima Assemblea della O.N.U. a Parigi non potevano venire trascurate importanti correnti favorevoli al Governo di Franco e che potevano sboccare in una decisione favorevole alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche da parte di altri paesi. Poteva

44R 1 Vedi D. 378.

l'Italia giungere in blocco con gli altri? Ed allora il suo gesto non avrebbe avuto alcun valore; mentre, anticipando, i suo interessi mediterranei e di consanguineità potevano forse prevalere in tempo utile.

Ho preso occasione di quanto mi ha detto Erice per rammaricarmi di alcune passate incomprensioni che non avevano certo data l 'impressione di inclinazione di sentimenti verso l'Italia: ho accennato all'atteggiamento sfavorevole della stampa spagnola durante e dopo le nostre elezioni (proprio quando gran parte della stampa italiana caldeggiava l'entrata della Spagna nel piano Marshall) ed alle importanti questioni di marina mercantile che tuttora attendevano di essere risolte. Mi ha risposto che avrebbe parlato col suo collega di politica economica, e credo che lo abbia fatto perché dopo qualche giorno ho trovato quest'ultimo, come ho riferito al ministero in separata sede, propenso ad una discussione generale. L'atteggiamento della stampa è oggi più che soddisfacente: direi anzi favorevole e simpatico.

Considerato lo spunto «personale» preso da Erice ed il carattere confidenziale del colloquio, ho preferito, anziché di fame oggetto di un rapporto, di comunicare a te quanto precede per quel seguito che riterrai più adatto. Con i più recenti rapporti

n. 898, 899, 924 e 941 rispettivamente del 31 agosto, l 0 , 8 e 15 settembre u.s. 2 ho riferito sugli ultimi sviluppi della situazione. Per quanto Erice abbia forse esagerato nei suoi pronostici di consolidamento interno poiché non è ancora detto che i progetti di Franco verso Don Juan possano realizzarsi (ma sembra stia per aver luogo a Vigo un nuovo contatto fra i due), ciò nondimeno qui si ritiene che sulla valutazione alla O.N.U. a Parigi influirà decisamente l'accentuata gravità della situazione internazionale: effettivo elemento che gioca a favore di Franco ed in maniera determinante. Alcuni osservatori stranieri qui ritengono probabile una decisione favorevole o che almeno dia ancora maggiore libertà agli Stati membri della O.N.U., e che molti di questi seguiranno l'atteggiamento di quegli Stati sudamericani che hanno recentemente accreditati dei capi missione; ma pensano anche che in tal caso Stati Uniti ed Inghilterra attenderebbero ancora qualche mese.

Ho presente la nostra dichiarazione ai Governi americano, britannico, sovietico e francese all'indomani della dichiarazione di Potsdam3; ma forse è dell'intervallo di tempo che correrebbe tra la nuova deliberazione della O.N.U. e la decisione degli Stati Uniti d'America e dell'Inghilterra che il nostro Governo potrebbe approfittare, qualora ritenesse di dover normalizzare le relazioni con questo paese. Giungeremmo sempre prima di altri Stati ed i nostri interessi se ne avvantaggerebbero in avvenire, poiché questo regime, per motivi non propri ma esterni, tende più all'evoluzione che al capovolgimento. Gli antifranchisti qui sono molti, ma gli oppositori alla politica attuale pochi per tema di nuovi orrori: gran parte quindi del popolo spagnolo ricorderebbe un atteggiamento dell'Italia più amichevole di quello tenuto da altri Stati.

3 Vedi serie decima, vol. II, D. 393.

447 2 Non sono stati rinvenuti documenti relativi a tali colloqui.

448 2 Per il primo dei rapporti citati vedi D. 378, gli altri non si pubblicano.

449

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, EINAUDI

L. 1115/16838/3452. Parigi, 21 settembre 1948.

Ho tardato a rispondere alla sua lettera del 16 agosto 1 poiché sapevo che ella era fuori di Roma e che desiderava essere lasciato in pace durante il suo periodo di vacanze.

Mi permetta, in primo luogo, di ringraziarla per le espressioni che ella ha avuto per i miei rapporti: e mi permetta anche di dirle quanto sia felice di sentire che la sua idea dei doveri di un ambasciatore sia la stessa che ne ho io e se sono riuscito a dare ali' espressione delle mie idee la chiarezza che desideravo, sono tanto più sensibile al suo complimento in quanto viene da una persona che nei suoi numerosi scritti ha sempre avuto, fra i tanti, il grande pregio della chiarezza.

Mi permetta anche di dirle che il rimprovero che ella fa ai rappresentanti d'Italia all'estero di vedere le cose soprattutto dal punto di vista degli avvenimenti che passano, lo trovo giustissimo: noi ci troviamo in una situazione ambigua: come uomini, molti di noi -e mi permetto di mettere anche me fra quelli -guardiamo al domani; come incaricati di una certa determinata missione, siamo spesso obbligati di guardare all'oggi: e non è sempre facile contenere nei giusti limiti questo sdoppiamento di personalità.

Premesso questo vorrei passare ai due esempi da lei segnalati: l) Blocco occidentale: Su questo punto, se si prende l'insieme dei m1e1 rapporti non mi sembra, onestamente, di meritare il suo rimprovero: temevo anzi di essere rimproverato proprio del contrario: ciò vuoi dire che, nonostante l'apparente chiarezza, non sono riuscito a spiegare completamente il mio pensiero. Sono perfettamente d'accordo con lei su quanto ella dice sul valore del binomio Cavour Mazzini (mi permetta però di aggiungere che purtroppo oggi noi non abbiamo né un Cavour né un Mazzini). Sono ancora più, se possibile, d'accordo con lei circa quello che dice sul ripristino dei confini, le colonie, eccetera, del resto, se lei ricorda, il mio primo rapporto2 sul Patto occidentale era appunto una protesta, molto, forse anche troppo, vibrata sull'impostazione nostra originale: quella cioè di mettere determinate condizioni (riarmo, colonie, confini, eccetera) alla nostra adesione al Patto occidentale. Secondo me, noi dobbiamo decidere se il Patto occidentale è espressione di una politica che corrisponde alla realtà della situazione internazionale, ai nostri interessi ed alle nostre idealità: se sì, allora dobbiamo aderirei senza sminuire la cosa con del Kuhhandel: che poi nel seno di questa organizzazione, e dei suoi sviluppi, alcune nostre questioni di dettaglio, in quanto risultino paradossali di

449 1 Vedi D. 324. 2 Vedi D. 70.

656 fronte ai problemi generali, possano più facilmente trovare una soluzione favorevole che con altri mezzi questa è, per me, una question à còté.

Lei mi potrà osservare che questo è in contraddizione con quanto ho scritto, in qualche occasione, principalmente sul problema delle colonie. È esatto: se la interessa il mio pensiero, le dirò che sono convinto che il periodo coloniale, bene o male che sia stato, è finito: che noi riavendo le colonie ci mettiamo sul collo dei grattacapi, delle spese, delle complicazioni di cui non abbiamo forse idea: di più e peggio, sacrifichiamo ad una piccola soddisfazione di prestigio delle possibilità maggiori e più interessanti di politica a largo raggio presso tutti i popoli coloniali o ex. Questa è, e resta la mia idea; e l 'ho anche messa per iscritto in forma non equivoca. Però quando il Governo italiano, in tutti i suoi esponenti, insiste drammaticamente per riavere, almeno in parte, le sue colonie, e mi mette in giuoco perché anche io contribuisca a riaverle, allora, sul piano tecnico, io debbo dire quella che è la realtà: richiedere le colonie per la difesa della democrazia in Italia, per risolvere il nostro problema demografico, in nome della buona e saggia amministrazione che ne abbiamo fatta, sono tutti argomenti, magari veri, ma che non interessano nessuno. Le nostre colonie, salvo la Somalia, sono degli importanti anelli nella catena strategica anglo-americana, di difesa e di offesa verso la Russia: non ce le lasceranno mai se non saranno sicuri che noi siamo sicuramente inquadrati nel loro sistema politico e militare, se non avranno la sicurezza che in mano nostra esse sono a loro disposizione come se fossero in mano loro: e che fino a che noi continueremo a parlare e a pensare di neutralità, potremo spendere fiumi di eloquenza, fare prodigi di abilità diplomatica, ma le colonie non le riavremo. Se si vuole il fine, bisogna volere anche 1 mezzi.

Tornando al Patto occidentale, ella sa che io sono convinto che noi ci dobbiamo entrare, ed entrare al più presto senza riserve mentali, senza condizioni: vorrei spiegarle perché sono arrivato a questa conclusione.

La guerra fra gli Stati Uniti e la Russia è inevitabile: sono due paesi giovani, impetuosi, barbari; tutti e due vogliono tutto: sono tutti e due convinti che di diritto spetta a ognuno di loro il leadership del mondo. Non ci sono che due alternative: o uno dei due accetta il leadership dell'altro -il che non è probabile -, oppure they will have to figth it out.

La guerra non è imminente: nessuno dei due è pronto né militarmente né politicamente: la Russia ha bisogno di venti anni per essere pronta, l'America di quattro o cinque.

In una guerra fra Russia ed America, ossia fra due potenze a dimensioni continentali, la bomba atomica non è decisiva, come non è stato decisivo in questa guerra il bombardamento aereo. Essa costituisce un concentrato della tattica del sofiening l'avversario, in modo da facilitare e rendere meno cruenta la conquista militare: quindi la prossima guerra durerà non pochi giorni come qualcuno pensa, ma parecchi anni. Russi e americani non avendo frontiere comuni, per affrontarsi debbono passare attraverso altri Stati, in primo luogo, attraverso l'Europa. La speranza di deviare il campo di battaglia verso l'Estremo Oriente è una illusione: gli americani sanno benissimo che una guerra di questo genere non la si vince operando su campi periferici: la si vince colpendo l'avversario al cuore: l'esempio che essi hanno in mente è la campagna americana contro il Giappone.

Il pensiero militare americano è che per vincere la Russia ci vuole un'offensiva terrestre combinata, su due grandi linee: una partente dali 'Europa, secondo le direttive classiche, ed una seconda che partendo dalla Tunisia e dall'Iran occupi i pozzi petroliferi dei due Caucasi e tagli la linea del Volga: tutto il resto (Giappone, Corea e Cina) sono piazze d'armi secondarie destinate solo a distrarre le forze dell'avversario.

Il piano Truman per la Grecia e la Turchia, il piano Marshall per l'Europa occidentale sono la conseguenza logica di questa idea maestra: tutte e due tendono, in forme e per stadi diversi a consolidare le due basi di partenza europea e medioorientale, in modo che possano servire di base d'operazione, militare, industriale, economica. La Russia dal canto suo cerca di organizzare la sua zona europea, glacis difensivo, in modo da fame anche essa la sua base di operazione, e di renderla impermeabile ad ogni penetrazione ideologica da parte americana, il cui risultato pratico sarebbe di spostare verso Est le basi americane di attacco: contemporanemente, manovrando, attualmente ancora, per linee interne, cerca, convertendo al comunismo questo o quel paese dell'Europa occidentale, di spostare verso Occidente il suo glacis difensivo-offensivo. Di rimando e per le stesse ragioni I' America cerca, con ogni mezzo, di consolidare i Governi non comunisti dell'Europa occidentale e di eliminare da essi la quinta colonna russa.

Tutto questo processo è già in atto: noi, e non solo noi, stiamo parlando di pace e non ci accorgiamo che la guerra è già in atto: la si chiama guerra fredda: ma per essere fredda essa non è meno guerra. Noi parliamo di neutralità e non ci accorgiamo che le nostre elezioni, l'importanza internazionale delle nostre elezioni, sono state già un atto di intervento in questa guerra. Forse non ci abbiamo pensato, non ce ne siamo resi conto; ma questo non toglie che sia così.

Data questa situazione è possibile che, ad un certo momento, la Russia, approfittando di una situazione militarmente a lei favorevole cerchi di togliere ali' America una sua base di partenza, l 'Europa occidentale, con un attacco di sorpresa. Oggi, gli americani essendo ancora al principio del loro programma di riarmo e l'Europa occidentale essendo praticamente disarmata, i russi potrebbero, in poche settimane, arrivare fino a Lisbona. Lo faranno, non Io faranno, questo è puramente guess work: resta il fatto che si tratta di una possibilità che, realisticamente, non si può escludere.

Se questo si dovesse realizzare oggi, gli americani sanno di non potere essere in grado di fare niente: contano quindi di limitarsi alla difesa di quello che è possibile difendere, data la loro schiacciante superiorità aeronavale: le isole britanniche, le isole italiane e la Corsica, il Nord Africa per potere, da lì, dopo il necessario so.ftening anche atomico, passare alla riconquista del continente europeo e proseguire le operazioni contro la Russia. Ma pur questa essendo la situazione di oggi, gli americani non intendono che essa continui a restare così in eterno: ed essi stanno studiando come, nella misura del riarmo americano, della riorganizzazione economica, politica e militare dell'Europa occidentale si possa gradatamente restringere l'area che, fatalmente, deve, in un primo tempo, essere abbandonata ai russi. Essi hanno in vista, per questo, prima le regioni geograficamente più facilmente difendibili, come Spagna, Italia al disotto della linea gotica, per arrivare gradatamente, nello spazio di qualche anno, a potere organizzare la difesa -o eventualmente l'offesa sull'attuale linea di demarcazione fra i due mondi: la linea Stettino-Trieste.

È in questo quadro generale che va considerata tutta la politica americana: è in questo quadro che vanno considerate ed esaminate tutte le loro iniziative, fra cui il piano Marshall e il Patto occidentale.

Il piano Marshall d'assistenza alla Grecia e alla Turchia non avrebbe un senso se gli americani continuassero a prevedere l'evacuazione necessaria dell'Europa di fronte ad un attacco russo. Ne ha solo in quanto primo stadio di un processo di arrestamento: di cui il Patto occidentale è il secondo stadio, logico ed irreparabile del primo, come egualmente logici ed irreparabili sono gli stadi successivi. Noi, accettando il piano Marshall-non potevamo non accettarlo-abbiamo implicitamente accettato tutto il resto, ed è illusorio il pensare di potersi fermare. Non ci abbiamo pensato, è possibile: per me ho la coscienza a posto di averlo segnalato al Governo italiano, e senza equivoci fin dal primo giorno.

Esaminando la situazione sotto questo punto di vista d'assieme è facile venire alla conclusione che: l) una politica italiana di neutralità non è materialmente possibile e non ha senso;

2) che egualmente non hanno senso le speculazioni che si fanno purtroppo di molto in Italia sul fatto che l'Italia sia o non nella zona di interessi strategici americani. L'Italia è nella zona di interesse strategico americano, per la sua posizione geografica, come parte organica necessaria del sistema americano sia difensivo (con speciale riguardo alla difesa dei petroli del Medio Oriente) sia offensivo (la possibilità di arrivare rapidamente al cuore della Russia). Può evidentemente porsi la questione se, ad un certo determinato momento di inizio delle ostilità, gli americani, in seguito ad una battaglia perduta, debbano evacuare tutta o parte dell'Italia: questo è possibile: ma che ci sia un piano strategico americano prestabilito di abbandono dell'Italia, perché non interessante, questo è nonsense: se non è peggio.

Ne consegue che, a mano a mano che il pensiero politico e militare americano passerà alla fase esecutiva, e ciò avverrà nella misura del riarmo americano, l'Italia perderà la possibilità pratica che essa crede di avere di scegliere la sua politica. Oggi noi possiamo illuderci di fare la nostra politica di neutralità, senza maggiori conseguenze che alcune manifestazioni, già aperte e sensibili, di malcontento americano, che portano su punti di dettaglio: ma già son chiari gli accenni fatti a noi di una prossima futura discriminazione, in seno al piano Marshall, fra paesi che collaborano colla politica americana, intesa in senso totalitario e qundi anche politico e militare e quelli che non collaborano, discriminazione che arriverà fino alla sospensione totale degli aiuti. La terza fase, molto meno lontana di quello che si potrebbe credere, sarà quella dell'intervento diretto nella politica interna italiana, tendente ad eliminare persone e partiti che verranno ritenuti responsabili delle esitazioni italiane, e loro sostituzione con persone e partiti più ragionevoli.

Lei mi dirà che faccio un quadro troppo poco ideale della grande democrazia americana: è vero, questo non corrisponde alle nostre illusioni: eppure mi creda, è così. Non creda che io sia arrivato a queste conclusioni alla leggera. Sono il frutto di quattro anni di osservazione e di studio della politica americana e russa fatto in Russia, negli Stati Uniti, in Francia ed in Italia. Sono sicuro di quello che dico: sono sicuro che non sono io a sbagliarmi, ma quelli che della politica americana vedono solo le belle e grandi parole iscritte nella costituzione, e pronunciate nei discorsi fatti ad uso del grande pubblico.

Questo per quello che riguarda l 'impossibilità di fare una politica differente da quella che vogliono, per noi, gli americani: a meno di volerla prevenire gettandosi, al cento per cento nelle braccia della Russia, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Ed ora, dal piano della dura realtà, della necessità, passiamo ad un piano un po' supenore.

La lotta fra Russia ed America è, come tutte le lotte, lotta di imperialismi, di interessi, ma anche lotta di ideologie, in quanto essi rappresentano due concezioni della vita opposte: quanto l 'uso che si fa di queste ideologie in [modo] onesto o cinico è difficile a determinare: non credo nemmeno i dirigenti della lotta abbiano mai fatto un onesto esame di coscienza. Gli Stati Uniti rappresentano il concetto occidentale che, con tutti i suoi difetti, è pur sembre basato su di un certo rispetto dei valori umani; la Russia rappresenta il totalitarismo comunista, che sotto il manto di ideali in sé bellissimi, nasconde uno spietato regime di conformismo poliziesco: dalla vittoria dell'uno o dell'altro, e nella misura di questa vittoria, dipenderà quale delle due forme di vita potrà prevalere in una determinata regione. Dato questo, per chi ha realmente delle idee, degli ideali, la neutralità è impossibile. Nell'Italia del Sei o Settecento si poteva essere relativamente indifferenti al trionfo di Spagna, Austria o Francia poiché, sostanzialmente, esse rappresentavano lo stesso ideale di vita: erano in giuoco solo interessi dinastici contrastanti di principi. Ma non si sarebbe potuto restare indifferenti se si fosse trattato di scegliere, mettiamo, fra la Spagna e la Turchia, poiché il trionfo del turco avrebbe significato cambiare radicalmente tutta la nostra assiette di vita. Oggi, l'Europa occidentale in quanto espressione di una determinata civiltà, si trova di nuovo di fronte al turco, e il turco è la Russia di Stalin. Noi abbiamo provato quali sono state le conseguenze del nostro indifferentismo di fronte al fascismo. Vogliamo ancora provare le conseguenze di un altro indifferentismo?

Questo in Italia in un certo senso lo si è capito al momento delle elezioni: ma quello che mi sembra non si sia capito è che la vittoria alle elezioni, grande cosa nel campo italiano contingente, in sé non è stata che una piccolissima cosa. Cioè che, per noi, il potere continuare a vivere nell'atmosfera della civiltà occidentale, dipende solo in minima parte dai risultati positivi o negativi che potrà raccogliere la politica interna italiana, dipende invece sostanzialmente dal fatto se si riuscirà ad impedire che l'esercito del nuovo turco entri in Italia e vi si stabilisca in modo definitivo. Da questa premessa mi sembra ne scaturiscano alcune conseguenze:

l) è assurdo pensare che la nostra, molto presunta, abilità diplomatica possa riuscire a salvare dal collasso la sola Italia quando tutto il resto dell'Europa deve essere travolto: in parole povere che i russi ci lascino in pace perché saremo stati carini con loro;

2) è assurdo pensare che noi possiamo difenderci, soli, dai russi. Che questa seconda verità sia riconosciuta, lo prova il fatto che il Governo italiano sta, e da un pezzo, cercando di farsi riarmare dagli americani. Ma su questo punto la volontà americana è chiara: l'America non garantisce, non appoggia, non riarma Stati isolati, ma solo un complesso di Stati i quali abbiano

deciso, e mostrato con i fatti, di mettere insieme e coordinare le loro risorse per difendersi. Abbiano, cioè, sul piano politico e militare la stessa evoluzione del pensiero americano che si è avuta sul piano economico: prima hanno dato aiuti individuali, poi hanno detto basta, non aiutiamo che un complesso di Stati e a condizione che essi mettano insieme le loro risorse e si decidano anche ad aiutarsi fra loro.

Mi si può obbiettare: la Turchia e la Grecia sono stati aiutati singolarmente: è esatto: ma si trattava di due avamposti, sottoposti ad un pericolo urgente ed immediato: non si aveva quindi il tempo materiale di mettere su un sistema complesso. In secondo luogo gli americani si sono accorti che aiutare Grecia e Turchia non bastava, che ogni posizione che si vuole difendere domanda indirettamente la difesa di un'altra: hanno quindi preferito adottare un sistema globale. È stata, se vuole una tappa, oggi superata, dall'evoluzione del pensiero americano. La richiesta di aiuti individuali è manifestazione di nazionalismo, di egoismo, di separatismo se si vuole: gli americani vogliono invece uno spirito collettivo: siccome non c'è, altro che a parole, così approfittano della loro situazione di predominio per imporlo, ritenendo, onestamente, di agire per il nostro bene.

Conclusione: ogni italiano che realmente crede ai valori della civiltà occidentale, si deve rendere conto che se vuole mantenerli, deve essere pronto a difenderli colle armi alla mano; dato che questa difesa non è possibile sul solo piano nazionale, che la stessa Europa occidentale, unita a questo scopo, non basta, ci vuole quindi anche l'aiuto americano: così la difesa dei valori della civiltà occidentale la si può fare realmente solo diventando parte integrante e attiva del Patto occidentale, esso stesso strettamente legato all'America. Alla battaglia di Lepanto, accanto alle grandi flotte di Spagna e Venezia hanno preso parte, e contribuito alla vittoria, anche i picoli contingenti dei piccoli Stati d'Italia. Lo stesso è necessario oggi, se si vuole vincere la futura battaglia di Lepanto.

Altra conclusione: in Italia, ed in Europa occidentale, ci sono delle persone che credono invece alla civiltà orientale: sono convinte che la loro civiltà orientale potrà vincere solo se vincerà la Russia: ed essendo, a tutt'oggi, più logici, più coerenti, dei fautori della civiltà occidentale, sono decisi a fare tutto il loro possibile per aiutare la vittoria della Russia. Ossia la guerra fredda che si stanno facendo oggi America e Russia, in attesa dell'altra, si concreta, in termini nazionali, in guerra civile fredda anch'essa ma pur sempre guerra. Questo bisogna tenerlo presente, in politica interna come in politica estera: è illusorio sperare di potere addomesticare i fautori della civiltà orientale con i pannolini caldi: non ci sono che due alternative: o sottomettersi

o combattere. Lei mi dirà, ma questo è polarizzazione agli estremi: è esatto: ma non ci dimentichiamo che la guerra è già in atto e che quando si è in guerra non c'è più posto per i mezzi termini.

Passo infine all'ultimo punto. Ella è fautore convinto ed entusiasta dell'idea della Federazione europea, magari dell'Europa occidentale per oggi, in attesa di poterla estendere a tutta l'Europa. Tengo a dirle, perché non ci siano equivoci, che lo sono anche io. Se ho ben compreso il suo pensiero, ella pensa che l'Italia potrebbe rialzarsi, ridiventare in certo senso grande, non come potenza militare, ma come antesignana dell'idea europea: vorrebbe in altre parole che il Mazzini, o almeno uno dei Mazzini dell'Europa unita, fosse italiano. Se questo è il suo pensiero, il suo desiderio, le aggiungo è, o meglio sarebbe, anche il mio.

Lei ha detto, molto giustamente, che I 'Italia è stata fatta grande da Cavour e da Mazzini: ossia c'è stata divisione di lavoro. Mazzini ha però potuto fare queiio che ha fatto perché non era uomo di Governo; se fosse stato presidente del Consiglio o ministro degli esteri, o sarebbe stato impicciato nella sua opera di propagandista ideale daiia sua posizione oppure avrebbe fatto fiasco. Questa divisione di lavoro è necessaria oggi come allora: se da noi si pensasse di poter fare ad un tempo il Cavour ed il Mazzini ci si metterebbe in una pericolosa illusione: le persone e l 'Italia: non si arriverà che a fallire su tutti e due i piani.

Secondo: l'Italia, o gli italiani, non possono più pretendere di essere gli antesignani. L'idea l'ha già lanciata Churchill: sarà stato un bene o un male non so: ma il fatto c'è e resta. Si potrà dire, ed a ragione, che qualche italiano lo ha detto prima di lui: ma gli altoparlanti non sono della stessa potenza. Sono reclami sterili, come quelli di certe invenzioni tecniche. È già una tragedia che, per gelosia personale e di partito, Bevin e compagni vogliano fare un'altra federazione che non sia quella di Churchill: che Blum voglia fare anche lui la sua: che Spaak abbia già messa, fin troppo evidentemente, la sua candidatura a prima donna. Comunque resta il fatto: l'idea è stata già lanciata da altri: i posti di prime donne sono già tutti occupati: se noi vogliamo introdurre anche noi in gara di primati non faremmo altro che aumentare la confusione e diminuire le già scarse chanches di vedere realizzata l'idea. Se vogliamo realmente l'Unione Europea lo dobbiamo dimostrare cominciando ad accettare questa funzione di secondo o terzo piano: invece di escogitare piani italiani, rassegnamoci ad accettare quelli degli altri: non sono perfetti, ma nemmeno il nostro Io sarà: potremo avere una funzione pià modesta, ma assai più utile, se ci contenteremo di cercare di mettere d'accordo i piani discordanti e le prime donne rivali.

Questa la funzione del o dei Mazzini italiani dell'Unione Europea. Ma quale la funzione dei Cavour? La funzione dei Cavour è quella di realizzare, intanto, il realizzabile.

All'Unione Europea ci si potrà arrivare per gradi, solo per gradi: prima di tutto territorialmente: oggi la si può fare solo per l 'Europa occidentale: se si sarà fatta l'Unione Occidentale, il giorno in cui la disfatta della Russia sovietica, in guerra fredda o in guerra calda l'avrà portata a ritirarsi dall'Europa che attualmente essa occupa, l'adesione dell'Europa orientale all'Unione generale sarà assai più facile. Ma se si comincia oggi a dire niente Europa occidentale, solo tutta l'Europa, si abbandona il possibile, anche se imperfetto, per l'impossibile: ossia ci si condanna a non far niente. II meglio è nemico del bene.

Ma si deve procedere per gradi, anche nel resto. Non ci nascondiamo che se, a parole, l'idea dell'Unione riscuote i più ampi consensi, in realtà l'idea è matura solo per piccole e ristrette élites. Gli altri non sono maturi: bisognerà portarceli per gradi e solo attraverso la collaborazione.

Poco spante o molto spante (e in questo noi non ci siamo mostrati migliori degli altri) gli americani stanno portando l'Europa ad un minimo di collaborazione nel campo economico: questo l'abbiamo accettato anche se, a tutt'oggi, siamo più che restii ad accettarne, altro che a parole, le implicatians. Ora gli americani cominciano a spingere alla collaborazione sul terreno politico-militare: non è tutto quello che si vorrebbe, ma è pure qualche cosa: ed è realizzabile: perché diciamo di no? Diciamo di no per molti motivi confessati o meno, ma tutti a carattere non cooperativo, ossia antiunione. Quale sarebbe il risultato de li'Unione Occidentale, se estesa anche a noi e agli altri? Che ci sarebbe una politica estera europea invece di una politica estera italiana, francese o altra: che ci sarebbe un esercito europeo invece di una serie di eserciti nazionali. Non sarebbe tutto, ma sarebbe comunque un progresso ed un progresso importante. Se un giorno avremo l'Unione Europea dovremo avere per forza anche una politica estera europea ed un esercito europeo: perché rifiutarlo adesso? Può esser vero che sarebbe meglio cominciare dal Governo europeo e passare poi alla politica estera ed all'esercito: ma se creare un Governo europeo è oggi impossibile, mentre è possibile creare la politica estera e l'esercito europei, perché rifiutarcisi? Non è poi del tutto sicuro che un processo differente dal nostro non possa arrivare allo stesso risultato.

Mi si potrà dire: ci rifiutiamo di farlo perché è diretta contro la Russia: è vero, è diretta contro la Russia: ma è anche vero che l 'unione europea di civiltà occidentale non può esser fatta e non può essere mantenuta oggi che contro la Russia. La Russia non la vuole perché come tutti gli Stati imperialisti non vuole le coalizioni delle sue vittime designate: non la vuole perché con la visione logica e realistica dei fatti che è propria delle sue ideologie, si rende conto che essa sarebbe se non la fine, almeno il rinvio a tempo indeterminato dei suo sogni. Se non si accetta questo, bisognerà quindi adattarsi a fare un 'unione europea di civiltà orientale.

La storia ci dimostra che Stati differenti ed individuali non si sono mai riuniti se non per conquista da parte di uno più forte (il che sarebbe accaduto se Hitler avesse vinta la guerra) oppure di fronte ad un pericolo comune riconosciuto. Al momento attuale abbiamo due ottimi fermenti di unione: la pressione americana ed il comune pericolo russo: creda a me, se non ci fossero questi due elementi, di Unione Europea non se ne parlerebbe nemmeno.

Concludendo, quando io sostengo che dobbiamo entrare nell'Unione Occidentale, lo dico perché la realtà della situazione ce lo impone, l'interesse ce lo consiglia; ma lo dico anche, e mi creda, non meno che per le altre ragioni, perché lo considero un passo e forse uno dei più importanti verso la creazione effettiva di un'Unione Europea. Mi creda quando le dico che il giorno in cui ci fosse un O.E.C.E. che funzioni ed un Patto occidentale che funzioni il passo che resterebbe da fare per realizzare il tutto sarebbe ben breve e ben facile.

Le ho inflitta questa lunga chiacchierata per giustificarmi davanti a lei: per dimostrarle che non agisco, in questo, soltanto per motivi del giorno che passa. Vorrei sperare di averla convinta, se non della giustezza del mio ragionamento, almeno sul valore non del tutto contingente dei miei motivi.

2) Unione doganale con la Francia: Su questo punto non posso che accettare in pieno il suo rimprovero. Non però senza giustificarmi. Il mio consiglio era esclusivamente sul piano tecnico. Ho agito cioé come lei desidera che agiscano gli ambasciatori. Premetto, perché non ci siano equivoci: personalmente all'Unione doganale con la Francia ci credo e la vorrei, considerandola come una tappa, ed un mezzo, verso l'Unione Europea.

Il Governo italiano mi dice: voglio fare l'Unione doganale colla Francia: mi aggiunge, voglio farla presto: tecnicamente io non posso che rispondere: data la situazione francese che non sono in grado di cambiare, se volete farla e farla presto non c'è che una via.

Mi è stato riferito che lei ritiene che l'Unione doganale con la Francia bisognerebbe farla con un atto d'imperio, lasciando poi ai vari interessi di trovare la loro sistemazione nel libero giuoco delle forze economiche. Le potrà interessare di sapere che identica era l'opinione di Paul Reynaud. Assai meno la interesserà invece, considerandola come la scorreria di un diplomatico nel campo dell'economia, di sapere che, teoricamente, sono d'accordo con lei anche io.

Dico teoricamente perché questo atto di imperio chi lo fa? Ho posto francamente la questione al Governo italiano: ve la sentite di imporre l'Unione doganale, con un atto d'imperio, di Governo di fronte al Parlamento, anche contro il parere ed il desiderio dei grandi interessi economici e finanziari? Mi hanno risposto di sì ed io debbo prenderli in parola anche se -mi permetto di dirglielo francamente -non ci credo. Ma siccome per fare l'Unione doganale bisogna essere in due, per quello che concerne la Francia posso, anzi debbo dire che il Governo francese non è in grado di farlo e, a differenza del nostro, è perfettamente cosciente di non poterlo fare. Cosa vuole, qui in Francia, eccezion fatta forse dei comunisti (a loro volta però legati ad uno Stato straniero che questa Unione non vuole appunto perchè sarebbe un passo verso un'Unione europea che esso vuole anche meno), tutti i deputati sono pagati o controllati dai grandi interessi organizzati. Stato di fatto deplorevole, sono il primo a dirlo, ma non posso cambiarlo e comunque non è colpa mia se è così. Quindi per quello che concerne la Francia l'Unione doganale non la si farà se prima i grandi interessi organizzati francesi non si saranno messi d'accordo con i grandi interessi italiani appunto per evitare le conseguenze che lei invece vorrebbe ed io mi augurerei.

L'atto d'imperio, per quello che concerne la Francia lo potrebbe fare de Gaulle: ma la venuta al potere di de Gaulle solleverebbe delle conseguenze di politica interna, di politica estera, che ho segnalate al Governo italiano, ponendo, francamente la questione se è disposto a seguirne le implications. Anche qui mi hanno risposto di sì, e anche qui mi permetto di dubitarne.

E qui mi fermo, e mi sono fermato. Nel caso del Patto occidentale, non ho nessuna intenzione di fermarmi perché ho la ferma coscienza che si tratta di una questione in cui è in giuoco, non qualche interesse secondario, ma l'esistenza stessa del mio paese: per questo non accetto, rassegnato, le istruzioni che mi vengono date, ma continuerò a battagliare in tutti i sensi ed in tutte le direzioni. Nel caso dell'Unione doganale, quando ho detto ben chiaramente al mio Governo le difficoltà, i mezzi per superarle e le possibili implications, posso benissimo )imitarmi ad eseguire, at the bes t of my ability, le mie istruzioni.

Mi scusi per il volume che le ho inflitto: spero ella Io voglia leggere fino m fondo3 .

449 3 Questa lettera veniva trasmessa anche a Sforza con R. 1116/!6839/3453 del 23 settembre.

450

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 10881/139. Roma, 22 settembre 1948, ore 15,30.

A seguito conversazioni con Pipinelis 1 è stata raggiunta intesa di principio sulle seguenti questioni: l) Trattato di amicizia e stabilimento; 2) consegna dell'incrociatore «Eugenio di Savoia»; 3) riparazioni; 4) accordo culturale.

Un comunicato annunciante genericamente intesa su «varie questioni connesse con applicazione trattato di pace» e prossima conclusione trattato amicizia e stabilimento sarà diramato quanto prima.

Seguono per corriere maggiori dettagli e testi concordati.

451

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 12786/329. Mosca, 22 settembre 1948, ore 14,05 (per. ore 16,50).

Ringrazio la sua lettera 3/1 O18 del 15 corrente1 e val endomi cortese invito esprimo mio pensiero telegraficamente perché mia lettera giungerebbe verso metà ottobre.

Suo ragionamento è logicamente ineccepibile come credo sia logico quello da me esposto in lettera a ministro in data 18 corrente2 che ella certamente conosce. La differenza deriva unicamente dai punti di partenza che corrispondono a due diverse valutazioni politiche. O si ritiene infatti che la posizione politica con sovietici sia già inesorabilmente definita e non possa più essere influenzata da nostri atteggiamenti su navi e simili e allora non resta che tentare la via da lei definita tecnica salvo precisame modalità: o invece come io penso e ritengo desumere da telespresso 1284/c3 , quella posizione politica è ancora entro certi limiti fluttuante e influenzabile e allora il mio punto di vista panni degno considerazione. Al riguardo non posso che riferirmi a lettera citata.

2 Non rinvenuta, ma vedi D. 427.

3 Vedi D. 375.

Partendo poi da sua stessa premessa resterebbe sempre da valutare possibilità concreta ottenere accordo che includa riparazioni e navi risolvendo entrambi problemi a nostro vantaggio. Al riguardo sembrami che, oltre ad essere praticamente irraggiungibile, per insuperabile opposizione sovietica tale accordo avrebbe ancora una portata essenzialmente politica.

In tale caso la soluzione più logica e realmente tecnica (nei limiti in cui tecnica e politica sono scindibili) mi parrebbe quella di scartare per ora entrambe questioni riparazioni e navi, i cui riflessi politici sono evidenti, per limitarsi ai puri scambi commerciali e trattato commercio.

Non escludo in extremis e preclusa ogni altra via possa anche tentarsi questa subordinatissima ma la vedo quasi disperata soprattutto perché contrastante con abbinamento tali questioni con riparazioni che fu convenuto a Roma come base partenza nostra delegazione4 .

450 1 Vedi D. 440.

451 1 Vedi D. 424.

452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. S.N.D. l 0895/c. 1 . Roma, 23 settembre 1948, ore 15.

Questione colonie, in seguito mancato accordo fra i Quattro, è stata rimessa all'Assemblea O.N.U. che dovrà adottare sue decisioni con maggioranza due terzi.

Decisione che noi patrociniamo è voto favorevole per immediata attribuzione amministrazione Somalia all'Italia per cui Quattro si erano già dichiarati sostanzialmente d'accordo, e reincarico puro e semplice ai Quattro, senza che Assemblea prenda posizione di merito, per un altro periodo tempo, di continuare esaminare questioni altri territori in vista soluzione.

Appare questa soluzione più pratica e favorevole allo stato delle cose e la più suscettibile di raccogliere maggioranza adesioni evitando discussioni che accentuerebbero dissensi allargandone portata e conseguenze.

(Solo per Buenos Aires) Governo argentino potrebbe farsi promotore tale soluzione. (Per tutti gli altri) Pregola interessarsi per ottenere che delegazione codesto paese all'O.N.U. si adoperi in tal senso2 .

2 Gli ambasciatori in Argentina, Cile, Messico e Perù risposero assicurando circa le favorevoli disposizioni dei rispettivi Governi di accreditamento nei confronti della tesi italiana (T. s.n.d. 12945/200 del 25 settembre da Buenos Aires, T. s.n.d. 13460/64 del 6 ottobre da Santiago, T. s.n.d. 13077/36 del 28 settembre da Città del Messico, T. s.n.d. 13120/48 del 29 settembre da Lima).

451 4 Per la risposta vedi D. 466.

452 1 Inviato anche alle rappresentanze a Bruxelles, L'Aja, Lussemburgo, Copenaghen, Osio, Stoccolma e Atene con T. s.n.d. l 0956/c. del 24 settembre.

453

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 12855/191. Vienna, 23 settembre 1948, ore 23,30 (per. ore 8 del 24).

Nel mio telegramma n. 1861 mi sono deliberatamente astenuto dal riferire giudizio, parole e sopratutto intenzioni manifestate, per precisa istruzione in quel momento avutane, da persone responsabili, che evidentemente avevano finito per perdere collettivamente necessaria serenità di giudizi e reazioni.

Se ormai formula più opportuna e diplomatica adottata è che ministro Gruber tiene molto a che convenzione su traffico stradale attraverso Pusteria abbia portata non strettamente localizzata a due tronconi in cui si divide Tirolo e segua linee su cui con altro telegramma odierno riferisco 2 , non posso però neppure completamente tacere che in atmosfera eccitata di cui sopra mi venne detto, tra l'altro, che in presenti condizioni ministro non avrebbe potuto più venire a Roma, quasi condizionando il viaggio ad accettazione richieste avanzate.

Come sopra accennato tale situazione acuta è almeno esteriormente e formalmente superata, e in tal senso me ne è stata data assicurazione, pregandomi discretamente di non drammatizzare quanto accaduto lunedì sera, ciò che del resto avevo già spontaneamente fatto. Situazione pertanto da punto di vista programma visita è seguente:

a) firma convenzione traffico ferroviario tra Tirolo orientale e occidentale, la sola pronta;

b) firma traffico stradale su basi nuovo contro-progetto austriaco, su cm riferisco separatamente, se e in quanto ci si possa accordare su un testo. Fino a ieri avevo avuto adesione Gruber a mettere firma a tali convenzioni;

c) circa accordo su traffico facilitato delle persone tra regioni Alto Adige e Tirolo, pur con qualche costante resistenza, avevo ottenuto vista insufficiente elaborazione tecnica ancora in corso di testo relativo, che ci si limitasse ad impegno definire e firmare accordi;

d) circa traffico privilegiato merci si sarebbe fissato un termine per riunione di una commissione;

e) circa accordo su titoli di studio non è ancora fissato ugualmente un termine ... 3 per mio tramite probabilmente convenuto fame semplice menzione per memoria, senza fissazione termine per definizione.

2 Non pubblicato.

3 Gruppo mancante.

Senonché arrivo di Schwarzenberg con notlZla da lui portata, in seguito a colloqui avuti costì prima della sua partenza, che vi sarebbe da parte nostra una adesione di massima adeguare ultimo controprogetto austriaco sul traffico privilegiato persone di cui a dispaccio V.E. 26161 del 16 corrente4 , ministro Gruber, che ha finito per concludere che questo accordo è forse il più importate di tutti, anche in riferimento a stato d'animo di reazione e netta contrapposizione che si è andata formando in quest'ultimi tempi in misura sempre maggiore in confronto soprattutto atteggiamento in materia concessione visti del nostro ufficio di Innsbruck, è ritornato a idea primitiva di voler assolutamente firmare anche questo accordo.

Mi risulta che Schwarzenberg che sarà costì ritengo martedì si propone di chiedere udienza a presidente Consiglio dei ministri per ottenere adesione a firma anche questo terzo accordo, e pressioni su organi tecnici per definizione testi 5 .

453 1 Del 21 settembre, con il quale Cosmelli aveva riferito circa l'esame da parte austriaca dei progetti per la convenzione del traffico ferroviario e l'accordo per il traffico stradale. Sul secondo accordo, in particolare, Cosmelli, aveva accennato al malumore austriaco per le proposte italiane.

454

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, PRATO, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

L. Roma, 23 settembre 1948.

Giunti qui domenica sera, La Malfa ed io ci siamo subito messi in moto per cercare di giungere in questi giorni a una conclusione sulla nota impostazione da dare alle trattative.

Il punto saliente dei nostri passi si è concretato in una riunione fra Zoppi, La Malfa, Grazzi ed io (Guidotti assente perché preso da altre incombenze).

Nella riunione La Malfa ed io abbiamo chiarito la situazione attuale delle trattative ponendo tre precise alternative. Al seguito della riunione ho redatto io stesso l'appunto per il ministro Sforza 1 , cui le unisco copia per sua molto riservata conoscenza.

In un successivo colloquio fra La Malfa ed il ministro Sforza, sembra che quest'ultimo in linea di principio abbia approvato le nostre idee. La Malfa ha visto anche Pacciardi e Merzagora; da parte mia ho manovrato nell'interno del Ministero sia presso Guidotti sia presso Zoppi sia presso il Gabinetto del ministro, sia con Grazzi per ottenere che il Ministero assuma la sua responsabilità e, se del caso, s'imponga agli altri elementi più o meno irresponsabili (tipo Marina, eccetera).

5 Nel comunicare a Cosmelli il contenuto di tale colloquio (T. 11229/205 del ]0 ottobre) Soardi segnalò in particolare: «Ministro Schwarzenberg è stato ricevuto da presidente Consiglio cui ha sottoposto considerazioni che inducono Governo austriaco sollecitare conclusione noti accordi. Presidente gli ha significato adesione a venuta Roma esperti austriaci per messa a punto convenzione stradale Val Pusteria ai fini firma in occasione viaggio Gruber nonché approfondimento scambio vedute circa convenzione traffico frontiera.». Per la risposta di Sforza vedi D. 459.

La Malfa è partito oggi per New York, al suo ritorno avrà luogo una riunione De Gasperi, Sforza, La Malfa, Pacciardi, Merzagora, Zoppi per tirare le somme.

Stamane è arrivato il suo telegramrna2 a proposito del quale Zoppi voleva scriverle una lunga lettera. Nel timore che tale lettera potesse in questo momento non riuscirle completamente chiara, l'ho pregato di soprassedere di qualche giorno in modo da potergliela portare io quando giungerò costì giovedì prossimo 30 c.m.3 .

ALLEGATO

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 21 settembre 1948.

Nella riunione tenutasi questa mane presieduta da segretario generale si è addivenuti alle seguenti conclusioni che si sottopongono a V.E. Com'è noto le trattative di Mosca hanno per oggetto i seguenti argomenti: -scambi commerciali; -trattato di commercio e navigazione; -riparazioni.

Dai primi contatti avuti presso il Ministero dali' on. La Malfa e dal dott. Prato, giunti a Roma la sera del 19 corrente, risulta che -per quanto riguarda il primo e il secondo argomento -le trattative, nonostante notevoli difficoltà di carattere tecnico, non sembrano presentare tuttavia ai negoziatori italiani ostacoli per se stessi insuperabili.

Il vero punto cruciale delle trattative, da cui in realtà dipende il loro successo, è rappresentato dal terzo argomento: le riparazioni. Qui le due posizioni contrapposte si sono concretate, nel corso di questa prima fase, in due progetti presentati rispettivamente dalla delegazione italiana e da quella sovietica.

Il progetto sovietico, analogo a queJio imposto agli altri paesi debitori di riparazioni verso Mosca, non ammette il principio della priorità e della totalità dei beni italiani in Ungheria, Bulgaria e Romania; valuta le forniture-riparazioni ai prezzi del 1938 (il che vuol dire in pratica raddoppiarne il valore); prevede una vera e propria Commissione sovietica delle riparazioni in Italia con privilegi diplomatici e assai vasti poteri di controllo per tutto quanto riguarda esecuzione e amministrazione delle riparazioni.

Il progetto italiano prevede che i beni nei tre paesi balcanici vengano computati in conto riparazioni nella loro totalità; per quanto riguarda le forniture-riparazioni ammette un sistema che riduce tali forniture alle stesse condizioni di normali forniture industriali con contratti fra Stato sovietico e ditte nonché versamenti per la quota lavoro da parte del Tesoro, mentre esclude vessatori controlli sovietici al di fuori di quelli normalmente previsti per le commesse di fornitura nel quadro degli scambi commerciali.

I due progetti si escludono a vicenda; ma i nostri negoziatori hanno confermato che da parte sovietica è stato posto nettamente il collegamento fra consegna navi da guerra e riparazioni come condizione perché «le attuali trattative di Mosca possano giungere in porto».

3 Vedi D. 466.

A una precisa richiesta fatto loro dal ministro Zoppi, i nostri negoziatori hanno confermato che, ove si prescindesse dal problema della consegna delle navi, è da escludere che i sovietici si smuovano (se non per qualche dettaglio di secondaria importanta) dalla posizione di cui al loro progetto sopra indicato. E poiché tale progetto è per noi assolutamente inaccettabile sia per ragioni tecnico-economiche sia per ragioni politiche, si dovrebbe prevedere in tal caso una rottura di tutta la trattativa, considerando i sovietici strettamente legati i tre argomenti (riparazioni, scambi commerciali e trattato di commercio) che erano stati stabiliti con lo scambio di Note preliminari della primavera scorsa4 .

L'on. La Malfa e il dott. Prato hanno chiarito, a questo proposito, che i tre elementi che a loro sembra siano principalmente affiorati in questo periodo di trattative possono riassumersi:

l) un moderato desiderio sovietico di giungere ad un accordo probabilmente per assicurarsi il complesso di forniture normali (accordo commerciale) e forniture riparazioni; 2) la preoccupazione del Governo sovietico di non fare a noi concessioni maggiori di

quelle fatte agli altri paesi debitori di riparazioni; 3) il preciso intendimento sovietico di vedere eseguito da parte nostra il trattato per quanto riguarda la consegna delle navi da guerra.

Ora la nostra delegazione (come del resto l'ambasciatore Brosio) ha riportato la netta impressione che mentre i sovietici sono senz'altro decisi a rinunciare alle forniture se non ottengono soddisfazione sul terzo punto, invece -ove il problema navi si concludesse in un modo per essi soddisfacente -sarebbero disposti a passare oltre alla preoccupazione di cui al secondo punto pur di giungere ad un compromesso soddisfacente per le due parti.

In relazione a quanto precede sembra non possano presentarsi che le seguenti alternative:

-o ci si mette d'accordo sulla questione «navi» e in tal caso si potrà giungere ad un compromesso per noi accettabile sulle riparazioni (e in conseguenza a un accordo per gli scambi commerciali);

-oppure non si raggiunge un accordo sulle navi e per non rompere noi ci obblighiamo ad accettare al cento per cento (o poco meno) l 'inaccettabile progetto sovietico; cioè in altre parole pagheremmo con uno sfavorevole. accordo riparazioni la non restituzione (per qualche mese) delle navi;

-oppure, ultima alternativa, non ci mettiamo d'accordo coi sovietici sulle navi e nello stesso tempo non accettiamo il progetto sovietico riparazioni; in altre parole rompiamo sulle navi e sulle riparazioni; si giungerebbe così ad una situazione particolarmente tesa e polemica nei nostri rapporti con l'U.R.S.S. e la sfumata realizzazione di correnti reciproche di scambi fra Russia e Italia per circa complessivi annuali 100 miliardi di lire provocherebbe quelle reazioni interne da parte di molti settori dell'opinione pubblica e dell'economia italiana che è facile immaginare.

Per quanto riguarda la prima alternativa ci si chiede: che cosa vuoi dire accordo sulla consegna delle navi? Risponde l'ambasciatore Brosio con la lettera che è stata portata a VE. dall'an. La Malfa5: accordo vuoi dire semplicemente consegna sia pure con formule che possono indorare la pillola. L'ambasciatore Brosio consiglia di far entrare eventualmente nel giuoco una richiesta da parte nostra di un impegno del Governo di Mosca per la nostra ammissione all'O.N.U. La proposta può essere interessante almeno dal punto di vista tattico, come mezzo di pressione per ottenere dai sovietici possibilità migliori di compromesso nel settore riparazioni.

5 Vedi D. 427, nota 3.

L'ambasciatore Brosio ha inoltre autorizzato il dott. Prato di far presente che una proposta da parte nostra di consegnare il primo nucleo di 33 navi richieste dai sovietici contro rinuncia da parte loro del rimanente gruppo di navi potrebbe avere molte probabilità di essere accettata; il che in certo senso potrebbe essere considerato dall'opinione pubblica italiana come un miglioramento sia pure modesto del trattato di pace anche in questo settore. Infine, circa l'ultima alternativa, vi è da chiedersi se «rompere sulle navi» non voglia dire in ultima analisi ritardare solo di qualche mese la consegna e poi, a seguito delle stesse pressioni alleate, essere obbligati a cedere. In tal caso la rottura oggi, mentre ci arrecherebbe (sempre al di fuori di considerazioni politiche che pure sono indubbiamente molto importanti) un gravissimo danno alla nostra industria e alla nostra economia che non sarebbe bilanciato né dalla «non consegna» provvisoria delle navi né dal relativamente modesto risparmio del Tesoro nei prossimi cinque anni (non più di una dozzina di miliardi l'anno)6

453 4 Non pubblicato

454 1 Firmato da Grazzi, vedi Allegato.

454 2 Vedi D. 451.

454 4 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 406, 467, 494 e 512.

455

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, FERRETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4436/908. Varsavia, 23 settembre 1948 (per. il 28).

Rijèrimento: telespresso n. 3/889/c. del l o settembre1•

Non mi è stato possibile, come era mia intenzione, conferire con il m1mstro degli affari esteri nei riguardi della questione delle nostre colonie, perché Modzelewski appena tornato dalle vacanze si è ammalato ed ha fatto solo brevi apparizioni al Ministero. Poi è partito per Parigi per assistere ali 'inaugurazione della sessione dell'O.N.U.

Ho potuto accertare tuttavia che la posizione assunta dalla Polonia, favorevole all'attribuzione all'Italia del mandato su tutte le sue antiche colonie, è fino ad oggi immutata. Mi è stato assicurato inoltre che nessuna comunicazione ufficiale è qui giunta circa un nuovo atteggiamento che sarebbe adottato al riguardo dall'U.R.S.S.

Si ritiene qui che i rappresentanti sovietici all'Assemblea dell'O.N.U. abbiano intenzione di porre nel suo insieme la questione dell'applicazione del trattato di pace con l'Italia e di trattare la questione delle nostre colonie nel quadro generale dei problemi coloniali e del movimento d'indipendenza dei popoli di colore.

454 6 Zoppi annotò in calce: «Concordo per parte mia in linea di massima osservando che nella riunione ho sottolineato la necessità che la carta "navi" sia giocata in modo da ottenere qualche sostanziale e visibile contropartita».

455 1 Non rinvenuto.

456

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 23 settembre 1948.

È venuto a vedermi il ministro del Libano in relazione a quanto ebbi a dirgli giorni fa circa la questione coloniale. Mi ha detto che il suo Governo è d'accordo con la nostra proposta ma desidererebbe sollevare fra gli Stati arabi la questione della Libia per ottenere un atteggiamento favorevole all'Italia anche da parte di essi per la Somalia. È impressione del suo Governo che tale atteggiamento sarebbe tanto più favorevole quanto più noi ci impegnassimo per l'unità della Libia e per darle l'indipendenza entro un periodo da fissarsi d'accordo coi paesi arabi. In altri termini, se il Libano potesse dire agli altri Stati arabi che l'Italia si impegna a difendere il principio dell'unità della Libia e ad accordarsi con essi per l'indipendenza del territorio ad una certa data, il Governo libanese ritiene che si potrebbero bloccare certe tendenze per esempio egiziane a cedere sul principio del! 'unità della Libia e a mantenere un atteggiamento genericamente a noi ostile.

Ho risposto al ministro libanese che apprezzavamo molto le sue disposizioni. Dovevo tuttavia fargli presente che la nostra proposta di aggiornamento di tutte le questioni (esclusa la Somalia) presenta il vantaggio di lasciare tali questioni impregiudicate a favore di tutte le aspirazioni, ciò che ne avrebbe reso più facile l'approvazione da parte della maggioranza; che se invece sollevassimo subito, sia pure nelle coulisses dell'Assemblea anche la questione della Libia nei termini da lui prospettati, rischiavamo di provocare sospetti e reazioni che avrebbero potuto far naufragare la nostra proposta. Ho aggiunto che vedevo con favore la sua idea e che ne avremmo potuto riparlare quando, una volta risolto il problema della Somalia e ottenuto l'aggiornamento per il resto, ciascuno avrebbe ripreso la propria libertà di azione nella difesa dei propri interessi e punti di vista. Intanto egli e i suoi amici arabi potevano tener per acquisito ciò che l'Italia aveva più volte dichiarato in forma anche ufficiale relativamente ali 'unità della Libia e alla nostra volontà di concedere agli arabi l'indipendenza non appena fossero capaci di governarsi da sé.

Il ministro libanese mi ha detto che probabilmente si recherà prossimamente a Parigi dove già si trova, unitamente al presidente del Consiglio libanese, il signor Fuad Ammoun, ministro plenipotenziario e segretario generale per gli affari esteri a Beirut (Hòtel Bristol).

A mia volta gli ho detto che per il tramite della nostra ambasciata la delegazione libanese avrebbe potuto mantenere contatti con S.E. Cerulli e col dott. Castellani.

457

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 3544/401. Pretoria, 2 4 settembre 19481•

Al mio ritorno dal viaggio di servizio nelle Rhodesie e nel Nyassaland, prendo visione del telegramma per corriere n. 9205 del l O agosto2 e del telegramma 3/724/c. dell' 11 agosto di codesto Ministero3 . A queste comunicazioni avevo già implicitamente risposto col mio rapporto n. 2853/327 del 6 agosto3 , col quale trasmettevo il testo dell'esposizione sudafricana al Consiglio dei supplenti dei ministri degli esteri e riferivo a V.E. di aver fatto notare a questo segretario per gli affari esteri come l'esposizione stessa, per quanto concerneva la Libia, non corrispondesse esattamente a quanto era lecito desumere dalle dichiarazioni da lui a me fatte il 26 luglio (mio telegramma per corriere n. 036 di quella data) 4 . Che la discrepanza non fosse accidentale o dovuta ad una mia interpretazione troppo ottimistica, è confermato ora dalle dichiarazioni che il primo ministro ha fatto alla Camera dei deputati il l o settembre e di cui solo un beve cenno è stato trasmesso a V.E. col rapporto n. 3307/369 del1'8 settembre3 . Ritengo utile che V.E. abbia conoscenza del testo stenografico di queste dichiarazioni:

« ... Per quanto riguarda l'Africa a nord del Sahara, fra il Sahara e il Mediterraneo, ebbene, questo è un problema nel quale siamo anche interessati, sebbene sia anche più lontano da noi. Dobbiamo infatti domandarci come saremmo toccati per effetto di qualsiasi cosa accada nel Mediterraneo e di chiunque diventi la potenza suprema nel Mediterraneo. Ciò che accade nel Mediterraneo, e chi sia la potenza suprema in quel mare, tocca la questione di ciò che avviene a Suez e al Mediterraneo, tocca naturalmente noi, perché la sola rotta alternativa fra l'Occidente e l'Oriente corre intorno al Sud Africa. C'è una questione della quale abbiamo dovuto occuparci e questa è la decisione sulle colonie italiane. La pace fu conclusa con l'Italia, ma fu lasciata in sospeso la sorte delle colonie italiane, questione che fu affidata allora alle grandi potenze che in via definitiva dovevano decidere: mi pare, più specialmente, l'America, l'Inghilterra, la Francia e la Russia. Un limite di tempo fu fissato per la decisione. Il Sud Africa veramente non ha voce circa la decisione. Noi possiamo solo agire in qualità consultiva. Siccome le truppe dell'Unione combatterono in Nord Africa abbiamo il diritto di manifestare il nostro punto di vista. Il problema era dunque di decidere quale opinione manifestare a questo riguardo. Una Commissione era stata nominata per visitare le antiche colonie italiane allo scopo di accertare, prima di tutto, poiché ciò sarebbe stato un fattore vitale, quali erano le vedute delle popolazioni di quei paesi, poiché si assume che nessun dominio sarebbe imposto con la forza su quelle popolazioni. Questa Commissione

2 Con il quale Guidotti aveva evidenziato la discrepanza tra l'esposizione sudafricana alla Conferenza dei sostituti in materia di colonie italiane e quanto comunicato da Forsyth a Jannelli sullo stesso argomento.

3 Non rinvenuto.

4 Non pubblicato.

ha lavorato per lungo tempo e solo recentemente ha fatto il suo rapporto, e sulla base di questo rapporto, noi abbiamo reso pubblica la nostra opinione.

Posso dire che vi sono due di questi territori, cioè la Somalia italiana e l'Eritrea, sui quali praticamente non vi è divergenza d'opinione. Tutti gli interessati sono d'avviso che tutte le antiche colonie italiane debbono diventare territori sotto mandato e, riguardo a queste due colonie, è più o meno accettato, generalmente, che il mandato sia nelle mani della stessa Italia, in ragione del fatto che l'Italia, nelle ultime elezioni generali che furono colà tenute, si è schierata, in maniera non equivoca, accanto alle nazioni occidentali, ed anche perché il popolo italiano non continuò a seguire Mussolini e la sua ideologia, ma alla prima occasione favorevole, si dissociò dall'uno e dall'altra, anche prima della fine della guerra.

Ciò per quanto riguarda le due colonie. Per quanto concerne il resto il nostro atteggiamento è stato che la Cirenaica debba essere data alla Gran Bretagna come potenza mandataria. La ragione per cui così decidemmo è che è necessario, particolarmente in vista della prossimità al Mediterraneo di un'altra forte nazione che non aderisce alle stesse nostre ideologie, ciò che, come abbiamo visto in tempi recenti, potrebbe essere un pericolo per noi. È necessario perciò che un'altra forte nazione sia la mandataria sulle coste del Mediterraneo. La parte strategicamente più importante nella regione costiera nord africana è la Cirenaica. Il nostro punto di vista è che questo mandato debba essere dato alla Gran Bretagna. La Commissione nominata per accertare i sentimenti della popolazione, ha trovato che non c'erano forti obiezioni nel caso della Somalia e dell'Eritrea, ma in Cirenaica c'era una forte opposizione al ritorno dell'Italia. Per queste ragioni, abbiano espresso l'opinione che fosse assegnata all'Inghilterra, come mandataria e credo che il sentimento della maggioranza è in questo senso.

Rimangono due altre zone, due parti della Libia, cioè la Tripolitania e il Fezzan. Questo è situato al confine dell'Algeria, territorio francese. Per il momento il Fezzan è occupato dalla Francia. Per quanto riguarda la Tripolitania la Commissione ha trovato che non vi era opposizione, da parte della popolazione, al ritorno dell'Italia. Noi consideriamo che in vista delle rivalità esistenti oggi fra l'Oriente e l'Occidente per accaparrarsi le simpatie dell'Italia e in vista della questione se l'Italia debba rimanere a fianco dei paesi anti-comunisti, consideriamo che contribuirebbe definitivamente a legare l'Italia alle nazioni occidentali se quel territorio che non ha quasi valore strategico, fosse restituito ali 'Italia come mandataria.

Per quanto concerne il Fezzan -ha solo una piccola popolazione, neanche 50 mila si ritenne che dovesse essere annesso ali' Algeria, o piuttosto messo sotto mandato della Francia».

Come V.E. avrà osservato, l'esposizione del primo mm1stro segue esattamente le linee delle dichiarazioni a me fatte dal sig. Forsyth il 26 luglio e da me riferite col telegramma per corriere n. 036, ed è conforme alle disposizioni manifestatemi in diverse conversazioni dal dr. Malan sulle quali avevo precedentemente riferito. Chi legga d'altra parte le osservazioni sudafricane, presentate a Londra il 6 agosto, non può non riportare, come ho fatto notare a questo Dipartimento degli affari esteri, una impressione alquanto diversa relativamente all'appoggio che il Sud Africa è disposto a dare per l'attribuzione all'Italia della Tripolitania.

La discrepanza è facilmente spiegabile in ragione della situazione ancora incerta e delicata di questo Governo che, da una parte desidererebbe, come più volte mi è stato fatto capire in risposta ai miei frequenti passi in materia, accedere al punto di vista italiano, ma sopratutto, per ragioni di politica interna, manifestare la massima indipendenza nei confronti di Londra; e d'altra parte, invece, si trova legato ad un sistema internazionale come quello del Commonwealth a cui lo subordinano imperiose ragioni di politica internazionale, economica ed anche interna di vario e grave genere, che gli impongono una linea di condotta alla quale non può, per quanto lo voglia, sottrarsi.

A questo proposito, sono rivelatrici le parole con le quali il primo ministro ha chiuso le dichiarazioni sul problema delle colonie italiane e attraverso le quali è evidente il suo sforzo, troppo insistente per non apparire una «excusatio non petita», di far apparire il punto di vista sudafricano come assolutamente indipendente da qualsiasi concordato atteggiamento con Londra o tanto meno pressione da parte di questa. Il primo ministro ha infatti concluso: «mi è occorso di constatare che questa attitudine --l'ho espressa così come nostro punto di vista e del tutto indipendentemente sulla base del rapporto della Commissione ~concordava con il punto di vista del signor Attlee. Ciò è stato assolutamente una coincidenza. Indipendentemente l'uno dall'altro abbiamo adottato lo stesso atteggiamento riguardo a questa materia».

In realtà dalle scarse e non sempre precise informazioni fomite qui dalla stampa e da quelle, anche non complete, pervenute finora a questa legazione da parte del superiore Ministero, non sembra che l'opinione espressa dal Regno Unito, in materia, coincida con quella del Sud Africa, almeno per quanto riguarda l'Eritrea e la Tripolitania. Comunque è indubbio che l'atteggiamento del Sud Africa è quello a noi più favorevole fra tutti i membri del Commonvealth britannico, ed ho fiducia che la mia ulteriore azione presso questo Governo possa raggiungere lo scopo di avvicinarlo ancora di più al nostro punto di vista nei futuri sviluppi della questione. Mi sarebbe d'altra parte a tale scopo indispensabile di conoscere se V.E. ritenga che i nostri sforzi debbano ancora puntare sulla preservazione dell'unità geografica e politica della Libia e quindi sulla assegnazione del mandato all'Italia per tutto il territorio della Libia, oppure se si possa concentrare fin d'ora l'attenzione sulla sola Tripolitania.

Per quanto concerne l'azione tattica presso l'Assemblea delle N.U. a Parigi, il sottosegretario per gli affari esteri mi ha ieri assicurato che nessuna istruzione in materia è stata finora data alla delegazione sudafricana la quale è partita da qui già tre settimane fa, quando la questione delle colonie italiane era ancora in fase di discussione da parte dei supplenti. Un nuovo esame da parte di questo Governo e l'invio di istruzioni sono subordinati all'epoca e alla posizione che sarà attribuita al problema nell'agenda dell'Assemblea e dall'ulteriore sviluppo che internazionalmente esso subirà. Sarebbe comunque opportuno che la nostra ambasciata a Parigi e il nostro osservatore presso le N.U. si tenessero in contatto con il signor Louw, primo delegato sudafricano presso l'Assemblea (che è stato anche per qualche tempo ministro del Sud Africa a Roma nel 1933) e con il secondo delegato, signor Water, ambasciatore straordinario at large dell'Unione (vedi mio telespresso n. 2647/316 del 22 luglio scorso )3 . Con questo ultimo, ho avuto una lunga conversazione, prima della sua partenza a Cape Town, alla metà di agosto. Gli ho esposto il nostro punto di vista sulla questione delle colonie sulla quale, egli mi ha detto, si sarebbe attentamente documentato. Mi ha espresso le sue intenzioni più favorevoli. È persona che ha avuto parte importante fino al 1938 nei consessi della Società delle Nazioni; rientra sulla scena diplomatica e internazionale dopo una eclissi di circa dieci anni ed ha ambizioni sociali e politiche. È suscettibile ad ogni cortesia che gli sia eventualmente usata.

457 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

458

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 13465/0135. Washington, 26 settembre 1948 (per. il 7 ottobre).

In amichevole conversazione avuta luogo nei giorni scorsi al Dipartimento, si è venuto tra l'altro a parlare dell'atteggiamento che avrebbero pututo assumere gli Stati arabi qualora l'Assemblea generale dell'O.N.U. venisse chiamata a pronunziarsi sulla questione di Berlino.

L'interlocutore americano mostrava di nutrire fiducia che, qualora gli Stati arabi si trovassero nella effettiva necessità di scegliere tra l 'Oriente e l'Occidente, essi si sarebbero schierati con le potenze occidentali.

A richiesta su quali concreti elementi di basasse tale fiducia, l'interlocutore americano ha accennato al fatto che al Dipartimento erano stati riferiti evidenti segni che i paesi arabi, ed in particolare l'Egitto e l'Arabia Sa udita, nutrivano serie preoccupazioni per il diffondersi delle ideologie comuniste nel Medio Oriente e vedevano pertanto nelle potenze occidentali l 'unica forza capace di contrastarle. In particolare egli ha accennato a consigli di moderazione che sarebbero stati dati da Ibn Saud agli altri dirigenti arabi, invitandoli addirittura a considerare l'opportunità di non ostacolare i piani delle grandi potenze occidentali per la sistemazione del Medio Oriente nel più alto interesse di un fronte comune contro il pericolo rosso. L'interlocutore ha aggiunto di ritenere ancora molto forte l'influenza inglese in Egitto e Iraq, senza parlare della Transgiordania. Alla quale va naturalmente aggiunta l 'influenza che, nonostante tutto, è sempre esercitata da questo Governo e dai dollari americani specialmente sull'Arabia Saudita ma anche sugli altri paesi.

Da parte nostra non si è mancato di osservare come, per i naturali sviluppi dei rapporti tra l'Italia e le altre potenze occidentali fosse essenziale che un atteggiamento favorevole dei paesi arabi in problemi di natura generale non finisse -data la posizione di Londra e Washington nella questione palestinese -per trovare un compenso in un sacrificio delle giuste aspirazioni italiane in Libia. L'interlocutore ha rilevato piuttosto nebulosamente che questo nuovo atteggiamento conciliativo dei paesi arabi -ove si consolidasse -avrebbe pututo rivelarsi utile anche per le nostre vecchie colonie.

Ho appreso poi in altra conversazione che, secondo segnalazioni pervenute al Dipartimento, sembra dall'Egitto, non so bene se Azzam Pascià od altri della Lega araba avrebbero accennato a dimuite ostilità arabe nei confronti di eventuali trusteeships italiani. Analoghe informazioni anche più circostanziate sarebbero state date dalla stessa fonte del Dipartimento ad un collega francese che me le ha ripetute.

Sebbene le informazioni suriassunte possano peccare di molto ottimismo -gli interlocutori sono infatti da tempo convinti sostenitori della tesi favorevole al nostro ritorno in Africa -mi sembra opportuno riferirle a V.E., pur con tutte le riserve del caso per gli eventuali controlli che fossero ritenuti opportuni.

459

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. 110611199. Roma, 27 settembre 1948, ore 23.

Telegrammi di V.S. n. 1901 e 19!2.

Per data visita Roma non è possibile approntare pure progetto traffico facilitato frontiera. Per quanto concerne traffico stradale Pusteria, la possibilità dipende dalla portata delle controproposte austriache che (pure in base alle sue osservazioni), siamo disposti, «nei limiti del possibile», a prendere in favorevole considerazione.

Stante che Kripp può venire a Roma, si potrebbe esplorare possibilità mettersi d'accordo prima della data del viaggio.

Sorprende, tuttavia, posizione presa da Gruber, (anche se successivamente attenuata), di porre cioè come condizione sine qua non al suo viaggio a Roma la firma di almeno due accordi, specialmente se si considera che la visita in questione è stata da lui stesso proposta.

Peraltro non riesco a comprendere l'irritazione del ministro Gruber, allorché in realtà noi avevamo sottoposto sin dal 30 luglio il progetto di transito.

La S.V. è pregata di chiarire tempestivamente costì quanto sopra esposto.

2 Vedi D. 453.

459 1 Del 23 settembre con il quale Cosmelli aveva comunicato il controprogetto austriaco circa il traffico stradale in Pusteria e la richiesta dell'invio a Roma di esperti austriaci per concordare il testo definitivo di tale accordo.

460

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRET0 1 . Roma, 27 settembre 1948.

Come è noto a V. E. il generale Marras, capo di Stato Maggiore dell'Esercito è stato invitato dal generale Clay a visitare il corso di addestramento di Francoforte dove nostri ufficiali e sottufficiali si stanno addestrando nell'impiego delle armi moderne. Il gen. Clay ha inviato un aereo appositamente per prendere il gen. Marras che parte domani.

A conoscenza della visita, il generale francese Konig ha chiesto di avere ospite il generale Marras al suo quartier generale nella zona francese. Al ministro Pacciardi, che non avendo potuto trovare V.E., mi ha chiesto il parere del Ministero degli affari esteri, ho risposto che nulla ostava, anzi era bene accettare l'invito.

Il generale Marras -che già conosce il Clay -mi ha detto di aver saputo che lo Stato Maggiore americano, il quale alcun tempo fa aveva accantonato il problema italiano lo avrebbe ora ripreso in esame, nel quadro degli studi difensivi dell'Occidente europeo. Mi ha chiesto come doveva esprimersi nel caso che il Clay entrasse in argomento. Gli ho esposto come segue il punto di vista che egli può ritenersi autorizzato ad esprimere: l'Italia sta con l'Occidente e il Governo italiano sa che, in caso di conflitto, saremo schierati con l'Occidente. Ma sa anche che la nostra frontiera è la più esposta e la meno difesa e che ciò esercita un notevole freno nell'opinione pubblica all'idea di aderire oggi a patti formali quali quello di Bruxelles al quale tuttavia è bene tener presente che nessuno dei partecipanti ci ha direttamente o indirettamente chiesto di aderire.

La questione, oggi, per il Governo italiano non è tanto di sostanza, quanto di metodo. Se l'Italia entra in una alleanza formale, giustifica in caso di conflitto l'attacco dall'Oriente e se il conflitto fosse a breve scadenza sarebbe quasi totalmente invasa senza che nessuno venga in suo soccorso. Il Governo sa che, anche senza avere aderito ad alcuna alleanza, l 'Italia con 95 probabilità su l 00 sarebbe ugualmente invasa, ma non tutta l'opinione pubblica la pensa così e siccome nella storia, a fatti compiuti, la dimostrazione del contrario non si può fare, il Governo porterebbe la responsabilità di aver deliberatamente esposto il paese ad una invasione senza essersi assicurata la possibilità di una benché minima efficiente difesa. Quindi l'ambasciatore Tarchiani è stato incaricato di sondare gli ambienti responsabili degli Stati Uniti per sapere se, partendo dalle premesse su esposte, sarebbe possibile, in linea di fatto, iniziare delle conversazioni tecnico-militari. Queste conversazioni dovrebbero prendere in esame varie eventualità, corrispondenti a varie fasi dell'organizzazione

difensiva europea. Noi sappiamo che in una prima eventualità, quella cioè di un conflitto prossimo, non molto gli Stati Uniti possono fare per noi così come per gli altri occidentali. Dovremmo quindi studiare insieme cosa conviene a noi e a loro fare: ossia trovare un coordinamento fra i loro ed i nostri piani. Lo stesso dovrebbe farsi per le eventualità e possibilità successive: o per lo meno prevedere successivi aggiornamenti di tali studi.

Il generale Marras mi ha detto che queste indicazioni corrispondono completamente al pensiero dello Stato Maggiore2 .

460 1 Trasmesso con Telespr. segreto del 29 settembre a Londra (n. 1364), Parigi (n. 1365) e Washington (n. 1366).

461

IL SEGRETARIO DELL'UFFICIO DI COORDINAMENTO, DAINELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO SEGRETO. Roma, 2 7 settembre 1948.

Il primo segretario dell'ambasciata degli Stati Uniti, preposto alla direzione della sezione politica di quella rappresentanza, signor Edward Page, si è espresso a più riprese circa la situazione politica interna italiana, come segue:

l) ci si rende conto delle difficoltà, sia sul piano economico, sia sul piano internazionale, frapposte all'opera del presidente del Consiglio da parte di rappresentanti di partiti minori nel Governo;

2) da parte americana si era vista con favore una collaborazione fra Democrazia Cristiana e tali partiti, alla scopo di venire incontro a determinate esigenze di alcuni settori dell'opinione pubblica degli Stati Uniti;

3) l' «American F ederation of Labour» ha fornito aiuti diretti alle suddette correnti politiche italiane; 4) si pensa che sulla decisione di includere tali partiti nel Governo abbia anche influito in parte tale aperta simpatia americana;

5) di fronte alla presa di posizione neutralista di alcune personalità governative italiane, non democristiane, alle loro differenze ideologiche nel campo economico con elementi della Democrazia Cristiana, ci si chiede se non sarebbe opportuno ritirare l'appoggio fino adesso prestato largamente dagli Stati Uniti. D'altra parte emergono anche considerazioni di carattere pratico, per le quali i risultati politici delle suddette correnti non hanno risposto alle aspettative americane, mentre si sono affermate brillantemente le organizzazioni cattoliche, alle quali negli ambienti americani non si era creduto di dare alcun appoggio particolare.

460 2 Per il rapporto di Marras sull'esito di tale viaggio vedi D. 580, Allegato.

462

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1744/690. Istanbul, 27 settembre 1948 (per. il 1° ottobre).

Ho letto l'interessante rapporto del console generale a Zurigo (telespresso

n. 24776 del 27 agosto) 1 . Si afferma in sostanza in quel rapporto-ed è una tesi che affiora spesso nelle discussioni internazionali -che l'Europa non è il principale interesse sovietico, bensì l'Asia e precisamente la Cina, l'India, la Corea e il Medio Oriente, ricchi mercati di materie prime, debolmente difesi da popoli disorganizzati. L'Europa occidentale sarebbe soltanto il falso bersaglio su cui Mosca tiene impegnati gli Stati Uniti, soltanto per avere le mani più libere altrove. Un compromesso fra i due Grandi non potrebbe dunque aver luogo che in Oriente. Ed è soltanto se e quando, e non prima, le aspirazioni sovietiche potranno essere soddisfatte in Asia che saranno poste le sole possibili premesse per una sistemazione dell'Europa Occidentale e della Germania. Una intesa russo-americana su queste basi comporta tuttavia necessariamente che il compromesso abbia luogo a spese di quelle potenze che appunto in Asia hanno prevalenti interessi e cioè dell'Inghilterra e in piccola parte della Francia. La politica attuale si muove del resto attorno a un problema capitale: la liquidazione dell'Impero britannico.

È questa, ripeto, una tesi interessante e svolta con argomenti seri, ma che non mi sentirei di sottoscrivere. Mi par, tutto sommato, più plausibile ritenere che il Governo sovietico persegua ancora una volta quella che fu una costante della politica zarista, la quale si volgeva all'Est quando un ostacolo l'arrestava all'Ovest e ali 'Occidente dopo uno scacco in Oriente. In pratica, quello che mi pare importi è di accertare, non se l'obiettivo numero uno della politica sovietica sia l'Europa o l'Asia, ma, piuttosto, se siamo capaci di creare a Occidente un ostacolo tale che la Russia debba, se crede, rivolgersi, temporaneamente o definitivamente, verso Oriente e !asciarci dunque, temporaneamente o definitivamente, tranquilli. Certo, la sovietizzazione dei Balcani potrebbe ad esempio far presumere che la Russia abbia una spiccata predilezione per l'Europa. Ma è questione controversa. Nulla vieta di pensare che quella sovietizzazione sia piuttosto difensiva che offensiva, una cintura di sicurezza piuttosto che una pista di lancio. Non è cioè possibile dire neanche per approssimazione se le truppe sovietiche siano, in Europa, una avanguardia o una retroguardia. Altri sintomi e indizi potrebbero far supporre il contrario. Tutto lo sviluppo interno sovietico pare, ad esempio, orientato verso la Russia asiatica, attraverso lo sviluppo precipitoso e intensivo della Siberia: sicché potrebbe anche darsi che l'espansionismo russo intenda seguire quella strada, che è del resto allietata, come ognun sa, dal grosso miraggio di ricchezze inesplorate e di

popolazioni, per una serie di ragioni, meno refrattarie al vangelo sovietico che non sieno le europee. Ma resta anche questa una congettura, che potrebbe perfettamente essere smentita dai fatti e sulla quale non pare in ogni caso possibile fondare ragionevoli programmi di avvenire.

Del resto, tutti oramai sappiamo che il comunismo è religione che tende ali 'universalismo: il mondo cioè è la sua arena, né vi sono dunque bersagli e obiettivi il cui conseguimento possa fermarne la marcia, ma, soltanto un ordine che segni cronologicamente le tappe di codesta espansione. E preferisco credere che quest'ordine sia piuttosto realisticamente segnato dalle contingenze, che non preordinato. Sarebbe questa comunque una politica più duttile e più fruttuosa, sopra tutto per chi, come la Russia, la applichi con perseveranza, sebbene in quella forma e modi troppo arroganti e perentori che sono propri degli herrenvolk o di classi ed uomini nuovi al potere e che questo potere accentrano in pochissime mani e sono poi presi dai fumi della vittoria.

Del resto se fosse vero che la sola condizione per rigalvanizzare l'Europa dovesse -per dirla in parole povere -essere quella di gettare nelle fauci sovietiche, dopo il larghissimo e non ancora digerito pasto europeo, un ancora più largo pasto asiatico, io non vedrei esattamente come codesta operazione possa davvero rafforzare l'Occidente, visto ch'essa dovrebbe aver luogo a detrimento di due fra i principali suoi membri, l'Inghilterra e la Francia. Mi parrebbe invece chiaro che se il compromesso russo-americano dovesse concretarsi su queste basi, ci ritroveremo subito dopo di contro una Russia ancora più forte e dunque ancora più aggressiva e più pericolosa anche per l'Occidente. Il problema della nostra salvezza sarebbe, nel migliore dei casi, spostato soltanto di pochi mesi od anni.

Ripeto, a mio modo di vedere, il problema supremo dell'Europa occidentale è quello di rifarsi le ossa nella speranza che, riacquistando peso ed autorità, possa un giorno riescirle di porre dei limiti sia ali 'espansionismo sovietico, sia del resto a quello, di diversa tempra ma espansionismo, nordamericano (penso soprattutto a un'Europa federata appoggiata sull'Africa). E se codesto compito dovesse verificarsi inattuabile -e molti e gravi dubbi sono in proposito leciti -non vi sarebbe probabilmente da attendersi che quella divisione del globo fra i due grandissimi e il conseguente urto a più o meno breve scadenza, che è poi la tesi che il Burham sostiene, con argomenti tutt'altro che trascurabili, nel noto libro che appunto si intitola La lotta per la dominazione del mondo.

Vorrei infine aggiungere che Stalin ha certamente nelle sue mani uno dei più preziosi vantaggi che uomo di Stato abbia avuto. Le potenze occidentali mi pare cioè si applichino quasi esclusivamente a tentare di accertarne le intenzioni e indovinarne i propositi. Invece di porre in piedi una politica costruttiva destinata a sbarrare il passo alla prevalenza sovietica e a riporre l'Europa sulle sue gambe, molto tempo prezioso è perduto a costruire le ipotesi più varie sulla decisione che Stalin vorrà o potrà, forse, adottare. Ed è questa una situazione che è altrettanto fatale agli uomini di Stato in tempo di pace che ai generali in tempo di guerra.

462 1 Vedi D. 171.

463

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. l 034/16994/3906 1 . Parigi, 27 settembre 1948 (per. il 30).

Riferimento: suo telespresso n. 259888 del 15 corrente2 .

Il Governo di Franco il quale non ha possibilità di inviare degli osservatori all'O.N.U., ha tuttavia fatto venire a Parigi il sottosegretario agli esteri conte di Casa Rea! e due o tre fra i suoi più abili diplomatici, come l'ambasciatore a Montevideo Lojendio e il ministro in Copenaghen Santa Cruz, per approfittare dell'opportunità

che offre la presenza a Parigi di così numerose personalità del mondo internazionale, prendere contatti e tener vivi almeno nei corridoi del Palais de Chaillot i diritti di Franco.

Il sottosegretario agli esteri parlando con un mio collaboratore ha tenuto a mostrare il suo più completo ottimismo circa i possibili atteggiamenti dell'Assemblea nei confronti della questione spagnola. Se questa verrà effettivamente discussa, egli ha detto, essa non potrà avere che degli sviluppi favorevoli a Franco; se l'Assemblea del '47 ha segnato già un miglioramento nei confronti del '46, l'attuale Assemblea dovrebbe servire, secondo il conte di Casa Rea!, a migliorare ancor più la posizione internazionale della Spagna. Questa volta in particolare, egli ha detto, possiamo contare su un appoggio sicuro e cordialissimo degli Stati sudamericani e speriamo anche di riscontrare un atteggiamento amichevole da parte degli Stati arabi.

Tra le potenze occidentali quella di cui abbiamo più motivi di temere è l'Inghilterra, per la puntigliosa ostinazione del Governo laburista nei nostri confronti, ha proseguito Casa Real, nulla abbiamo da temere, anzi tutto da sperare, dai Governi americano e francese.

Per conto suo il Quai d'Orsay, con cui questa ambasciata ha avuto occasione di parlare della questione spagnola, ha fatto comprendere che da parte francese si cercheranno tutti i modi per non gravare la mano e che si sarebbe anche favorevoli ad accettare, se è possibile, un miglioramento della situazione internazionale di Franco. Al Quai d 'Orsay si sta considerando come sempre più necessaria una formula che permetta, salvando la faccia, l'inclusione della Spagna nel mondo occidentale, soprattutto tenendo presente, adesso che si sta organizzando la difesa militare dei partecipanti al Patto di Bruxelles, la non trascurabile efficenza del!' esercito spagnolo. Non ci si nasconde tuttavia che l'invenzione di tale formula presenta grosse difficoltà per l 'atteggiamento intransigente dei socialisti francesi che imitano pedissequamente quello dei laburisti britannici.

463 1 Inviato anche all'ambasciata a Madrid. 2 Non pubblicato.

D'altra parte avendo preso personalmente contatto con il ministro degli esteri argentino e con il capo della delegazione cilena, questi mi hanno detto di nutrire nei confronti del possibile atteggimento americano all'Assemblea meno ottimismo che il sottosegretario agli esteri spagnolo. Essi riterrebbero che l'atteggiamento degli Stati Uniti potrebbe essere assai più favorevole dopo le elezioni presidenziali, dato che si ha ragione di credere che i repubblicani siano assai più ben disposti nei confronti di Franco dei democratici. Converrebbe quindi, essi hanno detto, di evitare la discussione della questione spagnola in questa Assemblea rimandandola possibilmente alla prosstma.

464

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1615/580. Osio, 27 settembre 1948 (per. /'8 ottobre).

Ringrazio V.E. di avermi voluto inviare copia del telespresso dell'ambasciata di Mosca n. 373 del 18 agosto, annesso al dispaccio n. 2543 7 le. del 7 settembre

u.s. 1 , in merito alle reazioni della stampa sovietica alla politica estera degli Stati scandinavi.

Contrariamente a ciò che era avvenuto precedentemente, ed in varie occasioni, l'esame della politica scandinava quale riportata dagli ultimi commenti della stampa russa, corrisponde ad una situazione che non è molto lontana dalla realtà. Allorché i giornali di Mosca denunciavano nel passato blocchi scandinavi a scopo bellicista, o congiure antisovietiche da parte dei tre Governi di Stoccolma, Olso e Copenaghen, non facevano che dar corpo ad ombre: sino a pochi mesi fa, questi Governi infatti avevano troppa paura della Russia e troppo poca fiducia nell'aiuto eventuale delle potenze occidentali per poter pensare a mettere semplicemente in discussione un «blocco» fra di loro a scopi offensivi. Se un blocco esisteva allora era un blocco della paura comune, con effetti tutt'altro che positivi sulla collaborazione fra i tre paesi.

Negli ultimi tempi la paura è rimasta inalterata, ma la situazione internazionale pur peggiorando, è andata assumento contorni così definiti da creare in conseguenza un nuovo stato d'animo per cui -in Norvegia specialmente -ci si dice oramai che, visto che in qualsiasi maniera, in caso di guerra, la Russia farebbe un solo boccone di tutta la Scandinavia, val meglio incominciare a pagare fin da ora un certo premio di assicurazione per il futuro.

La situazione può essere riassunta citando il seguente dettaglio della visita di Churchill ad Osio, quale mi è stato riferito giorni fa da questo Ministero degli esteri. Un po' più di un anno fa, subito dopo il discorso di Fulton, il re di Norvegia chiese, come è noto, a Churchill di non effettuare la sua progettata visita qui, poiché essa avrebbe potuto creare imbarazzi al paese da parte dell'U.R.S.S. L'uomo di Stato inglese con il suo caratteristico «humour» rispose al sovrano che prendeva atto del desiderio e terminò la sua lettera con la frase seguente: «Parleremo nuovamente della visita quando la situazione internazionale sarà -fra non molto -o definitivamente migliorata o definitivamente peggiorata».

Come è noto Churchill è stato ad Osio nel maggio scorso, e vi ha avuto accoglienze davvero trionfali, mentre un anno e mezzo fa il re personalmente gli aveva detto che la sua visita non sarebbe stata gradita.

La situazione internazionale peggiorata purtroppo ha così dato ragione alla sua previsione.

Quella stessa situazione internazionale è la principale responsabile dello spostamento scandinavo di cui la stampa sovietica si lamenta, oggi, a ragione, su cui essa esprime apprezzamenti, e di cui preannuncia sviluppi che non sono certo di suo gradimento.

Ciò che non risulta chiaro dal linguaggio di quella stampa, è se l'Unione Sovietica ha realizzata esattamente la estensione dello spostamento ad Occidente delal Norvegia e le conseguenze che esso porta nella politica generale non solo di questo paese, ma di tutta la Scandinavia. Per quanto io possa giudicare di qui, è mia impressione, ad esempio, che da parte russa, pur non facendosi eccessive illusioni, si continua purtuttavia a fare un certo calcolo sul fattore «paura» da una parte, e sul disinteressamento alla politica dall'altra, che è, senza dubbio, caratteristico di questa popolazione. In realtà però, a mio avviso, è proprio il fattore paura quello che ha determinato in principale modo lo spostamento ad Occidente e l'abbandono da parte norvegese della posizione di equilibrio in cui ci si era cercato di barcamenarsi qui nei primi anni dopo la guerra. La paura però non è esattamente quella delle armi russe, non è quella della potenza bellica dell'esercito rosso, è forse anche la paura dell'invasione armata, ma è principalmente la paura di quello che verrebbe dopo e cioè del regime totalitario che le truppe sovietiche porterebbero con loro. Pur di non rinunciare alla propria libertà di stampa e di opinione, pur di non cambiare significato alla parola democrazia, il popolo norvegese è oramai pronto a qualsiasi sacrificio, e lascia carta libera al Governo e alla sua politica occidentale. Io non so quel che sia avvenuto negli altri paesi scandinavi se non attraverso la stampa o i rapporti dei miei colleghi: ma, per quanto riguarda la Norvegia, credo di non essere lontano dal vero affermando che il turning point qui, l'episodio cioè che ha messo il suggello ad ogni esitazione, è stato il colpo di stato cecoslovacco. Dopo quanto è avvenuto a Praga l'opinione pubblica norvegese non ha avuto più dubbi e, costi quel che costi, non recederà dalla sua posizione antirussa che è tale, non esclusivamente per ragioni di politica estera, ma perché coincide con il sentimento anticomunista e antitotalitario a cui ben pochi sfuggono.

Quando si tenga presente un simile stato d'animo, tutto il resto è facilmente spiegabile. La politica della Norvegia potrà attraversare varie fasi; vi potranno essere alti e bassi di carattere esteriore dettati da motivi contingenti ed estranei; la Norvegia potrà aderire più o meno presto al futuro patto dell'Atlantico del Nord e potrà cercare o meno un patto regionale scandinavo, ma ormai è ben chiaro che la Norvegia è decisamente dal lato occidentale del così detto sipario di ferro. Gli attacchi della stampa russa a questo paese, in conseguenza, non potranno che diventare sempre più violenti e sempre più forti.

464 1 Non pubblicati.

465

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AL CAIRO, FRACASSI

L. 1359 SEGR. POL. Roma, 28 settembre 1948.

Mi riferisco al rapporto del 5 settembre u.s. n. 33201 con il quale ella ha riferito sul colloquio avuto con codesto ministro degli esteri a proposito del problema palestinese.

La formula presa in considerazione da Khashaba Pacha per cercare di risolvere il dilemma potrebbe forse presentare qualche interesse pratico se opportunamente adeguato alla realtà dei fatti e se, come credo di intendere, con essa si escluda la possibilità di un assetto basato sul principio federale, che gli ebrei certamente respingerebbero, per ammettere invece l'esistenza di uno Stato d'Israele sia pure con certe limitazioni.

Mi pare però che sarebbe in ogni caso impossibile di indurre gli ebrei ad accettare che una Commissione internazionale si ingerisca in quanto riguarda la rappresentanza estera del loro Stato. Invece, potrebbe essere mantenuta quella che sembra essere l'idea centrale del progetto di Khashaba Pacha, di uno Stato cioè che, sul nascere, accetti di autolimitare alcune sue prerogative, e precisamente nel campo degli armamenti e dell'immigrazione. In altri termini invece di una Commissione cui sia affidato il compito di stabilire le limitazioni, dovrebbe essere lo Stato d'Israele ad incorporare nella propria Costituzione, o ad accettare con uno strumento internazionale, garantito dalle potenze interessate, un impegno di carattere restrittivo in tema di immigrazione e di armamenti e, inoltre, l'internazionalizzazione della città di Gerusalemme. Una formula del genere potrebbe forse incontrare [consenso] ed essere messa allo studio dalle parti interessate.

VS. potrà, a titolo personale, rendere note queste considerazioni al ministro Khashaba riferendomi circa l'eventuale seguito, anche in relazione a quanto le è stato comunicato con il te l espresso n. 25983 del 14 corrente2 .

2 Non rinvenuto. Con T. 13582/213 del 9 ottobre Fracassi comunicava di non poter eseguire le istruzioni poiché il ministro degli esteri egiziano era ancora a Parigi e suggeriva un colloquio QuaroniKhashaba per il quale vedi D. 552.

465 1 Vedi D. 389.

466

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BR OSIO

L. RISERVATA 1344 SEGR. POL. Roma, 2 8 settembre 1948.

Approfitto del ritorno costì di Prato per farle presente qualche mia considerazione, in attesa che -al nuovo passaggio dell'an. La Malfa a Roma -possano essere concretate, in sede superiore, le decisioni da lei sollecitate sulle questioni «navi», «riparazioni», eccetera con la sua lettera al Ministero del 28 corrente 1•

Siamo tutti d'accordo che, ove fosse possibile, la migliore soluzione sarebbe di scartare le questioni «navi» e «riparazioni» e limitarsi alla conclusione di un accordo sugli scambi commerciali. Era l'impostazione da noi data l'inverno scorso, quando ebbero luogo i primi contatti al riguardo con l'ambasciatore Kostylev. Ma il Governo sovietico tenne allora duro sulla connessione tra trattative commerciali e riparazioni, e noi, data la necessità della nostra industria di non lasciar cadere l'importante sbocco rappresentato dal mercato russo, abbiamo dovuto cedere al punto di vista sovietico.

Ma ella dice nel suo telegramma 2 che tale via è da considerarsi disperata, vero e proprio tentativo in extremis nel caso si dovesse prevedere la rottura delle trattative per un irrigidimento sovietico sulla questione «riparazioni».

Si può sperare un abbandono di questo irrigidimento nel corso delle trattative? Dalle sue argomentazioni, confermate da La Malfa e da Prato, sembra si possa avere qualche fondata speranza di vedere i sovietici abbandonare le loro posizioni nel settore «riparazioni» solo se daremo loro soddisfazione nella questione «navi» che essi hanno posto contemporaneamente e poi arbitrariamente collegato alle trattative commerciali. Ne deriva, quindi, per noi quella triplice alternativa di cui all'unito appunto che è stato presentato al conte Sforza da Grazzi3 , a seguito di una riunione ministeriale, alla quale ha preso parte anche l'on. La Malfa.

Ora non vi è dubbio che punto fisso ed indiscutibile delle trattative deve essere per noi il progetto presentato dalla delegazione italiana riparazioni. Ciò posto, mi sembra assai ostico di dover condizionare l'accettazione sovietica del nostro progetto e per conseguenza la possibilità di un buon accordo di scambi commerciali (i due argomenti sembrano purtroppo inscindibili) alla consegna delle navi, sic et simpliciter, ai sovietici. Evidentemente mi rendo conto dell'utilità di ristabilire, soprattutto in questo momento di crisi per l'industria italiana, regolari scambi commerciali con l'Unione Sovietica, e, senza soffermarmi sull'aspetto di politica estera del problema, mi rendo altresì conto dell'opportunità di evitare una reazione da parte della opinione pubblica italiana (industriali e operai) per una rottura delle trattative con conseguente rinuncia alle commesse su cui gli uni e gli altri fanno assegnamento.

Vedi D. 451. 3 Vedi D. 454, Allegato.

D'altra parte, ripeto, non mi sembra che noi dobbiamo seguire semplicemente i sovietici quando ci dicono brutalmente: «consegnate le navi, saremo disposti, nemmeno a concedervi una riduzione in materia riparazioni, ma ad accettare il vostro progetto riparazioni»; il che vuol dire poi rinunziare solo ad un sistema iugulatorio, vale a dire ad una prepotenza.

Dell'obbligo derivante dal trattato circa le navi non è mai stata fatta contestazione dal Governo italiano. Solo si è insistito per ottenere un alleggerimento delle condizioni dell'art. 5 del trattato. Mi sembra tuttavia che possiamo sperare qualche ménagement qualche «visiva» concessione da parte sovietica.

Ho anche ricevuto il suo telegramma n. 3292 e molto la ringrazio di avermi così rapidamente e chiaramente espresso il suo pensiero.

È giusta la sua considerazione «politica» secondo cui il peggiorare i nostri rapporti con l 'U.R.S.S. ci metterebbe in difficile posizione per risalire la corrente in caso di détente fra i due blocchi.

Non si può però perdere di vista l'altra eventualità e cioè che, come tutto lascia oggi prevedere, ci si avvii invece ad una maggiore tensione, nel qual caso potremmo essere rimproverati di aver avuto troppa fretta nel mollare e gli stessi occidentali ai quali abbiamo finora fatto appello per procrastinare la consegna delle navi se ne stupirebbero. So benissimo che le navi non hanno alcun valore bellico sostanziale (però la Turchia se ne preoccupa molto), ma vi sono considerazioni morali che hanno il loro peso nella politica e, perché no, anche nella Storia!

Queste mie sono ad un tempo considerazioni e preoccupazioni che le comunico per darle la sensazione -a distanza -della delicatezza della questione. Toccherà al Consiglio dei ministri, avendo presenti i termini della questione, di decidere. E ... spero si decidano, per il ritorno dell' on. La Malfa onde possa partire con precise istruzioni.

466 1 Si tratta presumibilmente della lettera del 18 settembre, non rinvenuta, ma vedi D. 427.

467

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13154/783-784. Washington, 30 settembre 1948, ore 2,51 (per. ore 14,20).

Suo te l espresso 1351, oggi pervenutomi 1 . Già riferito dettagliatamente per corriere2 circa dichiarazioni fatte da ambasciatore Turchia a un giornalista e riportate da questa stampa solita forma sensazionale.

467 1 Non rinvenuto. 2 Vedi D. 447.

A quanto dettomi da stesso Erkin egli aveva di propria mlZiativa ritenuto rispondere francamente a domande rivoltegli circa riorganizzazione pacifica Europa: l) che considerava unioni regionali migliore forma per assicurare pace;

2) che egli era fautore costituzione due nuove unioni regionali tipo sistema panamericano tra paesi scandinavi al nord e tra paesi mediterranei al sud che avrebbero potuto saldarsi a Unione Occidentale e costituire unico sistema difensivo.

Giornalisti sondato in merito Dipartimento affermavano aver appreso che mentre Governo americano favorirebbe unione militare scandinava riteneva invece immatura una unione militare mediterranea, e ciò sia perché a Grecia e Turchia sono già assicurati almeno sino 30 giugno 1949 aiuti militari americani e sia per eterogeneità paesi mediterranei, oltre complicazioni inerenti speciali condizioni Spagna, Palestina, vari Stati arabi ultranazionalisti, eccetera.

Opinioni suriassunte attribuite Dipartimento, mentre sono state scarsamente pubblicizzate su questi giornali hanno per contro avuto larga diffusione all'estero. Tanto che, secondo odierna «Associated Press» da Istanbul, ambasciata americana in Turchia ha ora dovuto emanare comunicato affermante che Dipartimento non ha preso alcuna posizione né a favore né contro unione difensiva mediterranea. In recenti conversazioni confidenziali al Dipartimento, avevo portato discorso, conformemente istruzioni V.E. di cui 492 3 , su necessità graduale rafforzamento nostre forze militari in stretta intesa U.S.A. riferendomi precedenti Grecia e Turchia. Sempre a scorso sondaggio, accennai anche noto progetto eventuale unione mediterranea.

Circa prima questione mi è stato detto che come nuova fase aiuti collettivi

E.R.P. aveva superato quella precedente aiuti singoli paesi, analogamente s'intendeva procedere in materia assistenza militare a Stati partecipanti Unione Occidentale. Sistema già attuato nei confronti Grecia Turchia costituiva ormai formula e stadio sorpassati.

Circa seconda questione mi è stato risposto che U.S.A. ed altri principali interessati intendevano procedere solo a estensione graduale dell'Unione Occidentale, cui frontiere avrebbero dovuto essere tutte garantite e in caso di necessità difese dali' America. Ciò stante, unico paese cui accessione fosse attualmente sotto considerazione era l 'Italia, sia perché sola grande potenza europea che non facesse parte Unione Occidentale sia per sua posizione geopolitica e speciali legami tradizionali con Occidente.

Unione mediterranea veniva invece considerata inattuale anche per ragioni indicate mio 783. Avrò probabilmente domani altra conversazione che manterrò come precedenti entro limiti sondaggi. Riferirò col primo corriere.

467 3 Vedi D. 390.

468

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ANZILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13173/460. Londra, 30 settembre 1948, ore 20,35 (per. ore 6 del l a ottobre).

Mio telegramma 450 1 .

Charles, il quale cessa occuparsi nostre colonie, mi ha comunicato risposta Governo britannico. Esso rimane per ora fermo su atteggiamento preso ultima riunione Parigi e a noi comunicato tramite Ward, esclusa cioè subordinazione questione Somalia a soluzione Eritrea.

In pratica, Charles me lo ha detto chiaramente, Governo britannico non esclude dover avvicinarsi maggiormente a soluzione da noi desiderata se contatti e discussioni già in corso Parigi lo convinceranno apportunità cedere su qualche punto per ottenere maggioranza in seno Assemblea; non desidera però impegnarsi fin d'ora appoggiare soluzione che non è soddisfacente per Gran Bretagna in quanto lascia completamente in sospeso questione Cirenaica. In altre parole credo che inglesi sarebbero disposti rinviare soluzione per Eritrea (previa definizione zona da cedere all'Etiopia circa la quale vi è disaccordo fra francesi e americani) e per Tripolitania pur di ottenere decisione nel senso da loro desiderata per Cirenaica.

Comunque tutto dipende da prospettive che si delineeranno a Parigi. Nella delegazione britannica McNeil si occupa questione e sarebbe opportuno Quaroni avesse contatti con lui. Al Foreign Office problema nostre ex colonie è stato passato all'Ufficio geograficamente competente e qualsiasi nostro passo qui dovrebbe essere trasmesso per la decisione a delegazione britannica a Parigi.

469

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 13176/63. Santiago, 30 settembre 1948, ore 18,45 (per. ore 8 del l o ottobre).

Leggendo allegato a dispaccio ministeriale 3/1033 del 17 corrente' ho l'impressione che sia stato costì erroneamente interpretato mio telegramma 572 . Infatti viene attribuita a questo ministro degli affari esteri certa qual riserva su atteggiamento Cile in relazione possibile pressione nordamericana, riserva che egli non ha mai espressa.

D. 432 e di essere in attesa di una risposta dal Foreign Office. 469 1 Non rinvenuto.

Vedi D. 402.

689 Si tratta invece, come risulta chiaro da testo telegramma, di osservazione mia destinata per ragioni ovvie a rimanere riservata ed intesa inquadrare in situazione generale dichiarazioni fattemi. Ripeto che le dichiarazioni stesse (vedi anche miei telegrammi 60 e 61 )3 sono incondizionatamente favorevoli nostro punto di vista. Prego ti quindi provvedere opportuna rettifica.

468 1 Del 21 settembre, con il quale Anzilotti comunicava di aver eseguito le istruzioni di cui al

470

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1/6044. Roma, 30 settembre 1948.

Come ella sa, difficoltà finanziarie -del tutto indipendenti dalla scarsa fiducia che nutro per gli effetti della propaganda stampa su due popoli così smaliziati come quelli francese e italiano -mi hanno impedito di dare corso al suo suggerimento di suscitare un grande movimento di stampa in favore dell'Unione doganale. Ho pensato invece che, senza alcuna spesa, si raggiungerebbe forse lo stesso scopo incoraggiando personalità di primo piano del mondo politico a divulgare con pubblici discorsi i vantaggi di tale unione.

Ritengo infatti che uomini politici lungimiranti non potrebbero non essere allettati dall'idea di rendersi promotori e divulgatori di una causa così giusta.

Se lei crede che ciò è possibile ed opportuno in Francia, (penso a uomini come Reynaud), mi riserverei di far redigere qui due schemi di discorsi che lei sottoporrebbe nel modo più opportuno a tali personalità, con l'intesa che essi potrebbero modificarli o integrarli come meglio credono.

Le accludo altresì un esemplare del discorso da me pronunciato a Perugia1•

471

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1778/711. 1stanbul, 30 settembre 1948 (per. il 9 ottobre).

A telespresso n. 25938/c. del 14 settembre1 .

La soluzione preconizzata dal rapporto Bernadotte comporta la parziale revisione del primitivo piano di partizione: dà il Negev agli arabi, la Galilea agli ebrei e prevede il libero accesso in favore dei primi al porto di Haifa e all'aerodromo di Lydda, organizzati in zone franche. Pone Gerusalemme e i Luoghi Santi, in regime di statuto internazionale, sotto il controllo dell'O.N.U.

Americani, inglesi, francesi hanno aderito in principio alle conclusioni di quel rapporto. Sopra tutto importante l'adesione inglese, in quanto è, in definitiva, adesione alla partizione. Come tale susciterà le altre strida degli arabi, che quelle conclusioni hanno dichiarato inammissibili e un parallelo rafforzamento dei sentimenti antibritannici nel Medio Oriente.

Mi pare, per quello che posso giudicare da qui, che gli ebrei, sotto il duro colpo dell'assassinio del mediatore e delle responsabilità conseguenti, potranno forse finire col piegarsi a questa nuova formula, sia pure a malincuore e con qualche riserva nei confronti di Gerusalemme. So bene che gli ebrei tengono a conservare, per ragioni di espansione demografica, le zone migliori del Negev, e, insieme, la Galilea occidentale e che certamente tenteranno di ottenere Gerusalemme ebraica come capitale. Ma sanno perfettamente di andare incontro, su questo punto, a vaste opposizioni e credo dunque che finiranno col mercanteggiare: potrebbero, per esempio, accontentarsi di un corridoio sino alla città che consenta loro di assicurare il rifornimento dei quartieri ebraici; ciò che comporterebbe naturalmente la cessione di una parte della piana di Ramleh.

Non saprei esattamente quale atteggiamento si proponga di assumere la Russia. Presumo che prenderà partito contro il rapporto Bernadotte, che fu infatti accusato dai sovietici, col solito forbito dizionario che è il loro, di essere nient'altro che uno spregevole agente dell'imperialismo britannico. Certo, dal voto del blocco slavo dipenderà se o meno potrà essere raccolta la maggioranza dei due terzi necessaria alla decisione.

2. -Nel frattempo, è stato proclamato lo Stato libero, democratico e sovrano della Palestina araba. Il solo fatto che tale Governo è stato organizzato a Gaza, nel territorio cioè dove si appuntavano e si sono frantumate, nel volgere di poche settimane, le ambizioni egiziane, dimostra che esso è emanazione del Cairo. Non mi par dubbio che il nuovo Stato sarà a breve scadenza riconosciuto, oltre che dall'Egitto, anche dalla Siria subito e forse dal Libano, Arabia Saudita, Yemen dopo. Gli si volgerà invece contro, naturalmente, re Abdullah di Transgiordania, e, probabilmente, l'Iraq, se i suoi governanti riesciranno a imporsi sull'opinione pubblica, ciò che è controverso. La discordia continua comunque a regnare nel campo arabo. Un nuovo Stato non si crea d'altra parte soltanto coi discorsi, sia pure prolissi di un Azzam pascià, ma ha bisogno di un minimo di attributi che gli consentano di esercitare con un minimo di approssimazione, le sue funzioni: fra le quali, prima di tutte, la forza militare. Ora codesta forza militare è, in campo arabo, pressoché assente. Il Gran Mufti è certamente uomo di particolare dinamismo politico e prestigio: ma non è con le poche forze di irregolari che gli riescirà di raccogliere, né con le demoralizzate e sconnesse truppe regolari egiziane o siriane che potrà puntellare il nuovo Stato. Come forze militari degne di questo nome sono oggi nel Medio Oriente arabo soltanto quelle di Israele e della Legione araba di re Abdullah e qualunque futura organizzazione di quelle regioni non potrà realisticamente prescinderne. 3. -Ciò premesso, insisterei dunque sullo statuto internazionale di Gerusalemme. È questo un interesse concreto, nostro e francese. Non so se e quali progetti siano stati elaborati per porre la Città Santa sotto il controllo internazionale. Se non vi fossero, bisognerebbe tentare di porre nero su bianco. Chi giunge per il primo, con un progetto già pronto, corre sempre la chance che siano proprio le sue idee a fornire almeno la prima base di discussione. Si tratta di precisare come codesto controllo dovrà essere esercitato e da chi e se dovrà essere appoggiato da forze internazionali e quali. È un problema dunque complesso, anche perchè un controllo internazionale postula l'intervento russo con tutte le conseguenze connesse. - 4. -In queste condizioni, le perplessità di Chauvel, che, dalle trasmissioni sinora pervenutemi, vedo condivise anche da greci e iraniani, sono certamente giustificate. Si esita, com'è umano, a prender partito in codesta rissa fra ebrei e arabi, fra arabi fra di loro e fra i patrocinatori degli uni e degli altri, che sono poi i veri responsabili della sanguinosa bagarre.

Tutto sommato e, se proprio vogliamo porre innanzi per quello che potrà valere, un'opinione, sarei portato ad escludere la soluzione Bernadotte (incorporazione della parte araba alla Transgiordania)2 . Re Abdullah è un vassallo della Gran Bretagna: tutto ciò che casca nella sue mani, rimbalza automaticamente in quelle britanniche e diventa pascolo esclusivo inglese. Ed è invece interesse nostro che gli Stati arabi restino aperti anche ad altri. Né mi par da sperare che dando ragione agli inglesi in Palestina, essi possano, nel mood che attualmente è il loro, persuadersi ad allentare la stretta in Libia. Un nostro appoggio incondizionato al Governo di Gaza, il quale agisce come se Israele fosse ancora nel regno dei sogni e non, come effettivamente è, una realtà concreta ed irta di armi, mi pare, d'altra parte non consigliabile. Propenderei dunque per il suggerimento dato in via sussidiaria dallo stesso Bernadotte3 (nel caso che l'incorporazione alla Transgiordania non

Annotazione a margine, ancora presumibilmente di Soardi: «E invece la proposta concreta contenuta nel piano definitivo di Bemadotte che aggiunge però: "Si raccomanda tuttavia che dati i vincoli storici e la comunità d'interessi che uniscono la Transgiordania alla Palestina esistono dei motivi imperiosi di fondere il territorio arabo della Palestina e della Transgiordania, sotto riserva delle modifiche di frontiera concernenti altri Stati arabi e che fossero giudicate desiderabili e praticamente possibili". Mi sembra che ci sia contraddizione tra le due proposte, perché propendendo per il suggerimento "sussidiario" di Bemadotte si finirebbe sempre per dar ragione agli inglesi dato che la seconda parte del "suggerimento" prevede l'unione della Transgiordania al territorio arabo palestinese».

possa aver luogo): la decisione finale sul destino di quei territori dovrebbe cioè appartenere ed essere lasciata agli Stati arabi. A ciascuno di essi singolarmente, si potrebbe suggerire la ragionevole spartizione fra Stati confinanti che codesto Ministero giustamente patrocina. I nostri rappresentanti a Gerusalemme, Damasco, Beirut, Cairo hanno maggiore competenza di quel che io non abbia per pronunziarsi in concreto su quest'ultimo punto.

469 3 Del 22 settembre, non pubblicati.

470 1 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 483-496. Quaroni rispose al presente documento (R. 1339/18711/3964 del25 ottobre) segnalando il momento poco propizio all'accoglimento delle iniziative in questione e riservandosi una eventuale successiva azione.

471 1 Non rinvenuto.

471 2 Annotazione a margine, presumibilmente di Soardi: «Già sorpassata perché faceva parte del primo piano Bemadotte del 28 giugno». ,

472

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO l 094/17173/3558. Parigi, 30 settembre 1948 (per. il 5 ottobre).

Dai contatti finora avuti con delegati dei vari paesi risulta confermato come da parte inglese si cerchi di varare un progetto di soluzione parziale della questione delle colonie comprendente l'assegnazione all'Italia dell'amministrazione fiduciaria della Somalia, alla Gran Bretagna quella della Cirenaica ed il rinvio di tutto il resto ai Quattro Grandi per un ulteriore studio. Siamo ancora allo stadio dei sondaggi preliminari; traspare tuttavia evidente il forte interesse inglese per ottenere subito il mandato sulla Cirenaica.

Da parte nostra, la questione viene impostata come segue: qualora la situazione consenta all'Assemblea generale di prendere una decisione sull'intero problema delle colonie, si dovrà sostenere l'assegnazione all'Italia di tutte le sue antiche colonie; se invece -come sembra più probabile -risulterà impossibile ottenere ciò, la soluzione minima che può essere ancora considerata in qualche modo soddisfacente è quella dell'assegnazione della Somalia all'Italia ed il rinvio di tutto il resto ai Quattro; non si può invece accettare l'abbinamento Somalia-Cirenaica. In particolare modo si cerca, naturalmente, di orientare le delegazioni sud-americane, che dovrebbero rappresentare la base di una qualunque azione svolta nell' Assemblea in nostro favore.

È ancora prematuro avanzare delle previsioni sul possibile schieramento delle varie delegazioni al momento del voto. A parte le sempre probabili sorprese che in sede di discussione possono venire dai russi, lo stesso atteggiamento di un certo numero di paesi sud-americani è tutt'altro che sicuro: anche se ora riceviamo assicurazioni formali che essi sono pronti ad appoggiare la nostra tesi, sarebbe ingenuo non prevedere, nell'eventualità specialmente di forti pressioni da parte inglese e soprattutto nord-americana, la possibilità di defezioni e di astensioni.

Per il momento, e rebus sic stantibus, si può soltanto ritenere che, qualora vi fosse una intesa fra noi e gli inglesi, si potrebbe raccogliere di misura sulla tesi concordata una maggioranza di due terzi; in caso contrario, tanto noi che gli inglesi (più facilmente gli inglesi che noi) avremmo la possibilità di far silurare la proposta dell'altro.

In queste condizioni e in questo momento sembra perciò probabile che dovremmo affrontare questo dilemma: o subire l'abbinamento o far sì che ogni decisione venga rinviata ad un altro anno. Anche per ottenere quest'ultimo risultato dovremmo però darci da fare; giacché sarebbe necessario indurre un certo numero di Stati sud-americani a schierarsi a fianco della Russia e contribuire al successo formale di una sua eventuale iniziativa in questo senso; cosa che -specialmente nell'atmosfera di questa Assemblea, nettamente antisovietica -riuscirà loro certamente difficile e sgradito; tale soluzione potrebbe poi forse avere delle ripercussioni anche nei nostri rapporti colle potenze anglosassoni e soprattutto nella politica che gli inglesi potrebbero essere indotti ad adottare nelle colonie nei nostri riguardi durante questo altro anno di loro amministrazione provvisoria.

Prospetto queste due ipotesi non perché io escluda a priori la possibilità di altre soluzioni: fino al momento stesso del voto la situazione rimarrà sempre suscettibile di notevoli e imprevedibili cambiamenti; tuttavia, poiché il dilemma cui ho accennato sintetizza la situazione del momento, sembrami opportuno che convenga studiarlo fin da ora, anche per aver modo di poter orientare tempestivamente i nostri amici verso le soluzioni che meno contrastano con i nostri interessi.

473

IL CONSOLE GENERALE ROMAN01 AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 13379/36. Belgrado, 2 ottobre 1948 (per. il 5).

Il signor Brilej, presidente della delegazione jugoslava, ma che finora non ha preso parte ad alcuna riunione tranne quella iniziale, mi ha convocato il giorno 1° ottobre per avere una conversazione sull'andamento dei lavori. Nel corso di essa mi ha comunicato essere vivo desiderio del Governo jugoslavo raggiungere una intesa sulle diverse questioni ancora in sospeso tra i due paesi, in dipendenza della esecuzione del trattato di pace. Specificamente ha fatto intendere che la questione dei beni immobili, cui si riconosce prevalente interesse italiano, sarà studiata con particolare attenzione da parte jugoslava pur ammettendo difficoltà conciliare i due punti di vista. Mi ha inoltre comunicato che la legazione jugoslava in Roma avrebbe compiuto un passo presso codesto Ministero per proporre di mettere in trattazione da questa delegazione -o eventualmente da altra -ulteriori argomenti, quali: pesca in Adriatico, navi, ecc., in modo da regolare tutte le pendenze fra i due paesi2 .

473 1 Membro della delegazione inviata a Belgrado, vedi D. 26. 2 Vedi D. 429.

Da parte mia ho assicurato il sig. Brilej della stessa intenzione italiana giungere a soluzione soddisfacente per entrambe le parti, e con l'occasione ho posto in rilievo scopo mio viaggio sollecitare anche presso dicasteri competenti invio esperti aggiornati su questioni da trattare.

Dalla conversazione ho riportato impressione -confermata da mio successivo colloquio con nostro incaricato d'affari -che richiesta di incontro da parte del sig. Brilej abbia avuto scopo di dimostrare desiderio Governo jugoslavo di portare a termine attuali trattative ed aprirne di nuove, nonché di respingere responsabilità di indugi addossatagli da nota verbale di questa legazione richiedente proroga opzioni.

474

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLA LEGAZIONE D'AUSTRIA A ROMA

PROMEMORIA 16/27195/100. Roma, 2 ottobre 1948.

Fin dalla primavera del corrente anno il Governo italiano aveva rilevato, e fatto rilevare al Governo austriaco, l'atteggiamento di certa stampa austriaca, soprattutto tirolese, diretto a creare negli ambienti degli alto-atesini optanti stabilitisi in Austria un senso di angoscia per il proprio avvenire attraverso la diffusione di notizie a carattere ufficioso o di articoli, a firma di personalità responsabili, che, agitando lo spettro dell'apolidia e della disoccupazione per quanti fra gli originari alto-atesini avessero l'intenzione di rimanere in Austria, miravano, ovviamente, a influenzare gli optanti nella loro libera e autonoma decisione circa il proprio futuro stato di cittadinanza.

Il principio cui si è ispirato il legislatore italiano nell'offrire, con il Decreto Legislativo n. 23 del 2 febbraio 1948, la possibilità agli alto-atesini optanti di essere reintegrati nella cittadinanza italiana era, e rimane, quello della libera elezione non solo non coartata ma neppure influenzata da suggestioni o da intimidazioni che sarebbero, oltre tutto, in stridente contrasto con i motivi essenzialmente umanitari che hanno indotto il Governo italiano a venire incontro a tale gruppo di Volkdeutsche in un così tragico momento per le stirpi germaniche periferiche.

E, pertanto, il Governo italiano aveva creduto di poter registrare con compiacimento l'attenuarsi di tale campagna stampa ed aveva rilevato con interesse una nota apparsa sulla Wiener Zeitung del 5 agosto in cui veniva dato un qualche, sia pur generico, affidamento circa l'avvenire di quanti fra gli alto-atesini optanti credessero, dopo la riopzione per l'Italia, di rimanere in Austria pur lasciando, tuttavia, nell'ombra il futuro di quanti non credessero di avvalersi della procedura di riopzione.

Ora, successivamente a tale nota, che lasciava prevedere una impostazione più comprensiva degli aspetti umani del problema, è stata lamentata da parte di vari altoatesini residenti nel Tirolo una vera e propria azione di pressione diretta ed esplicita che risulta doversi ascrivere al noto ufficio distaccato della Cancelleria federale ad Innsbruck e di cui è capo il dr. Erik Kneussel sulla cui attività il Governo italiano ha avuto occasione di muovere ampie riserve.

Questi, a quanto è stato riferito in maniera concorde da parte degli interessati, avrebbe ufficialmente fatto conoscere che gli optanti residenti in Austria che non avessero rioptato per l 'Italia sarebbero considerati apolidi, e che, pertanto, gli impiegati sarebbero licenziati, i pensionati vedrebbero sospese le loro pensioni e gli esercenti ritirate le loro licenze. La possibilità, infine, di poter acquistare la cittadinanza austriaca sarebbe stata fatta apparire dal predetto signor Kneussel assai incerta e comunque assai remota così da presentare agli optanti che non ritenessero di doversi valere della procedura di revisione il quadro del più oscuro avvenire.

Ora non è certo intenzione del Governo italiano di interferire con quelle che sono, o saranno per essere, le norme regolanti l'acquisto della cittadinanza austriaca ma il Governo italiano non potrebbe non riserbarsi ogni eccezione contro tale impostazione data al problema degli optanti da parte austriaca ove l'atteggiamento del predetto signor Kneussel continui ad apparire ispirato più a motivi politici e razziali che non a motivi umanitari o, quanto meno, umani. Da parte sua il Governo italiano non può non fare, fin d'ora, le più ampie riserve circa i riflessi giuridici che un tale atteggiamento potrebbe avere sulla procedura di revisione delle opzioni dato che il Governo italiano ha inteso fondare tale procedura sulla libera elezione degli interessati liberamente manifestata sulla base dei loro reali interessi e dei loro veri sentimenti ed ha, a tal fine, di recente disposto che agli alto-atesini optanti residenti in Austria fosse concessa la possibilità di una visita in Alto Adige affinché essi possano orientarsi e decidersi con la piena consapevolezza delle loro prospettive avvenire1•

475

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

TELESPR. 27232/427. Roma, 2 ottobre 1948.

È stato letto attentamente il telespresso di codesta legazione n. 1648/750 del 4 settembre u.s. 1 e si concorda pienamente sulle osservazioni contenute nell'ultima parte di esso. Non vi è dubbio che sia illusorio contare su di un'affrettata svolta della

475 1 Non pubblicato.

696 politica estera jugoslava e che gli avvenimenti che hanno posto codesto Governo contro il Cominform e le nazioni cominformiste non hanno intaccato la struttura rigidamente comunista del paese.

Tuttavia, se ogni tentativo di favorire l'evoluzione jugoslava in direzione dell'Occidente deve tener conto di questa premessa e limitarsi almeno inizialmente al campo economico, astraendo da ogni velleità di influire sul regime interno jugoslavo

o quanto meno di svegliarne la suscettibilità -nulla esclude che anche il nostro paese tenti cautamente di cercare una via di avvicinamento che altre nazioni occidentali -come ad esempio la Gran Bretagna con le iniziate forniture di petrolio sembrano intenzionati ad abbordare.

Sta di fatto comunque che il passo esperito giorni orsono dal ministro lvekovic, come la S.V. ha appreso dal telespresso n. 3/1039 del 17 settembre2 , sembra indicare che anche da parte jugoslava si desidera un riavvicinamento con noi e si cominci con la proposta di riesaminare tutte le questioni pendenti fra i due paesi e il modo di condurle in porto.

Prescindendo ovviamente dalla grossa questione di Trieste, la cui portata trascende i limiti di un problema italo-jugoslavo, le pendenze fra l'Italia e la Jugoslavia sono di ordine economico (pesca in Adriatico, riparazioni, cessione di impianti, beni italiani in Jugoslavia, beni degli optanti) e di carattere politico (deportati civili in Jugoslavia soggetti al noto scambio, delimitazione frontiere, questione delle opzioni, consolati italiani in Jugoslavia, ecc.).

Alcune delle anzidette questioni economiche hanno ripercussioni politiche evidenti, come ad esempio il proposto pagamento, almeno parziale, delle riparazioni mediante l 'impiego di operai italiani specializzati che dovrebbero trasferirsi in Jugoslavia. Resta infine aperta l'altra grave questione dei beni italiani espropriati dal Governo jugoslavo in vista delle note leggi sulla nazionalizzazione delle industrie e sulla riforma agraria.

Non si può quindi prescindere, come punto di partenza, dalla constatazione che lo stato attuale di tali complessi problemi accusa un disagio e un sacrificio dei nostri interessi, e quindi uno scompenso a nostro danno che una «regolamentazione» complessiva dovrebbe in ogni caso risolvere.

Mentre si trasmette copia di un appunto con le osservazioni della Direzione generale degli affari economici sul passo di questo ministro di Jugoslavia3 che più direttamente la concernono, si prega codesta legazione di voler studiare nel suo insieme il problema, esprimendo il proprio parere sia sul suo aspetto sostanziale e sia, agli eventuali fini tattici, sull'abbinamento o il condizionamento delle singole questioni da trattare, alla luce delle prevedibili reazioni che di fronte a ciascuno dei problemi stessi si possano incontrare costì4 .

3 Del 18 settembre, non pubblicato.

4 Per la risposta vedi D. 537.

474 1 Per la risposta vedi D. 632.

475 2 Vedi D. 429.

476

IL SEGRETARIO DELL'UFFICIO DI COORDINAMENTO, DAINELLI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO SEGRETO. Roma, 2 ottobre 1948.

È stato a Roma nei giorni scorsi il sig. Erik Johnston, attuale presidente della «Motion Picture Association» ed ex presidente della Camera di commercio americana.

Nota figura del mondo industriale americano egli ebbe nel passato a compiere varie missioni delicate per conto del presidente Roosevelt, fra l'altro a Mosca. Consigliere ufficiale del signor Hoffman egli è anche nel gruppo degli uomini vicini al candidato repubblicano alla presidenza, signor Dewey. Il signor Johnston sta compiendo in Europa, di qua e di là dalla cortina di ferro, un viaggio informativo ad uso delle sue attività industriali, economiche e politiche.

Di ritorno da Mosca, e prima di recarsi a Belgrado, Praga, Madrid e Londra, egli si è trattenuto a Roma circa una settimana ed ha avuto colloqui col Pontefice, con il presidente del Consiglio e con varie personalità politiche italiane.

Il signor Johnston, col quale ho avuto occasione di parlare a lungo ed a più riprese, si è espresso come segue circa vari problemi:

l) Piano Marshall e ricostruzione economica italiana. Condizione essenziale perché l'E.R.P. non si riduca ad una opera di tamponamento di falle, è la soluzione del programma emigratorio: Washington dovrà premere fortemente su Parigi affinché si provveda alla libera emigrazione in Francia di 500 mila italiani all'anno. La ricostruzione italiana dovrebbe tendere ad un aumento di produzione in quei rami che sono «economicamente naturali»: l'industria pesante dovrebbe avere perciò una produzione limitata alle necessità italiane, in particolare anche del riarmo. Alleggeriti dalla pressione di una mano d'opera sovrabbondante, l'industria sana dovrebbe essere svincolata dai finanziamenti statali.

La bilancia di pagamenti italiana potrebbe essere rinsanguata dalle tre voci tradizionali: noli, rimesse, turismo. Per ciò che riguarda quest'ultimo la «Motion Picture Association» si propone in particolare di studiare un programma di cortometraggi di propaganda turistica da mostrare in America: il signor Johnston ha al riguardo assicurato il ministro Merzagora che ritiene che tale progetto farebbe portare la cifra attuale di 6 milioni di dollari a favore dell'Italia, a 20-25 annuali.

Pur non pronunciandosi sulla soluzione del problema del nostro commercio con l'Oriente europeo, egli si è espresso sarcasticamente circa le nostre esportazioni al di là della cortina di ferro, le quali in fin dei conti servono al riarmo sovietico. Si è mostrato molto al corrente degli attuali negoziati di Mosca.

2) Situazione politica italiana. Il signor Johnston ha tenuto a sottolineare al presidente del Consiglio ed al ministro dell'interno il costante pericolo comunista, per il quale nessuna illusione vi deve essere circa le mete che esso si propone in Italia come altrove. Egli tuttavia ha tratto l'impressione che il Governo italiano abbia la capacità di mantenere l'ordine e di assicurare la stabilità per i prossimi cinque anni. È sicuro dell'avvento del generale de Gaulle al potere in Francia; ha chiesto se ciò avrebbe spostato la Democrazia Cristiana su posizioni più conservatrici o se ciò avrebbe determinato addirittura il risorgere di tendenze fasciste od analoghe. A questo proposito egli si è assai meravigliato che da parte del ministro dell'interno sia stato dichiarato «non credo che de Gaulle riuscirà a conquistare il potere in Francia».

Il signor Johnston si ripromette di consigliare ai suoi amici repubblicani di provvedere -allorché essi saranno al potere -a rafforzare le forze armate italiane. A questo proposito tuttavia egli ha dichiarato che alla difesa dell'Italia, strategicamente essenziale nei piani americani, verrà provveduto principalmente colle forze armate degli Stati Uniti, perché si ritiene che all'Italia non si possa chiedere assai di più oltre il mantenimento dell'ordine pubblico e la garanzia della sicurezza delle basi aeree e navali. Ciò anche, secondo l'opinione prevalente degli ambienti responsabili americani, in relazione alla «Stanchezza e alla mancanza di natura combattiva» del popolo italiano.

Egli ha sottolineato la necessità di un fronte compatto di tutti gli italiani di buona volontà intorno all'on. De Gasperi il quale deve essere opposto a Togliatti come il campione dell'anticomunismo. Gli italiani democratici dovrebbero convincersi che presto saranno costretti a scegliere fra l'uno e l'altro senza possibilità di vie diverse.

3) Russia e situazione internazionale. Dopo un'assenza quadriennale da Mosca egli ha trovato nella capitale sovietica una situazione mutata nei confronti degli Stati Uniti. Per parlare ai vari ministri sovietici egli ha dovuto avere il consenso del signor Molotov. La propaganda governativa ha creato nell'opinione pubblica sovietica la convinzione dell'inevitabile aggressione occidentale. Il Politburo ritiene che il comunismo riuscirà inevitabilmente a far crollare i Governi capitalisti dell'Occidente, compreso quello americano, e che ove l'America si decidesse al conflitto ciò affretterebbe il tramonto fatale di tali Governi. Quindi la politica sovietica si riassume nella preparazione bellica e nella costante pressione diplomatica e politica nei confronti dell'Occidente. Lo stato del riarmo sovietico ha fatto molti progressi nel campo dell'aviazione e nel campo della meccanizzazione delle forze di terra.

Gli amici del signor Dewey ritengono che la pace possa essere prolungata per molto tempo ancora attraverso una politica di intensa collaborazione economica fra le nazioni dell'Europa occidentale e fra queste e l'America; attraverso un programma di preparazione militare completa: comando unico, standardizzazione delle armi comuni all'Europa e agli Stati Uniti. Questo programma deve andare oltre ai quattro anni del piano Marshall e dovrà svilupparsi «per decadi». La guerra potrà essere nonostante ciò anche inevitabile, ma dopo un processo di sgretolamento politico delle posizioni sovietiche nell'Europa occidentale ed orientale ed in condizioni materiali ben diverse dalle attuali.

477

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BR OSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13334/340. Mosca, 4 ottobre 1948, ore 21,15 (per. ore 7 del 5).

Oggi Molotov mi ha chiamato per comunicarmi una nuova protesta circa le navi rilasciandomi un appunto che invierò col corriere di mercoledì 6 corr. 1 . Il breve appunto dopo aver premesso i fatti già noti conchiude attirando attenzione nostro Governo sulla situazione inammissibile creatasi riguardo a consegna navi ed insistendo affinché esso prenda misure immediate per la esecuzione delle relative disposizioni del trattato di pace.

Riservandomi di riferire mio Governo e dichiarandomi non investito della questione ho rilevato tuttavia che il Governo italiano aveva svolto le precorse trattative con intendimento di eseguire il trattato pur conseguendo talune soddisfazioni e che analoghe trattative con Francia avevano portato a sensibili concessioni pur restando nel quadro della leale esecuzione del trattato; aggiunsi che speravo potesse avvenire coi sovietici qualcosa di analogo con soddisfazione insieme dei diritti sovietici e delle aspirazioni morali e materiali italiane.

Molotov ha risposto che il Governo sovietico aveva già concesso facilitazioni rinunziando alla riparazione delle 33 navi e che intendeva ottenere esecuzione trattato considerando la questione come molto seria.

Per sondare eventuale grado della connessione posta da sovietici fra questione navi e trattative economiche ho aggiunto che le trattative in corso a Mosca erano una riprova della buona volontà italiana di eseguire trattato dato che il Governo italiano aveva consentito a trattare insieme scambi commerciali e esecuzione di una delle essenziali obbligazioni del trattato quali le riparazioni. Molotov ha tuttavia scivolato completamente su argomento e come se io non avessi fatto cenno a riparazioni si è limitato a rispondere che gli scambi commerciali sono di reciproco interesse ma esecuzione trattato di pace è un obbligo che va rispettato. Dopo di che avendo Molotov manifestato intenzione non prolungare discussione il breve colloquio di un quarto d'ora si è chiuso.

Il passo personale di Molotov date le consuetudini di questo Governo nei suoi rapporti con le rappresentanze estere deve senza dubbio considerarsi di eccezionale importanza e destinato a sottolineare autorevolmente la ferma volontà del Governo sovietico di ottenere navi forse anche in connessione sia pure non ufficialmente ammessa con le trattative economiche in corso.

477 1 Non pubblicato, ma vedi D. 484.

478

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AI MINISTRI A BEIRUT, ALESSANDRINI, E AL CAIRO, FRACASSI

TELESPR. 11/27256/c. Roma, 4 ottobre 1948.

A titolo di amichevole informazione la prego di voler portare a conoscenza di codesto Ministero degli affari esteri che verrà prossimamente firmato con la Grecia un patto di amicizia. Detto patto consiste in un Accordo di stabilimento e in un Trattato di amicizia e regolamento giudiziario di eventuali controversie e come tale non esce dai limiti tradizionali classici di tali accordi.

Ciò che è importante tuttavia è il fatto che tale accordo abbia potuto rapidamente concludersi in una atmosfera di reciproca comprensione, ed il fatto che esso suggella la ristabilita cordialità delle relazioni tra i due paesi: come tale esso è da considerarsi un contributo alla stabilità del Medio Oriente.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO URGENTE 1• Roma, 4 ottobre 1948.

Il ministro d'Austria, che ha chiesto udienza a V.E., è venuto oggi a vedermi per mettermi al corrente dell'oggetto della sua visita. Egli ha avuto incarico dal ministro Gruber di esporre le sue doglianze al Governo italiano per i seguenti motivi:

l) Caso Tinzl. Al Tinzl è stata respinta la domanda di riacquisto della cittadinanza italiana. Si tratta di un noto collaborazionista dei nazisti e di persona che ha sempre svolto attività anti-italiana. Il ministro Gruber, su pressione degli ambienti di lnnsbruck, aveva alcuni mesi fa scritto al presidente De Gasperi raccomandando il caso e il presidente rispose evasivamente lasciando intendere che il potere esecutivo non poteva entrare in questa materia rimessa a un organo a carattere giurisdizionale. Ho detto al principe Schwarzenberg di leggere quello che l'ex-ambasciatore tedesco von Hassell, scrisse sul Tinzl nelle sue memorie.

2) Caso Krauss. Il ministro Gruber dà l'impressione di lamentarsi per la reazione della stampa italiana alle note frasi pronunciate dal ministro austriaco dell'agricoltura Krauss al banchetto di Terlano. Ho detto allo Schwarzenberg che abbiamo dato incarico a Cosmelli di non drammatizzare la cosa, ma di far rilevare che

certamente il Krauss ha dimostrato scarso senso di responsabilità per un uomo di Governo. Lo stesso on. Guggenberg, che ascoltò le frasi, ebbe a deplorarle e a scusarsene con l'on. Brusasca2 .

3) Condizione della residenza triennale in Alto Adige per il diritto di voto. Nelle consultazioni con gli alto-atesini, durante la compilazione dello Statuto regionale, era stata da essi richiesta la condizione della residenza triennale nella regione per l'acquisto del diritto di voto per la nomina dei rappresentanti al Consiglio regionale. Da parte della Presidenza del Consiglio si era data risposta favorevole. La legge ora disposta per le elezioni Trentina-Alto Adige stabilisce che quel Consiglio regionale, cui spetta di compilare la legge elettorale della Regione, può disporre nel senso su indicato. Le elezioni per il primo Consiglio avvengono con una legge provvisoria, votata dal Parlamento nazionale in cui tale clausola non figura.

Gruber giudica la soluzione data alla questione come contraria alle intese. Da parte della Presidenza si sostiene che una simile disposizione è anti-costituzionale e può essere adottata solo nella formula prevista.

4) Convenzioni varie. Gruber lamenta la lentezza con cui procedono i lavori per la conclusione dei vari accordi: transito traffici, scambi culturali, previsti dali' Accordo di Parigi.

Tutto considerato Gruber dice che ritiene di essersi per parte sua spinto al limite massimo di fronte all'opinione pubblica del suo paese e di avere l'impressione che da parte italiana non si mantengano le promesse. Lascia a noi suggerirgli se non sarebbe preferibile rimandare la sua visita a Roma in un momento più propizio.

Ho a mia volta enumerato tutti i motivi di lagnanza che avevamo noi nei confronti della persistente attività anti-italiana degli uffici di Innsbruck. Gli ho detto che, come lui stesso ne era stato testimone, noi eravamo partiti in questa faccenda alto-atesina con idee molto liberali, ma che l'attività di quell'ufficio e dei suoi agenti periferici nonché le ricorrenti e controproducenti manifestazioni anche di uomini responsabili in Austria, ci avevano costretto a divenire prudenti, non ancora severi. Ho aggiunto che non avevamo intenzione di drammatizzare le cose e neanche il presente malumore di Gruber, una parte del quale potevamo anche arrivare a comprendere, per esempio pel caso Tinzl che non era tuttavia in nostro potere di mutare.

Lo ho assicurato che da tempo andiamo accelerando i lavori relativi alle varie convenzioni e che, personalmente, ero sempre stato favorevole a che la visita di Gruber avvenisse quando tali convenzioni fossero state pronte per la firma. Non vedevo quindi -sempre personalmente -difficoltà a lasciar passare ancora qualche tempo in modo da consentire al ministro Gruber di compiere a Roma un viaggio

che egli possa considerare «fruttuoso» anche ai fini della sua pozione interna. Naturalmente si dovrebbe evitare -in tal caso -qualsiasi speculazione politica. Del resto la data precisa della visita di Gruber, non è stata né fissata, né resa pubblica. Nel frattempo potrebbero venire a Roma esperti austriaci per portare innanzi i lavori relativi agli accordi da stipularsi, uno dei quali, già pronto, potrebbe senz'altro venire siglato in attesa della firma.

Personalmente il principe Schwarzenberg sarebbe favorevole a tale proposta.

479 1 Il documento reca la seguente annotazione autografa di Sforza: «Ricevuto Schwarzenberg dettogli lagni Gruber sono effetto ipersensibilità confinaria. Circa ritardo sua visita mi rimetto a lui. Quel che conta è che sia fatta con spirito fecondo». Il colloquio ebbe luogo alle 12 del giorno 5, vedi D. 488.

4 79 2 Con T. 11316/21 O del 2 ottobre Sforza aveva comunicato a Cosmelli che la frase pronunciata da Krauss: «Confine Brennero dolorosamente diviso Tirolo nord da sud ma non è definitivo» aveva incontrato la disapprovazione anche di ascoltatori allogeni come l'on. Guggenberg e aveva dato istruzioni di segnalare le difficoltà a cui tali manifestazioni esponevano la politica italiana in Alto Adige. Cosmelli rispose (T. 13344/211 del 5 ottobre) di avere intrattenuto in proposito Leitmaier che, sottolineando il carattere personale dell'iniziativa di Krauss, aveva confermato la costante volontà austriaca di contribuire ad una atmosfera di distensione e di amicizia con l'Italia.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA PERSONALE 1061/17184/3569. Parigi, 4 ottobre 1948.

Il generale Revers, Capo di Stato Maggiore francese, qualche tempo addietro aveva espresso al sen. Benedetti il suo desiderio di incontrarsi con qualcuno dei capi militari italiani per uno scambio di idee, del tutto privato, sull'argomento.

Benedetti ha pensato di sondare, per questo, Maugeri il quale, consultato il suo ministro, si è dichiarato d'accordo ed è venuto in forma del tutto privata a Parigi.

L'incontro con Revers ha avuto luogo a colazione da me.

Revers gli ha detto:

l) Lo Stato Maggiore francese non ritiene che ci sia, a questo momento, una precisa volontà russa od americana di provocare la guerra: si deve però riconoscere che lo stato di tensione tra i due è tale che un incidente qualsiasi, imprevedibile, potrebbe scatenare una conflagrazione. Ritiene quindi che la questione della preparazione effettiva della difesa dell'Europa occidentale, con i mezzi sia europei che americani, sia una questione che deve ormai avere precedenza su tutte le altre.

Esso ritiene che il periodo che va tra ora e il giugno sia il periodo più pericoloso, perché gli armamenti americani non cominceranno a dare i loro frutti effettivi prima del giugno prossimo: ritiene che una relativa sicurezza per l 'Europa occidentale non la si potrà avere altro che il giorno in cui due forze concordate abbiano costituito una massa difensiva sufficiente a resistere non per qualche giorno soltanto. Ritiene che ci si possa arrivare nel 1949, ma per arrivare senza perdere tempo, più si fa presto meglio è.

2) Lo Stato Maggiore francese ha espresso con tutta decisione il suo pensiero, per iscritto, già da qualche tempo sia al Governo francese, sia ai Cinque, sia agli americani, che qualsiasi piano di difesa dell'Europa occidentale è incompleto anzi inconcepibile, se non si tiene conto del fattore Italia. La possibilità di difesa della pianura del Po è un elemento di cui si deve tener conto per la difesa della Francia. La situazione italiana è anche elemento decisivo per quello che concerne l'Austria. Attualmente gli americani intendono fare rifluire su Francoforte le loro truppe in Austria -in caso di attacco russo -il che militarmente è un assurdo: le truppe dell'Austria debbono rifluire sull'Italia e congiungersi lì alle truppe italiane: per i francesi si tratta di un punto decisivo: senza l'Italia egli dovrebbe ridurre a pure funzioni rappresentative le truppe francesi in Austria: con l'Italia converrebbe invece rinforzarle considerevolmente.

3) È un errore sia per parte nostra che altrui ritenere che noi siamo attualmente protetti dalla situazione jugoslava: ritiene la situazione jugoslava molto precaria. Tito ha saldamente in mano solo la polizia: l'esercito può essere considerato sicuro solo negli alti gradi: nei gradi medi e bassi l'influenza e la propaganda russa sono molto sensibili e fanno progressi. Anche se la soluzione non si trova con l'assassinio di Tito, ritiene difficile che la equivoca situazione attuale possa durare più di qualche mese: la soluzione sarà più facilmente in senso russo che in senso occidentale.

4) Ha parlato del suo colloquio con Montgomery e dell'atteggiamento militare inglese molto contrario al nostro intervento nel Patto occidentale, non è al corrente di quello che sia l'atteggiamento politico inglese. Negli ambienti americani l'esposizione dello Stato Maggiore francese ha fatto impressione: egli continua a spingere in questo senso. Ritiene che sarebbe bene che noi facessimo la stessa cosa.

5) In attesa che la questione venga trattata in un piano di maggiore envergure, lo Stato Maggiore francese sarebbe non solo disposto, ma anzi desideroso di cominciare a studiare il problema in concreto con lo Stato Maggiore italiano. Queste conversazioni, anche se non decisive, non potrebbero aver luogo se non ci fosse almeno prima l'assicurazione che esse non saranno poi smentite bruyamment dai Governi. Per parte sua si farà parte diligente per avere questa autorizzazione dal Governo francese; bisognerebbe che i militari italiani facessero altrettanto. Ha detto che questa è la decisione dell'esercito francese: la marina francese non è disposta a prendere iniziative in questo senso, ma se ci sono direttive di Governo seguirà con disciplina.

Maugeri, che torna a Roma dopo un breve soggiorno in Svizzera, ti parlerà lui stesso della conversazione con maggiore dettaglio.

Per mia parte vorrei aggiungerti:

l) Il generale Revers, personalmente, è realmente convinto di quello che dice: è realmente convinto della necessità della collaborazione militare con l'Italia: questo mi consta da tempo e da varie parti, anche se ci sono nello Stato Maggiore francese correnti meno favorevoli. Ha grandissima autorità: è candidato capo di Stato Maggiore dell'esercito europeo.

2) Il Governo francese molto difficilmente farà il primo passo: teme sempre che un suo primo passo ingeneri in noi la tentazione di monnayer l'adesione subito: bisognerebbe quindi che il primo passo lo facessimo noi.

Attendo tue notizie e da parte mia ti comunicherò quel che mi dice Revers. Egli mi ha aggiunto che politicamente il maggiore ostacolo qui alla politica con l'Italia è I'M.R.P. (Bidault eccettuato). Intende per questo nei prossimi giorni inviare una persona di sua fiducia presso il Vaticano per chiedere si faccia una pressione in senso favorevole a noi presso l'M.R.P. 1•

480 1 Per il seguito della questione vedi D. 517.

481

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1062/17185/3570. Parigi, 4 ottobre l 948 1•

Non ho risposto prima al te l espresso di V.E. n. 31 Il 044 del l O settembre2 perché volevo attendere di averne possibilmente parlato con Schuman a cui avevo espresso il mio desiderio di vederlo specificando l'argomento. Schuman, evidentemente non eccessivamente interessato, mi fa rispondere periodicamente che, trattandosi di argomento che merita discussione un po' lunga è spiacentissimo che le gravi occupazioni di questo periodo non gli permettano di dedicarmi il tempo che egli desidererebbe, eccetera.

Ne ho nel frattempo parlato varie volte con ChauveP e pur riservandomi la eventuale futura conversazione con Schuman, ritengo opportuno cominciare ad informarne V.E. soprattutto in vista delle informazioni di un qualche interesse che mi ha dato oggi.

La conversazione con Schuman sarà del resto puramente formale perché non mi dirà nulla di più e di diverso di quello che mi ha detto Chauvel.

Nella prima nostra conversazione Chauvel mi ha detto di avere studiato con molta attenzione il nostro memorandum4 : la sua impressione era che si trattava di un approach del tutto differente da quello francese. Mentre il Governo francese, facendo sue le proposte della commissione, diciamo così, privata, tendeva ad arrivare alla costituzione di una Assemblea europea consultiva, la quale avrebbe a sua volta dovuto avanzare delle proposte concrete ai singoli Governi, noi proponevamo una serie di atti concreti partendo sostanzialmente dalla organizzazione europea già esistente, l'O.E.C.E. Il Governo francese preferiva mandare avanti la sua proposta, ormai appoggiata dal Belgio, senza avanzarne altre che avrebbero potuto servire di facile pretesto a deviare la discussione: qualora la proposta francese sia nella sua forma originale o in forma altrimenti adattata si fosse mostrata irrealizzabile, allora ne avremmo potuto avanzare congiuntamente una seconda, partendo dal nostro memorandum.

Gli ho fatto osservare che non vedevo questa contraddizione fra il memorandum italiano e la proposta francese: qualora la proposta francese fosse accettata e noi le auguravamo il miglior successo -si sarebbe semplicemente potuto aggiungere le nostre alle varie proposte nell'agenda della futura Assemblea. L'idea francese di creare una Assemblea europea era una mossa importante e, se accettata, avrebbe potuto costituire un considerevole passo innanzi per la Federazione europea; l'ordine del giorno dei lavori di questa Assemblea mi sembrava invece un poco scarno; la

2 Non rinvenuto.

3 Vedi D. 379.

4 Vedi D. 350, Allegato.

705 redazione di una carta dei diritti dell'uomo west europeo era un bellissimo esercizio di retorica che però, anche se adottato, non avrebbe certo contribuito molto alla felicità delle nazioni europee: il nostro memorandum invece portava una serie di proposte concrete che avrebbero potuto dare una base più realistica ai lavori dell'Assemblea.

Chauvel mi ha detto che avrebbe ristudiato il nostro memorandum sulla base delle nostre osservazioni.

Nella conversazione successiva mi ha detto che si era effettivamente reso conto che le nostre proposte avrebbero potuto, in certo senso, benissimo unirsi e completare la proposta francese: ciò premesso, da parte francese si riteneva però anche preferibile continuare a discutere sulla proposta originale: qualora essa fosse accettata, si sarebbe potuto, in un secondo tempo, fare entrare in tutto o in parte le nostre proposte nell'agenda dell'Assemblea.

Mi ha poi informato che da parte inglese era stata inviata, in risposta al memorandum franco-belga una nota che egli definiva come velenosa. L'Inghilterra non potendo rispondere nettamente di no, aveva poste una serie di domande sedicenti esplicative che però nell'insieme tendevano a dimostrare che la proposta francese era irreale. Da parte francese si stava preparando una nota di risposta: appena pronta, mi avrebbe data, per nostra riservata conoscenza, copia dei due documenti.

Me li ha effettivamente dati oggi illustrandomeli: gli inglesi volevano mettere in iscacco i francesi chiedendo precisazioni su di una serie di argomenti i quali in realtà non avevano nulla a che vedere con la proposta francese. Si trattava di questioni che l'Assemblea stessa avrebbe dovuto discutere: comunque era chiaro dalla proposta francese che l'Assemblea non aveva, in questa prima fase, altra facoltà che di fare delle proposte ai Governi, i quali restavano liberi di accettare o no queste proposte: se e quali poteri avrebbe potuto avere in futuro l'Assemblea europea dipendeva in ultima analisi solamente dai Governi.

Mi ha aggiunto però che questa mattina (2 ottobre) Bevi n e Schuman avevano avuta una lunga discussione dell'argomento da cui era uscita una proposta di Bevin che, bisognava riconoscerlo, non era negativa.

Bevin ha detto a Schuman che vedeva soprattutto due obiezioni alla proposta francese:

I) Questo passo avanti che si voleva far fare all'Unione europea aveva soprattutto in vista una più stretta collaborazione dei Governi sul piano politico e militare: poiché per gli altri scopi esistevano già, o era facile creare delle agencies perfettamente sufficienti. Gli sembrava pericoloso affidare l'iniziativa della trattazione di questi argomenti ad una Assemblea designata dai Parlamenti: i Parlamenti nel designare la loro rappresentanza avrebbero dovuto per forza di cose attenersi ad un criterio proporzionale: questo avrebbe significato che l'Assemblea avrebbe avuto un forte gruppo di comunisti: mettere i comunisti a far parte di una Assemblea destinata a concretizzare una Unione europea che la Russia non vuole, era mettere il cavallo di Troia dentro le mura.

2) Lo scopo di questa Assemblea, anche se non immediato, ma necessario se si voleva fare qualche cosa di più di una semplice accademia, avrebbe dovuto essere il drafting di una costituzione europea. La costituzione inglese non era mai stata scritta: la costituzione europea avrebbe dovuto essere scritta: sarebbe stato estremamente difficile fare accettare al Parlamento britannico, giustamente fiero della sua costituzione non scritta, una supercostituzione scritta.

Schuman ha difeso il progetto francese con vari argomenti, accennando anche alla possibilità di trovare ways and means di ovviare alle preoccupazioni di Bevin. Ha attirato l'attenzione di Bevin particolarmente sulla viva approvazione americana al progetto francese, e sull'eco estremamente favorevole che esso aveva trovato in Germania: due elementi di particolare importanza, specialmente il secondo poiché, mentre sarebbe stato possibile avere l'approvazione americana anche ad altri progetti, nello stato attuale della Germania gli sembrava difficile trovare un altro sistema che permettesse di attirarla nell'orbita della collaborazione europea.

Bevin ha allora detto, premettendo trattarsi di una idea sua personale che avrebbe dovuto discutere con il Governo di S.M., che si sarebbe potuto invece pensare a delle delegazioni emanazioni dirette dei Governi, da riunirsi periodicamente, e frequentemente, e che avrebbero potuto essere presiedute dai presidenti dei Consigli, o dai ministri competenti secondo l'importanza e gli argomenti da trattare di volta in volta.

Schuman gli ha chiesto se egli non aveva in vista, con la sua idea (che a prima vista mi sembra molto più vicina alla nostra che a quella francese), una organizzazione simile al Commonwealth britannico. Sostanzialmente sì, ha risposto Bevin: si dovrebbero avere due organizzazioni parallele: il Commonwealth britannico ed il Commonwealth west-europeo, con l'Inghilterra come trait d'union; organismi che un giorno avrebbero potuto avere anche dei contatti diretti maggiori. Il Commonwealt europeo sarebbe risultato solo più organico, con riunioni più frequenti e più precise, con scopi più determinati.

Sono rimasti d'accordo di continuare ad approfondire l'idea.

Chauvel mi ha detto che il progetto era stata trovato dai francesi interessante: essi non tenevano in modo assoluto alla loro formula: quello che interessava loro era che si facesse qualche cosa di serio e concreto: se si poteva raggiungere l'accordo su di una formula diversa, bisognava accettarla.

Mi ha detto che mi avrebbe tenuto al corrente delle ulteriori conversazioni Schuman-Bevin. Mi ha pregato di considerare come confidenziali i due promemoria rimessimi, e come ultra confidenziali le sue informazioni sul colloquio Bevin-Schuman. Bevin si era fatto promettere di non accennarne per ora a nessuno, nemmeno agli altri firmatari del Patto di Bruxelles. La minima indiscrezione da parte nostra avrebbe messo in grave imbarazzo il Governo francese: gli ho dato le più ampie assicurazioni in proposito.

Ed ora V.E. mi consenta alcune considerazioni di carattere generale.

In quanto mi posso permettere di interpretare il suo pensiero politico -lascio a parte le sue idealità -(mi riferisco soprattutto al suo discorso di Perugia)5 dovrei supporre che, nel presentare il suo memoriale V.E., aveva in vista due obiettivi:

l) dare all'Italia il prestigio morale di farsi antesignana della Federazione europea;

2) facilitare attraverso la formula ideale della Federazione, eminentemente pacifica, l'accettazione da parte di una opinione pubblica mal preparata, di una collaborazione apparentemente meno pacifica, la collaborazione militare.

Con la presentazione del nostro memoriale abbiamo ottenuto un vantaggio effettivo: essere tenuti al corrente dai francesi delle loro trattative con gli inglesi: collaborare cioè, anche se un pò con sistemi de main gauche, alla elaborazione originale dei progetti, il che dovrebbe permetterei di essere fra i soci fondatori. I francesi hanno tenuto questa loro promessa più di quanto credessi: non sono sicuro ci abbiano detto tutto, ma ci hanno indubbiamente detto molto.

Ma più in là i francesi non sono disposti ad andare: i francesi sono pronti a collaborare con noi, ma mai a riconoscerei l'iniziativa: l'iniziativa deve essere francese. L'iniziativa dell'Unione doganale italo-francese è senza alcun dubbio italiana: ciò nonostante V.E. ha visto che i francesi non perdono una occasione per sostenere che l'iniziativa è invece loro. Essi saranno in abbastanza larga misura pronti a prenderei a loro rimorchio: mai a dare anche qualsiasi più lontana impressione di essere loro a nostro rimorchio.

Dei membri del Governo francese alla Federazione europea non ci crede nessuno. Ne parlano perché è di moda parlarne, ne parlano soprattutto perché si vanno convincendo ogni giorno più che se si vuole continuare ad avere dagli americani un certo contributo in dollari, bisogna pure presentare qualche cosa di apparente al Congresso americano. I francesi se ne infischiano della Federazione europea: quello che vogliono è una buona alleanza militare europea, garantita dall'America, finanziata dall'America colla assumption pacifica che dei danari e mezzi la parte preponderante deva andare alla Francia (l'Inghilterra naturalmente è una cosa a parte): una specie di glorified Piccola Intesa: tutto il resto per loro è eyewash. Lo hanno sempre voluto: lo vogliono oggi sempre di più con lo spettro di de Gaulle dietro le spalle. Ora i francesi sanno benissimo che V.E., invece, alla Federazione europea ci crede sul serio e, per questo la temono, e non vogliono che V.E. vi abbia una parte preponderante. È come un uomo che parla di virtù senza averla che teme come la peste il virtuoso vero.

Questo non toglie che alla Federazione europea fra pressione americana e pressione russa ci si arriverà: ma i francesi ci arriveranno lo stesso senza crederci. Per quello che concerne poi gli americani, evidentemente i francesi non consentiranno mai a cedere a noi un primato che essi considerano come assai bene

monnayable.

I limiti della collaborazione italo-francese in materia di Federazione europea sono quindi ben circoscritti nella formula: la France a proposé, l '!tali e a été la première -o la sola -à accepter. Se noi non la accettiamo, o peggio ancora se vogliamo cercare di rovesciare la formula, la Francia invece di aiutarci e di collaborare ci getterà tutti i possibili bastoni fra le ruote. Questi i limiti quando parliamo -o agiamo -di collaborazione con la Francia. Noi possiamo evidentemente -e in molti casi con ragione -reclamare il primato: oltre alle conseguenze che una lotta di primato può avere sulla collaborazione effettiva, bisogna tener presente che Roma come altoparlante, non è in grado di fare concorrenza a Parigi.

Un altro ostacolo è la persona di Spaak. È interessante seguire l'abilissima manovra di questo uomo, intelligente ma ambizioso e per cui i confini del natio Belgio sono evidentemente troppo piccoli. Ha inventato un Benelux che non esiste altro che a parole: ha eclissato i suoi colleghi: di questa costruzione di carta ha fatto la terza grande potenza di Europa: ha emporté de haute tutte un posto di primissimo piano all'O.E.C.E. che sa sfruttare: in pochi mesi è riuscito ad innalzarsi alla pari dei ministri degli esteri di Francia e d'Inghilterra. Spaak a questa sua posizione di terzo grande, in quanto persona non ci rinuncerà mai: e, francamente parlando, vede in Europa un solo concorrente e questo è V.E.: e si può essere sicuri che metterà in moto tutta la sua arte, la sua abilità e la sua influenza, che non vanno sottostimate, per evitare che si crei comunque una posizione che le permetta di portargli via il posto. Miserie mi si dirà: ma gli uomini sono quello che sono, e queste miserie sono delle realtà.

Quindi se noi vogliamo mettere l'Italia in posizione di primato per questa idea della Federazione europea, non bisogna che pensiamo di poterlo fare attraverso la Francia.

Potremmo tentare di farlo soli? Difficile. Roma è metropoli solo in quanto Vaticano: in quanto Italia è una città di provincia e come tale non è un altoparlante di forza sufficiente: portiamo ancora troppo evidente, anche se qualche volta ce ne dimentichiamo, il marchio di ex nemico.

Non so se Londra non si presterebbe di più: bisognerebbe vederlo in un'altra occasione. Comunque questo esula dal mio compito: volevo soltanto farle rilevare quali sono le difficoltà e le limitazioni, insormontabili, di Parigi in questo campo.

481 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

481 5 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 483-496.

482

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, ANTINORI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13385/96. L'Aja, 5 ottobre 1948, ore 14,10 (per. ore 19,30).

Telegramma circolare 10956 del24 settembre1•

Ho interessato questo Ministero affari esteri nel senso richiesto. Vengo informato ora che sono state mandate istruzioni delegazione olandese O.N.U. votare per immediata attribuzione Somalia all'Italia. Per quanto concerne altri territori, delegazione olandese è stata informata nostro desiderio che questione venga rinviata ai Quattro per ulteriore esame: essa peraltro avrà una certa libertà d'azione, nei limiti noto punto di vista olandese.

482 1 Vedi D. 452, nota l.

483

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1883/444. Mosca, 5 ottobre 1948 1•

Mio telespresso n. 1772/418 del 18 settembre2 e mio telegramma n. 341 del 4 ottobre3 .

Fino alla pubblicazione sul n. 40 di Tempi Nuovi che unisco per documentazione (allegato 1)4 l'argomento era stato debolmente toccato dalla stampa sovietica.

L'unico commento alquanto esteso al riguardo risaliva al numero di Komsomolskaia Pravda del 18 settembre, che accludo egualmente (allegato 2t.

Questo articolo non conteneva assolutamente nulla di nuovo, e soprattutto non conteneva alcun accenno ai motivi del cambiamento di rotta sovietico, nei riguardi dei diretti rapporti italo-sovietici. Il giornale dei Komsomol continuava a spiegare il cambio di rotta sovietico come del tutto naturale, come una conseguenza necessaria della opposizione delle tre potenze occidentali alle reiterate proposte sovietiche: occorreva cercare un'altra via più accettabile ai nostri contraddittori -esso in sostanza diceva -e l'abbiamo cercata nella proposta Byrnes del settembre 1945 5 ma neppure con questo mezzo siamo riusciti a raggiungere l'accordo. Era una spiegazione ingenua soltanto in apparenza, perché i sovietici sanno perfettamente che la loro nuova proposta implica essenzialmente l'affacciarsi del loro paese, in veste ufficiale, nel territorio africano, e quindi non potrà mai essere accettata. Evidentemente i sovietici si preparano un buon terreno di discussione alle Nazioni Unite, non tanto con la speranza di ricevere voti, quanto col desiderio di svolgere una buona propaganda e di mettere in imbarazzo gli americani.

Dopo il suddetto articolo, due accenni alla questione delle colonie vi furono nei resoconti dell'assemblea delle Nazioni Unite. Il primo si ebbe quando fu riportato da questi giornali il discorso di Schuman6 : avendo questi dichiarato che la Francia «manteneva la sua linea di condotta» sul problema, i sovietici ebbero buon gioco ad opporre ch'essa non ha continuato a sostenere il trusteeship italiano su tutte le colonie, ma si limiterebbe ora a parlare soltanto della Somalia. II secondo riguardò la discussione circa I' ordine del giorno dell'Assemblea: questa stampa mise in molto rilievo l'insistenza di Malik per la sollecita discussione della sorte delle ex colonie italiane, che egli propose fosse posta al numero quattro dell'ordine del giorno; infine, in via di transazione, aderi a consentire che fosse collocata al numero sei, e così fu deciso.

2 Vedi D. 443.

3 Anticipava il contenuto della polemica verso la stampa italiana e il Governo De Gasperi.

4 Non pubblicato.

5 Vedi serie decima, vol. II, D. 575.

6 Del 28 settembre, edito in «Relazioni internazionali», a. XII (1948), n. 41, p. 679.

Fin qui non si era più rinnovato alcun accenno di polemica anti italiana nei resoconti e commenti circa la questione; le cose sono cambiate invece con la pubblicazione sul n. 40 di Tempi Nuovi, che contiene un breve ma violento attacco contro la stampa italiana e contro il Governo De Gasperi.

Alla stampa (di destra) si rimprovera di avere voluto addossare ai sovietici la responsabilità del mancato trusteeship all'Italia; e la si critica specialmente per avere soppresso, ad arte, ogni riferimento agli accenni due volte fatti da Vyshinsky, a proposito delle colonie, alla elusione del trattato di pace da parte dell'Italia.

Al Governo poi si attribuisce un misterioso accordo, secondo il quale il Governo De Gasperi, tramite il ministro Sforza e l'ambasciatore Tarchiani, avrebbe nientemeno rinunciato alle sue aspirazioni all'Eritrea ed alla Libia, per soddisfare le esigenze militari angloamericane, contentandosi del piatto di lenticchie della Somalia.

Nell'insieme, il trafiletto è assai aspro, e manifesta tutta l'irritazione sovietica per il fatto che l'appoggio datoci in precedenza sulle colonie non sia stato da noi valorizzato e sfruttato, nonché per il fatto che oggi l'Italia continui ad ubbidire agli americani sia nel non dare le navi (questa è l'opinione manifestata dai sovietici) sia nel consentire che le nostre ex colonie diventino basi militari angloamericane.

Io rimango fermo nella mia opinione che l'atteggiamento dell'Italia in generale, ed anche sulla questione delle navi, abbia avuto la sua influenza nel determinare la modificazione della posizione sovietica nei riguardi delle colonie. La prima proposta sovietica non fu puramente una manovra destinata a ingannare gli ingenui, essa ha assunto nel 1946 e mantenuta fino al 1948, ed evidentemente si fondava sulla speranza di avere nell'Italia un trustee, se non amico, almeno prudente e non del tutto devoto ad uno dei Grandi, e desideroso di utilizzare le sue ex colonie in modo indipendente; si fondava pure sulla considerazione pratica, che un fiduciario debole è assai meno pericoloso di un fiduciario forte.

Noi abbiamo ritenuto, per ragioni che si comprendono, di non prendere sul serio l'appoggio sovietico, per il timore che esso, anziché giovarci, ci danneggiasse presso le potenze occidentali, dalle quali dipende in gran parte la maggioranza dell' Assemblea, e quindi il reale potere di disporre del destino delle ex colonie. Timore logico, ma il fatto è che, a quanto mi risulta, la speranza di avere un serio appoggio americano è stata finora delusa, e l'offerta della Somalia ha l'aria di preludere al sacrificio della Eritrea e della Tripolitania, per non parlare della Cirenaica.

Così stando le cose, quali sono, per quanto riguarda l'Unione Sovietica, le prospettive per l'avvenire?

Anzitutto, non vi è dubbio che nella imminente Assemblea dell'O.N.U. i sovietici tuoneranno per la immediata discussione della questione, e cercheranno di valorizzare il più possibile la loro nuova proposta al fine di impressionare l'opinione pubblica con una difesa dei principii anticolonialisti insiti nella richiesta del trusteeship collettivo. Ma se, come è possibile, la maggioranza dovesse propendere per il rinvio della questione, i sovietici finiranno per inchinarsi, pur protestando; essi sanno che la loro proposta non ha alcuna chance, e quando avranno esaurito la loro parte propagandistica, non resterà loro più niente da fare.

Resta però da vedere, in secondo luogo, se non vi sia la possibilità di un risorgere, in via subordinata, della precedente proposta sovietica, nel caso che al rinvio non si giungesse, perché, ad esempio, Dewey risultasse vincitore e fosse già eletto quando il numero sei dell'ordine del giorno verrà alla discussione.

In questa ipotesi la soluzione italiana potrebbe anche presentarsi ad un certo numero dei delegati come una soluzione di ripiego, come il minor male fra le due alternative, del trusteeship collettivo, che significa ammettere l'U.R.S.S. in Africa, e del trusteeship agli inglesi o agli americani, che significa riconoscere a quei territori una funzione essenzialmente coloniale nel senso tradizionale, e soprattutto militare. Io non ritengo che una possibilità di un ritorno dei sovietici a questa soluzione possa essere esclusa, e non penso neppure che essa dovrebbe essere mercanteggiata nei loro riguardi con dei sacrifici da parte nostra. Occorrerebbe semplicemente far sentire ai sovietici che apprezzeremmo tale ritorno, e d'altra parte agire sui vari Stati membri dell'O.N.U. in modo opportuno per impedire almeno la formazione della maggioranza dei due terzi su una soluzione a noi contraria, in modo da rendere necessario, o il rinvio, o una soluzione a noi accettabile. AI riguardo ho trovato assai interessante il quadro predisposto dal nostro osservatore presso le Nazioni Unite (te l espresso ministeriale n. 3/889/c. del lo settembre)1 dal quale appare che i sei Stati slavi, gli otto Stati arabi, i diciotto Stati del gruppo latino americano potrebbero, nei varii casi, formare quantomeno quella minoranza di un terzo (19 Stati) che bloccherebbero le proposte sfavorevoli.

Ma tutto ciò non è di mia competenza; io resto a disposizione del Ministero per gli eventuali sondaggi e passi presso questo Ministero, se essi saranno ritenuti opportuni, e mi astengo da ogni iniziativa che possa pregiudicare la condotta generale della delicatissima questione.

483 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

484

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1907/455. Mosca, 5 ottobre 1948 (per. il 18).

Riferimento: Mio telegramma n. 3401• A seguito del telegramma in riferimento trasmetto la copia, in lingua francese, dell'appunto rimessomi da Molotov il 4 corrente2 .

Devo coll'occasione confermare quanto ho fatto presente col telegramma in riferimento e cioè che la convocazione al Kremlino da parte di Molotov di un capo missione vuoi sempre significare che la questione che forma oggetto di tale convocazione riveste, nel pensiero sovietico, una particolare importanza: questa procedura viene di solito usata nei riguardi dei capi missione d'America, Gran Bretagna

2 Non pubblicato.

e Francia in occasione di pendenze d'interesse internazionale. Le normali questioni vengono di solito trattate dai vice-ministri, ciascuno per le zone di propria competenza.

Questo per quanto riguarda la forma. Per quanto concerne la sostanza del passo di Molotov essa è naturalmente materia di congettura, specialmente per quanto concerne la connessione che il Governo sovietico intende applicare tra la questione delle navi e quella delle trattative commerciali in corso.

Un discreto ed indiretto sondaggio da me fatto al riguardo è rimasto, come ho comunicato nel telegramma in riferimento, senza concreto risultato, data anche l'evidente intenzione dimostrata da Molotov di limitare l'oggetto del cortese ma breve colloquio al puro e semplice pressante sollecito dell'esecuzione da parte nostra delle clausole navali del trattato di pace.

Ogni altra speculazione al riguardo mi sembra aleatoria ed incerta, e non ritengo utile di svolgere al riguardo considerazioni che potrebbero, in mancanza d'indicazioni concrete, dimostrarsi fallaci od inesatte.

Resto in attesa di cortesi comunicazioni al riguardo 3 .

483 7 Ritrasmetteva il D. 317.

484 1 Vedi D. 477.

485

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1083/17417/3621. Parigi, 5 ottobre 1948.

La conversazione La Malfa-Harriman si è svolta Maccaferri funzionando come interprete. Credo ti possa interessare il resoconto esatto della conversazione che ho fatto mettere giù da Maccaferri. Maccaferri mi ha aggiunto come suo commento che la conversazione è stata francamente spiacevole.

La Malfa mi ha poi parlato della situazione dei negoziati di Mosca per quello che concerne le riparazioni. Anche a costo di fargli dire che mi occupo di cose non mie vorrei farti presente al riguardo alcune considerazioni:

l) non ritengo che la questione dei prezzi 1938 sia da parte sovietica una semplice manovra. Come tu sai, i prezzi 1938 fanno base a tutti gli accordi di riparazioni conclusi dalla Russia con altri satelliti come specificato dalle Convenzioni di armistizio. A parte il loro normale appetito, i russi si troverebbero in difficoltà ad ammettere un trattamento più favorevole ali 'Italia che non ai loro satelliti. Il massimo che potrebbero concedere i russi spontaneamente potrebbe essere un impegno, dopo un certo tempo e dietro certe condizioni politiche, di ridurre mettiamo del 50 per cento la somma totale delle riparazioni dovute dall'Italia;

2) La Malfa mi ha detto che è sua intenzione, qualora i russi insistano sui prezzi '38, di rompere il negoziato. Questo va benissimo. Personalmente però io vi consiglierei di trattare molto chiaramente e molto esplicitamente la questione delle riparazioni con gli americani. È difficile prevedere quali saranno le relazioni fra Russia e Stati Uniti tra un anno: ma se non c'è un gravissimo peggioramento delle relazioni, non ci sarebbe da sorprendersi se al momento decisivo gli americani prendessero un atteggiamento molto simile a quello che essi hanno preso per la questione delle navi: dirci cioè che essi non possono mettersi dalla parte del torto, che non vogliono prendere l'iniziativa di non rispettare i trattati, eccetera ...

In linea generale, e con riserva di tutte le considerazioni di carattere interno, mi sembra che converrebbe finire per cedere sulla questione delle navi nella quale a testo di trattato abbiamo torto, il che ci metterebbe in migliore situazione per resistere ai prezzi '38 ed alla questione dei beni dove invece, ai termini del trattato, sono i russi che hanno torto. Questo renderebbe la nostra posizione più forte di fronte ai russi e in un certo senso, anche di fronte agli americani.

Dovremo poi porre agli americani tre questioni precise: l) che cosa intendono noi dobbiamo fare nei riguardi dei russi per quello che concerne la questione delle riparazioni; 2) intendono loro appoggiarci, fino a che punto e con che mezzi, nella questione dei prezzi del '38? 3) fare rilevare loro che la questione per le riparazioni è anch'essa connessa con la questione delle merci proibite per la Russia.

Finché si tratta di accordi commerciali, gli americani possono sostenere che dipende da noi l'accettare o non accettare certe ordinazioni dalla Russia. Ma quando si tratta di riparazioni, se la Russia ci ordina delle petroliere per esempio, e ci dà le materie prime come previsto dal trattato, non siamo certo noi soli che possiamo rifiutarci di accettare questa ordinazione che non è certo libera.

Secondo quanto mi ha detto La Malfa della questione delle riparazioni russe, con gli americani è stato trattato solo in linee vaghe. Se questo è esatto, credo che sarebbe venuto il momento di parlare con tutta chiarezza e precisione.

Tu sai qual è stato il mio pensiero generale sull'opportunità dell'invio della missione La Malfa in Russia1 , ma dal momento che è stato fatto e che la questione delle riparazioni è stata apertamente messa sul tappeto, mi sembra non privo di rischio, anche per le sue ripercussioni di politica interna, di assumere oggi una posizione assolutamente negativa, far fallire interamente i negoziati e poi, fra un anno, vederci arrivare una nota americana o magari una nota a quattro in cui ci si invita a rispettare gli obblighi assunti con il trattato di pace nei riguardi della Russia. Dopo tante che ne abbiamo viste in questa materia, ammetterai che la mia preoccupazione non è del tutto infondata.

ALLEGATO

IL CONSOLE MACCAFERRI ALL'AMBASCIATORE QUARONI

APPUNTO. Parigi, 4 ottobre 1948.

Al colloquio dell'on.le La Malfa con l'ambasciatore Harriman, hanno assistito il sig. Mac Daniel e il sig. Forrestal, rispettivamente capo e vice capo della Direzione per il commercio tra l'Oriente e l'Occidente, un segretario dell'ambasciata d'Italia a Parigi e un interprete.

La conversazione ha avuto inizio con la richiesta di Harriman di conoscere l'andamento delle trattative della missione commerciale italiana a Mosca.

La Malfa ha fatto una breve esposizione della missione in Russia in vista di raggiungere un accordo per il trattato di commercio, gli scambi commerciali e le riparazioni. Allo stato attuale le trattative sono ferme in attesa dell'esame da parte del Governo italiano delle proposte russe.

Harriman: Che cosa vi offrono i russi?

La Ma(fa: I russi sono disposti a fornire grano, acciaio, ghisa, minerali di nickel di rame, concimi chimici, materie prime per la costruzione di macchine utensili. Harriman: A quanto ammonta la cifra degli scambi commerciali previsti? La Malfa: 30 miliardi di lire all'anno per un periodo di tre anni. Harriman: Quali sono gli ostacoli riscontrati nel corso delle trattative? La Ma(fa: In base alla clausola della nazione più favorita l'Italia verrebbe a concedere

agli stranieri lo stesso trattamento che per i nazionali. Naturalmente i sovieti non sono disposti a concedere lo stesso trattamento che per i propri cittadini. Mosca vorrebbe che gli scambi fossero effettuati tra Governo e Governo, noi invece tra industria italiana ed i russi.

Per le riparazioni i sovieti hanno espresso l'opinione che debba essere presa come base il valore del dollaro nel 1938, a somiglianza di quanto avvenuto con la Finlandia e l'Ungheria. Questo avrebbe per noi come conseguenza di raddoppiare il peso delle riparazioni mentre non siamo tenuti a questo da alcun articolo del trattato di pace.

Sono inoltre sorte alcune difficoltà per determinate forniture richieste dai russi nella loro lista. Ne è stato anche parlato con alcuni funzionari dello State Department durante il mio breve soggiorno a Washington.

Harriman: Interessa molto prendere esatta conoscenza della lista russa. Che cosa hanno chiesto i sovieti? La Malfa: Tessili, macchine, utensili, locomotori, navi miste di medio tonnellaggio, petroliere fino a quattromila tonnellate.

Harriman: E su quali forniture vi sono difficoltà da parte del Governo italiano?

La Malfa: Nei settore navi, tra l'altro le petroliere per le quali vi sarebbe da fare una distinzione tra navi esistenti e nuove costruzioni. Harriman: Ha parlato della questione anche a Washington? E cosa ne pensavano? La Malfa: Ho ricavato l'impressione che non ci dovrebbero essere grosse obiezioni da

parte degli americani.

Harriman: Questo mi sorprende perché anche in una recente telefonata Hoffman mi ha detto che il punto di vista americano era di evitare le forniture di petroliere ai sovieti. Questa decisione era stata presa dopo lungo e attento esame nelle più alte sfere. Si ricorda con chi ha parlato a Washington?

La Malfa: Non mi ricordo con esattezza i nomi ma si trattava di funzionari del competente ufficio dello State Department. Mi hanno dato l'impressione che sarebbe forse stato possibile impegnarsi per la costruzione di piccole petroliere da consegnarsi tra tre anni, dato che in questi tre anni molte cose potevano succedere.

Harriman: Capisco. Però non vedo come si potrebbe giustificare di fronte all'opinione pubblica americana una volta pubblicato l'accordo. L'opinione americana vedrebbe questo molto sfavorevolmente. Ne riparlerò in ogni modo con Washington. E che cosa altro di particolare chiedono i russi?

La Malfa: I russi ci hanno chiesto dei locomotori.

Harriman: Quanti? Perché quello che ci interessa oltre alla natura dei prodotti è anche la quantità. La Malfa: Da quello che mi ricordo circa cinquanta. Harriman: E sa più o meno di quale potenza? La Malfa: Io non sono un tecnico. Però si tratta di locomotori normali quali sono in uso

in Italia, che possono trainare una trentina di vagoni. Mi sembra che siano di circa 50 cavalli.

Harriman: Si tratterà forse di cavalli piuttosto robusti.

La Malfa: Saranno allora 50 kilowatts. Io non sono un tecnico e non ho questi dati con esattezza. Harriman: Sono locomotori a scartamento largo o a scartamento doppio? La Malfa: No. Sono a scartamento russo e credo che sia difficile adattarli allo scartamento europeo.

Harriman: I russi che cosa altro volevano? Hanno chiesto cuscinetti a sfere?

La Malfa: Sì, i russi hanno chiesto dei cuscinetti a sfere sia normali che di precisione. Avevano anche avanzato richiesta per un impianto di cuscinetti a sfere simile a quello fornito dal nostro Governo nel 1934. A questo abbiamo senz'altro detto di no.

Harriman: Per i cuscinetti a sfere normali, sta bene. Per quelli di precisione non sarebbe il caso di aderire alla richiesta russa. E per le forniture all'Italia di acciaio i russi hanno dimostrato di avere qualche difficoltà?

La Malfa: I russi sono restii a fornire tutto il quantitativo richiesto però è mia impressione che non siano troppo a corto di acciaio. Harriman: Ricapitolando, la cosa importante è per gli americani di conoscere i dettagli tecnici delle forniture richieste dalla Russia.

Mac Daniel: Effettivamente per noi ha molta importanza avere dei dettagli molto esatti. È stato recentemente riscontrato che per la questione delle petroliere già esistenti il Governo italiano aveva detto trattarsi di vecchie navi economicamente poco sfruttabili, mente invece erano petroliere costruite negli ultimi tre anni. Questo, non implica naturalmente affatto un apprezzamento nei riguardi del Governo italiano, ma serve a ribadire l'importanza di avere dati esatti.

La Malfa: Ignoro completamente la questione, che non ha formato oggetto di trattative con Mosca. Io mi sono solo occupato delle nuove costruzioni.

Harriman: La cosa migliore, trattandosi di questioni tecniche, è che vengano trattate dagli esperti a Roma. L'esame dei dettagli può essere fatto dal capo della missione E.C.A. in Italia, Zellerbach, e noi possiamo tenerci in contatto con lui. Il Governo americano vede con favore le trattative in corso e si augura che possano essere condotte felicemente a termine.

Questo sia perché così l'Italia può procurarsi delle materie prime e dei prodotti di cui necessita al di fuori dell'aiuto dell'E.R.P., sia perché così la Russia viene a trovarsi in un rapporto di dipendenza dai paesi occidentali per quanto riguarda la possibilità di procurarsi alcuni prodotti di cui l'economia russa abbisogna.

E con chi ha avuto occasione di trattare a Mosca?

La Malfa: Con Malenkov.

Harriman: Lo conosco bene. Ho avuto da fare anch'io con lui. È molto vicino a Stalin. Segue benissimo le direttive dategli, ma è come se fosse sulle rotaie. Non si può farlo deviare; per di più è armeno. Capisce cosa voglio dire. È uno che ha nel sangue la maniera di pensare degli orientali. Ci vuole molta pazienza con i russi. Più pazienza di loro. E anche molta fermezza. L'accordo è difficile ma non è impossibile. L'importanza è di non includere in esso prodotti che in base alla comune politica americana ed italiana possano venire giudicati come utili alla preparazione bellica della Russia. Il Governo americano tiene

molto a questo e le conseguenze dell'inclusione nelle forniture alla Russia di prodotti che non fossero ritenuti consigliabili da inviare ai sovieti potrebbero essere serie.

P.S. Il colloquio, che è durato circa un'ora, ha avuto un andamento piuttosto lento e formale data la necessità di servirsi di un interprete.

484 3 Vedi D. 493.

485 1 Vedi D. 297.

486

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 9088/3316. Washington, 5 ottobre 19481•

Riferimento: Dispacci ministeriali n. 1284/c. del 31 agosto scorso, n. 1342 del 22 settembre scorso2 e n. 1356 del 27 settembre scorso3 . Telegramma di V.E. n. 492 e telegrammi di questa ambasciata n. 7074 e 804/5/6/75 .

Per riprendere i contatti con lo State Department, dopo due mesi di assenza ho avuto oggi una conversazione d'oltre un 'ora col direttore generale degli affari europei, Hickerson (che in questo momento è secondo soltanto al sottosegretario Lovett, per le cose italiane) presente Dowling, capo dell'ltalian desk.

Da precedenti colloqui avuti dall'incaricato d'affari Di Stefano con lo stesso Hickerson, Reber e Dowling (riferiti a Roma succintamente6 e a me nei particolari) sapevo che il mio interlocutore mi avrebbe intrattenuto, più o meno esplicitamente, sulla questione dell'adesione italiana all'Unione Occidentale perché, ultimamente, era divenuta argomento dominante allo State Department. Inoltre, ero a cognizione della molto decisa elencazione di desiderata americani fatta da Reber ad un segretario dell'ambasciata nostra a Londra, e da questa riferita col telegramma del 15 settembre7 , corrispondente grosso modo alle opinioni e ai consigli espressi qui. Perciò a mio parere era ormai necessario conoscere i termini più esatti possibili della nuova o almeno assai rafforzata, posizione americana a tal proposito.

In effetti la prima osservazione di Hickerson è stata diretta a constatare che avevamo evitato di parlare con sufficiente chiarezza, e attenendosi all'argomento, con Londra e con Parigi.

2 Vedi rispettivamente D. 375 e D. 436, nota 4.

3 Non pubblicato.

4 Vedi DD. 390 e 385.

5 Del 6 ottobre, con il quale Tarchiani aveva anticipato le notizie contenute nel presente documento.

6 Vedi D. 385.

7 Vedi D. 423.

Ho subito osservato che entrambe le nostre ambasciate avevano avuto istruzioni al riguardo, e che Gallarati Scotti, oltre i precedenti, aveva avuto un colloquio con Bevin il 20 agosto. Ho ricordato a Hickerson che Bevin aveva precedentemente mostrato scarsissimo interesse circa tale argomento, limitandosi a dire che «non voleva mettere in imbarazzo» il Governo italiano, il che era stato interpretato, anche da me, come un modo di evitare precisazioni. D'altronde Io stesso State Department, e l'ambasciatore Dunn a Roma, mi avevano parecchie volte lasciato intendere che gli inglesi e -più moderatamente -i francesi non mostravano alcuna premura di averci, eventualmente, nell'Unione Occidentale.

Hickerson a tal riguardo ha ripetuto quello che aveva già lasciato intendere Reber. Le conversazioni tra Bevin e Gallarati Scotti sarebbero state erroneamente interpretate, secondo le informazioni americane (telegrammi di Douglas del resto non direttamente documentati). Bevin avrebbe varie volte detto «che l'Italia non aveva mostrato alcun desiderio di entrare nella coalizione difensiva creata col Patto di Bruxelles. Perciò egli non si sentiva di enunciare proposte o estendere inviti che avrebbero potuto essere male accolti».

Hickerson ha poi aggiunto che, anche nelle recenti riunioni di Washington, inglesi e francesi hanno messo in luce l'atteggiamento non ben definito del Governo di Roma a questo proposito, i francesi facendo anche notare che la posizione italiana è sommamente importante per la possibilità e l'orientamento della loro difesa. Sarebbero perciò ansiosi di avere assicurazioni ferme.

Ha notato poi, con insistenza, che le recenti dichiarazioni di uomini politici e le polemiche in giornali, non comunisti e socialisti, italiani, avevano confermato in America la impressione che l'opinione pubblica nostra fosse piuttosto disorientata e che il Governo non facesse uno sforzo sufficiente e continuativo per avviarla sulla via della ragione e del prevalente interesse del nostro paese. Ho risposto accennando a quanto si era fatto e soprattutto a quanto si intendeva fare, specie se avessimo potuto disporre dei mezzi necessari.

Di fronte a mie obiezioni, osservazioni e citazioni dei precedenti colloqui, Hickerson ha sostenuto -come era ovvio -che non vi è stato mutamento nelle vedute del Dipartimento di Stato: ora soltanto le idee e le posizioni si sono precisate. E mi ha elencato quali sono oggi i desiderata degli Stati Uniti, anche a suo dire, a salvaguardia dei massimi interessi italiani.

l) Educare, il più rapidamente possibile, e con ogni mezzo di pubblicità a disposizione, l'opinione pubblica all'idea che l'Italia-nazione democratica e occidentale -deve preservare la sua indipendenza, le sue libertà fondamentali, la sua civiltà mediterranea e cooperare alla conservazione della pace, aderendo ad una formazione difensiva che ha tutti questi scopi, e che sola può garantire -sviluppandosi progressivamente -l'assestamento economico, le frontiere e la integrità nazionale;

2) il Governo italiano deve orientarsi (make up its mind) verso l'idea dell'adesione all'Unione Occidentale e comunicare confidenzialmente questa sua visione a Washington, a Londra e a Parigi;

3) l'invito che non è ancora venuto può venire, ma Londra e Parigi devono essere assicurate, confidenzialmente, che non sarà rifiutato dal Governo italiano, e che questo non si troverà in condizione di dover eventualmente retrocedere di fronte a forti agitazioni e ad una opinione pubblica ostile;

4) l'adesione dell'Italia, se vorrà avere vasti effetti e benefici, dovrà essere basata su una sola condizione: quella del comune sforzo con ogni mezzo per la salvaguardia dei confini e dell'integrità nazionale. Tutti gli altri problemi in sostanza secondari rispetto alla tutela del!' esistenza nazionale e che sono già in discussione tra l 'Italia ed altre nazioni dell'Unione Occidentale, saranno poi trattati e risolti nella nuova atmosfera che risulterà dallo stato di alleanza e dalla somma di comuni interessi che ne deriveranno;

5) non dovremmo, principalmente, proporre ora la soluzione di questioni, come quella del trattato di pace, che non si possono liquidare in sede di diritto internazionale o di Nazioni Unite, perché il veto russo può inceppare ogni procedura. La questione del nostro riarmo ed altre possono benissimo essere risolte in sede tecnica e nel fatto, di comune accordo. Quello che occorre -nel prossimo periodo all'Italia, è una solida copertura che permetta il tempestivo intervento di forze adeguate di rincalzo e di aiuto, europee ed americane, e questo -secondo Hickerson -può farsi anche nei limiti del trattato;

6) l'Unione Occidentale con la garanzia americana (cioè con l'impegno come nel Patto panamericano e secondo la mozione Vandenberg -d'intervento nel caso che qualsiasi membro sia aggredito) non esiste ancora, perché questa garanzia non potrà venire che tra qualche mese, con la conseguente adozione da parte del Congresso di un progetto di legge che fornisca fondi per il riarmo di detta Unione in modo da permetterle -insieme con gli Stati Uniti -di assicurare la difesa collettiva di ciascun suo membro. Ma poiché a questa combinazione si giungerà (qualunque sia l'esito delle elezioni, perché la bipartisan foreign policy è proclamata e assicurata da tutti i leader) il Dipartimento di Stato opina che convenga all'Italia, nell'interesse suo e dell'Occidente cui appartiene -cominciare a far conoscere opportunamente (e in via strettamente confidenziale finché lo ritenga opportuno) alle tre maggiori capitali interessate il suo pensiero, preparando intanto con somma cura una favorevole opinione prevalente nella maggioranza degli italiani. La presa di posizione dell'Italia potrebbe inoltre contribuire molto anche a scoraggiare spiriti di avventura bolscevica.

Ho replicato ad Hickerson, in risposta a sua esposizione, elencando i propositi e le opinioni espressemi dal presidente del Consiglio e illustrando le istruzioni impartitemi a più riprese dal ministro degli esteri, insistendo particolarmente sulla questione di opportunità, tempestività e reale utilità ed efficacia dell'azione del Governo di Roma. Per confortarlo e fidarsi ancor più nel buon senso italiano e nelle opinioni salienti manifestatemi dal Pontefice.

Hickerson ha dichiarato di apprezzare vivamente i sentimenti e le direttive del nostro Governo e si è mostrato felicissimo dell'orientamento del Papa. Stimava però fosse giunto il tempo di fare qualche passo innanzi, sia pure per ora in forma del tutto amichevole e segreta.

A questo proposito gli ho parlato assai nettamente della utilità dei contatti e delle conversazioni militari, anche perché mi constava da indiscrezioni che il generale Bradley, capo dello Stato Maggiore americano, avrebbe espressa l'intenzione di invitare a Washington per una visita il generale Marras.

Hickerson ha detto che tali contatti e conversazioni sarebbero stati certo opportuni non appena chiarita convenientemente l'atmosfera politica, ma non mi ha accennato per nulla all'iniziativa per Marras.

Ho specialmente intrattenuto Hickerson sulla questione delle nostre colonie. Ha lasciato intendere che nulla di essenziale è perduto, e che, in un clima di amicizia, di fiducia e di cooperazione, potrà avere migliori soluzioni che non oggi. Ma che non bisogna, specie con gli inglesi, metterla innanzi come condizione abbinata e preponderante; ché proprio questo avrebbe suscitato già dissapori e diffidenze.

Ho sostenuto su ogni punto fermamente la controparte, pur rendendomi conto che l'esposto di Hickerson era ben meditato e predisposto, e che assai difficilmente si potrà (per il momento almeno) distrarre lo State Department da questa linea di idee e di condotta8 .

In ogni modo trattandosi di questioni della più alta importanza per noi, ho pregato Hickerson di procurarmi uno scambio di vedute con il sottosegretario di Stato Lovett. Il che ha promesso di fare 9 .

486 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A PRAGA, FRANCO, E A VARSAVIA, FERRETTI

T. S.N.D. 11413/c. Roma, 6 ottobre 1948, ore 19.

A seguito mancato accordo fra i Quattro questione colonie è stata come noto deferita all'O.N.U. come previsto da trattato pace. A nostro avviso stesse divergenze che si sono prodotte fra i Quattro si verificheranno in scala anche maggiore in seno Assemblea ove essa fosse investita del merito questione e non sarà possibile raccogliere prescritta maggioranza due terzi su alcuna proposta soluzione il che avrà conseguenza indefinito permanere attuale statu qua.

9 Il colloquio non ebbe luogo per le ragioni comunicate da Tarchiani con il D. 511. Per la risposta al presente documento vedi D. 525.

Nostra opinione, allo stato attuale delle cose, è pertanto che converrebbe cercare intanto ottenere da Assemblea voto favorevole attribuire subito all'Italia amministrazione fiduciaria Somalia (per cui i Quattro si erano già dichiarati d'accordo) e reincarico ai Quattro di continuare per un altro periodo di tempo ricerca soluzione per altri territori cui sorte non dovrebbe però venire ora in alcun modo compromessa. Proposta di tale natura mentre consentirebbe superare uno dei problemi in esame (Somalia) lasciando impregiudicati gli altri, non avrebbe carattere ostile Unione Sovietica (chiamata con altri Tre continuare studi), eviterebbe discussione o presa di posizione sul merito da parte Assemblea, e potrebbe più facilmente incontrare

. .

approvaziOne maggiOranza. Ne intrattenga codesto Governo'.

486 8 Hickerson riferì in sintesi su questo colloquio nel Memorandum per Lovett del 7 ottobre avente ad oggetto «ltaly and Western European Defense Pact» edito in Foreign Relations of the United States, 1948, vol. III, cit., pp. 260-262.

488

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. 11415/212. Roma, 6 ottobre 1948, ore 23,45.

Suoi 206 1 , 21!2, 214 e 2173 .

Ministro Schwarzenberg rimessomi ieri appunto sulle doglianze del mm1stro Gruber scritto evidentemente da costui sotto impressione pettegolezzi ed equivoci tirolesi. Ministro Schwarzenberg era molto poco fiero del messaggio che mi portava. Fu molto soddisfatto che non trattenessi ma restituissi il suo foglio dicendogli che volevo ritenere solo quanto serviva ai più intimi rapporti fra noi.

Nel foglio Gruber lasciava a me di decidere se doveva o meno venire a Roma ed io risposi: «Ditegli che personalmente una visita sua sarebbe gradita ma ci sarà tanto più gradita la certezza che detta visita possa servire ovunque al nostro comune scopo. Se tale scopo è servito meglio protraendola un poco troveremo naturalissimo che egli tenga conto di ciò. A lui tocca di decidere».

Spinsi tollerante cortesia fino a non alludere al caso Krauss. Schwarzenberg partì molto contento. Dopo questa conversazione mi pare pel momento superflua una lettera del presidente del Consiglio.

2 Vedi D. 479, nota 2.

3 Del 5 e 6 ottobre, non pubblicati.

487 1 Per la risposta di Ferretti vedi D. 504. Con T. s.n.d. per corriere 15491/071 del 26 novembre Vanni d'Archirafi riferiva da Praga circa le ripetute favorevoli disposizioni del Governo cecoslovacco verso le tesi italiane in materia di colonie, mentre non è stata rinvenuta risposta telegrafica da Belgrado.

488 1 Del 2 ottobre, con il quale Cosmelli aveva preannunciato l'imminente passo di Schwarzenberg presso De Gasperi per valutare l'opportunità di un rinvio della visita di Gru ber stante l 'atmosfera tesa creatasi a seguito degli episodi di cui al D. 479.

489

L'INCARICATO D'AFFARI A NEW DELHI, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 13658/021. New Delhi, 6 ottobre 1948 (per. il 12).

Con riferimento ai miei precedenti telegrammi e più particolarmente al telegramma per corriere 019 1 ritengo utile riassumere quella che, secondo le previsioni che si possono fare attualmente, sembra essere la probabile linea di condotta indiana nei riguardi delle nostre colonie:

l) prima di tutto l'India cercherà di far accettare la propria tesi dell'indipendenza o -per le regioni riconosciute immature -di un trusteeship dell'O.N.U.; 2) qualora non riuscisse a far approvare la propria tesi, l'India ripiegherebbe sul rinvio dell'intera questione;

3) se anche tale soluzione non apparisse raccogliere la necessaria maggioranza e venissero avanzate proposte di distribuzione, l'India appoggerebbe la concessione all'Italia dell'amministrazione fiduciaria della Somalia mentre per le altre colonie non ha ancora preso una decisione;

4) se si proponesse l'amministrazione fiduciaria italiana per tutte le colonie non mi pare probabile che l'India si possa schierare in nostro favore e ritengo che i suoi rapporti con la Gran Bretagna e con il mondo musulmano la spingerebbero ad opporsi, malgrado le assicurazioni dateci.

In conclusione la soluzione da noi preferita e di cui al telegramma di VE.

n. 282 otterrebbe, probabilmente, l'appoggio attivo della delegazione indiana non solo per l'attribuzione della Somalia all'Italia ma anche per il rinnovo del mandato ai quattro ministri degli esteri per gli altri territori.

490

L'AMBASCIATORE A CITTÀ DEL MESSICO, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2813/570. Città del Messico, 6 ottobre 1948 (per. il 16).

L'appello rivolto ali' Assemblea delle Nazioni Unite, che ha luogo attualmente a Parigi, da parte del delegato messicano Padilla Nervo è stato, all'indomani delle

489 1 Del 28 settembre, non pubblicato. 2 T. s.n.d. 1076!128 del 20 settembre, trasmetteva a New Delhi il D. 437.

dichiarazioni, commentato da questo mm1stro degli esteri, sig. Torres Bodet, con una comunicazione alla stampa che chiarisce carattere e scopi dell'iniziativa messicana, ricollegandola a quello che è sempre stato in proposito l'atteggiamento di questo paese.

Il Governo messicano, che malgrado le sue insistenti richieste si vide escluso dalla stipulazione del trattato di pace con l'Italia, non ha mai cessato dall'affermare il suo diritto a partecipare alla redazione dei trattati di pace, invocando, per sé e per gli altri Stati firmatari, la dichiarazione sottoscritta a Washington nel 1942.

Anche nel momento di accedere al trattato con l'Italia, il Messico rinnovò la sua protesta ed attualmente esso svolge un'azione intesa a riconoscere il suo buon diritto a non rimanere escluso dalla stipulazione dei trattati di pace che ancora restano da definire, particolarmente quello con la Germania.

L'iniziativa del sig. Padilla Nervo a Parigi si inquadra in quest'obiettivo e cerca di sbloccare dalla procedura attuale la trattazione dei più importanti affari internazionali per indirizzarla su vie e con metodi di effettiva parità internazionale. È infatti opinione del signor Torres Bodet che finché la soluzione dei contrasti internazionali rimane circoscritta tra le grandi potenze o trattata in seno all'O.N.U. in condizioni che non permettono a tutti gli Stati di parteciparvi in eguale misura, manca al foro internazionale l'autorità necessaria per raggiungere positivi risultati.

Nelle dichiarazioni fatte alla stampa il 29 settembre, il ministro degli esteri messicano ha precisato che l'iniziativa di Padilla Nervo, se approvata dall' Assemblea, dovrebbe convertirsi in una raccomandazione formale affinché le grandi potenze l) raddoppino i loro sforzi per ottenere, nel più breve tempo possibile, la liquidazione totale della guerra e 2) associno alla elaborazione dei trattati di pace tutti gli Stati che hanno sottoscritto la Dichiarazione di Washington del l o gennaio 1942.

Il Messico, oltre a ricordare nuovamente l'ingiusta esclusione del Messico dalla stipulazione del trattato di pace con l'Italia, ha poi dichiarato che anche in occasione delle conversazioni di Mosca del marzo 1947, il Governo messicano insistette perché la trattazione della pace, interessando l'umanità intera, avesse la maggiore ampiezza possibile. «Da allora, ha affermato il sig. Torres Bodet, le cose, anziché migliorare, non hanno fatto che peggiorare e la liquidazione della guerra attraverso un accordo diretto tra le grandi potenze si è venuta sempre più allontanando».

Secondo il sig. Torres Bodet la iniziativa del Messico indica due possibilità: o che la stessa Assemblea generale delle Nazioni Unite prenda in esame il problema dell'organizzazione della pace, o che si convochi una conferenza speciale avente questo obiettivo.

A giudicare anche dalle poco ottimistiche previsioni che il signor Torres Bodet mi ha espresso recentemente sulla situazione internazionale e sull'Assemblea di Parigi, è lecito ritenere che con l'iniziativa di Padilla Nervo, questo Governo non si faccia troppe illusioni sulla possibilità di modificare sostanzialmente le forme ed i metodi con i quali ci si sforza attualmente di superare i più gravi contrasti internazionali. Più che altro, ritengo che l'appello del Messico all'Assemblea di Parigi abbia lo scopo di far valere gli interessi di questo paese nella sperata definizione del trattato di pace con la Germania e si proponga di confermare quell'aspirazione ad una effettiva parità di diritti e di obblighi internazionali che è uno dei leit-motivs della politica estera del sig. Torres Bodet.

491

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA 9094/3322. Washington, 6 ottobre 1948.

Ieri ebbi una lunga conversazione, per una ripresa di contatti, col direttore generale degli affari Europa, Hickerson, il quale per le faccende nostre è ora il secondo dopo Lovett e suo informatore ed ispiratore. Riferisco nell'unito rapporto su quel colloquio 1•

Arrivando qui ho trovato allo State Department uno stato d'animo assai diverso -per la questione dell'Unione Occidentale-da quello che avevo lasciato alla fine di luglio, derivante sia dalla aggravata situazione internazionale sia dalle riunioni intervenute quest'estate con la presenza di Jebb.

Alla fine di luglio tanto Lovett quanto Hickerson si limitarono ad esprimere senza premere e senza carattere d'urgenza il desiderio americano, sempre premettendo che occorreva intendersi prima con gli inglesi ostili e i francesi tiepidi.

Ora invece si è passati alle sollecitazioni ed ai suggerimenti presenti, come io del resto avevo preveduto probabile nel futuro col mio rapporto del 12 luglio2 , e si è convinti che inglesi e francesi avrebbero mutato stato d'animo.

Di Stefano ebbe il 3 settembre una conversazione con Reber che lei conosce (ora vice direttore generale degli affari Europa e considerato particolarmente esperto nelle cose italiane) e ne trasse l'impressione che, dopo aver tanto esitato e tergiversato, gli americani volevano spingerei rapidamente sulla via di una decisione. Poiché il discorso si svolse in termini generici e furono evitate le precisazioni, Di Stefano cercò poi di informarsi da Dowling (capo dell'Italian desk) per sapere quale valore avesse, Dowling gli disse che aveva quello di esprimere un desiderio ufficiale. Poiché le agenzie annunciarono allora un mio pronto ritorno qui, Di Stefano pensò (pur informando il Ministero sommariamente per telegramma)3 di lasciare a me il compito di approfondire la questione, anche in base alle ultime istruzioni che avrei portate da Roma.

491 Vedi D. 486.

2 Vedi D. 209.

3 Vedi D. 385.

Intanto Reber andava in Inghilterra e precisava assai crudamente il pensiero americano nel colloquio che ebbe con un segretario della nostra ambasciata a Londra e che fu da questa riferito col telegramma del 15 settembre4 , che lei mi ha comunicato con le osservazioni ed istruzioni sue il 27 5•

Altri elementi amici del Dipartimento di Stato si sono fatti eco via via con vari segretari di questa ambasciata delle preoccupazioni e delle tendenze ora prevalenti nell'Amministrazione americana nei nostri confronti a proposito dell'U.O. Data la scarsa consistenza e l 'allarmante instabilità della politica interna francese, i dirigenti dello State Department si renderebbero conto che un'adesione italiana potrebbe rappresentare un immediato accrescimento del valore morale dell'U.O. e poi in seguito del suo valore materiale. Qualcuno dice anche che un tale rafforzamento della non assestata Unione, potrebbe avere notevole influenza come elemento di equilibrio e di pace.

Secondo tale tesi, l'U.R.S.S. non vuole la guerra ora, e può essere ancora meglio indotta a non farla dall'efficienza del riarmo americano e dal rafforzamento efficace e visibile e dal solidale schieramento dell'Europa occidentale. Sì che l'adesione italiana accrescerebbe tale impressione e la probabilità di evitare il conflitto e quindi i pericoli che l'Italia con ragione paventa e vuole allontanare da sé.

Sfrondato il quadro da questi abbellimenti, mi sembra d'intendere, anche dal chiarissimo discorso di Hickerson, che gli Stati Uniti vogliono ora (e Dewey tanto quanto Truman, se non più) fare un bilancio delle posizioni e delle forze su cui possono eventualmente contare con una certa sicurezza.

Da un rapporto che le accludo 6 (oltre quello del colloquio con Hickerson) vedrà come qui si cominci a pensare -specie se dovesse esservi un'amministrazione Dewey-Foster Dulles -a trasformare il piano Marshall, rinvigorito con nuovi fondi, in uno strumento che serva al tempo stesso alla ricostruzione economica e alla preparazione bellica. Sì che, non facciamoci illusioni, è evidente che il trattamento sarebbe quantitativamente e qualitativamente ben diverso per coloro che approfittassero d'entrambi i cespiti, e per coloro che si limitassero ad uno solo, progressivamente ridotto ai minimi termini se non addirittura soppresso o sospeso.

Secondo me, non v'è urgenza immediata di decidere. Si può, intanto, tirare innanzi fino al 2 novembre per conoscere i risultati delle elezioni. Poi si devono calcolare alcune settimane prima che l'amministrazione funzioni e si precisi un piano in favore dell'U.O. (garanzie, fondi, eccetera).

Ma sarà utile continuare i contatti rassicuranti qui, a Londra e Parigi, per scardinare definitivamente ogni diffidenza e trovare la formula che esprima con sufficiente chiarezza le nostre «intenzioni».

Qui hanno detto a funzionari de !l'ambasciata che non credevano opportuno far fare passi a Dunn costà, anche per limitare al massimo i tramiti e dare alle conversazioni il tono più confidenziale ed amichevole. Dunn d'altronde -ignorando gli

5 Telespr. 1356. non pubblicato.

6 Non rinvenuto.

725 ultimi atteggiamenti dello State Department o non conoscendoli a sufficienza potrebbe dare l'impressione che non ci sia nulla di nuovo. (Può anche darsi che vogliano lasciare a Dunn tutto il suo prestigio d'amico dell'Italia, evitando di fargli fare passi che possono essere noiosi e da cui generalmente rifugge). Invece sempre secondo i portavoce del Dipartimento -sono i discorsi fatti a noi che rappresentano, nello spirito e nella lettera, i sentimenti che ora prevalgono e che, come ho detto sopra, derivano principalmente dall'ansia di adunare e valutare le forze di fronte al peggiorare di una situazione che non è ancora ma può divenire decisiva.

Ha assai impressionato la polemica di stampa e i pareri avversi di alcune personalità (ad esempio Saragat). Il suo discorso7 ha invece recato balsamo e così l'atteggiamento della Voce Repubblicana. Ma vogliono essere più adeguatamente e compiutamente rassicurati anche perché inglesi e francesi (sebbene questi più amichevolmente) sembra continuino ad additare qui il solito e in realtà inesistente pericolo.

È naturalmente inutile ch'io la assicuri di aver messo in opera, su tutti i punti, gli argomenti di De Gasperi, suoi e miei per illustrare le difficoltà ed anche i diritti nostri. Sono naturalmente apprezzati, sì che non si sollecita nessuna clamorosa adesione. Ma non si trovano abbastanza fondati per impedire una presa di posizione confidenziale in discussioni amichevoli ed esplicite con le tre capitali.

Le riferirò subito quello che mi dirà Lovett8 . Intanto è mio parere che si possano al più presto fissare le idee ed apprestare l'azione diplomatica da iniziarsi verosimilmente in novembre9 •

491 4 Vedi D. 423.

492

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 9222/3346. Washington, 6 ottobre 1948 (per. il 14).

Già da qualche tempo trapelavano indiscrezioni, direttamente e attraverso la stampa, circa dissensi tra il Pentagono e il Dipartimento di Stato relativi all'opportunità o meno di un radicale mutamento delle direttive politiche nei confronti della Spagna.

pp. 2528-2538.

8 Vedi D. 486, nota 9.

9 Per la risposta vedi D. 525. Il presente documento fu inviato da Tarchiani a De Gasperi con la

seguente lettera personale in data 7 ottobre: «T'invio direttamente -perché non subiscano ritardi -le comunicazioni che ho fatte oggi a Sforza sulla grave questione della nostra adesione all'Unione Occidentale. Come vedi l'argomento diviene scottante e merita la tua viva attenzione. Aspetto istruzioni basate sulla situazione nuova che si è determinata». La lettera è conservata nell'Archivio De Gasperi.

l militari -e particolarmente, si diceva, il Consiglio nazionale di sicurezza avevano più di una volta insistito presso Truman perché gli Stati Uniti riallacciassero normali relazioni diplomatiche con Madrid; ansiosi di far fronte al rapido peggioramento della situazione politica internazionale, questi ambienti militari si richiamavano al concetto strategico di valersi della Spagna -quando la Francia e forse anche l'Inghilterra dovessero cedere -come di testa di ponte e come di perno del sistema difensivo e offensivo statunitense.

Da parte del Dipartimento si ribatteva che gli Stati Uniti, uno dei leaders fra i membri delle Nazioni Unite, non potevano seguire l'esempio di alcuni membri minori che recentemente avevano deciso di non più tenere conto della raccomandazione già da loro accettata in sede di Assemblea generale nel dicembre '46.

A confermare la fondatezza delle voci circa tale disaccordo tra i militari e il Dipartimento, contribuirono particolarmente le interviste concesse dal senatore Gurney dopo il suo incontro con Franco il 30 settembre u.s. a Madrid e la successiva dichiarazione alla stampa dell'incaricato d'affari degli Stati Uniti in quella capitale.

Il senatore repubblicano Chan Gurney, presidente della Commissione del Senato per le Forze Armate, si era recato in Europa, accompagnato da un numeroso gruppo di ufficiali, per assicurarsi della situazione e delle necessità delle Forze Armate americane colà dislocate. Al termine di lunghi colloqui con il generale Vigon, capo dello Stato Maggiore spagnolo e con il generalissimo Franco, il senatore rivelò in una conferenza stampa a Madrid che tra l'altro egli aveva espresso a Franco la sua personale speranza che normali relazioni diplomatiche presto si ristabilissero tra la Spagna e le altre potenze, tra queste compresi gli Stati Uniti d'America. Tornando a Washington Gurney dichiarava il giorno 5 in altra conferenza stampa che egli intendeva favorire l'ammissione della Spagna nell'alleanza difensiva dell'Europa occidentale, includerla nell'E.R.P. e assicurarle aiuti militari da parte degli Stati Uniti quando «opportuni accordi» potessero essere conclusi.

Infatti l'indomani stesso Gurney si incontrava con Forrestal, con i tre sottosegretari militari e con i tre capi di Stato Maggiore raccomandando -secondo la versione del New York Times -<<Una alleanza militare degli Stati Uniti con la maggior parte degli altri Stati anticomunisti, ivi inclusa la Spagna franchista». Anzi, ad alcuni giornalisti che gli avevano ricordato il diverso atteggiamento assunto dal Dipartimento di Stato al riguardo, Gurney, pure ammettendo che egli non aveva discusso la questione con Dewey, riaffermava la sua fiducia che un'eventuale prossima amministrazione repubblicana valesse a modificare tale atteggiamento.

Il giorno 4 il Dipartimento di Stato aveva fatto dire alla stampa -tramite la sua ambasciata in Madrid -che non esisteva alcuna fondamentale diversità di vedute tra il Dipartimento stesso e le Forze Armate statunitensi circa la politica da seguirsi nei confronti della Spagna; si precisava inoltre che la politica del Dipartimento rimaneva ancorata alla raccomandazione del dicembre '46 e che se anche questa avesse dovuto essere annullata o emendata non era comunque prevedibile la nomina di un ambasciatore a Madrid prima della primavera del '49. Infine, sembra che quell'incaricato d'affari, che era stato presente al colloquio tra il generalissimo e Gurney, abbia dichiarato che le opinioni di quest'ultimo non riflettevano quelle del Dipartimento.

Analoghe dichiarazioni venivano fatte qui il giorno stesso nel senso che la politica di Washington verso la Spagna restava immutata: «il Dipartimento spem si affermava -che la Spagna prenderà il suo posto quale membro rispettato delle Nazioni Unite, ma sta agli stessi spagnoli di dimostrare e convincere gli altri paesi che essi ne sono meritevoli».

La notizia -pubblicata il 6 dal New York Times in una corrispondenza parigina del giorno precedente -di una proposta di Marshall a Bevin e a Schuman intesa a chiedere all'Assemblea di annullare la raccomandazione antifranchista del '46 veniva il giorno stesso smentita dal Foreign Office alla stampa e oggi dal Dipartimento in conversazioni con quest'ambasciata.

Può darsi che una vera e propria proposta di Marshall in tal senso non abbia avuto luogo. Sembra improbabile peraltro che della questione non si sia affatto parlato fra i tre ministri, anche perché nessuna formale smentita pubblica è stata opposta al giornale responsabile da parte americana, né al Dipartimento, né a Parigi. Sta di fatto comunque che al Dipartimento, mentre si rileva che l'atteggiamento collettivamente adottato verso Franco non ha conseguito i risultati prefissi, non si nascondono le pressioni esercitate anche sull'opinione pubblica dagli ambienti militari, così che, pure escludendosi oggi l'eventualità di una iniziativa americana di riavvicinamento a Franco, si ammette tuttavia che questo Governo potrebbe rivedere la propria posizione nei confronti della Spagna franchista se e quando l'Assemblea generale a sua volta si inducesse per iniziativa altrui ad annullare la nota raccomandazione.

491 7 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, II, seduta del 28 settembre 1948,

493

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 11447/138. Roma, 7 ottobre 1948, ore 16.

Suo 3401•

Radio Mosca ha dato notizia contenuto nota rimessa a V.E. da Molotov. Stampa la pubblicherà con nostro comunicato a carattere delucidativo precedenti questioni. Siamo spiacenti che passo Molotov sia stato reso pubblico mentre Governo stava esaminando situazione, in occasione anche presenza Roma on. La Malfa, e risposta da dare. Ella può esprimersi costì in tal senso.

Sappia intanto che La Malfa ritorna Mosca entro settimana con istruzioni relative tutte questioni2 .

493 Vedi D. 477. 2 Per il seguito della questione vedi DD. 516, 519 e 521.

494

L'INCARICATO D'AFFARI A DAMASCO, FIGAROLO DI GROPELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13503/48. Damasco, 7 ottobre 1948, ore 16,50 (per. ore 7,30 dell'B).

Seguito telegramma 4 51•

Ho rivisto questo ministro affari esten ntornato ieri Cairo. Egli mi ha detto non essere ancora in grado darmi risposta definitiva su Somalia giacché questione forma ancora oggetto conversazioni Governi arabi. Sua impressione è però che questi Governi, in omaggio noti principi generali, dovranno sostenere punto di vista indipendenza e unità territori coloniali e dare parere contrario qualsiasi tutela. Mi ha confermato tenere particolarmente stabilire relazioni più amichevoli con l'Italia e avere impartito raccomandazione delegato siriano O.N.U. appoggiare nostro paese in ogni questione come Trieste, ammissione Italia O.N.U., rinvio discussione problema Libia, eccetera, che non contrasti con direttive generali politica estera paesi arabi.

495

IL RAPPRESENTANTE IN GIAPPONE, REVEDIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 736/324. Tokyo, 7 ottobre 1948 (per. il 25).

Con mio rapporto n. 432/208 del 18 giugno u.s. 1 e con successivi telespressi ebbi l'onore di segnalare la nuova linea di condotta americana tendente, nell'assenza ed impossibilità di raggiungere la conclusione di un regolare trattato, a creare in questo paese una situazione di peace without peace onde riportarlo ad un certo livello di normalità e di autonomia economica.

È ovvio che agli americani tale nuovo atteggiamento è stato dettato, o meglio imposto, dalla situazione politica generale che ha dimostrato loro la necessità di consolidare in ogni modo questa posizione nell'eventualità di possibili complicazioni.

Mi onoro ora segnalare ali'E.V. le reazioni a tale politica da parte degli altri Stati interessati a questa parte del Pacifico, da quanto si è potuto constatare in questi ambienti.

Ho avuto già l'onore di rilevare (vedi mio telespresso n. 632/295 del 26 agosto u.s-)2 come già da tempo si ebbe qui la sensazione di un progressivo intensificarsi della propaganda comunista nei paesi estremo-orientali in genere, approfittando della confusa situazione dei popoli di questo emisfero. Sembra che Bangkok sia da considerarsi l'epicentro di tale azione. Anche nello stesso Giappone, che oggi è monopolio americano, tale progressiva pressione è stata particolarmente attiva. Solo negli ultimi tempi, però, ossia da circa un mese a questa parte Mosca ha iniziato in pieno un'azione d'appoggio alla propaganda comunista anche nel campo internazionale. È da quel momento infatti che il Governo sovietico ha iniziato un'attiva propaganda attraverso la stampa, nelle riunioni internazionali nonché con direttive ai vari partiti comunisti tendente a dimostrare la necessità di una sollecita pace con il Giappone. Contemporaneamente si sforzava di dare alla propaganda comunista in questo paese e, probabilmente, anche negli altri Stati estremo-orientali un carattere meno, direi così, «panslavista» e più marcatamente razziale con diretti accenni alla «Grande Asia comun i sta».

È chiaro come questa nuova linea di condotta sovietica, molto abilmente concepita, miri particolarmente al Giappone dove è possibile contemporaneamente raggiungere vari scopi: disturbare la posizione americana, ritardare l'opera di ricostruzione del paese dagli americani promossa, dare un valido aiuto al locale partito comunista offrendogli un indiscutibile ed efficace argomento di propaganda, e nello stesso tempo poter dimostrare come proprio nel baluardo americano i comunisti siano riusciti a far sentire la loro voce.

Questo nuovo stato di cose preoccupa vivamente le autorità d'occupazione che temono di vedere arrestato od annullato il processo educativo e d'assestamento da loro condotto, ormai da tre anni, con spirito direi quasi «missionario», rispetto alla popolazione di questo paese. E queste preoccupazioni sono tutt'altro che infondate. Mentre le poche personalità che rappresentano l'attuale classe dirigente giapponese preferiscono continuare nel sistema attuale appoggiandosi sull'assistenza e gli aiuti americani e trovano facile di attribuire all'occupazione le non sempre felici esperienze di politica interna, la gran massa dei giapponesi, specie il gran numero di coloro che si dedicano al commercio minuto, desiderano ardentemente la conclusione di un trattato di pace e la fine dell'occupazione vera e propria. Sempre questi tali elementi, che rappresentano un'entità considerevole della popolazione, non si rendono conto di questo capovolgimento della situazione, dell'impossibilità di raggiungere una pace sollecita, oggetto di tante insistenze, un anno fa, da parte di Mac Arthur ed oggi da parte dei russi.

Mentre questa mtsstone sovietica, specie dopo il ritorno di Derevyanko, si astiene volutamente da ogni manifestazione alleata (non è neanche intervenuta alla cerimonia per la partenza delle prime salme di caduti americani in Giappone, cerimonia a cui tutte le rappresentanze qui accreditate sono state invitate ad intervenire e deporre corone di fiori), Mac Arthur per parte sua stringe i freni nei confronti degli elementi di sinistra, e in particolare dei comunisti che hanno approfittato delle recenti leggi sul diritto di sciopero per lanciare un attacco a fondo e diretto alla politica del Generale. (Vedi mio te l espresso n. 707/314 del 23 settembre u.s. f

Per quanto riguarda l'atteggiamento del Commonwealth britannico non è dato di constatare variazioni sensibili. Tanto l'ambasciatore Gascoigne che il generale Gairdner al loro ritorno da Londra (vedi il già citato rapporto n. 432/208) mi hanno detto che il Governo britannico era certamente ansioso di giungere ad una sollecita conclusione di una pace giapponese giacché era intenzione di Londra di intensificare per quanto possibile gli scambi commerciali fra Giappone e Commonwealth e perché temeva che un ulteriore prolungarsi dell'occupazione militare potrebbe in definitiva danneggiare la situazione interna giapponese. Però essi hanno aggiunto che le decisioni future restano nell'orbita dell'iniziativa americana che ha ora la esclusività del controllo e della difesa del Giappone.

I britannici, infatti, hanno ritirato quasi tutte le loro truppe dal Giappone: i neozelandesi e gran parte degli australiani partiranno nel corrente mese. Verrà lasciato qui soltanto un contingente d'aviazione australiana con compiti più che altro rappresentativi.

A Londra non resterà, in sostanza, che continuare nel non facile compito di coordinare le varie tendenze dei membri del Commonwealth e smussare per quanto è possibile la nervosità degli australiani verso la politica americana nel Pacifico. È più che probabile che questi ultimi, nel corso dell'Assemblea delle Nazioni Unite a Parigi, si dimostrino specialmente attivi nel discutere le varie questioni connesse col Pacifico e la situazione giapponese in particolare. Infatti in questi giorni il collega australiano sig. P. Shaw è stato chiamato a Parigi da Evatt.

Resta ora da considerare sempre rispetto alla pace giapponese l'attuale posizione della Cina, paese che come la Russia (sebbene in forma minore e con tentativi di compromesso) si era opposto un anno fa alla procedura desiderata da Washington per iniziare le trattative di pace.

Da quel momento (vedi mio telespresso n. 698/335 del 20 ottobre 1947)2 Washington sia direttamente, sia pel tramite di questo Comando tentò di far pressioni sulla Cina perché modificasse il suo atteggiamento allo scopo ultimo di isolare politicamente la Russia anche nel campo della pace giapponese.

Da parte di Nanchino, come era dato del resto da aspettarsi, le reazioni sono state assai lente e quanto mai vaghe.

Più significative debbono forse considerarsi le recenti dichiarazioni del gen. Chang Chun, il quale, al suo ritorno da Tokyo, ha dichiarato alla stampa che la chiave di volta della ricostruzione giapponese è nelle mani della Cina, la quale deve ormai abbandonare inutili sospetti e timori e passare ad una politica attiva e positiva verso il Giappone.

N el contempo, anche da parte cinese, si sono udite voci, m tono minore di Mosca, tendenti a dimostrare la necessità di una sollecita conclusione della pace.

Ma tutto questo è da considerarsi oggi come fuori tempo perché connesso con desideri e speranze ormai superate dagli avvenimenti, che hanno capovolta la situazione e fatto sì che oggi, infatti, è proprio da parte degli Stati Uniti che non si vuole una sollecita conclusione di un trattato fin che perdura la presente difficile situazione internazionale.

Per parte del Comando di Tokyo ritengo che per ora si continuerà sulla via da poco iniziata tendente a dare una sempre maggiore libertà ai giapponesi ed un maggiore senso di responsabilità al loro Governo. Ma anche in questo campo si riscontra una profonda discordanza di vedute fra elementi militari e civili che rispecchia un analogo antagonismo fra Dipartimento di Stato e i ministeri della difesa in Washington. Il primo è della teoria che l'esercito debba limitare la propria attività alle installazioni e problemi a carattere praticamente militare, mente i secondi, adducendo la scarsa efficienza dimostrata dalle autorità governative giapponesi, sostengono che il controllo militare in tutti i campi è necessario per assicurare il valore strategico di queste isole e la pronta organizzazione difensiva del paese in caso di emergenza. A queste divergenze di vedute si aggiunge la ridda di idee e suggerimenti usciti recentemente dalla penna di specialisti più o meno familiari con le cose estremo-orientali.

Fra essi è forse utile segnalare per le sue opinioni a carattere drastico l'articolo «Let's get out of Japan» (apparso nelle riviste «Forum» e «Reader's Digest») di Dennis McEvoy, figura ben nota nel giornalismo ed oggi presidente della Camera di commercio americana di Tokyo, nel quale viene suggerito che gli Stati Uniti ritirino immediatamente le miriadi di soldati ed impiegati oggi in Giappone lasciando ai giapponesi di ricostruire essi stessi, con aiuti americani, un prospero Giappone, unica garanzia per combattere l'infiltrazione di ideologie che egli considera dannose.

Con queste interferenze, che si sommano ai difficili compiti della ricostruzione economica, è chiaro come il Comando e le autorità americane si trovino di fronte ad ostacoli e problemi sempre più notevoli.

E a tutto questo complesso di problemi si aggiunge poi il peggiorare della situazione generale anche in Estremo Oriente e quindi pure i problemi a carattere strategico-militare che ne derivano. Oltre alla sempre più allarmante ed infida crisi cinese, alla tuttora precaria posizione della Corea, queste autorità militari non nascondono qualche ansia per le informazioni qui giunte che da parte sovietica si stanno intensificando i lavori agli appostamenti militari della costa siberiana e della Kamchatka, nonché l'acceleramento di quelli per il miglioramento della linea ferroviaria transiberiana.

È ormai palese che gli Stati Uniti stanno anche qui rafforzando ed allargando le installazioni a carattere militare. Aviazione e marina sono particolarmente attive. La prima ha perduto recentemente numerosi apparecchi da trasporto che sono stati trasferiti al settore di Berlino, ma è in continuo progresso per numero ed efficienza di apparecchi da caccia e bombardamento dei tipi più recenti. Contemporaneamente continuano a perfezionare i campi e le piste di decollo. La marina ha ora qui numerose unità e sono attese nel corrente mese tre planning missions per studiare la situazione dei porti, eccetera.

Per quanto da parte sovietica si sia spesso accusato questo Comando di favorire la rinascita di un esercito giapponese e lo stesso Mac Arthur in un recente discorso abbia accennato al Giappone come ad un futuro alleato potenziale, non ritengo che ciò sia previsto da parte americana nell'eventualità di un conflitto. Quello che interessa a Washington è di avere basi il più sicure possibile e bene attrezzate dove spostare con rapidità flotta ed aviazione. Tutt'al più lascerebbero ai giapponesi di disimpegnare, in sottordine, come salariati, i vari servizi, cosa che del resto avviene anche oggigiorno.

Come si vede si tratta di un programma più che altro a carattere difensivo, ma è impossibile prevedere, nell'eventualità di un conflitto, quali sorprese anche nel campo strategico possono riservare nuove armi e nuovi piani in un settore che già nel corso dell'ultima guerra ha sconvolto molte previsioni.

494 1 Del 24 settembre, con il quale Gropello aveva riferito di aver intrattenuto il ministro degli esteri siriano sulla questione delle colonie in base alle istruzioni di cui al D. 437, e che questi gli aveva sottolineato l'intendimento della Siria di mantenersi in linea con le posizioni della Lega araba.

495 1 Non rinvenuto.

495 2 Non pubblicato.

496

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2802/1256. Bruxelles, 8 ottobre 1948 1•

A telespresso ministeriale n. 1104/3 del 29 settembre2 .

Ho rimesso al ministro Spaak una traduzione del memorandum inviato lo scorso luglio3 dal conte Sforza al Governo francese sul problema dell'Unione europea. Spaak mi ha ringraziato della comunicazione dell'importante documento che ha detto avrebbe poi esaminato con calma e con vivo interesse. Voleva intanto dirmi subito che gli sembrava giustissima l'osservazione che ad una Federazione europea dovesse giungersi per gradi successivi, e che certamente buona ed opportuna appariva l'idea di cercare di concretare l'iniziativa in stretto collegamento con l'attività dell'O.E.C.E. Ha aggiunto che avrebbe sempre molto gradito di essere tenuto al corrente dell'atteggiamento del Governo italiano e di altre eventuali proposte e suggerimenti che fosse per formulare il conte Sforza. Ho rimesso al signor Spaak anche la traduzione del testo completo dell'ultimo recente discorso del ministro alla Camera4 dicendogli che da esso poteva rilevare le nuove calorose dichiarazioni di simpatia e di fede che per la sollecita attuazione dell'idea di una Federazione europea erano state espresse ancora di recente da S.E. il conte Sforza.

Ho a mia volta chiesto al signor Spaak se poteva darmi qualche notizia circa l'andamento delle conversazioni in seno al Comitato permanente delle cinque potenze del Patto di Bruxelles al riguardo delle proposte franco-belghe. Mi ha

2 Trasmetteva il D. 350.

3 Errore nel testo, in realtà si tratta di agosto. Vedi D. 350.

4 Vedi D. 491, nota 7.

risposto con qualche reticenza lasciando intendere che la questione non aveva invero fatto un grande progresso: che molti problemi, alcuni dei quali di maggiore attualità ed urgenza, avevano principalmente ritenuto l'attenzione di quel Comitato, che fin dalla prima riunione il rappresentante britannico aveva chiesto diversi schiarimenti in merito alla proposta franco-belga ed aveva fatto presente la necessità di consultazioni con i Dominions prima che il Governo britannico avesse potuto prendere posizione. Spaak ha infine lasciato altresì intendere che l'idea di riunire un piccolo parlamento provvisorio costituito dai rappresentanti delle potenze del Patto di Bruxelles non avrebbe in genere incontrato molta simpatia.

Mi sono intrattenuto sull'argomento anche col segretario generale barone de Gruben. Questi mi ha confermato le esitazioni inglesi che in seno al Comitato suddetto si sarebbero dimostrati molto dubbiosi circa l'opportunità e la possibilità di costituire subito un Federazione europea dotata di uno statuto rigido e di una forte autorità centrale, manifestando invece maggior simpatia per la stipulazione di una serie di accordi di contenuto limitato e preciso e la costituzione di speciali organismi o commissioni internazionali, ciascuno di essi competente per una particolare determinata questione. Il barone de Gruben era portato a ritenere che le esitazioni britanniche dovessero collegarsi con le preoccupazioni nutrite per le attuali condizioni politiche ed economiche della Francia, ed il timore che, a causa della probabile carenza francese, la Gran Bretagna dovesse finire per assumere obblighi troppo gravosi.

Il ministro di Svizzera mi ha raccontato che anche lui aveva cercato di avere dal ministro Spaak qualche informazione circa lo studio della questione in seno al Comitato permanente, e ne aveva ricevuta risposta evasiva e reticente. Avendo il ministro di Svizzera accennato a notizie da Stoccolma secondo cui in una recente riunione i quattro ministri degli affari esteri delle potenze scandinave si sarebbero dimostrati piuttosto tiepidi per l'idea della Federazione europea, e ritenere preferibile limitarsi pel momento a ricercare una più stretta cooperazione europea per alcune determinate questioni, Spaak ha replicato che egli riconosceva essere la Federazione europea una iniziativa assai difficile a realizzare, ma che per lui era ancora più difficile respingere senz'altro a priori l'idea di studiarne le possibilità di realizzazione.

Conviene infine segnalare uno scambio di idee che al riguardo della questione ha avuto di recente luogo in seno al Comitato direttivo del partito social-cristiano, e che ha dato luogo a qualche commento perché finora sembrava unanime l'accordo dei due partiti della coalizione governativa sulle questioni di politica estera, la cui trattazione era riservata all'esclusiva competenza del presidente Spaak di cui nessuno mette in dubbio la capacità ed autorevolezza. Nella recente riunione, presieduta dal presidente della Camera signor van Cauwalaert, questi, pur dichiarandosi favorevole a tutte le iniziative dirette a migliorare le relazioni fra gli Stati d'Europa, ha affermato essere tuttavia molto esitante ad appoggiare l 'iniziativa di una Federazione europea, che subordinerebbe gli Stati membri ad una specie di super-Stato. Egli raccomandava al Governo di esaminare con molta prudenza la questione, e tenere specialmente conto dell'atteggiamento britannico, non essendo consigliabile nell'attuale momento politico che il Belgio si associ ad un'organizzazione politica della quale non faccia parte la Gran Bretagna. Il presidente van Cauwalaert ha poi criticato la decisione della riunione di Interlaken ed il memorandum diramato dal signor Bohy, dicendo di non comprendere che cosa dovrebbe essere il parlamento preconizzato dalle risoluzioni di Interlaken, che gli appariva come un falso parlamento che non potrebbe godere che di una autorità illusoria, senza nessuna pratica efficacia, ma suscettibile invece di creare malintesi.

Alle risoluzioni della riunione di Interlaken ed al memorandum del signor Bohy è stato dato scarso rilievo da parte di questi ambienti politici, anche dallo stesso partito socialista al quale il deputato Bohy appartiene.

496 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

497

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA PERSONALE 1118/17668/3706. Parigi, 8 ottobre 1948.

È soltanto ieri, a causa delle peripezie che lei conosce da altre mie comunicazioni, che ho potuto consegnare a Schuman la sua lettera personale del 24 agosto1. Date le circostanze, ho preferito dargli la lettera meno precisa e aggiungere poi nel corso della conversazione, verbalmente, il suo suggerimento di incontro. Schuman si è sprofondato in scuse per non avermi ricevuto prima. Mi ha detto di essere completamente d'accordo con lei circa il contenuto della sua lettera e di desiderare molto vivamente un incontro con lei, per poter parlare francamente e liberamente dei problemi italo-francesi e dei problemi internazionali. Ha aggiunto che era felice che l'idea di un incontro non spectaculaire fosse partita da lei, poiché ritiene che nelle circostanze attuali, un incontro solenne a Parigi non risponderebbe alle necessità.

Ha espresso il suo dispiacere che l'assenza dell'Italia dall'O.N.U. non renda possibili dei contatti personali con il ministro degli esteri d'Italia come egli ha con altri suoi colleghi e di cui sente vivamente la mancanza: si rende d'altra parte conto come per l 'Italia non sarebbe consigliabile di prendere un pretesto qualsiasi per venire a Parigi.

Pur riservandosi di scriverle personalmente, mi ha detto di dirle che accoglie in principio con entusiasmo l'idea di un incontro, che egli vedrebbe o a Mentone o a San Remo: circa la data si riserva di farmela sapere fra qualche tempo, osservandomi però che difficilmente esso avrebbe potuto aver luogo finché dura l'attuale Assemblea dell'O.N.U. Gli ho risposto che quello che interessava era il fatto e non la data.

Circa il suo memoriale2 , è stato onesto nel dirmi che lo conosceva soltanto nel riassunto che gli avevano fatto i suoi servizi, ma che non aveva avuto il tempo di studiarlo personalmente a fondo come contava di fare. Mi ha detto sostanzialmente quello che già a varie riprese mi aveva detto Chauvel, ma aggiungendomi che il

497 1 Vedi D. 351. 2 Vedi D. 350, Allegato.

25 di questo mese avrebbe avuto luogo a Parigi la riunione dei cinque ministri degli esteri del Patto di Bruxelles appunto per studiare la questione. Mi ha detto che avrebbe continuato a tenerci al corrente sia dei risultati della discussione, sia di eventuali conversazioni preliminari.

498

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 11570/1158. Vienna, 8 ottobre 1948 (per. l'Il).

Approfitto del corriere odierno per riferire, a complemento di quanto già ho avuto occasione di comunicare in queste ultimissime settimane, ed ora in relazione più particolarmente, se non alla rinviata visita Gruber, a quella che intenderebbe fare costì la settimana ventura, per incarico personale del ministro Gruber, il direttore generale degli affari politici, ministro Leitmaier, alcune precisazioni su stati d'animo, reazioni e forse anche intenzioni che ritengo non siano prive di interesse e anzi opportuno che codesto Ministero, per sua riservata norma, conosca in modo da predisporre tempestivamente le eventuali reazioni, precisando le proprie idee in proposito.

Comincio da un atteggiamento generale di carattere critico e reattivo su tutta la nostra, per così dire, esecuzione dell'accordo di Parigi, e che prende il suo spunto dal testo del paragrafo 3 dell'annesso IV al trattato medesimo dove si dice che il Governo italiano si impegna a fare le diverse convenzioni elencate sotto le lettere a, b, c, d, nel termine di un anno a partire dalla firma del trattato stesso. Ora ci troviamo a oltre due anni dalla firma, e salvo le questioni delle opzioni e autonomia, anch'esse del resto risolte a rigore fuori termine, nessuno degli altri accordi è stato ancora stipulato.

Naturalmente espongo e non giudico. Non so per quale complesso di circostanze o ordine di considerazioni si sia andati oltre i termini previsti, e molte sono le ragioni che comunque si possono opporre per dimostrare che non si può davvero parlare di una preordinata volontà italiana di inadempienza. Lo dimostrano le ripetute comunicazioni che hanno avuto luogo e da tempo sulle varie convenzioni da concludere, e ad ogni modo siamo ormai in una fase finale e conclusiva, per cui le recriminazioni in proposito hanno per lo meno perduto carattere di attualità.

Naturalmente però a tale stato d'animo, corrisponde anche un'altra posizione critica e polemica, e precisamente che non vi è stata quasi mai, per non dire forse mai, una premura o dimostrazione di premura da parte italiana in materia di esecuzione dell'accordo di Parigi. È stato sempre invece da parte austriaca che si è assunta la presentazione di progetti sulle varie convenzioni previste, e a questa presentazione hanno seguito da parte nostra lunghi periodi di silenzio, e, quando questo silenzio è stato interrotto, sono stati presentati controprogetti che generalmente divergevano profondamente dal primitivo progetto austriaco, che non veniva generalmente neppure criticato nel dettaglio, ma quasi declinato, senza discussione o giustificazione esplicitativa, nelle sue stesse basi e nella sua impostazione. Tralascio nel riferire tutto quello che si può dire e ho spesso detto a giustificazione nostra, a rettificazione e a chiarificazione.

Mi riferisco a titolo esemplificativo alla nota di codesto Ministero in data 30 luglio u.s. diretta alla legazione d'Austria in Roma1 concernente il progetto di traffico stradale per la Val Pusteria, nota che forse ha provocato, almeno inizialmente, le reazioni più vivaci, quando si è venuti al fatto della visita Gruber e della convenzione, che in tale occasione avrebbe dovuto essere firmata.

Potrei anche raccontare, per esempio, come, a mia impressione, il Ministero degli esteri austriaco, e forse la stessa legazione d'Austria in Roma, dalla semplice lettura della nostra nota non si dovrebbero essere resi conto che il nostro progetto era effettivamente completamente diverso, anzi radicalmente opposto a quello proposto dagli austriaci, e che se ne siano accorti soltanto quando le Amministrazioni tecniche lo hanno fatto osservare. Di qui la ritardata reazione che se ne è avuta, quando il ministro Gruber è venuto a conoscenza che questa convenzione era in uno stadio molto più arretrato di quanto gli avevano detto, e rivelava anzi una tale divergenza di opinioni da renderne improbabile la conclusione e la firma in occasione del suo viaggio. È allora appunto che egli ha cominciato a piantare le prime grane e a fare i suoi capricci.

È anche per tutte queste ragioni che mi decisi a prospettare la opportunità di cambiare metodo di trattazione, abbandonando la forma scritta finora seguita e che non poteva che condurre a ulteriori malintesi e ritardi, e adottare, come a mio avviso da tempo si sarebbe dovuto fare, il sistema tradizionale dei Comitati di esperti, esperti politici e tecnici, che si riuniscono dopo congrua preparazione e studi. Ho visto con piacere che in sostanza VE. ha aderito alla adozione di tale metodo, che ripeto, dovrà essere generalizzato. Ad ogni modo, ciò ha servito a smussare le punte più acute di prevenzione e irritazione che si erano ora venute determinando, dimostrando che fondamentalmente non c'era né preordinata volontà di sottrarsi agli impegni assunti né alcuna intenzione ostruzionistica, e che al massimo si poteva parlare di un errore, che del resto era reciproco, di metodo nella trattazione dei problemi in discussione.

Come già riferii la nostra serenità nel continuare tutto il lavoro preparatorio per la conclusione delle note convenzioni, e ciò quasi indipendentemente dalla visita di Gruber, è stato nei giorni scorsi un fattore determinante per ricondurre degli spiriti turbati da una evidente crisi di nervi e malumore ad una più sobria e realistica considerazione della situazione.

A questo proposito, anche a costo di dilungarmi e in parte forse anche divagare momentaneamente da varii altri punti più specifici da esaminare e che riprenderò in seguito, mette forse qualche conto esporre una questione di sottile carattere giuridico, che prende, senza che coloro che l'hanno sollevata se ne rendano forse pieno conto,

un carattere politico. Essa ha formato oggetto in questi giorni di qualche discreta, ma vivace discussione con me, e getta comunque una singolare luce su alcune, mi pare, evidenti insufficienze o lacune di sensibilità politica, malgrado le sue veramente notevoli doti, del ministro Gruber, o forse anche la sua originaria deficiente preparazione specifica.

Pare infatti che la felice e brillante idea che esporrò sia proprio di origine personale del ministro Gruber e se ne sia forse innamorato come si innamora teneramente un padre delle sue creature più deboli.

Da parte mia sembra che sono riuscito a persuadere delle mie obiezioni la più parte dei suoi collaboratori, i quali anzi mi hanno addirittura pregato di insistere e parlame con lo stesso Gruber, se ne capitava l'occasione, che non è però capitata, e spero che il ministro Leitmaier non pensi di sollevare ormai costì, neppure incidentalmente, una questione del genere.

Espongo ora il tortuoso pensiero, che a prima vista io stesso non avevo afferrato e cercherò di essere chiaro.

Si parte dalla già accennata posizione reattiva e critica qui assunta, in particolare per il progetto di accordo per il traffico stradale attraverso la Val Pusteria, per le note ragioni di merito sulle disposizioni contenute nel nostro controprogetto, nonché sul fatto già accennato che a due anni dalla firma del trattato di Parigi questa convenzione, come molte delle altre ivi previste, non siano state concluse, mentre il termine convenuto era di un anno.

Ma qui comincia un altro ordine di pensieri e precisamente: l'Italia è inadempiente, dal punto di vista termine, del paragrafo 3, lettera c) dell'annesso IV del trattato di Parigi, ma questa inadempienza aggrava la posizione dell'Italia in quanto che non solo viola direttamente l'accordo italo-austriaco, ma viene a violare in modo diretto anche lo stesso trattato di pace, dato che l'art. IO del medesimo, al n. l, fa una menzione speciale e a parte proprio degli accordi sul traffico tra il nord e l'est del Tirolo, attraverso la Pusteria, e mentre per tutte le altre disposizioni contenute n eli' accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946, le potenze alleate e associate si sono limitate a prendere nota delle medesime, per l'accordo per la Pusteria, di cui al n. l dell'art. 10, l'Italia ha preso un impegno diretto, forse con le stesse potenze firmatarie, e il testo dice: «l'Italia concluderà con l'Austria degli accordi ecc., ecc.». In altri termini, mentre per tutto il complesso dell'accordo Gruber-De Gasperi, vi è una serie di impegni diretti Italia-Austria, per la lettera c) del paragrafo 3 dell'annesso IV sussiste un obbligo quasi diretto e supplementare dell'Italia con le potenze alleate, nel quadro del trattato di pace e della esecuzione di questo.

V.E. può immaginare quale sia stato il tono e il senso delle mie osservazioni alla esposizione del!' ordine di idee sopra accennate ed ho detto che, se esse potevano fare onore allo spirito di sottigliezza giuridica, degli esegeti di questi testi, facevano molto torto al senso e anzi al senno politico di chi le aveva pensate e che era facilmente immaginabile quale impressione avrebbe potuto suscitare in Roma un riferimento di provenienza austriaca ad una inadempienza italiana al sanguinante trattato di pace italiano, riferimento tanto più sciocco e inopportuno dato che il diritto austriaco era ancorato in un testo preciso e impegnativo per i due paesi, il cui valore in sede politica e giuridica non era mai stato da noi contestato e quindi rendeva assolutamente superflua la invocazione di un rapporto in sede di esecuzione del trattato di pace, per cui, del resto, non so se in sede giuridica, ma certamente in sede morale, l'Austria era l'ultimo paese ad avere titolo.

Sembra che le mie considerazioni abbiano finito per fare luce in questi spiriti ottenebrati -ottenebrati in questo caso veramente dalla ben nota e insopprimibile insolenza teutonica, -e spero che di tale questione non si senta più parlare. L'ho riferita, non solo per ogni eventualità che torni a galla, ma per mostrare lo stato d'animo generale che si era venuto qui ultimamente a determinare, e naturalmente con la preghiera ulteriore di volere da parte nostra mettere l'episodio nella sua giusta luce, e non drammatizzarlo né trame conclusioni eccessive per altri riflessi.

Per l 'accordo sul traffico privilegiato di frontiera (persone) gravano le più che sfavorevoli ripercussioni che hanno avuto le nostre esitazioni e tergiversazioni sui viaggi degli optanti, ma in modo più grave e a carattere più generale e permanente la pratica che è stata data all'accordo lnnocenti-Voizard, nonché in genere alla questione dei visti, o su lasciapassare o su passaporto, per in genere gli austriaci e diciamo meglio i tirolesi che volevano recarsi in Alto Adige.

Dovrei qui fare un lungo discorso, anche in relazione a varie altre mie recenti comunicazioni concernenti la situazione creatasi nei confronti del lavoro compiuto dall'Ufficio di collegamento di Innsbruck. È probabile (e ne voglio però subito anche cancellare ogni responsabilità non fosse altro per la mole e la delicatezza dei compiti che gli sono affidati) che l 'ufficio anzidetto abbia seguito in pratica talvolta delle procedure errate, anzi più che propriamente errate, atte a eccitare reazioni sfavorevoli esagerate e in parte talvolta forse anche giustificate da parte degli aspiranti a ottenere il visto, seguendo in molti casi la pratica di non dire fin dali 'inizio che il visto non era ottenibile, ma illudendo l 'interessato, facendogli intravvedere delle possibilità, chiedendogli in fasi successive documenti diversi, per poi finire per negargli egualmente il visto, con tutte le recriminazioni che è facile immaginare. Ma a parte tutto questo, che, per quanto spiacevole, è ormai già da qualche tempo, mercé anche il mio diretto intervento, in via di rettificazione, permane una concezione austriaca del problema che mi limito ad esporre per orientamento ulteriore di codesto Ministero, e precisamente che le facilitazioni di movimento delle persone fra Alto Adige e Tirolo, data la strettezza di rapporti personali, e anzi familiari, che vi sono tra gli abitanti delle due zone, divise dal confine del Brennero, sarebbero in definitiva le più giovevoli per una distensione di rapporti e che la facilità, la quasi naturale libertà del potersi muovere tra Bolzano e Innsbruck e viceversa, renderebbe sempre meno sensibile la crudezza e la realtà della esistenza del confine politico tra le due regioni e tenderebbero a sanare le ferite e rendere inoperanti coloro che viceversa additano quasi professionalmente le conseguenze gravi, pratiche, psicologiche e sentimentali, che la separazione politica comporta, e ne traggano quindi giustificazione e spunto per il permanere di una attività e propaganda irredentista, realtà che è o sarebbe al di fuori, anzi è o sarebbe contraria alle intenzioni e all'interesse del Governo austriaco.

Nei confronti specifici dell'accordo previsto dalle intese di Parigi, e che ora si andrebbe a negoziare, vi è una generica impazienza a che esso presto si concluda in un termine ragionevole ma a sua volta indeterminato (certo se, incerto quando) e invece con una data precisa fissata fin d'ora soltanto per l'inizio delle trattative tra esperti; ma circa il merito, dopo la paziente e costante opera di chiarificazione e indiretta persuasione svolta di cui il primo frutto, come già ho avuto occasione di riferire, è l 'ultimo controprogetto austriaco, ho la impressione che non vi siano grosse difficoltà per raggiungere un accordo, naturalmente con una riserva molto importante di carattere generale, sulla quale richiamo la particolare attenzione; essa è a mio avviso di fondamentale importanza non solo per i negoziati ma anche per il futuro, sia pure nel quadro già delineato di documenti di cui gli interessati debbono essere fomiti e di visti che debbono essere richiesti ed accordati; e precisamente se la pretesa di passare il confine si debba fondare su un criterio discriminato o indiscriminato. Aggiungo subito, come già ebbi una volta occasione di accennare che l'accordo lnnocenti-Voizard, contrariamente a quello che generalmente si crede, e come forse talvolta nella applicazione si è data la impressione che fosse, non è, ripeto, non è affatto indiscriminato; vale a dire vi sono dei motivi ammessi o non ammessi per andare da una regione all'altra passando il confine, e il visto è concesso o meno in relazione alla valutazione che l 'ufficio competente ad accordarlo fa dei motivi addotti a giustificazione della richiesta di visto, motivi che sono sia pure genericamente indicati nell'accordo Innocenti-Voizard e pertanto soggetti ad un giudizio discrezionale della autorità competente a rilasciare il visto.

Mi indugio su queste precisazioni e distinzioni, senza esprimere una preferenza mia per uno o l'altro sistema, ma semplicemente perché sia valutata in tutta la portata che essa implica la adozione di una o dell'altra soluzione, con tutte quelle eventuali soluzioni intermedie che sono teoricamente e praticamente possibili.

Abbordo ora il problema delle opzioni. Tralascio la questione della procedura interna seguita dalle Commissioni di Bolzano e dal Ministero dell'interno a Roma. Debbo dire che generalmente ho qui avuto occasione di sentire giudizi, direi, quasi elogiativi sulla composizione e sul funzionamento di tali Commissioni. Non so pertanto a quali specifici gravami si riferiscano le annunciate lamentele austriache sul funzionamento e la procedura delle medesime. Qualche cosa mi sembra essere trapelata da alcune comunicazioni di codesta legazione d'Austria e ne ho visto inserita la menzione nel programma sottoposto a codesto Ministero alcuni giorni addietro da codesta legazione d'Austria concernente gli argomenti da trattare in occasione della visita del ministro Gruber2 . Trattandosi di problema che non conosco

o conosco solo per sentito dire, mi astengo dal trattame, perché non saprei dire nulla di utile e di appropriato.

Mi limiterò pertanto a menzionare viceversa un'altra questione che ritengo possa essere oggetto di osservazioni costì, e precisamente la circostanza che ormai a otto mesi circa dall'inizio dell'entrata in vigore della legge sulle opzioni non vi sia stata ancora, a quanto risulta, alcuna concessione di cittadinanza italiana, almeno per gli optanti residenti in Austria. Anche qui riferisco e mi astengo dal giudicare.

Vi è poi il problema del respingimento delle domande di revoca delle opzioni. Secondo le informazioni che sembrano essere giunte qui, vi sarebbero circa millecinquecento domande di revoca che sarebbero state oggetto di opposizione da parte del Prefetto di Bolzano e di queste millecinquecento si penserebbe che potrebbero venire definitivamente respinte circa la metà. Naturalmente è tutta una questione che riprende il suo motivo e circola intorno al caso Tinzl, sul quale non ho più altro da aggiungere oltre quello che ho dovuto riferire per dovere d'ufficio.

Ma riparlo piuttosto di tutto questo problema nel suo complesso perché, sebbene nulla mi sia stato detto in proposito né in via ufficiale né in via confidenziale, da alcuni indizi e da alcune informazioni non escluderei, e può darsi che mi sbagli grossolanamente, che questo problema venga costì, se non subito, e magari dallo stesso ministro Leitmaier, ma più tardi riproposto, per qualche soluzione, soprattutto magari non fino a comprendere le punte estreme di responsabilità specifiche, ma per tutti quei casi in cui il paragrafo l dell'art. 5 della legge sulle opzioni del 2 febbraio 1948 ha trovato ipso jure applicazione, secondo la lettera di quel paragrafo, ma a giudizio austriaco non corrisponda a un criterio equitativo e soprattutto al carattere sempre più attenuato e indulgente e di perdono e di oblio assunto ovunque e in particolare in Italia da tutta la materia di legislazione cosiddetta epurativa anti-nazista e anti-fascista.

Non escluderei neppure che si giungesse a prospettare la ipotesi di qualche provvedimento generale di clemenza, tipo amnistia, di natura e di conseguenze assolutamente nuove e singolari, dato che non si tratta di materia penale ma del riacquisto della cittadinanza italiana e delle conseguenze giuridiche che ne derivano.

È superfluo aggiungere che mi astengo dall'esprimere in materia qualsiasi parere, pur non potendo disconoscere che il problema è tutt'altro che privo di interesse agli effetti interni ed esteri, ed è solo a questi fini e per dovere d'ufficio che l'ho menzionato.

Su altri punti quali le questioni patrimoniali, gli impiegati, le pensioni, le assicurazioni sociali e varie altre, mi riferisco a quanto ho avuto occasione di scrivere già in passato e proprio ancora in data odierna con altri separati rapporti.

Passando ora, sempre in tema di opzioni, a dei punti che interessano forse più noi e che egualmente ho avuto occasione talvolta di toccare, incidentalmente o di proposito, e che a mio avviso sono di notevole importanza, e potrebbero eventualmente fmmare oggetto di discreto accenno e magari trattazione incidentale o di proposito, menzionerò la vexata questio della cittadinanza futura di quegli optanti residenti in Austria e forse non solo di questi, i quali non si varranno del diritto di revoca dell'opzione. È noto quale mezzo di pressione possa costituire per gli optanti la incertezza sul loro futuro stato di cittadinanza.

Già ho avuto occasione di prospettare i problemi che vi si connettono e oggi sarebbe fuori del quadro del presente rapporto ritornarvi o dilungarvisi.

Non posso però fare a meno di sollevare una questione che si è offerta alla mia riflessione e che non è priva di interesse, anche se non mi sembra che sia stata mai neppure sospettata né prospettata; la questione e l'interrogativo che pongo è il seguente: a quale nazionalità apparterranno gli optanti residenti in Alto Adige ai quali viene declinato il riacquisto della cittadinanza italiana e prendiamo ad esempio appunto il signor Tinzl e i suo colleghi di categoria? Secondo la logica degli accordi Hitler-Mussolini essi sarebbero e resterebbero germanici. Che cosa succederà ora?

Basta porre questo problema, che non è una semplice sottigliezza, in quanto si scompone in numerosi problemi pratici e assai concreti di carattere giuridico e politico, per indurmi però al tempo stesso a subito !imitarmi a proporlo e a non insistervi. Vedrà codesto on. Ministero quali siano le conseguenze che ne derivano.

Connesso con il problema della cittadinanza futura degli optanti è anche quello che agli optanti che riacquisteranno la cittadinanza italiana, e che attualmente sono residenti in Austria, venga di fatto accordato l'ulteriore diritto, tanto se riacquistano quanto se non riacquistano la cittadinanza italiana, di rimanere in Austria con tutti i diritti che hanno goduto fino ad ora.

Per ovvie ragioni insieme di pressione e di prestigio, per quanto solo ad intermittenza e con fluttuante pensiero raramente impegnativo e malgrado le ricorrenti latenti minacce, ritengo che sia ormai quasi acquisito che in ogni caso non sarà preclusa agli optanti divenuti cittadini italiani l 'ulteriore residenza in Austria ciò che del resto corrisponde alle norme generali del diritto comune; meno sicura è la loro possibilità di esercizio di attività professionale, ancora meno sicura è la loro permanenza negli uffici pubblici. Non è ancora entrata nel riconoscimento comune del diritto e della pratica austriaca un concetto analogo a quello da noi stabilito e che ha avuto specie in passato tanta applicazione in Italia tra italiano regnicolo e italiano non regnicolo.

Ho tuttavia menzionato anche questo punto nel presente riassunto per memoria di una questione anch'essa non priva di una certa importanza. Vengo ora al problema generale e più particolarmente politico riguardante la visita eventuale del ministro Gruber.

Sciogliendo una riserva che mi ero deliberatamente imposto, confesso che non ho mai ben compreso perché la visita del ministro Gruber sia stata declinata nel mese di giugno e rinviata ad ottobre, e per di più con la promessa che avrebbe coinciso con la firma di alcune delle convenzioni previste dall'accordo di Parigi.

Essendo abbastanza trasparenti le finalità immediate e quasi personali della visita del ministro, mi parve allora che il farlo venire a Roma in quel momento, quando la fase preparatoria degli accordi era così arretrata che non solo la sua visita non avrebbe potuto prendere alcun rilievo particolare ai fini che evidentemente egli, che si era autoinvitato, si proponeva, ma non avrebbe avuto che scarso contenuto specifico e semmai maggiore rilievo dal punto di vista della politica generale e della politica generale italo-austriaca, mentre il rinvio ad ottobre avrebbe, secondo ogni più ragionevole previsione, coinciso appunto o con la firma delle convenzioni e ad ogni modo con una fase di sviluppo assai più avanzato di esecuzione e applicazione degli accordi di Parigi. Era prevedibile, ad esempio, che più avanzata fosse la applicazione della legge sulle opzioni e sulla autonomia, che molti nodi sarebbero venuti al pettine, e la attività dei parlamentari altoatesini si sarebbe nel frattempo sviluppata, mentre nel giugno essi erano ancora novellini, appena iniziati al loro mandato e alla loro quasi istituzionale missione disturbante.

Ho un grave dubbio sul motivo reale che ha ispirato quella mossa e mi astengo dal menzionarlo. Ma se il mio dubbio è fondato, nulla più che i recenti malintesi e diciamo pure incidenti che hanno accompagnato la fase finale della vigilia della visita progettata del ministro Gruber hanno potuto dimostrare come quelle presunzioni e quelle previsioni fossero errate e quanto sarebbe stato preferibile svuotare la visita del ministro Gruber di ogni più pertinente significato tirolese ed esporsi allora a delle pure e semplici sollecitazioni che, nella fase di esecuzione in essere nel mese di giugno, sarebbero rimaste allo stato di semplici, sia pure sempre indiscrete sollecitazioni, a cui avremmo potuto dare o non dare alcun seguito, mentre ora si è creata una situazione così complessa e così intrisa di tanti sentimenti e soprattutto risentimenti personali, che non potrà non pesare ulteriormente sui nostri rapporti con questo paese, anche per le giuste e ragionevoli reazioni e difese che ormai ovviamente dobbiamo assumere.

A visita Gruber effettuata, avremmo avuto le mani assai più libere, e le ripercussioni di fatti, come quelli recenti, avrebbero preso un altro aspetto: oggi, le nostre mani sono evidentemente sempre libere, ma le ripercussioni divengono più vivaci e più dirette.

Dico tutto questo non per recriminare né tanto meno criticare dato anche che si tratta di eventi passati e mai come in questi casi l'acqua passata non macina più, ma per meglio e solo più precisamente caratterizzare il presente momento, quale io lo vedo, per norma di giudizio e di apprezzamento di V.E. e guardando piuttosto al futuro, magari all'immediato futuro, alle prossime settimane, se e in quanto avrà luogo la visita del ministro Gruber.

Non ho infatti bisogno di dilungarmi ulteriormente in argomento per mettere in evidenza come occorrerà molta abilità e grande accortezza perché la visita del ministro Gruber ormai non assuma, proprio sul terreno politico generale, e non già su quello tecnico dei vari problemi in discussione e delle varie convenzioni da concludere, quel carattere precipuamente tirolese e altoatesino e magari di sollecitazione, con il suo intervento personale da far apparire fattore determinante e decisivo, per la definitiva definizione e realizzazione di accordi, a cui l'Italia si è a suo tempo impegnata ed infine ora quasi a rimorchio è stata portata a concludere, in una situazione che è già in parte di mora.

Naturalmente tutto quanto precede, che ho talvolta esposto in termini un poco crudi allo scopo di prospettare meglio e in forma anche più appariscente e visiva i dati dei vari problemi che si pongono, va preso e sfumato in un quadro che è appunto pieno di ombre, di sfumature, di sottintesi, di impulsive azioni e reazioni, anche sentimentali e quasi istintive e che è dato dalla stessa natura dei rapporti Italia-Austria; per i quali, nella loro impostazione generale, gioca il fondamentale desiderio, e convinto desiderio, della necessità e della utilità che essi siano buoni e cordiali e insieme il costante fattore reattivo che in quel quadro rappresenta il problema altoatesino; risolto e non risolto, risolvibile e irrisolvibile e che può alternativamente e magari, se non sembra troppo audace il paradosso, contemporaneamente, essere ponte di congiunzione e di accordo e pomo di grave discordia fra i due paesi.

498 1 Non pubblicata.

498 2 Il programma austriaco, trasmesso con la nota Res. 282 del l O settembre, elencava i seguenti punti principali: l) chiarimenti sui principii generali della politica estera austriaca, coordinamento dei medesimi colla politica italiana e determinazione delle questioni di particolare interesse comune; 2) attuazione dell'Accordo di Parigi circa l'Alto Adige (firma degli accordi approntati; colloquio sommario sui principii degli altri accordi; problema degli optanti); 3) questioni di carattere vario.

499

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA 1

R. 9231/3355. Washington, 8 ottobre 19482 .

L'acutizzarsi della crisi di Berlino, la campagna per la elezione presidenziale, il graduale svilupparsi della Unione Occidentale, le persistenti pressioni di ordine finanziario da parte inglese, hanno in queste ultime settimane proiettato in primo piano il problema dei finanziamenti di un riarmo europeo, e delle provvidenze legislative che dovranno esser proposte a tale scopo al Congresso dalla prossima Amministrazione, sia essa democratica o repubblicana.

È indubbio che la drammatica serie di eventi che hanno condotto alla rottura dei negoziati con Mosca, tra il Cremlino e i tre ambasciatori occidentali, e il conseguente deferimento della questione al Consiglio di sicurezza dell'O.N.U., hanno servito a rendere ancor più attuale un problema che questo Governo aveva creduto di poter affrontare in concreto fra un certo lasso di tempo e cioè solo dopo l'inizio della prossima sessione legislativa. Tanto attuale è anzi apparso tale problema e tanto urgenti si palesano le decisioni di ordine finanziario e militare da prendere, se non altro in omaggio alla regola «si vis pacem, para bellum», che non è mancata nei circoli competenti di Washington la voce che il presidente Truman si accingesse a convocare un'altra sessione speciale del Congresso. Malgrado sia difficile vedere gli effetti pratici di una simile mossa -in quanto una convocazione pre o post elezione presidenziale di un Congresso morituro non potrebbe condurre a nessuna importante decisione -è pur certo che di sessione speciale si è parlato e si parla e che, anche se essa dovesse servire nuovamente a scopi di speculazione politica interna da parte del presidente Truman, tale iniziativa starebbe pur sempre a dimostrare che oggi l'accento viene posto, anche nelle file democratiche, sulla politica estera e sui problemi relativi, compreso quello del potenziamento militare europeo.

D'altro canto il recente discorso di Salt Lake City del candidato presidenziale repubblicano, ha offerto qui motivo di seria attenzione e dato la chiave a una copiosa messe di commenti su quelle che potrebbero essere le intenzioni di Dewey nei confronti del più importante problema attuale della politica internazionale di questo paese: la costituzione cioè in Europa di una solida fascia di sicurezza antirussa attraverso l'iniettamento di mezzi finanziari e militari in una federazione di Stati alleati, negli ideali e nei sistemi, agli Stati Uniti; il che in sostanza vuoi dire

2 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

affinamento del ptano Marshall e suo adattamento all'evolversi della situazione politica europea.

Tutta la stampa ha riportato con amplissimo rilievo tali dichiarazioni di Dewey del 4 ottobre, specialmente per quanto riguarda il nuovo carattere da dare al piano E.R.P.:

«This program of European aid must have another and greater purpose. It must not be just relief. We shall use it as the means for pushing, prodding and encouraging the nations of Western Europe toward the goal of European Union. Three times within the past 30 years the American people have been called upon to make a mighty effort to save Western Europe from totalitarian despotism.

W e are having to pour our resources to rei n force a Europe once more threatened by oppression. To build such a federation of free countries must be a major objective of our American foreign policy. This enactment of our E.R.P. is a step along this road it must be used creatively for this permanent good».

È pur vero che in questa fondamentale dichiarazione di Dewey l'elemento militare è solo indirettamente accennato, ma è indubbio anche che la creazione di una Unione Europea, quale quella delineata da Dewey, tesa cioè a salvarsi dal despotismo totalitario, deve forzatamente attuarsi soprattutto attraverso il perseguimento di un coordinato programma militare. Questo è certamente il significato unanimamente attribuito a tali dichiarazioni del leader repubblicano, le quali sono state per di più corroborate in questi giorni dal presidente della commissione senatoriale degli Armed Services, Gurney, senatore molto influente per tutto ciò che concerne legislazione militare. Egli, di ritorno da un viaggio in Europa ha, a grandissima voce, proclamato la necessità di provvedere aiuti militari all'Europa e in particolare ai paesi del Patto di Bruxelles ed ha manifestato l'intenzione di farsi promotore di un progetto di legge relativo. (Da notarsi che ieri il senatore Gurney a complemento delle varie conferenze stampa che ha tenuto in argomento, ha avuto un colloquio, ufficialmente annunciato, con il segretario della difesa, Forrestal, i tre ministri militari e i tre capi di Stato Maggiore, appunto sull'argomento degli aiuti militari ali 'Europa).

In questi stessi giorni poi, come riferisco a parte, ha spaziato in Washington sir Stafford Cripps, il quale, a quanto mi si riferisce, ha tra i vari argomenti trattato anche quello dei finanziamenti militari, lumeggiando la necessità per la Gran Bretagna di poter contare al più presto su qualche mezzo per poter far fronte alle più impellenti necessità in tal campo. E mi risulta infatti, da fonte bene informata, che gli uffici legali del Dipartimento della guerra hanno in questi giorni nervosamente consultato vecchia e recente legislazione allo scopo di individuare i «poteri» di cui potrebbe avvalersi il presidente degli Stati Uniti per effettuare cessioni di materiali bellici a paesi stranieri, in attesa che vengano adottate disposizioni di legge ad hoc, quale sarebbe ad esempio la ormai abrogata, ma non per questo dimenticata legge del lend-lease. Ricerche che non pare abbiano per ora approdato, in attesa della convocazione del Congresso, a quell'interim-aid militare, che gli inglesi vanno insistentemente sollecitando, ma che comunque non debbono essere sottovalutate, in quanto dimostrano una intenzione da parte di questo Governo «di fare» nel campo militare internazionale più celermente e più attivamente di quanto non si sia fatto finora.

Questo lo sfondo in cui si sono innestate le speculazioni di stampa e le discussioni nell'ambito di questo Governo. Quale è in realtà la prospettiva che si profila attualmente per ciò che concerne gli aiuti militari all'Europa?

Premesso che l'ineluttabilità e urgenza di tali aiuti è unanimemente riconosciuta, i lavori sulla legislazione relativa sono forzatamente in uno stadio di attesa. Nè potrebbe essere diversamente se si pensa a ciò che può comportare in questo paese un cambio di amministrazione con l'elezione del candidato repubblicano. Ciò non esclude però che, data la politica estera «bipartisan», la quale, malgrado tutto, consente un concorde convergere di interessi e attenzioni sui fenomeni di politica estera da parte degli esponenti dei due partiti, il problema del riarmo europeo non venga fin d'ora dibattuto ed esaminato agli «alti livelli».

È anche da tener presente al riguardo che se le elezioni comportassero l'avvento repubblicano, Dewey vorrà certo imprimere un nuovo carattere agli aiuti economici all'Europa, distanziandosi dallo schema finora seguito e cercando di eliminare le critiche abitualmente ricorrenti nel Congresso in merito agli aiuti predetti. Secondo i commenti che è dato cogliere in questi ambienti, egli ha davanti a sè tre alternative che si legano con la politica economica generale da adottare all'interno: l) compressione dei prezzi e contrazione delle spese generali con conseguente leggero movimento di deflazione e riduzione negli aiuti economici e militari all'Europa. 2) Mantenimento deii'E.R.P. e creazione al suo fianco di un lend-lease militare, operante in relazione allo svilupparsi di unioni regionali, come prescritto dalla mozione Vandenberg. 3) Modificazione dell'E.R.P. nel senso che, approfittando del sia pure lento migliorare delle condizioni europee, potrebbe esser proposto al Congresso un <<Omnibus bill» inteso ad accentuare il carattere politico-militare degli aiuti

E.R.P. attenuando le finalità relief, finora comprese negli scopi di tali programmi di assistenza. È certo che la prima alternativa, a meno che non intervenga una sensazionale distensione con l'U.R.S.S. non può per ora che venire scartata.

Di fronte alle altre due alternative, la prossima amministrazione dovrà scegliere a seconda delle circostanze politiche che si manifesteranno. È però opinione qui diffusa che se anche prevalesse l'alternativa n. 2 (mantenimento dell'E.R.P. e istituzione di un nuovo lend-lease), i due programmi dovrebbero venire in qualche modo armonizzati (si cita al riguardo l'esempio della Grecia) e, poiché la borsa pagante sarà sempre una sola e la stessa, quella del tax payer americano, l'adozione del lend-lease militare potrà comportare una diminuzione nelle disponibilità dell'E.R.P. che verrà ridotto a funzioni più modeste, per la cura delle necessità essenziali e indifferibili.

Quale che sarà la soluzione che verrà adottata -e non pare vi sia dubbio che a qualche sviluppo del genere si perverrà -molte sono le indiscrezioni che cominciano qui ad affiorare circa le caratteristiche che potrà avere il sistema di «alleanza» che dovrà venir posto alla base delle disposizioni legislative avvenire. Riferisco qui sotto alcune delle voci più interessanti qui raccolte, ma che non hanno fatto peraltro oggetto di alcuna dichiarazione ufficiale (i funzionari delle varie amministrazioni mantengono il più stretto riserbo) e debbono quindi essere controllate:

l) il nuovo piano lend-lease comporterebbe spese tra 4 e 8 miliardi di dollari entro il prossimo quinquennio di cui almeno un miliardo/un miliardo e mezzo sarebbe richiesto nel primo anno;

2) risorgerebbe nuovamente il reverse leand-lease con la concessione da parte dei paesi beneficiari di basi, soprattutto aeree, di materiali strategici, facilitazioni alle truppe americane;

3) potrebbe costituirsi una direzione centralizzata delle risorse economiche dei vari paesi; 4) analogamente si cercherebbe al più presto di standardizzare eqmpaggiamento, munizioni ecc.; 5) si istituirebbero ovviamente comandi unificati ecc.

Si tratta naturalmente di prime avvisaglie di quello che potrà, soprattutto con l'avvento di Dewey, essere un programma di collaborazione militare con i paesi europei, e, ripeto, si tratta di voci e indiscrezioni che mi riservo di controllare (da notarsi che esse, pur essendo state dal Dipartimento dichiarate «premature» non sono state categoricamente smentite). D'altro canto l'ammontare e il carattere degli aiuti dipenderà anche dalle richieste che cominceranno ad affluire a seguito dei contatti in corso tra i paesi del Patto di Bruxelles (richieste di cui qui si pensa di poter avere una lista soddisfacente e comprensiva entro la fine dell'anno).

Ciò che per ora si è avuto di ufficiale su tale importante argomento del riarmo europeo, è la dichiarazione fatta oggi dal sottosegretario di Stato alla conferenza stampa che cioè «in relazione alle intenzioni americane attuali circa l'assistenza militare ai paesi europei, questi, analogamente a quanto fatto per il piano E.R.P., dovranno elaborare un proprio programma di mutua "difesa". Solo in relazione e dopo la presentazione di un armonico programma da parte europea, il Governo americano, sulla base della mozione Vandenberg, esaminerà il piano ad esso proposto e deciderà quali richieste formulare al Congresso». Si auspica insomma qui che, come per l 'E. R. P., siano gli europei a conglomerarsi spontaneamente, senza che siano necessarie spinte esterne, in quanto solo tali unioni spontanee potranno offrire elementi solidi di vitalità e nello stesso tempo servire da remora e da arma eloquente e persuasiva nei confronti di eventuali intenzioni aggressive dell'U.R.S.S.

499 1 In Archivio De Gasperi.

00 00

500

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13605/815. Washington, 9 ottobre 1948, ore 21,49 (per. ore 11,30 del 10).

Telespresso 1337 segr. pol. 21 settembre1•

Rilevato nuovamente in varie conversazioni Dipartimento importanza questione quota navi richieste da U.R.S.S. e particolare opportunità che delegato americano

codesta Commissione navale possa non associarsi richiesta sovietica immediata consegna. Nonostante difficoltà elevate da Dipartimento per noti motivi indicati precedenti telegrammi2 , procurerò continuare insistere prossimi giorni.

In colloquio iersera, prospettato assistente segretario Marina sia pericolosi spostamenti strategici specie Mar Nero inerenti consegna navi sia assai sfavorevoli ripercussioni che avrebbe su nostra opinione pubblica un eventuale appoggio americano a richiesta russa proprio in questi momenti aspra tensione tra potenze occidentali e U.R.S.S. per questione Berlino. Signor Brown se ne è mostrato convinto ed ha assicurato possibile interessamento.

In relazione propositi resistenza, di cui telespresso surriferito, perrnettomi sottoporre V.E. se possa eventualmente convenire contrapporre recriminazioni russe per navi, inosservanza da parte Cremlino art. 71 trattato circa ritorno prigionieri guerra: fatto valere anche attraverso stampa potrebbe forse per suoi elementi umani avere qualche ripercussione opinione pubblica e rendere più esitanti delegati Commissione navale.

500 1 Non pubblicato.

501

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 13838/043. Madrid, l O ottobre 1948 (per. il 16).

Sono stato ricevuto in visita congedo da questo ministro affari esteri partito ieri in aereo per prestabilito viaggio in Argentina (telespresso questa ambasciata n. 4362/ 959 del 22 settembre u.s.) 1• Conversazione svoltasi prevalentemente su concetti di reciproca cortesia e su interesse nostri paesi intensificare loro rapporti. In relazione a questo argomento Martin Artajo mi ha detto vedere con rammarico Italia, benché non facente parte O.N.U., tardare normalizzare situazione diplomatica, ciò che avevano già fatto altri Stati membri organizzazione internazionale, che sarebbero stati seguiti senza dubbio in questi prossimi mesi da quasi tutti gli altri Stati. Ha concluso dicendo che un tal gesto in questo momento sarebbe stato molto apprezzato da Governo spagnolo. Mi ha infine pregato di trasmettere a presidente De Gasperi e a V.E. suo più fervido amichevole saluto.

Lo stesso argomento ha toccato questo direttore generale politica estera che mi sono recato salutare partendo anche egli per Argentina. Egli mi ha inoltre manifestato suo convincimento in atteggiamento nord americano sostanzialmente mutato

501 1 Non pubblicato.

748 nella questione, sicché potevasi ritenere che oggi U.S.A. avrebbero visto con favore norrnalizzazione relazioni diplomatiche con Spagna da parte di altri Stati.

500 2 Vedi D. 340.

502

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA

T. S.N.D. 11615/183. Roma, 11 ottobre 1948, ore 23.

Presidente del Consiglio è rimasto alquanto sorpreso nell'apprendere che Spaak non sa ancora se potrà essere presente a Bruxelles in occasione sua progettata visita costà per nota conferenza e trova che, data breve distanza da Parigi, dovrebbe essere sempre relativamente facile concordare un incontro.

Presidente De Gasperi nutre del resto vivo desiderio e considera anzi cosa naturale da tutti i punti di vista incontrarsi con Spaak e, ove ciò non potesse realizzarsi, ritiene che sarebbe più opportuno rimandare ad epoca più favorevole suo viaggio.

Pregola far presente con ogni dovuta cautela questo punto di vista e telegrafare se Spaak sia in grado di assicurare sua presenza per data conferenza 1•

503

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER TELEFONO 13634/992. Parigi, 11 ottobre 1948, ore 19,30.

Dec!f'ri ella stessa.

Nel corso conversazione avuta oggi con Foster Dulles, sulla quale riferisco per corriere1 , egli mi ha detto che Dewey ha ricevuto lettera personale presidente del Consiglio nella quale questi gli ha detto che Italia non ha nessun desiderio riavere colonie2• Questa lettera ha destato certa emozione nei circoli vicini a Dewey e delegazione americana perché Dewey si era trovato così a chiedere per Italia più di quanto Governo italiano desiderasse.

503 1 Vedi D. 507. 2 Del 3 settembre, non rinvenuta.

Gli ho detto che era assolutamente impossibile che presidente avesse scritto qualcosa di simile: ne conoscevo troppo pensiero per poter anche lontanamente supporlo. Probabilmente presidente, in vista accuse che ci venivano frequentemente mosse da parte inglese non comprendere nuova situazione, avrà voluto dire che non volevamo colonie nel senso tradizione della parola, ma solo riceverle nel nuovo spirito Nazione Unite.

Dulles mi ha detto che questo era stato anche sua interpretazione, ma che gli era stato risposto che lettera era molto chiara e non poteva essere così interpretata. Mi ha aggiunto che era necessario chiarire questo punto che si prestava a manovre a noi contrarie in seno stessa delegazione americana.

Gli ho chiesto cosa ci consigliava di fare se nuova lettera presidente a Dewey o altra cosa. Mi ha allora pregato fargli ricevere subito testo lettera presidente che egli non ha sottomano perché possiamo esaminarla insieme: così egli potrà darmi consigli sul da farsi. Insiste che occorre agire subito.

Dato che Dulles attribuisce a questo particolare importanza, pregherei inviarmi per corriere speciale testo lettera: sarebbe comunque bene non far nulla da parte nostra prima mie consultazioni con Dulles3 .

502 1 Per la risposta vedi D. 540.

504

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, FERRETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13654/88. Varsavia, Il ottobre 1948, ore 18,50 (per. ore Il del 12).

Ho intrattenuto questo segretario generale degli affari esteri su quanto esposto nel suo telegramma 11413/c. 1• Egli mi ha detto della questione nostre colonie si occupa personalmente ministro degli affari esteri tuttora a Parigi. Ha aggiunto proposta risolvere immediatamente questione Somalia presenta problema tattico che Modzelewski potrà decidere sul posto. Segretario generale mi ha promesso informerà suo ministro della nostra conversazione. Utili contatti diretti potranno essere presi ambasciatore Quaroni.

(T. s.n.d. per corriere 13821/0258 del 14 settembre) comunicò che Dulles, sentito Dewey in proposito, aveva confermato l'origine dell'equivoco c che, pur ritenendo improprie le modalità della rettifica, esso poteva ritenersi superato.

503 3 Con T. s.n.d. 11673/762 del 13 ottobre Zoppi rispose che le perplessità di Dewey dovevano essere nate non dalla lettera dei 3 settembre, nella queic era stato voiutamente omesso il riferimento alle colonie, ma da una frase dei messaggio di De Gasperi dei 26 agosto (vedi D. 342) interpretata dalia stampa statunitense nel senso di una rinuncia italiana alle colonie. Zoppi aggiunse che già il 13 settembre si era provveduto a rettificare tale erronea interpretazione attraverso un dispaccio del l 'agenzia «United Press» di Roma, probabilmente non giunto a conoscenza di Dulles. Successivamente Quaroni

504 1 Vedi D. 487.

505

L'INCARICATO D'AFFARI A L' AJA, ANTINORI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3401/5641• L'Aja, 11 ottobre 19482 .

Il fallimento delle conversazioni svoltesi a Mosca e l 'acuirsi della crisi berlinese hanno fatto sì che l 'Unione Occidentale sia andata assumendo struttura concreta anche sotto l'aspetto militare; la coordinazione delle forze armate delle cinque potenze è stata recentemente accelerata mediante la creazione di un unico comando supremo, mentre il problema degli armamenti costituisce oggi l'argomento più attivamente ed intensamente discusso nei circoli politici e nella stampa dei paesi del Patto di Bruxelles.

Questa rapida evoluzione viene anche in Olanda seguita con attenzione, non solo dagli ambienti responsabili, i quali però anche a questo proposito si trincerano dietro l'abituale, ermetico riserbo, ma da chiunque si renda conto che il paese ha lasciato per sempre la neutralità e l 'isolamento per prendere parte attiva e diretta alla politica difensiva dell'Occidente europeo.

È evidente che questo vigile interessamento si accompagni ad una certa dose di prudente se non timorosa circospezione; ci si rende qui ben ragione che, se è vero che l'aggravarsi della situazione ha impresso un ritmo inconsueto alla preparazione militare dell'Europa occidentale, molto manca ancora ad una sua reale efficienza. Gli olandesi, i quali recentemente hanno preso visione del bilancio del loro Ministero della guerra, sanno che per ora la loro forza militare, indebolita dagli impegni nei territori d'oltre mare, può contribuire in ben limitata misura alla difesa, non che del continente, dello stesso territorio metropolitano. Essi sanno che tutt'al più il loro compito, in caso d'aggressione, potrà consistere nel tentativo di ritardare l'avanzata dell'invasore; anche per questo sono però indispensabili armi moderne che gli olandesi non hanno, e di cui sembra siano sprovvisti anche la Francia e gli altri membri del Patto di Bruxelles. È per questo che ripetutamente, sia gli ambienti ufficiali che la stampa, sottolineano l'intrinseca vulnerabilità ed inefficacia di simile sistema difensivo, se privato dell'aiuto americano in mezzi e materiale. Sempre più insistente è anche qui a questo proposito il suggerimento di ripristinare il sistema degli affitti e prestiti per favorire un adeguato riarmo, che non potrebbe essere realizzato nel quadro del piano Marshall senza incidere gravemente sui risultati del piano stesso. Gli olandesi sono perfettamente consci di non poter, con le sole proprie forze, arginare una aggressione, ma esigono, in cambio del rischio ormai accettato, adeguate garanzie. E queste garanzie non solo le desiderano dagli americani, ma anche, e nella stessa misura, dagli inglesi. Già in altre occasioni sono stati qui rilevati gli

505 1 Diretto anche alle ambasciate a Bruxelles, Londra, Parigi e alla legazione a Lussemburgo. 2 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

751 ostacoli frapposti ad una politica continentale della Gran Bretagna, dai suoi tenaci vincoli imperiali; se questo aspetto della posizione britannica aveva una notevole importanza all'epoca del Congresso federalista europeo, tenutosi all'Aja nel maggio u.s., e che ha visto le esitazioni del Foreign Office dinanzi a decisioni europee troppo impegnative, tanto maggiore l'ha adesso che la crisi internazionale richiede una collaborazione continentale senza riserve e restrizioni.

Questo spiega il perché la nomina di Montgomery a comandante supremo degli eserciti dei Cinque, benché approvata per la popolarità del maresciallo e la sua inevitabile identificazione con la liberazione del 1945, abbia incontrato in qualche ambiente di questo paese alcune giustificate diffidenze. Non a torto gli olandesi diffidano da quelle forme di piani militari che consistono nelle ritirate strategiche e nelle successive «liberazioni». Come ha affermato de Gaulle, le cui recenti dichiarazioni hanno qui avuta largo eco, si pensa anche in Olanda che la difesa dell'Europa occidentale debba avere il suo centro sul continente; la scelta del maresciallo Montgomery a comandante supremo e di sir J. Robb a comandante delle Forze aeree dei Cinque è stata accolta qui pertanto con alcune riserve, temendosi che essi si lasceranno guidare dal criterio della difesa delle isole britanniche piuttosto che da quello della difesa del continente. È per ciò che il costante leit motiv di gran parte della stampa è a questo proposito la necessità per i francesi, gli olandesi e i belgi di affrettare al massimo la riorganizzazione dei loro eserciti, purtroppo ostacolata in Francia dal caos politico, ed in Olanda dai deficit finanziari.

Ultimo, ma non certo trascurato aspetto del problema difensivo europeo, è per questi ambienti la funzione della Spagna nei piani strategici e politici occidentali. Enorme è stato il rilievo dato da questa stampa ai colloqui che autorità militari americane hanno recentemente avuto con Franco, e generale è la previsione che ben presto, sotto la spinta degli eventi, le potenze occidentali siano portate a riconoscere che la Spagna falangista abbia definitivamente espiata la pena dell'isolamento. Si noti che già da lungo tempo la stampa cattolica olandese, grazie al carattere spiccatamente anticomunista del regime di Franco, aveva auspicato un mutamento n eli' opinione pubblica mondiale, rilevando l'assurdità delle sanzioni decise dall'O.N.U. nel 1946 e quanto fosse invece necessario inquadrare la penisola iberica nello sforzo ricostruttivo, ed oggi in quello militare, de!l'Occidente europeo. Da qualche giorno a questa parte anche altri settori della stampa (tranne quella socialista che tuttora ha evitato l'argomento, e quella comunista che ha logicamente manifestato la sua disapprovazione) sembrano ormai disposti a passar sopra alle incompatibilità ideologiche per riconoscere, pur con qualche amarezza, che la collaborazione spagnola è indispensabile per «tappare nella barca europea una falla assai pericolosa». Conviene aggiungere che da quando i rapporti ispano-americani hanno recentemente polarizzata l'attenzione del mondo, sono qui affiorati timori originati da considerazioni puramente strategiche; si sospetta infatti che i nord-americani, incoraggiati da Montgomery, possano organizzare la difesa dell'Europa su due barriere naturali: la Manica ed i Pirenei, il che evidentemente sacrificherebbe all'immediata invasione il territorio metropolitano di ben quattro fra gli alleati dell'Unione Occidentale.

Quanto sopra può solo dedursi dalle reazioni della stampa e dell'opinione pubblica olandese, perché, come già rilevato in precedenza, i circoli ufficiali si mantengono estremamente riservati e, consci dei pericoli che incomberebbero direttamente sul paese in caso di conflitto, non desistono dall'auspicare altra soluzione all'infuori di un'intesa fra i Grandi.

506

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI

TELESPR. 1427 SEGR. POL. Roma, 12 ottobre 1948.

Riferimento: suo telespresso n. 2271/1338 del 10 settembre u.s. 1•

Si approva l'impostazione che ella ha dato alle conversazioni con codesto ministro d'Albania e si conferma in particolare che, da parte nostra, si intende insistere sul punto che la ripresa delle relazioni diplomatiche non possa essere subordinata a speciali condizioni, né da una parte né dall'altra.

D'altro lato dal comportamento di Heba e particolarmente dalla sua allusione alla necessità che questa ripresa «venga opportunamente preparata» e dalla presentazione della nota sulle restituzioni in base all'art. 78 del trattato, appare abbastanza chiaro che Tirana pone praticamente delle condizioni. A tale riguardo ella può ribadire il nostro punto di vista, già espresso a suo tempo al Governo albanese tramite Belgrado -e successivamente ripetuto a queste ambasciate nord-americana, britannica, francese e sovietica circa l'applicazione dell'art. 75 e in occasione di altri passi del genere e cioè che non possiamo prendere in considerazione tali richieste prima che il Governo di Tirana abbia dato prove tangibili ed effettive di voler risolvere la dolorosa questione degli italiani trattenuti in Albania contro la loro volontà. A tale riguardo va osservato che le prestazioni di lavoro fomite dai nostri connazionali in Albania non cessano di essere forzose per il fatto che esse, in alcuni casi, si basano su contratti stipulati in condizioni di costrizione morale e talvolta anche fisica (te1esprcssi ministeria1i nn. 17964 e 4313/4270 rispettivamente del1'8 giugno e 26 agosto u.s-)2.

Si informa in merito che il Comitato internazionale della Croce Rossa -da noi interessato per l'organizzazione di alcune forme elementari di assistenza (invio di pacchi) -ha fatto negli scorsi giorni conoscere che la Croce Rossa albanese ha respinto le nostre premure motivando che «gli italiani godono di tutti i diritti di lavoro riconosciuti ai loro colleghi albanesi» e che «i civili italiani possono lasciare liberamente l'Albania se lo desiderano».

La S.V. potrà dire al signor Heba che un atteggiamento tanto paradossale non può incoraggiare nessuno a ricercare una via di uscita da situazioni che ormai si prolungano a scapito di interessi albanesi.

2 Il primo documento non è stato rinvenuto, il secondo non si pubblica.

A riprova della inesattezza delle ripetuta affermazione albanese che tutti gli italiani che desideravano il rimpatrio sono già stati rimpatriati, questo Ministero potrebbe inviarle un lunghissimo elenco di persone che sono passate dal Ministero

o che hanno scritto sollecitando in termini angosciosi il rimpatrio dei familiari in Albania, ma hanno nel contempo raccomandato, nel timore di rappresaglie, di non fare il nome dei loro parenti ad autorità albanesi. Ciò spiega fra l'altro perché, con telegramma n. 373 , le fu accennato che, con la ripresa dei rapporti diplomatici e la presenza di un rappresentante italiano a Tirana, si verrebbe a creare una qualche distensione nella questione dei rimpatri. Per sua opportuna informazione si rimette qui unito copia di una risposta data dal ministro ad una interrogazione sulla sorte degli italiani in Albania nel gennaio scorso4 : la situazione in essa descritta non è certo migliorata.

Quanto alle circostanze del mancato arrivo nel 1945 di una missione albanese in Italia e della partenza della missione Turcato da Tirana, si rimette pure, qui unito, un appunto4 che ella può utilizzare per rettificare le asserzioni di codesto ministro d'Albania.

Si prega infine V.S. di voler riferire se, in tali condizioni di cose e nell'attesa che gli albanesi maturino le loro decisioni, non convenga di procedere ai sondaggi presso il Ministero degli esteri bulgaro di cui al mio telegramma n. 34 del 19 luglio

u.s.5 , sondaggi cui le danno fra l'altro occasione i chiarimenti chiesti circa le istruzioni impartite dal Governo bulgaro alla legazione in Roma a proposito di singoli casi di tutela di interessi albanesi (suo telespresso n. 232911369 del 17 settembre u.s.)6•

506 1 Vedi D. 410.

507

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1147/17947/3771. Parigi, 12 ottobre 1948 1•

Su mia richiesta ho avuto ieri una conversazione con Foster Dulles. Gli ho detto che perché potesse meglio comprendere il pensiero del Governo italiano erano necessarie alcune premesse. Governo e popolo italiano avevano alle elezioni mostrata la loro volontà di vivere con l'Occidente: il Governo italiano si rendeva perfettamente conto della

4 Non si pubblica.

5 Conteneva le istruzioni di Zoppi di sondare la disponibilità del Governo bulgaro ad assumersi la tutela degli interessi italiani in Albania o quanto meno ad interessarsi per il rimpatrio degli italiani. 6 Non pubblicato. Per la risposta di Guamaschelli al presente documento vedi D. 583. 507 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

gravità della situazione internazionale, della gravità della minaccia russa, della necessità di organizzare, d'intesa e con l'aiuto dell'America, la difesa dell'Europa occidentale: l'Italia non aveva nessuna intenzione di fare banda a parte, né nessuna illusione sulla possibilità di farlo. Bisognava però tenere presente che la nostra opinione pubblica non era affatto preparata: e era ancora scossa e disorientata dalle conseguenze spiacevoli dell'ultima guerra (Foster Dulles: «l wuold cali this an understatement») e aspirava alla neutralità intesa soprattutto come il desiderio di essere lasciata in pace: l'Italia dopo l 'armistizio non era stata trattata troppo amichevolmente dalle principali potenze europee (Foster Dulles: «Also this I would call an understatement») non c'era quindi da meravigliarsi se l'idea di legarsi con un trattato di alleanza a Francia e Inghilterra non fosse estremamente popolare. Il Patto occidentale era, in realtà, ben altra cosa che una delle tradizionali alleanze europee: ma alla massa esso appariva come tale; naturale quindi la prima reazione della nostra opinione pubblica. Gli ho incidentalmente espresso le nostre speranze che la futura amministrazione americana sarà meno cryptic circa la politica italiana di quanto non sia l'attuale (meraviglia di Foster Dulles).

Il Governo italiano era deciso a promuovere una opera di chiarificazione della sua opinione pubblica: il recente discorso del conte Sforza al Parlamento italiano2 che speravo egli avesse letto (Foster Dulles: «con molta attenzione») doveva in un certo senso essere considerato come l'inizio di questa campagna di chiarificazione. Il Governo italiano era sicuro di riuscire, ma non gli sembrava di domandare troppo se chiedeva di essere almeno un po' aiutato dai suoi amici. Questa era la ragione per cui noi domandavamo che si facesse tutto il possibile perché la presente Assemblea dell'O.N.U. decidesse, a nostro favore, l'attribuzione del trusteeship sulla Somalia. Aiuto americano a parte -per cui l 'Italia era profondamente grata agli Stati Uniti -questo parziale successo sulla questione coloniale, sarebbe stato il primo risultato tangibile dalla politica occidentale del Governo italiano ed esso sarebbe stato per noi di grandissima utilità per risalire la china.

Foster Dulles: L'Italia è in grado di sopportare il burden economico della Somalia?

Gli ho fatto osservare che, prima dell'inizio della politica di espansione verso l'Etiopia la Somalia era, finanziariamente, se?f supporting. D'altra parte la Somalia rappresentava per noi un territorio con certe attività economiche, saline, incenso, banane, cotone, ed altre colture tropicali, il cui prodotto, se riservato all'Italia era di qualche aiuto per la nostra bilancia dei pagamenti. Non era la soluzione dei nostri problemi ma era comunque un piccolo aiuto: and every little helps.

Foster Dulles: Mi era stato detto che la Somalia non è che un deserto senza nessun interesse economico. Può essere che così sembri a chi ha delle colonie ricche e fiorenti ma noi non l'abbiamo mai considerata come tale.

Circolava la voce, non so quanto fondata, che gli inglesi non sarebbero stati alieni dall'aderire al trusteeship italiano per la Somalia a condizione che essa fosse abbinata al trusteeship britannico per la Cirenaica. Ora questo abbinamento

noi non potevamo accettarlo: non che noi non si fosse convinti che le chances di modificare il punto di vista britannico sulla Cirenaica fossero minime; ma la concessione del trusteeship per la Somalia solo, avrebbe costituito un apporto positivo alla politica che il Governo italiano intendeva svolgere: abbinato con la Cirenaica avrebbe perduto ogni valore effettivo. Per questo il nostro desiderio era: soluzione a noi favorevole per la Somalia sola, rinvio di tutto il resto alla prossima Assemblea.

Mi ha chiesto se avremmo considerato sotto lo stesso punto di vista negativo l'abbinamento della Somalia con la concessione dello sbocco al mare dell'Etiopia: gli ho risposto come a Schuman.

Mi ha chiesto se ritenevo realmente che le nostre ex colonie erano in grado di risolvere il nostro problema demografico. Gli ho risposto di no: avrebbero però potuto alleggerirlo: per cominciare avrebbero potuto permetterei di fare rientrate in Africa le molte decine di migliaia di italiani che, per varie ragioni, ne erano partite, in varie epoche e il cui ritorno si urtava contro l'opposizione del Governo britannico. Dulles si è dato l'aria di sentir parlare per la prima volta di questo aspetto del problema, mi ha chiesto dettagli, che gli ho dati: mi ha chiesto perché gli inglesi facevano questa politica, gli ho risposto cercando di gettare la maggior parte delle responsabilità sulle autorità locali: mi ha chiesto se avevamo attirato l'attenzione del Governo americano su questo lato del problema: varie volte, gli ho detto, ma senza nessun risultato pratico.

Mi ha chiesto che cosa ne pensavo della proposta avanzata da Byrnes e da lui di un trusteeship plurimo, per la Tripolitania e per l'Eritrea3: un governatore svedese, per esempio, con un Consiglio in cui l'Italia avrebbe potuto avere una parte preponderante: gli sembrava che una soluzione di questo genere avrebbe potuto benissimo risolvere il problema della nostra emigrazione, senza accollarci l'onere finanziario della amministrazione delle colonie: anzi, le colonie essendo amministrate dall'O.N.U., sarebbero stati altri Governi, in primo luogo quello americano, che avrebbero dovuto avanzare i capitali necessari per una loro ulteriore messa in valore e sarebbe stata la mano d'opera italiana che avrebbe prima di ogni altro beneficiato di questo apporto di capitali, che invece l 'Italia non sarebbe stata in grado di fornire. Senza darmi tempo di rispondere mi ha poi chiesto cosa ne pensavo della capacità della Tripolitania a diventare indipendente: aveva avuto su questo punto delle informazioni contraddittorie, benché in maggioranza in senso affermativo.

Gli ho detto che bisogna chiarire cosa si intendeva per indipendenza: per esempio se egli considerava la Transgiordania un paese indipendente (sorriso): se si intendeva questo per indipendenza allora certo anche la Tripolitania era matura per l'indipendenza; no se si intendeva indipendenza nel senso vero della parola.

Circa la sua prima domanda, gli facevo osservare che, a mio avviso, la questione delle colonie italiane era stata, fin ad ora, posta in termini non corrispondenti alla realtà. Dai discorsi suoi e di Dewey avevo tratta l'impressione che l'amministrazione repubblicana ritenesse che l'amministrazione precedente avesse affrontati i

problemi della difesa del! 'Europa e del Medio Oriente piecemeal, senza un pensiero organico: e che riteneva per prima cosa necessario mettere dell'ordine nella politica americana e darle un quadro d'insieme (approvazione). Ci si diceva che le colonie italiane, specie la Libia erano dei punti importanti nella strategia anglo-americana: benissimo, ma a quale scopo? La difesa del Medio Oriente e delle sue ricchezze petrolifere contro un attacco russo proveniente dall'Iran, poiché a difendere gli accessi dalla Turchia gli americani stavano già provvedendo (approvazione). La politica anglo-americana era stata di creare una barriera di Stati arabi, appoggiando il nazionalismo arabo, in modo da creare un raggruppamento che opportunamente sostanziato da forze specie aeree anglo-americane, avesse potuto opporre una seria resistenza ai russi (approvazione). Ora dopo l 'esperienza fatta nella questione di Palestina mi sembrava che tutta questa politica meritava di essere seriamente reconsidered (approvazione). Gli Stati arabi, in una causa religiosa o nazionale, si erano mostrati incapaci di vincere la resistenza di 700 mila ebrei tanto che oggi ci si doveva domandare dove sarebbero arrivati gli ebrei se lasciati liberi di fare quello che volevano: dopo questo esempio mi sembrava difficile evitare la conclusione che le forze armate arabe erano a broken reed e che non era certo con le divisioni arabe che si poteva sperare di far fronte alle divisioni corazzate sovietiche (viva approvazione). Quali i termini di questa reconsideration: nel piano primitivo l'Italia poteva essere considerata come soltanto una posizione strategica (gesto di diniego); nel nuovo piano si poteva anche venire alla considerazione che era opportuno dare all'Italia una funzione, sia pure modesta, di collaborazione, si intende insieme con gli inglesi, gli americani e gli arabi (approvazione). Era secondo me necessario quindi rivedere tutto il problema dell'Italia e del Mediterraneo orientale sotto questo angolo; e una volta risolta la questione della posizione dell'Italia, scendere ad esaminare la funzione, in tutto questo, delle nostre colonie: in questo quadro più completo sarebbe stato facile, con buona volontà e comprensione reciproca, trovare una soluzione che fosse soddisfacente per tutti. Al di fuori di questo quadro si rischiava di arrivare a soluzioni, oggi apparentemente soddisfacenti ma che avrebbero potuto essere rimpiante domani. Si trattava di uno studio a lunga portata: era impossibile farlo nelle poche settimane che ci separavano dal dibattito ali' Assemblea; era impossibile farlo in un momento in cui il possibile trapasso di amministrazione paralizzava in certa misura le decisioni americane. Era questa una delle ragioni, probabilmente la principale, per cui noi desideravamo un rinvio della questione, per un periodo di tempo abbastanza lungo, che permettesse di rifletterei su con piena ponderazione (marcata approvazione).

Mi ha poi parlato della questione di cui al mio telegramma di ieri4 .

Come V.E. può vedere tutta questa parte della conversazione è stata piuttosto un soliloquio: l'approvazione di Dulles è consistita in sorrisi e grugniti: più non committal di questo era difficile di esserlo.

Se di impressioni si può parlare dopo una conversazione di questo genere dovrei dire:

l) Dulles è ancora certamente molto attaccato all'idea del trusteeship multiplo;

2) è molto fortemente impressionato dalle considerazioni di ordine economico contrarie ad un nostro ritorno in Africa; 3) il mio concetto del «piano» gli è piaciuto come un buon argomento per patrocinare l'idea del rinvio; 4) che non ha made up his mind e non ha troppa fretta di farlo. Vedrò se in una ulteriore conversazione sia possibile di tirarne qualcosa di più.

506 3 Vedi D. 259.

507 2 Vedi D. 491, nota 7.

507 3 Si riferisce al progetto per le colonie presentato nel settembre 1945 alla Conferenza di Londra, per il quale vedi serie decima, vol. Il, DD. 563, 575 e 604.

507 4 Vedi D. 503.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1439 SEGR. POL. Roma, 14 ottobre 1948.

Dal complesso delle ultime segnalazioni, così come dal discorso del ministro alla Camera 1 avrai visto quali siano stati gli sviluppi della questione concernente il nostro schieramento ad ovest. Le frasi pronunciate dal ministro hanno voluto essere contemporaneamente una accentuazione pubblica di quanto da tempo andavamo dicendo agli occidentali, e un richiamo alla realtà e un campanello d'allarme per l'opinione pubblica. Si sono così mosse le acque e dai giornali avrai visto quali ne siano state le ripercussioni nei vari partiti. Lasciando da parte l'atteggiamento della estrema sinistra, che non può essere che quello che è, avrai notato alquante perplessità nei vari gruppi socialisti di centro e anche in taluni ambienti della Democrazia cristiana. Le destre mancano attualmente di giornali, ma mi risulta che anche queste correnti hanno qualche dubbio e ci accusano di ... precipitazione! Per evidente difetto di informazioni esse sono ai punto in cui era il Ministero un anno fa: ritengono cioè che questa sia una ottima carta in nostra mano e considerano insipiente il giocarla gratuitamente. Per questo stadio era doveroso passare se non altro pour en avoir le coeur nel di fronte alla Storia e, in possesso di tutti gli elementi di giudizio, si renderebbero facilmente conto della realtà.

Più difficile invece da superare -anche per motivi elettoralistici e personali le dubbiezze delle altre correnti: avrai notato che anche quelle meno sfavorevoli chiedono: il Governo si è assicurato che saremo difesi? Questo è il punto cruciale di tutta la questione. Oramai si incomincia a capire che anche rimanendo ufficialmente «fuori» saremmo aggrediti ugualmente, ma, si dice, se dovremo essere comunque invasi, meglio esserci compromessi il meno possibile e subire l'occupazione col minimo di rappresaglie in attesa della ... liberazione. Vedo bene le obiezioni che si possono fare a questa considerazione, ma per capirla bene occorre por mente che essa non viene fatta da quelle poche centinaia di persone che riuscirebbero even

758 tualmente a prendere il volo, ma da quelli che sanno di dover rimanere. Del resto mi dicono che un analogo stato d'animo esisterebbe anche in Francia, dove si pensa anche fra la truppa che dovrebbe battersi, che se è per ripetere l'esperimento del giugno '40, meglio squagliarsi e se mai farsi partigiani alla vigilia dello sbarco americano.

Per usare una frase tua, non dico se questo ragionamento sia buono o cattivo, constato che si fa e se non si vuole costruire nelle nuvole o sulla sabbia occorre teneme conto. Ecco perché andiamo insistendo per poter incominciare ad esaminare il problema dal punto di vista militare. Mi pare che, in attesa di portare più avanti i sondaggi con gli americani, la tua lettera del 5 ottobre2 a me diretta apra anch'essa uno spiraglio in questo senso. Noi non sappiamo esattamente cosa sia stato sinora deciso nelle conversazioni fra i Cinque, ma non sarebbe improbabile che possa rientrare nel quadro di una cooperazione itala-francese la difesa del settore sud dell'Europa. In tal caso potremmo, consenzienti gli anglo-americani -conversare coi francesi e riferire poi agli altri le constatazioni che verrebbero fatte a conclusione di tali contatti. Credo -salvo istruzioni contrarie -che in questo senso risponderemo alla tua lettera sopra citata3 .

508 1 Vedi D. 491, nota 7.

509

IL CAPO DELL'UFFICIO COLONIE E CONFINI, CASTELLANI PASTORIS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Parigi, 14 ottobre 1948.

L'ambasciatore Canas, presidente della delegazione di Costarica all'Assemblea, da cui sono andato per illustrare il punto di vista italiano sulla questione delle colonie, mi ha subito domandato se non credevo che il fatto che l'Italia non apparteneva alle N.U. non avrebbe costituito impedimento ad un mandato italiano sulle colonie. Gli ho spiegato allora che dal punto di vista giuridico, la Carta di S. Francisco non richiedeva che lo Stato mandatario facesse parte dell'O.N.U., ma soltanto che accettasse gli obblighi previsti per il mandato e le disposizioni adottate dal «Comitato di tutela»; la stessa proposta dei Quattro di assegnare all'Italia l'amministrazione fiduciaria della Somalia provava che le principali potenze non nutrivano dubbi circa l'interpretazione da darsi alla Carta in questo caso. Egli si è dichiarato convinto.

L'ambasciatore Canas mi ha quindi dichiarato che aveva ricevuto istruzioni dal suo Governo di appoggiare la tesi italiana, salvo nel caso che l'Assemblea decidesse di concedere l'indipendenza a qualcuno dei territori in questione (e ciò perché sono vivissime in Costarica le prevenzioni anticolonialiste); ma ha aggiunto che non

3 Per la risposta al presente documento vedi D. 518.

credeva affatto probabile che si potesse presentare tale caso, giacché non pensava che nessuno dei territori stessi fosse maturo per l'indipendenza.

Ha concluso dicendomi che perciò potevo confermare che la sua delegazione avrebbe appoggiato il progetto di una amministrazione italiana sulla Somalia (ed eventualmente anche sugli altri territori), mentre avrebbe votato contro eventuali progetti di amministrazione inglese per la Cirenaica ed etiopica per l'Eritrea; avrebbe invece appoggiato la proposta di concedere subito uno sbocco al mare all'Etiopia.

508 2 Vedi D. 480.

510

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO l l 56/17954/3778. Parigi, 14 ottobre 1948 1•

Ritengo più pratico riferire per esteso piuttosto che cercare di riassumere la conversazione che ho avuto ieri sera con McNeil:

Quaroni: Lei è al corrente della conversazione che Mascia ha avuto con Clutton?

McNeil: Nelle sue linee generali, non in dettaglio.

Quaroni: Clutton ha detto che le proposte inglesi per la sistemazione della questione delle colonie sarebbero: Somalia, trusteeship all'Italia; Eritrea, amministrazione etiopica sotto un certo controllo; Cirenaica: trusteeship britannico; Tripolitania, rinvio con una vaga promessa britannica di cercare di fare qualcosa per favorire in avvenire un trusteeship italiano.

McNeil: Queste sono le conclusioni a cui è arrivato il segretario di Stato ed il Governo britannico. Quaroni: Clutton non ne ha parlato: ma suppongo che questa sistemazione generale comprende anche il trusteeship alla Francia per il Fezzan.

McNeil: È esatto.

Quaroni: Lei è al corrente della conversazione che il segretario generale del nostro ministero ha avuto con il consigliere dell'ambasciata britannica a Roma2?

McNeil: Sì: e questa decisione del Governo britannico è stata riconsiderata dopo questa conversazione: del resto la nostra risposta a quella conversazione è stata comunicata da Charles ad Anzilotti 3 .

Quaroni: Se Mascia ha ben compreso Clutton, voi ci domandate non soltanto il nostro consenso a questo piano di sistemazione, ma che facciamo uso della influenza che possiamo avere presso alcuni nostri amici all'O.N.U. perché essi votino a favore di questo progetto.

51 O 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 435.

Vedi D. 46R.

McNeil: È esatto: il Governo britannico ci tiene molto a che il problema delle colonie italiane possa essere risolto in questa sessione dell'O.N.U.: ritiene quindi che il concorso dell'Italia potrebbe essere di grande utilità.

Quaroni: Lei è uomo politico? McNeil: È una cosa che mi viene spesso rimproverata dai funzionari del Foreign Office.

Quaroni: Non è affatto in questo senso che glielo chiedo. Lei è un uomo politico: come uomo politico le domando: se lei fosse un uomo politico italiano se la sentirebbe di sottoporre al Parlamento italiano una proposta di questo genere?

McNeil: Un uomo politico deve essere pronto a affrontare il suo Parlamento anche su questioni sgradevoli. Crede lei che fosse agevole presentare al Parlamento britannico la questione di Berlino? Eppure il segretario di Stato, tenendo presente le necessità di politica generale lo ha fatto ed il Parlamento ha compreso.

Quaroni: Non è la stessa cosa: la situazione di Berlino era at its best una necessità impostavi per il fatto di un paese che doveva essere considerato un potential enemy: nel nostro caso si tratterebbe di una necessità impostaci da un paese che, malgrado tutto, noi ci ostinavamo a considerare un potential friend.

McNeil: Cito un altro esempio: il bilatera! agreement che l'Inghilterra come del resto anche l 'Italia ha dovuto accettare. Quaroni: Dietro al bilatera! agreement c'era per l'Inghilterra un miliardo di dollari: dietro alla proposta che lei fa non c'è niente.

McNeil: No, c'è la Somalia e una ragionevole speranza per la Tripolitania. Il Governo italiano dovrebbe spiegare al suo Parlamento che ha fatto nelle circostanze attuali, the best possible bargain: e che la situazione generale, gli interessi generali anche del\ 'Italia impongono che questo bargain sia accettato.

Quaroni: Quale è questo bargain? L'Italia, prenderebbe la Somalia, dovrebbe rinunciare all'Eritrea ed al Fezzan, e, at best, quel certo accordo per la Tripolitania avrebbe dovuto restare segreto. Le ripeto si metta al posto del ministro degli esteri italiano.

McNeil: È un segreto che non resterebbe tale a lungo. Il conte Sforza potrebbe nel suo discorso al Parlamento accennare che c'è ancora una speranza per la Tripolitania per il solo fatto che la questione è rimandata: la stampa potrebbe, dietro istruzioni del Governo, incoraggiare le speranze: gli italiani sono intelligenti e capirebbero.

Quaroni: Il Governo britannico non ci da nemmeno un commitment preciso per la Tripolitania: ci dice che zfpossible, il Governo britannico cercherà di favorirci, in avvenire, per avere un trusteeship per la Tripolitania: il che significa che potrebbe anche non trovarlo possibile: e siccome il possibile e il non possibile dipenderebbe in gran parte dalle autorità britanniche in Tripolitania, della cui attività non abbiamo avuto certo da lodarci fino adesso: questo possibile e questo non possibile dipende dalla volontà del Governo britannico che lei non vuole impegnare fin da ora.

McNeil: La volontà del Governo britannico potrà essere in larga misura influenzata dall'atteggiamento generale del Governo italiano. Comunque si tratta di una reasonable hope di cui degli abili parlamentari come Sforza e De Gasperi possono fare uso per fare accettare il resto.

Quaroni: Non so se l'opinione pubblica italiana sia ancora molto disposta a far fede alle promesse britanniche: abbiamo avuta una esperienza molto amara in proposito in questi cinque anni dal nostro armistizio.

McNeil: Vorrebbe dirmi quali sono le promesse che il Governo britannico non ha mantenute?

Quaroni: Sul momento non me ne ricordo che tre: la lettera di Cunninghan a de Courten circa il destino della flotta italiana: le promesse di appoggio circa la nostra frontiera orientale: le promesse di appoggio circa la nostra frontiera con la Francia: ma se vuole gliene posso fare avere una lista più completa.

McNeil: Il Governo britannico continua ad essere di opinione che nella questione della frontiera orientale e in quella francese l 'Italia era stata trattata ingiustamente: ma era necessario arrivare ad un compromesso, e per arrivare a questo compromesso il Governo britannico è stato costretto ad accettare una soluzione che esso riteneva ingiusta.

Quaroni: Ma è precisamente questo: sono cinque anni che ogni volta che si deve arrivare ad un compromesso, che si deve appease qualcuno lo si fa a spese dell'Italia: non sarà meravigliato se le dico che l'Italia ne ha abbastanza di non essere considerata altro che come un oggetto di compromesso per le liti o per le ambizioni degli altri.

McNeil: Sono le circostanze che hanno voluto così: la Germania ha perduto più territorio dell'Italia: e non esito a dirle che se fosse possibile a questo prezzo assicurare la pace all'Europa il Governo britannico non esiterebbe a sacrificare ancor più territorio tedesco.

Quaroni: Mi fa piacere di sentire da lei che dopo cinque anni dal nostro armistizio il Governo di S.M. considera l 'Italia ancora alla pari della Germania ossia come un paese ex nemico.

McNeil: No ho voluto dire questo: mi scusi anzi se le mie parole hanno potuto essere interpretate in questo senso: al contrario il Governo britannico considera il Governo italiano come un Governo amico, ed è come ad un Governo amico che gli domanda di accettare un così grosso sacrificio. Il Governo britannico ed il segretario di Stato in persona hanno da lungo studiato questo problema, sotto tutti i punti di vista: le numerose conversazioni a Londra e a Roma a tutti i livelli, hanno permesso di chiarire perfettamente il punto di vista italiano. Il Governo britannico si rende perfettamente conto di quanto questa questione sia sensibile alla pride italiana, delle difficoltà di politica interna, dei gravi problemi economici e sociali cui va incontro il Governo italiano. È costante desiderio del Governo britannico di aiutare il Governo italiano a risolvere i suoi problemi: abbiamo studiato questo sotto tutti i punti di vista: come le ho detto è il massimo che noi possiamo fare: sta ora al Governo italiano di mostrare la sua statemanship e di accettarlo. Esaminiamo la situazione delle colonie una per una:

La Somalia: il Governo italiano sa che di tutti i rapporti della Commissione d'inchiesta il più damaging per l'Italia è appunto quello sulla Somalia. Quaroni: Sarei curioso di vedere quale sarebbe il risultato di una Commissione d'inchiesta fatta, in analoghe condizioni, in qualsiasi colonia britannica.

McNeil: Probabilmente lei ha ragione: however il rapporto è quello che è: nonostante questo il Governo britannico è pronto ad appoggiare con tutti i suoi mezzi l'assegnazione della Somalia all'Italia.

La Cirenaica: adesso possiamo apparire all'opinione italiana seffish nel richiedere la Cirenaica per noi: ma può essere che fra qualche tempo questa stessa opinione italiana riconoscerà che non siamo stati tanto egoisti. La Cirenaica rappresenta una posizione strategica di primo ordine che noi non possiamo abbandonare: ma non è soltanto una posizione strategica britannica è anche una posizione strategica italiana: noi abbiamo l'intenzione di farvi dei lavori grandiosi, di portata strategica, che l'Italia non avrebbe i mezzi di fare, in nessuna circostanza: mi auguro di no, ma potrebbe anche essere non troppo lontano il giorno in cui l'Italia si renderà conto dell'utilità che rappresenta, per la difesa dell'Italia, la presenza della Gran Bretagna e delle sue installazioni in Cirenaica.

Quaroni: Le sono grato di avermi considerato persona sufficientemente seria per non parlarmi di sciocchezze del genere della parola data ai Senussi, ma di avermi parlato della vera sostanza del problema ossia dell'interesse strategico della zona. Ma le domando: della Cirenaica se ne è parlato fra noi due da molto tempo: abbiamo mai dato l'impressione al Governo britannico che non ci rendevamo conto dei suoi interessi strategici in Cirenaica?

McNeil: È vero.

Quaroni: E allora? Noi ci siamo interessati della questione dei profughi della Cirenaica, non potevamo non farlo: è un peso grave sul nostro bilancio: quello che costano al bilancio italiano i 200 mila profughi d'Africa è una somma molto superiore a quello che eventualmente ci costerebbero le nostre colonie: glielo dico questo per prevenire l'argomento che voi avete tanto usato sia con noi che presso gli americani. Posso anche essere d'accordo con lei circa l'interesse italiano in una fortissima base inglese in Cirenaica: anzi sono d'accordo. Però lei mi parla della difesa dell'Italia, come il vicerè delle Indie poteva parlare della sua difesa al Maharaja di Rajpipla. L'Italia ha una grande fiducia su quello che farà l 'Inghilterra per la difesa dell'Italia: ma vorrà concedermi che ogni paese desidera, in quanto possibile, difendersi da sé. Le cose assumerebbero, per l'Italia, un aspetto del tutto differente se questa difesa dell'Italia dalla Cirenaica fosse fatta dall'Inghilterra in consultazione ed in accordo con noi.

McNeil: Non capisco quello che lei vuol dire.

Quaroni: È molto semplice: è del resto stato detto a Londra molte volte: collaboriamo per la difesa della Cirenaica: voi darete novanta, noi daremo dieci: ciò darebbe maggiore soddisfazione al nostro amor proprio, ci renderebbe più tranquilli per la nostra difesa: e potrebbe essere anche utile a voi. Nell'altra guerra c'è stato bene un momento in cui avevate ben bisogno dell'aiuto di tutti, anche dei più piccoli: una situazione di questo genere può sempre ripetersi: oggi ci disprezzate ma domani potreste anche aver bisogno di quel pochissimo che potremmo dare.

McNeil: Non è vero che l'Inghilterra vi disprezza. Abbiamo pensato anche a questo e lungamente: abbiamo a nostro rincrescimento dovuto concludere che non è possibile.

Quaroni: Perché?

McNeil: Il perché lo capisce: non c'è bisogno che glielo dica.

Quaroni: Confesso che non lo capisco.

McNeil: Mi permetta di dirle che so che lei è fra gli italiani che lo capiscono: è proprio per questo che le ho parlato con tanta franchezza ma non mi domandi di precisare.

L'Eritrea: posso anche ammetterlo che la soluzione che noi proponiamo non sia in sé giusta: dobbiamo però tener conto delle reazioni etiopiche: ma più ancora dobbiamo tener conto delle reazioni del Parlamento britannico. Lei non si rende conto della reazione che il caso Etiopia suscita ancora nel Parlamento britannico: il Governo britannico non potrebbe fare accettare una situazione che ristabilisse per l'Italia la situazione di pincer.

Quaroni: Ma questo non è serio. Fra l'altro l'Etiopia è di fatto se non di diritto un protettorato britannico: come si può pensare che possa venire un giorno in cui l'Italia possa di nuovo fare la guerra all'Etiopia ed all'Inghilterra congiunte?

McNeil: Può essere che sia anche così però come lei mi ha fatto il caso del Parlamento italiano così io debbo farle il caso del Parlamento britannico.

Quaroni: Ed io le faccio il caso dello statemanship.

McNeil: Il Fezzan a noi non interessa: in realtà è una regione che non dovrebbe interessare a nessuno: a noi interessa avere l'appoggio della Francia per la Cirenaica: per attenerlo le abbiamo abbandonato il Fezzan: se lei può convincere la Francia a cedervi il trusteeship sul Fezzan non credo che il Governo di S.M. farebbe obiezioni.

La Tripolitania: non ci interessa: saremmo disposti a !asciarla ali 'Italia ma oggi una soluzione del genere solleverebbe delle gravi reazioni da parte degli Stati arabi, reazioni che ci preme di evitare: speriamo nel corso di un anno di potere indurre gli Stati arabi a guardare la cosa sotto un altro punto di vista.

Quaroni: Il che vuoi dire che è anche possibile che non ci riusciate, nel qual caso anche fra un anno non ci sarebbe data la Tripolitania. McNeil: Se lei vuole è così: tenga conto del resto che anche per l'assegnazione della Somalia all'Italia dovete contare sull'opposizione di tutti gli Stati arabi.

Quaroni: Non è così: siamo sicuri dell'astensione di almeno tre Stati arabi: del resto lei sa meglio di me che l 'Inghilterra stessa non è affatto sicura che gli Stati arabi voteranno per il mandato inglese sulla Cirenaica: le vostre relazioni con la Lega araba non sono poi tanto buone a causa del dissidio intorno al re Abdallah.

McNeil: È in parte vero: ed anche per questo che noi vi domandiamo il vostro appoggio per fare approvare il nostro progetto.

Quaroni: Insomma riassumendo, si deve dare l'Eritrea all'Etiopia per tener conto dell'opposizione pubblica etiopica e inglese: si deve dare la Cirenaica a voi per tener conto dell'opinione pubblica non so di chi: il Fezzan alla Francia per l'opinione pubblica francese: non si può dare la Tripolitania all'Italia per l'opinione pubblica araba: ciò vuoi dire che l'Inghilterra tiene conto dell'opinione pubblica di tutti, ma non tiene nessun conto di quella italiana.

McNeil: Non è vero teniamo conto di questo con la Somalia: per il resto facciamo appello al senso di realtà degli uomini di Stato italiani. La situazione internazionale è estremamente grave: per l'Italia come per tutti quanti noi: non c'è da perdersi in problemi di dettaglio bisogna collaborare tutti alla difesa dell'Europa: per questo facciamo tutti dei sacrifici gravi, e più gravi ne dovremo fare ancora:

dobbiamo domandare all'Italia di mostrare il suo spirito di cooperazione facendo anche lei il suo sacrificio. Quaroni: Ossia si comincia da parte inglese l'opera di cooperazione con l'Italia per la difesa dell'Europa colla eviction dell'Italia dall'Africa.

McNeil: Non è eviction vi lasciamo la Somalia e la Tripolitania.

Quaroni: Ma lei stesso mi ha detto che la Tripolitania non ce la date.

McNeil: Let us say it is reasonable hope: se fosse possibile vorremmo fare di più: mi creda quando le dico che non è possibile.

Quaroni: Ed ora mi permetta di dirle con tutta franchezza: voi avete vinta la guerra, noi l'abbiamo perduta: sappiamo benissimo che le guerre perdute si pagano specie all'epoca moderna: se voi volevate ci potevate portare via anche la Sicilia e noi non avremmo potuto far niente per impedirvelo. Se voi ci considerate ancora come un paese nemico e vinto ci potete portare via anche tutte le colonie: se potete farlo passare all'Assemblea fate pure: abbiamo subito altri diktat, dovremo subire anche questo. Reputo inutile fare appello alle conseguenze che questo avrebbe sui rapporti italo-britannici perché da tutta questa nostra conversazione appare chiaro che non ve ne importa nulla.

McNeil: Non è vero; il Governo britannico dà la massima importanza ai buoni rapporti con l'Italia. Quaroni: My dear sir, nei rapporti fra Stati come nei rapporti fra uomini i fatti contano più delle parole.

McNeil: I fatti verranno.

Quaroni: Potrebbe dirmi quali sono questi fàtti che verranno? Fin qui lei mi ha esposto un piano del tutto negativo, o quasi: se c'è un lato positivo me lo dica, ed aJiora potremo vedere tutta la questione sotto un punto di vista differente.

McNeil: Non è una cosa di cui sia possibile parlare adesso.

Quaroni: Le ripeto intanto: se i vincitori si mettono d'accordo per una spartizione delle colonie italiane, il Governo italiano non ha altra alternativa che subire. Ma il suo consenso non lo può dare: meno ancora può consentire addirittura ad aiutare perché il vostro progetto sia accettato. Potrete dire che i governanti italiani sono dei cattivi statesmen.

McNeil: Non mi permetterei di giudicare così persone per cui ho la più alta stima.

Quaroni: Potrà anche essere vero: ma la situazione è quello che è: e non è in potere del Governo italiano il cambiarla: voi ci domandate quello che nessun Governo italiano può accettare.

McNeil: Nel qual caso debbo dirle con la stessa franchezza che voi non avrete la Somalia: la maggioranza dei due terzi non è facile a raggiungere, è facile per noi impedirlo.

Quaroni: Lo so benissimo, ma non credo di farmi soverchie illusioni se le dico che anche io credo di potervi impedire di avere la Cirenaica.

McNeil: Rimandare tutto, a che giova? Credete forse che fra un anno l'opinione pubblica britannica sarà meno sensibile al caso etiopico, che l'opinione pubblica araba vi sarà meno contraria per la Tripolitania? Può essere, ma può essere anche il contrario: potrebbe essere che fra un anno non si sia disposti a ridarvi nemmeno la Somalia. L'America vi è favorevole, lo so, ma è tutto un complesso di questioni in cui ci sono interessi ben più grandi in giuoco, su di cui l'America è d'accordo con noi: si rende conto di darvi un grosso dispiacere, cercherà di compensarvi altrimenti: così cercheremo anche noi. La Francia vi sostiene, ma anche essa non può non vedere che quello che noi abbiamo proposto, contro quello che vi può sembrare, è l'unica soluzione possibile, e vi accederà anche lei. Chi vi appoggerà? Un certo numero di Stati sud americani che, come voi, non vedono il problema che dal punto di vista immediato.

Quaroni: Lei può anche avere ragione: ma ci sono degli stati di fatto che superano la volontà umana: nessun Governo italiano può presentarsi in Parlamento e dire di avere non solo consentito, ma anche aiutato a far passare una soluzione che ci porta via la maggiore e migliore parte delle nostre colonie: le ripeto abbiamo in Italia duecentomila profughi d'Africa.

McNeil: Vuoi dire che andiamo incontro al blocco reciproco delle nostre proposte.

Quaroni: Lo temo.

McNeil: You may regret it.

Quaroni: You may regret it too.

McNeil: Va bene, riferirò al segretario di Stato il nostro colloquio.

Quaroni: Farò lo stesso con il Governo italiano: temo però, dopo quello che lei mi ha detto, che non c'è molta speranza che questa conversazione cambi il pensiero del segretario di Stato. Quanto al Governo italiano temo lo stesso poiché, come le ho detto, si tratta non della intenzione di uomini, che si potrebbe cambiare, ma di uno stato di cose parlamentari e di opinione pubblica che nessuno può cambiare.

McNeil: We may then nearly say that we have wasted our time. Quaroni: Le risponderò come una volta Eden a Mussolini: at least we know

where we are. McNeil: In questo caso Mussolini sarei io. Quaroni: È lei che lo dice.

Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, la conversazione si è svolta in tono estremamente amichevole: riaccompagnandomi McNeil mi ha detto che sperava che questa sarebbe stata soltanto la prima di una serie di incontri su questo ed altri argomenti.

V.E. sa quali sono le mie opinioni sulla questione coloniale, che non sono affatto quelle che sostengo: comunque, in questa cosa, sono un funzionario disciplinato, e cerco di fare del mio meglio per ottenere quanto più si può di quello che il mio Governo desidera, anche se sono convinto, che se, per avventura, avessimo causa vinta, andiamo incontro ai più gravi pasticci.

Comunque, in questa prima presa di contatto ho ritenuto opportuno farmi sotto e mostrare la più assoluta intransigenza. Evidentemente per ragioni che non comprendo ancora bene, l 'Inghilterra ha una così grande fretta di risolvere la questione adesso: ritiene che la nostra adesione ad un suo eventuale progetto ne faciliterebbe il passaggio all'O.N.U. In queste circostanze, se c'è una possibilità di migliorare le sue proposte in nostro favore -è solo di migliorarle che si può parlare -l'unica speranza di farle fare qualche passo avanti, sia direttamente, sia attraverso mediatori come potrebbero essere francesi ed americani, sta appunto nel farle comprendere che noi siamo disposti, in ultima analisi, a far rimandare il tutto. Se noi le diamo l'impressione che temiamo di uscire da questa Assemblea con le mani vuote e quindi non siamo disposti eventualmente a rinunciare alla soluzione Somalia subito, abbiamo perduto qualsiasi possibilità di negoziare.

Noti che faccio tutte le mie riserve sulla possibilità effettiva di bloccare le proposte inglesi: i latino-americani sono delle broken reeds. Ma finché gli inglesi ci credono, è l'unico atout che abbiamo in mano: quindi facciamo qui tutto il nostro possibile per accentuare questa impressione.

Credo che allo stato attuale delle cose sia utile che qui si funzioni da lancia spezzata. All'ultimo momento, poiché compromettere e compromettere molto sarà probabilmente inevitabile, ci si potrà sempre sconfessare. È una divisione di lavoro un po' staliniana se si vuole, ma mi sembra l'unico sistema per vedere se e quanto ci sia ancora da tirar fuori dagli inglesi.

511

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA. Washington, 14 ottobre 1948 (per. il 22).

Ricevuto il suo telegramma 529 del 7 ottobre 1 mi sono astenuto dal sollecitare un immediato colloquio con Lovett, sia in attesa del telespresso del 29 settembre2 (con le istruzioni al generale Marras), sia per lasciar passare il temporale sollevato dall'iniziativa di Truman per il viaggio (rientrato) di Vinson a Mosca, sia infine per evitare conversazioni impegnative-se non v'è insistenza americana-prima delle ormai prossime elezioni del 2 novembre.

Intanto mi è giunto l'annunziato telespresso del 29 settembre, il suo discorso alla Camera del 283 e le sue dichiarazioni di ieri alla Commissione degli affari esteri4 .

V.E. sviluppare argomenti di cui all'allegato al telespresso del 29 settembre partito col corriere 70. Aggiunga che col mio discorso alla Camera il Governo ha voluto far fare un notevole passo avanti alla coscienza nazionale mostrando i pericoli dell'isolamento. Oltre i punti concreti di cui al telespresso sarà bene ella rilevi che l'opinione italiana è molto più matura per impegni e finalità di federazione europea, come prova l'impressione che fece il discorso di Dewey al Lago Salato, che non per una mera unione militare finora di minima efficienza bellica. La prego aggiungere che personalmente ritengo che una maggiore accentuazione ed aspirazione di unione europea anche nel Patto di Bruxelles sarebbe preziosa sotto ogni punto di vista».

2 Vedi D. 460, nota l. 3 Vedi D. 491, nota 7. 4 I resoconti delle discussioni alla Commissione Affari Esteri della Camera non sono pubblicati

per questo periodo. Un sunto delle dichiarazioni di Sforza qui richiamate è edito in «Relazioni internazionali», a. XII (1948), n. 43, p. 710.

Non ho mancato di mettere in luce con i funzionari competenti del Dipartimento (sempre in via preliminare) il significato di progressiva ed efficace azione del Governo sulla opinione pubblica in tutte queste opportunissime e ben dosate manifestazioni.

In colloqui avuti la sera dell' 11, qui ali 'ambasciata, con Hickerson, Re ber e Dowling, ho avuto conferma della viva soddisfazione per il suo discorso innanzi tutto, e poi per l'andata di Marras in Germania, e per la decisione di Vanoni di mandare qui tecnici delle Finanze a studiare l'organizzazione fiscale americana ed a sollecitare l'assistenza di esperti del Tesoro per l'eventuale applicazione di certe riforme giudicate dai tecnici del Dipartimento e dell'E. C.A. indispensabili per il nostro risanamento economico-finanziario.

La soddisfazione è ancora cresciuta con le sue dichiarazioni del 13 -m risposta a Nenni -che segnano un altro notevolissimo (e molto notato) passo innanzi sulla via delle conversazioni e delle intese necessarie per la nostra salvaguardia, dato che molti indizi lasciano pensare che per quelle conversazioni e quelle intese (e per gli eventuali conseguenti effetti sulla nostra preparazione militare di difesa coordinata) vi possa essere il tempo almeno sufficiente, se non quello ampio che sarebbe desiderabile.

Le sensazioni e le informazioni qui, di queste ultimissime due settimane contrariamente all'appunto del 30 settembre che il segretario generale Zoppi mi ha trasmesso il 5 ottobre5 -sono che l'U.R.S.S., trovata una decisa resistenza ad Occidente, tenda ora piuttosto a discutere, che non ad agire per una via che condurrebbe troppo presto ad un urto. È diffusa quindi la convinzione -che Marshall ha rafforzata nei due giorni che è stato qui -che convenga rimaner fermissimi se si vuole evitare ancor più sicuramente il pericolo di complicazioni ora e per il prossimo avvenire. Non si osa fare la menoma previsione per tempi più lontani, rispetto ai quali continua a prevalere pessimismo teorico e viva preoccupazione pratica.

Le istruzioni date a Marras coincidono con quelle date a me, ed ho cominciato ad accennarne in colloqui confidenziali, trovando comprensione, se non ancora consenso pieno.

La tesi delle conversazioni militari -senza un solido allacciamento politico non convince; ma la dichiarazione preliminare a cui Marras è stato autorizzato (ch'io del resto non ho adoperata in termini così recisi) «l 'Italia sta con l 'Occidente e il Governo sa che, in caso di conflitto, saremo schierati con l'Occidente», è di per sè, presso a poco, quello che i tre maggiori Alleati desiderano che sia detto loro ufficialmente, se pure in via confidenziale e segreta.

In ogni modo (data anche la complicazione elettorale e conseguenti possibili ondeggiamenti nell'Amministrazione) non si è restii qui ad intendere che, come ho già scritto nel mio rapporto del 6 ottobre6 , si lasci da parte nostra scorrere qualche settimana nell'intenzione poi di decidere. Così so che l'invito al gen. Marras-per la sua visita qui-sarebbe inteso per la seconda metà di novembre. L'ambasciata di

511 Non rinvenuto. 6 Vedi D. 491.

Roma e lo State Department hanno dato parere favorevole ed hanno anche premuto in tal senso. Immagino, sebbene non mi sia ancora giunta alcuna diretta notizia che la cosa sia costà concordata. Posso dire che, sia per le informazioni di Dunn sia per quelle di Clay, le autorità militari e politiche sono qui soddisfattissime dei contatti avuti da Marras in Germania, e delle sue assicurazioni, che suppongo corrispondano alle istruzioni fondamentali contenute nella frase che ho su riportata.

Ha fatto quindi (specie dopo le sue pesate e coraggiose dichiarazioni di ieri) una strana impressione la frase che avrebbe detta Pacciardi (pure ieri 13 ottobre) alla Commissione della Difesa: «non esistono né in atto né in gestazione trattative di accordi militari con Stati stranieri». Tanto più che l'Ansa aggiunge: «La Commissione ha preso atto di tali dichiarazioni con compiacimento».

Pacciardi è preciso nel fatto, ma una formula meno rigida credo avrebbe giovato; tanto più che Gallarati, Quaroni ed io (e lo stesso Marras) abbiamo l'incarico di sostenere che gli eventuali accordi militari (sempre nell'interesse del nostro riarmo per la nostra difesa) dovrebbero precedere quelli per gli impegni politici.

Non dico poi quanto sia inopportuna la precisazione dell'Ansa che lascia intendere, certamente a torto, che tutti i componenti della Commissione indistintamente non sentirebbero il problema della difesa italiana in questi frangenti, e delle associazioni che ineluttabilmente essa suggerisce. (Il servizio Ansa per gli Stati Uniti, dovrebbe essere sorvegliato, giacché è sovvenzionato).

Farò il possibile in ogni modo per presentare la frase di Pacciardi (se sarà presa a traverso) come una necessaria cautela parlamentare, specie in questo momento di gravi agitazioni politiche (con pretesti economici purtroppo giustificati dal disagio di molte categorie) che potrebbero essere accresciute da false voci ed allarmi.

Sarebbe però sempre bene che dichiarazioni di tanta portata fossero orchestrate in modo che non stonassero troppo, tanto più che lei ha dato l'esempio del come anche le cose difficili possono essere dette senza attizzare il fuoco ali 'interno e senza offendere i nostri interessi vitali all'estero.

È possibile ch'io veda Lovett prima delle elezioni. In tal caso, mi terrò alle linee generali delle sue istruzioni e delle sue dichiarazioni, insistendo anche sul Memorandum del 24 agosto alla Francia7 , che ora il Dipartimento studia con molta attenzione e simpatia.

Non insisto troppo, come ho detto sopra, per non affrettare i tempi.

Evidentemente è sempre bene (e qui ci tengono assai) che Marras venga in novembre inoltrato, in una situazione più chiara e perciò più favorevole. Occorrerà poi pregare Pacciardi di dosare opportunamente le sue dichiarazioni in proposito. Ma penso e spero che allora anche la posizione sua possa essere più facile.

PS. Secondo un'informazione dell'ultima ora dallo State Department, l'invito ufficiale a Marras sarebbe esteso a mezzo dell'ambasciata americana a Roma. Sarei grato conoscere, a tempo debito, le decisioni del Governo e l 'eventuale programma del nostro Capo di S.M. qui per mia norma e per l'eventuale preparazione.

511 1 Con il quale Sforza aveva inviato le seguenti istruzioni: «Nella conversazione con Lovett prego

511 7 Vedi D. 350, Allegato.

512

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 13925/0141. Washington, 15 ottobre 1948 (per. il 19).

Riferimento mio telegramma del 14 ottobre u.s. 1• A seguito del mio telegramma citato, ritengo opportuno informare codesto Ministero con maggiore dettaglio in merito alle conversazioni che hanno avuto luogo tra questa ambasciata e il Dipartimento di Stato, dietro sollecitazione del Dipartimento stesso, in merito all'argomento in oggetto. Al Dipartimento è stato fatto al riguardo presente che da alcuni telegrammi pervenuti all'ambasciata americana di costà si era avuta l'impressione che il pensiero americano sulla questione non fosse ancora stato sufficientemente chiarito a codesto Ministero. Il Dipartimento desiderava quindi fare qualche precisazione al riguardo e avrebbe probabilmente inviato nuove e più dettagliate comunicazioni a codesta ambasciata americana. Il Dipartimento ha tenuto a chiarire che, in relazione ai nostri negoziati di Mosca, esso desiderava esprimere il suo pensiero su due separati argomenti e cioè l'atteggiamento americano sul problema delle riparazioni italiane e quello relativo al commercio con i paesi al di là della cortina di ferro. Occorreva infatti tenere bene distinti i due argomenti, malgrado ambedue possano direttamente connettersi con i negoziati in oggetto. Per quello che riguarda la questione delle riparazioni, il Dipartimento ha ripetuto a varie riprese la sua notevole perplessità che le riparazioni da noi dovute all'U.R.S.S. dovessero essere soddisfatte con produzione industriale corrente, precisando che si sarebbe considerato molto incauto da parte nostra un qualsiasi impegno del genere. Malgrado non sia esplicitamente detto dal Dipartimento è ovvio che il piano Marshall e lo sforzo che viene richiesto al contribuente americano per l'esecuzione

del piano stesso fanno sì che si vede oramai con estrema preoccupazione qualsiasi accordo da parte dei paesi europei atto a depauperare in qualche modo la loro economia nel momento in cui i paesi stessi vengono sostenuti dagli aiuti recati dal Governo americano. V.E. avrà al riguardo notato i passi svolti da Hoffman presso i Governi francese e britannico per persuaderli a consentire che venga sospeso lo smantellamento degli impianti industriali tedeschi. È in questo clima che credo debba essere vista la precisazione del Dipartimento di Stato relativa all'atteggiamento concernente il pagamento delle riparazioni da parte nostra con produzione industriale

770 corrente. A tale riguardo il Dipartimento ritiene che si potrebbe da parte nostra porre in rilievo le tre considerazioni seguenti:

l) Non è stato ancora stabilito alcun valore alla categoria di beni previsti dai commi a) e b) del paragrafo 2 dell'art. 74 del trattato di pace e cioè installazioni e impianti destinati alla fabbricazione di materiali di guerra in Italia e beni italiani in paesi balcanici e non si vede qui come sia facile poter richiedere all'Italia impegni sotto la categoria del comma c) -produzione industriale corrente -quando l'ammontare dei beni delle due categorie precedenti non è stabilito.

2) Il Dipartimento si riferisce anche al paragrafo 3 dell'art. 74 e ritiene anche si dovrebbe far presente da parte nostra che la cessione di materiale industriale di produzione corrente comporterebbe per i paesi alleati ed in particolare per gli Stati Uniti delle charges supplémentaires, rendendo pertanto inopportuno far ricorso a tale categoria di beni.

3) Viene anche fatto presente al Dipartimento che si potrebbe da parte nostra far rilevare che cessioni del genere interferiscono con la ricostruzione economica dell'Italia e quindi cadrebbero anche sotto l'obiezione prevista dal predetto paragrafo 3 dell'art. 74.

Il Dipartimento comunque aggiunge che se da parte russa si svolgessero notevoli insistenze al riguardo, si potrebbe forse richiedere che le cessioni di cui trattasi vengano contemplate nell'accordo commerciale in corso di discussione nell'intesa però che, verificandosi più favorevoli circostanze in avvenire, tali cessioni possano essere trasferite al capitolo riparazioni, ove richiesto e ove considerato opportuno dalle due parti contraenti.

Il secondo argomento che si riflette direttamente sui negoziati di cui trattasi, è quello concernente i rapporti economici e commerciali dei paesi partecipanti al piano Marshall con quelli al di là della cortina di ferro. Il Dipartimento ha fatto presente al riguardo che si augurava che nel corso della prossima settimana fosse possibile giungere a un accordo tra codesto Ministero e l'ambasciata americana circa il gruppo di forniture che si riconoscerebbero di carattere «obiettabile». Comunque il Dipartimento di Stato ha fatto presente di avere accuratamente esaminato la lista di forniture industriali che è stata inviata da codesta ambasciata americana a seguito delle conversazioni avute costà. Di questa lista si solleverebbero obiezioni soltanto nei confronti delle navi cisterna (come ho già segnalato col mio telegramma, a seguito di un più approfondito esame del problema, le obiezioni vengono ora sollevate non più soltanto per le navi cisterna già costruite ma anche per quelle di futura costruzione) e di motori diesel.

Per quanto concerne cuscinetti a sfere si vedrebbero obiezioni soltanto se quelli di cui è prevista la cessione fossero fabbricati sulla base di nuove scoperte tecnologiche. Non si vedrebbero obiezioni per le altre forniture-ivi comprese anche le navi -anche perché il Governo americano ha preso buona nota di dichiarazioni che sarebbero state fatte da codesto Ministero nel senso che la loro costruzione comporta un notevole periodo di tempo e dovrebbe quindi per ora non causare immediate preoccupazioni.

Sul secondo argomento comunque il Dipartimento di Stato suggerisce che in caso di dubbi o di esitazioni si consulti anche la missione Harriman a Parigi la quale è appunto incaricata di chiarire con i paesi partecipanti la questione del commercio con l'Europa orientale.

512 1 Con T. 13769/827, avente ad oggetto «Cessione navi cisterne», Tarchiani aveva anticipato le notizie più ampiamente trattate nel presente documento.

513

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 13927/0142. Washington, 15 ottobre 1948 (per. il 19).

È stata annunciata in questi giorni la partenza per Parigi de li'Assistant Deputy Administrator dell'E.C.A. signor Bissell. Scopo principale del viaggio di Bissell, oltre quello di mantenere costanti contatti con la missione Harriman, è quello di studiare a fondo il programma annuale 1948-1949. Al riguardo è stato confidato in via del tutto riservata all'E.C.A. che ha avuto luogo ieri una riunione interna dei principali funzionari dell'organizzazione ed in particolare di quella della Programming division, nel corso della quale Bissell ha sollecitato entro pochissimi giorni la presentazione, da parte dei propri funzionari competenti, di osservazioni e commenti sui programmi annuali di ciascuno dei paesi partecipanti. Nel corso della riunione interna di cui trattasi, Bissell avrebbe espresso l'opinione che, malgrado sia oggi affidato all'O.E.C.E. il compito della ripartizione degli aiuti americani tra i paesi partecipanti, la decisione finale spetta pur sempre al Governo americano e per esso all'E.C.A.

Bissell, a quanto confidenzialmente riferitomi, si proporrebbe di dedicare la sua visita a Parigi allo studio approfondito e comparativo dei vari programmi annuali e di esaminare se si palesi opportuno apportare qualche revisione alla ripartizione proposta dall'O.E.C.E.

All'E.C.A. sarebbe infatti diffusa l'opinione che alcuni paesi hanno dovuto piegarsi alle decisioni ed imposizioni di altri maggiori e che il piano di ripartizione richieda dei correttivi. Dovrebbe in sostanza verificarsi quanto facevo presente con il mio rapporto n. 6425/2463 del 7 luglio 1 , e che cioè sarà in definitiva l'E.C.A. di Washington a compiere l'esame finale dei programmi, anche dopo l'accennato lavoro compiuto dall'O.E.C.E. per la ripartizione.

Segnalo quanto precede perché se i nostri Enti competenti ritenessero di poter a buon diritto proporre delle modificazioni all'ammontare ed alla composizione dei programmi, sarebbe forse il caso di approfittare delle circostanze predette per convogliare a Bissell, naturalmente nel modo più discreto, osservazioni e rilievi.

Quanto ai viaggi di Hoffìnan, mentre, come è noto, quello attuale ha avuto per scopo soprattutto l'esame del problema delle riparazioni tedesche e dello smantellamento degli impianti in Germania, quello successivo già annunciato assumerà particolare importanza perché dai contatti che Hoffinan si ripromette di avere in quell'occasione dovrebbe scaturire l'impostazione da dare all'attività dell'E.C.A. nei confronti del Congresso per i prossimi stanziamenti in relazione eventualmente anche alla nota questione del riarmo dei paesi europei.

513 Vedi D. 194.

l funzionari dell'E.C.A. sopramenzionati hanno anche lasciato intendere che essi sarebbero lieti di poter ricevere al più presto, se del caso, le osservazioni che noi eventualmente avessimo a formulare sul piano annuale 1948-1949, allo scopo di esaminare se sarebbe possibile utilizzare tali osservazioni per proporre eventuali correttivi al programma che riguarda l 'Italia.

Giudicherà V.E. sull'opportunità o meno di svolgere un'azione in tal senso anche presso gli Uffici centrali dell'E.C.A. di Washington e di inviare a questa ambasciata gli elementi necessari per la azione predetta.

514

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2053/905. Belgrado, 15 ottobre 1948 (per. il 21).

Riferimento: seguito mio telegramma n. 289 del 14 corrente1• Dopo avere esposto al ministro aggiunto Pavlic il punto di vista del Governo italiano contenuto nel telegramma per corriere di codesto Ministero n. 10332 del

9 settembre u.s. 2 , il sig. Pavlic ha osservato che un accordo commerciale contiene in sé elementi di reciproco interesse, onde non vedeva la ragione che le trattative per un nuovo accordo commerciale dovessero essere legate al problema della pesca.

Gli ho spiegato: l) che il problema della pesca riveste per noi un interesse economico equivalente e anche maggiore di una fornitura o dell'acquisto di una partita di merci;

2) che a prescindere da ciò, non era possibile al Governo italiano concludere e presentare al Parlamento un nuovo accordo commerciale con la Jugoslavia senza che fosse risolto il problema della pesca di cui si attende la soluzione dall'inizio dei rapporti diplomatici fra i due paesi e dopo che ne era stata promessa la trattazione prima e al momento della firma dell'accordo commerciale attualmente in vigore. Gli ho ricordato la mia conversazione con Simic nel settembre dell'anno scorso (telespresso n. 214/88 del 6 settembre 194 7)3 durante la quale il ministro degli esteri, chiedendomi la firma degli accordi commerciali come manifestazione di buona volontà da parte del Governo italiano, mi aveva assicurato che la Jugoslavia avrebbe trattato tutti i problemi pendenti fra i due paesi, ivi compreso quello della pesca. Gli ho illustrato l'importanza sostanziale del problema, la cui soluzione avrà anche il notevole vantaggio di far cessare i continui fermi di pescherecci italiani, non certo atti a creare relazioni di buon vicinato.

2 Vedi D. 398.

3 Non pubblicato, ma sull'argomento vedi serie decima, vol. VI, DD. 393, 768 e 808.

Pavlic è sembrato rendersi conto delle nostre ragioni e mi ha assicurato che avrebbe subito edotto della nostra conversazione il suo ministro e il suo Governo. Comunque ho aggiunto che la commissione mista prevista dall'attuale accordo commerciale avrebbe potuto apportare all'accordo stesso quelle modifiche che l'esperienza e le nuove esigenze avrebbero potuto suggerire. Ma Pavlic sembrava voler scartare questa eventualità, nella fiducia che si potessero superare le difficoltà da me prospettate per l'inizio di nuove conversazioni, che sarebbero disposti a condurre a Roma.

Mi permetto di sottolineare ancora una volta, a ogni buon fine, l'importanza di questa insistente proposta jugoslava.

La nuova situazione creatasi con i paesi progressivi e le difficoltà nella esecuzione di accordi conclusi con paesi occidentali hanno indotto questo Ministero del commercio estero e lo stesso Governo a nuovi orientamenti in materia di commercio con l'estero.

Pavlic mi ha parlato di tessuti e di arance da importare in Jugoslavia, mentre ancora una volta è stato riservato su quanto è disposta a dare la Jugoslavia. È possibile che questa reticenza dipenda dalla intenzione di épater !es bourgeois in sede di trattative con l'offerta di prodotti da noi per il momento insperati. Sta di fatto che in parecchi contatti anche anteriori alla proposta jugoslava di nuove trattative sia io che questo addetto commerciale abbiamo fatto cenno a merci che più potrebbero interessare l'Italia. È quindi presumibile, data l'insistenza per un nuovo accordo, che essi siano disposti a venire incontro alle nostre necessità.

La lunga conversazione è stata cordiale, tanto che ho potuto commentare la possibilità di sviluppo dei nostri rapporti commerciali come una favorevole conseguenza della sconfitta elettorale dei comunisti italiani, che in caso di vittoria essi si comporterebbero con la Jugoslavia come i «compagni» dell'Europa orientale. Pavlic è sembrato più divertito che toccato da questa osservazione.

Durante la conversazione Pavlic mi ha espresso il suo disappunto per la mancata conclusione a tutt'oggi di un accordo preliminare raggiunto a Lubiana il 28 agosto u.s. per il traffico merci tra Gorizia e il territorio della sua provincia passato alla Jugoslavia.

Prego farmi comunicazioni in merito4 .

514 1 Vedi D. 398, nota 3.

515

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 11802/256. Roma, 16 ottobre 1948, ore 15.

Come noto V.S. trattative iniziate costà per soluzione note questioni dipendenti trattato di pace hanno subito un arresto.

Questo dipende essenzialmente da mancanza fondi necessari a mantenimento della delegazione ed invio tecnici, conseguenza di difficoltà di bilancio, che sperasi sormontare con pratiche che richiedono però un certo tempo.

Prego V.E. trovare mezzo chiarire costà la questione, facendo, se del caso, presente la verità ad evitare erronee interpretazioni degli attuali ritardi.

Per non protrarre ancora a lungo stasi attuale delle trattative, prego sondare anche codesto Governo circa possibilità iniziare quanto prima trattative per traffico di frontiera a Venezia.

Ciò consentirebbe sormontare più rapidamente, sempre da punto di vista amministrativo, molte difficoltà 1•

514 4 Per la risposta vedi D. 631.

516

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13844/350. Mosca, 16 ottobre 1948, ore 20, l O (per. ore 22).

Oggi on. La Malfa ed io siamo stati ricevuti da Molotov al quale on. La Malfa, richiamandosi alla connessione posta da Mikoyan fra questioni navi e riparazioni, ha espresso intenzione Governo italiano consegnare navi purché fosse contemporaneamente abbandonato progetto sovietico relativo riparazioni ed accettato progetto italiano come base di regolamento. Considerazioni e proposte furono formulate in appunto consegnato a Molotov che invierò prossimo corriere 1• Molotov ha obiettato che obbligazione navi è scaduta e Italia è già inadempiente mentre obbligazione riparazioni è ancora da regolare e da scadere. Si è svolta una discussione su tale tema alla conclusione della quale Molotov si è riservato di riferire al suo Governo pur dichiarando che per parte sua considerava la risposta italiana al suo passo del 4 ottobre2 insoddisfacente. Ha aggiunto infine che darà una risposta. Riservomi ulteriori comunicazioni3 .

Mikoyan la cui partecipazione al colloquio era stata da noi richiesta è attualmente in vacanza.

2 Vedi DD. 477 e 484.

3 Vedi DD. 519, 521 e 524.

515 1 Per la risposta vedi D. 520.

516 1 Vedi D. 521, Allegato I.

517

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO DELLA DIFESA, PACCIARDI

L. SEGRETA 3/1362. Roma, 16 ottobre 1948.

Ti mando qui unita copia di una lettera in data 4 ottobre dell'ambasciatore a Parigi1 relativa ad un colloquio fra il gen. Revers e l'amm. Maugeri. So che quest'ultimo ti ha già messo al corrente dell'incontro avuto.

In merito alla sostanza del colloquio e a quanto prospetta l'ambasciatore Quaroni, mi richiamo alle istruzioni che sono state date a suo tempo all'ambasciatore Tarchiani2 e di cui è stata data notizia al tuo Ministero (Stato Maggiore), e mi richiamo anche al rapporto di Tarchiani n. 9088/3316 del 5 ottobre3 , che pure è stato inviato al tuo Ministero (Stato Maggiore) col telespresso n. 1445 del 15 corrente.

Resto in attesa di conoscere l'esito del colloquio che l'ambasciatore Tarchiani doveva avere con Lovett4 e riterrei intanto che nulla osti a che siano compiuti sondaggi e mantenuti contatti con la parte francese (la più direttamente interessata alla difesa del nostro territorio). Ciò offrirebbe il vantaggio di poter conoscere sia pure attraverso i francesi ove non sia possibile altrimenti, e sia pure nelle grandi linee, le intenzioni degli occidentali, e consentirebbe eventualmente di prospettare in seguito, d'accordo coi francesi e col loro appoggio, le nostre necessità.

Ove tu fossi dello stesso avviso consiglierei, per evidenti motivi di coordinamento e riservatezza, che la trattazione della materia -che ha carattere militare fosse concentrata presso lo Stato Maggiore della difesa il quale agirebbe alle tue dirette dipendenze, in contatto col mio Dicastero5 .

518

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1180/18283/3851. Parigi, 16 ottobre 1948.

La tua lettera n. 1439 del 14 corrente1 mi sembra in buona parte sorpassata dall'annuncio che mi ha portato un'ora fa Dunn, che Marshall intende fermarsi a Roma di ritorno da Atene ossia fra pochissimi giorni.

Vedi DD. 375 e 390.

Vedi D. 486. 4 In data 14 ottobre (vedi D. 511) Tarchiani aveva spiegato le ragioni per le quali aveva rinviato il colloquio con Lovett. 5 Non è stata rinvenuta la risposta di Pacciardi ma da una lettera di Zoppi a Quaroni (D. 541) si evince che essa fu affermativa.

518 Vedi D. 508.

L'avvenimento è importante, anche se indubbiamente porterà delle seccature sul piano della politica interna: è molto importante dal punto di vista della nostra situazione internazionale perché, dato quello che rappresenta oggi il segretario di Stato americano, è un bel successo per noi far vedere al mondo che egli si disturba di andare a Roma per incontrare i dirigenti della politica italiana che non può incontrare a Parigi: e gioverà alla nostra situazione internazionale.

Questa improvvisa decisione di Marshall (Dunn mi ha detto di non averne saputo niente prima) è dovuta ai coraggiosi discorsi del ministro. Marshall riprenderà certamente la conversazione di Hickerson (vostro n. 1416 dell'll)2 e quella che avrebbe dovuto essere la conversazione di Lovett3 .

È fuori dubbio che noi dobbiamo entrare nel Patto occidentale: anche se non si considera, come faccio io, che è nel nostro interesse il farlo, se gli americani lo vogliono non abbiamo la possibilità di rifiutarci. L'alternativa è quindi: ci entriamo spante o ci entriamo spinte, con tutte le conseguenze che dal modo di entrare ne derivano per la nostra posizione futura. Fino a qualche tempo addietro le maggiori probabilità erano che ci saremmo entrati spinte: l'iniziativa del conte Sforza ci ha riaperto la possibilità di entraci spante, il che è infinitamente preferibile.

Siccome le possibilità di parlare con il segretario di Stato americano non capitano tutti i giorni, bisogna trarre il massimo vantaggio possibile da questa opportunità e tenere presente:

l) Marshall non sarà certamente segretario di Stato in caso di vittoria repubblicana (molto probabile): come che sia, resterà sempre il capo della politica estera dei militari americani la cui influenza, dato lo svolgersi degli avvenimenti, già molto grande diventerà sempre più grande.

2) Bisogna parlargli con grande chiarezza ed in concreto. Non perdere tempo a fare con lui della filosofia, né a parlargli di Unione Europea sul piano superiore ideale che sono cose di cui non si interessa. Questo è un discorso che lo si potrà fare, in caso, con Dulles che è molto più ricettivo al riguardo. Bisogna parlargli in concreto del Patto di Bruxelles come patto militare. Né si interessa dell'Unione doganale italo-francese tranne che a parole.

3) Non esagerare in pranzi e in ricevimenti, poiché tutti gli americani che tornano da Roma ci criticano unanimamente perché noi diamo loro troppi pranzi e pranzi troppo sontuosi.

Anche la fase francese, di cui alla mia lettera del e a cui vi proponete risponderrni è, secondo me, in larga parte superata dagli avvenimenti i quali marciano con tanta rapidità che è difficile tenere loro dietro.

Per me il solo discorso che si possa fare, con successo a Marshall, è il seguente:

Hickerson ha detto alla nostra ambasciata a Washington di qui fin qui: è questo il pensiero del Governo americano? Marshall risponderà molto probabilmente di sì. In questo caso rispondere: siamo perfettamente d'accordo e faremo, in via diplomatica e

3 Vedi D. 511.

4 Vedi D. 480.

riservata, il passo che voi ci avete chiesto. Vi diciamo in via diplomatica e riservata perché abbiamo appena cominciata la campagna di stampa e di opinione pubblica per chiarire le idee agli italiani: questa campagna non può portare i suoi effetti in pochi giorni: abbiamo bisogno di tre o quattro mesi di tempo per portare il Parlamento e l'opinione pubblica italiana dove il Governo vuole (mettere un limite di tempo preciso e relativamente breve). Siccome però ci rendiamo conto che i tempi stringono e non c'è tempo da perdere, siamo pronti fin da ora a prendere contatti precisi sul piano militare con i Cinque per determinare la parte italiana nel piano di difesa comune, in modo che la sezione italiana possa senz'altro essere pronta per il giorno, vicino, in cui si comincerà a realizzare l'organizzazione concreta con l'aiuto e la coordinazione americana: studiamo insieme, e insieme agli altri se volete, la maniera di realizzare queste conversazioni: subordinatamente, in questo caso, potrebbe essere presa in considerazione l'eventualità di tenere queste conversazioni più specificatamente con i francesi.

Questo è il discorso che si deve fare a Marshall: chiaro, preciso, senza fughe di immaginazione, senza finasser: siamo in un periodo di diplomazia scapigliata, di cui gli americani danno proprio l'esempio: è perdita di tempo, se non peggio, tentare con loro i metodi della diplomazia patrizia. Ed è un discorso che Marshall può capire, senza !asciargli dubbi ed esitazioni: ma questo e non altro. Una volta messe le basi così, si può continuare a trattare con gli americani a Roma, temporaneamente a Parigi e soprattutto a Washington.

In fondo, se capisco bene, quello che noi vorremmo sono degli accordi militari segreti, che non dovessero venir fuori apertamente di fronte all'opinione pubblica. Ora questo è impossibile: gli aiuti americani di cui ha parlato Hickerson, saranno dati sulla base di una legge del Congresso, per scopi determinati ed a certi paesi rispondenti a certe determinate condizioni: non credo la legge americana potrebbe essere congegnata in modo da permettere aiuto ad un paese alleato segreto e la cui posizione continuasse ufficialmente ad essere non chiara. L'unica cosa che si potrebbe chiedere e forse ottenere sarebbe forse quella di non rendere pubblica la nostra adesione fino alla vigilia dell'approvazione della legge americana in modo da fare quasi coincidere i due avvenimenti. Ma la legge americana non sarà fatta che per applicazione di un piano che bisogna sia stato concretato prima.

Ho visto le reazioni dei partiti: al posto vostro non mi preoccuperei molto dell'atteggiamento dei socialisti: essi hanno già avuto dei richiami dai loro amici americani, accompagnati da una ben chiara minaccia che non avranno più aiuti dagli americani se continuano. (Questo mi è stato detto in tutte le lettere da un loro altissimo esponente). Gli inglesi, per le loro ben note ragioni, li spingono in senso contrario: ma siccome non saranno gli inglesi a finanziarli, dovranno finire per fare quello che vuole chi li paga. Poi se perdono l'appoggio americano chi li tiene più al Governo? Quanto alle destre, prima di tutto potreste spiegare loro molte cose: il giorno poi che ci sarà per aria puzza di dollari e di grosse commesse militari cambieranno al più presto opinione.

In ogni modo tenete presente che questo colloquio è decisivo per il nostro paese5 .

517 1 Vedi D. 480.

518 2 Ritrasmissione del D. 486.

518 5 Per la risposta vedi D. 541.

519

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 13902/353. Mosca, 18 ottobre 1948, ore 20,25 (per. ore 22).

Oggi La Malfa ed io siamo stati nuovamente convocati da Molotov il quale ci ha comunicato che Governo sovietico accetta le proposte contenute nell'appunto da noi consegnatogli sabato scorso1 . Più precisamente in un appunto che ci ha consegnato e che trasmetto corriere odierno2 è detto:

l) Unione Sovietica accetta principi contenuti progetto italiano riparazioni come base di regolamento della questione;

2) contemporaneamente è inteso che saranno consegnate senz'altro dal Governo italiano le navi di cui al promemoria consegnatogli da Molotov il 4 ottobre3.

Su questo secondo punto l'appunto precisa che la consegna deve avvenire non oltre il 31 dicembre.

On. La Malfa ha preso atto della risposta favorevole facendo semplicemente riserva sulla data di consegna delle navi dal punto di vista tecnico, per il che ha promesso a Molotov di dargli una risposta al più presto.

Molotov ha insistito per una risposta immediata che prego farmi pervenire senza indugio per consentire on. La Malfa riprendere e concludere trattative riparazioni ed economiche.

È evidente che senza una risposta precisa ed inequivoca su date prossime di consegna delle navi atmosfera generale oggi creatasi attorno trattative potrebbe venir meno4 .

520

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13907/294. Belgrado, 18 ottobre 1948, ore 21, IO (per. ore 7,30 del 19).

Telegramma ministeriale 256 1•

2 Vedi D. 521, Allegato II.

3 Vedi D. 477.

4 Per la risposta vedi DD. 527 e 531.

Pennettomi segnalare che comunicazione di cui al telegramma in riferimento rischia produrre malevola interpretazione presso questo Governo. Rimanendo anche naturale diffidenza nessuno riuscirà mai a convincerlo che trattative in corso, cui esso attribuisce grande importanza anche per generali relazioni tra i due paesi, possano essere sospese da una potenza come l'Italia solo per ragioni di bilancio. Fatto apparirebbe tanto più intempestivo e significativo dopo nuova «apertura» jugoslava e in particolare su problema pesca, di cui al mio telegramma 293 2 , cui testo era forse ancora costì sconosciuto al momento redazione telegramma in riferimento. Aggiungo che Brilej, manifestando volontà regolare tutti problemi, aveva accennato espressamente anche quelli in corso di trattazione a Belgrado.

Occorre che Ministero tesoro e, occorrendo, quel ministro in persona, si rendano conto gravità conseguenze, specialmente in questo delicato momento che potrebbe segnare punto di progresso nei rapporti tra i due paesi confinanti.

Data importanza, questione potrebbe essere trattata anche in Consiglio dei ministri. Segue telespresso3 , e resto in attesa nuove eventuali notizie e istruzioni4 .

519 1 Vedi D. 516 e D. 521, Allegato l.

520 1 Vedi D. 515.

521

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1988/466. Mosca, 18 ottobre 1948 (per. il 21).

Riferimento: mio telegramma n. 3501•

Al suo ritorno a Mosca l'onorevole La Malfa mi ha recato le istruzioni, annunciatemi dalla E.V. con telegramma n. 3402 e fissate in seguito a riunioni col presidente del Consiglio, con l'E.V. e con i ministri della difesa e del commercio estero3 .

Tali istruzioni partivano dalla premessa che, mancando qualsiasi serio appoggio angloamericano sulla questione delle navi da guerra in conformità al trattato di pace, tale consegna si sarebbe resa presto o tardi necessaria, né vi era speranza di ottenere dai sovietici concessioni seriamente apprezzabili; onde la convenienza di approfittare della connessione fra la questione delle riparazioni e quella delle navi, più o meno cautamente posta del ministro Mikoyan, per ottenere almeno che ad una applicazione

3 Vedi D. 537.

4 Con T. 119711257 del 21 ottobre Zoppi richiese a Martino di valutare la possibilità di anticipare i fondi necessari per la ripresa delle trattative a Belgrado e di proporre, nel contempo, lo spostamento a Venezia di quelle relative al traffico di frontiera. Zoppi comunicò altresì di aver già esposto al ministro di Jugoslavia le cause amministrativo-finanziarie della temporanea sospensione delle trattative di Belgrado. Per il seguito della questione vedi D. 554.

2 Riferimento errato, si tratta del T. 138 per il quale vedi D. 493.

3 Vedi D. 454.

780 rigida del trattato quanto alle navi a nostro danno corrispondesse quantomeno una applicazione rigidamente limitativa a nostro favore quanto alle riparazioni.

In base a tali criteri l'on. La Malfa ha redatto un appunto, contenente i precedenti della questione e le proposte conclusive (allegato l) il quale fu riesaminato, corretto ed infine approvato in collaborazione con l'on. La Malfa, me ed il dott. Prato.

Richiedemmo immediatamente tramite il Commercio estero un colloquio a quattro fra i ministri Molotov e Mikoyan, l'on. La Malfa ed io; volutamente ricorremmo al Ministero del commercio estero e chiedemmo il colloquio a quattro, per segnare anche dal punto di vista formale quel collegamento fra le varie questioni, che era stato accennato dal ministro Mikoyan e che il ministro Molotov sembrava aver voluto eliminare col suo passo sulle navi del 4 ottobre4 .

Si venne così a sapere che il signor Mikoyan era in vacanza nel sud, e d'altra parte in un mio contatto col vice ministro Zorin, questi mi fece sentire che la via protocollare era quella del Ministero degli esteri, il che era evidente; rinnovai allora formalmente a Zorin la richiesta di colloquio con Molotov, dichiarandogli che lasciavo al ministro giudicare se riteneva opportuna o no la presenza di un rappresentante del Ministero del commercio estero.

Il colloquio avvenne alle ore 15 di sabato 16 ottobre, presenti soltanto il ministro Molotov, l'on. La Malfa ed io, con gli interpreti; e durò esattamente 39 minuti. L'on. La Malfa lesse l'appunto allegato, che il ministro Molotov seguì sulla traduzione russa, e poi volle rileggere.

Con la sua abituale impassibilità, Molotov sollevò le sue obiezioni: in sostanza, egli ammise che la connessione fra la questione delle riparazioni e quella delle navi non poteva essere negata, perché si trattava pur sempre della esecuzione di un solo trattato; aggiunse tuttavia che ciascuna delle differenti obbligazioni aveva il suo proprio termine, e quello relativo alle navi era già da tempo scaduto. Quindi le navi dovevano essere consegnate, il che non avrebbe impedito di considerare la questione delle riparazioni in uno spirito amichevole.

Seguì una discussione esauriente, cui partecipammo alternativamente l'on. La Malfa ed io, nella quale facemmo notare che se il progetto italiano per le riparazioni non fosse stato accettato come base di regolamento, rinunciandosi a quello russo, ogni competenza dell'an. La Malfa riguardo alle navi sarebbe venuta meno, e la stessa questione delle riparazioni non avrebbe potuto fare passi avanti. Aggiungemmo che la differenza dei termini di esecuzione non impediva che la questione delle riparazioni fosse stata sollevata fin da ora per desiderio del Governo sovietico, e che su di essa si fossero manifestate delle divergenze fondamentali, che non si potevano più ignorare e che bisognava risolvere: noi non potevamo consegnare le navi senza essere certi di non dover subire alcun aggravamento nei riguardi delle riparazioni.

La discussione si svolse sempre su questo tema fondamentale, con l 'aggiunta di alcune richieste di chiarimenti da parte di Molotov (egli domandò, ad esempio, che cosa si intendeva per «consegna immediata, ossia nel termine strettamente

521 Vedi D. 477.

necessario dal punto di vista tecnico» delle navi, e ne ebbe assicuraziOne che la formula doveva essere intesa in uno spirito di lealtà). .

A questo punto si poteva attendere da Molotov o un netto rifiuto, o una riserva di decidere: il netto rifiuto immediato non venne, ma Molotov si riservò di riferire al suo Governo, aggiungendo che personalmente, egli considerava «insoddisfacente la risposta del Governo italiano al passo da lui fatto con l'ambasciatore Brosia». Naturalmente, a mia richiesta egli aggiunse che non avrebbe lasciato senza risposta la nostra comunicazione.

Fino a questo momento siamo in attesa della risposta, la quale non dovrebbe tardare; evidentemente i sovietici hanno interesse ad avere le navi, ma d'altro lato sono estremamente reticenti a cedere su due punti di principio: primo, ammettere che il loro diritto sia da noi subordinato a precise e tassative condizioni; secondo, applicare con noi il trattato sulle riparazioni in modo assai diverso da quello imposto alla Finlandia ed ai paesi satelliti. Ciò spiega la dichiarazione di insoddisfazione di Molotov e la sua esitazione ad assumersi direttamente la responsabilità dell'immediato rigetto, o accoglimento della nostra proposta.

Fare delle previsioni è come sempre difficile, e in questo caso anche del tutto inutile, data l'imminenza della risposta. La difficoltà di prevedere è maggiore in questo caso in quanto l'on. La Malfa ed io abbiamo rilevato un certo contrasto fra le parole del ministro Molotov e le sfumature del suo tono e del suo discorso. Le prime erano in senso negativo, le seconde sembravano dimostrare ch'egli prendeva sul serio la nostra proposta e si riservava effettivamente di esaminarla più tranquillamente. È bensì vero che il momento non è dei più favorevoli, perché proprio in questi giorni i sovietici si stanno vivamente preoccupando delle notizie relative al nostro ingresso nel blocco occidentale (vedi mio telegramma n. 351 )5 . Ma non è impossibile che l'interesse di avere le navi li spinga al sacrificio assai notevole, sia di principio sia pecuniario, che loro deriverebbe dall'accettare il nostro progetto sulle riparazioni.

Postilla. Come ho comunicato con mio telegramma odierno6 , Molotov ci ha richiamati oggi per comunicarci la risposta favorevole del Governo sovietico. Essa è contenuta nel breve appunto che unisco (allegato 2). Come appare dal testo, i sovietici modificano semplicemente la nostra proposta fissando un tennine finale preciso, là dove noi promettevamo di consegnare «immediatamente, ossia nel tempo strettamente necessario dal punto di vista tecnico». La relativa indeterminatezza di questa espressione aveva messo in dubbio Molotov, il quale, come ho riferito, ci richiese chiarimenti al riguardo già nel primo colloquio. Il timore dei sovietici è cioè che noi promettiamo le navi, e poi procrastiniamo indefinitivamente la consegna col dicembre, desumendolo da una dichiarazione dell'ammiraglio Rubartelli (la quale infatti risulta dai verbali delle sue conversazioni col collega sovietico).

Io non credo che i sovietici insisterebbero inflessibilmente sul termine del 31 dicembre, piuttosto che su quello del 15 o del 31 gennaio 1949: ciò che essi

782 chiedono è evidentemente un impegno preciso e serio, non suscettibile di equivoci e di doppie interpretazioni.

Penso anche che la cosa migliore sarebbe di proporre loro una consegna rateale, avente inizio se possibile anche prima del 31 dicembre (perché questo è un termine finale), con la indicazione esatta delle navi che in ciascuna data ci si impegnerebbe di consegnare, in modo che per l'intero gruppo delle 33 navi ci fossero degli impegni scalari e prossimi di consegna.

Se poi vi fossero delle altre condizioni tecniche, assolutamente indispensabili, sarebbe opportuno precisarle fin d'ora nel modo più semplice, e non suscettibile di equivoci.

In breve: dal momento che il sacrificio delle navi era inevitabile, e ci è stato fortemente utile sul campo delle riparazioni, abbiamo tutto da guadagnare a questo punto ad effettuarlo nel modo più serio possibile, in modo da facilitare sempre più un favorevole accordo sulle riparazioni (anche nei dettagli che restano da definire) e sugli scambi commerciali.

ALLEGATO l

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE COMMERCIALE, LA MALFA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DELL'U.R.S.S., MOLOTOV

PROMEMORIA. Mosca, 16 ottobre 1948.

Nella conversazione avuta col ministro Mikoyan, alla presenza del vice ministro Zorin una quindicina di giorni dopo il mio arrivo, mi fu posto dal ministro stesso, con cortesia ma con estrema franchezza, la questione della consegna delle navi da parte dell'Italia. E la stessa questione mi fu affacciata in una conversazione che io ebbi con il ministro Mikoyan alcuni giorni dopo.

Per quanto la questione delle navi non entrasse nell'oggetto delle trattative a me affidate, apparve chiaro che sottolineandone l'importanza nel corso di quelle stesse trattative, il ministro Mikoyan intendeva sottoporre ali 'attenzione mia personale e del Governo italiano la stretta connessione che il Governo sovietico stabiliva tra consegna delle navi, riparazioni e trattative commerciali.

Debbo dichiarare, d'altra parte, che nel campo proprio delle riparazioni, trattativa a me affidata, l 'impostazione sovietica avrebbe reso impossibile il raggiungimento d'un accordo. Il progetto sovietico delle riparazioni, infatti, consegnatomi durante le conversazioni presupponeva la scelta da parte sovietica di solo una parte dei beni italiani esistenti in Ungheria, Romania e Bulgaria, si riferiva ai prezzi in dollari del 1938, come prezzi ai quali calcolare le prestazioni in produzione industriale corrente, richiedeva l'istituzione in Italia di una Commissione delle riparazioni e di una complessa e gravosa procedura di controllo su li'esecuzione delle riparazioni. In tal caso il progetto introduceva principi ed obblighi non previsti assolutamente dal trattato di pace e che la delegazione italiana non avrebbe potuto accettare senza andare oltre i limiti delle proprie responsabilità e del proprio mandato.

Il Governo italiano tiene, per mio mezzo, a dichiarare circa le navi che esso non ha mai pensato di eludere le disposizioni del trattato, ma soltanto di arrivare ad un amichevole accordo con il Governo sovietico, che concedesse all'Italia alleggerimenti analoghi a quelli concordati ad esempio con la Francia. Tuttavia, dopo la posizione rigida assunta dal Governo sovietico in questa materia, dopo la connessione stabilita dal Governo stesso tra i vari argomenti di discussione, e dopo l'impostazione da esso data al regolamento delle riparazioni,

si è posto il problema di una più obbiettiva esecuzione del trattato di pace in tutte le sue parti, senza ulteriormente discutere su alleggerimenti che il Governo sovietico non voglia spontaneamente consentire, ma anche senza ammettere aggravamenti di sorta.

Dopo gli abboccamenti avuti a Roma, in relazione anche al passo compiuto dal ministro Molotov, il Governo italiano ha attribuito a me ed all'ambasciatore Brosio l'onore di comunicare al Governo sovietico quanto segue:

-Il Governo italiano è pronto a consegnare senz'altro, ossia nel termine strettamente necessario dal punto di vista tecnico, le navi di cui alla comunicazione fatta dal ministro Molotov all'ambasciatore Brosio il 4 ottobre 19484 ;

-contemporaneamente il Governo italiano chiede al Governo sovietico di non insistere sulle disposizioni del suo progetto per le riparazioni e di accettare, come base di regolamento, i principi contenuti nel progetto italiano.

Il Governo italiano ritiene che in tal modo verrebbe data una soluzione obbiettiva e giusta a tali questioni connesse con il trattato, aprendosi così la via in uno spirito di pace ad una sempre più amichevole e reciproca comprensione nei rapporti fra i due paesi.

ALLEGATO Il

IL MINISTRO DEGLI ESTERI DELL'U.R.S.S., MOLOTOV, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

PROMEMORIA. Mosca, 18 ottobre 1948.

Allant au devant du désir exprimé par le Gouvernement Italien le Gouvernement de l'U.R.S.S. consent à accepter camme base pour le règlement de la question des réparations !es principes contenus dans le projet italien du 11 september a.c.7.

Il est en mème temps entendu que !es biìtiments, dont il était question dans la déclaration de V.M. Molotov faite à I'ambassadeur Brosio le 4 Octobre a.c. 4 , seront livrés sans délai, et en tout cas pas plus tard que le 31 décembre a.c.

520 2 Vedi D. 398, nota 3.

521 1 Vedi D. 516.

521 5 Del 17 ottobre, con il quale Brosio informava che la stampa sovietica aveva pubblicato tre articoli circa l'imminente ingresso del! 'Italia nel blocco occidentale. 6 Vedi D. 519.

522

L'INCARICATO D'AFFARI A DAMASCO, FIGAROLO DI GROPELLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1881/306. Damasco, 18 ottobre 1948 (per. il 28).

Riferimento: telespresso ministeriale 11127329/c. del 5 ottobre u.s. 1•

La costituzione del nuovo Governo arabo palestinese, insediatosi a Ghaza, ha avuto come suo massimo sostenitore il Governo siriano. Sembra anzi che l'iniziativa sia proprio partita dalla Siria dove vari dei membri del nuovo Governo hanno risieduto a lungo e dove Amin al Husaini, Gran Mufti di Palestina, presidente del Congresso nazionale palestinese di Ghaza, e in pectore futuro capo dello Stato, ha negli ultimi tempi fatto varie apparizioni.

L'appoggio dato alla costituzione del Governo provvisorio di Ghaza e recentemente al riconoscimento di questo Governo da parte degli Stati arabi, rientra nel quadro della politica estera siriana che se da una parte mostra la più tenace resistenza a qualsiasi compromesso con lo Stato d'Israele è d'altra parte altrettanto preoccupata dalle ambizioni di re Abdallah di Transgiordania che la minacciano direttamente.

La costituzione di un Governo provvisorio arabo di Palestina, estendente de jure la sua autorità a tutta quanta la Palestina, è infatti una manovra diretta non solo contro lo Stato d'Israele, ma soprattutto contro la situazione di fatto esistente in seguito alla occupazione da parte delle truppe transgiordaniche della maggior parte della Palestina araba e della intenzione di re Abdallah di annettere i territori occupati, preludio a più vasti ingrandimenti.

Nonostante l'intervento di eminenti personalità, specie irachene, che hanno fatto presente al Governo siriano che la costituzione di un Governo palestinese, se opportuna al momento della fine del mandato britannico, nell'attuale momento sarebbe dannosa perché fonte di nuovi contrasti e divisioni tra gli Stati arabi, i dirigenti siriani non hanno ritenuto di ritirare il loro incondizionato appoggio ali' Alto comando arabo palestinese di cui l'attuale Governo di Ghaza è una diretta emanazione, sperando con ciò di indebolire la posizione di re Abdallah e scuotere ancora maggiormente quel limitato prestigio di cui gode nel mondo arabo.

La riunione del Congresso nazionale palestinese che ha eletto a suo presidente Hag Amin al Husaini e che ha sanzionato la costituzione del Governo provvisorio arabo palestinese, segna l'inizio di una numerosa serie di azioni e reazioni assunte ora dal predetto organismo, ora dal Governo transgiordanico. Alla riunione del Congresso nazionale palestinese di Ghaza si è contrapposta, per iniziativa di Abdallah, la riunione di un «anticongresso» a Amman (lo ottobre) denominato Consiglio nazionale popolare palestinese che pretende di rappresentare lui e non il Governo di Ghaza la Palestina una e libera.

Alla iniziativa del capo del nuovo Governo palestinese di chiedere il riconoscimento da pare degli Stati arabi ha fatto seguito una comunicazione inviata il 5 ottobre dal Consiglio nazionale popolare a tutti i Governi arabi chiedente il riconoscimento di questo organismo come «istituzione provvisoria incaricata della rappresentanza della Palestina e degli interessi di tutti i palestinesi».

Alla progettata organizzazione amministrativa e militare del Governo di Ghaza è seguita una riunione a Ramallah (7 ottobre) dei governatori militari transgiordanici per «stabilire i quadri di una amministrazione nella Palestina liberata».

Tutte queste iniziative hanno contribuito a gettare nel ridicolo non solo il Governo ed il congresso di Ghaza, l'anticongresso di Amman ed il suo sostenitore, ma anche hanno messo in nuova luce l'immaturità politica di questi Stati, le divergenze ed i rancori che tracciano solchi ancora profondi tra di loro.

Al problema della costituzione del nuovo Governo provvisorio arabo palestinese si è aggiunto quello del suo riconoscimento da parte degli Stati arabi. Riconoscimento che è tardato a giungere e che ad un certo momento rischiava di non giungere affatto per le divergenze di vedute tra questi Stati impressionati dal ginepraio creatosi in seguito alla proclamazione del nuovo Governo.

Come è noto il primo ministro iracheno, Bajaji, aveva cercato di trovare un compromesso tra gli opposti punti di vista ed a tale scopo aveva effettuato numerosi viaggi ad Amman, a Damasco, al Cairo, di nuovo ad Amman e poi a Baghdad. Ma la sua attività di «mediatore» aveva incontrato la stessa intransigenza tra le due parti, l'una sostenente la necessità che il riconoscimento del Governo di Ghaza dovesse effettuarsi immediatamente e simultaneamente da parte di tutti o quasi gli Stati arabi, l'altra esprimente il punto di vista che nessun Governo poteva costituirsi in Palestina prima della sua liberazione e mentre erano in corso le operazioni militari. Una dichiarazione attribuita al primo ministro iracheno secondo la quale il riconoscimento del nuovo Governo palestinese sarebbe stata aggiornata ha suscitato una violenta reazione da parte di questa stampa araba denunziante l'ambiguità del suo atteggiamento.

Finalmente il 12 corrente è apparsa simultaneamente una dichiarazione dei Governi siriano, iracheno, libanese, egiziano ed arabo saudiano annunziante l'intenzione degli Stati in parola di riconoscere il Governo di Ghaza.

Il presidente del Consiglio del Governo siriano ha inviato il 14 corrente al capo del Governo di Ghaza il seguente telegramma: «Ho l'onore di informarvi che il Governo siriano riconosce il Governo arabo per tutta la Palestina e colgo questa occasione per presentarvi i miei voti di successo e di prosperità».

Sembra che il riconoscimento del Governo di Ghaza sia stato concesso in seguito a pressioni dei delegati arabi all'O.N.U. consideranti tale atto come una necessità nel momento in cui la questione palestinese sarà tra breve discussa in seno al Comitato politico dell'O.N.U.

Effettivamente questo riconoscimento è considerato qua, anche dagli elementi più moderati, come il minore dei mali avendo la situazione evoluto nel ridicolo e rischiando di trascendere nell'assurdo con la esistenza di un Governo non avente praticamente alcuna autorità e per di più nemmeno riconosciuto de jure da parte dei Governi che hanno appoggiato la sua costituzione.

Intanto si apprende che re Abdallah avrebbe posto determinanti condizioni al riconoscimento del Governo di Ghaza: l) questo Governo dovrebbe assumere un carattere di unione nazionale e rappresentare i vari partiti politici della Palestina; 2) il capo dello Stato non dovrebbe essere nominato che dopo la liberazione della Palestina; 3) il Mufti dovrebbe essere sostituito nella carica di presidente del Congresso nazionale palestinese da Sheikh Suleiman el-Farouqi, attualmente presidente dell'«anti-congresso» di Amman; 4) il Governo di Ghaza non dovrebbe avere alcun significato politico rimanendo escluso il suo intervento in qualsiasi questione militare.

Queste condizioni, se accettate, e sarà molto difficile che lo siano, trasformerebbero completamente la natura ed il significato del nuovo Governo arabo di Palestina che da emanazione dell'Alto comitato arabo di Palestina diventerebbe docile strumento nelle mani di re Abdallah. A parziale conferma di negoziazioni in corso su basi transattive tra Amman e Ghaza viene segnalata la partenza di Amin al Husaini da Ghaza ed il suo arrivo al Cairo. La sua presenza a Ghaza sarebbe infatti uno dei maggiori ostacoli al raggiungimento di compromesso.

Mentre queste conversazioni sono in corso le truppe dello Stato d'Israele hanno sferrato una forte offensiva contro le posizioni egiziane nel Negev, nei dintorni di Ghaza. Le località costiere della regione di Ghaza, Majdal e Gaura sono state pesantemente bombardate. L'ordine dato dal generale William Riley, capo di Stato Maggiore della Commissione delle Nazioni Unite, di cessare il fuoco è stato il 16 ottobre respinto dal Governo d'Israele. Le operazioni militari proseguono rendendo ancora più precaria la situazione del Governo di Ghaza.

521 7 Non pubblicato ma vedi D. 454, Allegato.

522 1 Indirizzato alle ambasciate a Londra, Mosca, Parigi e Washington e, per conoscenza, alle legazioni a Beirut, Cairo e Damasco, con il quale Soardi aveva chiesto di essere tenuto al corrente delle reazioni ai propositi manifestati dagli esponenti palestinesi in merito all'indipendenza del proprio paese.

523

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

Washington, 18 ottobre 1948.

Grazie delle varie comunicazioni, tutte interessantissime, e di grande aiuto per me. Vedo con viva soddisfazione che si faranno sforzi notevolissimi e ben diretti per chiarire i problemi cd orientare l'opinione pubblica. Le varie dichiarazioni di Sforza hanno prodotto qui ottimo effetto.

Non si parla affatto di «guerra preventiva», e si ha l'impressione che l'U.R.S.S. indietreggi di fronte alla precisa responsabilità di scatenare il conflitto di cui teme le ripercussioni immediate e finali. Sì che ci sarebbe almeno un po' più di tempo per un minimo di nostra preparazione, se avanziamo in tal senso.

Qui tengono moltissimo alla visita di Marras (la cui idea è venuta ai militari ed è stata poi approvata dai politici); corrisponde del resto alle intenzioni nostre, di cominciare con le conversazioni tecniche, anche per sapeme di più sulle vedute strategiche di Washington e degli anglo-francesi.

Mi pare che tutto si muova nella direzione giusta, per assicurare all'Italia la possibilità di difesa cui miriamo. Ma occorre continuare, insistere, precisare. Vorrei sapere qualcosa dei risultati del viaggio di Marras in Germania. Vide anche i francesi e gli inglesi2? Sarà pure bene ch'io sappia, in tempo, che cosa farà e dirà Marras qui, oltre le note istruzioni, eventualmente.

523 1 Autografa. 2 Vedi D. 580.

524

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 13924/354. Mosca, 19 ottobre 1948, ore 0,30 (per. ore 8).

Personale per ministro S.fòrza da an. La Ma!fa.

«Come Brosio ha telegrafato Molotov ha dichiarato oggi di accettare le proposte italiane coordinate circa navi e riparazioni 1• Se consegna navi dovrà avvenire a scadenze ben vicine e ferme (senza di che risusciteremmo precedenti diffidenze) per le riparazioni abbiamo raggiunto risultati mio giudizio molto vantaggiosi. Non le nascondo che data situazione e guardando lontano creda sia utile da ogni punto di vista avere raggiunto base accordo. D'altra parte se, come mi pare, sussiste per lei necessità affrontare opinione pubblica circa Unione Occidentale accordo con i sovieti facilita grandemente compito facendo superare difficoltà psicologiche e ostilità altrimenti ben gravi. Mi rendo conto ragioni nostra Marina ma se oggi riparazioni vengono liquidate su progetto italiano questo è dovuto a resistenza offerta a spirito sacrificio e devozione mostrate Marina. II resto verrà col tempo e sembrami (se mi consente intrusione) che rapporti strettissimi con Stati Uniti, approfondimento legami con paesi Europa occidentale, liquidazione pendenze guerra e rapporti normali e pacifici con Unione Sovietica costituiscano una grande realizzazione politica del nostro paese e sua».

525

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 1454 SEGR. POL. Roma, 19 ottobre 1948.

Ho ricevuto il rapporto n. 9088/3316 del 5 ottobre e la lettera n. 9094/3322 del 6 ottobre 1 e sono in attesa di conoscere l'esito deiia sua conversazione con Lovett2 . Dopo il discorso da me pronunciato alla Camera in sede di discussione del bilancio degli EsterP, e il cui contenuto ho riconfermato nel successivo discorso al Senato4 , la questione, come avrà avuto modo di vedere, è stata ripresa e dibattuta daiia stampa e

Sforza non aveva ancora ricevuto il D. 511 con il quale Tarchiani spigava le ragioni per le quali aveva ritenuto opportuno non sollecitare il colloquio con Lovett.

1 Vedi D. 491, nota 7.

4 Vedi Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Resoconti delle discussioni, 1948, Il, seduta del

15 ottobre 1948, pp. 2675-2684.

788 dalla opinione pubblica, e ritengo che codesti ambienti ne saranno stati favorevolmente impressionati.

Tralasciando l'atteggiamento ovviamente ostile dei comunisti, ella avrà potuto osservare come vi siano correnti di centro e centro sinistra (nella stessa Democrazia Cristiana e in taluni gruppi socialisti) che sono a dir meno perplessi. La preoccupazione che sta dietro tali perplessità è questa: si è assicurato il Governo che in caso di nostro schieramento politico-militare con l'Occidente, il nostro paese sarà effettivamente difeso? È questa la preoccupazione che affiora nell'opinione pubblica e che è anche del Governo, e sulla base della quale in particolare sono imperniate le istruzioni contenute nel telespresso n. 1284/c. del 31 agosto c.a., e le considerazioni svolte nei successivi due telespressi n. 1342 del 22 settembre c.a. e n. 11/1366 del 29 settembre c.a. 5 . Ed è perciò che abbiamo considerato come esigenza preliminare i sondaggi di carattere militare. A tale riguardo le trasmetto qui allegata copia di una lettera dell'ambasciatore Quaroni6 e copia di una mia lettera al ministro Pacciardi7 per sua --per ora -riservata conoscenza. La terrò al corrente del seguito della questioneR.

524 1 Vedi D. 519.

525 1 Vedi DD. 486 e 491.

526

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

TELESPR. 16/28254/176. Roma, 19 ottobre 1948.

Riferimento: suo telespresso n. 11570/1158 dell'8 ottobre u.s. 1•

Le informazioni e le considerazioni della S.V. di cui al telespresso surriferito sono giunte, particolarmente tempestive, alla vigilia dell'arrivo a Roma degli esperti austriaci. Circa le doglianze mossele costì va da parte nostra rilevato come le clausole di cui alle lettere a), b), c), d) del terzo paragrafo dell'Accordo De Gasperi-Gruber rappresentano, per così dire, delle cambiali da noi rilasciate all' Austria a Parigi ed era, pertanto, normale che fossero presentate all'incasso da parte austriaca. Delle cambiali, peraltro, non in bianco, quanto meno per quanto riguarda l'ammontare, ed era quindi anche normale che potessimo e dovessimo eccepire alle progettazioni austriache dei vari pacta de contrahendo quando queste andavano troppo oltre la lettera del patto di Parigi.

Circa la possibilità, poi, che per l'esecuzione della lettera c) potesse essere invocato l'art. l O del trattato di pace questa possibilità era stata da noi tenuta presente ed era stata, infatti, posta ogni cura perché la Convenzione per il transito

6 Vedi D. 480.

7 Vedi D. 517.

x Per gli sviluppi della questione vedi D. 541.

ferroviario attraverso la Val Pusteria fosse impostata per prima e portata per prima innanzi. L'art. l O del trattato di pace parla, infatti, solo di «libertà di circolazione dei viaggiatori e delle merci fra il nord e l'est del Tirolo» senza distinguere fra transito ferroviario e stradale così da consentire di sostenere, e non senza fondamento, che tale libertà avevamo curato di assicurare quanto meno per ferrovia, senza, per questo, volerei sottrarre a considerare, successivamente, «nei limiti del possibile», la disciplina di una analoga libertà per strada, ai sensi dell'Accordo italo-austriaco del settembre 1946.

Comunque, è stato quanto mai opportuno che il Governo austriaco nel sollecitare l'attuazione giuridica del transito abbia avuto il buon gusto di non invocare formalmente il trattato di pace con l'Italia, di cui non è stata davvero parte contraente, ma solo la diretta pattuizione italo-austriaca di cui sopra.

Si aggiunge che di una possibile invocazione del trattato di pace non è stato fatto neppure cenno da parte degli esperti austriaci che hanno preso contatto a Roma con gli esperti italiani nè da parte di questa legazione d'Austria. A quest'ultima, seguendo il suggerimento di V.S., non è stato, a suo tempo, significato alcun limite alla piena latitudine del negoziato sulla convenzione di transito stradale che, si confida, di condurre a buon termine con soddisfazione delle due parti, salvaguardando, sia il nostro buon diritto ad ogni ragionevole misura cautelare per un passaggio attraverso il nostro territorio, che ogni legittima aspettativa austriaca ad un transito effettivamente facilitato.

Circa il traffico delle persone sono state, del pari, molto utili le considerazioni di cui al suo rapporto n. 10212/995 del 26 agosto e come la S.V. avrà potuto rilevare dal telespresso di questo Ministero n. 1412/c. del 9 ottobre2 ne è stato tenuto ampiamente conto nel nostro contro progetto.

Questo Ministero è, peraltro, del parere d'insistere sulla impostazione restrittiva, adottata, d'intesa con il Ministero dell'interno e con quello delle finanze, all'esecuzione della lettera d). È ormai avviso concorde che detta lettera vada concepita, non solo per quanto riguarda gli scambi locali di prodotti caratteristici ma anche per quanto concerne il più ampio traffico di frontiera, come una clausola di carattere economico e di carattere economico nettamente delimitato in quanto riteniamo che per «traffico di frontiera» debba intendersi gli spostamenti attraverso la frontiera, entro un certo raggio e limitatamente agli abitanti delle zone di confine immediatamente adiacenti alla frontiera, spostamenti che si pongono in atto per ragioni economiche, prevalentemente agricole e pastorali, strettamente inerenti alla vita degli abitanti di zone di confine.

È, pertanto, opinione concorde delle Amministrazioni italiane competenti che, in sede di una Convenzione esecutiva di detta lettera d), il traffico di frontiera, per quanto ampliato, debba per sempre rimanere traffico di frontiera stricto sensu e non conferire il diritto al transito e al soggiorno in zone non strettamente di confine e per motivi non necessariamente economici. Le varie Amministrazioni interessate sono concordi su tale tesi, ed hanno espresso l'avviso che sulla lettera d) del paragrafo

terzo dell'Accordo di Parigi non possa basarsi alcuna fondata aspettativa per un tipo di traffico «privilegiato» quale quello di cui ai vari progetti sottopostici dal Governo austriaco.

Ogni concessione italiana nel campo del soggiorno come sullo stabilimento dovrà trovare la sua regolamentazione autonoma o, comunque, non fatta apparire discendere necessariamente dal patto di Parigi.

Circa, infine, le considerazioni fatte dalla S.V. sul problema delle opzioni è stata cura di questo Ministero di portarle a conoscenza della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell'interno.

525 5 Vedi rispettivamente DD. 375, 436 nota 4 e 460 nota l.

526 1 Vedi D. 498.

526 2 Non pubblicati.

527

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 11914/147. Roma, 20 ottobre 1948, ore 12.

Suoi 353 e 354 1•

Ho appreso con soddisfazione che azione svolta V.E. e on. La Malfa ha portato Governo sovietico ad accettare tesi italiana tema riparazioni. Comunicazione Molotov del 19 corrente2 sgombra indubbiamente terreno trattative da pregiudiziali che erano per noi insuperabili. Tuttavia anche con riferimento telegramma ministeriale 1453 , è assolutamente necessario conoscere concretamente e in dettaglio richieste sovietiche per forniture tanto in conto riparazioni quanto in esecuzione eventuale accordo commerciale per poter indicare da qui quali sono adempimenti possibili.

Riservandomi precisazioni mediante imminente corriere speciale prego V.E. e delegazione opportunamente soprassedere dal prendere precisi impegni al riguardo. Circa dati tecnici navi riservomi telegrafare a parte4 .

528

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 11957/548. Roma, 20 ottobre 1948, ore 24.

2 Vedi D. 524.

3 Del 16 ottobre, non pubblicato.

4 Per il seguito vedi D. 531.

Visita Marshall2 è stata così caldamente apprezzata da tutta nostra opmwne pubblica (eccetto naturalmente i comunisti che non contano) che Dunn e io siamo concordi meglio protrarre di qualche giorno l'annunzio per non creare impressione di una correlazione che non esiste.

Ciò solo per sua privata informazione perché a tutto penserà Dunn3 .

527 1 Vedi DD. 519 e 524.

528 1 Del 19 ottobre, con il quale Tarchiani aveva informato sull'intenzione delle Autorità militari statunitensi di invitare il gen. Marras a recarsi negli Stati Uniti tra il 12 novembre ed il 2 dicembre.

529

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4 7 68/ l 061. Madrid, 20 ottobre 1948 (per. il 22).

L'ambasciata è andata riferendo dettagliatamente sui vari avvenimenti che hanno interessato in questi mesi estivi la politica estera spagnola.

Meritano di essere ricordati l'incontro del generale Franco con il pretendente Don Juan tendente a ricercare le basi di un accordo fra regime e monarchia, la campagna abilmente orchestrata da alcuni paesi sud-americani per ottenere dall'Assemblea delle Nazioni Unite la revoca della mozione che prescrive il ritiro degli ambasciatori da Madrid, campagna alla quale non è del tutto estraneo lo stesso Dipartimento di Stato, la polemica anglo-spagnola a proposito del misterioso preteso accordo fra socialisti e monarchici, infine, le recenti visite alla Spagna di personalità nord-americane del mondo parlamentare e militare. Fra quest'ultime, ha assunto particolare rilievo quella del senatore Gurney, non solo per le dichiarazioni che questi ha fatto, ma per essere Gurney presidente della Commissione per gli affari militari del Senato.

Taluni di questi avvenimenti appaiono, visti da Madrid, tuttora confusi, così che è difficile stabilire fin da ora quale sia la loro portata reale, e quali le conseguenze che se ne possono trarre.

Tuttavia, a mio modo di vedere, una particolarità questi avvenimenti hanno rivestito ed è quella di avere, in un certo senso, tolto la Spagna dal suo isolamento provinciale riportandola sul piano interessante la politica internazionale.

Sotto questo più ampio angolo di visuale, due elementi principali sono emersi dai fatti ai quali ho accennato e dalle discussioni e polemiche che ne sono seguite, che mi paiono degni di essere segnalati all'attenzione dell'E.V.

l) L'interessamento dello Stato Maggiore americano alla posizione strategica della Spagna nel quadro di un nuovo conflitto mondiale, pur non essendosi ancora

52lì 2 Vedi D. 533.

3 Tarchiani comunicò (T. s.n.d. 14158/lì45 del 25 ottobre) che il Dipartimento di Stato concordava sull'opportunità di rinviare l'annunzio e proponeva la data del 5 novembre per la pubblicazione simultanea del relativo comunicato.

concretato in nulla di sostanziale, è stato oggetto di manifestazioni così sintomatiche, da non potere essere più oltre trascurato.

Ci troviamo di fronte ad un'azione persistente, e conseguente, degli ambienti militari di Washington che si sforzano di fare adottare al Dipartimento di Stato una politica realistica nei riguardi della Spagna e che per raggiungere questo obiettivo non esitano a impiegare ogni mezzo a loro disposizione pur di convincere l'opinione pubblica del loro paese della necessità di andare d'accordo col Governo di Madrid.

Sintomatica a questo riguardo, forse più ancora che le dichiarazioni del senatore Gurney, la persistente campagna di stampa che a favore della Spagna va svolgendo in America il noto giornalista repubblicano Constantin Brown, elemento molto vicino allo Stato Maggiore di Washington e che ebbe a visitare la Spagna un anno fa.

La tesi degli ambienti militari americani sembra essere quella di voler preparare una linea di difesa dei Pirenei, nella previsione che la linea del Reno abbia ad essere anche questa volta, e con maggiore facilità che nel 1940, travolta da un esercito che marciasse da Oriente verso Occidente.

Questa concezione che, come dico, non ha per ora ancora ricevuto il crisma di manifestazioni concrete, sembra contenere in germe gli elementi di una nuova futura divergenza di vedute strategiche fra lo Stato Maggiore di Washington e quello inglese; o, il che è lo stesso, quello dell'Unione Occidentale.

Gli inglesi più sensibili all'aspetto politico del futuro conflitto pensano che bisogna soprattutto difendere l'Europa; gli americani più abituati dalla loro forma mentis a semplificare i problemi, hanno tendenza a ritenere che l'obiettivo principale debba rimanere quello di battere la Russia. Ed in questo caso la Spagna costituirebbe la sola base continentale, sicura, dalla quale partire alla riconquista dell'Europa.

È un problema questo di colossale portata e sarebbe perciò esagerato pensare che esso abbia già potuto cristallizzarsi nei termini sopra indicati.

Il solo fatto però che esso formi oggetto di polemiche e di discussioni stampa, alle quali conferiscono verosimiglianza certe manifestazioni dei militari americani, è bastato ad iniettare un elemento nuovo nella così detta «questione spagnola» nel senso, cioè, che Francia ed Inghilterra nel difendere l'atteggiamento finora seguito, di condanna del regime di Franco, incominciano a preoccuparsi della eventualità che ove si ristabilissero normali relazioni diplomatiche con questo regime, la tendenza dei militari americani di preferire la linea dei Pirenei a quella del Reno troverebbe degli incoraggiamenti nei maggiori e più liberi contatti che potrebbero essere stabiliti con il Governo di Madrid.

Ritengo pertanto che a meno che non si giunga ad un chiarimento delle effettive intenzioni degli Stati Uniti, questa preoccupazione degli Stati Maggiori dei paesi dell'Europa occidentale finirà col pesare sull'atteggiamento della Francia e dell'Inghilterra nei riguardi della «questione spagnola» molto più che non abbia finora pesato l'ostilità ideologica del partito laburista inglese o quella del partito socialista francese.

2) L'eventualità che i piani dello Stato Maggiore americano possano comportare l'uso della penisola iberica, quanto meno, l'uso degli aeroporti e dei porti spagnoli, ha indotto il ministro degli affari esteri, signor Martin Artajo, tre volte nello spazio di un paio di mesi (ultimamente in una conferenza stampa tenuta a Buenos Aires) a precisare categoricamente che la Spagna non ha contratto impegni di sorta ed a riaffermare il desiderio di neutralità di questo paese.

Questo desiderio di neutralità della Spagna, sarebbe più esatto dire di isolamento, ha radici profonde nell'animo del popolo spagnolo, e sottovalutarlo, come sembrano fare, nel loro entusiasmo i militari americani, significa prepararsi a delle amare sorprese.

Da quando la Spagna ha cessato di essere una grande potenza, e s'è ritirata dietro la linea dei Pirenei, limitandosi a trarre soddisfazioni retoriche dal suo glorioso passato, ma, in sostanza, soprattutto gelosa di mantenere, scevro da ogni contaminazione dall'esterno, un suo modo di vivere che le è così particolare, essa ha avuto cura di tenersi lontana da tutti i conflitti europei.

Se vi avesse partecipato non avrebbe potuto tenersi estranea alle grandi correnti di pensiero, ai grandi moti sociali che hanno trasformato il volto di alcuni paesi d'Europa, e avrebbe finito per soffrirne questo «modo di vivere» di cui, attraverso l'espressione delle sue classi che contano, essa altamente si compiace.

La partecipazione della Spagna ad un futuro conflitto costituirebbe pertanto una grande rivoluzione -a deprecare la quale sono concordi la gran parte di quelli che criticano Franco, ma che, in realtà, poi, la sostengono. Anche perché un prossimo conflitto, con i suoi inevitabili aspetti di guerra civile, appare alla Spagna che ha già affrontata una sua guerra civile, dal 1936 al 1939, una tappa già superata.

L'ideologia anticomunista della politica di Franco può costituire -come costituisce -ragione di soddisfazione a posteriori per un Governo che senta il bisogno, anche in tempo di pace, di menare una sua «crociata», ma non è elemento sufficiente per fare pendere decisamente la bilancia dalla parte delle potenze occidentali.

Lo stesso Franco l'ha del resto dichiarato pochi giorni or sono-a Sivigliaquando ha affermato che la Spagna persegue altri obiettivi ideologici che non siano quelli che si propongono gli occidentali.

Il contributo della Divisione Azzurra a fianco della Germania nella guerra contro i russi non fu che una partecipazione simbolica che non modificò sostanzialmente questo fondamentale atteggiamento di isolamento della Spagna. Fu anzi il prezzo che Franco credette di dover pagare a Hitler per preservare alla Spagna il diritto di mantenere la propria neutralità. Hitler e Mussolini hanno fatto questa esperienza a proprie spese.

Tutto lascia prevedere che la stessa esperienza potrebbero fare anche gli amencam.

Si può pertanto azzardare la facile profezia che tanto il generale Franco, quanto le classi che lo sostengono faranno di tutto per allontanare da essi l'eventualità dell'arrivo degli americani nella penisola iberica, eventualità che costituirebbe, egualmente, anche se per altra via, la fine del regime e deli'«ambiente» spagnolo.

Questo concetto è stato, del resto, espresso con forza dal generale Varela, alto commissario del Marocco spagnolo, e successore probabile di Franco, in un recente discorso a Tetuan. «Se dovesse giungere il momento, ha detto Varela, tutta la Spagna si leverebbe in armi, ma non andrebbe mai fuori dei propri confini, né si incorporerebbe mai con nessun altro esercito ... ».

Naturalmente, se le truppe russe dovessero veramente giungere ai Pirenei, come ci giunsero a suo tempo quelle di Hitler, affermazioni come quelle del generale Varela assumerebbero il valore di un pio desiderio ed alla Spagna non resterebbe altra risorsa che quella di gettarsi nelle braccia degli Stati Uniti d'America nella speranza di riuscire così a salvare il salvabile.

Ma solo in questa ipotesi estrema!

530

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 2034/486. Mosca, 20 ottobre 1948 (per. il l" novembre).

Il generale Smith mi ha riferito oggi i punti essenziali di un interessante colloquio svoltosi di recente fra il generale Tito ed un diplomatico o fiduciario americano. Probabilmente questo colloquio sarà già noto a codesto Ministero, comunque ne comunico il contenuto per debito di ufficio:

Tito avrebbe detto: l) so perfettamente che la mia vita può considerarsi in pericolo, ma non temo per le conseguenze politiche, giacché per aversi un capovolgimento della posizione politica dovremmo essere liquidati almeno io, Kardelj e Rankovic; il che è difficile, perché noi abbiamo cura di non esporci mai insieme. 2) Io non posso promettervi alcun cambiamento di linea politica, alcun rovesciamento di posizione, perché ciò significherebbe ch'io stesso mi troverei all'interno in una posizione insostenibile; pur restando comunista e mantenendo la linea di politica internazionale finora seguita, io mi terrò fermo tuttavia alla mia posizione di indipendenza nazionale nei riguardi dell'U.R.S.S.; bisogna che mi lasciate tempo di fare la mia politica. 3) Dal punto di vista economico non chiedo molto né intendo pregiudicarmi presso di voi, neppure sotto questo aspetto; mi occorre tuttavia un po' di petrolio, perché i rifornimenti mi sono stati tagliati, e per esso posso pagare dollari. 4) Non posso dire quale sarà il mio atteggiamento in caso di guerra: esso dipenderà essenzialmente da chi ne sarà l'iniziatore. (Ossia Tito lasciò intendere eh'egli avrebbe potuto restare neutrale, se i sovietici si fossero presentati in veste di aggressori). Il generale Smith non ha avuto tempo di darmi altri particolari, data la relativa brevità del nostro colloquio; mi ha promesso di darmeli alla prossima occasione, e mi riservo di trasmetterli, se di qualche interesse.

531

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 11968/149. Roma, 21 ottobre 1948, ore 21,15.

Mio telegramma 147 1•

Per quanto riguarda navi è inteso che dichiarazione consegnata da V.E. a Molotov è da interpretarsi nel senso che data di consegna delle trentatre unità è da calcolarsi a partire dalla data conclusione accordo su riparazioni, e non (dico non) dalla semplice accettazione generica da parte di Molotov nostro progetto come base regolamento.

Ciò anche per evitare che, qualora negoziati riparazioni -i quali sono anche connessi con valutazione beni Balcani e con trattative commerciali -dovessero protrarsi e incontrare difficoltà in relazione anche a quanto le comunicherà Zamboni, nostre navi vengano consegnate senza neppure questa modesta contropartita.

Ciò premesso ella potrà comunicare a codesto Governo che trentatre bastimenti di cui si tratta potranno essere consegnati entro i limiti di tempo specificati nell'allegato al telespresso n. 1402/c2 .

È da rilevare che detti limiti per le navi maggiori di cui al primo e secondo gruppo (che non hanno bisogno di grandi lavori per poter essere trasferite) corrispondono alla data limite originaria del 31 dicembre comunicata a Karpounin da Rubartelli3 all'inizio delle trattative in agosto; consegna delle prime otto navi era cioè sempre stata prevista entro un limite di circa quattro mesi dalla conclusione dell'accordo.

532

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 13997/355. Mosca, 21 ottobre 1948, ore 7,20 (per. ore 8).

Telegramma 147 1• Ringrazio V.E. e prendo nota prossima comunicazione telegrafica circa dati tecnici navi. Al riguardo permettomi prospettare la necessità avere qui tali dati

2 Si tratta del Telespr. 1462/c. del 20 ottobre inviato a Mosca, Parigi e Washington che trasmetteva un appunto del Ministero della ditèsa e della marina in merito alle dichiarazioni fatte dal rappresentante italiano alla Commissione navale delle quattro potenze nel corso delle riunioni dell'Il e del 13 ottobre. Brosio lamentava, il 28 ottobre, il mancato arrivo di tale telespresso, vedi M. BROSIO, Diari, cit., p~. 376-377.

Vedi D. 412.

796 con tutta urgenza per potere tosto rispondere a Molotov e apnre così la strada a successive concrete trattative circa riparazioni.

Per quanto riguarda forniture previste scambi commerciali comunico che dati relativi sono contenuti in lettera indirizzata da Prato a d'Ajeta2 con corriere straordinario partito ieri da Mosca che dovrebbe essere giunto costì data odierna. Contingenti prodotti normali e forniture speciali in linea di principio sono già stati concordati con sovietici tenendo conto verbale riunione con funzionari E.C.A. 28 settembre ed anche conversazioni «rassicuranti» avute da Prato a Roma con Walmisley durante recente soggiorno costì.

Per quanto riguarda riparazioni richieste sovietiche contingenti, già note codesto Ministero, non sono state finora oggetto discussione da parte italiana. Anzi a questo proposito è da osservare che progetto italiano testè accettato in linea di massima da Molotov non prevede tali contingenti ma soltanto liste qualitative prodotti. Lettera Prato suindicata contiene opportuni elementi illustrativi su materia contingenti per contatti fra codesto Ministero e funzionari ambasciata americana ed E.C.A.

531 1 Vedi D. 527.

532 1 Vedi D. 527.

533

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. SEGRETO 3/14461 . Roma, 2 l ottobre 1948.

Il segretario di Stato Marshall mi fece sapere il 17 mattina che sarebbe venuto a vederci a Roma l'indomani.

Giunse infatti il 18 verso le 14; dopo breve riposo si recò al Quirinale per una visita formale al presidente della Repubblica e, più tardi, a Palazzo Chigi per una cordialissima conversazione meco seguita da altra, altrettanto cordiale, al Viminale, col presidente del Consiglio2 •

Dopo un pranzo a Villa Taverna, Marshall, De Gasperi, io e Dunn ci ritirammo in un salotto per una conversazione intima che durò dalle 21,30 alle 23,30.

Marshall guidò e riempì gran parte della conversazione colle più intime confidenze del come agì di fronte al pericolo della missione Vinson, del come egli parlava e trattava coi sovietici, della sua semi-certezza che continuando a agire in quel modo si sarebbe evitato la guerra, delle sue difficoltà finanziarie col Congresso, del discorso di Dewey a Salt Lake City, circa il quale ci disse che non era piaciuto a Bevin. Ci chiese poi della situazione in Italia e si felicitò meco per la franchezza dei

533 1 Diretto, per conoscenza, anche agli ambasciatori a Londra e Parigi. 2 Vedi Allegato.

797 miei recenti discorsi al Parlamento e dell'iniziativa per l 'Unione economica i taiofrancese che, disse, era stata molto apprezzata in America. A mia domanda promise di raccomandare al Governo francese una rapida attuazione. Si interessò molto a certe osservazioni di De Gasperi circa la necessità di considerare la nostra emigrazione come un importante fatto internazionale. La conversazione si svolse in una crescente atmosfera di reciproca fidente cordialità.

Occorre quindi trovare altrove la spiegazione al fatto che Marshall non pronunziò verbo -malgrado più di un esplicito accenno nostro -circa gli accenni di Hickerson a V.E. di cui al suo rapporto del 5 corrente3•

Il mattino seguente Marshall fu preso tutto il tempo della visita al Papa a Castel Gandolfo4 e da una susseguente visita al cimitero americano di Anzio. Gli feci peraltro sapere che desideravo parlargli ancora e che potevamo ciò fare prima della sua partenza, all'aeroporto di Ciampino, verso le 14; né De Gasperi né 10 volemmo il rimorso di non aver parlato franco.

Fu dunque all'aeroporto che, appartatici dalla folla diplomatica, gli dissi: -che volevo ripetergli chiaro quanto gli avevamo dichiarato esplicitamente e implicitamente la sera avanti, e cioè che sapendo quanto la neutralità fosse ormai formula vana noi eravamo toto corde con gli U.S.A. per la tutela della civiltà occidentale, e che quindi ci rendevamo conto che di fronte ai supremi interessi in causa noi, accettando i consigli di Hickerson a Tarchiani -you certainly know them -non intendevamo porre condizioni (tanto più che in una nuova atmosfera molto si sarebbe chiarito e risolto); -ma, visto che l 'Italia è molto più esposta degli altri paesi, anzi lo è due volte perché, disarmata com'è, può essere oggetto di due diverse aggressioni, era nostro dovere avvertirlo che su un sol punto non potevamo transigere: nessun jato fra eventuali nostri impegni da un lato e garanzie e aiuto per riarmo dall'altro. Ciò ci occorreva non solo per la nostra coscienza, ma anche per costituire una necessaria unanimità italiana. Con riarmo e garanzia -gli aggiunsi -noi potevamo affrontare qualunque pericolo. E la nostra decisione sarebbe preziosa perché annullerebbe il rischio di un Governo totalitario imposto attraverso un'infima minoranza in caso di inizio di invasione straniera. Ricordatevi -dissi -che what happens in Italy soon happens in France5 .

Marshall meditò alcun poco, poi mi disse: «Grazie di avermi parlato così. Penserò seriamente a tutto ciò». Il comandante del campo si accorse che il colloquio era finito, e si avvicinò per dirci che la «Sacred Cow» doveva partire. Accompagnai Marshall alla scaletta e ci stringemmo la mano con calore.

Vedi D. 534. 5 Una annotazione avverte che il testo dei due precedenti capoversi fu consegnato a Dunn il 23 ottobre.

VE. si serva di tutto ciò per sua riservatissima norma di linguaggio6 .

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERl, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA MARSHALU

I am very pleased to greet you in Rome Mr Secretary. I am very glad of this opportunity to thank you for your economie support and for your politica! cooperation during the elections towards the solution of Trieste. A possiblc contlict with Russia would not be only an external war but for Italy an internai civil war. I in particular as responsible for home policy must consider it under this double aspect. It is possible in ltaly to avoid the difficulties of an internai insurrection on one of these two conditions: First: if we can give the security that the whole territory of the country can be defended against a Russian attack. This security can be given only through a public American guarantee to defend the Eastern frontier and Trieste. If we have this security, we can successfully repress any attempt of insurrection by the fifth column. The present anticommunist government can certainly resist an internai danger even if during the contlict the front line were to recede. Second: if this guarantee could not be given we could resist a fifth column only if we could proclaim and effect an armed neutrality. This also requires the cooperation of America in our rearmament. However this neutrality could bring to the loss of Northern ltaly, but the anticommunist govemment could certainly for a given period defend Centrai Italy. In this case the Russian invasion would give us a reason for joining America and the Western powers. Even in this case we should have avoided having a communist govemment or we would have one only in Northem ltaly under Russian occupation. l would emphasize that the considerations regarding the maintenance of an anti-comm[unist] government have a very important bearing strategically.

Out of this two cases, the situation would be politically untenable. Parliament would not allow us to maintain practical military cooperation with the West without American support and this guarantee.

On the other hand disanned neutrality would rapidly end with a Russian invasion and the overthrow of the anti-communist govemment.

W e are men of good will and you must rely o n our loyalty. Thc independence [ of] our country and the !ife of our govemment depends on the victory of the democratic cause.

7 Questo appunto, conservato nell'Archivio De Gasperi, è preceduto dalla seguente annotazione di Paolo Canali: «Vado a Formia a rilevare il presidente De Gasperi. Al ritorno, in macchina, si prepara il testo qui unito, che servirà di traccia per il colloquio. Traccia cui De Gasperi si attiene».

532 2 Del 18 ottobre, non pubblicata.

533 3 Vedi D. 486.

533 6 Il memorandum statunitense su questi colloqui è pubblicato in Foreign Relations of the United States, 1948, vol. III, cit., pp. 883-887. Per la comunicazione di Sforza all'aeroporto vedi ibid., p. 811.

534

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2335/7761• Roma, 22 ottobre 1948 (per. il 2 novembre).

Il caso ha voluto che l'arrivo del Marshall a Roma il 18 corrente e la visita da lui fatta al Pontefice in Castelgandolfo la mattina successiva, fosse preceduta da due notevoli articoli del conte Dalla Torre, comparsi su l'Osservatore Romano i giorni 16 e 17. Il loro contenuto concerneva direttamente la grave situazione internazionale; ed in special modo il secondo articolo -«Vogliamo la pace: prepariamo la pace» attirò la generale attenzione, perché parve voler suggerire, come via d'uscita al vicolo cieco in cui si è cacciato il mondo, niente di meno che l'altissima mediazione di Pio XII.

Anche se Giorgio Marshall non fosse, due giorni dopo, calato in Roma, c'era abbastanza, in quegli articoli, da far molto parlare e molto scrivere. Per quanto riguarda la politica estera italiana, il primo di essi sembrò una riaffermazione della ben nota dottrina pacifista evangelico-cristiana: non il preparare la guerra, ma solo l'educazione alla pace può creare e conservare la pace. Sotto questa riaffermazione si volle vedere lo scopo recondito di confortare gli animi dei credenti al mantenimento ad ogni costo dell'Italia in una linea di neutralità e di indipendenza da qualsiasi blocco armato. Il secondo articolo, quello della candidatura del Pontefice ad arbitro, lasciò molti lettori interdetti, e fornì agli avversari il destro di dimostrare l 'inattuabilità della proposta e di scandalizzarsi che il Vaticano, centro della reazione anti-democratica e principale parte in causa, pretendesse erigersi a giudice del processo.

La sopraggiunta visita del Marshall al Papa ha poi accresciuto il rilievo di codesti articoli: perché ad alcuni degli interrogativi circa la materia del colloquio fra i due parevano fornire una preventiva risposta; ad esempio, che il Pontefice abbia intrattenuto Marshall sulla convenienza che l'Italia non si allontani dal pacifismo e dall'equilibrio propugnato nell'Osservatore Romano; o che, magari, sia stata fatta qualche allusione alla possibilità, se non immediata, per lo meno futura, del ricorso all'opera mediatrice della Santa Sede.

Nei colloqui che ho avuto in Segreteria di Stato mi son state fatte, a tal proposito, dichiarazioni che per la loro verosimiglianza e il modo e il tono, si possono ritenere veritiere.

Gli articoli del conte Dalla Torre furono esclusivamente frutto della sua iniziativa personale e pubblicati senza che li avessero visti gli organi responsabili della Santa Sede. Sono l'espressione, mi si disse, di un momento di «lirismo giornalistico cattolico», sotto cui è inutile cercare rapporti o allusioni di pratica portata. Basta del

resto leggerli attentamente e senza preconcetti, per vedere che ci muoviamo nel campo delle idee pure. Non la preparazione alla guerra può evitare la guerra, ma solo lo spirito di pace, di moderazione, d'amore: grandi verità, verità che il Papa predica da sempre e sempre, com'è ufficio e dover suo, ma che per ora non sono traducibili in termini di politica reale e meno che meno di politica particolare di una sola nazione. Quanto alla funzione arbitrale del Papa, ci vuoi poco a capire che il fame un programma per l'odierne congiunture sarebbe stata una puerilità; mentre qui c'è semplicemente l'affermazione, su un piano ideale, che non la violenza bensì la dottrina cattolica, di cui è interprete la Santa Sede, detiene le formule per la soluzione di tutti i conflitti tra le nazioni.

Questi concetti, sempre attuali e mai attuabili, sono perfettamente ortodossi, non solo, ma formano di regola la cittadella dottrinale inattaccabile entro cui si rifugiano i dirigenti della Chiesa quando vogliono evitare di compromettersi su questa o su quell'altra direzione di politica temporale. Gli ecclesiastici vi sono avvezzi, perché è la filosofia di cui son stati nutriti fin da ragazzi. Adesso, che gli articoli hanno suscitato tanto inutile scalpore, la Segreteria di Stato preferirebbe che non fossero stati scritti, o non scritti così, specie quel brano della mediazione pontificia. Ma forse, se il direttore dell'Osservatore Romano li avesse sottoposti a preventiva censura, sarebbero passati senza osservazioni.

E per chiudere questo argomento, aggiungerò che mons. Montini, avendo certo in mente l'art. 24 del Trattato del Laterano (giacché mi aveva accennato giusto allora all'editoriale «Intervento Vaticano» sull'Avanti di oggi) mi diceva che se un giorno si fosse profilata davvero l'ipotesi che la missione di pace, connaturale all'istituto del pontificato romano, potesse concretarsi in un intervento di mediazione o d'arbitrato, lo Stato italiano ne sarebbe stato senza dubbio e sempre previamente informato.

In ogni modo, mi assicurò, questi concetti non erano entrati tra gli argomenti del colloquio del Pontefice con Giorgio Marshall, se non fosse in quanto rappresentano l'angolo spirituale sotto cui la Chiesa considera sempre le cose di questo mondo, e costituiscono quindi la coloritura caratteristica di tutti i discorsi degli ecclesiastici, a cominciare dal Papa fino all'ultimo predicatore di villaggio.

Il colloquio, notò mons. Montini, fu stabilito all'ultimo momento, nel pomeriggio del 18: mancò di ogni preparazione programmatica e d'ogni previa consultazione, da parte del Papa, con i suoi consiglieri abituali; e fu piuttosto breve. Una parte non piccola del tempo (a quanto ebbe a raccontargli lo stesso Pontefice) fu spesa dal Papa a chiedere ragguagli sulla politica interna americana, nonché sulla politica estera, sui timori e sulle speranze del Governo e del popolo, sull'intervento economico e finanziario dell'America in Europa e sul suo svolgimento futuro. Il signor Marshall, nel trattare di quest'ultimo oggetto, ebbe occasione di porre in rilievo come egli abbia concepito tale intervento quale strumento di pace e non di guerra, e tuttora speri che il frutto definitivo della sua politica economica possa essere la pace. Tali espressioni hanno poi condotto senza sforzo il Papa a esprimersi ad un dipresso secondo quanto riferì l'Osservatore Romano nel resoconto dell'udienza; e cioè che l'opera dell'America nella sfera economica, e l'opera della Santa Sede nella sfera spirituale, si armonizzavano e tendevano allo stesso fine: lenire i mali dell'umanità e salvare la pace.

Mons. Montini, nel dirmi quanto sopra, ci tenne però a mettere bene in rilievo che non si trattò qui in alcun modo di comuni intese, o di collaborazione organizzata: ma della semplice constatazione che, nella diversità dei mezzi e dei piani materiali e spirituali -le due azioni felicemente e di per se stesse si armonizzavano e si completavano; e della speranza (visto che si era ancora ben lungi da un risultato stabile) che tale spontanea armonia si sarebbe verificata anche nell'avvenire. Di piani comuni per il futuro, di promesse, di impegni, mi dichiarò mons. Montini, non è stata fatta parola.

Sull'argomento: politica estera italiana, che tanto ci interessa, mons. Montini mi lasciò intendere che i due interlocutori, se pur ne accennarono, erano rimasti nella più riguardosa riserva. A ver dire, nelle conversazioni che ebbi in questi giorni col signor Gowen, assistente del rappresentante personale del presidente Truman presso Sua Santità, esso mi aveva chiesto con molto interesse ragguagli sulla posizione dei cattolici, in ispecie dell'Azione Cattolica, di fronte ai problemi di politica estera italiana; e sull'influenza che la Santa Sede esercitava su questi ambienti e sui loro giornali. Ma ciò non m'induce affatto a credere che il signor Marshall, in una udienza del genere di quella che si passò a Castelgandolfo, abbia toccato un argomento così delicato: o, se ne avesse anche fatto un discreto accenno, che il Papa abbia potuto rispondere altrimenti che con certe sue frasi, piene di benevolenza e di simpatia, che non contengono alcuna afferrabile sostanza.

In conclusione, l'incontro, senza dubbio, ha costituito un avvenimento, ma assai più per il suo rilievo pittorico che per l'influenza che può avere sul corso generale o particolare della politica: a parte la simpatia che mi si assicura i due personaggi abbiano provato l'uno per l'altro, elemento pur sempre di un certo conto. La forza delle cose, come si sa, costringe il Papato a contatti esclusivi coi rappresentanti del gruppo occidentale: ne viene una certa monotonia, la ripetizione obbligata di temi ed argomenti, la rinuncia alle possibilità di elevarsi, fuorché a parole, al disopra della contesa. La Santa Sede sente, assai più di quanto comunemente si creda, la tristezza di tale limitazione, la quale riesce poi in una inevitabile compromissione, che è in fondo contro la natura sua di così gelosa indipendenza. Anche al tempo dell'espansione dei saraceni e dei turchi, si verificò una situazione abbastanza analoga all'odierna. Soltanto che, allora, la Chiesa risolveva il problema proclamando la guerra santa e la crociata: ed oggi, per tante ragioni, ciò fare non vuole e non può.

534 1 Ritrasmesso con Telespr. 14/29464/c. in data 6 novembre alle ambasciate ad Ankara, Bruxelles, Londra, Madrid, Mosca, Parigi e Washington e alla legazione a Lisbona.

535

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 9596/3512. Washington, 22 ottobre 1948 (per. il 2 novembre).

Oggi ho avuto un lungo colloquio con questo capo di Stato Maggiore generale Bradley.

Non avevo sollecitato l'incontro, ma Bradley ha accolto con evidente sollecitudine il velato desiderio di incontrarmi con lui, contenuto in una mia lettera di ringraziamento per l 'invito ad una manifestazione alla quale non ero potuto intervenire, trovandomi in viaggio di ritorno dali' Italia.

Bradley ha esordito domandandomi notizie della situazione italiana. Gli ho fatto una rapida descrizione, indicando i progressi della ripresa economica e dell'orientamento dello spirito pubblico. Gli ho però detto francamente che i miglioramenti, per quanto utilissimi, non erano sufficienti se il paese non si sentiva, e non era, nei limiti della possibilità, al sicuro dai pericoli esterni ed interni. Perciò, gli ho detto, «oltre ad una politica saggia, occorre una forza reale per metterla e mantenerla in opera e per difenderne, se necessario, i frutti».

Bradley pur tenendo a precisare che l'argomento era piuttosto politico che militare, ed esulava quindi dal suo specifico campo di attività, mi ha detto che, a conferma di quella che era sempre stata una sua tesi, notava con viva soddisfazione come tanto negli ambienti dell'Amministrazione come in quelli del Congresso, nella stampa e nell'opinione pubblica, fosse finalmente penetrato e a fondo il concetto che è vano creare nei paesi del piano Marshall una migliore situazione economica, se non si è in grado di difenderla, dati i pericoli manifesti che oggi sovrastano l'Europa occidentale. Questo, secondo Bradley, sarebbe oramai, dopo molti tentennamenti, un punto acquisito e da ciò dovranno derivare le naturali conseguenze.

Gli ho allora prospettato l'attuale situazione dell'Italia, disarmata e incapace perciò di sentirsi sicura e di essere utile agli altri. Gli ho dimostrato come in tali condizioni, fosse più che mai giustificata la perplessità del Governo di fronte ad una eventuale adesione all'Unione Occidentale, !ungi anch'essa dall'essere una forza. La perplessità era tanto più giustificata in quanto erano pervenute in Italia notizie, sia pur vaghe, di progetti o ipotesi di un eventuale fronte difensivo, in caso di conflitto, ai Pirenei o, al massimo, sul Reno. Da ciò si era tratta la facile conseguenza che l'Italia sarebbe rimasta nella no man 's land oltre le linee di difesa. Era pertanto necessario che l'Italia venisse in primo luogo riassicurata e messa in grado di sentirsi appoggiata, protetta, sufficientemente capace di difendersi.

Bradley ha riconosciuto la fondatezza dei miei ragionamenti e la plausibilità dei nostri dubbi. Ne ho allora approfittato per dirgli che, in un momento in cui cominciano a trapelare notizie circa la possibilità di organizzazione della difesa dell' Austria, noi avevamo ragione di credere e di sperare che il problema dell'Italia e quello di Trieste venissero anche essi presi in considerazione.

Bradley, con un lievissimo sorriso d'intesa, mi ha subito detto: «Ho molto riflettuto, prima di prendere una decisione circa la visita del vostro Capo di Stato Maggiore (e ha aggiunto che il generale Marras gli è stato descritto come uomo di valore e competenza) perché non intendevo mettere in imbarazzo né il Governo italiano né lui personalmente. Una volta presa la decisione, mi auguro che egli accetti l'invito e che io gli possa parlare francamente e liberamente. Gli faremo vedere, in diversi punti del paese, quello che stiamo facendo qui per la nostra preparazione militare. Lo metteremo al corrente di quello che facciamo e che intendiamo fare in Austria e a Trieste».

A questo proposito mi ha domandato che cosa pensassi circa la possibilità di una eventuale neutralità di Tito. Gli ho detto la mia impressione negativa, giacché è mia convinzione che, presentandosi l'occasione, Tito non mancherebbe di approfittare del conflitto ai suoi propri fini, lupo tra i lupi. Ogni dichiarazione degli elementi responsabili jugoslavi, anche le più recenti, denotano sentimenti e propositi anti-italiani e filo sovietici, anche se misti a quelli di avversione al Cominform.

Bradley ha poi proseguito: «l problemi che ella ha accennato sono presenti alla nostra attenzione e saremo lieti di parlarne col generale Marras. Sono fiducioso che il di lui viaggio condurrà ad un utilissimo scambio di idee e non mancherà di aver frutti».

Essendosi Bradley dimostrato ansioso di avere notizie sulla accettazione dell'invito da parte di Marras, ho creduto opportuno, sulla base delle informazioni cortesemente datemi da V.E. 1 , di rassicurarlo, comunicandogli che vi sarebbe stato un ritardo nell'annunzio della visita (per ovvie ragioni, dopo la recentissima gita di Marshall a Roma) ma non nella visita stessa. Bradley ha molto gradito questa conferma, e mi ha ripetuto che si riprometteva il miglior effetto, nell'interesse comune dei due paesi, da questa nuova manifestazione di amicizia tra l'Italia e gli Stati Uniti, nonché dei buoni risultati pratici che servissero in qualche modo a tranquillizzare i nostri legittimi timori.

Nel complesso dal colloquio con Bradley ho ricavato le seguenti impressioni: l) il capo di Stato Maggiore americano ha dimostrato di rendersi conto della necessità che l 'Italia raggiunga un sufficiente stato di efficienza militare, sia in ragione della situazione internazionale ed interna, considerate come interdipendenti, sia come complemento della ricostruzione che il piano Marshall affretta e consolida; 2) che se nel '48 si era probabilmente passati dalla idea «difesa ai Pirenei» a

quella «difesa sul Reno», si stava ora, per il '49 e seguenti, studiando una organizzazione di resistenza che includa Italia ed Austria;

3) l'idea dell'invito al generale Marras, invito che avrebbe carattere al tempo stesso militare e politico, ha avuto sviluppo soprattutto negli ambienti del Ministero della difesa ed è dovuta, per ammissione dello stesso Bradley, specialmente al desiderio di discutere le prospettive tecniche di un sistema Trieste-Austria, allacciato

alle posizioni anglo-franco-americane in Germania;

4) dalle preoccupate e affrettate decisioni di Key W est (marzo 1948)2 si sarebbe quindi fatto qui un gran passo innanzi, almeno nel campo tecnico e in quello della coordinazione internazionale. In questo quadro, questi ambienti militari sarebbero ormai giunti a considerare, e cercare di fissare, insieme ai nostri organi tecnici, le vie opportune per includere l 'Italia nel previsto nuovo sistema difensivo dell'Occidente, fornendole, nei limiti della possibilità, i mezzi adatti

allo scopo.

535 Vedi D. 528. 2 Vedi serie decima, vol. VII, D. 416.

536

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 9598/3514. Washington, 22 ottobre 1948 1•

Telespresso ministeriale n. 2584/c. del 14 settembre u.s. 2 . In odierna conversazione con un funzionario del Dipartimento responsabile della trattazione della questione palestinese si è da parte nostra insistito ancora una volta sulla necessità che, quando e dove verranno prese in esame le varie soluzioni per il futuro regime di Gerusalemme, siano tenuti nel debito conto sia la nostra speciale posizione nel mondo cattolico, sia il desiderio da noi ripetutamente manifestato di partecipare alla organizzazione internazionale che dovesse eventualmente essere creata. Abbiamo a tal fine ricordato le diverse assicurazioni, in senso favorevole a tale nostro punto di vista, che ci erano state date al Dipartimento di Stato sin dalla fine dello scorso aprile (telegramma per corriere di questa ambasciata n. 056 del 27 aprile u.s.)3•

L'interlocutore ha ancora una volta convenuto circa la fondatezza della nostra richiesta ed ha solo rilevato che per il momento a parte la vaga formula del piano Bernadotte circa la necessità di un regime internazionale per Gerusalemme, formula che il Dipartimento aveva accettato col dare la sua approvazione al piano stesso, non si erano ancora qui presi in considerazione precisi progetti sul futuro regime di Gerusalemme.

Premettendo che parlava a puro titolo personale, l 'interlocutore riteneva che, una volta che le idee al riguardo si fossero cristallizzate, il sottosegretario di Stato o il capo del servizio competente avrebbero potuto darci notizia dei progetti, invitandoci al tempo stesso a comunicare le nostre idee al riguardo. Era questa la formula che egli contava di sottoporre all'approvazione degli organi superiori, riservandosi di farci conoscere l 'esito della sua proposta.

Nell'occasione ci è stato chiesto quale eco avesse trovato presso le maggiori potenze interessate l'espressione del nostro desiderio di partecipare al\' organizzazione internazionale di Gerusalemme.

Men1re mi riservo di seguire con ogni attenzione gli sviluppi della questione e di incoraggiare il Dipartimento nelle sue intenzioni favorevoli ad una nostra consultazione, sarò grato a codesto Ministero se, per mia ulteriore norma di linguaggio, volesse farmi conoscere le reazioni, almeno di Londra e Parigi, alla nostra richiesta4 .

Non rinvenuto. 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 619. 4 Sugli sviluppi della questione vedi D. 717.

536 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

537

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2]51/941. Belgrado, 22 ottobre 1948 (per. il 26).

Riferimento: telespresso ministeriale n. 27232/427 del 2 ottobre corrente 1•

Se il passo esperito dal ministro Ivekovic2 , confermato nel suo contenuto dalla mia conversazione con il sig. Brilej (mio telegramma n. 293 del 14 corrente?, risponde ad un sincero desiderio di regolare i rapporti pendenti con l'Italia, quali che siano gli scopi jugoslavi, parmi più che opportuno l'orientamento di codesto Ministero, di cui al telespresso in riferimento.

Mi permetto aggiungere che, indipendentemente dallo scopo di tentare una evoluzione jugoslava verso l 'Occidente, il regolamento delle vertenze esistenti tra i due paesi risponde all'imprescindibile necessità di creare, se possibile, relazioni di buon vicinato con un paese confinante.

Non posso, infatti, condividere l'opinione di qualcuno che teme che la conclusione di accordi con l'attuale Governo jugoslavo, possa essere illusorio data la possibilità di una caduta.

Alla caduta di Tito succederebbe un Governo di «marca sovietica» e quindi, se si considerano le attuali relazioni italo-russe, assai più intrattabile dell'attuale.

Si potrebbe temere un disconoscimento od una violazione degli eventuali accordi raggiunti, ma in tal caso la colpa non sarebbe nostra e ne potremmo trarre le debite conseguenze.

Ma intanto se, attraverso accordi, si riuscissero a risolvere i problemi scottanti e specialmente se si riuscisse a giungere ad una «novazione» dell'attuale situazione c, in particolare, a rendere meno drastiche le disposizioni del trattato di pace, o meglio, in sostanza, a sostituire al Diktat un più favorevole accordo liberamente concluso, ciò sarebbe di indubbio vantaggio per l'Italia.

Comprendo il disagio di affrontare grossi problemi che possono portare a qualche nostro sacrificio, ma non sempre essi si eliminano allontanandone la trattazione.

Si era diffusa, ad esempio, la facile opinione che ci si potesse sottrarre al pagamento delle riparazioni, e in particolare quelle dovute, per trattato, alla Jugoslavia. Astraendo da altre valutazioni su tale punto di vista, l'opinione mi è sempre sembrata superficiale perché un debitore può benissimo non pagare, ma non può nello stesso tempo esigere i crediti verso il suo creditore. Come possiamo noi vantare i crediti derivanti dalle nazionalizzazioni, quelli che probabilmente sorgeranno dalla

2 Vedi D. 429.

3 Vedi D. 398, nota 3.

806 soluzione del problema dei beni immobili degli optanti, chiedere la restituzione dei pescherecci catturati nei porti dalmati, di pescare i pesci nel mare territoriale jugoslavo, se intendiamo, non dico pagare, ma nemmeno trattare il problema delle riparazioni di guerra? Ebbi già altra volta l'occasione e l'onore di esprimere l'opinione che il trattato di pace offriva tali cautele al Governo italiano da non dover temere l'inizio di conversazioni in proposito (mio te l espresso n. 185/106 del 4 febbraio 1948)4 .

Mi pare che sia anche opportuna la trattazione dei problemi in blocco. Il Governo italiano ha già compiuto molti atti di dimostrazione della sua buona volontà (consegna navi, restituzione argento, problema oro, ecc.) senza chiedere apprezzabili contropartite. Ma se ora si vuole ottenere qualcosa, le recenti trattative di Belgrado hanno dimostrato che, ponendo sul tappeto molte questioni, se ne risolve almeno una contro una.

Aggiungo che avanzandosi ormai da parte jugoslava il problema delle riparazioni, è venuto il momento di contrapporre da parte nostra quello dei beni nazionalizzati. Il recente accordo con la Svizzera (vedi mio telespresso n. 2044/900 del 12 ottobre corrente)4 e quello imminente con l'Inghilterra (vedi mio telespresso n. 1752 del 22 settembre )4 ci forniranno un'arma preziosa.

Se noi possiamo mettere sulla bilancia crediti contro crediti, non potrà la Jugoslavia accusarci di violazione del trattato di pace, qualora noi ne condizionassimo l'esecuzione contro l'esecuzione degli obblighi jugoslavi. Il titolo di credito jugoslavo (trattato di pace) non vale di più del nostro titolo (esproprio forzato di beni in violazione di principi di diritto internazionale).

Quindi, esperito, eventualmente invano, il tentativo di trattare il compenso per le nazionalizzazioni e gli espropri dei beni nei territori ceduti (è noto che la nazionalizzazione e l'esproprio dei beni nella vecchia Jugoslavia è ormai superato dalla appropriazione a sensi dell'art. 79 del trattato di pace-vedi mio telespresso n. 751/ 309 del 23 aprile 1948)4 , nel corso delle attuali conversazioni di Belgrado, alle richieste jugoslave, conseguenti alle recenti «aperture», possiamo opporre quella del compenso per i beni nazionalizzati, espropriati e comunque confiscati, nonché portare in discussione ogni altra questione a noi utile (restituzione pescherecci, questione banche italiane ecc.) i vi compresa la pesca, qualora contrariamente alle dichiarazioni di Brilej (vedi mio telegramma n. 293 del 14 ottobre corrente), il Governo jugoslavo non fosse disposto a trattare la questione subito, indipendentemente da ogni altra.

Per quanto riflette le questioni politiche di cui al telespresso in riferimento, mi sembra che alcune dovrebbero essere risolte come condizione preliminare all'accoglimento della richiesta jugoslava della nostra mano d'opera.

Infatti, come in parte già osservato nell'appunto riservato n. 20515/1939 del 28 giugno4 di codesta Direzione generale degli affari politici, indirizzato alla Direzione generale emigrazione, noi dovremmo chiedere l'eliminazione della situazione in cui si trovano ancora molti italiani in Jugoslavia (es. carcerati che hanno diritto a beneficiare dell'amnistia, nonché di quelli cui è stata respinta la domanda di opzione) e le garanzie per la tutela dei nostri lavoratori, in primo luogo con l'apertura di consolati.

La forma, il contenuto e l'ampiezza della proposta jugoslava, consentiranno una migliore valutazione delle nostre questioni da controproporre, sul loro eventuale abbinamento o condizionamento.

Allo stato attuale, le trattative si profilerebbero nel modo seguente:

l) la delegazione italiana a Belgrado continua le trattative in corso, includendo, eventualmente, qualche altro oggetto che possa più direttamente interessare i territori ceduti alla Jugoslavia (es. debiti di Comuni od altri Enti situati nei territori ceduti verso Enti o cittadini italiani);

2) le trattative per la pesca dovrebbero svolgersi indipendentemente da ogni altra questione, secondo la su riportata comunicazione Brilej;

3) dovrebbero iniziarsi nuove e più ampie trattative, nella forma e nella sede meglio viste da codesto Ministero, su tutti i problemi economici e finanziari pendenti fra i due paesi.

Le conversazioni in proposito dovrebbero condurre ad un piano di lavoro includente tutte le questioni pendenti e di cui ci interessa la soluzione. Mi permetto ricordare che, oltre a quelle indicate nel telespresso in riferimento, vi sono altre questioni quali, ad esempio: restituzione pescherecci catturati nei porti dalmati; dichiarazione di preda bellica per naviglio che non doveva essere considerato tale; liquidazione, trasferimenti dei beni dei cittadini italiani residenti, sia nella vecchia Jugoslavia, sia nei territori ceduti (esclusi gli optanti), che si sono trasferiti o intendono trasferirsi in Italia; problema delle filiali delle banche italiane; titoli di Stato della vecchia Jugoslavia in possesso di cittadini o di Enti italiani, nonché tutte quelle altre questioni che potranno, in seguito, essere elencate.

Ma, ripeto, occorrerà conoscere esattamente quali siano le vere intenzioni jugoslave. È probabile che essi si illudano di potere risolvere soltanto il problema della mano d'opera, mentre, d'altra parte, susciterà indubbiamente reazione la nostra richiesta di indennizzi per nazionalizzazione, espropri e confische (il cui importo dovrebbe superare gli stessi 125 milioni di dollari per «riparazioni di guerra»);

4) i problemi politici, cui fa cenno il telespresso in riferimento, potranno in parte, come sopra ricordato, essere risolti quale condizione preliminare ad alcune domande da parte jugoslava.

Gradirò essere tempestivamente informato degli eventuali passi di codesto ministro jugoslavo, nonché dell'atteggiamento del Ministero per poteme fiancheggiare l'opera nelle mie conversazioni presso questo Ministero degli esteri. Ricordo, a questo proposito, che normalmente m1 mcontro con questo direttore generale, sig. Brilej che, oltre occuparsi direttamente di tutti i problemi con l'Italia, è anche pronto ed intelligente. Può essere quindi utilissimo prospettargli direttamente e costantemente il punto di vista italiano.

Da parte mia, non mancherò di comunicare orientamenti ed indirizzi di questo Ministero degli esteri che, manifestamente, precedono ogni conversazione del ministro jugoslavo a Roma con codesto Ministero5 .

537 1 Vedi D. 475.

537 4 Non pubblicato.

538

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14063/357. Mosca, 23 ottobre 1948, ore 1,38 (per. ore 8).

Telegramma 149 1 .

Credo opportuno far osservare alla E.V. quanto segue:

l) trattative riparazioni sulla base principi nostro progetto dovrebbero in linea di massima essere ultimate prima consegna navi. Ciò è situazione di fatto che scaturisce daJlo stesso scambio di appunti avvenuto con Molotov, in quanto se nel corso deJle trattative si avessero da parte sovietica pretese inaccettabili e non conformi spirito accordi sarebbe nel nostro pieno diritto rifiutare consegna navi. Connessione fra due problemi è ormai ufficialmente ammessa.

2) Escludo invece che si possa subordinare consegna navi ad accordo su valutazione beni, suJla quale siamo pienamente garantiti con eventuale ricorso quattro ambasciatori nel caso non giungessimo a concordare, come previsto dal nostro progetto, una cifra da noi considerata come accettabile.

Ciò porterebbe di conseguenza sospensione esecuzione riparazioni fino ad emanazione giudizio da parte predetti ambasciatori.

3) Quanto a termini per navi osservo che dai verbali discussioni Rubartelli Karpounin2 e relativo progetto Rubartelli risulta chiaramente che per 31 dicembre fu da noi proposta consegna di tutte (dico tutte) e non soltanto di otto navi. Non ho ancora ricevuto telespresso 1402/c3 ma debbo dire fin d'ora che in nessun caso potremmo decorosamente presentare Molotov proposta peggiore di queJla già fatta da Rubartelli.

Vedi D. 412. 3 Vedi D. 531, nota 2.

Quindi sola possibilità di una risposta seriamente presentabile a mio avviso è di impegnarsi a consegnare navi in tre o quattro gruppi successivi a distanza di un mese l'uno dall'altro a cominciare al più tardi 30 novembre p.v., come proposto da La Malfa.

Ogni altra complicazione sarebbe inevitabilmente interpretata da Molotov come tentativo dilazione e significherebbe sicuro fallimento in condizioni che certamente non gioverebbero sul piano della politica interna.

4) Nel telegramma citato si accenna a difficoltà circa le quali riferirà Zamboni. Presumo si tratti di difficoltà nel settore degli scambi commerciali; comunque non possiamo deviare senza indebolirei dalla impostazione generale delle trattative con i sovietici, per quanto gravi si presentino le difficoltà di dettaglio nell'uno e nell'altro settore delle trattative stesse.

Nel comunicare quanto precede ritengo sottolineare che concordo pienamente con l'on. La Malfa circa attuale stato trattative e prego voler cortesemente farci pervenire suo telegramma che permetta recarci da Molotov senza ulteriori ed assai pregiudizievoli ritardi e in condizioni di dare a tutto il negoziato necessario abbrivio verso la logica e favorevole conclusione4 .

537 5 Il documento reca la seguente annotazione di Zoppi: «Mettiamolo al corrente degli ultimi passi jugoslavi e di quanto fra noi deciso». Per la risposta vedi D. 631.

538 1 Vedi D. 531.

539

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14069/358. Mosca, 23 ottobre 1948, ore 12,30 (per. ore 14).

Da on. La Malfa personale per S.E. Sforza.

Brosio mi consegna suo telegramma 1491• Penso vi sia un malinteso su significato assunto trattative dopo accettazione Governo sovietico. A mio giudizio navi vanno consegnate scalarmente, ossia primo gruppo fine mese novembre e seguenti gruppi dicembre, gennaio, febbraio per non motivare diffidenze dei sovietici ed obbligarli perciò a serie trattative. Consegna navi non è quindi prevedibile possa materialmente avvenire prima della conclusione accordo riparazioni, previsto entro prossime settimane; se Governo sovietico nel corso delle trattative resistesse su qualche punto essenziale del nostro progetto potremmo senz'altro sospendere consegna navi con seria e fondata ragione.

Non capisco riferimento beni Balcani. Infatti se in base a nostro progetto, non riuscissimo a metterei d'accordo con sovietici su valutazione beni, potremmo ricor

539 Vedi D. 531.

810 rere senz'altro Consiglio quattro ambasciatori e sospendere applicazione accordo a tutto danno parte sovietica.

Citato suo telegramma si sofferma su punti che sono stati da me attentamente valutati, senza di che non mi sarei permesso sottoporre a lei ed al Governo soluzione prescelta né comprenderei perché Governo l'avesse accettata. Problema non comporta minuti accorgimenti ma ha avuto da noi un'impostazione generale in base alla quale abbiamo rovesciato la responsabilità di non esecuzione del trattato di cui i sovietici ci accusavano.

È evidente che se noi non ci mantenessimo ora in serio terreno di trattativa, situazione si volgerebbe a nostro danno con note prevedibili conseguenze.

Sempre a fine evitare malintesi permettomi richiamare sua attenzione su fatto che ho accettato la connessione fra navi e riparazioni affacciata da Mikoyan nel corso trattative, quando è risultato evidente che linea di resistenza su solo problema navi era ormai impossibile (e ricordo questo proposito conversazione fra ministro Zoppi ed ambasciatore Dunn mentre io mi trovavo a Roma)2 e quando nostri sforzi al riguardo erano da considerare praticamente esauriti.

Penso perciò che impostazione, come consigliata da telegramma citato, ci rimetta in situazione sfavorevole della quale non posso assumere responsabilità; ritengo perciò necessario sospendere passi presso Molotov fino a una sua nuova comunicazione, pur non nascondendo gravità situazione che con questo prolungato ritardo viene creandosi3.

538 4 Per la risposta vedi D. 548.

540

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14106/219. Bruxelles, 23 ottobre 1948, ore 19,50 (per. ore 7,30 del 24).

Telegramma di V.E. 183 1• Spaak si è dichiarato molto lieto della prossima visita presidente De Gasperi che gli porgerà gradita occasione per incontro eminente uomo Stato. Spaak mi ha detto che offrirà banchetto in onore presidente domenica sera 21 novembre e sarà molto lieto assistere conferenza in questione salvo che eventuali impreviste circostanze dovessero ali 'ultimo momento impedirgli partire a tempo da Parigi.

3 Per la risposta vedi D. 548.

539 2 Vedi D. 563.

540 1 Vedi D. 502.

541

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. SEGRETA 3/1466. Roma, 23 ottobre 1948.

Ebbi a suo tempo la tua del 16 ottobre n. 1180/18283/3851 1• Il ministro ti ha informato dei suoi colloqui con MarshalJ2. I contatti furono di grande cordialità ed improntati da parte di Marshall a spirito di schietta amicizia. Ripetè -in via di conversazione -quello che viene riferendo anche Tarchiani3 e cioè che, stante la grande fermezza dimostrata dali' America, si ha la sensazione a Washington che l'U.R.S.S. per ora non forzerà la situazione. Non riprese in nessun modo la conversazione di Hickerson4 e neppure abbordò la questione e solo stette a sentire quello che di loro iniziativa gli dissero il presidente e il ministro. Come sai intanto Marras è stato invitato a fare un viaggio negli Stati Uniti e, come ti informiamo a parte, l'on. Pacciardi ha risposto affermativamente alla lettera del ministro n. 3/1362 del 16 ottobre5. La via è quindi aperta a utili contatti6 .

542

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 9605/3521. Washington, 23 ottobre 1948 (pa 27).

Richiamo l 'attenzione di codesto Ministero sulla acclusa corrispondenza A.P. 1 da Parigi relativa alla Unione Occidentale e alla assistenza militare americana ai paesi ad essa aderenti.

La corrispondenza, sulla base di informazioni attribuite ad «alte fonti americane» di quella capitale, riporta che, subito dopo le elezioni presidenziali, si inizierebbe l'elaborazione di un vero e proprio trattato militare che impegni gli Stati Uniti (ed il Canada) a fornire assistenza ai cinque paesi del Patto di Bruxelles.

Secondo la stessa corrispondenza, la riunione dei cinque ministri degli esteri, che si inizia lunedì prossimo a Parigi, sarebbe dedicata soprattutto alla discussione di un progetto di «Patto nord-atlantico» secondo le linee anzidette, nonché all'esame

Vedi D. 533.

Vedi D. 511.

Vedi D. 486.

Vedi D. 517.

Vedi D. 546. 542 1 Non pubblicata.

812 del desiderio espresso da parte americana per l'inclusione nel sistema di Bruxelles di altri paesi. È da notare a tale proposito che -sempre secondo l'A. P. -mentre da parte inglese si penserebbe ad una progressiva estensione dell'Unione Occidentale, nell'ordine, all'Irlanda, Islanda, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Svezia, Grecia, Turchia e Italia, da parte americana si starebbe già studiando attivamente la possibilità di speciali «legami» tra Stati Uniti e, nell'ordine, Norvegia, Danimarca, Italia, Portogallo, Spagna, Grecia, Turchia ed Iran.

Il Patto nord-atlantico, che potrebbe essere maturo per la metà del prossimo anno, prevederebbe: l'impegno degli Stati Uniti (e del Canada) a fornire ai paesi europei i rifornimenti e gli armamenti necessari alle loro forze armate; il massimo di standardizzazione; la creazione di un comando strategico unico con a capo un americano; la garanzia dell'integrità territoriale dei paesi partecipanti; la concessione agli Stati Uniti (ed al Canada) di basi aeree terrestri e marittime da parte dei paesi aderenti.

Ritengo, nella sostanza, grosso modo attendibili le informazioni predette. Esse sono del resto in linea di massima in accordo con i concetti di cui in varie occasioni mi si è fatto qui confidenzialmente parola.

Quali che siano i risultati delle prossime elezioni, è infatti da prevedere che studi e negoziati per una cooperazione militare più stretta tra Stati Uniti e paesi dell'Europa occidentale -sulla base della nota risoluzione Vandenberg2 e dei suoi successivi sviluppi, nel senso di una sempre maggiore collaborazione, consigliati in questi ultimi mesi dalla situazione internazionale -entreranno in una fase più concreta. E le linee generali entro le quali essi si svilupperanno non dovrebbero, salvo imprevisti, gran che allontanarsi da quelle riportate dalla corrispondenza predetta.

PS. Trasmetto anche una successiva corrispondenza A.P. diramata in questo momento che conferma la precedente ed aggiunge qualche informazione, sulla base questa volta di fonti americane in Washington.

La corrispondenza riporta che inviti per una conferenza tra Stati Uniti, Canada e paesi di Bruxelles potrebbero essere emessi già nella settimana successiva alle elezioni presidenziali, ma afferma di non essere in grado di precisare né se ciò avverrà ad iniziativa europea o americana né in quale città essa si svolgerebbe.

Il progettato Patto nord-atlantico conterrebbe una clausola per la quale qualsiasi aggressione contro uno qualunque dei paesi partecipanti verrebbe considerata aggressione contro tutti gli altri, ma riserverebbe, in tale eventualità, a ciascun Governo di decidere, attraverso la propria procedura costituzionale, l'atteggiamento da assumere al riguardo. Questa ultima disposizione sarebbe intesa ad attenuare la automaticità dell'alleanza, automaticità che si sarebbe restii da parte di taluni Governi a sottoscnvere.

La corrispondenza aggiunge che altri paesi europei, e specificamente Italia, Islanda, Norvegia e Danimarca, potrebbero essere chiamati «ad un certo punto» a partecipare alla progettata conferenza.

541 1 Vedi D. 518.

542 2 Vedi D. Il.

543

IL CONSOLE GENERALE A ZURIGO, COPPINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

Zurigo, 23 ottobre 19482 .

Le informazioni qui unite3 , provenienti dalla solita fonte confidenziale, hanno un carattere diverso di quelle precedenti già trasmesse4 . Più che informazioni, le chiamerei considerazioni di politica generale. Esse esaminano in linea sommaria il contrasto fra i due blocchi ed il suo futuro sviluppo, affrontando il problema d'importanza attuale e sempre vivo, se possa e debba verificarsi un conflitto armato tra

U.R.S.S. e Stati Uniti e comunque come potrebbe «esternarsi» questo imminente urto tra Occidente ed Oriente.

Trattandosi di fatti avvenire è evidente l'opportunità di andare molto cauti nelle previsioni. Si può dire solo che se la politica è l'arte di raggiungere certi fini mediante l'uso dei mezzi più adeguati e più semplici, mi sembrerebbe giusto concludere, come afferma l'informatore, che l'U.R.S.S. non ha voglia-né può averla -di fare una guerra. Per quanto, nell'oscurità delle decisioni del Cremlino, possano valere gli argomenti logici, sembrerebbe evidente che una guerra, eventualmente vittoriosa, non dovrebbe apportare alla Russia un vantaggio concreto e materiale, se non la gloria militare di essere la dominatrice di un'Europa distrutta ed in stato d'insurrezione, di un'Asia in subbuglio, di un'Africa ridotta nuovamente allo stato selvaggio, con un'America non certo doma, nella quale si rifugierebbero le forze ribelli a preparare la rivincita contro Mosca. Può darsi che lo scatenarsi di un caos lusinghi Stalin ed i suoi collaboratori immediati, ma da questo caos non potrebbe mai scaturire, proprio per insita incapacità sovietica a ricostruire, organizzare e coordinare le diverse forze soggiogate, non dico una nuova vita ed un nuovo benessere d eli 'umanità, ma neppure un miglioramento del basso livello di esistenza del popolo russo.

Prescindendo dalle speculazioni teoriche, per quanto io possa esprimere un giudizio e per quanto i fatti apparenti possano danni torto, io insisto nel credere che l'atteggiamento russo rimanga nella sua sostanza difensivo. Risalendo il passato, noi constatiamo che ad un'intesa e ad una collaborazione fra gli alleati succedano contrasti e sfiducia. Quando e perché questo avvenne? Il convegno di Potsdam del luglio 1945 segnò l'apogeo dell'accordo alleato e del prestigio sovietico. Esso precedette di poco l'applicazione della bomba atomica, alla cui esistenza, svelatagli da Truman, Stalin -a sentire Byrnes -avrebbe prestato una modesta attenzione. Ora

Non rinvenute.

Vedi D. 171.

814 è proprio da quel momento che l'opinione pubblica mondiale si rende conto della superiorità americana e di una conseguente diminuzione della potenza sovietica. Se in quel momento questa impressione parve non turbare e non far disperare che un periodo di pace sorgesse nel mondo, i russi, ancor più sensibili dei latini, sentirono l'immediata reazione. Il loro profondo sentimento di diffidenza e di timore verso il complesso europeo provocò in loro un contraccolpo immediato, cioè quello di ritenere che le loro insperate conquiste e la realizzazione di altri interessi fossero ormai minacciati. Mi sembra che fu l'ambasciatore Quaroni, che tre anni or sono da Mosca, in uno dei suoi lucidi rapporti, disse che i russi erano usciti dalla guerra sorpresi di quanto avevano potuto fare e di quanto avevano ottenuto. Lasciamo stare se i grandi vantaggi si dovessero anche alle concessioni di Roosevelt quando egli pensava di accaparrar con questo la collaborazione sovietica dopo la guerra, il fatto è che Stalin era riuscito ad assicurare al suo paese il raggiungimento integrale di tutte le vecchie aspirazioni russe con l'aggiunta di nuove, che avrebbero dovuto difendere il complesso slavo e presentare il trampolino per l'eventuale balzo in avanti. Ma in questo stato di euforia, a cui contribuirono non poco l'ammirazione ed il plauso degli altri alleati, si diffuse un'ombra, il possesso americano della bomba atomica.

Questa arma, che servì a far capitolare il Giappone entro dieci giorni e che stroricamente annullò qualsiasi efficacia del cosiddetto intervento sovietico in Manciuria, creò l'inizio della frattura. Dopo di questo era nell'ordine naturale delle cose lo sviluppo dei fatti quale lo abbiamo visto verificarsi. La politica sovietica tortuosa nei mezzi, diretta non solo a difendere l'acquisito, ma a prendere qua e là, a seconda delle occasioni talvolta offerte dagli stessi Alleati, i pegni per trattative e concessioni, questa febbrile attività per costituire e consolidare le barriere difensive, le pronte reazioni alle misure di risposta alleata, tutto questo accompagnato dali 'insistente richiesta della distruzione della bomba atomica, dai tentativi di arrivare ad una intesa diretta con gli Stati Uniti sulla base dello statu quo, col conseguente irrigidimento dinanzi alle riserve e prudenze alleate, tutto questo ha modificato la situazione, fino al punto che non si può scorgere il vero nucleo del contrasto. Nell'attuale situazione poi i problemi di secondaria importanza, quali sarebbero state, in periodi di normale collaborazione, l'amministrazione di Berlino e l'introduzione di una nuova moneta nell'ex capitale tedesca, hanno raggiunto le dimensioni di problemi la cui soluzione investe addirittura la pace mondiale.

Quanto ho detto sopra non è certo per giustificare la posizione dell'U.R.S.S. Vorrei solo dire che la vera origine di questo male è sorta, come adesso si comincia a riconoscere, per la mancanza di una precisa linea politica di Roosevelt nelle discussioni con Stalin e soprattutto di una visione complessiva, indispensabile in un uomo di Stato, del collegamento dei vari problemi. Nell'attuale generale situazione, nell'aggrovigliarsi dei vari interessi politico-economici, grava poi implacabile nello sfondo e nella sostanza di ogni divergenza il contrasto psicologico tra Russia ed Occidente, contrasto che si perpetua nei secoli e reso insuperabile dali 'abisso spirituale scavato più forte dal regime politico attuale. E la recente decisione della Chiesa uniate in Rumelia, unica chiesa di rito ortodosso che ancora era rimasta nell'orbita di Roma, di rientrare nel seno della chiesa ortodossa russa, conferma che il regime sovietico vuole ovunque tagliare le più deboli e simboliche propaggini con l'Occidente.

Le mie considerazioni suddette non vogliono neppure negare che il Governo sovietico non consideri la guerra come possibile. Se la inevitabilità di questa è però subordinata -come dice l'informatore -alla convinzione di una parte di una indiscutibile superiorità sull'altra e su concreti sicuri vantaggi che il conflitto possa arrecare, allora dovrei nuovamente concludere che questo conflitto, da parte sovietica, dovrebbe essere evitato. Le informazioni militari su apprestamenti di linee di difesa e concentramenti di truppe non dovrebbero oltremodo impressionare. Le località-Ucraina centrale e meridionale-dove sono segnalate, sono state sempre i punti nevralgici della difesa russa; essi debbono proteggere il grosso complesso industriale idrico, il più grande ed importante che l'U.R.S.S. abbia in Europa; le truppe e le forze aeree debbono essere poste in modo di agire nel bacino danubiano, altro punto nevralgico del sistema sovietico.

In questo momento è infine evidente, come era naturale prevedere, che la situazione resta in uno stato di nebulosità, finché non sia avvenuto negli Stati Uniti il cambiamento di regime presidenziale. Nelle informazioni allegate si dichiara -e mi viene del resto ripetuto quotidianamente -che gli Stati Uniti agiscono e preparano come se da parte sovietica si agisse e si preparasse ad una guerra. Personalmente, come ho già detto altre volte, io ritengo che ancora qualche mese fa, quando vi fu il primo tentativo Truman-Marshall di arrivare ad una chiarificazione con l'U.R.S.S., questo fosse possibile e vantaggioso alla pace mondiale. Oggi il nuovo tentativo di Truman era in partenza destinato al fallimento o quanto meno avrebbe potuto avere un risultato solo con rinuncia di prestigio o di fatti da parte americana. In ogni caso una direttiva di rafforzamento militare e di preparazione è la vera premessa per poter seguire, nel prossimo avvenire, una politica precisa e chiara nei riguardi del Cremlino.

Di questa premessa è parte integrante il rafforzamento dell'Europa occidentale, non solo nel senso militare, quale lo auspicano gli americani, ma nel campo politico, al di fuori dei due contendenti. Da buona fonte mi è infatti riferito che da parte comunista -e quindi sovietica -si è impressionati dalla «popolarità» che il movimento federalista dell'Europa occidentale va prendendo negli Stati di terra ferma, sotto l'impulso del Governo francese e del ministro Sforza. Mi si dice anzi che le agitazioni francesi, più che sabotare il piano Marshall e l'opera di ricostruzione economica, tendano a minare qualsiasi possibilità di concentrare intorno a Parigi il movimento di Unione Occidentale. La politica del Cremlino è attualmente diretta in Europa ad accrescere i dissensi tra Francia ed Inghilterra approfittando anche delle divergenze tra i due paesi nella questione tedesca. Non è infatti chi non veda come il progetto Schuman di includere la Germania nell'Unione Occidentale, dandole una posizione di eguaglianza agli altri Stati ma innestandola in un complesso politico che le sia di contrappeso e di controllo, costituisca realmente una grossa minaccia per l'U.R.S.S. che vedrebbe ricostituita alle sue frontiere una Germania unita nella sua capacità politica-economica ed appoggiata al complesso dei maggiori Stati europei.

543 1 Trasmesso alle ambasciate a Londra, Mosca, Parigi e Washington con Telespr. 30215/c. del 16 novembre. 2 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

544

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14116/1045. Parigi, 24 ottobre 1948, ore 13,50 (per. ore 17,25).

Chauvel mi ha detto che inglesi insistono a tal punto per abbinamento SomaliaCirenaica che hanno richiesto categoricamente questione venga messa ordine del giorno Conferenza cinque ministri Bruxelles che si inizia qui domani. Governo francese ritiene che se fosse possibile rinviare tutta questione almeno colonie mediterranee non ci sarebbero inconvenienti: ma che se ad inglesi riesce risolvere loro favore questione Cirenaica senza che siano state prese decisioni anche per il resto, Tripolitania sarebbe praticamente perduta. Governo francese concorda con noi nel dire che proposte inglesi quali esse sono adesso, a parte ogni considerazione loro merito, sono per ragioni politica interna inaccettabili per noi (in primo luogo per il fatto che si domanda anche nostro concorso): osserva però che inglesi si rendono perfettamente conto che difficoltà fare accettare Assemblea loro proposte sono considerevoli: occorrerebbe quindi sfruttare frenesia essi hanno risolvere questione Cirenaica subito per migliorare nostro favore loro proposte. Governo francese desiderava sapere per sua norma se Governo italiano era disposto entrare questo ordine di idee poiché in questo caso esso si sarebbe indirizzato in questo senso durante Conferenza Cinque. Restava comunque inteso che Governo francese avrebbe considerato questo nostro consenso come strettamente confidenziale e che noi restavamo completamente liberi accettare o no nuove proposte che ci sarebbero fatte e continuare battaglia per cercare bloccare Assemblea proposte inglesi.

Ho detto a Chauvel che atteggiamento Governo italiano di fronte cosiddetta proposta Massigli 1 non era mai stato negativo: tesi reclamo integrale nostre ex colonie era stata sostenuta da noi per evidenti ragioni ma che sapevamo benissimo che non potevamo salvare tutto ed avremmo dovuto finire per contentarci del meglio possibile. A sua richiesta cosa consideravamo meglio possibile gli ho detto che soluzione che ci desse Somalia, Eritrea meno sbocco al mare per Etiopia, Tripolitania e provvedimenti effettivi per sistemare sia nostre colonie sia altrove profughi Africa sarebbe stato probabilmente per noi accettabile; avremmo protestato come Governo francese protestava tante volte per soluzioni tedesche, ma avremmo compreso che di più non si poteva fare.

Ho naturalmente premesso che esprimevo con questo idea mia personale e non (ripeto non) agivo su istruzioni mio Governo. Ho ritenuto però necessario, data imminenza riunione ministri, non trincerarmi su negativa perché proposta inglese unanimemente giudicata eccessiva ha creato atmosfera generale a noi favorevole: mostrarci a priori non disponibili a trattare avrebbe potuto farci apparire irragionevoli e danneggiare situazione la quale nonostante certa simpatia generale in favore nostro caso non è né favorevole né sincera.

544 1 Vedi D. 357.

545

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 12093/152. Roma, 25 ottobre 1948, ore 15.

Esaminate liste annesse lettera di Prato del 18 ottobre1• Riunisconsi oggi ministri competenti per esaminarle in relazione noti impegni internazionali con i quali particolarmente vostra lista forniture speciali e indicative per riparazioni sembrano difficilmente conciliabili.

Prego pertanto rallentare ritmo conversazioni in attesa ulteriori comunicazioni da parte nostra, continuando evitare come detto telegramma 1472 prendere impegni definitivi3 .

546

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 0269 1 . Parigi, 25 ottobre 1948 (per. il 27).

Chauvel mi ha chiesto informazioni circa colloqui Marshall Roma2; gli ho detto che a tutt'ora non ne ero informato: lo avrei fatto appena possibile.

Mi ha poi detto essere stato informato da questa ambasciata America che Dipartimento di Stato aveva espresso nostra ambasciata Washington desiderio americano che noi iniziassimo conversazioni con Parigi e Londra in vista nostra adesione Patto Bruxelles: mi ha chiesto se questo fosse esatto e quale la risposta Governo italiano.

Lo ho informato linee generali conversazioni avute da Tarchianj3. Circa punto di vista italiano gli ho detto che non potevo che confermargli quanto gli avevo detto in precedenza. Governo italiano si rendeva perfettamente conto impossibilità politica

7 Vedi D. 527.

Con T. s.n.d. 14157/362 del 26 ottobre Brosio rispose: «Delegazione tiene presente avvertimenti

V. E. circa liste facendo tuttavia notare che tale problema non (dico non) è fondamentale. Liste. se Ministero trova difficoltà insonnontabili costì, potrebbero essere qui manovrabili quando vi fosse con i sovietici accordo su punti trattati con Molotov. A questi peraltro non si può tardare ulterionnente di dare una chiara risposta». Per il seguito della questione vedi D. 589.

Vedi DD. 486 e 491.

818 neutralità isolamento: questo punto di vista era stato del resto pubblicamente sostenuto V.E. in suoi numerosi recenti discorsi Camera e Senato4: questo significava che noi eravamo decisi prendere nostra parte per difesa comune Europa ossia aderire Patto Bruxelles. Ciò premesso dovevamo fare tutte le nostre riserve circa tempo e modalità nostra adesione: opinione italiana, stessi circoli politici italiani oltre molto comprensibile desiderio essere lasciati in pace si domandavano quale utilità pratica potesse avere per Italia nostra pubblica adesione in questo momento. Si poteva essere ottimisti circa intenzioni Russia ma era difficile fare partecipare questo ottimismo larghe masse popolazione: molti italiani pensavano che adesione italiana Patto occidentale fatta pubblicamente in questo momento poteva costituire nei riguardi Russia inutile provocazione senza che allo stato attuale preparazione militare cinque potenze e loro collegamento con Stati Uniti ne venisse alcun apporto positivo difesa Italia: questa interpretazione situazione poteva essere sbagliata ma era stato di fatto di cui Governo italiano doveva tener conto almeno fino a che campagna chiarificazione idee che era stata intrapresa avesse dati suoi risultati. Questo naturalmente non toglieva che Governo italiano al fine non perdere tempo che sembrava tanto prezioso americani e probabilmente lo era non avrebbe avuta nessuna difficoltà autorizzare prese di contatto segrete fra militari ai fini di coordinare difesa Italia con difesa continente europeo: in questa maniera senza mettere inutili imbarazzi Governo italiano si sarebbe potuto lo stesso arrivare risultato avere piano militare d'insieme europeo, comprendente anche Italia, che avrebbe poi potuto servire di base di discussione con americani per loro contributo difesa continente e per garanzia Europa. Quello che intanto ci importava è che non ci fossero, nelle principali capitali, equivoci circa atteggiamento italiano, che non si continuasse a parlare di doppio giuoco, equidistanza ed altre considerazioni del genere, assolutamente infondate e offensive per un Governo che in una situazione difficilissima tanto aveva fatto e faceva per salvare Italia da pericolo comunista.

Chauvel mi ha ripetuto che Governo francese aveva sempre perfettamente compreso nostra situazione e nostre difficoltà e che non si erano mai avuti qui dubbi circa reali intenzioni Governo italiano: mi ha chiesto se qualche cosa nell'atteggiamento francese sia Parigi che Roma ci avesse potuto far pensare che francesi dubitavano di noi: del che gli ho dato atto. Mi ha aggiunto che americani stanno attraversando periodo impazienza e fretta: impazienze simili ed anche più forti che nei riguardi Italia erano state espresse Parigi da Stati Uniti nei riguardi Svezia: egli attribuiva questa impazienza americana vari motivi:

l) riarmo americano procede più rapidamente di quanto si immaginava in quanto riconversione industria americana scopi bellici è stata realizzata grande velocità;

2) convinzione che politica fermezza americana nei riguardi Russia sta avendo suo effetto: americani sono convinti che giorno in cui difesa Europa sia

stata riorganizzata con appoggio americano e Russia sarà convinta che equilibrio europeo è stato ristabilito nei suoi riguardi allora essa si deciderà trattare: hanno quindi fretta mettere a punto schema generale difesa europea chiudendo tutte possibili falle che possano ingenerare Russia illusioni successi anche parziali per avvicinare giorno in cui si possa seriamente trattare con Russia (che questo sia punto di vista americano mi era stato detto qualche giorno prima, quasi con stesse parole, da autorevole fonte inglese).

Premesso questo Chauvel mi ha detto che era stato sempre pensiero Governo francese che adesione Italia avrebbe potuto più utilmente aver luogo quando unione di Bruxelles avesse avuta maggiore consistenza pratica e soprattuto quando da parte americana si fosse deciso forma e misura loro apporto. Per quanto avesse anche lui impressione che eventi si svolgono in America più rapidamente di quanto si pensava ritiene difficile che presentazione eventuali progetti legge al Congresso possa aver luogo prima insediamento nuova amministrazione: dibattiti comunque saranno lunghi: nella migliore ipotesi si dovrebbe arrivare fino primavera.

Riprendendo argomento contatti militari Chauvel mi ha detto che Schuman aveva interpretato appunto in questo senso frase concernente difesa comune contenuta sua lettera a lui diretta5 . (Non sono affatto sicuro che VE. avesse avuto questa intenzione, tuttavia date circostanze non ho creduto opportuno smentire). Questione è stata dibattuta Consiglio ministri ove Ramadier ha informato colloquio Revers Maugeri6 e questione è stata risolta in senso affermativo: era necessario ancora consultare alcuni elementi tecnici comunque riteneva me ne avrebbe potuto parlare fra qualche giorno. (Mi ha detto tenere questa informazione come confidenziale anche nei riguardi ambasciata Francia Roma che ne sarà informata solo a suo tempo). Governo francese riteneva questi contatti particolarmente interessanti:

l) elementi militari francesi avevano sempre insistito e con ragione non essere possibile prendere seria considerazione problema difesa Francia senza sapere cosa si faceva dell'Italia;

2) a questi contatti itala-francesi avrebbero potuto secondo circostanze e nostro desiderio prendere parte anche elementi inglesi ed americani, oppure parte francese avrebbe potuto en jàire état presso inglesi ed americani; in questo modo avremmo potuto dare inglesi ed americani impressione serietà nostre intenzioni e questo avrebbe potuto forse aiutarci moderare impazienze specialmente americane. Francesi comprendendo nostra situazione erano pronti aiutarci pur non nascondendosi che quando americani erano presi da fretta era molto difficile condurli ragione.

Gli ho detto che per quello che riguardava allargamento contatti militari con inglesi ed americani non ero in grado dirgli niente, ma che per quello che riguardava contatti con francesi potevo senz'altro dirgli che essi, anche in vista sviluppo rapporti italo-francesi, sarebbero stati da noi graditi. Perché non ci fossero equivoci tenevo a

6 Vedi D. 480.

dirgli che non era affatto nostra intenzione cominciare queste conversazioni sollevando revisione clausole militari trattato pace: noi eravamo ancora lontani da avere in efficienza esercito concessoci da trattato, questione si sarebbe presentata solo in un secondo tempo e in circostanze da fame una questione non italiana ma di interesse comune europeo. (Ho creduto opportuno fare questa messa a punto perché nell'attuale delicato momento credo sia bene evitare ogni anche lontana impressione che noi perseguiamo fini contingenti).

Chauvel mi ha ringraziato della messa a punto dicendomi che però non era affatto necessaria: si sarebbe dovuto cominciare col faire état di quello che c'era dalle due parti e che non era molto: in un secondo tempo non si sarebbe trattato di prendere come base quello che un paese come Italia era autorizzato a dare ma di quello che sarebbe stato massimo che nelle sue possibilità essa avrebbe potuto dare.

Pur riservandosi essere più preciso dopo contatti con elementi tecnici mi ha detto che a suo avviso sarebbe stato probabilmente preferibile che primi incontri avessero luogo in Francia: che essi avessero luogo fra ufficiali sufficientemente esperti e di sufficiente autorità da poter abbordare studio tutti i problemi: ma non fra capi di Stato Maggiore. Dopo qualche tempo sarebbe stato opportuno fare incontrare discretamente capi di Stato Maggiore per prendere atto lavoro fatto e impartire istruzioni per ulteriori lavori. Gli ho risposto che sua idea mi sembrava corrispondere sufficientemente allo scopo che avevamo in vista.

545 1 Non pubblicata, ma vedi D. 532.

546 1 Il presente telegramma era accompagnato dalla L. 1341/18713/3966 in pari data, indirizzata a Zoppi, con la quale Quaroni ne sottolineava il carattere di riservatezza. 2 Vedi D. 533.

546 4 Vedi DD. 491, nota 7 e 525, nota 4.

546 5 Vedi D. 351.

547

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1344/18902/3984. Parigi, 25 ottobre 1948 (per. il 2 novembre).

Frank Roberts che, qualche giorno addietro, mi aveva espresso il suo desiderio di avere con me una conversazione ofl the record, è venuto a vedermi il 23 corrente.

Mi ha detto che era dolente di constatare che i rapporti italo-inglesi, dopo che la visita di V E. a Londra era sembrata averli messi sopra una nuova via, erano venuti «non dico deteriorandosi, ma certo non migliorando». Dato che Bevin attribuiva molta importanza ai suoi rapporti coli 'Italia, nella sua qualità di suo vicino collaboratore, mi chiedeva se avessi potuto individuargliene le ragioni.

Pur con la riserva che era un pò difficile per me esprimere un parere su rapporti che mi erano noti solo in via indiretta, gli ho detto che a mia impressione si era andata creando in Italia una ben definita impressione che qualsiasi cosa che noi facessimo, non si riusciva a superare la volontà inglese di continuare a considerarci, non tanto come ex nemici, perché questo sarebbe stato entro certi limiti inevitabile al tempo moderno, ma come una nullità a cui si doveva impedire in ogni modo di cessare di essere una nullità.

Chiesto di precisare un esempio, gli ho portato quello dell'atteggiamento dell'Inghilterra verso noi in materia di Patto occidentale. Dall'invito quasi aperto di Bevin all'Italia si era passati ad un'attitudine della quale il meno che si poteva dire è che essa non era incoraggiante.

Roberts: Bevin ha avuta l'impressione che il Governo italiano non desiderasse affatto di essere invitato a far parte del Patto occidentale: comprenderà bene che noi non potevamo fare un invito di cui non sapevamo come sarebbe stato accettato.

Quaroni: Le potrei rispondere che da parte inglese non ci è mai stato chiesto né nemmeno accennato alla possibilità che un invito del genere ci sarebbe stato fatto.

Roberts mi ha allora detto che da parte nostra erano state poste delle condizioni non inaccettabili, ma irrealizzabili. Gli ho fatto osservare che, oggi, tutti gli uomini di stato si trovano nella necessità di dire, in varie occasioni, per ragioni contingenti, cose che possono essere differentemente interpretate: ma non si può costruire una politica su cose di questo genere; quello che conta è quello che è detto da Governo a Governo: ora quando mai da parte italiana era stato detto al Governo inglese, o ad altri Governi, che l'Italia faceva della sua adesione al Patto di Bruxelles una questione di certe determinanti condizioni. Roberts mi ha detto che questo era esatto.

Quaroni: Quello che l'Italia ha detto, a Londra come a Parigi, è che nelle attuali sue condizioni interne, una adesione pura e semplice al Patto di Bruxelles non sarebbe possibile che dopo una opportuna preparazione dell'opinione pubblica italiana e il giorno in cui si siano realizzate delle condizioni che rendano questa adesione qualcosa che costituisca un apporto effettivo alla sicurezza italiana e non un aggravamento della sua situazione pericolosa.

Roberts: Di questo appunto si è reso conto Bevin e non aveva voluto, con conversazioni che potessero essere interpretate come pressioni, creare degli imbarazzi al Governo italiano.

Gli ho risposto che questo era esatto e che, fin qui, l'atteggiamento di Bevin avrebbe potuto anche essere considerato come amichevole. Come spiegare però l'interpretazione generale che da parte inglese si dava della politica italiana. Potevo ammettere che qualche manifestazione di uomini politici italiani avesse potuto anche essere interpretata male: dovevo però constatare che dovunque, particolarmente in Francia ed America, si parlava di doppio giuoco italiano, di politica italiana subdola, di italiani infidi, le possibili spontanee reazioni locali erano amplificate dall'alto parlante britannico.

Roberts: Non da Bevin o dagli ambasciatori britannici.

Quaroni: Certo no, ma non sono essi i soli che parlino a nome dell'Inghilterra.

Roberts: Potrebbe farmi un nome preciso?

Quaroni: Montgomery.

Roberts: Il maresciallo Montgomery è un tipo originale il quale spesso dice quello che non pensa.

Quaroni: Comunque non mi nega che Montgomery si è espresso sul conto dell'Italia proprio nel senso che le dicevo io: se non ce ne fossero degli altri mi pare che basti. Non mi negherà che Montgomery abbia detto quello che le dico.

Roberts: Mi permetta di non risponderle. Ho continuato dicendogli che, comunque, era un fatto che non poteva essere negato che, in qualsiasi parte del mondo, tutti erano persuasi che l'Inghilterra era

contraria ali' estensione ali 'Italia del Patto di Bruxelles e che tutti più o meno ne comprendevano le ragioni. Un'impressione così generalmente diffusa non poteva non essere nota al Governo britannico. Delle impressioni storte sulla politica inglese si diffondevano ogni tanto in Francia: avevo avuto occasione di vedere come il Governo inglese se ne preoccupasse e mettesse tutto in moto subito per dissiparle. Con l'Italia non era mai stato fatto nulla di simile: delle due l'una: o questa era realmente la politica inglese, oppure l'Inghilterra faceva così poco conto di quello che potessero essere le reazioni italiane da non ritenere che valesse nemmeno la pena di occuparsene. Roberts mi ha ringraziato di aver attirata la sua attenzione su di un punto preciso del resto molto facilmente rimediabile.

Ho continuato dicendogli che questo a mio avviso era molto importante per l'avvenire. L'Inghilterra mi sembrava, nonostante molte difficoltà, orientarsi sempre più nel senso di una maggiore collaborazione con una Europa occidentale più o meno organizzata: la necessità di un'organizzazione dell'Europa occidentale, e non soltanto sul piano militare, era forse lo scopo numero uno della politica del Governo italiano e sua personale. In sé, l'atteggiamento inglese ed italiano circa il Patto occidentale poteva avere pochissima importanza: il giorno che gli americani avessero realmente voluto che l'Italia entrasse nel Patto occidentale, l'Italia ci sarebbe entrata anche se non lo avesse voluto: e l'Inghilterra ce l'avrebbe dovuta accettare anche contro la sua volontà. Ma il Patto occidentale non era che una parte di un tutto: per l'avvenire di tutta l 'Europa era una grossa differenza il fatto che l 'Italia entrasse nella Federazione West europea sponsored dagli altri europei, in primo luogo dall'Inghilterra, o invece sponsored dagli americani. Personalmente, per un complesso di ragioni, io avrei desiderato che l'Italia entrasse nella federazione sponsored dalla Gran Bretagna: con mio dispiacere dovevo constatare che questo ingresso era desiderato da tutti, meno che dall'Inghilterra o da quegli Stati specialmente legati alla Inghilterra: e che questa opposizione inglese poteva essere superata solo da un intervento americano.

Roberts: Questo non è affatto vero. Quaroni: Sono ben contento di sentirlo: tenga però presente che questa impressione è più che diffusa in Italia e che siete voi soli che potete dissiparla. Roberts è poi passato, spontaneamente, a parlarmi della questione delle colonie. Mi ha detto di aver visto il resconto della mia conversazione con McNeiil. Gli ho ripetuto alcuni dei noti argomenti: e gli ho poi posto la questione: «Pensa lei che si tratti di una proposta che un Governo italiano possa presentare al suo Parlamento senza essere rovesciato?».

Roberts: Ammetto che è molto difficile.

Quaroni: E allora?

Roberts mi ha detto che ero libero di non crederlo quando mi diceva che nonostante le sue occupazioni la questione delle colonie italiane era da molto tempo una preoccupazione constante per Bevin: che egli aveva presenziato perso

nalmente tutte le più importanti riunioni di esperti alla ricerca di una soluzione che fosso più soddisfacente per noi. Si urtava in difficoltà da ogni parte.

Sono tornato a spiegargli le ragioni per cui noi desideravamo la soluzione Somalia e rinvio del resto. Non vedo in quanto questo potesse pregiudicare gli interessi britannici: gli ho anche accennato alle difficoltà che ne potevano derivare alle necessità strategiche dell'Inghilterra dalla formula del trusteeship. Se l'Inghilterra temeva che noi, una volta ottenuta la Somalia avremmo, in una prossima riunione, attaccata la questione della Cirenaica, pensavo non sarebbe stato difficile trovare una formula per assicurare il Governo britannico che non l'avremmo fatto. Il Governo britannico si preoccupava della situazione di pincers che si sarebbe creata fra Somalia e Eritrea: ma noi avremmo accettata qualsiasi formula di controllo internazionale che desse all'Inghilterra o a chicchessia piena sicurezza che noi non avremmo fatto uso delle colonie come trampolino militare. D'altra parte si rendesse conto che noi non potevamo accettare di mettere circa settantamila italiani ed i loro interessi in balia del! 'Etiopia.

Roberts: Noi abbiamo previsto una formula di controllo che vi darebbe piena garanzia in questo senso. Quaroni: Controllo di chi? Inglese? Abbiamo tutto il diritto di diffidarne. Roberts: No, dell'O.N.U. Quaroni: E lei mi domanda di prendere sul serio una garanzia dell'O.N.U.?

Gli ho parlato della Tripolitania: la formula inglese troppo vaga per essere accettata. Gli ho parlato dei 250 mila profughi che fra l'altro gravano sul bilancio italiano più assai di quanto non potrebbero gravarvi le colonie. Roberts mi ha detto che Bevin si stava occupando attivamente della questione non solo dei profughi, ma del nostro surplus di mano d'opera in generale. Gli ho risposto che lo sapevo, ma che questo interesse espressoci da più di un anno era rimasto finora una buona intenzione di Bevin senza concretarsi in nessuna forma, nemmeno generica. Noi avevamo il difetto, come latini, di amare le cose precise: che il Governo britannico ci facesse delle proposte precise, concrete, e allora le avremmo potute mettere sulla bilancia con il resto ed esaminare il tutto come un insieme. Gli ho infine detto che con mio rincrescimento non potevo, finché la proposta britannica restava quello che era, fare altro che orientarmi verso il suo blocco ali' Assemblea: era inutile che gli dicessi che, fatto come era l'O.N.U., non far decidere era sempre molto più facile che decidere.

Roberts: Mi rendo conto che è una proposta che un Governo italiano non può appoggiare.

Tornato a parlarmi dei sentimenti di Bevin verso l'Italia, mi ha fatto intendere che l'ultima parola Bevin non l'aveva ancora detta. Mi ha chiesto se la nostra conversazione essendo ofl the record avevo nulla in contrario a che egli ne riferisse a Bevin. Gli ho detto che non avevo nulla in contrario con questo distinguo: per la parte che riguardava le colonie, di massima, avevo esposto il punto di vista del Governo italiano: per il resto tenevo a mettere in evidenza che non avevo che esposto un punto di vista strettamente personale.

547 1 Vedi D. 510.

548

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 12127/154. Roma, 26 ottobre 1948, ore 2.

Suoi telegrammi 357 e 358 1• Secondo intendimenti Governo italiano, connessione tra navi e riparazioni, una volta accettata in linea di principio dalle due parti, avrebbe dovuto avere pratico effetto in maniera che accordi tecnici per consegna navi venissero perfezionati simultaneamente accordo riparazioni. In conseguenza termini di consegna dovrebbero decorrere dal giorno firma quest'ultimo accordo. E ciò non già per ritardare consegna quanto per non isolarla da complesso accordi nel caso questi non avessero potuto perfezionarsi. Non (dico non) si è mai inteso subordinare o comunque stabilire connessione diretta tra consegna navi e accordo su valutazione beni. Con mio telegramma n. 1492 volevo soltanto rilevarne connessione indiretta in quanto accordo beni è legato ad accordo riparazioni. Circa programma trasferimenti, che le è stato trasmesso con telespresso 1462 del 20 ottobre3 , è da osservare che esso è già stato comunicato a Commissione navale che ne ha preso atto senza sollevare obiezioni. Marina dichiara che è materialmente impossibile consegnare primo gruppo a fine novembre. Proposta fatta da Rubartelli a Karpounin durante trattative agosto scorso4 per consegna entro dicembre era esplicitamente subordinata a immediata conclusione accordo. Poiché trattative furono invece interrotte, lavori indispensabili per navigazione e reclutamento equipaggi non furono mai iniziati, e termini consegna debbono perciò decorrere da una data successiva. Marina si dice sicura che tecnici russi non (dicono non) avranno difficoltà a comprendere tale situazione. Per le unità di cui al 3°, 4° e 5° gruppo Marina afferma che sarebbe difficile affrettarne termini. Se V.E. lo giudica opportuno questi potrebbero comunque essere concordati direttamente tra Marina e tecnici russi. Comunque assicurala che questione navi non costituisce principale ostacolo conclusione accordi economici in genere. È invece su difficoltà di tutt'altra natura che attiro particolare attenzione V.E. anche in relazione paragrafo 4° suo telegramma n. 357.

2 Vedi D. 531.

3 Vedi D. 531, nota 2.

4 Vedi D. 412.

548 1 Vedi DD. 538 e 539.

549

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 12152/155. Roma, 26 ottobre 1948, ore 23.

Seguito telegramma ministeriale 1521• Ministri tecnici esaminata lista n. l importazioni merci sovietiche in Italia nel primo anno e lista n. 2 esportazioni italiane nell'U.R.S.S. Espresso loro accordo facendo unicamente notare che forse per qualche limitata voce potrebbe nel quadro situazione prospettata su detto telegramma non esservi totale disponibilità richiesta. Per lista n. 3 relativa forniture triennali seguiranno entro settimana ulteriori comunicazioni giacché singole forniture debbono essere considerate in relazione ordini già in corso e previsti nonché nel quadro delle attrezzature per la nostra stessa ripresa economica. Per quanto concerne lista n. 4, relativa forniture riparazioni, evidentemente essa ha un carattere indicativo di quelli che sono i desideri dell'U.R.S.S. Dovrà quindi essere considerata anche nel quadro dei nostri impegni internazionali inerenti al trattato di pace cioè non ostacolare ricostruzione economica italiana né imporre oneri supplementari potenze alleate giusto comma 3, art. 74. Pertanto su questo ultimo punto ulteriori istruzioni potranno essere inviate in forma precisa solo quando esso possa essere considerato nel suo insieme cioè unitamente anche a valutazione nostri beni.

550

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14194/363. Mosca, 26 ottobre 1948, ore 23 (per. ore 8 del 27).

Da an. La Malfa per ministro Sforza.

«Essendo convinto che occorra offrire ministro Molotov termini precisi per non consentire rovesciamento responsabilità e non essendo personalmente in grado, con mio rincrescimento, comprendere esatta portata istruzioni inviate considero mio compito connessione navi riparazioni di cui a miei colloqui costì esaurito con presentazione proposta Molotov e risposta favorevole da lui avuta.

Attendo da eventuali nuovi contatti Molotov Brosio conoscere quando dovrò riunire commissione riparazioni e proseguire trattative campo economico.

Le sarò grato se vorrà comunicare questa mia decisione presidente del Consiglio».

549 1 Vedi D. 545.

551

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 14199/0271. Parigi, 26 ottobre 1948 (per. il 27).

Questo ambasciatore d'America mi ha detto che Marshall è stato molto soddisfatto dei colloqui avuti Roma 1• Sempre secondo Caffery Marshall è stato particolarmente interessato ultimo breve colloquio avuto V.E. in cui ella gli ha esposto con molta franchezza punto di vista italiano circa Patto occidentale, colloquio che segretario di Stato considera assai importante in vista conversazioni attualmente in corso Washington.

552

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1361/18984/4007. Parigi, 26 ottobre 1948 (per. il 2 novembre).

Conformemente alle istruzioni di cui al telespresso di V.E. 27922/c. del 14

c.m. 1 sono andato a vedere il ministro degli esteri d'Egitto. Khashaba Pascià si è espresso molto lungamente sulla situazione difficile che si veniva creando per l 'Egitto, come per gli altri Stati arabi, in seguito alla complessa politica inglese e americana nel Medio Oriente. Ha particolarmente insistito sul fatto che lo Stato d'Israele è essenzialmente uno Stato a sfondo comunista: «Oggi l'Occidente si fa ancora delle illusioni perché alla testa dello Stato d'Israele ci sono degli uomini i quali sono o fanno credere di essere anticomunisti: ma aspettate le elezioni e vedrete rivelarsi la vera faccia dello Stato d'Israele». Questo creava una situazione estremamente pericolosa che l'Egitto, sia come Stato arabo sia come Stato musulmano, non poteva accettare. La mentalità degli israeliani apportava un elemento non

552 1 Non rinvenuto.

827 solo estraneo e nemico, ma dissolvitore nella compagine religiosa, familiare e morale di tutto il Medio Oriente, elemento a cui tutti gli Stati arabi dovevano concordemente opporsi: per l'Egitto in particolare lo Stato d'Israele, con le riserve di uomini e di denaro che tutta l'organizzazione israelita del mondo metteva a sua disposizione, costituiva una minaccia diretta e permanente alla sua sicurezza.

È stato particolarmente amaro nei riguardi degli inglesi. Mi ha detto che, personalmente, egli è stato ed è tuttora favorevole alla politica di stretta alleanza con l'Inghilterra. Ma l'Inghilterra non vuole rendersi conto che se questa politica di alleanza deve essere qualcosa di effettivo non può essere un 'alleanza imposta dall'occupazione militare ma un'alleanza che risponda ad una comunità di interessi.

Ora l'Inghilterra si rifiutava costantemente di creare questa comunità di interessi; l'esercito egiziano non aveva avuto una parte brillante nella campagna palestinese, ma nessuno si rendeva conto che l'esercito egiziano si era messo in campagna in una situazione di armamento e di addestramento completamente inadeguata e questo era esclusivamente colpa dell'Inghilterra, che non aveva mai voluto che si costituissero delle forze militari egiziane efficienti. Anche adesso, in un momento critico, il Governo egiziano si era rivolto all'Italia per un considerevole acquisto di armi: il Governo italiano aveva dichiarato di essere prontissimo a farlo, ma il Governo britannico, basandosi sui termini del trattato di alleanza, ha proibito l'operazione senza per questo volerla sostituire con vendite fatta da lui. Il Governo britannico perseguiva in Palestina una politica a vedute assai corte. Esso mirava semplicemente ad allargare i domini di un suo soggetto, il re Abdallah, contro la volontà degli altri Stati arabi e contro la volontà degli arabi di Palestina. Esso mirava a sostituire in questa forma il mandato apparentemente abbandonato senza domandarsi se questa politica corrispondeva realmente alle necessità della situazione. Ho detto a Khashaba Pascià che in quanto a noi, noi stessi ci preoccupavamo di questa situazione ed avevo cominciato ad accennargli in forma molto vaga al passo da noi fatto presso le principali capitali2 quando Khashaba Pascià, interrompendomi e riprendendo l'argomento della inabilità della politica inglese, mi ha detto che proprio in questi giorni il Governo britannico aveva cercato di fare aderire alle sue vedute il Governo egiziano offrendogli l'annessione del Negev: offerta che il Governo egiziano aveva rifiutata sdegnosamente: l'Egitto aveva già abbastanza deserti per conto suo senza bisogno di aggiungerne degli altri. Inoltre, il Governo egiziano non era entrato in campagna per ottenere dei vantaggi territoriali, ma esclusivamente per fare trionfare un'idea. La Palestina doveva restare agli arabi della Palestina e non doveva essere divisa come un bottino di guerra. Gli ho chiesto se non fosse vero che il Negev, per quanto deserto, contenesse dei forti giacimenti di petrolio e forse di uranio. Khashaba Pascià mi ha risposto che non era vero affatto; era tornato con violenza a sostenere la tesi del disinteresse dell'Egitto. In queste condizioni, come

V.E. vede, non era molto facile insistere sulla nostra tesi: ho quindi ritenuto ripiegare

552 =' Vedi DD. 465, 471 e 536.

sopra una tesi più generale. Gli ho detto che i nostri sentimenti per gli arabi erano noti da tempo: avevamo una sola questione che poteva separarci ed era quella delle nostre ex colonie, ma essa era per tutti e due di importanza relativa di fronte agli interessi derivanti dai nostri rapporti economici, culturali e dalla comunanza mediterranea. Purtroppo l'Italia, nella sua condizione attuale, non era in grado di avere un'influenza grande sullo svolgimento degli affari (purtroppo -mi ha detto Khashaba Pascià -se l'Italia fosse quello che era dieci anni addietro, noi, arabi, avremmo avuto a chi appoggiarci e l'Inghilterra non avrebbe osato trattarci come essa ci tratta oggi: ce ne accorgiamo troppo tardi!). Comunque, desideravo che egli sapesse che tutto quello che nella sua modesta misura il Governo italiano avesse potuto fare in questa causa in favore degli Stati arabi ed in particolare dell'Egitto, lo avremmo fatto con piacere.

Khashaba Pascià, con retorica del tutto orientale, mi ha detto che la nostra comunicazione era la prima parola veramente amica che gli fosse stata detta in questo doloroso periodo da una potenza europea: me ne ringraziava e mi pregava di ringraziare il Governo italiano. Mi assicurava che né lui, né il Governo egiziano lo avrebbero dimenticato e mi ha detto che si sarebbe rivolto a noi volentieri per avere nella misura del possibile il nostro appoggio. Data la tournure un poco sui generis che aveva preso la conversazione, non ho ritenuto opportuno entrare con lui nell'argomento delle nostre colonie e siamo rimasti d'accordo che ne avremmo parlato

. . .

m una prossima occasiOne.

551 1 Vedi D. 533.

553

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 12186/557. Roma, 27 ottobre 1948, ore 12,30.

Suo 845 1•

Giorno 7 novembre avrà inizio al Parlamento discussione politica estera su nota mozione Nenni e in relazione mie recenti dichiarazioni Camera e Senato2 . Appare quindi preferibile che non solo la comunicazione ma l'arrivo siano protratti a dopo esaurita detta discussione.

In tal senso mi esprimerò con Dunn e prego lei dirlo costP.

2 Ved1 D. 491, nota 7 e D. 525, nota 4.

3 Tarchiani rispose (T. s.n.d. 14238/854 pari data) che il Dipartimento di Stato, pur assicurando di esaminare con comprensione quanto sarebbe stato segnalato da Dunn, riteneva problematico il rinvio della visita di Marras.

553 1 Ved1 D. 528, nota 3.

554

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 12193/261. Roma, 2 7 ottobre 1948, ore 16.

Suo 296 1•

Impossibile utilizzo depositi connazionali fino a definizione questione cambio. Segnalato e sollecitato Tesoro contenuto suo tel espresso 518 del 26 giugno2 . Apertura credito in corso dinari 436 mila si riferisce diarie delegati fino 23 ottobre. Non vi sarebbe, pertanto, alcuna possibilità per rapida ripresa costà trattative in corso. In tali condizioni prego VS. proporre in modo opportuno trattare Venezia urgente questione traffico frontiera.

555

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 12222/156. Roma, 27 ottobre 1948, ore 23.

Suoi 363 e 364 1•

Ritengo che con arrivo documenti recatile da Zamboni, VE. e onorevole La Malfa siano ormai in possesso tutti elementi per valutare contenuto miei precedenti telegrammi relativi navi, riparazioni e accordi commerciali. Per quanto concerne navi termini consegna sono da valutarsi essenzialmente in base elementi tecnici, e ufficiali Marina due paesi potrebbero anche esaminare insieme possibilità materiale accelerare per consegna ultimi tre gruppi tempi previsti nell'allegato al telespresso 14622 . Nostra preoccupazione deriva soltanto da impedimenti che potrebbero sorgere per conclusione accordo riparazioni e scambi, nel qual caso mi sembra ci troveremmo ormai scoperti nella questione navi. Per evitare questo pericolo sarebbe stato preferibile che una volta stabilita connessione tra questione navi e riparazioni si fosse fatto in modo che accordi relativi entrambe questioni potessero perfezionarsi contemporaneamente.

2 Non pubblicato.

2 Vedi D. 531, nota 2.

Comunque, visto che, giusta quanto comunicato, questione è da considerarsi costì già definita, V.E. potrà ora comunicare a Molotov che navi primo e secondo gruppo potranno essere consegnate, entro termini notificati a Commissione navale, a partire dal giorno in cui ella vorrà fare a Molotov questa comunicazione. Tali termini, per ragioni chiaramente indicate nel mio telegramma 1543 , sono determinati da motivi di natura strettamente tecnica e non (dico non) possono essere abbreviati. Per gli altri gruppi V.E. potrebbe accennare ad accordi tra tecnici di cui più sopra.

554 1 Del 23 ottobre, con il quale Martino, rispondendo al T. 257 (D. 520, nota 4), aveva segnalato che, stante l'inadeguatezza dei finanziamenti normali della legazione, avrebbe potuto anticipare i fondi richiesti per il prosieguo delle trattative utilizzando i depositi volontari dei connazionali rimpatriati. Aveva inoltre aggiunto che tale procedura avrebbe consentito di non spostare a Venezia le trattative relative al traffico di frontiera e facilitato il parallelo svolgimento di quelle per i beni immobili.

555 1 Vedi DD. 550 e 556.

556

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14195/364. Mosca, 27 ottobre 1948, ore 2,33 (per. ore 8).

Suo telegramma 154 1 .

Dai suoi ultimi telegrammi ho impressione che sia rimasto qualche punto non ben chiarito fra codesto Ministero e l'ambasciata circa portata e tenore risposta da dare a Molotov.

Poiché, specialmente dopo posizione assunta con telegramma odierno da on. La Malfa2 , non vorrei compiere tale importante atto senza essere sicuro interpretare esattamente pensiero V.E., prego volermi far pervenire telegraficamente testo detta dichiarazione della quale resto in attesa3 .

Permettomi comunque sottolineare:

l) o ve si dica a Molotov che termine per consegna navi dovrà decorrere da data firma accordo riparazioni è presumibile che Molotov respinga tale condizione sia perché nostro obbligo consegna navi è già giuridicamente scaduto sia perché egli avrà sospetto che noi abbiamo intenzione far fallire accordo su questioni tecniche riparazioni per evitare decorso termine consegna navi;

2) ciò è da ritenersi a maggior ragione tenendo conto che Molotov penserà trattative riparazioni connesse di fatto al complesso accordi economici e quindi soggette anche al maggior rischio di loro eventuale fallimento;

3) ove invece si sia in grado di comunicare a Molotov data precisa consegna navi noi saremmo comunque del tutto garantiti da eccessive pretese sovietiche perché trattative riparazioni sarebbero concluse prima della consegna navi, ed in caso rottura o fallimento per loro colpa potremmo in tempo sospendere consegne. Come

2 Vedi D. 550.

Vedi D. 555.

già detto altra volta non mi pare siano da sopravalutare note difficoltà circa scambi commerciali perché ritengo possibile dopo preventivo accordo con americani sui contingenti trovare con un po' di buona volontà accordo con sovietici.

Avverto ad ogni buon fine che a tutto oggi non ho ancora ricevuto telespresso 14624 che spero ricevere domani a mezzo Zamboni5 .

555 3 Vedi D. 548.

556 1 Vedi D. 548.

557

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14225/366. Mosca, 27 ottobre 1948, ore 21,24 (per. ore 5 del 28).

Zamboni mi ha riferito. On. La Malfa richiamandosi a quanto detto nel mio telegramma 362 1 osserva che quanto più l'accordo con Molotov sui punti generali avverrà rapidamente e senza complicazioni e diffidenze, tanto più facile sarà in un'atmosfera di fiducia reciproca ottenere dai russi la rinuncia a certi prodotti. Ma se malintesi si creano già nel primo stadio, sarà impossibile portare l'accordo in porto fra tante e così gravi difficoltà. Comunico inoltre che Zamboni non (dico non) mi ha portato noto telespresso 1462 del 20 ottobre2 . Se esso dovesse giungermi con prossimo corriere ordinario non sarebbe qui prima d eli' 8 novembre. Intanto Molotov attende risposta da ormai dieci giorni ed io con ogni buona volontà non sono materialmente in grado di dargliela non avendo ancora i dati relativi a termini consegna navi. Ritengo quindi assolutamente indispensabile che chiaro progetto date consegna navi con termini ridotti al minimo realmente necessario e con precisazioni gruppi navi da consegnare ciascuna scadenza mi sia trasmesso per telegrafo in modo da poter essere presentato a Molotov insieme con testo dichiarazione da me richiesta mio telegramma di ieri 3643 . Credo comunque opportuno chiarire ancora una volta che subordinare termini consegna navi ad accordo riparazioni, da un lato non è di alcuna sostanziale utilità e dall'altro non potrebbe essere accettato da Molotov, il quale vedrebbe in questa nostra proposta un recondito fine di evitare o ritardare consegna nav1.

5 Vedi D. 557.

2 Vedi D. 531, nota 2.

3 Vedi D. 556.

556 4 Vedi D. 531, nota 2.

557 1 Vedi D. 545, nota 3.

558

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PERSONALE 14227/851. Washington, 27 ottobre 1948, ore 10,31 (per. ore 24).

Dagli assidui contatti avuti in questi giorni con Dipartimento di Stato su nostra questione coloniale ho tratto impressione evoluzione anche in ambienti più favorevoli a trusteeship britannico su Cirenaica verso maggiore comprensione nostro più recente punto di vista (telegramma di V.E. 500)1 .

Risultami infatti che a Parigi Marshall e Dulles si adoperano allo scopo di posporre per un anno ogni azione riguardo colonie italiane, eccettuato nostro trusteeship Somalia. Sotto pressione nostri argomenti e rendendosi conto difficoltà che incontrerebbe trusteeship britannico su Cirenaica di fronte Assemblea, americani cercano ora indurre inglesi desistere loro posizione abbinamento Cirenaica e Somalia e stimano aver già ottenuto qualche effetto persuasivo.

Marshall, evidentemente seguito visita Roma, ha anche messo in evidenza con britannici grave errore indebolire Governo italiano di fronte opinione pubblica con soluzione per Cirenaica che sembrerebbe ingiusta e punitiva per Italia.

Dipartimento di Stato confida che azione Marshall possa ottenere effetto desiderato.

559

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 14502/0150. Washington, 27 ottobre 1948 (per. il 5 novembre).

Telegramma ministeriale per corriere n. 11718 del 14 ottobre1•

Al Dipartimento di Stato mi è stato confidenzialmente comunicato che, durante la presenza di Hoffman a Parigi, lo stesso Administrator, insieme ad Harriman e all'ambasciatore Caffery, ha compiuto un passo presso Chauvel indicando vivo

833 interesse del Governo americano in materia unione doganale e importanza attribuita a una rapida e sollecita conclusione dei lavori in corso tra i Governi italiano e francese.

Secondo informazioni qui pervenute da Caffery, Chauvel avrebbe risposto assicurando desiderio Governo francese assecondare nel miglior modo possibile tale richiesta americana, che corrispondeva d'altra parte intenzione Governo stesso di proseguire in modo più attivo contatti con Governo italiano. Chauvel avrebbe anche aggiunto che se ci erano state delle difficoltà e delle lentezze ciò era dovuto a resistenze degli ambienti industriali francesi, che il Governo sperava di superare nella consapevolezza dell'importanza di una rapida conclusione delle trattative con il Governo italiano.

Anche negli ambienti del Dipartimento, ove questa ambasciata non manca di esprimersi secondo le indicazioni di cui al citato telegramma per corriere, si pensa di intervenire presso questa ambasciata, per lumeggiare con essa anche l'assoluta necessità che si faciliti l'emigrazione italiana in Francia e che si superino le riluttanze finora dimostrate da parte dei vari settori francesi interessati.

È comunque convinzione qui diffusa che il conseguimento di concreti risultati in materia di unione doganale tra Italia e Francia potrà costituire per Hoffman uno dei pochi seri argomenti da presentare al Congresso a dimostrazione dei progressi raggiunti in Europa con l'E.R.P. Siccome le discussioni in Congresso si presentano per Hoffman fin d'ora non molto facili per critiche varie che già affiorano da parte di senatori e deputati, è certo che da parte dell'E.C.A. e del Dipartimento di Stato, i propositi di favorire la nostra azione per ottenere maggiore interessamento da parte francese, verranno mantenuti o che comunque, sarà possibile, ogni qualvolta se ne palesi la necessità ottenere interventi in materia da parte di questo Governo.

558 1 Vedi D. 420.

559 1 Con tale telegramma, diretto anche a Parigi (n. 769), Grazzi aveva comunicato: «Questo ambasciatore Stati Uniti America parte oggi per Parigi per incontrare Harriman e spiegargli attività italiana a tàvore cooperazione europea e in particolare unione doganale e per chiedergli intervenire su codesto Governo al fine svegliare interessamento opinione pubblica tal proposito. Inoltre cercherà concordare atteggiamento da assumere nei riguardi commerci con paesi est in maniera più favorevole ad economia italiana».

560

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 5942/2234. Londra, 27 ottobre 1948 (per. il 2 novembre).

Dopo il mio arrivo a Londra1 desiderando riprendere i miei contatti con il Foreign Office, nell'assenza di Bevin chiesi un primo colloquio con sir Orme Sargent.

Era mia intenzione di dare alla visita un carattere apparentemente formale, di dovere di cortesia, ma in realtà esplorativo.

Infatti la conversazione fu portata subito sulla situazione generale e sul veto di Vyshinsky all'Assemblea per la questione di Berlino; atteggiamento sovietico già atteso e in certo senso scontato che, a detta di Sargent, non peggiorava sostanzialmente la situazione assai grave.

Da questo inizio il discorso fu portato sulla necessità di una sempre più stretta collaborazione a difesa delle nazioni occidentali. Avendogli a questo proposito accennato ai discorsi di V.E. alla Camera e al Senato2 egli mi disse subito che le sue impressioni erano state ottime, e gli sembrava che un primo passo importante fosse stato fatto verso la chiarificazione e oltre alla ambigua formula della neutralità e che si riprometteva che ci si avviasse sempre più verso una più concreta cooperazione europea dopo le elezioni presidenziali, benché «nessun mutamento era prevedibile nella politica estera degli Stati Uniti». Accennò anche con compiacenza e con interesse alla visita Marshall a Roma della quale mi parve assai meglio informato che non fossi io stesso. Per la prima volta mi è sembrato che una nostra eventuale partecipazione a una effettiva Unione europea fosse prospettata, sebbene non come problema di immediata attuazione, con simpatia reale e senza irrigidimenti sospettosi da parte inglese.

Accennò anche alla questione delle nostre colonie quasi indagando il mio pensiero. Mi disse sembrargli che la questione «fosse rimasta al punto in cui l'avevo lasciata alla mia partenza». Assentii vagamente senza entrare in argomento. E ne spiego la ragione. Così come le posizioni reciproche sono state impostate nel colloquio Quaroni-McNeiP esse devono, a mio parere, venire risolte a Parigi secondo quelle direttive. Con gli inglesi una politica di doppio giuoco in cui io facessi supporre a Londra un diverso atteggiamento, delle esitazioni e un desiderio di riprendere le trattative sopra il progetto di compromesso Massigli4 , farebbe pessima impressione (ci si accuserebbe del solito machiavellismo ecc.) e non darebbe nessun risultato. Tutto ciò che posso fare oggi è, mi sembra, di non chiudere nessuna porta bruscamente e di lasciare che eventualmente si dia segno da parte britannica di voler riprendere contatti, a Londra, su basi meno rigide. Ciò che mi pare difficile prevedere.

560 1 Gallarati Scotti aveva lasciato Londra ai primi di settembre e vi era rientrato il 20 ottobre.

561

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 12270/158. Roma, 28 ottobre 1948, ore 23,30.

3 Vedi D. 510. 4 Vedi D. 357.

56! 1 Vedi D. 557.

Riassumo qui di seguito testo dichiarazioni rappresentante italiano in Commissione navale circa termini consegna navi e che V.E. può comunicare Molotov: Primo gruppo composto da «Giulio Cesare», «Artigliere», «Marea», «Nichelio»: settantacinque giorni. Secondo gruppo composto da «Aosta», «Animoso», «Fortunale», «Colombo»: quindici giorni dopo rimpatrio equipaggi primo gruppo. Terzo gruppo composto sola nave trasporto «Montecuccoli» la quale potrà partire non appena completato carico pezzi rispetto. Quarto gruppo composto da «Fuciliere» e «Ardimentoso»: otto mesi, necessitando riparazioni indispensabili per navigare.

Quinto gruppo composto rimanenti minori unità prossima primavera occorrendo buona stagione per trasferirsi con propri mezzi. Nomi e tipi queste unità sono specificati in allegato telespresso 21433/127 dell'8 luglio 2 .

Termini indicati si riferiscono data partenza navi dall'Italia e decorrono dal giorno in cui V.E. li comunicherà Molotov. Durata intervallo tra il primo gruppo e gli altri successivi dipenderà dalla rapidità con la quale verrano rimpatriati volta per volta gli equipaggi dei gruppi precedenti. Come già telegrafatole termini sono stati notificati Commissione navale che non ha sollevato alcuna obiezione. Confermo che consegna ultimi tre gruppi potrebbe eventualmente essere accelerata mediante accordi tra tecnici due paesi.

560 2 Vedi DD. 491, nota 7 e 525, nota 4.

562

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, BRUXELLES, LONDRA, PARIGI E WASHINGTON

TELESPR. 31/1168 1 . Roma, 28 ottobre 1948.

Riferimento: telespresso di questo Ministero n. 28446 del 22 ottobre2•

Prego rimettere a codesto Governo l'accluso Memorandum che fa seguito a quello del 24 agosto 3 diretto al Governo francese e solo più tardi comunicato anche a codesto Governo. Esso si riferisce al contenuto del! 'ultimo periodo del suddetto Memorandum del 24 agosto.

Accludo pure una traduzione inglese del nuovo Memorandum che codesta rappresentanza potrà ugualmente consegnare se lo crede opportuno.

N.B. Il Memorandum del 24 agosto è stato comunicato ai Governi britannico e nordamericano a mezzo delle rispettive rappresentanze diplomatiche a Roma con lettere personali del ministro Sforza.

2 Non rinvenuto.

3 Vedi D. 350, Allegato.

ALLEGATO

MEMORANDUM

Roma, 27 ottobre 1948.

Quella notevole parte dell'Europa che accettò i generosi aiuti che gli Stati Uniti offrirono con uguale cordialità a tutti quanti gli Stati di questo continente sente e riconosce quanto preziosa sia stata l'assistenza americana per l'opera di ricostruzione.

Ma già nel breve spazio trascorso il Governo americano ha più di una volta raccomandato ai popoli e ai Governi che hanno accettato il piano Marshall di rendere sempre più intima la loro collaborazione pel bene economico comune e per una sempre maggior sicurezza della pace.

Il Governo della Repubblica italiana, riconoscente com'è all'America per i preziosi aiuti già ricevuti, lo è anche per questi consigli che provano l'assoluto disinteresse del Governo e del popolo americano.

Il Governo italiano crede quindi di compiere il proprio dovere sottoponendo ai Governi consociati nell'E.R.P. le considerazioni che gli fanno stimare urgente uno studio comune per evitare che anche dopo che fosse raggiunta l'autosufficienza europea perseguita dall'E.R.P., si tornasse a quell'autarchia e a quei nazionalismi economici che riaprirebbero le porte a nuove divisioni e a nuovi disastri.

Tutti i Goveri consociati nell'E.R.P. dovrebbero dirigere fin d'ora tutti i loro sforzi verso un doppio simultaneo scopo: cominciare a edificare, sia pur pezzo a pezzo, una società di nazioni inter-dipendenti-come l'Italia e la Francia già cercano di fare nel campo dell'unione doganale ed economica -e allo stesso tempo cominciare a organizzare una maggiore produzione e un maggior intercambio fra le nazioni col triplice felice risultato di un ribasso dei costi di produzione, di un maggior impiego di mano d'opera, di un innalzamento del tenore di vita delle popolazioni.

Non si conseguiranno tali risultati, che soli possono eliminare nuove crisi future, senza la diretta partecipazione delle libere opinioni pubbliche all'opera dei Governi. Ma le opinioni pubbliche non si smuoveranno che se saranno illuminate tanto sugli scopi cui si mira -cioè la pace, aspirazione universale -quanto sui mezzi che i Governi stimeranno atti a diminuire le attuali dubbiezze e sofferenze. Bisogna, in una parola, che i popoli siano sicuri che i bisogni e i diritti primordiali di vita e di lavoro sono lo scopo supremo dei Governi consociati nell'E.R.P.; solo allora i popoli si muoveranno per incitare e seguire i Governi sulla via della salvezza.

Ma questo non accadrà mai se troppi paesi continuassero a considerare isolatamente i bisogni e le aspirazioni del proprio territorio; se non divenisse universale la convinzione che promuoven: il benessere di tutti, anche con qualche sacrificio proprio, significa sostanzialmente raggiungere il benessere di tutti.

Profondamente di ciò convinto, il Governo italiano diresse fin dal 24 agosto scorso a un Governo a esso consociato nell'E.R.P. un memorandum in cui affermò la necessità di perseguire «con energia la realizzazione di quegli ideali di organica intesa e di inter-dipendenza europea che soli possono salvare la pace del mondo e la democrazia», e in cui espresse il desiderio di «concordare con gli altri Paesi europei una formula che permetta di dare inizio a questa unione da ogni parte invocata».

La esistenza di numerosi organismi internazionali che, formatisi dopo l 'ultimo conflitto, mirano ad alleviare ed a risolvere la crisi ed i rapporti economici tra le nazioni, sconsiglia la creazione di organismi nuovi. Le istituzioni di Bretton Woods, dell'E.E.C., della F.A.O., dell'O.I.L., dell'I.T.O., per non citare che le maggiori, e sopratutto la più importante e completa di esse, la O.E.C.E., costituiscono già una prova di quanto sia ormai universalmente sentita la necessità della collaborazione. Creare nuovi organi non servirebbe che a creare confusione. Né vi è dubbio che si sbaglierebbe strada cercando di determinare con statuti

troppo rigidi e complicati le forme di una più ampia collaborazione internazionale; solo un sano empirismo consentirà di dar vita al progressivo evolvere delle necessarie iniziative.

Ferma restando dunque l'azione degli organi esistenti già dimostratisi così utili agli scopi preziosi ma limitati che ciascuno di essi persegue, sembra al Governo italiano conveniente rendere permanente e sviluppare il massimo di quegli organismi, l'O.E.C.E., che aperto a tutti gli Stati d'Europa, già ne raggruppa la grande maggioranza. In pochi mesi di esistenza, I'O.E.C.E. ha dato prova di sorprendente vitalità ed attività. Fedele allo spirito che lo informa e che trova la sua codificazione nel preambolo della Convenzione multilaterale del 16 aprile 1948, l 'O.E.C.E. ha già posto le fondamenta di quel nuovo spirito collaborazionista che si tratta ora di rendere permanente.

Bisogna ora cominciare dall'eliminare due limitazioni che pongono ostacolo al fecondo sviluppo deii'O.E.C.E. auspicato da quanti vogliono un organico e permanente collegamento degli Stati d'Europa.

La prima limitazione è data dal tempo. Anche se la Convenzione multilaterale non contempla termine, aii'O.E.C.E., è probabile -se non si provvede altrimenti -che una volta cessato lo scopo primordiale de li'ente creato dalla Convenzione multilaterale, questo terminerà le sue funzioni e arresterà la propria attività, non foss'altro perché taluni partecipanti si illuderebbero di trovare più comodo di porsi a godere, senza i legami dell'O.E.C.E., del nuovo benessere grazie ad essa ritrovato.

La seconda limitazione dell'O.E.C.E. è insita nella sua stessa costituzione, la quale ne fa all'atto pratico una assemblea di tecnici, certo eminenti e meritori, ma costretti a rinchiudersi negli aspetti e nelle conseguenze economiche, commerciali e monetarie dei problemi ad essi affidati; senza quelle finalità politiche che solo consentono di affrontare i problemi nella loro essenza, e di propugnare dal più importante tra gli organi di collaborazione europea nuove basi della economia e della pace mondiale.

Circa la prima limitazione il Governo italiano stima che gli Stati partecipanti aii'O.E.C.E. dovrebbero dichiarare fin d'ora la loro solenne volontà di assicurare il carattere permanente dell'organizzazione. Sorgerebbe in tal modo l'impegno di applicare una programmazione, anche indipendentemente dalla estensione e dalla durata degli aiuti americani i quali debbono venire determinati anno per anno, e comunque non oltrepassare l'anno 1952. L'organizzazione permanente che il Governo italiano auspica potrebbe efficacemente dedicarsi alla risoluzione pratica di questioni che formano realmente la base dell'economia e del benessere generale, quali l'acceleramento della produzione e ripartizione di materie prime e delle merci in scarsa offerta, la creazione del mantenimento di possibilità di impiego di tutta la mano d'opera problema di supremo interesse umano di cui finora non si è sentita tutta la portata l'elevamento del tenore di vita ad un dato minimo livello, le misure di prevenzione contro ogni eccesso di produzione, ecc.

Circa la seconda limitazione, il Governo italiano stima che è urgente lo sviluppo e il perfezionamento dell'attuale costituzione essenzialmente tecnica dell'O.E.C.E. conseguibili soltanto se membri responsabili dei Governi consociati risiederanno sul posto assicurando in tale modo la effettiva direzione dell'organizzazione.

Infatti se si ammette che I'O.E.C.E., sviluppando la propria attività e divenendo permanente, affronti l'insieme delle questioni sopraindicate è chiaro che essa dovrà dare vita a dei programmi singoli a breve e lungo termine per ciascun paese, a fondere tali programmi tra loro, a rafforzare le correnti di scambio, a determinare i rapporti di scambio tra un paese e l'altro, ad applicare sistemi di pagamenti presupponenti adeguamenti delle monete e profonde modificazioni valutarie; questioni tutte che non potrebbero risolversi senza decisioni di alta politica per le varie nazioni.

Si tratterebbe insomma di sviluppare una politica economica concertata e in un certo senso vincolante la sovranità degli Stati partecipanti, sulla base del concetto che fu anche recentemente formulato in Italia come segue: «Siamo pronti a qualunque limitazione della nostra sovranità nazionale, a una sola condizione: che gli altri facciano lo stesso».

Si noti che il permanente diretto intervento nell'O.E.C.E. di ministri di Gabinetto a loro volta responsabili di fronte ai Parlamenti i quali, in regime democratico, costituiscono il portavoce e la rappresentanza delle sovranità popolari, spingerebbe le opinioni pubbliche a partecipare in forma attiva alle decisioni dell'O.E.C.E. accentuando il nuovo carattere politico e super-nazionale dell'organizzazione.

Non spetta al Governo italiano di spingersi qui a precisazioni e a dettagli circa le modalità pratiche per tradurre in atto le idee esposte nel presente memorandum. Esso non mira per ora che ad attirare sul grave problema la attenzione dei Governi consociati.

Scendere qui a maggiori dettagli sarebbe prematuro. Qualsiasi tentativo di determinare o di codificare aprioristicamente una materia così delicata rischierebbe di farla arenare, mentre è impossibile non sentire quante ampie probabilità di sviluppo essa contenga in germe.

Il Governo italiano sottomette al Governo ... le presenti osservazioni le quali non vogliono essere che un primo contributo verso la realizzazione degli ideali che soli, a suo avviso, possono salvare la pace. Il Governo italiano sarebbe lieto di conoscere quali osservazioni e suggerimenti il Governo ... crede di potere formulare in merito.

561 2 Non pubblicato.

562 1 Inviato anche alle legazioni ad Atene, Bema, Copenaghen, Dublino, L' Aja, Lisbona, Lussemburgo, Osio, Stoccolma e Vienna.

563

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 1502 SEGR. POL. 1 . Roma, 28 ottobre 1948.

Ritengo opportuno ad ogni buon fine informarti degli sviluppi avuti dalla questione relativa alle navi da cedersi all'U.R.S.S. in base all'art. 57 del trattato di pace. Fallite le conversazioni dirette itala-sovietiche per ottenere sia una rinuncia sul tipo di quelle inglesi e americane, sia un accordo sul tipo di quello del 14 luglio con la Francia, ne abbiamo informato la Commissione navale riportando la questione puramente e semplicemente sul piano del trattato. Da parte sovietica venne allora proposto alla Commissione navale l'invio al Governo italiano di una nota i cui termini, per la loro forma, non vennero approvati dai rappresentanti americano, inglese e francese i quali proposero una nota da essi redatta in termini più diplomatici. Non avendo l'ammiraglio sovietico acconsentito a variare il tenore della nota da esso presentata la questione era rimasta sospesa.

La situazione stava a questo punto quando l'on. La Malfa in base ad allusioni che gli erano stata fatte dai delegati sovietici nel corso delle trattative a Mosca per le riparazioni e gli accordi commerciali ebbe l'impressione, confermata dall'ambascia

839 tore Brosio, che da parte russa si intendeva abbinare a tali due questioni anche quella delle navi2• E poiché da parte sovietica ci era stato presentato un progetto di regolamento delle riparazioni che nei suoi aspetti tecnici e politici andava oltre il testo del trattato ed era per noi inaccettabile, lo stesso on. La Malfa confortato dal parere dell'ambasciatore Brosio, fece presente che si poteva forse, nel nostro stesso interesse, collegare le varie questioni cercando, con l'appat delle navi, di indurre i russi ad abbandonare il loro progetto e ad accettare il nostro. Si offriva così la possibilità di far uscire la questione navi dal vicolo cieco in cui era venuta a trovarsi e di valorizzare in qualche modo la consegna, facendola pesare nel corso delle trattative di Mosca al fine di ottenere per noi dei vantaggi in altro campo.

Prima di decidere in tal senso, in una riunione cui parteciparono il presidente del Consiglio, i ministri Sforza e Pacciardi e l'on. La Malfa, fu convenuto che si sarebbero interpellati gli americani per chieder loro se e sino a qual limite essi ci avrebbero sostenuto nella questione delle navi. Convocai quindi l'ambasciatore Dunn, gli rifeci la storia della questione, gli prospettai la soluzione proposta da La Malfa e gli dissi francamente che, prima di dare il via a questa soluzione desideravamo sia informarne amichevolmente l'ambasciatore degli Stati Uniti, sia sapere sino a qual punto il Dipartimento di Stato ci avrebbe appoggiato in una resistenza all'applicazione, nei confronti dell'U.R.S.S., dell'art. 57. L'ambasciatore Dunn mi rispose che proprio in quei giorni aveva ricevuto le istruzioni che così mi ha riassunto: il Governo degli Stati Uniti simpatizza con le richieste fatte dall'Italia all'U.R.S.S. per una attenuazione della clausola dell'art. 57 del trattato e deplora che l'U.R.S.S. non le abbia accolte. Il Governo degli Stati Uniti è ancora disposto, in sede di Commissione navale a tergiversare per dar tempo al Governo di trovare una soluzione onorevole. Se per altro il rappresentante sovietico -ciò che poteva accadere da un momento all'altro -avesse accettato di rinunciare alla nota da lui proposta e avesse dato il proprio benestare a quella redatta dagli altri tre, quest'ultima, che in sostanza ci richiedeva di procedere all'applicazione dell'art. 57, ci sarebbe stata inviata, e il trattato andava eseguito.

Dissi allora all'ambasciatore Dunn che in tali condizioni avremmo cercato, piuttosto che irrigidirei in un atteggiamento destinato a fallire per mancanza di adeguato appoggio, di valorizzare la consegna delle navi anziché compierla del tutto gratuitamente. Furono quindi date il tal senso istruzioni all'on. La Malfa.

Nel frattempo Molotov aveva mandato a chiamare l'ambasciatore Brosio e aveva espresso il suo disappunto per l'atteggiamento sino allora tenuto dall'Italia -in violazione del trattato -nella questione delle navi3; ciò diede Io spunto all'an. La Malfa, al suo ritorno a Mosca, di comunicare a Molotov che, poiché egli si riferiva ai termini del trattato nella questione dell'art. 57, anche noi ci riferivamo al trattato nella questione relativa all'art. 74. Dopo un primo «grugnito», Molotov si riservò di esaminare la cosa e alcuni giorni dopo richiamati i nostri delegati ha fatto loro conoscere che il Governo sovietico accettava il nostro punto di vista e mentre rimaneva in attesa

563 2 Vedi DD. 345, 388 e 391. 1 Vedi D. 477.

di conoscere le date di consegna delle navi, abbandonava il proprio progetto sulla questione delle riparazioni e prendeva come base per il regolamento della questione stessa il progetto italiano4 .

Questa la situazione attuale5 .

563 1 Inviata in pari data agli ambasciatori Gallarati Scotti (L. 1500 segr. poi.) e Quaroni (L. 150 l segr. poi.). Con L. segreta personale 3/1511 del 29 ottobre venne infine trasmessa a Prunas con l'aggiunta della seguente frase finale: «Continuerò a tenerti informato e potrai intanto, in via amichevole, informare il Governo turco, facendogli presente che, a momento venuto, terremo naturalmente presenti le disposiziom di cui alla sezione II della Convenzione di Montreux del 1936. Stiamo facendo studiare la questione». A quest'ultimo accenno Prunas rispose (L. 1968 del 12 novembre) che il Governo turco si era mostrato interessato a conoscere l'esito dello studio della eventuale incidenza delle disposizioni dell'art. 57 del tattato di pace italiano su quelle contenute nella richiamata Convenzione di Montreux.

564

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA URGENTE PERSONALE 9765/3577. Washington, 28 ottobre 1948 (per. il 6 novembre).

Avrai ormai già visto, dal mio telegramma di ieri 1 , le prime reazioni del Dipartimento di Stato alla nostra comunicazione circa l'opportunità di un rinvio della nota visita. A tutta stasera non era qui pervenuta alcuna segnalazione di Dunn al riguardo.

Mi rendo perfettamente conto -e me ne sono reso efficace interprete presso il Dipartimento -delle varie considerazioni di indole interna che hanno suggerito la nostra posizione. Mancherei però al mio dovere se non riferissi anche il vivo disappunto del Dipartimento per il nostro suggerimento: a parte gli argomenti segnalati nel mio telegramma mi è stato detto che, ancorché il progetto si realizzasse in un secondo tempo -il che non era poi certo -le nostre tergiversazioni non avrebbero potuto non avere influenza sulla franchezza delle discussioni che questi circoli militari si ripromettevano di avere coi rappresentanti italiani (mia lettera personale al ministro n. 9596/3512 del 22 corrente?.

Sono in attesa sia di una più precisa risposta del Dipartimento, sia di vostre eventuali istruzioni.

Per il caso però che si desiderasse non apportare variazioni al progetto, o che (cosa che ritengo poco probabile) si accettasse qui la nostra tesi del breve rinvio, voglio far presente che questi ambienti militari avevano già preso in considerazione la concessione all'ospite italiano della decorazione di Commander of the Legion of Merit grado secondo di un ordine militare riservato agli stranieri. Mi parrebbe quindi opportuno che anche da parte nostra si prendesse subito in esame la possibilità che il visitatore italiano recasse con sè una adeguata decorazione militare italiana per questo capo di Stato Maggiore Generale (generale Ornar N. Bradley).

Sentito anche il Dipartimento di Stato, riterrei sufficiente il Grande Ufficialato dell'Ordine militare d'Italia. Per la motivazione credo basti ricordare il fatto che

5 Zoppi fornì ulteriori informazioni con la L. 1265 del 13 novembre, non pubblicata, e con il successivo invio (L. riservatissima 7981/88 del 9 dicembre) di un appunto aggiornato sui negoziati con l'U.R.S.S., per il quale vedi D. 722.

2 Vedi D. 535.

Bradley, attraverso la sua azione sul fronte tedesco, ha contribuito alla liberazione del nostro paese. Successivamente si potrebbe studiare la possibilità di uno scambio di decorazioni tra le personalità di minore rilievo che abbiano contribuito alla riuscita della visita.

563 4 Vedi D. 521.

564 1 Vedi D. 553, nota 3.

565

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 12271/388. Roma, 29 ottobre 1948, ore 4.

Vidi ieri [27] Mallet cui mostrai lungamente quale errore psicologico commetterebbe Governo britannico insistendo perché assegnazione Cirenaica a Inghilterra fosse contemporanea ad assegnazione Somalia Italia. Non certo noi obiettavamo supreme ragioni britanniche per Cirenaica ma era chiaro che la contemporaneità delle due decisioni avrebbe tolto ogni valore morale alla concessione in nostro favore.

Mallet mi parve perplesso ma timoroso che la volontà britannica fosse definì-ti va.

566

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 12282/161. Roma, 29 ottobre 1948, ore 15.

In data odierna l'ambasciata degli Stati Uniti ha rimesso a questo Ministero un Memorandum1 interpretativo dell'art. 74 del trattato di pace di cui seguono i punti principali:

l) il trasferimento di eccedenza di istallazioni e di attrezzature industriali (art. 67) e quello dei beni italiani in Romania, Bulgaria ed Ungheria (art. 79) dovrebbe essere effettuato prima di qualsiasi trasferimento riguardante la produzione industriale corrente, compreso il prodotto delle industrie estrattive;

2) il valore dei beni sopra elencati, salvo quelli da prelevarsi sulla produzione industriale corrente, deve essere determinato non dai due Governi interessati ma dai quattro ambasciatori;

3) ne consegue che i pagamenti sulla produzione industriale corrente debbono -secondo l'interpretazione americana -essere contemplati solo ad esaurimento delle altre due voci di pagamento e dopo che queste siano stimate dai quattro ambasciatori.

A commento di quanto precede sembrerebbe che se un accordo di massima fosse raggiunto dall'Italia e dall'U.R.S.S. circa la valutazione dei nostri beni nei Balcani, i quattro ambasciatori non troverebbero probabilmente nulla da obiettare mentre in caso di nostro contrasto con il punto di vista russo troveremmo da parte loro il necessario appoggio tanto per la nostra tesi quanto per ritardare una decisione impegnativa.

Quanto precede per opportuno orientamento di VE. e della delegazione.

566 1 Non pubblicato.

567

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PERSONALE 14316/858. Washington, 29 ottobre 1948, ore 21,43 (per. ore 7,30 del 30).

Suo 560 1 .

Ho rinnovato presso Dipartimento di Stato passi per concordare rinvio nota visita2 , illustrando ulteriormente considerazioni VE. e suggerendo data primi dicembre. Ho insistito reazioni nostro Parlamento ed opinione pubblica. Dipartimento di Stato che tuttora nulla aveva ricevuto da Dunn in proposito informava oggi militari ignari ultimi sviluppi, promettendo suo appoggio a nostra tesi.

Dipartimento di Stato non poteva naturalmente garantirci esito suo intervento per accettazione data primi dicembre causa anche impegni questo capo di Stato Maggiore Generale tra cui suo prossimo lungo giro ispezione zona Pacifico. Dipartimento di Stato ha nell'occasione richiamato nostra attenzione su coincidenza poco favorevole richiesta rinvio con notizia oggi pervenuta da ambasciata U.S.A. Roma circa nostro desiderio rimandare a data non precisata conclusione noto accordo aeronautico cui recenti negoziati avevano qui sollevato vive aspettazioni.

In ogni modo avuto sensazione che Dipartimento di Stato sta facendo sincero sforzo per trovare soluzione che tenga conto nostra situazione e tempo stesso non deluda troppo ambienti militari i quali trovavano particolarmente tempestiva la visita nel momento in cui si stanno concretando i piani appoggio americano Europa occidentale. Ho avuto per altro impressione che difficilmente visita potrebbe essere adeguatamente organizzata prima prossimo gennaio3 .

2 Vedi DD. 553 e 564.

3 Per la risposta vedi D. 568.

567 1 Del 29 ottobre, con esso Sforza informava sullo slittamento al 22 novembre della discussione in Parlamento della mozione Nenni e sulla conseguente opportunità di rinviare la visita del gen. Marras negli Stati Cniti ai primi di dicembre.

568

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 12363/571. Roma, 30 ottobre 1948, ore 23.

Suo telegramma n. 861 1•

Per quanto riguarda accordo aeronautico informola per sua conoscenza e norma di linguaggio, e affinché V.E. voglia adoperarsi a dissipare qualsiasi malinteso, che a questa ambasciata Stati Uniti è stato proposto di porre immediatamente in esecuzione tutte le disposizioni contenute nello schema sottoposto a questo Ministero. Di ciò abbiamo proposto anche dare assicurazione con nota verbale cui progetto è stato mostrato a questa ambasciata.

Si è soltanto fatto presente che, dato momento particolarmente delicato nostra situazione interna anche in sede parlamentare e recentissime dichiarazioni circa patti segreti, avremmo preferito per ora astenerci da conclusione formale di una Convenzione che dovrebbe rimanere segreta. V.E. potrà, se del caso, far osservare che, in attesa che Convenzione possa essere definita in sede accordi militari di carattere più generale, formula da noi proposta soddisfa però sin d'ora tutte necessità tecniche aeronautica americana2 .

569

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1408/19297/4095. Parigi, 30 ottobre 1948 1•

Chauvel mi ha chiesto di nuovo se avevo notizie circa i colloqui di Marshall a Roma: gli ho detto qualche cosa, sulle linee generali del suo dispaccio n. 3/1446 del 21 ottobre2 .

A sua volta egli mi ha parlato della riunione dei cinque ministri degli esteri. Mi ha detto che il Patto atlantico è il frutto delle conversazioni che da vari mesi si vanno conducendo a Washington. Gli americani hanno fatto presente che il principio che il riarmo dei paesi europei sulla base di una forma di nuovo !end lease era stato

2 Con T. s..n.d. 14400/869 del l o novembre, Tarchiani comunicò che il Dipartimento di Stato «... rendendosi conto nostri motivi ha telegrafato Dunn accettazione formula da noi suggerita, proponendo soltanto che testo nostra comunicazione contenga, ove ritenuto possibile, qualche più precisa indicazione facilitazioni da noi accordate».

2 Vedi D. 533.

844 accettato dall'amministrazione e dagli elementi responsabili dei due principali partiti. Ma che per avere dal Congresso i fondi necessari a complemento o a parziale sostituzione dell'attuale piano Marshall sarebbe stato difficile presentare la richiesta puramente e semplicemente come un sussidio ad un gruppo di Stati europei che si riarmano: sarebbe stato molto più opportuno presentarli sotto la copertura di un patto regionale, il Patto atlantico, conglobante America, Canada, alcuni territori intermedi quali l'Islanda e la Groenlandia, ed un numero imprecisato di Stati europei, fra cui quelli del Patto di Bruxelles. In questo modo il sussidio all'Europa sarebbe stato presentato come contribuzione diretta alla difesa americana, in un certo senso come parte integrante della difesa interna de li'America. Stabilito questo principio si era passati alla creazione di un comitato di redazione, composto di consiglieri con pari grado americani, alle dipendenze e con obbligo di riferire ad un comitato superiore (piano Lovett e ambasciatori) il quale in realtà non si era mai riunito. Nella redazione di questo Patto atlantico era stato tenuto presente di massima il Patto di Rio, con l 'aggiunta di alcune precisazioni fra cui il mantenimento dell'indipendenza del Patto di Bruxelles.

A mia richiesta di spiegazione, Chauvel mi ha spiegato che questo significa che l'esser membro del Patto atlantico non significa automaticamente essere membro anche del Patto di Bruxelles. Il Patto di Bruxelles è stato previsto come una unione stretta, fra paesi vicini geograficamente, politicamente e di interessi, uniti da rapporti specialmente intimi: questa unione, se doveva essere efficiente, non poteva estendersi dal Polo Nord al Polo Sud. La penisola scandinava eventualmente avrebbe potuto accedervi, in certe circostanze, ma non si sarebbe potuto pretendere che ci si interessasse dell'Islanda o della Groenlandia. L'America poteva eventualmente aver fretta di includere anche la Spagna: ora specialmente per i Governi francese ed inglese l'avere la Spagna nei propri consigli intimi sarebbe stato impossibile: più facile -pur sempre difficile -sarebbe stato avere la Spagna firmataria del Patto atlantico e non del Patto di Bruxelles. Il Patto di Bruxelles è un gruppo ristretto di amici -mi ha detto -e si deve avere il diritto di poter decidere chi ne fa parte e chi no: il membership del Patto atlantico dovrebbe invece rispondere esclusivamente

o almeno prevalentemente a criteri di opportunità strategica e militari. Ora il testo del Patto atlantico è à point: esso è stato sottoposto ai cinque ministri per l'approvazione del testo e del principio della sua firma: il che è stato fatto e comunicato agli Stati Uniti: per la sua firma effettiva bisognava adesso aspettare che gli americani fossero pronti. Salvo avvenimenti imprevisti -non prevedi bili del resto all'attuale stato delle cose -era difficile che la cosa potesse essere fatta prima della installazione della nuova amministrazione, ossia in gennaio: probabilmente, il Governo americano non avrebbe proceduto alla firma senza avere una preventiva approvazione di tutto il sistema da parte del Congresso: per cui si doveva prevedere che, al più presto, la firma avrebbe potuto avere luogo in febbraio. Riprendendo quindi l'argomento, che del resto gli avevo già esposto varie volte, della difficoltà, se non impossibilità, per noi, di aderire ad un patto qualsiasi prima della precisazione effettiva della partecipazione americana, mi ha detto che questa

data rappresentava per noi il limite massimo di attesa: il giorno della firma del Patto atlantico, a pensiero del Governo francese, avremmo dovuto firmarlo anche noi.

Mi ha poi chiesto se, nelle nostre conversazioni cogli americani, si era parlato del Patto atlantico o del Patto di Bruxelles. Gli ho detto che della esistenza di due patti differenti ne sentivo parlare oggi per la prima volta: né avevo l'impressione che il Governo italiano o la nostra ambasciata a Washington ne sapessero più di me: dato questo mi era difficile dargli una risposta precisa: mi sembrava che nel complesso gli americani avessero piuttosto parlato del Patto di Bruxelles: ma poteva essere benissimo che fossimo noi ad aver capito male. Gli ho anche detto, a sua richiesta, che per le stesse ragioni non potevo illuminarlo sul pensiero del Governo italiano: come mia idea personale supponevo che noi avremmo aderito all'uno o all'altro dei due patti secondo il desiderio degli americani e degli altri. A mia volta gli ho chiesto quale era il pensiero dei nostri eventuali futuri partners.

Chauvel mi ha risposto che per quello che concerneva il Governo francese il suo punto di vista era preciso: fin dal principio esso aveva pensato e detto che del Patto atlantico doveva far parte anche l'Italia: anzi che un Patto atlantico che non includesse anche l'Italia era semplicemente inconcepibile: da cui la sua precedente precisazione di un limite estremo di tempo per la nostra adesione. La questione non aveva fatto oggetto di una specifica discussione nella seduta dei cinque ministri, ma se ne era parlato varie volte, e il Governo francese aveva avuta la impressione ben precisa che non ci fosse la minima abbiezione. Per quanto concerneva il Patto di Bruxelles, la sua futura estensione all'Italia, come del resto sapevamo, era stata annunziata pubblicamente: data e momento non erano state ancora discusse, ne avrebbero pututo essere discusse se noi non avessimo in qualche maniera espresso il desiderio che lo fossero.

A mia precisa richiesta mi ha detto che non sarebbe stato, a suo avviso, esatto parlare di opposizione britannica: esitazioni sì: ma non ostilità: da parte inglese si era accennato a incertezza della politica estera italiana, a infiltrazioni politicamente dubbie nelle forze armate italiane: alla difficoltà di parlare di cose necessariamente segrete con un Governo il quale non sembrava avere del segreto una opinione molto stretta: dubbi cioè sulla maturità del momento, non sulla sostanza. Opposizione vera c'era soltanto, precisamente, dall'Olanda ed in genere dal Benelux: la ragione data era la necessità di limitare gli impegni; effettivamente, come potevo facilmente comprendere, si trattava soprattutto del timore che l'ingresso dell'Italia nel Patto di Bruxelles avrebbe potuto far passare in seconda linea, come importanza, i tre amici. Come vedevo si trattava di difficoltà che non erano da considerare certamente insuperabili.

Mi ha per ultimo detto di avere riferito a Schuman la nostra conversazione circa nostre eventuali conversazioni militarj3, e che questi lo aveva incaricato di parlarne a Ramadier e agli altri elementi tecnici: il che si riservava di fare e contava di potermene parlare, più in concreto, fra qualche giorno. Mi ha ripetuti i noti concetti sulla utilità di questo scambio di vedute militari, sul che ho concordato.

568 1 Riferimento errato, si tratta del D. 567.

569 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

569 3 Vedi D. 546.

570

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14369/372. Mosca, 31 ottobre 1948, ore 12,25 (per. ore 13,30).

Iersera on. La Malfa ed io abbiamo sottoposto a Molotov progetto termini consegna navi in conformità testo telegrafatomi1 . Moltov ha fatto osservazioni e sollevato obiezioni circa imprecisione termini consegna a partire dal secondo gruppo. Inoltre ha attirato attenzione su necessità permettere tecnici sovietici recarsi in Italia sia per assistere esperti costì sia per esaminare possibilità abbreviazione termini consegna ultimi tre gruppi ed ha manifestato desiderio che a suo tempo non si facessero difficoltà per i relativi visti. Infine dopo discussioni e chiarimenti si è riservato riferire al suo Governo e rispondere.

571

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 12374/373. Mosca, 31 ottobre 1948, ore 14,40 (per. ore 19,30).

Da an. La Malfa.

Riferimento telegramma 155 del 26 ottobre 1 . Si prende atto di quanto comunicato circa liste l e 2. Osservasi tuttavia che in base elementi portati da Zamboni non (dico non) risulterebbero limitazioni esportazione alluminio. In previsione insistenza sovietica pregasi telegrafare se restano confermate o meno istruzioni impartite al riguardo con telegramma 141 del 13 corrente2 . Per quanto riguarda lista 3 per forniture speciali permettomi fare seguenti osservazioni: l) secondo comunicazioni ricevute occorrerà escludere da lista contingenti relativi otto piccole petroliere e tubi petroliferi; comunque prima assumere definitivamente tale posizione con sovietici prego confermarmi se è eventualmente possibile mantenere contingenti suddetti almeno per quota parte.

571 Vedi D. 549. 2 Trasmetteva un telegramma del Ministero del commercio estero con l'indicazione di prodotti esportabili.

2) Circa macchine utensili, sovietiCI come già comunicato hanno richiesto macchine utensili per fabbricazione cuscinetti a sfere dolJari 2 milioni 600 mila; macchine utensili pesanti per tagliare metalli dollari 6 milioni 500 mila e macchine utensili per lavorazione legno dollari 750 mila.

Per evitare note difficoltà da parte nostra è stata proposta inclusione contingente generico lasciando a sovietici possibilità ordinare tipi da loro richiesti. Ciò non (dico non) esclude possibilità pieno controllo esportazione dato che ogni eventuale contratto è soggetto a nostra preventiva autorizzazione e che controiJo potrebbe essere integrato con adeguata azione presso poche industrie in grado produrre tipi pesanti speciali. A questo proposito e dopo opportune intese costì prego comunicarmi se nulla osta a suddetta posizione assunta da nostra delegazione. Oppure se occorre dettagliare con sovietici.

3) Ritengo non (dico non) sussistano difficoltà per mantenimento in lista contingente relativo motori elettrici; comunque pregasi fornire chiarimenti al riguardo.

Per quanto riguarda lista forniture riparazioni prendo atto osservazioni VE. circa nostri impegni internazionali.

Come noto progetto italiano prevede lista indicativa forniture produzione corrente da concordare fra due parti. Delegazione italiana in prima fase ha già dichiarato non (dico non) poter considerare in tale lista impianti per cuscinetti sfere e produzione tubi cemento amianto. Conformemente istruzioni ricevute sosterremo esclusione da lista anche petroliere e motori diesel. Per quanto riguarda questi ultimi prego confermare se è eventualmente possibile mantenere almeno modesta aliquota.

In caso negativo sarà bene dare opportuni avvertimenti Fiat che si ritiri da offerte precedentemente fatte.

Infine per cuscinetti sfere ritengo praticamente impossibile evitare inclusione adeguato contingente conto riparazioni. Esclusione determinati tipi potrà sempre essere realizzata per via interna attraverso opportune riservate direttive altre industrie del ramo.

Poiché trattative sono ormai arrivate fase conclusiva pregola voler telegrafare con maggiore urgenza possibile chiarimenti richiesti più sopra ed eventuali altre osservazioni che si ritenessero utili per delegazione3 .

570 1 Vedi D. 561.

572

IL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1896/219. Gedda, 31 ottobre 1948 (per. il 22 novembre).

Al mio ritorno a Gedda ho avuto l'occasione di parlare con S.M. il re Ibn Saud. Il re, assai stanco del pellegrinaggio alla Mecca, non ha trattato nel corso della conversazione nessun argomento di particolare importanza ma mi ha detto due

848 volte che avrebbe avuto piacere di rivedermi a Riad. Poiché quest'invito non mi risulta essere stato fatto agli altri miei colleghi, suppongo sia dovuto alla benevolenza ch'egli mi dimostra o al desiderio di intrattenersi con me con più calma. Ho ringraziato il sovrano dichiarandomi pronto a partire per la capitale quando egli lo avesse desiderato.

Nel corso della mia visita al vice ministro degli affari esteri, Yussuf Yassin si è mostrato più gentile del solito e particolarmente loquace. Come è sua abitudine, egli aveva preparato gli argomenti da trattare nel corso della conversazione, e precisamente: l) attività sionista in Italia; 2) rapporti commerciali con l 'Italia; 3) questione coloniale italiana.

Dopo avere fatto cenno ai buoni rapporti d'amicizia esistenti fra i due paesi, Yussuf Yassin ha testualmente detto: «noi speriamo che gli ebrei non abbiano a servirsi dell'Italia come base per preparare atti d'aggressione contro gli arabi». Ho risposto a Yussuf Yassin che le accuse mosse all'Italia a questo proposito da una parte della stampa araba, sono state smentite dalle autorità italiane e riconosciute infondate dalla stessa Lega araba, ed ho preso occasione per fargli notare, in base alle direttive del telegramma di VE. n. 9802/c. del 28 agosto 1 , che da parte italiana non vi erano stati che gesti amichevoli verso gli arabi nella questione palestinese al punto da non comprendere e non giustificare il timore da lui manifestatomi. Egli ha detto di essere al corrente di tutto ciò, ma che il Governo saudiano prega tuttavia quello italiano di voler ben controllare l'attività degli ebrei in Italia che é in aperta violazione alle leggi del paese.

Passando poi all'argomento dei rapporti commerciali fra l'Arabia Saudita e l'Italia, Yussuf Yassin ha dichiarato che nel 1948 i commercianti saudiani hanno acquistato parecchi prodotti italiani, ma che sarebbero disposti ad acquistare molto di più se fossero facilitate le condizioni di pagamento. Attualmente gli acquisti in Italia non possono essere fatti che in dollari americani mentre i commercianti saudiani vorrebbero pagare in sterline inglesi. Per ragioni di cambio gli acquisti in dollari costano dal 20 al 30 per cento in più di quelli fatti in lire sterline e la differenza è tanto grande da annullare il margine di guadagno chiesto dai rivenditori arabi.

Ho risposto a Yussuf Yassin che avrei segnalato a Roma quanto da lui comunicatomi.

Il vice ministro degli affari esteri è venuto quindi a parlare della questione coloniale italiana deferita all'Assemblea generale dell'O.N.U. per dichiararmi che, secondo il suo modo di vedere, gli Stati arabi avrebbero appoggiato i popoli che rivendicano la loro libertà e indipendenza, perché «non è logico che essi difendano la propria libertà e dicano agli altri: non reclamate la vostra indipendenza».

Ho risposto che comprendevo il suo punto di vista, ma che mi sarebbe stato gradito conoscere l'atteggiamento del Governo saudiano nel caso l'O.N.U. non ritenesse giunto ancora il momento di dare l'indipendenza alla Somalia ed all'Eritrea

e nell'attesa proponesse di affidare la loro tutela all'Italia. Yussuf Yassin ha risposto testualmente: «Ho espresso il mio avviso personale sul problema coloniale italiano in generale, ma prometto che esaminerò la sua domanda e le comunicherò una risposta più tardi. Io credo che sarebbe nell'interesse dell'Italia di sviluppare relazioni economiche con quei paesi al fine di aiutarli a raggiungere il livello ch'essi desiderano. Secondo quanto mi risulta la questione non è stata esaurientemente studiata dalla Lega araba che in proposito dovrebbe stabilire l'atteggiamento degli Stati membri della Lega».

Dalle dichiarazioni di Yussuf Yassin mi sembra quindi vedere che la Lega araba non abbia ancora nulla deciso circa l'atteggiamento da tenere in seno all'O.N.U. per quanto concerne l'eventuale tutela italiana della Somalia e della Eritrea e che l'avviso di Yussuf Yassin «che l'Italia potrebbe sviluppare relazioni economiche con quei paesi» lasci aperta la via ad un favorevole esame della questione. E poiché è stato Yussuf Yassin a parlarmi del problema coloniale italiano, mi domando dove egli voglia giungere e quali eventuali contropartite egli consideri per una soluzione del problema a nostro favore.

Egli mi ha comunque promesso una risposta che sarà interessante esaminare.

A questo proposito credo però opportuno ricordare che i membri del Governo saudiano, e più specialmente l'emiro Faysal e Yussuf Yassin, sono ossequienti alle direttive della Lega araba, mentre S.M. il re Ibn Saud, e ciò mi è stato recentemente confermato dai miei colleghi arabi, è sempre più ossequiente alle direttive politiche di Londra.

571 3 Per la risposta di Grazzi vedi D. 589.

572 1 Vedi D. 365.

573

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 14518/0156. Ankara, l" novembre 1948 (per. il 5 ).

Alcuni capi missione arabi (Iraq, Libano) mi hanno in questi giorni espresso viva deplorazione per assistenza che, secondo informatori loro Governi, Italia continuerebbe a prestare alla causa sionista.

Ho risposto essere autorizzato a far loro sapere che tali informazioni sono false.

Tutti sappiamo chi presta appoggio ai sionisti e non solo morale, ma di mezzi bellici e finanziari. Ed è dunque pura perdita di tempo cercare di individuare fonti di assistenza già perfettamente note.

Ho aggiunto che nostro atteggiamento è di assoluta obbiettività e inspirato a quei sentimenti di amicizia verso mondo arabo che Governo italiano non manca occasione per riconfermare. Informazioni cui mi era stato fatto cenno sono dunque con ogni probabilità artificiosa invenzione di chi ha interesse a perpetuare malanimo e contrasti fra noi e gli arabi. Mi permettevo in conseguenza di segnalar loro opportunità di porre in guardia rispettivi Governi contro una campagna che è, insieme, antiaraba e antitaliana.

574

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER POSTA AEREA 14622/474. Londra, l" novembre 1948 (per. l '8).

Ho avuto sabato 30 ottobre u.s. lunga conversazione con Massigli. Egli deplora che a causa mancato appoggio dei nostri rispettivi Ministeri degli esteri al tentativo di raggiungere accordo tra tre potenze per risoluzione in Libia 1 , sembrasse esser venuta meno la possibilità di un compromesso con gli anglo-sassoni per il trusteeship italiano della Tripolitania secondo nota formula che, ove migliorata in successive trattative, avrebbe potuto rappresentare una soluzione favorevole che per altre vie o con altri metodi gli sembra assai incerto si possa raggiungere.

Egli infatti non vede quali vantaggi ci possiamo attendere dal rinvio di un anno, senza accordi preliminari, di tutta la questione libica. Tale rinvio, che gli sembra ormai la fatale soluzione a cui l'Assemblea dell'O.N.U. finirà per giungere, sarebbe tutta a nostro svantaggio (dico anche della Francia) poiché nessuno può immaginare che le potenze anglo-sassoni possano rinunziare tra un anno alla Cirenaica come base strategica o, nello stato crescente tensione internazionale, gli inglesi abbiano da trovare un ostacolo da parte delle nazioni occidentali a lavori di carattere militare per scrupoli giuridici. D'altra parte l'Inghilterra male disposta e sospettosa cercherà di legarsi il mondo arabo a nostro scapito con concessioni e promesse delle cui ripercussioni la Francia per prima avrà da soffrire ma che soprattutto renderebbero il nostro ritorno in Tripolitania laborioso e problematico. A queste sue preoccupazioni Massigli dice di avere anche durante l'ultimo periodo richiamato l'attenzione del suo Governo ma le istruzioni venute in proposito (da quanto mi sembrò capire) erano state di rimandare nuove eventuali conversazioni a Londra a dopo le elezioni presidenziali degli Stati Uniti date le speranze diffuse in Italia che nomina Dewey significasse attuazione sua vaga promessa restituzione totale ex colonie italiane2 . Massigli riteneva tuttavia che tale chiarificazione delle intenzioni di Dewey che richiamasse l'opinione pubblica italiana a senso di più precisa realtà non poteva prevedersi certo nelle prossime settimane, mentre era proprio in questo momento che una ripresa delle conversazioni interrotte avrebbe potuto essere utile.

Vedi D. 342.

Quanto ai rapporti di Massigli con il Foreign Office su tale argomento, egli mi lesse la relazione di un suo colloquio con Sargent il 25 settembre u.s. in cui avendogli Massigli osservato che le conversazioni confidenziali non erano state continuate data la fissità degli anglo-sassoni su certi punti, Sargent ribattè che non sarebbe stato impossibile un riesame delle rispettive posizioni (il che del resto corrisponde a quanto pochi giorni dopo ebbe a dire Charles come da telegramma 460 di Anzilotti3). È difficile affermare fino a che punto tali disposizioni del Foreign Office possano essersi modificate dopo le più recenti prese di posizione nei colloqui di Parigi.

Fin qui Massigli. Per parte mia concordo con lui nell'apprezzamento del pericolo che rappresenterebbe un rinvio generico della decisione sul destino della Libia secondo la formula «Somalia adesso, rinvio ad un anno per il resto» e cioè in condizioni di dissenso con gli inglesi e senza un preciso affidamento sull'avvenire della Tripolitania. Comprendo che il Governo italiano non voglia pubblicamente patrocinare una soluzione che contempla la rinuncia sia pure della sola Cirenaica ma d'altra parte mi domando se, visto che siamo convinti che la Cirenaica non la possiamo riavere in alcun caso e che non sappiano sino a che punto possiamo avere nel problema delle colonie l'appoggio degli Stati Uniti, non ci convenga tentare di compensare tale perdita con il riacquisto della Tripolitania e con i possibili vantaggi di una completa chiarificazione dei nostri rapporti con la Gran Bretagna.

Mentre ritengo opportuno astenermi da ogni discussione in proposito con gli inglesi in attesa dello svolgersi degli avvenimenti a Parigi e delle eventuali istruzioni di V.E. mi permetto esprimere la mia convinzione che la cosiddetta formula Massigli, naturalmente migliorata e precisata, non dovrebbe essere del tutto scartata come punto di partenza per una soluzione.

574 1 Si riferisce alla cosiddetta «proposta Massigli» per la quale vedi D. 357.

575

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1412/19301/4099. Parigi, l" novembre 1948 1•

In vista dei nuovi sviluppi della situazione ho ritenuto opportuno andare a vedere di nuovo Bramuglia. Lo ho messo al corrente degli sviluppi della situazione (mie conversazioni con McNeiF e Roberts3 , preoccupazioni e intervento francese,

2 Vedi D. 510.

3 Vedi D. 547.

852 nostre reazioni, tutte cose di cui il sottosegretario Vifioz era già stato messo al corrente da Cernili). Gli ho ripetuto che, per noi, la migliore soluzione resta sempre: Somalia adesso, rinvio del resto: ma che se inglesi erano disposti a negoziare, per avere l'attribuzione subito della Cirenaica, noi avremmo potuto negoziare sulla base: Cirenaica agli inglesi, sbocco al mare limitato al corridoio di Assab per l'Etiopia, Eritrea e Tripolitania a noi e soddisfacente soluzione (qualche cosa di tipo l.R.O.) per i nostri profughi d'Africa. Gli ho ripetuto che in ultima analisi era con gli inglesi che avremmo dovuto negoziare, sia che questo negoziato avesse luogo direttamente, sia che esso avvenisse per il tramite dei francesi o magari di un intermediario benevolo che avrebbe potuto essere anche lui. L'unico atout che si poteva avere in mano per negoziare con gli inglesi era quello di fargli ben chiaramente capire che la loro proposta parziale (Somalia contro Cirenaica) o generale (proposta McNeil) non sarebbe stata accettata dai latino-americani, e sarebbe stata quindi bocciata in Assemblea. Venivo quindi a ripetergli la mia richiesta: parlasse chiaro con gli inglesi per quanto concerneva l'Argentina e facesse il suo possibile per condurre il massimo numero di Stati latino-americani ad associarsi alla sua linea di condotta.

Bramuglia mi ha ripetute le sue assicurazioni, scusandosi meco che, preso come era stato dal suo tentativo di mediazione per Berlino (l'insuccesso gli è molto seccato: l'ho trovato assai montato contro i russi, ma più ancora verso gli inglesi: molto soddisfatto invece dell'atteggiamento americano e francese) non aveva avuto il tempo di occuparsene. Mi ha di nuovo promesso di riunire, nei prossimi giorni, le delegazioni latino-americane e di portarle ad accettare come linea di condotta comune, nel quadro delle buone disposizioni verso di noi, le due alternative, o la nostra proposta originale (Somalia e rinvio) o almeno la nostra proposta minima di settlement generale. Una volta ottenuta una risoluzione concorde, o per lo meno di grande maggioranza (ritiene difficilmente superabile l'opposizione guatemalteca, di potere ottenere almeno l'astensione del Venezuela e del Messico: non capisce l'atteggiamento peruviano) si troverebbe in una situazione più favorevole per trattare cogli inglesi.

Ho insistito perché lo facesse al più presto e col più grande impegno: gli ho spiegato come noi abbiamo parlato e parliamo a tutti i latino-americani, li abbiamo trovati tutti ben disposti, in linea generale, ma si tratta di una negoziazione complessa: non è per noi possibile andare a spiegare tutti i retroscena, tutti gli interessi contrastanti a ventun ministri degli esteri. Lo possiamo fare solo con l'Argentina e col Brasile, per esempio, ossia con due paesi che non solo sono nostri amici ma sono abbastanza dentro la politica internazionale per paterne capire le complicazioni: cogli altri avrebbe molto più efficacemente potuto parlare lui e trovare i migliori argomenti per loro. Mi ha di nuovo promesso di farlo.

Gli ho detto anche delle impressioni francesi sulla necessità di lavorare gli americani: mi ha promesso di parlare anche con loro. Ho cercato di spiegargli il più chiaramente possibile tutta la questione per evitare pasticci e sorprese: mi pare che abbia sufficientemente capito.

574 3 Vedi D. 468.

575 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

576

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1413/19302/4100. Parigi, JD novembre 1948 1•

La presente comunicazione è a complemento di precedente comunicazione per filo2 .

Couve de Murville mi ha ripetute le considerazioni fattemi da Chauvel: da parte mia gli ho confermato nostro punto di vista. Abbiamo passato in esame l'atteggiamento possibile dei vari gruppi di delegazioni. Couve era preoccupato del favore che avrebbe potuto incontrare in Assemblea una proposta sovietica di mandato collettivo: gli ho detto che ritenevo di poter escludere che una proposta di questo genere potesse avere anche solo la maggioranza assoluta: gli Stati latino-americani e, a mia impressione, anche gli Stati arabi non erano disposti a favorire una proposta che, all'atto pratico, avrebbe significato l'introduzione della Russia sul territorio africano.

Maggiore favore avrebbe potuto invece incontrare una proposta di indipendenza per la Libia, proposta che gli Stati arabi si proponevano di avanzare. Nei contatti frequenti che hanno luogo fra Stati arabi e Stati latino-americani, questi ultimi erano stati impressionati dalle affermazioni degli arabi che una Libia indipendente avrebbe potuto prendere degli accordi molto amichevoli con noi e creare una situazione per l 'Italia e per gli italiani molto più favorevole di quella che risultava dalle proposte britanniche. «Nello spirito dell'intervista di Azzam Pascià?» mi ha chiesto Couve, gli ho risposto affermativamente aggiungendo che se si insisteva nelle proposte inglesi gli Stati latino-americani avrebbero potuto orientarsi verso una proposta di questo genere, convinti di lavorare anche nel nostro interesse, e avrebbe potuto essere molto difficile, anche per noi il dissuaderli. (In realtà di questa eventualità mi ha parlato il solo delegato dell'Equador, e sono note le tendenze personali dell'attuale ministro degli esteri dell'Equador. Siccome si tratta della soluzione che più fa paura ai francesi, ho ritenuto opportuno di fame espressa menzione perché si diano maggiormente da fare).

Ho trovato Couve molto meno ottimista di qualche giorno addietro sulle disposizioni degli inglesi. Secondo lui il punto di vista inglese è suscettibile di essere modificato in nostro favore soltanto da una pressione americana, e che era necessario che sia i francesi che noi, appena passate le elezioni ci dessimo da fare per ottenere questa pressione americana: altrimenti bisognava ripiegare sul rinvio di tutto. Gli ho detto che fin dal principio non avevo condiviso l'ottimismo francese sulla possibilità di indurre gli inglesi a più miti consigli: che noi avevamo aderito alla proposta

Vedi D. 544.

francese più per mostrare il nostro spirito di conciliazione, che per vera fiducia nel successo.

Chauvel, che ho visto successivamente, mi ha ripetuto in sostanza le idee di Couve circa la necessità di intervento americano specificando che questo intervento americano avrebbe dovuto aver luogo a Londra e personalmente presso Bevin, poiché Bevin è molto più ricettivo ai suggerimenti americani del Foreign Office e il Foreign Office è a sua volta molto più ricettivo della delegazione britannica a Parigi.

Secondo Chauvel la bestia nera, a questo riguardo, è Cadogan: personalmente molto duro, è duro verso i francesi, verso gli americani ha pochissima simpatia e comprensione per noi, ed ha il più assoluto disprezzo verso gli Stati minori dell'O.N.U., specie i latino-americani: tutta gente secondo lui che deve essere comandata e non corteggiata. Gli ho detto che questo era ben noto ai latino-americani che, di recente, avevo trovati (ed è esatto) molto montati contro gli inglesi. Che era per questo appunto che, personalmente, ritenevo che non bastava la minaccia del fallimento in Assemblea ad indurre gli inglesi a negoziare: essi inglesi avrebbero negoziato solo dopo che avessero visto le loro proposte bocciate dall'Assemblea. (Tutto questo del resto glielo avevo già detto durante la nostra precedente conversazione quando avevo accettato la sua proposta di cercare di negoziare).

576 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

577

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14397/375. Mosca, 2 novembre 1948, ore 0,50 (per. ore 7).

Oggi [l0 ] Molotov ci ha nuovamente convocati ed è ritornato sulle questioni dei termini di consegna chiedendo che alla clausola di consegna del secondo gruppo fosse aggiunta la formula «e non più tardi del l o marzo» e che per il quinto gruppo fosse ugualmente aggiunta la formula «non più tardi del l o maggio». Inoltre ha osservato che nel progetto non si parlava delle altre navi previste dal trattato oltre le trentatre oggi trattate. A questa osservazione gli abbiamo fatto rilevare che il suo passo del 4 ottobre1 accennava ripetutamente alle trentatre navi e che noi avevamo tratto la impressione che il Governo sovietico fosse disposto a compiere un atto simpatico di rinuncia per le rimanenti nel caso che accordo andasse a buon fine per le trentatre. Su tale punto Molotov ha risposto che per ora regolassimo le trentatre navi e che sul resto ci si sarebbe poi trovati d'accordo lasciando così implicitamente intendere che se le trentatre saranno regolarmente consegnate il Governo sovietico consentirà a rinunciare alle altre.

Alla nostra domanda se malgrado tali precisazioni da chiedere a Roma accordo potesse considerarsi raggiunto egli ha risposto affermativamente. I termini di consegna decorreranno quindi da oggi. Riteniamo che termine l o marzo sia senz'altro accettabile perché copre ogni possibile necessario periodo di rimpatrio equipaggi e quanto a termine quinto gruppo suggeriremmo accettare proponendo eventualmente lo giugno anziché l o maggio. Su entrambi punti prego farmi avere urgente risposta telegrafica.

Molotov ha chiesto che gli accordi raggiunti finora venissero fissati in un documento contenente anche i termini di consegna con le precisazioni oggi richieste mentre modalità strettamente tecniche sarebbero definite da ammiragli Rubartelli e Karpounin a Roma sulla base dei due progetti già da essi scambiati e discussi e di cui si dovrebbe fare un testo unico2 .

Abbiamo aderito alla proposta Molotov di firmare un accordo in quanto essa corrisponde al desiderio italiano di consegnare possibilmente navi in base ad uno speciale accordo negoziato e su nostra proposta Molotov ha aderito redigere breve testo che si richiamasse semplicemente ai documenti già scambiati (i quali dovrebbero esservi allegati). Tali allegati sarebbero l'appunto da noi presentato 16 ottobre, progetto italiano riparazioni, risposta positiva Molotov 18 ottobre, e successivo nostro appunto con nostra proposta termini consegna navj3.

Molotov ha domandato poi se e quando intendevamo si pubblicassero accordi. Abbiamo pregato astenersi da qualsiasi pubblicazione fin dopo raggiunto accordo su altre questioni riparazioni, scambi commerciali e trattato commercio a fine presentare opinione pubblica intero quadro questioni risolte. Si è dichiarato personalmente favorevole riservandosi tuttavia riferire suo Governo, e su questo punto naturalmente insisteremo con buona ragione ritenere che sarà concordato. Siamo rimasti intesi che domani potremo senz'altro riprendere trattative per riparazioni e scambi commerciali in modo da raggiungere accordo al più presto. Da ripetute dichiarazioni di Molotov nel corso del colloquio è apparso chiaro che egli intende effettivamente sia raggiunto in breve tempo accordo su tutti i punti conformemente alle nostre esigenze4 .

577 1 Vedi D. 477.

578

IL CONSOLE MANZINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14412/154. Mogadiscio, 2 novembre 1948, ore 8,40 (per. ore 15,30).

3 Vedi rispettivamente D. 521, Allegati I e II e D. 561. 4 Per la risposta vedi D. 592.

De Candole mi ha detto che nell'eventuale trapasso amministrazione comando in capo est Africa assumerebbe tutti i poteri militari e civili Somalia. Nomina brigadiere Gamble semplifica pertanto rapporto con B.M.A. Mi ha lasciato intendere che sostituzione attuale amministratore capo Cirenaica Kirkbride appartenente Colonia! Office è dovuta desiderio Foreign Office sottrarre controllo situazione organi coloniali cui azione non sempre soddisfacente. De Candole in quanto appartenente servizio Sudan dipende direttamente da Foreign Office come pure suo collega Tripolitania Blakeley.

Mi ha spontaneamente dichiarato che esperienza Mogadiscio lo ha convinto possibilità collaborazione con noi e pertanto andrà a Bengasi con proposito operare distensione: sue buone intenzioni (circa le quali mi ha pregato massimo riserbo) sono subordinate istruzioni Foreign Office non ancora ricevute e risultato visita che conta fare Londra fine dicembre. Insieme con Sarubbi che costì occupavasi questioni libiche illustreremo De Candole punti di vista italiani. Prego tuttavia telegrafarmi d'urgenza istruzioni anche su eventuali questioni particolari 2 .

577 2 Con T. s.n.d. 12460/166 del 2 novembre Zoppi dava la sua approvazione.

578 1 Del 31 ottobre, non pubblicato.

579

L'AMBASCIATORE A LIMA, CICCONARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14436/56. Lima, 2 novembre 1948, ore 8,46 (per. ore 7,30 del 3).

Da nuovo mmtstro esteri contrammiraglio Dulanto mi è pervenuta comunicazione relativa formazione nuovo Governo. In essa si afferma che il Governo esercita sua autorità in tutti i territori Stato e che verranno rispettati impegni internazionali. Comunicazione conclude esprimendo desiderio rafforzare relazioni cordiali esistenti con nostro paese.

Con mio telegramma 55 1 ho riferito circa atteggiamento del Governo nord americano che probabilmente eserciterà influenze su altri paesi soprattutto -latino americani che parteciparono Conferenza Bogotà. Anche Governo spagnolo ha proceduto riconoscimento.

Confermo mio parere già espresso che non ci convenga ritardare ripresa dei rapporti con Governo attuale tenendo presente specialmente nostro interesse favorevole disposizione nei nostri riguardi da parte Perù ed altri paesi America latina presso O.N.U. ed importanza nostra politica in questo paese.

Mi astengo rispondere comunicazione ministro degli affari esteri innanzi citata in attesa istruzioni telegrafiche V.E. 2 .

578 2 Per la risposta vedi D. 591.

579 1 Del l" novembre, con il quale Cicconardi aveva segnalato che il Governo statunitense intendeva mantenere le relazioni diplomatiche con il nuovo Governo peruviano, adottando così la raccomandazione della Conferenza di Bogotà circa l'opportunità di non interrompere i rapporti con Governi formatisi a seguito di movimenti rivoluzionari. Ciò non implicava alcun riconoscimento della legittimità del nuovo Governo.

580

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. PERSONALE 1• Roma, 2 novembre 1948.

In relazione alla tua lettera del 18 ottobre u.s.2 , ti accludo una copia del rapporto di Marras sul suo viaggio in Germania e sui suoi colloqui con Clay.

Questi ultimi hanno certo avuto soltanto un carattere generale ed orientativo, ma, svoltisi in una atmosfera di grande cordialità e comprensione, hanno confermato l'interesse dei militari americani per questi contatti e la possibilità di buoni sviluppi e di intese che potranno aversi con le ulteriori conversazioni di Marras costì.

Circa le istruzioni che verranno date a Marras per queste ultime ti scriverò a suo tempo, dato il recente rinvio della visita.

ALLEGATO

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, MARRAS, AL MINISTRO DELLA DIFESA, PACCIARDI

R. 682/RP/CSM. Roma. 7 ottobre 1948.

A seguito del mio rapporto verbale riferisco sul mio viaggio in Germania ieri concluso.

Scopo essenziale del viaggio era il colloquio col generale Clay, il quale è stato preceduto da una visita a reparti e centri di istruzione americani in Germania. In particolare mi sono incontrato a Heidelberg col generale Huebner, vice governatore militare e comandante delle forze terrestri statunitensi in Germania, ho potuto compiere accurate visite a unità della I Divisione fanteria e della Constabulary Division dove si svolgono anche corsi per ufficiali e sottufficiali italiani.

Particolare attenzione è stata dedicata all'esame della organizzazione dei rifornimenti aerei per i settori alleati della città di Berlino.

Nel corso del mio giro una giornata è stata dedicata, in base ad accordi intervenuti fra le autorità militari americane e francesi, alla visita al Comando delle truppe di occupazione francesi in Germania nella sede di Baden Baden.

Con l'occasione il comando francese ha tenuto a farmi visitare un reggimento blindato di dragoni e mi ha fatto assistere ad una esercitazione sul Reno, la quale comprendeva il traghettamento di carri armati Sherman e il passaggio di un reparto attraverso il fiume, mediante imbarcazioni d'assalto.

2 Vedi D. 523. Sullo stesso argomento vedi anche il D. 460.

Alla visita e al colloquio con il generale Clay è stato riservato il penultimo giorno della mia permanenza in Germania. Tale visita compiuta a Berlino, sede normale del Governo militare, e l'occasione è stata utilizzata per farmi vedere, anche all'aeroporto di Tempelhof, l'organizzazione dei rifornimenti.

È stata evidente l'intenzione di far precedere il mio colloquio dalla visita alle truppe e alla organizzazione del ponte aereo. Su questa visita alle truppe ritorno più innanzi ma metto subito in rilievo l'alto grado di efficienza dei reparti americani dislocati in Germania.

Durante il soggiorno a Berlino, data la presenza del governatore britannico generale Robertson, mi è stata rappresentata l'opportunità di fargli visita e io ho ritenuto necessario aderire. Questa visita ha avuto puro carattere di cortesia e su di essa non avrò più necessità poi ritornare.

Vengo ora al colloquio col generale Clay il quale ha avuto la durata di oltre un'ora e si è svolto in una atmosfera di grande sincerità e di piena cordialità.

Il generale Clay ha avuto parole di riconoscimento e di felicitazioni per i progressi realizzati dall'esercito italiano, e ha chiesto informazioni sui programmi in corso per lo sviluppo dell'esercito; gli ho dato convenienti orientamenti al riguardo mettendo in evidenza il problema della provvista dei materiali di armamento ed equipaggiamento occorrenti, la importanza militare dell'Italia e l'affidamento che deve farsi sull'esercito italiano.

Passando all'esame della situazione generale, il generale Clay mi ha confermato la ferma decisione di sostenere le posizioni di Berlino, mi ha accennato alle trasformazioni in corso delle truppe di occupazione americane e al loro progressivo sviluppo d'efficienza il quale dovrebbe consentire in avvenire possibilità operative migliori di quelle attuali. Il generale Clay ha concordato circa l'importanza della difesa delle Alpi settentrionali e circa la necessità di un sollecito coordinamento dei piani operativi tra la fronte italiana, ivi compresi le truppe del Territorio Libero di Trieste, la zona francese e la zona americana di Berlino.

Orientato circa le circostanze interne le quali si oppongono attualmente a impegni politici da parte dell'Italia egli ha riconosciuta la necessità che i piani militari tengano conto del possibile concorso dell'Italia, egli ha prospettato l'opportunità che conversazioni militari abbiano luogo prima di eventuali accordi politici e ha espresso il parere che tali conversazioni potrebbero essere tenute anche a breve scadenza.

Alle conversazioni dovrebbero partecipare anche le autorità militari francesi. Il gen. Clay ha aggiunto che avrebbe egli stesso promosso una sollecita riunione ove i recentissimi accordi militari dell'Unione Occidentale non avessero in parte sottratti alla competenza dei governatori militari della Germania questi problemi operativi. Perciò egli sente la necessità di riferirne al generale Bradley.

Mi consta che nel giorno stesso del colloquio il generale Clay ha riferito telegraficamente a Washington. Il colonnello Willems mi ha informato che il generale Clay si è dichiarato molto soddisfatto della conversazione.

Per quanto riguarda le forniture di materiali il generale Clay mi ha detto che la soluzione deve vedersi in una nuova legge di «Affitti e Prestiti» verso la quale si sta orientando il Governo statunitense. Ma, egli ha aggiunto, una legge siffatta non potrebbe essere ormai approvata se non dopo le prossime elezioni politiche presidenziali negli Stati Uniti.

Col generale Guillaume mi sono intrattenuto durante il corso della visita ai reparti francesi nella quale egli mi ha accompagnato. Egli ha preso parte alle operazioni in Italia e da quanto mi risulta dimostrò già allora molta comprensione e simpatia per le truppe italiane. Mi ha dichiarato i suoi sentimenti di amicizia per l'Italia e di apprezzamento per l'esercito italiano e mi ha sinceramente e liberamente parlato di tutte le difficoltà che incontra e dei problemi che si presentano all'esercito francese, molto simili ai nostri problemi. Egli ha anche espressa l'opinione che fra le truppe francesi dislocate in Germania e quelle italiane debba essere per il caso di guerra predisposto un stretto coordinamento.

A questa visita il generale Clay ha voluto dare molto risalto esteriore. Sono stato ovunque ricevuto con reparti di onore musica e bandiera e talvolta anche salve di artiglieria. Mi sono stati presentati e fatti passare in rivista reggimenti ed altre unità. Ho potuto visitare minutamente caserme con le unità pronte come per una ispezione. Sono stati esposti dati particolareggiati sulla costituzione della Constabulary Division e sulle trasformazioni in corso. Ho avuto larghezza di ospitalità e inviti che hanno dato occasione a scambio di brindisi molto cordiali. Anche il mio viaggio a Berlino è stato compiuto senza alcuna riservatezza. Con qualche sorpresa ho trovato al mio arrivo a Tempelhof schierata la guardia particolare del generale Clay, la quale si è esibita in esercizi formali dimostrando precisione e anche virtuosismo eccezionali. Analoghi onori alla partenza. È stato dunque manifesta l'intenzione di rendere un omaggio all'esercito italiano. Il generale Clay al quale non ho mancato di esprimere i miei ringraziamenti mi ha detto di aver disposto che mi venissero resi gli onori che spettansi ai più alti generali.

Durante tutto il viaggio sono stato accompagnato dal colonnello Willcms il quale ha confermato le sue doti di grande tatto, di capacità e di organizzazione. Ho avuto numerosi contatti con ufficiali occupanti elevate cariche. Qualcuno mi ha espresso il parere che J'ingranamento dell'Italia nell'Unione Occidentale possa avvenire in secondo tempo.

Molta importanza sembra attribuirsi alle ultime riunioni dei ministri e capi militari dei cinque Stati dell'Unione Occidentale. Con la nomina dei capi militari dell'Unione, nomina nella quale la Francia è riuscita ad assicurarsi una parte importante, sembra sia stato fatto il primo vero passo per il funzionamento pratico della Unione. Gli Stati Uniti, come è noto, non fanno parte della Unione ma esercitano la loro influenza.

Ufficiali e truppe americane si presentano in modo eccellente, anche per la perfetta tenuta, e sono animati da un elevato spirito c sempre pronti a battersi. La situazione generale attuale viene considerata seria, ma non ho rilevato alcun sintomo di psicosi di guerra, neanche in Berlino. Il generale Clay, nei riguardi delle forze attribuite all'esercito sovietico, senza pronunciarsi sulla loro entità, ha rilevato che il numero delle divisioni sovietiche accertate nella Germania orientale è soltanto di venticinque con effettivi pare, non comparabili a quelli delle divisioni americane.

In sintesi, dal colloquio col generale Clay devono ritenersi i seguenti punti:

-riconoscimento della funzione dell'esercito italiano nella difesa dell'Europa occidentale;

-possibilità di contatti e di accordi militari anche in precedenza di accordi politici;

-possibilità di conversazioni militari anche a breve scadenza, non appena Washington approvi le proposte del generale Clay; -prospettiva di forniture di materiali attraverso una tùtura legge di affitti e prestiti.

Non è fuor di luogo aggiungere che il generale Clay ha dimostrato molto interesse ai programmi del riordinamento del!' esercito italiano e la speranza che questi non subiscano alcun rallentamento.

Sarebbe per mia parte imprudente fare una valutazione eccessiva dei risultati del1a mia visita. Penso che essi siano certamente positivi, ma sui risultati effettivi soltanto gli ulteriori sviluppi potranno dare una concreta valutazione.

579 2 Per la risposta vedi D. 590.

580 1 Questa lettera arrivò il 2 novembre alla firma di Zoppi con la segnalazione che il rapporto di Marras era già stata inviato a Londra, Parigi e Washington, con Telespr. 3/1423 del 22 ottobre, e Zoppi pertanto ne sospese l 'invio.

581

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 2 novembre 1948.

L'ambasciatore Mallet è venuto a comunicarmi 1 commenti del Governo britannico al nostro Memorandum del 24 agosto 1• Mi ha letto due lunghe pagine dattilografate che riassumo.

Il Governo inglese ringrazia V.E. per la cortese comunicazione del Memorandum diretto al Governo di Parigi e rileva che per parte sua non ha mancato di adoperarsi per favorire la collaborazione europea: cita ad esempio la fattiva opera data per la istituzione prima e l'attività poi dell'O.E.C.E.

Il Governo britannico ritiene che promuovere l 'Unione Europea partendo dai sedici paesi dell'E.R.P. non sia cosa pratica: sarebbe una unione «too scattered». Sono citati ad esempio di tale assunto la Turchia, la Grecia, l'Austria. Anche per questa ragione il Governo britannico è contrario a dare ali'O.E.C.E. compiti politici oltrechè economici. A questo punto ho osservato a Mallet -che del resto lo ha subito rilevato-che deve esservi un malinteso. Noi abbiamo proposto di prendere a base di un primo nucleo della Unione Europea i paesi che collaborano nell'O.E.C.E., ma non di dare ali'O.E.C.E. anche compiti politici, tanto è vero, gli ho detto, che abbiamo previsto, accanto e parallelo all'O.E.C.E. un organo apposito e analogo di cooperazione nel campo politico. Mallet chiarirà questo punto al suo Governo. Ha però osservato che questo organo politico dovrebbe in ogni caso essere meno largo di quello economico, ossia comprendere un minor numero di paesi. Il Governo britannico -ha sottolineato -tende a cominciare dal poco e ad estendere gradatamente e a ragion veduta. Così non è in principio contrario a rendere permanente l'O.E.C.E. come organo di cooperazione economica, ma si lascerà guidare dalla esperienza e poiché da qui al 1951 vi è tempo, non ritiene di dover fissare subito la sua posizione al riguardo. Come strumento di cooperazione politica -prosegue il commento che Mallet illustra -il Governo britannico persiste nella sua idea di partire dal «nucleo di Bruxelles». Il signor Bevin ha recentemente proposto, al Comitato dei Cinque, di creare appunto un Comitato politico che potrebbe comprendere anche qualche altro paese europeo non facente parte della alleanza di Bruxelles, e questo progetto potrebbe in qualche modo -constatiamo insieme -venire incontro alla nostra iniziativa. Il signor Bevin si riserva di concretare meglio le sue idee dopo che saranno parse chiare le conseguenze delle elezioni americane.

Il Governo britannico condivide il nostro punto di vista che l 'Unione Europea deve essere creata poco per volta attraverso realizzazioni pratiche e non «incominciando dal tetto».

Si può concludere: l) che Bevin rimane fedele alla sua creatura e cioè al Patto di Bruxelles e intende fame l'embrione della futura Unione Europea;

2) che il Governo britannico è contrario a includere sin da ora in questa Unione tutti i paesi dell'E.R.P. Esso intende quindi passare attraverso tre stadi: Unione di Bruxelles -Unione Occidentale -Unione Europea. Il secondo stadio dovrebbe consentire l'inclusione di quei paesi che-come l'Italia-non sono, per qualsivoglia motivo, entrati nel primo nucleo dei pionieri di Bruxelles;

3) che tuttavia pur con l'empirismo proprio della mentalità britannica da parte inglese si tende ormai a fare qualche passo innanzi e che i progetti di Londra se pure non collimano coi nostri vengono in certo modo incontro a quelli da noi avanzati.

Insieme con Mallet abbiamo constatato che i due Governi si trovano d'accordo in varie premesse, soprattutto nelle opportunità se si vuole arrivare a risultati concreti, di distinguere fra utopie e realtà, e di procedere con la necessaria gradualità e praticità. Che pur partendo da due stazioni differenti, E.R.P. e Bruxelles, ci si può sempre incontrare a mezza via. Mallet avrebbe riferito a Londra queste comuni constatazioni.

581 1 Vedi D. 350, Allegato.

582

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1114/19430/4116. Parigi, 2 novembre 19481•

Raynor (Dipartimento di Stato West European Division) mi ha confermato che il progetto di Patto atlantico prevede l'indipendenza del Patto di Bruxelles, nel senso che l'appartenenza al Patto atlantico non significa, ipso facto, l'appartenenza al Patto di Bruxelles. Secondo lui, invece, il testo del Patto atlantico non è ancora fissato nei suoi dettagli: da parte europea si vorrebbe che esso fosse più preciso, sulle linee del Patto di Bruxelles: da parte americana si preferirebbe una redazione più loose come quella del Patto di Rio de Janeiro. Ha confermato che il principio, sia del Patto atlantico che dell'aiuto americano all'Europa, è ormai acquisito, come politica bipartisan e che farà oggetto di un programma concreto che sarà sottoposto al più presto al Congresso, difficilmente però prima della installazione della nuova amministraZlOne.

Raynor essendo al corrente sia della conversazione Tarchiani-Hickerson2 , sia dei suoi colloqui con MarshalP, gli ho chiesto se Hickerson parlando con Tarchiani intendeva che noi dovessimo aderire al Patto atlantico o a quello di Bruxelles o a tutti e due. Raynor mi ha detto di non potermi dare al riguardo una risposta categorica, ma di dover supporre che da parte americana si intendeva l'adesione al Patto atlantico: «Noi non siamo partecipanti al Patto di Bruxelles, saremo invece partecipanti del Patto atlantico: mi sembra difficile che noi insistiamo per il vostro ingresso in un patto di cui non siamo parte e nel cui membership per questo stesso non abbiamo tanto diritto di interferire» (Mi sembra comunque sarebbe necessario chiarire questo punto a Washington, sebbene l'opinione di Raynor mi sembri plausibile).

Circa la questione delle colonie mi ha detto che con lui, come membro della Western Division, non avevo bisogno di perorare il punto di vista italiano: che effettivamente la Middle East Division era più o meno d'accordo con il progetto britannico quale ci era stato presentato da McNeil4 : che an higher leve/ non si era presa nessuna decisione fra le due tendenze del Dipartimento di Stato: che era assai difficile che una decisione fosse presa prima delle elezioni: che non era impossibile che di fronte alla difficoltà del problema si finisse per orientarsi verso un rinvio generale di tutta la questione: che sebbene egli vi fosse personalmente favorevole, riteneva difficile ottenere che an higher leve/ ci si decidesse a fare sugli inglesi la pressione che sarebbe stata necessaria per ottenere la loro adesione al progetto Somalia a noi adesso e rinvio del resto.

2 Vedi D. 486.

3 Vedi D. l.

4 Vedi D. 510.

Circa il telegramma ministeriale n. 8125 mi ha detto che se l'ambasciata di Washington si riferisce ad un nuovo tentativo da parte della Western Division di indurre a idee più favorevoli a noi la Middle East Division, è esatto, sebbene finora con scarso risultato. Se si riferisce invece ad una evoluzione an higher leve! in nostro favore essa è per lo meno molto ottimistica e comunque non ha avuto occasione di constatarla, almeno qui a Parigi.

582 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

583

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2746/1594. Sofia, 2 novembre 1948 (per. il 9).

Telespresso di codesto Ministero segr. pol. n. 1427 in data 12 ottobre u.s. 1 .

Questo ministro d'Albania H e ba essendo di nuovo assente da Sofia (pare trovasi a Parigi in relazione alle discussioni sul rapporto dell'Unscob), e non sembrando prossimo il suo ritorno, ho eseguito le istruzioni impartitemi parlando con il funzionario lasciato qui come incaricato d'affari, certo sig. Antoni, che appare essere uomo di fiducia di Heba, con il quale è stato in servizio al Ministero degli esteri albanese quando Heba vi copriva la carica di segretario generale.

Il sig. Antoni si è mostrato al corrente in via generica delle conversazioni che avevo avuto con il ministro Heba, ed in particolare della richiesta rivoltaci dal Governo di Tirana per l 'invio di una commissione albanese in Italia in relazione all'applicazione dell'art. 78 del trattato di pace.

Gli ho chiesto inizialmente se avesse ricevuto istruzioni da Tirana su comunicazioni da farmi; ed alla sua risposta negativa gli ho fatto notare che, mentre da parte del Governo di Roma si aveva cura di rispondere a quanto fatto presente dagli albanesi, da parte di Tirana invece si era sinora mancato di fare sapere quale fosse il pensiero del Governo albanese circa la progettata ripresa dei rapporti diplomatici con l'Italia, e non si era data alcuna risposta in merito alla richiesta di rimpatrio degli italiani trattenuti in Albania, richiesta che era stata all'origine dei nostri colloqui.

Il sig. Antoni ha scusato il silenzio del suo Governo protestando le solite difficoltà e ritardi nelle comunicazioni.

Ho tenuto, proseguendo, a rettificare, non a titolo di polemica ma soltanto di precisazione, l'affermazione fattami dal sig. Heba su una pretesa cattiva volontà da parte nostra di accogliere in Italia la missione albanese che avrebbe dovuto costituire il pendant della missione Turcato a Tirana; e, sulla scorta degli utilissimi elementi contenuti nel resoconto cronologico trasmessomi da codesto Ministero, gli ho

583 Vedi D. 506.

863 mostrato che in quell'epoca da parte italiana si era fatto il possibile per facilitare la venuta in Italia di detta missione, e che il ritardo fu dovuto esclusivamente a lungaggini della Commissione alleata di controllo, che doveva allora, in base all'armistizio, autorizzare ogni viaggio di stranieri in Italia. Il sig. Antoni ha preso nota di ciò; ma ha osservato che in tempi più recenti altre richieste di invio di missioni albanesi in Italia non avevano avuto esito favorevole; comunque mi ha chiesto quale fosse il pensiero del Governo italiano circa la recente proposta albanese2 di inviare una piccola missione albanese in Italia in relazione all'applicazione dell'art. 78 del trattato di pace.

In base alle istruzioni di codesto Ministero', gli ho detto che il Governo italiano, ribadendo quanto già espresso in precedenti occasioni analoghe, non poteva prendere in considerazione tali richieste prima che il Governo di Tirana avesse dato prove tangibili ed effettive di voler risolvere la dolorosa questione degli italiani trattenuti in Albania contro la loro volontà.

Ho aggiunto, in base al telegramma di VE. n. 37 del 30 luglio u.s. 3 , che, come avevo già detto al sig. Heba, se si fosse potuto giungere ad uno scambio di missioni e se quindi fosse stato possibile ad una missione italiana a Tirana di interessarsi sul posto agli italiani trattenuti in Albania, è chiaro che il problema del loro rimpatrio avrebbe perduto parte della sua acutezza e la sua soluzione non avrebbe più costituito una pregiudiziale per l'esame degli altri problemi relativi all'applicazione del trattato di pace. Ma su tale scambio di missioni aspettavamo ancora di conoscere il pensiero del Governo di Tirana.

Il sig. Antoni ha preso nota di quanto comunicatogli. Anch'egli, come già il ministro Heba, ha poi ripetuto che nessun italiano è trattenuto in Albania contro la sua volontà. Ho tagliato corto alle sue affermazioni, dicendo che anche se questi italiani avessero firmato dei contratti di lavoro o di ingaggio non avremmo potuto considerare tali contratti validi, in quanto era troppo chiaro che detti contratti erano stati finnati in un'atmosfera di costrizione. Gli ho aggiunto che avevamo un lunghissimo elenco di persone, famigliari di italiani trattenuti in Albania, che implorano il ritorno dei loro congiunti, lontani ormai da anni dalla patria, e indubbiamente desiderosi di ritornare in Italia; per ragioni ovvie non intendevamo far i nomi. D'altra parte conoscevamo il trattamento fatto a molti

italiani in Albania, trattamento che consigliava il loro rimpatrio al più presto possibile. Gli ho anche letta parte della lettera trasmessami da codesto Ministero con telespresso n. 7114374/4271 del 14 ottobre u.s. 4 , mantenendone riservato il firmatario. Dovevamo quindi insistere sulla nostra richiesta di rimpatrio.

Il sig. Antoni mi ha detto che avrebbe riferito al suo Governo quanto comunicatogli.

Vedi D. 259.

Non rinvenuto.

La conversazione, durata oltre un'ora, è stata mantenuta in termini di cordialità. L'An toni parla in italiano, e ricorda con gratitudine i suoi professori italiani, alcuni dei quali ~egli ha detto ~sono ancora in Albania e non desiderano ritornare in Italia.

In relazione a quanto richiestomi nell'ultimo periodo del telespresso in riferimento, sarei del sommesso avviso, almeno allo stato delle cose, di non interessare il Governo bulgaro alla questione degli italiani in Albania. Finché infatti mi è possibile di parlare direttamente con questa legazione d'Albania non vedrei quale utilità vi sia a interessare anche questo Ministero degli esteri bulgaro che, nell'ipotesi più favorevole, data la notoria insufficenza del ministro bulgaro a Tirana, intratterrebbe al riguardo la stessa locale legazione d'Albania, producendo così confusione e doppiando le conversazioni che mi è stato sinora possibile avere direttamente con essa.

Posso aggiungere che, allo stato attuale dei rapporti italo-bulgari da un lato e albano-bulgari dall'altro, rapporti ovviamente influenzati dalla situazione politica generale, sarebbe vano attendersi eventualmente da questo Governo non dico un interessamento efficace ma soltanto qualche cosa di più che di funzionare da semplice passa-carte.

Ho eseguito le istruzioni di cui al telespresso in riferimento. Ma mi sembrerebbe di mancare al mio dovere se non facessi osservare a codesto Ministero che la linea prescrittami mi sembra eccessivamente rigida, e tale da rendere più arduo il raggiungimento dello scopo, e cioè il rimpatrio al più presto possibile di una parte notevole dei 600 italiani ancora rimasti in Albania.

Con il mio precedente rapporto n. 2271/1338 del 10 settembre u.s.Z ho già accennato quale, sulla base di indizi, sembra attualmente essere la situazione politica in Albania, dove al vuoto lasciato dalla Jugoslavia pare si vada sostituendo l'U.R.S.S., con i suoi esperti tecnici, con i suoi ufficiali, con i suoi rifornimenti, con la sua influenza in ogni campo. Codesto Ministero avrà forse sulla situazione in Albania maggiori e più esaurienti elementi di giudizio; e sarei anzi grato se, per mia conoscenza, e norma, mi fosse possibilmente comunicato se e quanto le mie induzioni sono esatte.

Comunque, in base a quanto posso da qui intuire, e data la tenuità del filo che lega questa legazione a quella locale albanese, l'atteggiamento da noi adottato, di non prendere cioè in considerazione alcuna richiesta albanese prima che Tirana abbia dimostrato buona volontà nella questione del rimpatrio degli italiani trattenuti, potrebbe provocare la cessazione dei contatti qui stabiliti; e non vedo con quale vantaggio per la soluzione della questione che ci sta a cuore.

Con questi regimi di democrazia popolare, sostanzialmente di tirannia poliziesca, nei quali non si ha alcun rispetto per la personalità umana e si scherniscono quasi le ragioni di umanità, è vano far presente che una determinata questione umanitaria va risolta prima di altre a carattere economico. Tirana può opporre alla nostra pregiudiziale circa il rimpatrio degli italiani la sua pregiudiziale circa gli interessi che le stanno a cuore; o può anche non rispondere nulla, perché sa che non abbiamo modo di esercitare pressioni su di essa.

Forse ~ ripeto ~ codesto Ministero ha maggiori elementi di giudizio di quanti non ne abbia io qui; ma, in base a quello che so, debbo chiedermi se non sarebbe per noi più vantaggioso adottare una linea di condotta più elastica di quella risultante dal telespresso in riferimento. Non voglio con ciò dire che dobbiamo senz'altro accogliere la richiesta recentemente fattaci dagli albanesi; ma perché non si dovrebbe ad esempio tentare di subordinare la venuta in Italia di una commissione albanese a scopo economico al consenso albanese di accogliere a Tirana una nostra missione avente lo scopo di curare sul posto il rimpatrio degli italiani ed in genere di prendere contatto con gli italiani di Albania per assisterli e migliorame in quanto possibile le sorti?

Mi permetto suggerire quanto precede perché dai contatti qui avuti ho la sensazione che per vincere la cattiva volontà albanese sarebbe necessario mostrar loro di venire incontro a qualche loro interesse. Altrimenti si verrà a recidere anche il tenue filo di queste conversazioni, e verrà ancora rinviata chissà per quanto tempo la soluzione del doloroso problema che ci sta a cuore.

Resto in attesa di comunicazioni 5 .

582 5 Del 28 ottobre, ritrasmetteva il D. 558.

583 2 Vedi D. 410.

584

IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. Parigi, 2 novembre 1948.

Je n'ai pas besoin de vous dire combien j'ai été sensible à votre lettre du 24 Aoùt demier 1 , don t je vous remercie très vivement. Vos sentiments à l'égard de l'Union européenne m'étaient connus depuis longtemps, tant par vos déclarations publiques que par les ouvrages où vous avez eu l'occasion de les exposer incidemment et que j'ai toujours lus avec soin lors de leur publication. Le memorandum2 que vous avez bien voulu me faire tenir par l'intermédiaire de votre ambassadeur ne pouvait donc que retenir toute mon attention, et je vous suis particulièrement reconnaissant d'avoir réservé au Gouvemement français la première communication des vues qui sont les vòtres sur un sujet d'une importance aussi essentielle pour nos deux pays.

Ainsi que vous le savez, j'ai pris soin de tenir M. Quaroni exactement informé, directement ou par l'intermédiaire de mes services, du développement de l'initiative que le Gouvemement français, de concert avec le Gouvemement beige, a prise en cette matière devant le Comité permanent qui représente à Londres les cinq Puissances signataires du traité de Bruxelles. Cette initiative avait pour but essentiel de transporter sur le plan officiel des discussions qui se sont pursuivies jusqu'à maintenant au sein d'organisations privées, et qui ont permis de dégager, au sei n des nations européennes, un courant d'opinion suffisamment puissant pour justifier un te l

2 Vedi D. 350, Allegato.

pas en avant. Vous pouvez ètre assuré que votre ambassadeur continuera à ètre tenu au courant en détail des progrès que nous espérons réaliser dans ce domaine, notamment après la récente réunion à Paris des cinq ministres des affaires etrangères de l'Union occidentale. Vous pouvez ètre convaincu également que je souhaite sincèrement, pour ma part, associer l'Italie, aussitòt que faire se pourra, dans ce domaine comme en d'autres, aux études que nous poursuivons.

Vous m'avez indiqué que vous espériez trouver quelque occasion de conférer librement avec moi sur tous ces problèmes. En ce qui me concerne, c'est avec une très vive sympathie que j 'envisage une te Ile recontre, à laquelle nous pourrions dès maintenant songer de façon plus précise. Je n'oublie point la clairvoyance prophétique dont vous avez fait preuve pendant les longues années de votre sèjour en France, à la veille de la seconde guerre mondiale, clairvoyance dont vos déclarations et vos articles d'alors conservent le témoignage et je suis convaincu que, d'une discussion avec vous sur certe question de l 'Union européenne qui nous tient à coeur, résulteraient, pour les idées que nous défendons, de réels avantages.

583 5 Per la risposta vedi D. 670.

584 1 Vedi D. 351.

585

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14467/873. Washington, 3 novembre 1948, ore 14,16 (per. ore 8 del 4).

Malgrado risultati ufficiali elezioni ancora incompleti, vittoria partito democratico ormai assicurata. Truman ha vinto battaglia, sostenuta vigorosamente quasi da solo, conquistando anche Congresso. Tele vittoria ha sconvolto qualsiasi previsione. Giornali stamane portano ancora editoriali presupponenti vittoria Dewey. Cause sorprendente risultato: timore reazione repubblicana specie campo lavoro, scarsa popolarità Dewey sospetto ai farmers come rappresentante interessi consumatori Stati est, simpatia Truman assertore diritto lavoro, fustigatore Congresso per inazione lotta contro carovita, promettitore indennità ai farmers caso crisi eccesso produzione.

Tali risultati dimostrano profonda sanità e maturità regime democratico americano. Risposta elettorato, malgrado pressioni esercitate da forze conservatrici e capitalistiche attraverso largo impiego fondi e quasi monopolio organi informazione pubblica in favore partito repubblicano, prova che popolo americano è veramente libero ed intende andare avanti nel conseguimento fini politici economici sociali ed internazionali di Roosevelt.

Rispetto interessi italiani, successo democratico giova fini nostra politica interna spuntando accuse reazioni in America. Truman e tutta sua amministrazione, che ci furono nell'insieme sempre favorevoli, rimangono nostra portata in suoi principali elementi.

Sul piano della politica estera, permanenza ammm1strazione democratica assicura continuità indirizzi evitando, in attuale tesa situazione internazionale, pericoli incertezze fase transizionale.

Non si esclude naturalmente, d'ora in poi, con accresciuta autorità, maggiore intervento personale Truman in politica estera. Però, specie rimanendo Marshall, non dovrebbero mutare direttive generali predominanti finora.

586

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 3 novembre 1948.

Nei prossimi giorni (8-1 O novembre) verrà a Roma il ministro degli affari esteri austriaco Gruber.

La visita darà occasione a scambi di vedute di carattere generale sulla situazione dell'Austria e in particolari sui rapporti itala-austriaci.

Con l'occasione verranno firmate due Convenzioni: l'una relativa al transito ferroviario facilitato per la Val Pusteria che costituisce l'unico collegamento diretto attraverso l'Italia tra il Tirolo settentrionale e il Tirolo orientale-e l'altra relativa al transito stradale sullo stesso percorso'. Entrambe queste Convenzioni erano previste dagli accordi De Gasperi-Gruber di Parigi del 1946.

Si allega un dettagliato appunto dell'ufficio competente2 .

ALLEGATO

CENNI SOMMARI SUI RAPPORTI ITALO-AUSTRIACI

La visita a Roma del ministro degli esteri d'Austria Karl Gruber è la prima visita ufficiale compiuta in Italia da un membro del Governo della seconda Repubblica federale austriaca. A parte la injòrmal visit fatta da Gruber a Washington nel 1946 ed i suoi ripetuti viaggi ufficiosi a Londra e a Parigi (in relazione alla preparazione del trattato di pace per l'Austria), questa è anche la prima visita ufficiale che egli compie all'estero nella sua veste di ministro degli esteri.

2 Di tale appunto segreto, presumibilmente predisposto dall'ufficio V della Direzione generale degli affari politici, si pubblica solo la prima parte (vedi Allegato). Sono omesse la seconda parte intitolata «Cenni biografici sul ministro Grubem e la terza avente ad oggetto «Commento all'agenda dei colloqui del ministro Gruber proposta dal Governo austriaco [Vedi D. 498, nota 2] e da noi accolta con la riserva che le questioni tecniche inerenti all'applicazione dell'Accordo De Gasperi-Gruber non saranno discusse nel merito ma saranno oggetto solo di una enunciazione indicativa ai fini di un successivo esame da parte di esperti italiani ed austriaci, in sede e momento da convenirsi».

Questa visita avviene ad undici anni di distanza dall'ultima visita in Italia di un altro uomo politico austriaco: la visita fatta da Schuschnigg a Mussolini nel 19373 . Da allora ad oggi molta acqua è passata sotto i ponti del Danubio e del Tevere ma il problema dei rapporti itala-austriaci s'impone a noi, oggi come ieri, con la forza di una «costante» geografica e storica e con in più l'insegnamento della seconda guerra mondiale: l'insegnamento che l'indipendenza e la libertà dell'Austria rappresentano un fondamentale interesse italiano e questo in funzione dell'equilibrio generale europeo come in relazione alla pressione, sia germanica che slava, sui nostri confini.

Tale «costante» agisce ovviamente anche nei confronti del!' Austria che, oggi forse più che ieri, ha un interesse a volgersi verso l'Italia circondata com'è da satelliti sovietici. Le settimane che vanno dal 20 febbraio al 18 aprile di quest'anno, cioè da colpo di Stato cecoslovacco alle elezioni italiane, sono state fra le più nere di Vienna. Superato tale periodo, che ha segnato un massimo di depressione, l'Austria ha iniziato una lenta ripresa. Le sue condizioni appaiono oggi molto meno tragiche di quelle della Germania.

Del resto il problema austriaco si presenta con aspetti solo apparentemente analoghi ma in realtà alquanto diversi da quello germanico. In Austria vi è un Governo unico riconosciuto da tutti gli Alleati che, bene o male, funziona con una certa sfera di autonomia. Vi è una unità amministrativa e politica del paese e la sua integrità territoriale, nei confini del Trattato di San Germano (salvo le rivendicazioni jugoslave sulla Carinzia meridionale) è stata riconosciuta dalla stessa Russia. A ciò si aggiunge una situazione interna stabile con un blocco democristiano-socialista con salde radici nel paese e forte alla Camera di 161 voti contro 4 comunisti nonché una situazione economica ed alimentare in lento ma progressivo miglioramento dopo il cambio dello scellino e l'afflusso degli aiuti diretti americani e dei contributi E.R.P.

Queste in breve, le luci del quadro. Le ombre sono troppo note perché occorra ricordarle: il ritardo d1 un trattato, che gli austriaci non chiamano trattato di pace ma trattato di Stato (Staatsvertrag), che restituisca ali' Austria la piena sovranità ed indipendenza e segni la fine dell'occupazione quadripartita. Finché duri la quale Vienna è nella stessa situazione di Berlino e vive sotto la minaccia che il sipario di ferro possa calare e separarla dal resto del paese.

In tale situazione l'Austria ha solo due frontiere aperte verso l 'Occidente: la svizzera e l'italiana.

Pertanto il viaggio di Gruber a Roma, che segue quello del cancelliere Figi a Bema, ha suscitato molto interesse nell'opinione pubblica e nella stampa austriaca. Isolata come è, tuttora, dallo spazio economico germanico e dallo spazio economico danubiano non resta all'Austria che guardare a noi secondo la formula lanciata da Bevin ai Comuni nel 1946 del!' «Anschluss verso il Sud» che tradotta in termini economici significa unione doganale con l'Italia.

Ma va subito detto che il problema di una unione doganale non è maturo e non è maturo anche perché l'Austria non ha ancora il suo trattato in cui è possibile venga inserita una clausola che osti agli Anschluss come agli Zollverein con una formula lata che valga per tutti i paesi confinanti oltre che per la Germania. Sarebbe pertanto prematuro affrontare il problema esaminandone i «pro» e i «contra» prima che venga varato il trattato per l'Austria.

Va inoltre segnalato che i sovietici ed i comunisti austriaci sono venuti dando non pochi imbarazzi al Governo austriaco in relazione alle presunte finalità del viaggio di Gruber a Roma che, secondo loro, consisterebbe proprio nello studio di una unione doganale fra Italia ed Austria. Conviene quindi non sollevare attualmente tale possibilità anche perché gli occidentali non desiderano dare ai sovietici alcun pretesto per turbare lo statu qua in Austria, neppure quello di un accordo che abolisca le barriere doganali fra Italia ed Austria

Tra le finalità che il ministro Gruber si ripromette venendo in Italia sarebbe futile nascondersi che hanno prevalenza quelle relative all'applicazione dell'Accordo De Gasperi

Gruber. Nell'accordo itala-austriaco firmato a Parigi nel 1946 figura, come noto, una serie di pacta de contrahendo; una serie di cambiali che gli austriaci sono venuti naturalmente presentando all'incasso. Ma va rilevato che si tratta di cambiali non in bianco, almeno per quanto riguarda l'ammontare, ed abbiamo pertanto dovuto e potuto contenere, nei limiti della lettera degli impegni assunti, le pretese spesso eccessive degli austriaci.

Si tratta, in particolare, di una serie d'impegni che figurano nell'ultima parte dell'Accordo De Gasperi-Gruber sotto quattro lettere: a), b), c), d) (Allegato l).

Alla lettera a) è stata data esecuzione con un Decreto legislativo del 2 febbraio u.s. per la revisione delle opzioni degli altoatesini fatte in base all'Accordo Hitler-Mussolini del '39. A tale procedura stanno dando la loro opera il Ministero dell'interno che ha creato una Divisione opzioni, la Prefettura di Bolzano nonché gli uffici consolari in Austria e in Germania che debbono vedere in fondo ai precedenti politici dei rioptanti prima di riammetterli nella cittadinanza italiana.

Gli austriaci si lamentano che la procedura è lenta e che se è stata regolata la situazione degli optanti che non hanno mai lasciato l'Alto Adige, non è avvenuta ancora una reintegrazione nella cittadinanza italiana o quanto meno un rimpatrio di optanti trasferiti in Germania ed in Austria. Sono ovvi gli interessi opposti: quello austriaco di liberarsi del peso degli altoatesini (e quello in confessato ed inconfessabile di rinforzare numericamente la compagine allogena in Alto Adige) e l'interesse nostro di non turbare con un afflusso massiccio la economia dell'Alto Adige che è una delle regioni più sane d'Italia.

Anche per l'esecuzione della lettera b) dell'Accordo di Parigi le pretese austriache sono apparse eccessive. Tale lettera prevede il reciproco riconoscimento dei titoli di studio dei due paesi. Gli austriaci pensano di assicurare agli alto-atesini la possibilità di studiare ad Innsbruck e di esercitare le professioni libere a Bolzano. Noi pensiamo invece che l'equiparazione del titolo di studio non comporti ipso jure l'abilitazione alle professioni anche perché non vogliamo favorire la creazione in Alto Adige di un circolo chiuso culturale.

In merito alla lettera c) dell'Accordo De Gasperi-Gruber che assicura all'Austria facilitazioni di transito, per ferrovia e per strada, attraverso l'Alto Adige (dal Passo del Brennero a quello di San Candido), è stato possibile raggiungere di comune accordo una disciplina che regola in modo molto preciso questa servitù di passaggio che gli Alleati hanno voluto fosse consacrata all'art. lO del trattato di Pace con l'Italia. Con tali accordi sono stati eliminati gli inconvenienti derivanti dal confme al Brennero per le comunicazioni fra il Tirolo settentrionale e Tirolo orientale. Inconvenienti che, come noto, erano, se non il principale, uno dei principali argomenti dei circoli irredentistici di Innsbruck contro il confine italo-austriaco del Trattato di San Germano.

Viene, infine, l 'ultima lettera: la lettera d) dell'Accordo De Gasperi-Gruber che è quella che contempla un più ampio traffico di frontiera e lo scambio di prodotti locali caratteristici. Un modesto clearing e forse anche un piccolo Zollverein, che è nei nostri disegni non limitare all'Alto Adige e al Tirolo ma di estendere al Voralberg, da un lato, e a tutta la regione tridentina dall'altro, per evitare che, anche in economia, venga creato un circolo chiuso.

Deve essere, infatti, nostra cura di evitare che gli austriaci siano indotti nella tentazione di ricostruire per vie traverse l'unità del Tirolo o quanto meno siano indotti a considerare l'Alto Adige un condominio itala-austriaco e per evitare questo abbiamo tenuto a diluire gli accordi esecutivi del patto di Parigi in accordi più vasti per attenuarne il carattere interregionale e proiettarli sul piano più vasto dei rapporti itala-austriaci non prestandoci a creare un plaque tournante tirolese.

La necessità di tali cautele ha ritardato l'esecuzione delle clausole sopraelencate anche perché le progettazioni austriache relative erano inaccettabili sic et simpliciter da parte nostra. Dal che ne è derivato qualche malcelato malumore per una nostra pretesa cattiva volontà nel procedere speditamente in tale esecuzione che indusse Gruber, nel settembre scorso, a rinviare la sua visita previamente fissata per il 18 ottobre.

Ora la «questione dell'Alto Adige» figura nell'agenda sottopostaci come la prima delle

«questioni di particolare interesse comune».

Innegabilmente con l'Accordo De Gasperi-Gruber la questione dell'Alto Adige è divenuta una questione itala-austriaca e tale rimarrà fin tanto almeno che i pacta de contrahendo in tale accordo contemplati non siano trasferiti in norme legislative italiane o in convenzioni esecutive.

Ma per quanto possa -e con fondamento -sostenersi che la premessa logico-giuridica dell'Accordo di Parigi sia il désistement austriaco a risollevare periodicamente una «Siidtiroler Frage», gli austriaci si sono ben guardati fino ad ora di ammettere che, con l'esaurirsi delle obbligazioni da noi assunte, la questione sia chiusa o cessi ogni titolo per l'Austria d'interloquirvi. Al riguardo il ministro d'Italia a Vienna, nel sottolineare l'opportunità e la convenienza di svuotare di contenuto, sul terreno giuridico e diplomatico, le pretese d'ingerenza dell'Austria con l'attuazione integrale e sollecita degli impegni da noi assunti a Parigi, esprimeva dei dubbi sulla possibilità di svuotare tali pretese sul terreno politico.

«La posizione dell'Alto Adige-egli scriveva in data del 9 ottobre u.s. 4 -nel quadro dei rapporti itala-austriaci, parte da una posizione affettiva e sentimentale, che per gli austriaci, e in primo luogo e soprattutto per gli austriaci del Tirolo e della Carinzia è quasi ovvia, naturale e tradizionale: l'Alto Adige, terra tedesca e insieme paese del sole, paese della frutta, paese del vino, nostalgiche permanenti aspirazioni del germano; essa è anche legata nella sua fase attuale, non solo all'applicazione in sede giuridica contrattuale e in sede pratica, degli impegni contenuti nell'accordo di Parigi, ma alla circostanza che ministro degli esteri e personalità influente ed autorevole nell'attuale Governo austriaco è il ministro Gruber che di quell'accordo è stato proponente e il firmatario. Egli stesso, nativo di Innsbruck, non può non sentire personalmente un interesse politico e sentimentale per il problema altoatesino. Ed è a sua volta, troppo prigioniero precisamente di quei circoli politici irredentistici tirolesi, centro Innsbruck, per cui l'Alto Adige è una ferita sempre aperta, non sanabile e che può essere veramente paragonata alla posizione che ha Trieste nel cuore degli italiani, per non vedere quale influenza il problema eserciterà sui rapporti tra i due paesi. Se a ciò si aggiunge che non vi è tirolese che non abbia parenti e interessi in Alto Adige, che non vi è altoatesino che non abbia parenti e interessi nel Tirolo e nelle regioni circonvicine, si può anche vedere come il problema altoatesino non possa non gravare permanentemente, sia pure indirettamente sul problema dei rapporti itala-austriaci e come Vienna, soprattutto nella presente situazione di impotenza diplomatica in quasi tutte le direzioni, meno che in questa, non possa essere insensibile ai cosiddetti gridi di dolore che dall'Alto Adige potrebbero continuare ad elevarsi verso di lei».

Ora, la tesi del ministro Cosmelli, esposta in un precedente rapporto, è che difficilmente il Governo austriaco potrebbe essere indotto a formali «rinuncie» o «dichiarazioni di disinteresse» per l'Alto Adige il cui valore sarebbe, comunque, storicamente dubbio se non accompagnate dalla coscienza e dal consenso dell'opinione pubblica estera.

«Nel caso dell'Alto Adige -egli scriveva in data del 30 luglio u.s. 5 -mancano almeno per ora queste premesse e ciò tanto in Austria, e meglio direi in Tirolo, quanto nell'Alto Adige stesso; e il miglior presidio a tutela del nostro diritto, ritengo saranno sempre, più che eventuali dichiarazioni austriache e verbali rinuncie, la nostra forza che ci consenta di restare al confine del Brennero e una politica così saggia ed una amministrazione così buona che inducano lentamente nell'animo degli altoatesini, cittadini italiani, ma di lingua e di tradizione tedesca, la persuazione che la loro permanenza nella compagine politica della nazione italiana sia un loro interesse: una pratica di Governo che in definitiva sostanzi il loro lealismo di fronte allo Stato italiano, in uno spirito e in una disposizione analoga a quella che anima per esempio gli svizzeri di lingua e di razza tedesca o i ticinesi italiani verso la Confederazione elvetica a cui politicamente appartengono».

5 Per l'intero documento vedi D. 265.

586 1 Tali convenzioni, firmate il 9 novembre, sono edite in MINISTERO DEGLI AFFARI EsTERI, Trattati e convenzioni jra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXVII, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1974, pp. 295-31 O.

586 3 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 500.

586 4 Telespr. 12040/1190, non pubblicato.

587

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 5338/2287. Londra. 3 novembre 1948 1•

A seguito del mio telegramma sul colloquio Massigli 2 e riportandomi alle conversazioni che ebbi a Roma 1'8 e il 13 settembre con V.E. e con il presidente del Consiglio, mi pare utile in questo momento in cui vi sono state interferenze e disvii che hanno portato la discussione sulle nostre ex colonie, a Parigi, sopra un piano diverso da quello su cui mi pareva fossimo concordi, proseguendo le trattative per migliorarle e precisarle, di riesaminare i punti in cui eravamo giunti e ciò che è più importante la situazione quale mi si presenta oggi in Londra con le possibilità e i pericoli che ci stanno di fronte. Nel colloquio con Massigli del 2 settembre, come risulta dalla minuta corretta di suo pugno, le proposte con cui i tre Governi francese, americano e inglese suggerivano «una possibilità di accordo per costituire un fronte comune alla prossima Assemblea della Nazioni Unite» erano sulle seguenti linee: trusteeship britannico sulla Cirenaica; Fezzan alla Francia; Tripolitania: rinvio di un anno (gli Stati Uniti, si noti, volevano un rinvio indeterminato nel tempo) dopo il quale le tre potenze avrebbero proposto il trusteeship italiano mentre frattanto l'amministrazione britannica avrebbe consentito all'invio di rappresentanti italiani per prendere parte all'amministrazione civile e al ritorno progressivo dei coloni in Tripolitania. Il Governo inglese chiedeva che l'Italia l'aiutasse (senza dire chiaramente in cosa potesse consistere l'aiuto) perché detto piano fosse raccomandato presso i Governi membri delle Nazioni Unite.

Lato positivo e fàvorevole della proposta: per la prima volta l'Inghilterra dava segno di recedere dalla sua avversione al ritorno dell'Italia in Libia e Bevin, superando le ostilità di fronte a cui si era trovato di fronte al Consiglio di Gabinetto contro un ritorno nostro in Libia, consentiva, sia pure sotto forma di graduale e condizionato ritorno, a considerare seriamente un progetto in cui oltre alla Somalia (concessa) noi potessimo contare sopra un ritorno a non lunga scadenza nella colonia più popolare ed in immediato contatto con la penisola. Inoltre si aprivano le porte al ri-ingresso dei lavoratori italiani dopo la guerra e ad elementi direttivi italiani nella amministrazione delle colonie.

Lato negativo ed inaccettabile: l'incertezza della formula di accordo per quanto riguardava l 'effettiva assegnazione della Tripolitania in trusteeship all'Italia e la pretesa assurda di una compartecipazione attiva da parte nostra per persuadere i membri delle Nazioni Unite nel!' Assemblea a noi favorevoli (Repubbliche ame

587 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 574.

872 rico-latine) ad appoggiare una proposta ingrata alla opinione pubblica italiana e di parziale rinuncia alle aspirazioni di un ritorno nelle nostre ex colonie.

Possibilità di contro-proposte: venuto a Roma tra 1'8 e il 13 settembre per riesaminare la proposta Massigli, io feci osservare e mi pare in complesso col consenso di V.E.:

a) che se pure inaccettabile nella forma proposta e al punto in cui erano giunte le trattative, la proposta cosiddetta Massigli (poiché dietro vi era Bevin) rappresentava un passo avanti su quanto si era potuto intravedere e sperare da parte inglese e un punto di partenza per ulteriori discussioni;

b) che bisognava innanzi tutto precisare in modo indubbio il nostro ritorno in Tripolitania entro un termine breve con un impegno preciso delle tre potenze e che su questo punto gli Stati Uniti particolarmente dovevano dare assicurazioni circa le loro intenzioni;

c) che la partecipazione dei rappresentanti italiani nella amministrazione di Tripoli e il ritorno dei coloni fossero immediate e avessero carattere di sicura garanzia e di promessa al popolo italiano che la Tripolitania con la Somalia erano assicurate al nostro ritorno in Africa (la forma di gradualità di ritorno in Tripolitania poteva anche, sotto certe condizioni, esserci favorevole);

d) noi non avremmo mai potuto cooperare a un piano di spartizione della Libia appoggiandolo presso le Nazioni amiche con un nostro consenso, ma potevamo accettarlo come forza maggiore nello stesso spirito come si accetta un trattato di pace dopo una sconfitta.

Su queste basi ritengo che una continuazione di trattative era possibile anche dopo che la questione delle nostre colonie era passata dal Consiglio dei ministri degli esteri alla Assemblea, come risulta dal colloquio Massigli-Sargent del 25 settembre (mio telegramma n. 474)2 •

2) I colloqui Quaroni-Schuman dell'8 ottobre e Quaroni-McNeil del 13 ottobre3 mettevano la discussione su tutte altre basi e sopra una direttiva che non aveva altri sbocchi che o di un nostro molto problematico successo ali' Assemblea contro gli inglesi con tutte le conseguenze facili a prevedere o del rinvio di un anno di tutto il problema col pericolo di perdere la Tripolitania (vedi mio telegramma precitato). Né ci potremmo illudere di giuocare a lungo sulla divisione delle forze a nostro sostegno poiché Stati Uniti e Francia ci potrebbero dare forse delle buone parole, in senso generico, ma a fatti concreti le tre potenze saranno sempre concordi col non ammettere che in Cirenaica noi ci ristabiliamo in opposizione a una delle maggiori potenze occidentali disturbando un piano di difesa d eli' Africa settentrionale di cui la Cirenaica è parte integrante. Ritengo che questa evidente realtà si vada facendo strada anche nella considerazione dei nostri amici e sostenitori, soprattutto i francesi i quali si trovano in un certo imbarazzo e non sanno come farci uscire dal vicolo cieco per cui ci siamo messi poiché, mentre da

una parte desiderano per i loro interessi che noi partecipiamo alla politica europea dell'Africa settentrionale per equilibrare la politica filo-araba inglese, dall'altro sanno benissimo che non potranno mai opporsi alla decisa volontà della Gran Bretagna di mettere piede definitivo nella Cirenaica per iniziare la preparazione di una base strategica di interesse comune. D'altra parte io non ritengo che la ripresa di trattative dirette con la Gran Bretagna, secondo il suggerimento di Spaak, sia oggi facile se di fatto non si dia prova da parte nostra di voler adottare una linea di condotta coerente e un unico linguaggio a Roma, a Londra, a Washington, a Parigi e nei corridoi delle Nazioni Unite.

Per il momento gli inglesi potrebbero pensare che siamo sinceri solo quando lasciamo capire che vogliamo il ritorno di tutte le nostre colonie. Infatti mentre V.E. parlando con l'ambasciatore Mallet (telegramma 388)4 sembra accennare a una visione più realistica da parte nostra con il sacrificio della Cirenaica, qualche ambasciatore sudamericano a Londra parla di un impegno preso con l'Italia per il trusteeship sulla intera Libia «Cirenaica compresa». Ciò mi fu anche confermato dallo stesso ambasciatore del Brasile, per cui non saprei oggi accennare al Foreign Office al colloquio con Mallet senza essere sicuro di raccogliere un sorriso tra ironico e scettico. Così temo che la formula che proponiamo «la Somalia a noi subito rinvio per tutto il resto» possa essere interpretata a Londra nel senso facile a raccogliersi: «il carciofo colonie ce lo vogliamo mangiare foglia per foglia; cominciando dalla Somalia poi !asciateci un anno di tempo per lavorare contro di voi e prenderei anche l'intera Libia».

3) A mio parere la via da tentare, e al più presto, sarebbe quella di abbandonare formule equivoche, tentennamenti o sondaggi per interposta e sconfessabile persona (Massigli) e porre la discussione sopra un piano più alto nel quale i veri responsabili (i ministri degli esteri) mettano le carte in tavola e ricerchino la soluzione del problema delle colonie (se necessario con la mediazione di Stati Uniti e Francia) con un senso realistico, nel quadro e in vista di una chiarificazione dei rapporti tra Italia e Gran Bretagna, che potrebbe rappresentare per noi, tra gli altri vantaggi in Europa, l'unico effettivo ritorno in Africa e per giungere alla quale varrebbe la pena ad ambo le parti di compiere qualche sacrificio. Un Governo che potesse restituire all'Italia la Somalia e la Tripolitania aprendo le porte dell'Africa al lavoro italiano in un piano di collaborazione sincera con l'Inghilterra gli Stati Uniti e la Francia, avrebbe ottenuto quanto era difficile sperare anche negli ultimi mesi -il massimo -e potrebbe affrontare a testa alta il giudizio del paese.

587 3 Vedi DD. 497 e 510.

587 4 Vedi D. 565.

588

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1423/19438/4124. Parigi, 3 novembre 1948 1•

Chiusa la lunga discussione sul Patto occidentale colla constatazione che, sostanzialmente, siamo tutti d'accordo, entriamo ora nella fase dell'azione pratica. Mi sembra quindi non inutile cercare di fare il punto della situazione. Gli ambasciatori stranieri a Roma, almeno certamente l'americano ed il francese, sono purtroppo delle persone che non mi sembrano avere una grande influenza in patria: questo porta come conseguenza che l'azione diplomatica da svolgere-e non facile -dovrà essere per molta parte periferica. La situazione è fluida, le circostanze cambiano da un momento all'altro è quindi necessario che, per quanto riguarda l'azione tattica, gli agenti all'estero abbiano una larga libertà d'azione, libertà che del resto V.E. lascia non larga ma larghissima. Ma per non ingenerare confusioni bisogna che non ci siano dubbi sugli scopi finali che il Governo italiano desidera raggiungere. Vorrei quindi cominciare coll'essere sicuro di avere ben capito le intenzioni del Governo italiano.

l) Chiarire la posizione politica generale del Governo italiano in modo che non si parli più di doppio giuoco, equidistanza od altro, e per, conseguenza, evitare che il Governo americano, per indurre il Governo italiano ad allinearsi ad una certa determinata politica, pensi di doversi mettere sulla via della coercizione.

2) Il Governo italiano è deciso ad entrare a far parte della organizzazione difensiva europea: per considerazioni varie, principalmente di politica interna, esclude però che la sua adesione pubblica possa aver luogo prima -o per Io meno molto prima -che questa organizzazione sia articolata colla partecipazione degli Stati Uniti sia sotto forma di garanzia ai compartecipanti, sia sotto la forma di effettiva assistenza militare.

3) In attesa di questa sua partecipazione aperta il Governo italiano non si oppone -anche se non è entusiasta -ad entrare in conversazioni militari preliminari segrete, sia con gli Stati Uniti sia cogli altri compartecipanti del Patto: se di preferenza, almeno iniziale, si può parlare, questa preferenza sarebbe per conversazioni con la Francia.

4) Per ragioni, non solo di convinzione ideologica, ma anche di politica interna, il Governo italiano preferirebbe che qualche forma di organizzazione europea generale -ossia non troppo specificatamente militare -fosse costituita, con la nostra partecipazione, prima dell'adesione italiana al Patto prevalentemente militare, in maniera che questa seconda potesse apparire piuttosto conseguenza della prima.

Pregherei vivamente V.E. di volermi dire se ho interpretato giustamente il pensiero del Governo italiano o se ci sono nuances o sotto categorie che mi sono

sfuggite. Si tratta di una questione di importanza capitale, stiamo entrando nella sua fase esecutiva: potrà ancora forse essere necessario discutere circa alcune nostre impostazioni: ma queste sono discussioni fra di noi: di fronte all'estero è necessario che noi agenti periferici abbiamo capito esattamente le conclusioni a cui è giunto il Governo italiano e ci regoliamo in conseguenza.

Per quanto riguarda il punto uno, mi sembra che con i discorsi pronunciati nelle due Camere da V.E.2 e coll'intervista data dal presidente del Consiglio3 dopo la visita di Marshall, sia stato detto sufficientemente perché tutti possano capire. È chiaro che è l'inizio di una campagna del Governo italiano per portare l'opinione pubblica italiana, almeno la sua parte suscettibile di essere convinta, là dove la si vuoi portare. Mi permetto solo di sottolineare la necessità che questa campagna continui, che partiti e persone prendano in modo sempre più preciso posizione: si può probabilmente contare sul partito comunista e sui suoi fiancheggiatori per mettere il Governo italiano nella necessità di continuare in questa sua campagna.

Il punto due: è il punto centrale. Si può discutere, in linea teorica, se non sarebbe meglio lanciarsi apertamente, senza attendere: se si potesse fare della politica estera pura, non esiterei a dire che converrebbe farlo: l 'unico svantaggio della posizione da noi assunta, quale è stata precisata nel suo ultimo colloquio con Marshall, è che si può anche dire che è la posizione di un Governo che non si sente molto saldo in sella. Comunque la situazione interna italiana è anche essa un fatto dal quale non si può prescindere; la posizione da noi assunta è quindi difendibilissima (purché si continui la campagna) e non esito a dichiarare che per quello che mi concerne spero V.E. voglia perdonarmi la presunzione e comprendere il significato di quello che dico -non esito ad accettarla senza riserve.

A questo riguardo, non è certo sfuggita a V.E. l'importanza informativa della mia ultima conversazione con Chauvel (mio 1408/19297/4095)4 . Chauvel mi ha data la notizia, per me nuova, che esistono due Patti, in certo senso indipendenti, il Patto di Bruxelles, che è quello che tutti sappiamo, ed un futuro Patto atlantico, più o meno preparato in drafi ma che entrerà in esistenza solo il giorno in cui l'America sarà pronta a firmarlo: ossia più o meno quando il Congresso americano avrà messo a punto tutta la legislazione all'uopo necessaria.

Occorrerebbe chiarire, e al più presto, cosa gli americani vogliono da noi: se la nostra adesione al Patto di Bruxelles o al Patto atlantico o a tutti e due. Le vie degli americani sono altrettanto, se non più misteriose, di quelle del Signore, tuttavia, a lume di logica, mi sembra che gli americani dovrebbero volere, o contentarsi, della nostra adesione al Patto atlantico: essi sanno perfettamente che i membri del Patto di Bruxelles non è proprio che muoiano dal desiderio di averci fra loro: che per farci ammettere dovrebbero esercitare una certa pressione, almeno su tre dei suoi attuali membri, e gli americani, quando possono evitare delle pressioni, specie sugli inglesi,

3 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XII ( 1948), n. 44, p. 730.

4 Vedi D. 569.

mi sembra lo facciano con piacere. Certo tutto questo non appare chiaro dalle conversazioni Tarchiani-Hickerson5: ma credo che Tarchiani ignorasse, come me, che c'erano in giro due Patti, mentre probabilmente il suo interlocutore americano riteneva che lui lo sapesse.

Se le cose stanno effettivamente così, mi sembra che la nostra poslZlone, e l'azione diplomatica che dovremmo svolgere, ne resta considerevolmente semplificata. Fino ad oggi ritenevo, che per agganciarsi al sistema americano ~e per non essere esclusi dal piano di assistenza militare americano ~bisognasse cominciare coll'aderire al Patto di Bruxelles (e sospirare fuori della sua porta). In questo caso avremmo dovuto chiedere ~e cercare di fare accettare ~che la nostra adesione restasse segreta fino al giorno del suo agganciamento coll'America. Col Patto atlantico invece la situazione è diversa: il Patto atlantico non esiste, e non esisterà fino al giorno in cui l'America sarà pronta a firmarlo: non abbiamo quindi più bisogno di chiedere che ci sia risparmiata la nostra adesione aperta ad un Patto che non esiste ancora. Sappiamo solo che esiste una deadline, una data per la quale dobbiamo essere pronti ~parlo della preparazione interna ~ e questa è la data in cui l'America stessa sarà pronta a firmare: data che probabilmente sarà, al più presto, per il febbraio prossimo. Ma questo non è un fatto nuovo: anche se fosse stato necessario passare per il Patto di Bruxelles era evidente che la nostra adesione non avrebbe potuto restare segreta al di là della data dell'agganciamento americano.

Mi permetterei soltanto consigliare di non tentare nemmeno di convincere gli americani a dilazionare, per noi, quella data. Prima di tutto sappiamo quanto gli americani amino lo spectacular: se hanno deciso che il tal giorno si deve proclamare il Patto regionale atlantico, e che questo Patto deve includere anche l'Italia, è difficile, se non impossibile portarli a rinunciare ad uno spettacolo. Inoltre mi sembra ci sia una impossibilità effettiva: se ed in quanto questo Patto è garanzia americana, la garanzia potrebbe anche essere formulata in modo da estendersi automaticamente ad un paese X il giorno della sua adesione. Ma in quanto il Patto atlantico rappresenterà anche un apporto X di dollari a favore della difesa dell'Europa, questi dollari dovranno essere espressi in allocations del Congresso: e non credo sia possibile per il Governo americano riservare delle allocations per un paese non specificato nel progetto di legge originale. Un ritardo nostro potrebbe quindi significare che saremmo ammessi a beneficiare dell'aiuto americano solo l'anno seguente: e questo può essere pericoloso, e comunque da evitare. Non è infatti da escludere che gli americani potrebbero, in un anno, portare la riorganizzazione della difesa dell'Europa, almeno come piano, senza di noi, ad un punto tale da far considerare la nostra partecipazione effettiva come di scarsissima utilità: potremmo quindi rischiare che mentre quest'anno la nostra esclusione sarebbe volontaria l'anno prossimo potrebbe diventare involontaria.

Voglio chiarire questo punto che mi sembra importante: c'è qualcuno che teme da noi che l'Italia sia fuori della zona strategica americana: sono convinto che oggi non è così: ma non si può escludere al cento per cento che, obbligati per nostra

volontà a studiare un piano di difesa dell'Europa senza l'Italia, gli americani possano arrivare alla conclusione, magari errata, che si può difendere l'Europa occidentale anche senza l 'Italia. Le conseguenze di questa decisione sarebbero per noi certamente disastrose, perché mentre da una parte noi continueremmo a correre il rischio di aggressione orientale, dall'altra gli americani arrivati alla conclusione che si può fare a meno dell'Italia, e seccati dell'Italia se ne disinteresserebbero, anche sul piano

E.R.P. e su quello generale: è inutile che mi dilunghi sulle conseguenze di questo.

Più semplicemente ancora: l 'Italia ha una sua importanza, certo non indifferente, nei piani strategici americani, ma solo la nostra adesione a questi piani strategici americani può determinare un immediato e concreto concorso americano alla nostra difesa: data la indiscussa gravità della situazione generale è indispensabile fissare questo concorso al più presto, e potrebbe essere pericoloso il non farlo.

Mi permetto poi di aggiungere anche una considerazione di politica interna. È certo che la nostra adesione al Patto atlantico susciterà in Italia un certo putiferio da parte comunista. Ma siamo noi sicuri che la entrata in funzione di un Patto atlantico, ossia la determinazione di una zona che l'America intende garantire e difendere e contribuire a difendere, l'Italia restando esclusa, non produrrebbe in Italia una confusione di spiriti suscettibili di provocare guai ancora peggiori? Non ne verranno molti alla conclusione che noi siamo stati abbandonati dagli americani alle dolci cure dei russi? Sappiamo, purtroppo, -e sarebbe inutile negarlo, -che troppe persone in Italia regolano le loro convinzioni politiche in base al principio delle assicurazioni per l'avvenire: non è difficile indovinare che cosa questi farebbero in una simile eventualità.

Resta ora da stabilire che cosa noi dovremmo fare di fronte al Patto di Bruxelles. Nel sostenere, come ho fatto, la opportunità di aderire al Patto di Bruxelles partivo dalla necessità di assicurare in modo conveniente, e nell'unico modo che sembrava possibile, la difesa de li'Italia: ma, sia pure in secondo grado, mi preoccupavo di far rientrare l'Italia nel circuito della politica europea, farla uscire da questa sua situazione di mezzo appestato, partendo dal principio che si comincia a cercare di essere un ex nemico solo il giorno che si diventa alleato. Ora è indiscutibile che, sul piano europeo almeno, restando nel Patto atlantico e fuori dal Patto di Bruxelles, noi entriamo nell'outer eire/e ma restiamo esclusi dall'inner eire/e: ed è pure probabile che questa distinzione avrà le sue conseguenze, sull'intimità di rapporti coll'America, sul piano militare e anche sul piano dollari: si potrà cercare con una diplomazia abile e fortunata di limitare queste differenziazioni, ma evitarle sarà impossibile. Si potrebbe per esempio tentare un giuoco molto ardito di politica spagnuola, ma temo che questo, sul piano pratico, sia reso impossibile da reticenze ideologiche di alcuni settori del Governo italiano.

Sul piano immediato, ripeto questo è un vantaggio poiché ci evita, al momento, di andare a pregare, proprio mentre alcuni dei possibili copartners, con molto piacere, ci vorrebbero vedere, per farci scontare un atteggiamento che fu considerato sprezzante, a lungo in veste di penitenti. Però taking a longer view, è opportuno, a mio avviso che la nostra inclusione nel Patto di Bruxelles resti uno degli obiettivi della nostra politica. Anche in vista di quello che è non solo lo scopo ma l'idealità della politica italiana, l'Unione west europea. Una volta entrato in vigore il Patto atlantico, il Patto di Bruxelles perderà, sia pure solo gradualmente, il suo attuale carattere di patto essenzialmente militare per assumerne uno più marcato di collaborazione intima e generale. Noi vorremmo che l'Unione west europea si evolvesse principalmente partendo dall'O.E.C.E. Non discuto l'idea, ma come spiegherò meglio in un altro rapporto 6 , ci sono degli ostacoli di fatto, difficilmente superabili che si oppongono a che ciò avvenga. È molto più facile che una Unione west europea di fatto, empiricamente evolva invece dal Patto di Bruxelles: e una nostra adesione ad esso, con una precisa nostra volontà di spingere in una determinata direzione, potrebbe facilitare questa evoluzione.

Mi si dirà: non siamo desiderati nel Patto di Bruxelles: è esatto, ma pare solo fino ad un certo punto: e bisognerebbe stabilire esattamente i limiti di questo punto. Si dice che è soprattutto l'Inghilterra che non ci vuole: se si deve giudicare dall'opinione diffusa qui in Parigi e altrove dovrei dire che è proprio così: ma mi sembra che l'ambasciata in Londra non sia del tutto di questa opinione: e non escludo che siano loro ad avere ragione. Sono il primo a dire che gli inglesi non ci amano; temo però che quando noi vogliamo attribuire agli inglesi -mi capita di farlo anche a me nei miei rapporti -una precisa volontà di distruzione, noi commettiamo un grosso peccato di superbia: è doloroso il dirlo, ma temo che gli inglesi non ci prendano abbastanza sul serio nemmeno per fare una politica contro di noi. Non bisogna forse confondere l'accanimento inglese contro certe nostre aspirazioni come quelle delle colonie o della flotta -è una regola del giuoco, da qualche secolo a questa parte, che chi perde la guerra coll'Inghilterra deve perdere colonie e flotta -con una politica generale inglese diretta contro di noi. Comunque mi sembra bisognerebbe seriamente chiarire, anche se questo può non avere la urgenza di un tempo, se e fino a che punto l'Inghilterra è veramente contro la nostra adesione al Patto di Bruxelles, per quali ragioni, e cosa si può fare per portarla poco a poco, senza perdere di dignità, a cambiare di opinione.

Ormai al punto in cui noi siamo, bisogna cominciare a passare all'azione. Gli americani ci hanno chiesto, in forma che non potrebbe essere più chiara, di dichiarare a Washington, Londra e Parigi, si intende per ora per via diplomatica e segreta, la nostra volontà di adesione. Non credo sia conveniente tardare: più presto agiamo sul piano diplomatico, più ci sarà facile ottenere che ci lascino prender tempo sul piano pubblico. Bisogna chiarire se gli americani intendono volontà di adesione al solo Patto atlantico, come è probabile. Una volta chiarito questo punto, facciamo subito questa dichiarazione (credo sia prevedibile farla sotto forma di comunicazione scritta) la formula delle sue dichiarazioni a Marshall come riassunta nel suo dispaccio n. 3/14477 mi sembra felicissima con i necessari adattamenti ad una situazione che allora non si conosceva. Ma in vista di quanto precede mi permetterei consigliare di aggiungere alla nostra adesione al Patto atlantico, che, il giorno in cui ci si volesse invitare siamo pronti ad aderire anche al Patto di Bruxelles: una dichiarazione di questo genere mi sembra sufficiente come base di partenza per i rappresentanti italiani a Londra e Parigi per una discreta azione.

7 Vedi D. 533.

Quanto al punto tre occorrerebbe chiarire con gli americani se ed in quanto conversazioni preliminari militari e con chi specialmente sono da loro considerate necessarie: per me poi vorrei chiarire se ho bene interpretato il pensiero del Governo italiano ritenendo che è pronto a farle ma non è che le desideri ardentemente. In pratica poi, il generale Marras è stato invitato a Washington, con i francesi abbiamo rotto il ghiaccio (credo, e n passant, sarebbe utile far sapere agli americani quello che abbiamo fatto in questo campo, probabilmente farebbe loro buona impressione): bisognerà adesso un po' vedere che cosa ne esce fuori: più specialmente nel campo francese si tratta di decidere fino a che punto dobbiamo farci parte diligente: poiché, mi sbaglierò, ma non sarei sorpreso se i pochi giorni di Chauvel diventassero parecchi: anche per il fatto che il Governo francese ha oggi tante gatte da pelare all'interno che gli resta poco tempo per pensare al resto.

Quanto al punto quattro, V.E. vedrà il resoconto di una mia conversazione con Chauvel8 , che non è troppo incoraggiante circa la possibilità effettiva di far precedere, al Patto atlantico, qualche cosa di concreto sull'Unione Europea: se tutto va bene, nella seconda metà di gennaio avremo pronta una bozza di studio: è difficile far correre gli animali più della lunghezza delle loro gambe.

Per quanto riguarda poi l'azione nostra, bisogna distinguere fra l'azione che chiamiamo privata e quella di Governo. Sul piano privato più ci diamo da fare, meglio è: attiviamo quindi l 'azione delle nostre associazioni al massimo, partecipiamo a congressi, facciamone, che i nostri uomini di Stato ne parlino a più non posso. A parte il merito intrinseco della cosa, ai fini della nostra posizione generale nel mondo e in quello americano in ispecie, non faremo mai abbastanza, niente sarà mai troppo.

Più delicata invece mi sembra la cosa sul piano governativo. Poiché non bisogna dimenticare che l'Inghilterra non la vuole: le ragioni potranno essere varie, ha fatto indubbiamente dei passi avanti più ne farà certamente in avvenire, ma c'è una cosa che gli inglesi non amano ed è l'essere violentati.

Ora -questa è la mia opinione -l'Unione west europea senza una certa misura di partecipazione inglese è assurda: l'idea di de Gaulle di farla centrata intorno alla Francia, magari intorno all'asse Roma-Parigi, è un idea che può essere bellissima sulla carta, ma la cui esecuzione pratica non potrebbe non essere considerata senza un certo scetticismo. Oltre a questo noi non potremmo fare astrazione dei nostri rapporti con l'Inghilterra: l'Inghilterra è ben lontana dall'essere quella di prima, ma non è, e non sarà certo per molto tempo, un paese della cui esistenza noi possiamo fare astrazione. I rapporti con la Francia debbono starmi, e mi stanno a cuore, ma non fino al punto di farmi pensare, o di dire, che essi possano rendere secondari i nostri rapporti con l'Inghilterra. Né è nemmeno da pensare che si possa astrarre dai nostri rapporti coll'Inghilterra puntando sull'America, poiché abbiamo visto in varie occasioni che, quali che siano i dissidi in famiglia, l'America antepone sempre i suoi rapporti con l'Inghilterra a quelli con qualsiasi altra nazione del continente. Non credo del resto sia necessario insista su questo punto perché ho visto come V.E., dal giorno in cui ha assunto il suo posto, si sia curato all'estremo

588 x Telespr. 1410/19299/4097 del 30 ottobre, non pubblicato.

880 dei nostri rapporti con l'Inghilterra. In particolare poi, abbiamo, in questo momento, bisogno dell'Inghilterra per alcune questioni che ci stanno molto a cuore.

Ora nella nostra azione governativa in favore dell'Unione Occidentale, bisogna che noi teniamo conto della opportunità di non dar troppo fastidio agli inglesi. Se noi fossimo in grado di spingere come elemento decisivo all'Unione Europea, la cosa è troppo importante perché non lo facessimo anche a costo di irritare gli inglesi: ma non lo possiamo; possiamo aiutare, non siamo un elemento decisivo.

Ho studiato attentamente il suo progetto O.E.C.E.: è il progetto del buon senso. Ma posso dirle senz'altro che il progetto non piace agli inglesi: Cattani ne ha già accennato qui agli inglesi ed ha trovato una resistenza decisa. Mi permetterei quindi di consigliare, nell'interesse dei nostri rapporti con l'Inghilterra, di andarci un po' piano.

Mi domando seriamente, date le circostanze, se il piano Bevin, quale me lo ha esposto Chauvel, per unassuming che esso sembri, non sia in realtà una contribuzione più effettiva dell'Unione Europea, più importante e realistica di tanti altri piani più vistosi. La cooperazione effettiva sul piano economico è già in atto attraverso l'O.E.C.E.: modesta per ora, e necessariamente, perché i problemi non sono facili, esso esiste e si svilupperà: per sgradita che possa essere la cooperazione sul piano militare è in atto. Gli Stati Uniti d'America sono nati dalla solenne decisione di un'Assemblea: questo precedente attrae: ma non dimentichiamoci che un'altra federazione non meno effettiva, il Commonwealth, è stato creato ed esiste, non meno della prima checché se ne dica, almeno per la parte realmente anglosassone, a forza di piccoli passi, graduali, empirici. Non è detto che il sistema Commonwealth non sia il miglior sistema per arrivare là dove si può arrivare.

Attualmente il piano Bevin, se così lo si può chiamare, non è più un segreto: se si arriverà a fare qualche cosa, sarà soltanto quello che gli inglesi sono disposti a fare, quindi bisogna considerarlo, per monco ed imperfetto che esso sia, come il solo realizzabile. Non è forse più effettivo e politico concentrarsi sul possibile, piuttosto che andare a cercare il meglio? Mi permetterei di consigliare di prendere contatto proprio sul piano Bevin con gli inglesi: se non altro sarebbe un soggetto di conversazione, sia a Londra che a Roma, esente da scogli e da recriminazioni: facciamocelo spiegare, cerchiamo di discuterlo, sullo stesso piano con cui ne discutiamo con i francesi. Ho l'impressione che su questa questione dell'Unione Europea il Governo inglese si sente stretto e seccato fra un Churchill che se ne è fatta una bandiera di opposizione ed i loro amici europei, specie i francesi, che tirano fuori dei piani che gli inglesi considerano irreali, forse non sinceri, comunque irti di incognite. Far loro vedere, specie a Bevin personalmente, che comprendiamo la loro posizione, che appoggiamo il loro punto di vista, potrebbe forse essere un contributo più effettivo all'Unione Europea che insistere su piani che gli inglesi non sono disposti ad accettare: potrebbe forse essere un contributo, piccolo, ma non senza importanza, al difficile problema dei nostri rapporti con l'Inghilterra9 .

588 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

588 2 Vedi DD. 491, nota 7 e 525, nota 4.

588 5 Vedi D. 486.

588 6 Non rinvenuto.

588 9 Per la risposta vedi D. 614.

589

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 12504/168. Roma, 4 novembre 1948, ore 1,30.

Sciogliendo le riserve contenute nel telegramma ministeriale n. 152 1 si precisa quanto segue: ministri tecnici esaminate tutte le voci lista terza cercando fare massimo sforzo, hanno in massima espresso il loro accordo su di esse e sui rispettivi quantitativi con le seguenti osservazioni:

l) confermiamovi impossibilità fornire petroliere dato limitate possibilità impostazione in cantieri e grande bisogno che abbiamo noi stessi per questo tipo di trasporti per il quale oggi siamo costretti pagare noli in dollari. Per contro potremmo abbondare navi carico e passeggeri.

2) Impianto azoto e compressori a gas non possono essere fomiti data nostra attuale futura espansione in questo campo.

3) D'accordo impianto tubi cemento e amianto.

4) Per turbine alternatori e condotte forzate nulla osta fornitura con riserva loro quantitativo non incida eccessivamente su sviluppo nostro programma idroelettrico. D'accordo fornire qualsiasi tubo per gas metano, eccetera non per petrolio per i quali siamo noi stessi importatori.

5) D'accordo fornitura alluminio in rapporto nostre possibilità diciamo fino cinque seimila tonnellate in barre o lingotti. Per macchinario utensile per fabbricazione cuscinetti a sfere preferiamo fornire cuscinetti a sfere anziché macchinario. Generalmente d'accordo includere macchinario utensile in una dizione che ci consenta esaminare singole richieste in rapporto nostre possibilità.

6) D'accordo macchinario per lavorazione legno.

7) D'accordo fornitura motori elettrici.

8) Per gru galleggianti pure d'accordo fino cinquanta tonnellate portata ritenendo difficile fornitura gru novanta tonnellate.

9) Eventuali predette esclusioni potrebbero venire compensate con le ultime due voci figuranti in bianco sulla lista terza rispettivamente rotaie per ferrovie e funi cavi filo acciaio.

l O) Sarebbe forse bene in generale confermare che nostre forniture possono essere in avvenire condizionate dai bisogni di determinati prodotti della nostra stessa economia.

Pregasi tenere al corrente circa ulteriore sviluppo trattative dopo precisazioni che precedono. Comunque prima di firmare accordi ove essi dovessero prevedere entrata vigore immediata cioè senza successivo apposito scambio note, pregasi inviare preventivamente testo per posta aerea o corriere speciale.

589 1 Vedi D. 545.

590

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A LIMA, CICCONARDI

T. URGENTE 12510/33. Roma, 4 novembre 1948, ore l O.

Suoi 55 e 56 1• In considerazione posizione assunta da codesta ambasciata Stati Uniti concordasi circa opportunità che anche da parte nostra si assuma atteggiamento conforme.

Qualora pertanto Stati Uniti avessero già provveduto riconoscimento formale, ella potrà presentare nota immediatamente; in caso contrario la presenterà subito dopo riconoscimento statunitense2 .

591

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CONSOLE MANZINI, A MOGADISCIO

T. S.N.D. 12527/63. Roma, 4 novembre 1948, ore 15,30.

Suo 154 1 .

Sta bene quanto detto da V.S. a De Candole. Importante sarebbe indurre amministrazione britannica a recedere da intransigente opposizione sinora dimostrata per ritorno nostri profughi in Cirenaica e impiego mano d'opera italiana per lavori da eseguirsi colà, con pretesto, in realtà non fondato, ostilità indigeni verso italiani.

592

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 12541/169. Roma, 4 novembre 1948, ore 22.

Suo 375 1• Nulla osta per scambio note proposto da V.E. per consegna navi.

2 Con successivo T. urgentissimo 13208/35 del 22 novembre Zoppi, mentre chiedeva di verificare la notizia dell'avvenuto riconoscimento da parte del Governo nordamericano, confermava le istruzioni di cui al presente telegramma.

591 Vedi D. 578. 592 1 Vedi D. 577.

Poiché accordo raggiunto ha tutt'altro carattere di quello proposto inizialmente da Governo italiano (analogo cioè ad accordo itala-francese e contenente esplicita esclusione consegna a titolo bottino di guerra e rinuncia a certe unità) nostra nota dovrebbe limitarsi a confermare termini consegna con riferimenti ai documenti allegati specificati nel telegramma di VE.

Approvo quanto VE. ha detto circa data pubblicazione.

Circa rimanenti dodici unità, Marina fa presente trattarsi per la maggior parte di relitti inutilizzabili già precedentemente firma trattato di pace e che, secondo nostra interpretazione trattato, verbalmente comunicata a suo tempo a Commissione navale, noi non siamo tenuti né a sostituire né a riparare. Rinunzia sovietica avrebbe quindi per noi scarso valore. Non conviene pertanto fame comunque menzione nello scambio di note in cui sarebbe invece opportuno includere possibilmente esplicita generica dichiarazione che esecuzione clausole navali trattato pace nei confronti U.R.S.S. è così completamente definita2 .

590 1 Vedi D. 579.

593

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA 9889/3649. Washington, 4 novembre 1948.

Non le nascondo che la prima reazione degli ambienti politici e militari all'annuncio del rinvio della visita di Marras1 -dopo che si stimava accettata nel tempo e nel programma dal Governo italiano -è stata di vivo disappunto. Si enumerarono le ragioni che avevano indotto questa Amministrazione e lo Stato Maggiore a creare questa circostanza che essi consideravano specialmente conveniente ed utile per il nostro paese:

-incontro Bradley-Marras in precedenza d'ogni altro dello stesso genere;

-chiarificazione delle idee dello Stato Maggiore americano sulle questioni riguardanti la difesa Trieste-Italia-Austria prima che si trovi confrontato con i piani dei cinque occidentali, ed indipendentemente dalla nostra adesione o meno alla coalizione difensiva di Bruxelles;

-pressioni del generale Clay in tal senso; (egli sarebbe anche giunto, a quanto pare, a sostenere, in colloqui con Bradley, che era propenso a considerare più efficienti le forze italiane ricostituite, che non quelle francesi);

-circostanza particolare: presenza di venti generali di armata a Washington in quei giorni: il generale Marras avrebbe dovuto essere messo a contatto con loro; -periodo in cui erano predisposte manovre in terra ed in aria che -anche e soprattutto per cause stagionali -saranno difficilmente eseguibili in pieno inverno; -assenza di Bradley dal 4 dicembre a dopo Natale;

593 1 Sulla questione vedi da ultimo il D. 567.

-cerimonie, agitata attività politica (governativa e parlamentare) dal lo al 21 gennaio almeno, visto che il presidente entra in carica il 20 ed avrà molte decisioni e raccomandazioni da annunciare;

-il fatto che l 'idea di preliminari conversazioni militari, anziché strettamente politiche, era nostra, ed era stata accolta per facilitarci lungo un cammino assai difficile, sebbene considerato qui da molti come inevitabile e il meno pericoloso per noi;

-echi da Parigi che confermavano volontà francesi simile a quella americana per predisporre un sistema di difesa comune;

-idea ben fondata che convenisse discutere con tecnici italiani -sia pure in via preliminare -la possibilità e i mezzi di una azione difensiva Italia-Austria, con eventuale ripiegamento delle forze americane e di quelle francesi del Tirolo nelle nostre Alpi e lungo le nostre linee; (a questo proposito Clay aveva anche ventilato un eventuale incontro di tecnici italiani, americani e francesi a Washington, in occasione della visita di Marras per fissare le linee generali di un comune sistema difensivo; non mi risulta però che questo suggerimento sia stato preso in considerazione);

-vivissimo desiderio di non perdere tempo, anche se -e quasi esclusivamente su fattori psicologici -si giudica che le possibilità di guerra in Europa si siano alquanto attenuate; (la difesa moderna -si pensa qui ora -deve essere predisposta dai Governi responsabili con estrema cura, progressivamente, a notevole distanza di tempo dall'effettivo scatenarsi di un conflitto, ed anche se tale conflitto non sia proprio bene in vista, ché i preparativi affrettati quasi sempre falliscono allo scopo).

A tutti questi argomenti ho naturalmente opposti i nostri, che non hanno mancato di produrre notevole effetto; sì che, via via, si è convenuto (sia pure con qualche rammarico per la mancata occasione particolarmente propizia) che si studiava un nuovo programma, tenendo conto delle assenze di Bradley e delle distrazioni e particolari preoccupazioni dell'inizio della nuova legislatura.

A tutt'oggi i militari non si sono ancora pronunciati, limitandosi a disdire i preparativi già fatti.

La via più facile sarebbe evidentemente quella di rinviare tutto a febbraio, dopo che son posate le acque e assestate le posizioni nel Governo e nel Congresso. Ma questa pare ai politici, ai militari ed anche a me, una grave perdita di tempo, mentre ci è ignota la sorte precisa che ci promette il 1949. (A questo proposito, ci è stato detto che Bradley avrebbe voluto parlare a Marras anche della messe d'informazioni segrete che lo Stato Maggiore americano ha raccolte e raccoglie giornalmente).

Perciò ho tentato, telegrafandole in tal senso, di sapere se non fosse possibile fare incontrare Marras con Bradley prima del 4 dicembre data della sua partenza da Washington. Aspetto risposta, pur sapendo che è assai difficile per il Governo nelle infelici circostanze che si sono determinate -prendere decisioni e predisporre il viaggio in condizioni di tempo così risicate.

Poiché lei sia di tutto informato, le dirò (e su questo argomento le telegrafai 1 che inizialmente creò qui un certo turbamento addizionale la questione dell'accordo aeronautico: la formula da noi proposta2 sembra ora di mutua soddisfazione. Spe

riamo lo sia effettivamente che, altrimenti, avremo nuovi accessi di malumore da placare e superare.

La seconda ragione di qualche preoccupazione per lo State Department è scaturta da un'informazione da Mosca secondo la quale la delegazione La Malfa avrebbe comunicato all'ambasciata americana colà, di aver ottenuto dai russi notevoli concessioni nel campo delle riparazioni, a condizione che la consegna delle nostre naYi da guerra avvenisse entro il 31 dicembre. La Malfa-sempre secondo l'ambasciata americana a Mosca -avrebbe telegrafato a Roma chiedendo che ci si astenesse da qualsiasi gesto che si potesse interpretare come adesione alle potenze occidentali, per non rischiare di rovinare i negoziati. È ovvio che anche questa era considerata qui come una delle possibili cause del rinvio della visita di Marras.

Sebbene non avessi alcun dato per rispondere (che ignoro tutto di quel che avyiene a Mosca) ho cercato di smontare questa interpretazione, basandomi -per il poc:o che l'argomento poteva valere-sugli sforzi che esercitava il nostro Governo, secondato dai tre rappresentanti occidentali, nel comitato navale a Roma, per evitare di precisare impegni e date coi russi.

Le cose, a questo punto, sono un po' nel limbo, in attesa di direttive e di p re ~1sazwm.

Nell'insieme stimo che l'elezione di Truman e l'avere evitato il rimescolio profondo d'una Amministrazione interamente nuova nei capi, abbia per noi vantaggi anche in questo specifico campo.

Aspetto ora le decisioni ed istruzioni sue, nella certezza che saranno quelle che me;?;lio salvaguardano gl'interessi italiani in questo momento che si prepara a divenin: risolutivo3 .

PS. Una considerazione aggiuntiva alla opportunità della visita di Marras in questo periodo è la necessità in cui si trova il Governo americano di elaborare un completo programma di richieste da presentare al Congresso per il lend-lease militare ai paesi europei, programma che dovrebbe riguardare sia l'assistenza economica, sia le eventuali spese per il riarmo e la difesa dell'Occidente europeo.

592 2 Per il seguito vedi D. 599.

593 2 Vedi D. 568.

594

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. Mosca, 4 novembre 1948.

In relazione alle trattative in corso a Mosca, desidero informarla confidenzialmente di un argomento che so avere attirato la sua attenzione.

Lei sa ch'io avevo suggerito di porre eventualmente ai sovietici, fra le condizioni degli attuali accordi, la loro adesione incondizionata al nostro ingresso all'O.N.U.

L'onorevole La Malfa non mi recò istruzioni di porre l'entrata all'O.N.U. come condizione delle trattative, e comprendo che ciò sarebbe stato in definitiva pericoloso verso gli americani, dando all'accordo un carattere politico sorpassante il suo contesto reale, e tale da insospettirli ingiustamente; d'altra parte, chiedere l'ammissione e poi !asciarla cadere senza fame una condizione inderogabile sarebbe stato pericoloso, implicando quasi una tacita rinuncia.

Tuttavia alla fine del secondo nostro colloquio con Molotov (18 ottobre) 1 quando egli accettò la nostra proposta, io abbordai subito l'argomento. Dissi che non intendevamo mercanteggiare questo nostro diritto, ma che la nostra ammissione all'O.N.U. era la conseguenza logica ed inevitabile del fatto che venivamo regolate le questioni principali relative al trattato di pace. Feci presente che consentire all'Italia un libero dignitoso ingresso all'O.N.U., senza fame materia di scambio contro l'ingresso di altri Stati, era in fin dei conti un interesse della stessa Unione Sovietica.

Molotov rispose abilmente, senza farmi obiezioni dirette: mi disse che l'U.R.S.S. aveva sempre manifestata la sua adesione al nostro ingresso, e che la cosa dipendeva dalle altre grandi potenze.

Di fronte alle mie insistenze, rispose ancora che l'U.R.S.S. non aveva inteso mercanteggiare il nostro ingresso; ma qui era, evidentemente, il suo punto debole.

Lunedì scorso lo novembre, dopo l'accordo di principio sui termini per le navi, attendendo la copia dell'elenco delle rettifiche materiali ai nomi delle navi, Molotov fece cadere il discorso sul rigore sovietico per il rispetto dei trattati e ne indicò le ragioni. Poi aggiunse: se ci accorderemo oggi, questo spianerà la via anche a risolvere altre questioni che vi sono fra di noi. È meglio fare le cose una alla volta.

Ne approfittai per replicare immediatamente: «Lei ha ragione. Appunto per questo io non le parlo più oggi della nostra ammissione all'O.N.U., mi riservo però di parlargliene non appena avremo firmato questo nostro primo accordo».

Sorrise e mi rispose che io avevo tratto dalle sue considerazioni <<Una conclusione inaspettata».

Per ora siamo a questo punto; ma la questione è posta, ed ho l'impressione che l'averla posta non sarà stato del tutto inutile. Mi è sembrato inadatto fame oggetto di telegrammi e di rapporti, perché si tratta per ora di approcci del tutto laterali; ma ritengo giusto metterla al corrente anche di questo mio primo assaggio.

PS. Oggi, all'atto dello scambio delle firme, ho rinnovato la richiesta in forma precisa, ripetendone le ragioni. Molotov ha risposto con frasi generiche di buona volontà, senza in alcun modo impegnarsi, come era prevedibile2 .

2 Per la risposta vedi D. 644.

593 3 Per la risposta vedi D. 612.

594 1 Vedi D. 519.

595

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA E MOSCA E ALLE LEGAZIONI AD ATENE E SOFIA

T. 12565/c. Roma, 5 novembre 1948, ore 23.

(Per tutti) A San Remo, dove ministro degli affari esteri greco signor Tsaldaris recasi per poche ore da Parigi, sono stati oggi firmati con la Grecia Trattato di arricizia, commercio e navigazione nonché Convenzione di conciliazione e regolamento giudiziario.

(Per tutti meno Atene) Accordi restano entro limiti classici di tal genere strumenti ed acquistano significato politico sovrattutto perché coronano sforzi dei due Gcvemi diretti liquidare definitivamente passato e normalizzare relazioni reciproche.

596

IL CONSIGLIERE PER LE QUESTIONI COLONIALI, CERULLI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

APPUNT01• Parigi, 5 novembre 1948.

Ho visto l'ambasciatore Tingfu Tsiang, delegato della Cina all'O.N.U. Avendogli io esposto la situazione attuale della questione italo-africana, Tsiang mi ha detto che le istruzioni, che egli ha ricevuto dal suo Governo, sono molto precise ed egli non vedeva alcun inconveniente perciò a comunicarmele: per la Somalia la delegazione cinese voterà per noi, vale a dire per un trusteeship italiano. Per l'Eritrea invece Tsiang ha istruzioni di votare con l'Etiopia, e cioè accettare quella qualsiasi dee isione sull'Eritrea che l'Etiopia a sua volta accetti. Per la Libia, analogamente, Tsimg ha istruzioni di votare la soluzione che sarà accettata del gruppo degli Stati arabi.

L'ambasciatore di Cina ha aggiunto che, appunto in base alle sue istruzioni, egli si ~~ dato premura di sondare la delegazione etiopica per conoscere quale era l'atteggiamento definitivo dell'Etiopia circa l'Eritrea. Ed ieri gli è stato ufficiosamente comunicato da parte etiopica che in definitiva l'Etiopia sarebbe contenta se in questa As~:emblea ottenesse l 'Eritrea meridionale nei limiti della prima proposta Marshall (D~mcalia, Acchelé Guzai e Seraè ), ed in tal caso si disinteresserebbe praticamente del 1 'Eritrea settentrionale. Tsiang mi ha detto che però confidenzialmente il delegato etic,pico lo ha informato che tale disinteressamento non sarebbe affatto in favore del 'Italia, ma piuttosto perché gli etiopi credono aver motivo di attendersi che, dopo

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l'anno di rinvio eventuale, l'Eritrea settentrionale sarebbe unita al condominio angloegiziano del Sudan.

Tsiang poi mi ha dichiarato che interpretando le istruzioni di massima del suo Governo, come me le aveva esposte, egli riteneva che in una votazione sulla proposta «Somalia ora e rinvio del resto» la delegazione cinese avrebbe potuto votare favorevolmente solo nel caso che l'Etiopia a sua volta si dichiarasse soddisfatta. Comunque sia, la Cina, anche se fosse costretta a votare insieme con l'Etiopia contro di noi, ne dichiarerebbe le ragioni per spiegare che il suo voto ci è contrario soltanto per la connessione con le aspirazioni eritree dell'Etiopia, ma che invece il Governo di Nanchino ritiene che la Somalia debba andare all'Italia in trusteeship. Per la Libia, poi, anche se si arrivasse ad un accordo itala-britannico ed ad una proposta concordata, la Cina non la voterebbe se gli Stati arabi non avessero a loro volta partecipato all'accordo.

Tsiang ha concluso dicendomi come egli desiderava che noi vedessimo nell'estrema franchezza delle sue dichiarazioni una prova dei sentimenti amichevoli della Cina, che fa tutto il possibile nelle circostanze attuali e nella necessità in cui si trova qui nel giuoco dell'Assemblea.

596 1 Mancano gli estremi dell'appunto di trasmissione.

597

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. PERSONALE 12574/578. Roma, 6 novembre 1948 1•

Tua lettera 9765/3577 del 28 ottobre2 . Nostra proposta rinvio è unicamente dovuta a considerazioni illustrate con telegramma n. 5603 ed è stata fatta nel solo intendimento evitare in questo particolare momento tutto ciò che potrebbe imbarazzare anziché facilitare azione Governo nel senso auspicato. Ove rinvio fosse impossibile e se nostra richiesta dovesse suscitare costì reazioni negative, che sarebbero peraltro del tutto ingiustificate, non insisteremmo. Tuttavia conviene in tal caso sia chiaro al Dipartimento di Stato che prossime discussioni Parlamento non (dico non) ne saranno facilitate. Giudichino quindi costì anche in relazione ai fini che congiuntamente ci proponiamo raggiungere,

convenienza o meno accettare nostra proposta. In ogni caso rimane inteso che comunicato relativo visita verrà previamente concordato e sarà pubblicato contemporaneamente qui e costà4 .

2 Vedi D. 564.

3 Vedi D. 567, nota l.

4 Per la risposta vedi D. 600.

597 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

598

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI

T. 125811160. Roma, 6 novembre 1948, ore 17.

Mio telegramma n. 12565/c. 1•

Incontro con Tsaldaris è stato cordiale e ha dato luogo breve scambio vedute generali.

Come le è noto i due strumenti firmati ieri hanno valore soprattutto in quanto rappresentano conclusione trattative che hanno avviato a soluzione positiva maggior parte questioni rimaste aperte tra Italia e Grecia. Nell'incontro ho abbordato anche i due principali argomenti rimasti fuori da queste trattative: nostri detenuti in Grecia e sblocco beni italiani. Per la prima Tsalsaris, accogliendo mia richiesta, ha dichiarato giornalisti italiani riuniti in conferenza stampa inviare immediatamente telegramma per raccomandare suo Governo sollecita procedura provvedimenti clemenza. Per la seconda abbiamo avuto assicurazioni generiche che comunque potranno essere preci~ate in relazione andamento riparazioni.

Ai giornalisti greci, riferendosi senza nominarlo ad accordo riparazioni, che del re~;to non è ancora compiuto, Tsaldaris ha espresso sua soddisfazione per cooperazione economica tra i due paesi «nel quadro accordi E.C.A.» e per contributo tecnica italiana a lavori idraulici in Grecia.

È inutile dirle che abbiamo parlato di collaborazione tra i due paesi esclusivamente sul piano europeo e non (dico non) di patto mediterraneo.

599

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14577/380. Mosca, 6 novembre 1948, ore 20 (per. ore 23,40).

Telegramma 169 1•

Dopo colloquio preparatorio con Molotov e dopo predisposizione dei documenti oggi si è addivenuto in presenza anche on. La Malfa, scambio lettere fra me e Molotov le quali in conformità telegramma riferimento contengono soltanto richiamo a documenti già scambiati2 cui si è aggiunto un ultimo allegato contenente le pre

2 Vedi DD. 521, Allegati I e II, 561 e 577.

89)

cisazioni circa termini consegna autorizzati con telegramma V. E. 1663 . Non ho aggiunto clausola esplicita circa completa esecuzione clausole navali ritenendo che ciò sia implicito nell'insieme dei documenti annessi alla lettera. Insisteremo per includerla nel comunicato finale dopo raggiunti accordi economici.

Segnalo che nel colloquio preparatorio Molotov si è preoccupato circa aspetto tecnico consegna raccomandando che fosse effettuato in uno spirito collaborativo e senza incidenti. Larvatamente egli faceva comprendere di temere anche atti eventuali di sabotaggio da parte di equipaggi. Abbiamo dato in proposito assicurazioni. Oggi dopo la firma ho ancora una volta insistito sulla necessità che accordi riparazioni ed economici siano rapidamente conclusi. Invio per corriere copia documenti scambiati.

598 1 Vedi D. 595.

599 1 Vedi D. 592.

600

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 14592/879. Washington, 6 novembre 1948, ore 20 (per. ore 7,35 del 7).

Mi riferisco al tuo telegramma 578 ed alla mia lettera 9889/3649 del 4 novembre, partita per corriere aereo 123 e diretta a S.E. il ministro1•

Confermo che per i motivi indicati nel mio telegramma 8702 , la nota visita, qualora non possa iniziarsi entro la data del lo dicembre (circa la quale peraltro queste Autorità militari contano di poter dare una risposta definitiva nei prossimi giorni) dovrebbe essere rinviata a tardo gennaio o febbraio. Mentre Dipartimento di Stato mostra di apprezzare adeguatamente motivi breve rinvio richiesto con telegramma 5603 , e li ha illustrati presso organi militari, lungo rinvio potrebbe avere conseguenze negative di carattere non soltanto e non tanto psicologico quanto piuttosto sostanziale. Infatti, poiché vi è motivo di ritenere che inizio formulazione piani militari americani sulla base collaborazione con taluni paesi europei siano ormai prossimi, sarebbe opportuno non procrastinare contatti con queste autorità. Conviene altresì tenere presente che visita in questione rientrerebbe nel quadro di scambi di vedute tecnici, disgiunti per ora da formali intese politiche e pertanto conformi alle intenzioni del Governo italiano.

2 Del l" novembre, con il quale Tarchiani aveva comunicato che, stante l'assenza di Bradley da Washington nel mese di dicembre e il previsto avvio per gennaio dei lavori del Congresso, la visita in questione avrebbe dovuto avere preferibilmente luogo entro il l" dicembre.

3 Vedi D. 567, nota l.

Comunque, poiché non sono in grado di giudicare se sfavorevoli ripercussioni interne di una eventuale prossima visita avrebbero conseguenze tali da far passare in seconda linea considerazioni sopra esposte, prego farmi conoscere se, a causa di de:te ripercussioni e in relazione prevedibile durata dibattito parlamentare, sia fin da ora esclusa possibilità arrivo lo dicembre o, in caso contrario, quando presumibilmente potremo comunicare a questo Governo decisione definitiva4 .

599 3 Vedi D. 577, nota 2.

600 1 Vedi DD. 597 e 593.

601

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14884/1081 1 . Parigi, 6 novembre 1948.

Rimettendomi copia risposta Schuman trasmessa tramite codesto ambasciatore Francia2 Chauvel mi ha detto che Fouques-Duparc è incaricato confermarle desiderio Schuman incontrarsi al più presto con VE.

Mi ha poi chiesto per sua norma se ero informato suoi desideri circa data, luogo co1ferenza ed ordine del giorno.

Gli ho detto che per suo incarico avevo suggerito località Francia meridionale (Chauvel mi ha detto che Schuman pensa a Cannes). Circa data VE. pur essendo evidentemente interessata avere al più presto scambio vedute col suo collega francese non ritenevo avesse particolare fretta. Con Schuman avevo accennato possibilità che incontro avesse luogo subito dopo fine lavori O.N.U. Chauvel mi ha detto che tale data converrebbe Schuman perché oltre difficoltà abbandonare O.N.U., 15 ha luogo rientrata parlamentare con sedute che si annunciano tempestc·se: d'altra parte però Schuman non voleva dare l'impressione voler dilazionare incontro qualora VE. avesse invece ritenuto avere passo carattere urgenza. Mi sono comunque riservato fargli conoscere se VE. concordava con mia interpretazic,ne suo pensiero.

Circa ordine del giorno gli ho detto dovevo supporre V.E. intendesse:

l) rapporti i tal o-francesi con particolare accento Unione doganale e opportunità accelerarne tempi;

2) Federazione europea e problemi connessi;

3) esame situazione politica generale.

Anche qui mi sono riservato eventuali ulteriori precisazioni3 .

61)0 4 Per la risposta di Sforza vedi D. 602.

61)1 1 Il presente telegramma veniva ritrasmesso per telefono alle ore Il dell'8 novembre con T. 14~·13/1082 in seguito a richiesta di ripetizione.

2 Vedi D. 584.

3 Per la risposta vedi D. 607.

602

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 12870/579. Roma, 8 novembre 1948, ore 21.

Suo 879 1 .

Ella può dire che speriamo discussione e voto politica estera siano avvenuti prima della fine di novembre e in tal caso data l o dicembre sarebbe possibile.

In ogni caso siamo decisi autorizzare partenza entro i primi di dicembre.

603

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BR OSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14621/383. Mosca, 8 novembre 1948, ore 13 (per. ore 12,30).

Ieri sera a ricevimento avuto per anniversario rivoluzione Zorin ha presentato La Malfa e me a Gromyko il quale ha intavolato conversazione su ammissione Italia

O.N.U. Gromyko ha riaffermato essere pericoloso per sovieti aderire ingresso Italia separatamente perché in tal caso Stati europei filo-sovieti attenderebbero ammissione ancora parecchi anni.

D'altra parte egli e Zorin benché invitati a considerare da un punto di vista più largo interesse comune a ingresso indipendente O.N.U. di un importante paese quale Italia rispondevano non esservi nessuna speranza che un tale gesto verso Italia ne mutasse le direttive politiche.

Invano spiegai non trattarsi di questo impossibile mercato ma di una più larga prospettiva sulla funzione pacificatrice che l'Italia avrebbe potuto svolgere in avvenire. Gromyko e Zorin aggiunsero poi che ormai a Parigi i Grandi sarebbero già d'accordo su ammissione tutti i paesi europei che ne hanno fatto domanda nonché Transgiordania. Disaccordo rimarrebbe perché inglesi rifiuterebbero ingresso Mongolia ritenendola non indipendente pur sapendo che i sovieti non farebbero in caso di sua ammissione obiezioni a Ceylon che ritengono pure non indipendente. Soluzione insomma dipenderebbe tutta da inglesi e si concentrerebbe su ammissione Mongolia.

602 1 Vedi D. 600.

604

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1041/479. Lisbona, 8 novembre 1948 (per. il 17).

Te l espressi di questa legazione n. 4 79/211 del 30 aprile u.s. 1 , n. 930/417 del 27 settembre2 e n. 1017/461 del 3 novembre u.s. 3 .

In occasione del banchetto offerto al ministro della pubblica istruzione spagnolo venuto in visita ufficiale in Portogallo, questo ministro degli affari esteri ha pronunciato un discorso in cui, dopo aver ricordato le ragioni etniche, ideologiche e politiche che hanno portato al rinnovo del patto iberico nello scorso settembre, co;;ì si è espresso nei riguardi dei ventilati progetti di una più vasta unione

o c ~identale: «L'idea di un'Unione Europea e del raggiungimento di nuove forme di organi:aazione politica del nostro continente, di cui si sente parlare ogni giorno, è ancora be1 lontana dal poter essere realizzata; né vedo ancora fino a qual punto si possa nutrire la speranza di raggiungere un semplice ma sincero e solido accordo compn:ndente tutta l'Europa occidentale, accordo che sarebbe d'altra parte assolutamente ne,;essario. Come io stesso ho fatto notare durante la Conferenza economica per la co,)perazione europea di Parigi, non è senza apprensione che osserviamo l'atteggiamwto di molti Stati i quali, in conferenze internazionali anche di carattere esclusivamente tecnico, si oppongono all'ammissione della Spagna, paese indispensabile alh vita e all'equilibrio dell'Europa. Tale atteggiamento è in molti casi contrario ai trattati esistenti ed è, comunque, illogico e assurdo. Non sarà certo l'Organizzazione delle N azioni Unite che potrà creare quella desiderabile unità dei popoli, fatta di comprensione, di solidarietà e di armonia. E tuttavia un accordo è oggi più che mai necessario per le piccole come per le grandi potenze; non vi è infatti oggi alcun paese sufficientemente forte e sufficientemente ricco per potersi permettere il lusso di un isolamento». Caeiro da Matta non fa che riconfermare quelle che sono le linee direttive della po. i tica estera portoghese e lo fa con una certa timidezza, in tono minore e meno perentorio del solito, quasi per attutire in certo modo l'effetto e l'impressione che hanno suscitato sia all'interno che all'estero le ultime affermazioni, seppure ufficiose,

sull'inopportunità di un'adesione del Portogallo al Patto occidentale e ad una eventuale federazione europea.

6(14 1 Vedi serie decima, vol. VII, D. 636. 2 Relativo al recente rinnovo del trattato di amicizia e non aggressione ispano-portoghese del 1939 e p ù in generale ai rapporti ispano-portoghesi. 3 Non rinvenuto.

605

IL MINISTRO AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 3425/1158. Ottawa, 8 novembre 1948 (per. il l O dicembre).

Riferimento: mio telespresso n. 3308/1140 del 5 novembre corrente 1• Ho oggi presentato le credenziali al governatore generale del Canada, maresciallo Alexander.

Il cerimoniale d'uso è stato da qualche tempo alleggerito delle allocuzioni di circostanza. Mi sono quindi limitato ad un paio di frasi relative alla consegna delle credenziali ed all'intento di rendere sempre più stretti e cordiali i rapporti tra le due nazioni. Il capo del protocollo del Dipartimento degli esteri mi aveva in precedenza accennato all'opportunità di omettere un espresso riferimento alla persona del re d'Inghilterra cui le lettere sono indirizzate, sottolineando invece la sua qualifica nei confronti del Canada.

Il maresciallo mi ha risposto dandomi un cordiale benvenuto in questo paese. A differenza di quanto praticato l'anno scorso, quando il mio predecessore presentò le credenziali ad Alexander, seduto sulla poltrona del re nel salone del trono, la breve cerimonia ebbe luogo quest'anno in un altro ambiente ed entrambi eravamo in piedi.

Il maresciallo mi intrattenne quindi lungamente in conversazione per circa mezz'ora, per un tempo cioè superiore a quello previsto dal protocollo che è di circa dieci minuti. Alla conversazione assisteva soltanto il ministro ad interim degli affari esteri (Pearson è, come noto, a Parigi) carica ricoperta dal ministro della difesa, Brooke Clakston.

Si parlò da prima dell'Italia e dei progressi della nostra ricostruzione. Alexander ricordò --direi con effettivo interesse e con un senso di simpatia per il nostro paese -le condizioni dell'Italia durante la sua permanenza e le enormi distruzioni dovute alla guerra. Pur attribuendo prevalentemente quest'ultime alla sistematica azione tedesca, ammise anche che una qualche parte ne era dovuta agli anglo-americani. Si diffuse sulle condizione disastrose della rete ferroviaria e delle comunicazioni. Ed al riguardo fui lieto di informarlo de li' efficiente stato attuale delle nostre ferrovie grazie all'azione del Governo e degli organi tecnici.

Si passò quindi a parlare di Trieste. Alexander riconobbe senz'altro che Trieste era di popolazione prettamente italiana -non così, secondo lui, il contado ed il territorio ad oriente della città -e che quindi Trieste doveva rimanere italiana ed essere annessa alla madre patria. Anzi, durante la conversazione, parlò di Trieste come se la considerasse già reincorporata ali 'Italia. Ebbe qualche cenno alla opportunità che i rapporti della maggioranza italiana colla minoranza slava fossero migliorati e diventassero più cordiali. Lo assicurai degli ottimi intendimenti che il Governo aveva al riguardo: occorreva però tener anche conto dei sentimenti nazionali della

895 stragrande maggioranza della popolazione, tanto più sensibile in seguito alle prove che aveva subite.

Il maresciallo insistè, poi, sulla necessità che l'Italia aprisse largamente il porto di Trieste agli Stati del retroterra ed in particolare alla Jugoslavia. Evidentemente era informato dei contatti che hanno avuto luogo in argomento nel settembre scorso tra Lc•ndra e Washington, ad iniziativa della prima. Lo rassicurai sui propositi del Governo e lo informai delle direttive adottate sin dai tempi della Conferenza della pace ed ultimamente riaffermate pubblicamente da V.E., nel suo discorso di fine settembre u.s. al Senato2 . Gli ripetei anzi testualmente, l'efficace frase avuta dall'E.V. in argomento. Trassi occasione da questo suo interessamento per dirgli che il Governo ed il popolo italiano avevano ben presente la ferma azione da lui svolta nel maggio-giugno 1945 per ottenere che le forze jugoslave evacuassero Trieste e la Zcna A. Ne fu molto soddisfatto.

Portai quindi il discorso su Tito. Mi parlò del noto incontro -il primo -che av~va avuto col dittatore jugoslavo. Tito, gli era riuscito molto simpatico come persona, si era espresso -egli riteneva -con assoluta sincerità. Gli aveva detto di essere un convinto comunista, deciso sin d'allora ad improntare la sua azione di Governo ai principi ed alla prassi marxista più ortodossa. Secondo Alexander, quindi, ben difficilmente Tito avrebbe mutato i suoi orientamenti politici ed economici e mai le sue intime convinzioni. Il mio interlocutore non vedeva quindi una via d'uscita all'attuale situazione jugoslava. Condivideva l'opinione diffusa che il Kremlino non avrebbe esitato ad adoperare ogni possibile mezzo per eliminare il dittatore jugoslavo ed i suoi amici. Alexander mi chiese, infine, dei nostri attuali rapporti co la Jugoslavia. Gli riferii le direttive di V.E. ed il nostro proposito di facilitare i contatti, specie economici, tra Belgrado e l'Occidente, di cui siamo parte.

Successivamente a questo colloquio ha avuto luogo una colazione offerta in onJre dell'ambasciata dal maresciallo e da lady Alexander. Tra gli invitati, vi era Lord Renne! Rodd (figlio dell'ambasciatore britannico a Roma durante la prima gu·~rra mondiale, che, come è noto, fu anch'egli in Italia colle truppe inglesi nel 1943-44).

Dopo colazione ebbi occasione di intrattenermi con Rodd e di parlare genericamente con lui delle relazioni italo-inglesi e della possibilità e modi di migliorarle ancora. A quanto egli stesso mi disse, a mezzo di personalità politiche canadesi si porrebbe, col tempo, svolgere una utile azione di fiancheggiamento. Il maresciallo Alexander godrebbe poi ancora a Londra di personale prestigio e considerazione e vi sarebbe ascoltato.

Nel prendere congedo, il maresciallo ebbe nuovamente delle parole molto calorose ed amichevoli.

6(15 2 Si riferisce ai discorsi di Sforza alla Camera (28 settembre) ed al Senato (15 ottobre), per i quali vedi DD. 491, nota 7 e 525, nota 4.

605 1 Non pubblicato.

606

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. Londra, 8 novembre 1948.

Ritengo che quanto ti ho scritto ufficialmente il 3 corrente in un lungo rapporto

(n. 5338/2287)1 rifacendo un po' il punto sulla questione delle nostre ex colonie quale mi appare qui, abbia chiarito sufficientemente il mio pensiero, sopratutto per chi legga tra le righe come tu puoi. Io ti confesso le mie perplessità e i miei timori:

-che le posizioni si siano cristallizzate a Parigi dalle due parti; -che gli inglesi comprendendo che non vi è via di uscita e decisi ormai a restare definitivamente in Cirenaica a qualunque costo mettano fuori all'ultimo momento la formula già prospettata durante le trattative Massigli «indipendenza e

unità della Libia» la quale sarebbe assai probabilmente accettata anche dal Partito conservatore (contrario più che io non pensassi al nostro ritorno in Tripolitania); -che gli Stati Uniti finora molto ambigui e incerti sulla posizione da prendere

nei nostri riguardi riguardo al problema libico, trovino questa formula più accettabile alle esigenze di una organizzazione delle loro basi strategiche che la nostra presenza in Tripolitania disturberebbe alquanto;

-che nella confusione di una votazione alla Assemblea e in seguito a forti pressioni anglo-americane gli stessi rappresentanti delle nazioni amiche latino-americane si sbandino all'ultimo momento !asciandoci in asso e trovino una via di uscita nell'appoggiare una formula apparentemente neutra: o rinvio o indipendenza della Libia;

-che con ciò il destino della Tripolitania sia segnato ma, pericolo ancora più grave, che ne derivi una frizione con l'Inghilterra di cui soffriremmo non solo nei rapporti africani ma in tutti i rapporti, in questo momento delicatissimi e importantissimi per la nostra partecipazione e collaborazione alla Unione delle Nazioni euro

pee occidentali.

Di fronte a questa previsione che a volte non mi fa dormire di notte, io mi domando se prima che si apra alle Nazioni Unite la discussione sulle nostre ex colonie non sarebbe opportuno che io tentassi, in via confidenziale, attraverso una persona di autorità e di fiducia di cui per ora non ritengo opportuno fare il nome e con la quale ho rapporti di confidente amicizia, di vedere se la possibilità di una seria chiarificazione secondo le linee indicate nel mio rapporto, è ancora possibile. Sarebbero conversazioni che dovrebbero servire a trovare una possibile base per trattative da portarsi subito sopra un più alto piano ossia un intervento diretto tuo

o di De Gasperi a Parigi, a Roma o a Londra. Per iniziare però conversazioni del genere, sia pure confidenzialissime, bisognerebbe noi fossimo preparati ad accettare,

dietro contropartita di altro genere, il trusteeship britannico sulla Cirenaica come una soluzione che noi dovremmo non raccomandare ma essere disposti ad accettare.

Data questa premessa sarebbe forse possibile giungere ad una seria e completa eh arificazione dei rapporti tra i due paesi. È evidente però che io non potrei nemmeno cominciare a preparare il terreno senza sapere se questa premessa esiste o può esistere. Dal telegramma che riferisce sul tuo colloquio con Mallet2 direi di sì.

Se sei d'accordo con quanto precede mi riserverei di farti pervenire uno schema più dettagliato dei punti che ritengo potrebbero essere trattati e delle richieste che potremmo avanzare agli inglesi. Credo però indispensabile che per il mc,mento tutto rimanga riservatissimo e si concluda entro lo strettissimo cerchio di te, di De Gasperi, di Bevin attraverso il mio interlocutore, e di me, lasciando da pa1te ogni interferenza3 .

606 1 Vedi D. 587.

607

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 12719/837. Roma, 9 novembre 1948, ore 21.

Suo 108Jl. Anche per noi comincerà dopo 15 una discussione essenziale di politica estera alla Camera. Approvo quindi risposta di V.E.

Circa ordine del giorno ella vorrà includervi anche esame della proposta da me fat:a circa collaborazione europea osservando peraltro che il punto d'arrivo conterà sempre molto più della strada.

608

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 12739/405. Roma, 9 novembre 1948, ore 14,30.

Condivido apprezzamenti di cui al suo telegramma 474 e rapporto 5338/2287 1• Infatti come risulta da comunicazioni ambasciata Parigi, che le vengono di volta in

3 Sull'argomento vedi DD. 608 e 615. Per la risposta di Sforza vedi D. 620.

89:~

volta trasmesse, è appunto in tal senso che ambasciatore Quaroni cerca orientare soluzione questione, di concerto col Quai d'Orsay e con rappresentanze maggiori paesi che ci prestano loro appoggio. E ciò anche se per ragioni tattiche e seguendo sviluppi situazione, predetto ambasciatore abbozzò a titolo personale atteggiamento cui ella allude. Segue lettera per corriere2 .

606 2 Vedi D. 565.

607 1 Vedi D. 601.

608 1 Vedi DD. 574 e 587.

609

COLLOQUIO DEL CONSIGLIERE CERULLI CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEL LIBANO, RIAD EL SOLH

APPUNT01• Parigi, 9 novembre 1948.

Ad iniziativa del ministro libanese Helou, del Segretariato Lega araba, ho oggi incontrato il presidente del Consiglio libanese Riad bey Solh che aveva con lui lo stesso Helou ed un altro delegato del Libano. Riad Solh mi ha detto che aveva desiderato vedermi per uno scambio di idee sulla questione italo-africana sviluppando le possibilità, cui Helou mi aveva accennato nelle precedenti conversazioni. Nella situazione attuale, ha precisato Riad Solh, anzi tutto non è certo ancora se la questione italo-africana sarà trattata a Parigi prima della chiusura dell'Assemblea oppure non sarà rimandata, insieme con altre questioni, alla ripresa eventuale dei lavori dell'Assemblea, dopo le vacanze di Natale, a New York. Parecchi Stati, infatti, sono del parere di sospendere i lavori nella prima decade di dicembre e riprenderli, dopo le feste, a New York. Per conto suo, tuttavia, Riad Solh crede che la discussione potrà aver luogo qui presto, specialmente se si deciderà, come è probabile, di rimandare invece a New York la questione della Palestina.

Quanto alla sostanza del problema italo-africano, Riad Solh mi ha detto che per la Somalia non vi sono difficoltà da parte del gruppo arabo (e tanto meno del Libano). Per l'Eritrea egli ha la persuasione che non se ne parlerà quest'anno in toto, ma solamente si deciderà il rinvio di un anno almeno di parte del problema (Eritrea settentrionale). In ogni modo, per ragioni di gruppo, il Libano, come altri Stati arabi, voterà nello stesso senso dell'Etiopia.

Quanto alla Libia, l'atteggiamento libanese e degli altri Stati arabi è determinato dai due criteri deII 'unità e dell'indipendenza del paese; questi due punti restano fondamentali per la linea di condotta del Libano. Egli conosce la tesi italiana di rinviare di un anno la questione della Libia; ed in tanto concorda in tale tesi in quanto appunto essa non implica ora nulla di contrario all'unità ed

609 1 Mancano gli estremi della trasmissione a Roma di questo documento.

899 all'indipendenza libica. Tuttavia il Governo britannico insiste per avere adesso una decisione sulla Cirenaica. La richiesta britannica può non essere, in fondo, contraria all'unità della Libia, nonostante le apparenze, perché nulla vieta che fra un anno si prenda per la Tripolitania la stessa decisione che oggi per la Cirenaica. Non sarebbe nemmeno opposta all'indipendenza della Libia se la Gran Bretagna, come Riad Solh ha motivo di ritenere molto verosimile, cambiasse la sua domanda di trusteeship in una domanda di riconoscimento dell'indipendenza di uno Stato senussita, con un trattato di alleanza ed assistenza con Londra. In queste condizioni possibili, perché gli Stati arabi non sceglierebbero di votare, od almeno di non opporsi ad una soluzione che, pur facendo della Cirenaica una Transgiordania numero due, tuttavia farebbe subito acquistare a quel territorio arabo lo status internazionale di indipendenza riconosciuta?

Avendogli io osservato che vi è differenza tra un 'indipendenza effettiva ed un'indipendenza formale, Riad Solh mi ha replicato che, con la stessa franchezza, egli mi ricordava che formalmente l'Italia non ha mai dichiarato, a sua volta, di recedere dalla sua domanda della Cirenaica e che evidentemente, di qui ad un anno, noi saremmo perfettamente liberi di insistere per avere il trusteeship noi su la Libia unita e quindi anche sulla Cirenaica, dopo aver «digerito» a poco a poco gli altri territori.

Questo è il punto di vista arabo, ha proseguito Riad Solh. E tale punto di vista non può essere riesaminato se non in confronto di una collaborazione italo-araba che si >tabilisca praticamente. Gli ho domandato che cosa egli intende per collaborazione italo-araba. Ed egli mi ha risposto che l'Italia per la sua posizione geografica può rendere preziosi aiuti agli Stati arabi, più e meglio che paesi più lontani. Gli Stati ar~bi, e particolarmente il Libano, hanno urgente bisogno di acquistare armi. Può una qu:liche ditta italiana specializzata vendere le armi di cui il Libano ha bisogno? Se qu~sto avviene, il gesto sarà talmente apprezzato che l'intera questione libica potrà es~ ere riesaminata.

Ho chiesto allora a Riad Solh di essere più esplicito e dirmi quali armi volesse e che cosa praticamente fosse disposto a fare per la Libia. Egli mi ha detto che «le arrni» sarebbero principalmente cannoni e mortai ed aeroplani. Per la Libia vi sarebbe la possibilità di riconsiderare la situazione, secondo una di queste linee:

a) voto libanese (ed azione parallela nel gruppo arabo) per il rinvio puro e semplice di un anno, secondo la tesi italiana;

b) voto libanese (ed azione parallela nel gruppo arabo) perché, discutendosi la Libia, l'Italia abbia in Tripolitania la stessa situazione che l'Inghilterra avrà in Cirenaica. Questo implica anche «una Transgiordania numero tre», oppure un trusteeship italiano per un numero di anni da stabilire.

Tali idee andranno esaminate di accordo ed attuate, appena si sappia da parte italiana genericamente che non vi siano difficoltà alla fornitura di armi. L'agente di una ditta italiana entrerebbe in contatto con la delegazione libanese di qui; e parallelamente si svolgerebbero i contatti nel campo politico.

901)

Riad Solh mi ha pregato di far conoscere, in via assolutamente segreta, a Roma questa sua richiesta e di fargli avere una risposta con quel carattere di urgenza che la situazione sembra imponga agli Stati arabi2 .

608 2 Vedi D. 615.

610

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 14714/10881 . Parigi, 10 novembre 1948, ore 13,52 (per. ore 19).

Riad el Solh ha convocato Cerulli2 e, dopo avergli accennato a possibilità che Stati arabi avrebbero potuto accettare un possibile nuovo progetto inglese per riconoscimento indipendenza di uno stato senussita della Cirenaica (con trattato alleanza analogo Transgiordania) e rinvio questione Tripolitania, gli ha esplicitamente detto che tale orientamento poteva essere mutato a nostro favore appoggiando invece sia mandato italiano per Somalia con rinvio di tutto il resto, sia riconoscimento ad Italia in Tripolitania di una situazione uguale a quella qualsiasi cui si arriverà per inglesi in Cirenaica, qualora da parte degli italiani si mostrasse voler realmente collaborare con arabi; collaborazione che in questo caso avrebbe dovuto concretarsi con sollecita fornitura di armi; tale fornitura -è stato specificato -dovrebbe esser diretta Libano e consistere in cannoni, mortai ed aeroplani. Riad el Solh ha pregato di comunicare subito sua richiesta codesto Ministero chiedendo risposta urgentissima, assicurando che conversazioni esplorative intesa circa Libia avrebbero potuto aver luogo con lui qui contemporaneamente a quelle che a parte svolgerebbe agente ditta privata italiana fornitrice armi suddette.

Presente proposta può spiegarsi con ultime notizie giunte Palestina circa situazione forze arabe.

Con corriere che giungerà costà sabato mattina3 completerò maggiori dettagli sulla mia conversazione con Riad; prego tuttavia esaminare fin da ora possibilità prendere in considerazione proposta libanese e di dare risposta preliminare nel senso di poter comunicare Riad se in linea generale nullaosta da parte nostra a contatti nel senso da lui desiderati.

Trattasi questione che deve essere risolta con grandissima urgenza4 .

2 Vedi D. 609.

3 Non rinvenuto.

4 Con T. s.n.d. 12812/843 del 12 novembre Zoppi dava il suo nullaosta. Vedi D. 757.

609 2 Vedi D. 610.

610 1 Il presente telegramma iniziava con istruzioni al capo dell'Ufficio cifra di decifrare personal-mente il testo e rimetterlo in unica copia a Zoppi.

611

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 1552 SEGR. POLI. Roma, l O novembre 1948.

Desidero informarla, per suo orientamento, che l'ambasciatore Quaroni ha riferito che nella recentissima riunione di capi di Stato Maggiore delle cinque potenze di Bn1xelles, gli inglesi sono apparsi modificati nei nostri riguardi. La maggiore sorpresa sarebbe stata data però dal tono tranchant assunto, sulla questione, dagli osservatori arrericani. Essi hanno detto in modo categorico che l'Italia deve far parte della organinazione occidentale e che essi americani non considerano seriamente alcun piano che non tenga conto anche dell'Italia. Probabilmente è stato questo che ha fatto cambiare gli inglesi: infatti le obiezioni degli inglesi non sono state contro la nostra adesione, in quanto tale, ma nell'esprimere dubbi se il Governo italiano sia realmente deciso a prendere una decisione affermativa in tempo utile. Al che l'americano ha risposto: «non vi preoccupate di questo: it is our business, we will see to that>>.

Circa il montante e la divisione qualitativa dell'aiuto americano all'Europa risulta che gli americani hanno già nel loro piano di distribuzione, previsto la share italiana.

612

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. :>.N.O. PRECEDENZA ASSOLUTA PERSONALE 12768/584. Roma, 11 novembre 1948, ore 16.

Sua lettera 4 corrente'.

Autorizzala smentire nel modo più formale che La Malfa o chiunque altro ci abbia consigliato di astenerci da gesti compromettenti con potenze occidentali per non rovinare negoziati economici in corso a Mosca. Né del resto Governo italiano avrebbe mai preso in considerazione un simile consiglio.

Sulla questione navi segretario generale la ha già messa al corrente con lettera 28 ottobre2 e completerà documentazione3 . Resta tuttavia fermo che in ogni fase tra1tative Mosca, che abbiamo mantenuto in campo strettamente economico, abbiamo senpre tenuto presente punto di vista americano; dopo dichiarazione Dunn che suo

2 Vedi D. 563.

3 Vedi D. 563, nota 5.

90:~

Governo non avrebbe potuto alla lunga dissociarsi da richiesta sovietica consegna navi fummo però costretti accettare connessione navi trattative economiche propostaci dai russi e che costituiva condizione sine qua non per continuare trattative, migliorando anche condizioni accordo riparazioni.

Circa visita Marras abbiamo deciso che egli parta per la data costì desiderata.

Per evitare demagogiche discussioni nella imminente discussione parlamentare occorre solo un identico comunicato nostro e americano dichiarante che il viaggio costituisce restituzione visita dando modo al generale italiano di rendersi conto dell'organizzazione militare americana.

Attendo risposta urgentissima per annunziare viaggio alla data che costì si desideri4 .

6 l 1 Inviata anche a Washington con protocollo n. 1553 segr. poi. in pari data.

612 1 Vedi D. 593.

613

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14754/64. Copenaghen, Il novembre 1948, ore 19,32 (per. ore 24).

Telegramma ministeriale 1168 del 28 ottobre scorso 1•

Non prima di oggi ho potuto conferire con questo ministro degli affari esteri al quale ho consegnato memorandum di V.E. del 27 ottobre2 circa Federazione europea illustrandolo con considerazioni tratte da precedenti dispacci sull'argomento. Ministro Rasmussen solitamente molto riservato ha detto di considerare favorevolmente idea di V.E. di cui ha riconosciuto le possibilità di realizzazione. Si è riservato per altro studiare attentamente progetto sul quale mi ha lasciato comprendere avrà degli scambi di vedute con i Governi norvegese e svedese.

614

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. SEGRETO 1558 SEGR. POL. Roma, 11 novembre 1948.

In relazione al suo rapporto n. 1423119438/4124 del 3 corrente 1 posso assicurarla che ella ha ben interpretato il punto di vista del Governo italiano secondo quanto esso risulta sintetizzato ai punti l, 2, 3 e 4.

613 1 Vedi D. 562. 2 Vedi D. 562, Allegato. 614 1 Vedi D. 588.

L'ambasciatore a Washington è stato pregato di chiarire il pensiero americano circa il meccanismo del futuro Patto atlantico in relazione all'esistente Patto di Bruxelles. Dalle informazioni che già si hanno sembrerebbe effettivamente doversi dedurre la possibilità che il Patto atlantico abbia a costituire il «sostegno» di una or~;anizzazione europea che comprenderebbe il pentagono di Bruxelles ed indipendentemente da questo altri paesi tra cui anche l 'Italia ed eventualmente la Spagna, che per ragioni qualsiasi non verrebbe ancora ammessa far parte di una Unione Occidentale od Europea quale dovrebbe costituirsi o attorno all'O.E.C.E. o attorno al Patto di Bmxelles. È quindi in atto un assestamento generale del sistema di collaborazione occidentale nel quale anche l'Italia intende trovare e troverà il suo posto.

Concordo quindi con V.E. in merito all'opportunità che vengano continuati i contatti con i francesi e con gli americani mentre anche in conversazioni dirette con gli inglesi, viene seguito lo sviluppo dell'iniziativa di Bevin sul piano europeo. Come è noto V.E., impegni formali e segreti, dato il nostro sistema costituzionale e la nostra fedeltà ai principi di Governo democratico, non se ne possono oggi prendere. Ma tutti sanno ormai, e lo si può riconfermare, verso quali obiettivi sia ori,~ntata la nostra azione: al momento venuto il Governo farà il suo dovere.

612 4 Vedi D. 618.

615

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA 3/1671. Roma, I I novembre I 948.

Ho letto il tuo rapporto n. 5338/2287 e il tuo telegramma n. 4741 e come ti ho già telegrafato2 sono e siamo perfettamente d'accordo sull'orientamento da dare ad una possibile e soddisfacente soluzione della questione coloniale. È appunto in vista della soluzione anche da te prospettata, che Quaroni sta lavorando a Parigi facendo leva sull'impazienza inglese ad ottenere subito il mandato per la Cirenaica e sull'iLcertezza-che tuttora permane-che tale richiesta possa incontrare la maggioranza necessaria per essere accolta. È infatti soprattutto tale incertezza che può indurre gli inglesi a modificare, come da noi auspicato e come da noi ritenuto necessario, il noto progetto Massigli. Poiché Quaroni ha attualmente la responsabilità dell'azione che sta svolgendo a Parigi di concerto col Quai d'Orsay, con Bramuglia e altri, tocca naturalmente a lui dirci se e quando ritenga giunto il momento, a seconda de~;li sviluppi della situazione, di abbordare direttamente gli inglesi3 .

Gli comunico intanto ad ogni utile fine e per sua conoscenza, e perché abbia ogni elemento di valutazione, le tue osservazioni.

2 Vedi D. 608.

3 Vedi D. 624.

615 1 Vedi DD. 587 e 574.

616

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 11 novembre 1948.

Ho avuto oggi una amichevole e aperta conversazione con Hopkinson che è venuto a Roma per assistere al Congresso federalista. Siamo subito venuti a parlare di questo Congresso, delle particolari caratteristiche del movimento federalista rispetto ad altri movimenti, delle tendenze prevalenti in Gran Bretagna al riguardo. Hopkinson dice che il Partito conservatore è più avanzato di quello laburista sulla via della unione europea purché si proceda sul terreno della realtà lasciando da parte le utopie.

Gli ho detto che per parte nostra siamo dello stesso avviso. Consideriamo tutti questi movimenti utili per propagandare l'idea nell'opinione pubblica e per spingere i vari Governi, ancora timidi o riluttanti, a muoversi, ma riteniamo che la via migliore per preparare l'unità dell'Europa sia quella che possono e devono percorrere i Governi procedendo gradualmente sul terreno delle possibilità e realtà concrete. Gli ho spiegato il contenuto del Memorandum di VE. al Governo francese del 24 agosto 1; gli ho detto che le proposte fatte da Bevin a Parigi danno l'impressione di non essere così lontane dalle nostre se le une e le altre vengono considerate nella loro essenza e non nel dettaglio. La diversità fondamentale è che noi, per le varie ragioni che gli ho spiegate, siamo partiti dall'O.E.C.E., mentre Bevin è partito da Bruxelles, ma, ho concluso, ci si può sempre incontrare a mezza VIa.

Hopkinson è venuto così a parlare del Patto di Bruxelles e da questo alla nostra posizione internazionale. Gli inglesi, ha detto, desiderano l'adesione dell'Italia. Gli ho risposto che su questo «desiderio» vi erano le più contraddittorie informazioni e siamo così venuti a parlare dei rapporti itala-britannici.

A questo riguardo mi sono mostrato con Hopkinson piuttosto scoraggiato. Gli ho ricordato e sottolineato tutti gli sforzi fatti da VE. e dal Governo italiano, sforzi sinceri e convinti, per porre le relazioni italo-inglesi su di una base di fiduciosa amicizia tale da consentire anche una soddisfacente soluzione delle questioni pendenti, da quella coloniale, a quella di Bruxelles. Con dolore dovevo constatare che sinora le nostre migliori intenzioni e azioni erano andate deluse e che si ha in Italia la sensazione che da parte inglese si continui a volerei tenere in quarantena o a considerare l'Italia di nessun interesse. Mi esprimevo con lui, ho detto, con tutta franchezza, considerando che è nella migliore condizione per capire: infatti non è più un funzionario del Foreign Office, ma un uomo politico e al tempo stesso una persona che, per avere appartenuto sino a poco fa al Foreign Office, conosce le questioni ed è in grado di valutarne l'importanza. Sembra che in Inghilterra -a

torto o a ragione, noi diciamo a torto -si diffidi di noi per i cosiddetti otto milioni di voti dati al Fronte. A parte che vi sono in Francia altrettanti comunisti, assai più agitati di quelli italiani, e che ciò non suscita invece a quanto sembra alcuna diffidenza verso quel paese, il pericolo, gli ho detto, non sta da quella parte. Lasciate che de Gaulle venga al potere in Francia e poi ne vedrete la reazione in Italia per poco cht: de Gaulle ci sappia fare, e ci saprà certamente fare. Questo già lo disse il conte Sforza a Bevin a Londra nell'ottobre 194 72 . Se il popolo italiano si sente negletto o av'rersato dall'Inghilterra volgerà inevitabilmente altrove le sue speranze. Mi è parso cht: Hopkinson rimanesse abbastanza impressionato di quanto gli andavo dicendo e mi ha riferito una idea di Eden per la soluzione della questione coloniale consistente nell'affidare il mandato delle nostre ex colonie alla Unione Occidentale che a sua vota affiderebbe alla Gran Bretagna la Cirenaica, alla Francia il Fezzan e all'Italia la Tripolitania, l'Eritrea e la Somalia. Così si potrebbero, dice, superare le ostilità degli incigeni che sarebbero lusingati all'idea di far parte anch'essi dell'Unione Occidentale, e in questa forma si potrebbe anche far partecipare l 'Italia al popolamento e allo sfr:1ttamento delle colonie africane degli altri membri della Unione Occidentale. È la prima volta, gli ho detto, che sentivo formulare tale proposta in forma così precisa. Erano idee di Eden o sue o del Governo britannico? Quelle che conosciamo del Governo britannico son ben differenti. Gli ho comunque accennato alle pratiche difficoltà di questo progetto pur rilevando che quando si vuoi salvare la sostanza non sono le formule che farebbero difetto, e che potrebbe presentare degli aspetti po:;itivi. Noi abbiamo per tre anni cercato una intesa con Londra disposti ad un onorevole compromesso che tenesse conto degli interessi inglesi che possiamo considerare anche interessi europei e quindi nostri, ma abbiamo sempre trovato poca ricdtività. Solo vaghi e molto prudenti accenni per nulla incoraggianti. La prima co1~a concreta fu la proposta Massigli3 (Hopkinson mi disse di non conoscerla) che aprirebbe la via ad una possibile intesa se vi fosse contemporaneità di attribuzione della Cirenaica, Fezzan e Tripolitania. Hopkinson si è reso conto che per la nostra opinione pubblica la prima formula Massigli non è presentabile. Ritornando al Patto occidentale ho detto che attendiamo di vedere gli sviluppi della nuova iniziativa «atlantica» e dell'esame delle proposte di Bevin da parte dei Cinque, e che indubbiamente l'Italia troverà il suo posto d'accordo con gli occidentali: ma anche per questo occorre scongelare una buona volta i nostri rapporti con Londra che, anche a questo riguardo, hanno sinora «pesato».

In tutto il corso della conversazione, che è stata cordiale, Hopkinson ha dimostrato di rendersi conto della necessità di creare una atmosfera amichevole fra i due paesi. Mi ha detto che verrà prossimamente a Roma con Macmillan, che è t.n amico dell'Italia e ha raccomandato di parlare anche a lui dei rapporti italobri :anni ci. Ha espresso la sua soddisfazione di avere trovato qui un paese assai diverso da quello che aveva lasciato due anni fa e assai più fiducioso in se stesso di altri paesi europei.

3 Vedi D. 357.

616 1 Vedi D. 350, Allegato.

6 l 6 2 Vedi serie decima, vol. VI, D. 660.

617

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 12826/588. Roma, 12 novembre 1948, ore 21.

Suo 895 1•

Nel caso di votazione per ammissione Israele quale semplice osservatore codesta delegazione potrà regolarsi su atteggiamento delegazioni altri paesi Europa occidentale che non hanno riconosciuto Stato Israele tenendo presente in particolare quello della Francia cui posizione è più analoga alla nostra. Se però si trattasse di ammissione quale membro dovremmo astenerci dal voto.

618

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14785-14787-14788/897-898-899. Washington, 12 novembre 1948, ore 20 (per. ore 8 del 13).

Ho esposto nuovamente a Hickerson nostra opinione su prossima discussione Parigi circa colonie.

Egli ha mostrato intendere perfettamente valore soluzione per Somalia, indipendentemente da ogni altra questione. Accennando io a tal proposito alla ostinata miopia britannica, ha risposto nettamente: «How right you are».

Sia per continuare a sostenere questo punto di vista, sia per agevolare in caso di cattiva piega del dibattito, l'iniziativa di un rinvio totale, Hickerson prega che nostri osservatori a Parigi si tengano strettamente in contatto con delegazione americana. A quest'ultima egli prospetterà ancora una volta nostre disposizioni e ragionevoli esigenze sottolineandone l'importanza nel comune interesse, specie in questo momento di così attive conversazioni occidentali le quali, sebbene ad esclusivo scopo difensivo, comporteranno necessariamente un minimo di accordi tecnici.

Hickerson, cui ho comunicato contenuto del telegramma di VE. 5841, si è mostrato soddisfattissimo nostra decisione visita i primi di dicembre. Programma predisposto da ministro difesa prevede arrivo 2 dicembre. Esso è stato approvato oggi in linea di massima da generale Bradley, testé rientrato da breve assenza, e mi sarà confetmato definitivamente domani.

Dipartimento di Stato lascia il Governo italiano pienamente libero di annunciare viaggio quando crede nonché di concordare con ambasciatore Dunn il testo c la cc•ntemporanea pubblicazione del comunicato sulle linee indicate nel telegramma ci :ato e proposte già qui da Dunn stesso.

A mia impressione occorrerebbe però che visita fosse annunziata prima della discussione parlamentare, onde apparire come cosa già decisa e scontata. Ciò permetterebbe fra l 'altro di evitare che notizia trapeli prematuramente per altre vie mettendo in imbarazzo il Governo oppure che, prolungandosi discussione, manchi dopo questa il tempo di dame tempestivamente annunzio ufficiale.

Colloquio odierno Hickcrson mi ha manifestato sulla questione della cessione nLvi alla Russia la comprensione del Dipartimento di Stato, il quale rimane in attesa cc,noscere ripercussioni dell'accordo, che si augura veramente sostanziali a nostro Vé:ntaggio.

617 1 Deli'Il novembre, con il quale Tarchiani aveva richiesto istruzioni per le votazioni sull 'ammissione di Israele alla F.A.O.

618 1 Vedi D. 612.

619

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14789/900. Washington, 12 novembre 1948, ore 20,46 (per. ore 8 del 13).

«Associated Press», confermando e sviluppando notizie giornalistiche di cui a mio 894 1 , afferma che settimana prossima ambasciatori cinque potenze si riunirebbero presso Lovett per rappresentargli risultati conferenza esperti Londra. Afferma altresì che in tale occasione Italia Portogallo Norvegia Danimarca Islanda e forse Ir anda sarebbero invitate aderire blocco ed inviare delegati a conferenza da riunirsi tardo dicembre Washington Ottawa o Bermude per preparare trattato alleanza. Tale cc•nferenza avrebbe anche lo scopo di fornire gli elementi necessari per chiedere in g<:nnaio al Congresso diversi miliardi dollari occorrenti per armare dodici paesi aflZiché sette.

In proposito ho interrogato Hickerson. Questi mi ha confermato che non si prevede nulla d'immediato. Appena gli esperti di Londra avranno concretato loro proposte ci sarà certo una riunione di ambasciatori al Dipartimento, ma non si può dire se sarà tra una settimana o due. Canada e Stati Uniti sono pronti; aspettano i C nque. Tutto il resto (invito conferenze, progetti a dodici) sono soltanto induzioni. Per ora (dopo averne parlato in questi giorni con Lovett), Hickerson può dire se !tanto che nelle riunioni si tratterà anche il problema dell'adesione di altre nazioni. I modi non sono decisi; si provvederà a concordarli.

hl9 1 Del l O novembre, con il quale Tarchiani aveva segnalato una analoga notizia pubblicata sul New York Times.

In ogni modo (anche a questo delicato proposito) l'annunzio al più presto della indipendente nota visita qui 2 ; mi pare quanto mai opportuna, per avere un anticipo su ogni altra riunione o decisione e perché la visita non sia abbinata con quelle.

620

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. 128511409. Roma, 13 novembre 1948, ore 18.

Tua lettera dell'8 e mia dell'Il c.m. 1• Pensieri del mio colloquio con Mallet2 restano interi. Fammi pervenire subito lo schema sul quale riceverai immediatamente mia risposta. Intanto tu prepara sia pure con massima prudenza tuoi mezzi di eventuale azione.

621

IL MINISTRO DEGLI ESTERI D'AUSTRIA, GRUBER, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4857. Tarvisio, 13 novembre 1948, ore 21 (per. ore 8 del 14).

Nel lasciare l'Italia desidero ringraziare di cuore V.E. per la così calda accoglienza che ho trovato a Roma. Sono convinto che i colloqui che ho avuto l'onore di svolgere con V.E., col presidente del Consiglio come con altri colleghi ed i loro collaboratori 1 , hanno contribuito al persistente ulteriore approfondimento delle relazioni fra i nostri due paesi. Serbando un cordiale ricordo dei giorni indimenticabili vissuti nella vostra terra meravigliosa e pregando V.E. di tasmettere a S.E. il presidente del Consiglio i miei più cordiali ossequi la prego di gradire l'espressione della mia più alta considerazione.

Vedi D. 565. 621 1 Non -;ono stati rinvenuti i verbali di tali colloqui, per la documentazione preparatoria sulla visita vedi D. 586.

619 2 Si riferisce alla visita del generale Marras a Washington.

620 1 Vedi DD. 606 e 615.

622

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R 2333. Belgrado, 13 novembre 1948 (per. il 16).

Mentre nessun fatto di rilievo è intervenuto a modificare i termini del conflitto Jugoslavia-Cominform, e dopo una certa stasi nella vita del corpo diplomatico, ho desiderato avere una privata conversazione con questo ambasciatore degli Stati Uniti, rientrato da poco a Belgrado dopo un soggiorno feriale in Italia.

Poiché ritengo che alcuni spunti della conversazione siano stati particolarmente interessanti mi permetto riferirne direttamente a V.E.

Lo scopo della mia visita era duplice: quello di sentire l'opinione dell'ambasciatore Cannon sulla presente situazione jugoslava e quello di poter scorgere il suo atteggiamento in merito alle relazioni itala-jugoslave.

Ho preso lo spunto della conversazione dalle preoccupazioni esistenti negli ambienti anglo-americani a Budapest, specialmente militari, sulla possibilità di un conflitto armato, almeno in questo settore balcanico, preoccupazioni che avrebbero spinto alcuni inglesi e americani a far rimpatriare le proprie famiglie. Tali erano infatti le notizie che io avevo potuto attingere direttamente.

L'ambasciatore degli Stati Uniti mi ha dichiarato di non essere in possesso di alcun elemento che possa giustificare tali preoccupazioni che egli considera del tutto locali. Egli ritiene che esse traggano origine dalla situazione interna ungherese più nervosa di quella jugoslava in quanto in Ungheria si sta ora attuando quel processo di comunistizzazione nel campo economico e sociale che oramai è già stato attuato e se ontato in Jugoslavia.

Ciò premesso, egli non ritiene, almeno per ora, che vi sia un pericolo né di un attacco esterno alla Jugoslavia né di una rivolta all'interno. Non il primo perché darebbe luogo a complicazioni internazionali, non esclusa la guerra; non la seconda poiché il Governo di Tito, controllando l'esercito e la polizia, è sufficientemente fcrte per reprimerla. Qualche sfogo di malcontento all'interno potrebbe forse aversi per le notevoli difficoltà di approvvigionamento che potrebbe sorgere soprattutto con l'Inoltrarsi dell'inverno, che si prevede particolarmente duro. Ma anche tale malcontento potrà essere facilmente controllato e represso dalle forze governative.

Successivamente l'ambasciatore Cannon mi ha riferito il tenore della sua conversazione con questo ministro degli esteri Kardelj.

Osservo che, a quanto risulta, l'ambasciatore degli Stati Uniti è l'unico capo missione che è stato finora ricevuto da Kardelj, dopo che questi è diventato ministro degli esteri.

L'ambasciatore Cannon ha preso lo spunto della sua conversazione dalla recente sospensione di numerosi treni (di cui al mio telegramma per corriere n. 098 del 2 novembre c.a.)!, che aveva dato luogo all'ipotesi che fosse dovuta a ragioni

,522 1 Non pubblicato.

militari. Kardelj ha spiegato che mentre il traffico ferroviario è notevolmente aumentato rispetto a quello ante-guerra (circostanza vera), la Jugoslavia possiede viceversa molto meno carri e locomotive. Il Governo jugoslavo avrebbe pertanto soppresso alcuni treni per consentire il trasporto di parecchi prodotti, soprattutto alimentari, che si sarebbero accumulati in questo ultimo periodo. Sta di fatto che i treni soppressi percorrono zone eminentemente agricole.

L'ambasciatore ha insistito sull'argomento chiedendo se la sospensione poteva essere stata determinata anche da insufficienza di carbone. Ma Kardelj ha risposto che i treni jugoslavi hanno sempre usato carbone jugoslavo e, a domanda del sig. Cannon, ha aggiunto che Cecoslovacchia e Polonia continuano la fornitura di carbone, seppure con qualche ritardo.

A questo punto l'ambasciatore ha allora affrontato il tema di un eventuale blocco economico da parte della Russia e dei suoi satelliti. Kardelj ha risposto di non credere affatto a una tale eventualità. Ha aggiunto che un tale fatto non potrebbe non aver influenza sulla linea della politica jugoslava, e, alzando il tono della voce, ha concluso che in tal caso la Jugoslavia potrebbe essere costretta veramente a fare da sola, secondo i suoi interessi.

L'ambasciatore degli Stati Uniti è rimasto particolarmente impressionato del tono e della decisione con cui Kardelj ha concluso tali dichiarazioni.

Da parte sua l'ambasciatore Cannon ha trovato il modo di dire a Kardelj che l'America ha bisogno di tutta la sua produzione e che può indursi soltanto, come sta facendo, ad aiutare paesi che le siano amici. La Jugoslavia non avrebbe tuttavia fatto seri passi per contrarre relazioni commerciali con l'America. Mentre invece l'Inghilterra avrebbe già fornito petrolio alla Jugoslavia e starebbe sviluppando con essa scambi commerciali (vedi mio telespresso n. 1861 del 9 novembre c.a.' sugli accordi commerciali anglo-jugoslavi).

Dopodiché il sig. Cannon mi ha espresso la sua impressione che la crisi Jugoslavia-Cominform sia in questo ultimo periodo piuttosto peggiorata.

Abbiamo poi parlato delle relazioni itala-jugoslave. Fino ad oggi l'atteggiamento del sig. Cannon in proposito era stato piuttosto riservato e talvolta avevo notato da parte sua un certo scetticismo sulla possibilità di un miglioramento dei rapporti itala-jugoslavi.

Cannon, questa volta, mi ha invece esplicitamente dichiarato che sarebbe opportuno lo sviluppo delle relazioni commerciali fra i due paesi. Egli lo ritiene un elemento necessario all'attuale tentativo del mondo occidentale di legare Tito. Egli ha aggiunto che da parte sua, e se ho ben inteso, da parte del Governo americano potrebbe essere aiutata questa possibilità di aumento di scambi tra Italia e Jugoslavia.

Ho voluto accennare allora alle difficoltà che potrebbe in proposito creare il piano Marshall, qualora, ad esempio, attraverso di esso ricevessimo legname che potrebbe invece da noi essere acquistato in Jugoslavia.

Cannon mi ha risposto che, secondo quanto gli risultava, l'Italia avrebbe potuto ritìutare il legname di origine «piano Marshall», facendosi accreditare il controvalore. Mi ha fatto anzi intendere che l'Italia potrebbe persino acquistare merci dalla Jugoslavia da cedere ad altri paesi del «piano Marshall», dato che l'America si trova in grandi difficoltà di trasporti. Non so quanto queste dichiarazioni possono coincidere con la realtà, ma mi sembra di rilievo se di fatto esse potessero trovare attuazione.

In sostanza ho avuto la sensazione che da parte americana si consideri la pm sibilità che veramente l 'Italia possa costituire «il ponte» tra Occidente e Tito, nel tentativo di imbrigliare quest'ultimo in una politica occidentale. Del resto pochi giorni fa questo nunzio apostolico mi aveva espresso l'opinione che gli anglo-americani si fossero resi conto della funzione dell'Italia in questa contingenza. Questo atteggiamento americano, se corrisponde alla realtà, potrebbe anche incoraggiarci verso la via dell'esame dei problemi pendenti fra Italia e Jugoslavia, in base alle «aperture» fatte in questi ultimi tempi da parte jugoslava.

E poiché ho fatto questo ultimo accenno, mi permetto sottolineare l'importanza di 1ma rapida ripresa delle conversazioni già in corso a Belgrado per la definizione delle questioni relative ai territori ceduti, non soltanto, ma altresì, se possibile, di non lasciare cadere la proposta jugoslava di una ampia trattativa su tutti i problemi pendenti tra i due paesi. Se noi possiamo includere nelle conversazioni le partite di credito, cui ho esplicitamente fatto riferimento nel mio telespresso n. 2151/941 del 22 ottobre u.s. 2 , e in particolare la questione dell'indennizzo dei beni italiani, comunqw: espropriati dal Governo jugoslavo, a mio sommesso avviso la partita si potrebbe decidere per noi con qualche punto di vantaggio, non solo dal lato economico, ma altresì politico.

623

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTIN I

T. USERVATO 12906/111. Roma, 14 novembre 1948, ore 16,20.

In seguito trattative svoltesi Parigi tra ministro Femandes e Graziadei è stato redatto nuovo progetto di massima per accordo inteso definire tutte questioni dipendenti trattato di pace ancora non regolate col Brasile.

Tale progetto prevede: restituzione sette navi, di cui due con impianti T.S.F. e frigorifero; costituzione noto Ente per emigrazione e lavoro con 300 mila cruzeiros di cui 100 versati immediatamente, metà dall'I.C.L.E. e metà da noto fondo ambascilta, residui 200 da sottoscrivere ma garantiti dall'I.C.L.E. e dallo Stato italiano; libt~razione di tutti i beni, salvo intesa per uso a titolo temporaneo di codesta «Casa

6n 2 Vedi D. 537.

d'Italia» da parte facoltà Filosofia. Compagnie assicurazioni riavrebbero patenti ongmane eserc1z10.

A tale accordo, di cui trasmetto testo in bozza, ho dato d'intesa col Tesoro, benestare di massima, subordinato analogo benestare da parte amministrazioni tecniche brasiliane.

Se queste si pronunciassero favorevolmente, trattative Parigi saranno riprese per redazione testo definitivo che verrebbe firmato Roma in occasione apposita visita Fernandes.

Quanto precede per sua personale riservata conoscenza.

624

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1503/19991/4260. Parigi, 14 novembre 1948.

Rispondo d'urgenza alla tua lettera dell' 11 novembre n. 3/1657 1• Poiché sembrerebbe che, in un certo senso, dipende da me di dare il v1a all'azione suggerita da Londra, ti rispondo subito: fatela, by al! means.

Ho letto con molto interesse tutta la corrispondenza di Londra (non ho visto soltanto il telegramma relativo alla conversazione Sforza-Mallet) 2 : mi pare sia uno di quei casi, rari anche se desiderabili, in cui siano tutti (Londra, Roma e Parigi) perfettamente d'accordo: non riesco quindi a cap1re dove sia nata l'impressione che seguiamo linee differenti.

Ricapitolando un po': Londra dice, la proposta cosiddetta Massigli 3 era un punto di partenza interessante: (e su questo eravamo e siamo tutti d'accordo) suscettibile di miglioramenti, bisogna solo migliorarla.

Il disaccordo fra Massigli ed il suo Governo è stato su due punti:

l) il suo Governo riteneva che la Francia non dovesse prendersi la responsabilità di patrocinare una soluzione di compromesso che, così come era fatta, rischiava di far poi ricadere sulle spalle della Francia la responsabilità di una soluzione sgradita all'Italia.

2) Massigli, parlando con noi, ha esagerato la portata delle promesse inglesi circa la Tripolitania: sondati gli inglesi qui i francesi si sono accorti che essi non intendevano impegnarsi affatto. Questo, del resto, è apparso molto chiaramente dalla mia conversazione con McNeil 4 : il valore delle assicurazioni britanniche è poi considerevolmente diminuito dal fatto che le stesse assicurazioni sulla Tripolitania,

624 Ritrasmetteva il D. 606.

Ved1 D. 565.

Ved1 D. 357.

Ved1 D. 510.

in senso del tutto contrario, erano state date, dallo stesso McNeil, agli arabi allo scopo di ottenere il loro consenso alla soluzione inglese per la Cirenaica.

Dunque premessa: la proposta cosiddetta Massigli presenta alcuni aspetti intere~;santi: si tratta di migliorarla: come migliorarla? Si poteva migliorarla proseguendo le trattative, subito, a Londra? Massigli e Gallarati sembrano pensare di sì: il Quai d'Orsay è convinto di no: siccome non ci si è provato ognuno può restare della sua opinione (è un punto su cui personalmente non ho elementi per paterne avere una).

Ad un certo momento -e certo non per colpa nostra -la questione è venuta davanti all'O.N.U. a Parigi. Da parte italiana si è partiti da una posizione ideale ma a cui nessuno credeva: Somalia adesso, rinvio del resto 5 : perfettamente d'accordo con Gallarati quando dice che gli inglesi non l'avrebbero mai accettata ritenendola una manovra nostra per mangiarsi il carciofo foglia per foglia 6 . Gli inglesi, da parte loro, so1o usciti fuori con una proposta egualmente non seria (mi immagino per lo meno che anche loro la considerassero non seria) Somalia a noi, Cirenaica a loro e rinvio per tutto il resto con una presunzione di accordo ulteriore di rinuncia nostra all'Eritrea e di vaghissime assicurazioni per la Tripolitania. A questo punto: constatazione delle forze in presenza: gli inglesi possono bocciare la proposta nostra: noi possiamo bocciare la proposta loro.

Cosa fare allora? Andare verso questa reciproca bocciatura? o trattare? (e per trattare si doveva intendere in pratica migliorare la proposta Massigli -non si sono seguite vie differenti per la semplice ragione che vie differenti non ce n'erano). l fn ncesi ci hanno detto, vi conviene trattare: e noi abbiamo risposto seduta stante, d'accordo: ma su che basi? Somalia a noi, Cirenaica agli inglesi, un impegno immediato e preciso (su basi da precisarsi) per la Tripolitania, conservare una ce:ta parte dell'Eritrea, una soluzione di carattere internazionale per la questione dei profughi d'Africa. È evidente che, in questa prima fase noi (e per lo meno io) abbiamo chiesto più di quello che si poteva sperare di ottenere (parlo specialmente dell'Eritrea), ma questo è normale. E voi mi avete approvato.

Ma, in questa fase, mi sembra che noi abbiamo accettato proprio quello che chiede Gallarati, ossia abbiamo detto con tutta la chiarezza possibile che noi, sulla Cirenaica, ci avevamo messa la croce. Per quanto mi riguarda, mi sembra di averlo detto con la massima chiarezza possibile a McNeil, a Roberts e a Chauvel (suppongo che copia di tutto questo sia stata inviata a Londra). La nostra successiva azione pn~sso i sudamericani è stata perfettamente conforme a queste linee: abbiamo cioè detto loro di dire agli inglesi e agli americani, che se gli inglesi volevano che passasse la Cirenaica dovevano trovare una soluzione più favorevole a noi sulla Tripolitania e fare qualche cosa anche per il resto. L'ambasciatore del Brasile a Lc,ndra, eventuali altri rappresentanti sud americani, si riferiscono ad una situazione gia largamente sorpassata qui.

In parole brevi, l'azione fatta a Parigi ha avuto un solo scopo: quello di persuadere gli inglesi che essi possono fare passare ali' Assemblea la sola cosa che

6 Vedi D. 587.

li interessa veramente, la Cirenaica, soltanto dando a noi qualche cosa di più della Somalia ossia ... per convincerli a tirar fuori una proposta Massigli migliorata; e nel far questo, a Parigi per lo meno, siamo stati perfettamente rettilinei, nel senso che abbiamo detto ad inglesi, americani, francesi e latino-americani esattamente la stessa cosa, e questo proprio allo scopo di evitare che essi poi, fra loro compare notes, non ci si possa dire che noi facciamo dei giuochi. E lo stesso fanno i francesi, lo stesso i sud americani.

Ma tutto questo lavoro, sostanzialmente, non aveva che uno scopo e cioè quello di creare le premesse per poi discuterne, a Londra, con gli inglesi: dico a Londra perché qui non c'è nessuno di calibro sufficiente per provocare un cambiamento di rotta da parte inglese. Indifferente che se ne tratti per tramite francesi, o di altri o direttamente, o per tutte le vie.

Ora, se i rappresentanti inglesi a Parigi hanno informato fedelmente il loro Governo, a Londra dovrebbero aver avuta la sensazione che, senza un considerevole miglioramento della proposta Massigli, l'affare Cirenaica non passa. Se Gallarati quindi ritiene che sia venuto il momento di parlare con gli inglesi, e specialmente se ha un tramite confidenziale per farlo, mi sembra sia proprio il momento di parlare: il massimo che si rischia è di constatare che gli inglesi non hanno ancora maturato sufficientemente: ma dato che tutti diciamo e cerchiamo la stessa cosa non vedo che inconveniente ci sia a parlare con gli inglesi direttamente o attraverso tutti i tramiti della terra.

Personalmente quello che dice Massigli non mi impressiona troppo: Massigli è un ambasciatore il quale da tempo sarebbe stato già collocato a riposo se non ci fossero le insistenze inglesi perché non lo cambino. Evidentemente è un giuoco in cui stiamo bluffando tutti: noi bluffiamo gli inglesi con una sicurezza dell'appoggio sud ame1icano che non abbiamo: cerchiamo dall'altra parte di ricattarli con un pericolo comunista che non avanza e non retrocede di un millimetro quale che sia la soluzione che avrà il problema coloniale. Gli inglesi bluffano con una sicurezza dell'appoggio incondizionato americano che è vero quanto il nostro appoggio latinoamericano: bluffano i francesi e noi con una sicurezza delle loro relazioni con gli arabi che non esiste: con una dichiarazione di indipendenza che, alle loro condizioni, è difficilissima a fare e ancor più difficile a far passare all'Assemblea: i francesi hanno paura che noi ci si metta d'accordo con gli arabi a spese loro e ci vogliono spaventare con la minaccia di perdere tutto e impressionare con una influenza su inglesi ed americani che non hanno. La verità è che una sistemazione delle colonie italiane attraverso l'O.N.U. è possibile solo se francesi inglesi americani e noi siamo tutti d'accordo e facciamo uno sforzo combinato per farla passare: ed anche in questo caso non è affatto sicuro che si raggiungano i due terzi necessari: se questo accordo non c'è, nessuna proposta passa. E se anche si dovrà arrivare ad un rinvio non avremo certamente una specie di lotta drammatica in cui si presenta la nostra proposta originale (Somalia e rinvio per il resto) che sarà bocciata, poi la proposta inglese bocciata pure. Avremo soltanto una enorme confusione dalla quale uscirà che la migliore soluzione sarà il rinvio.

Sulla opportunità generale di una chiarificazione dei nostri rapporti con l'lnghiltena, nessuno più convinto di me: vedi del resto il mio rapporto n. 1421

del 3 corrente7 . Dove non credo di condividere intieramente l'opinione di Londra è nel considerare la questione delle colonie come l'unico, e nemmeno il principale ost<:.colo ad una chiarificazione dei rapporti itala-britannici. Non è la questione delle colonie che impedise;e che si chiarifichino i rapporti con l 'Inghilterra, ma è il fatto di non avere ancora trovato una serie di punti comuni fra i due paesi che rende imi= ossibile la soluzione della questione delle colonie. A mia impressione gli inglesi sono restii a fare quelle piccole concessioni che basterebbero per farci accettare il sacrificio coloniale perché non se ne aspettano nessun profitto nel campo generale dei nostri rapporti; così come, risolta a nostro favore la questione della flotta, i rapporti sono continuati come prima. Nei rapporti fra Francia e Italia si è riusciti a superare -molto più per merito nostro che per merito francese -i due grossi sco~li della frontiera e della flotta (oggi per esempio noi del Fezzan non ne facciamo nesmna parola) perché si era riusciti a trovare fra Francia ed Italia qualche punto comune di politica generale, che tutti e due tenevamo a non compromettere. Se avessimo la stessa situazione con l'Inghilterra la questione coloniale non sarebbe lo ~.coglio che è, e si riuscirebbe a superarlo. Questa è la principale ragione per cui sarei favorevole ad un rinvio, non un rinvio di cozzo, ma un rinvio di confusione per,:hé colla migliore volontà del mondo, anche facendo incontrare i rispettivi presidt:nti del Consiglio e ministri degli esteri (questi incontri se non sono sufficientemente preparati fanno molto più male che bene) non credo sia possibile, in un paio di ~;ettimane, fare un giro completo di orizzonte e di stabilire con sufficiente chiarez:~a i punti di contatto.

Come vuoi chiarire la situazione se non ci si decide ad affrontare quello che è il problema che domina tutti gli altri, quello della collaborazione militare, ossia Patto atlantico e Patto di Bruxelles? E come vuoi affrontarlo se restiamo ancora nel campo esplorativo.

Punti di contatto per me ce ne sono:

l) Neli'O.E.C.E. la collaborazione itala-britannica è molto spinta: e questo non per rag oni politiche: per il semplice fatto che i nostri problemi -a parte l'ordine di grandezza -sono gli stessi che quelli inglesi. Tutti e due, per sussistere, abbiamo bisogno di un vasto commercio internazionale: e questa nostra concezione si urta colla concezione autarchica dei francesi, autarchica perché essi hanno la possibilità naturale di farlo. Per ora questi contratti sono al livello Cattani -Hall Patch, perché non trasportarli sul livello superiore, a Londra e a Roma? Questo comincerebbe ad essere un punto fermo.

2) Un secondo punto di contatto potrebbe essere dato dall'Unione Europea: accettiamo il punto di vista inglese, cerchiamo di allargarlo un po', ma non cerchilmo di portarli su soluzioni che essi non vogliono: la tua conversazione con Mallet 8 è già un eccellente punto di partenza: se ne potrebbero tirar fuori degli eccellenti sviluppi.

Questi due punti, uniti ad una serie di conversazioni esaurienti sul Patto atlantico potrebbero realmente portare ad una schiarita e gettare delle basi di contatto, utile a tutti, nel quadro delle quali si potrebbe più facilmente trovare anche una soluzione del problema coloniale. Ma parlare solo della questione delle colonie? Possiamo, se le

x Vedi D. 581.

circostanze sono mature, avere anche un relativo successo ma le relazioni italo-inglesi resteranno quelle che sono oggi ossia peggio che cattive, non esistenti. Scusami la divagazione che è parzialmente almeno ofl the point9•

624 5 Vedi D. 432.

624 7 Non rinvenuto.

625

IL MINISTRO AD ATENE, PRINA RICOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 14954/060. Atene, 15 novembre 1948 (pe1: il 17).

In una conversazione con questo ambasciatore d'America, Grady, e ministro sud-africano, Theron, entrambi mi dicevano che nostra questione coloniale dovrebbe essere portata subito dinanzi Assemblea O.N.U. per formalmente assegnare all'Italia la Somalia e sulla sorte delle rimanenti nostre colonie rimandare impregiudicate le decisioni fissando una Conferenza internazionale per l'Africa, nella quale ritorcere contro la Russia le stesse procedure esclusiviste da essa recentemente adottate a Belgrado contro gli occidentali per il Danubio.

Segnalo questa conversazione come indice pericolosa tendenza patrocinata da Theron che viene da Parigi. A parte il dubbio parallelismo fra Danubio ed Africa non vedo come una Conferenza in cui fosse praticamente paralizzata la Russia potrebbe migliorare nostra situazione a meno che sicure garanzie fossero in nostro possesso e la solidarietà europea rappresentasse veramente la molla degli accordi.

626

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 31/1199. Roma, 16 novembre 1948.

Mi riferisco al tuo telegramma 1091 del 12 novembre1 e a tutto quanto è stato detto recentemente circa il problema dell'ammissione dell'Italia alle Nazioni Unite.

Pur tenendo presente il parere concordemente espresso da tutti e cioè che la nostra domanda del 7 maggio 19472 è da considerarsi sempre valida e che sembra altresì as:;.ai difficile che la nostra ammissione venga ormai presa in esame in questo

2 Vedi serie decima, vol. V, D. 411, Allegato.

scorcio della presente sessione, ti mando ugualmente, qui unita, una lettera a firma del ministro Sforza3 diretta al segretario generale dell'O.N.U. e con la quale, con formula assai semplice e generica, si conferma la nostra domanda e si dichiara di assumerci tutti gli obblighi che comporta lo statuto dell'organizzazione.

Tale lettera la presenterai soltanto se se ne ravviserà la necessità dandone serr pre, beninteso, tempestivo avviso al Ministero.

Se, come viene ritenuto, l'ammissione dell'Italia non verrà presa in esame, sarà bene che tu dia l'unita lettera a Mascia affinché egli la porti seco negli Stati Uniti perché possa subito essere presentata in qualunque momento fosse necessario ed appunto per tale ragione non vi è stata nemmeno apposta alcuna data.

624 9 Per la risposta vedi D. 668.

626 1 Non pubblicato.

627

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

TEl ESPR. SEGRETO 1585/c. Roma, 17 novembre 1948.

Trasmetto qui acclusa copia di un telegramma per corriere in data 6 corrente del]' ambasciatore Quaroni 1 .

Per quanto riguarda la connessione tra il Patto atlantico e quello di Bruxelles, e se a Washington si consideri l'inserzione dell'Italia soltanto nel primo, o nel seC<)ndo, o in tutti e due, rimango in attesa di conoscere l'esito dei passi esplorativi commessi all'ambasciatore Tarchiani2 .

Le osservazioni di Chauvel circa la maggior facilità per l'Italia, dal punto di vista della politica interna, di aderire soltanto all'Unione atlantica sono indubbiamente esatte. Né è escluso che tale soluzione, in un primo tempo, possa convenirci anche dal punto di vista internazionale. Comunque trattasi di una questione che potrà essere studiata a fondo, e decisa, soltanto quando si avranno maggiori elementi di giudizio. Ma non è nostra intenzione, in ogni caso, di assumere verso l'Unione Occidentale un atteggiamento negativo aprioristico.

Sono infine d'accordo con le considerazioni di Chauvel circa la necessità di dar,~ al problema della difesa mediterranea un'impostazione unitaria, e di procedere in ciò d'accordo con i francesi. Saranno impartite istruzioni in questo senso al generale Marras; e l'ambasciatore a Washington è pregato sin da ora di facilitare i contatti in questo senso del nostro capo di Stato Maggiore con l'ambasciata di Francia.

627 1 Non pubblicato, ma vedi D. 588.

Vedi D. 628. nota 3.

626 3 Non si pubblica.

628

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 10254/3807. Washington, 17 novembre 1948 1•

Ho letto il rapporto dell'ambasciatore a Parigi, n. 1423119438/4124 del 3 novembre nonché la risposta di V.E.2 e, in conformità delle istruzioni impartitemi col te l espresso n. 1557 dell' ll corrente3 , qui giunto ieri, cercherò di chiarire il pensiero di questo Governo circa il meccanismo del Patto atlantico in relazione al Patto di Bruxelles. Frattanto, poiché è imminente un importante dibattito di politica estera di fronte al Parlamento italiano, desidero prospettare fin da ora a V.E. talune considerazioni di carattere generale che, da questa sede, mi appaiono meritevoli di attenzione.

La sconfitta di Wallace, assai più clamorosa di quanto prevedessero perfino i suoi più accaniti avversari, ha dimostrato che la quasi totalità dell'opinione pubblica americana approva la politica indicata concordemente al corpo elettorale dai due partiti maggiori e imperniata sugli aiuti ali' Europa occidentale nonché sulla fermezza verso l'U.R.S.S. Si può dunque ritenere per certo che il Governo americano non incontrerà ostacoli nel suo sforzo inteso a predisporre un sistema diplomatico-militare, tale da permettergli di fronteggiare qualsiasi eventualità.

A dir il vero, è possibile che Truman, spinto dall'accresciuto prestigio personale, compia prima o poi qualche gesto clamoroso, sul tipo del progettato invio di Vinson a Mosca; ma ciò, anche in base alle recise smentite che sono state date in questi giorni, non appare probabile; del resto le iniziative di tal genere, anche se si verificassero, verrebbero condotte con uno spirito assai diverso da quello che caratterizzava alcuni anni or sono l'atteggiamento americano verso l'U.R.S.S. Più precisamente, è escluso che si sia qui disposti a farle sfociare in un compromesso equivoco; pertanto, esse potrebbero concludersi soltanto con un'effettiva chiarificazione dei rapporti fra Occidente e Oriente oppure, più probabilmente, con una palese conferma dell'impossibilità di giungere a tale chiarificazione e quindi anche con un rinnovato appoggio dell'opinione pubblica alla politica di fermezza.

La creazione di un forte apparato militare americano costituirà ovviamente la base del previsto sistema difensivo. Tuttavia, fra i propositi più profondamente sentiti e più chiaramente manifestati dal Governo di Washington vi è quello di chiamare i paesi dell'Europa occidentale a contribuire alla loro difesa, attivamente e sulla base di un'intensa collaborazione fra loro oltre che fra ciascuno di essi singolarmente con gli Stati Uniti.

Il sistema anzidetto è ancora in una fase embrionale e procederà necessariamente per gradi. Pertanto è difficile, oggi, prevedere la sua forma definitiva. Tuttavia

2 Vedi DD. 588 e 614.

3 Con il quale Sforza aveva trasmesso il rapporto di Quaroni richiedendo «di voler compiere gli opportuni passi per chiarire il pensiero americano circa il meccanismo del futuro Patto atlantico in relazione ali 'esistente Patto di Bruxelles».

919 talLme direttive fondamentali della politica americana in questa materia sono fin da ora chiaramente riconoscibili.

l ) Il Governo americano intende procedere con la massima rapidità. Esso ha la possibilità di tàr ciò, perché la inattesa vittoria elettorale del partito democratico, rinnovando il mandato al presidente Truman e fornendo a questi una solida maggioranza nelle Assemblee legislative, permetterà alla attuale amministrazione di continuare a trattare con piena autorità i massimi problemi della politica interna ed estera c perché pertanto l 'attività del Dipartimento di Stato e dci Ministeri militari non subirà nei pmssimi mesi quel rallentamento, che si sarebbe invece verificato qualora il responso delle urne avesse provocato il trapasso dei poteri agli uomini del partito repubblicano.

2) A causa di ciò, è molto probabile che gli accordi di carattere diplomaticomlitarc con un ristretto gruppo di Stati precederanno di gran lunga l'attuazione di più vasti progetti d'Unione europea politico-economica, quantunque questi siano vi:;ti qui con viva simpatia e considerati come il fine ultimo da raggiungere per la salvaguardia della pace. In altri termini, qualunque sia per essere la sorte dei progetti italiano, francese e britannico di Unione Europea, è praticamente certo che prima de Ila loro realizzazione si addiverrà ad altre forme di intesa, tanto fra i paesi europei qtanto fra questi c l'America.

3) Il Governo americano considera l'attuale Unione Occidentale come il nucleo in tziale del sistema di collaborazione politico-militare fra i paesi europei. Da ciò duiva l'importanza che vi annette c da ciò deriva il fatto che il progettato Patto at antico consiste in sostanza in un accordo fra gli Stati Uniti e il Canada da un lato e l'Unione Occidentale dall'altro. La qual cosa, naturalmente, non toglie che, secondo il pensiero del Governo di Washington, il Patto atlantico possa (anzi: dtbba) essere esteso in un secondo tempo ad altri paesi europei, fra cui l'Italia, qualora l'Italia, in quel momento, non faccia ancora parte dell'Unione Occidentale.

Questa essendo l'impostazione generale della politica americana, appare urgente stabilire quali sviluppi convenga tàrc assumere ali 'atteggiamento del Governo italiano, riassunto dali 'ambasciatore a Parigi nei punti l, 2, 3, e 4 del suo citato rapporto.

Grazie ai recenti sforzi del Governo, l'opinione pubblica e gli ambienti politici italiani hanno praticamente superato l'illusione di poter salvaguardare la neutralità italiana mediante un atteggiamento riservato, che eviti di prendere posizione nel contrasto fra gli Stati Uniti e l'U.R.S.S. Pertanto la nostra principale preoccupazione concerne ormai esclusivamente la difesa del territorio nazionale; e i quesiti, che si impongono alla nostra attenzione, vertono soltanto sul modo migliore di inserire l'Italia nel sistema di collaborazione europeo-americano.

Orbene: per quanto concerne gli Stati Uniti, ritengo che, in pratica, tutte le vie ci siano aperte. I recenti sviluppi dell'atteggiamento italiano, sostanzialmente determinati dalla posizione che V.E. ha coraggiosamente assunto, sono stati qui altamente apprezzati. Inoltre il Governo americano si è reso pienamente conto delle esigenze derivanti dalla nostra situazione politica interna ed appunto perciò ha acceduto di buon grado all'idea che in un primo tempo convenisse soltanto stabilire contatti diretti, di carattere tecnico fra gli organi militari italiani e quelli americani. Del resto, l'Italia costituisce u 1 fattore moralmente e strategicamente così importante, da autorizzare a ritenere che, tc,sto o tardi, la sua difesa rientrerebbe nei piani americani anche senza alcun attivo concorso da parte sua. A fortiori si può ritenere che gli americani siano disposti a intensificare almeno per qualche tempo i contatti diretti e tecnici, indipendentemente da accordi di diversa e più vasta portata.

Parimenti noi potremmo proporci di entrare nel Patto atlantico, senza entrare nell'Unione Occidentale. Anzi questa sarebbe indubbiamente la via più facile, perché tale Patto è ancora in via di elaborazione e perché la sua estensione ad altri paesi rientra fin da ora nelle intenzioni dei suoi promotori.

Infine potremmo entrare anche nel Patto di Bruxelles. Ho presenti le perplessità che al riguardo sono state registrate in passato a Parigi e nelle capitali del Benelux ed ho presente altresì la freddezza, che ancora perdura, dell'atteggiamento britannico. Tuttavia, poiché sappiamo che gli americani sono disposti ad appoggiare il nostro desiderio di entrare in detta Unione, ritengo che quegli ostacoli potrebbero essere rimossi. Del resto, anche gli inglesi, quando hanno parlato dell'adesione dell'Italia, non hanno detto di esservi ostili, ma hanno piuttosto manifestato il dubbio che l'Italia fosse restia; e, per di più, secondo le ultime informazioni, si mostrano ora meno freddi che in passato.

Per parte mia, non esito a dichiarare che, delle tre vie sopradescritte, la terza mi sembra di gran lunga la migliore, per le seguenti considerazioni.

Scegliendo la prima via, cioè nel caso che il Governo decida di mantenere, sia pure momentaneamente, l'attuale linea di prudenza (contatti tecnici, per quanto possibile riservati) la preparazione politica, economica e militare degli Stati Uniti e dei paesi ad essi più strettamente associati procederà rapidamente per suo conto. Essa comporterà molte misure destinate a coinvolgere anche altri paesi, fra cui l'Italia (l'«accordo aeronautico» e le limitazioni al nostro commercio coi paesi dell'Europa orientale costituiscono di ciò un sintomo rivelatore). Tali misure, che troverebbero la loro sede naturale nel quadro di una collaborazione organica, avrebbero, se isolate e imposte dall'esterno, l'effetto di compromettere l'Italia quanto un'alleanza militare, senza accordare i vantaggi della medesima.

Inoltre, come è stato più volte rilevato, gli Stati Uniti non tarderanno a fare una netta distinzione, in materia di aiuti economici, fra i paesi che contribuiscono attivamente alla organizzazione della difesa dell'Europa occidentale e i paesi che non vi contribuiscono.

Mi sembra dunque, che, per le considerazioni sopracspostc convenga scartare la prima via. Per quanto concerne la scelta fra le altre due (adesione al solo Patto atlantico oppure anche al Patto di Bruxelles, ed a questa adesione eravamo praticamente incoraggiati dalle chiare manifestazioni di Rebcr e di Hickerson) la mia preferenza per questa ultima è determinata essenzialmente dal convincimento che l 'Unione Occidentale, per la considerazione in cui la tiene il Governo americano e per il naturale svolgimento delle cose, costituirà fatalmente il nucleo centrale e direttivo del blocco europeo potenziato dagli Stati Uniti. Se ne fossimo esclusi, correremmo il rischio che l'Italia, non partecipandovi, abbia preclusa la possibilità di agire nel sistema difensivo dell'Occidente sullo stesso piano dei paesi che di essa fanno parte e si trovi relegata nella cerchia dei paesi secondari.

Non mi dilungherò ad illustrare i gravi e duraturi danni di carattere generale, che l'Italia subirebbe qualora tale eventualità si verificasse; ma desidero sottolinearne uno di carattere specifico. Se, come ho rilevato più sopra, la nostra principale preoccupazione consistesse oggi nell'assicurarci che la difesa dell'Italia sia compresa nei piani strategici americani contemporaneamente a quella della Francia e dei paesi del Benelux, mi sembra non esservi dubbio che il nostro scopo sarebbe più facilmerrte raggiunto qualora l'Italia partecipasse fin dall'inizio, ed il più intimamente pmsibile, alla formazione del sistema difensivo americano.

Mi rendo conto delle difficoltà d'ordine interno, che sarebbero sollevate da una rapida inserzione dell'Italia nel blocco occidentale. Tuttavia mi domando se tali dif:icoltà sarebbero sensibilmente minori qualora l'Italia partecipasse al Patto atlantico e non all'Unione Occidentale; o se invece, in tale eventualità, non si avrebbe una reazione egualmente intensa da parte dei sostenitori della tesi neutralista ed un appoggio meno vivo da parte dei sostenitori della tesi opposta.

Su questo punto, naturalmente, non spetta a me giudicare a distanza e senza dati sufficienti. Pertanto, quali che siano le decisioni di V.E., sarà mia cura adoperarmi onde illustrarle convenientemente qui e onde trame il massimo possibile vantaggio per il paese. Mi permetto soltanto far presente che, in considerazione del ritmo rapido, imJosto agli avvenimenti dalla rielezione di Truman e dalla conseguente mancanza di un «interregno» a Washington, converrebbe in ogni caso prospettare al più presto il no:;tro atteggiamento a questo Governo nonché a quelli di Londra e di Parigi.

Nell'ipotesi della nostra adesione all'Unione Occidentale occorrerebbe, a mio av·riso, essere assai espliciti, tanto sulla nostra ferma deliberazione di mettere fin da ora il massimo impegno nel contribuire alla comune difesa, quanto sulla necessità cht~ la nostra collaborazione sia stabilita su un piano di perfetta parità di tempo e di posizione coi paesi che costituiranno il nucleo essenziale del blocco occidentale. In questo quadro, potremmo anche ottenere che l'inserzione dell'Italia non avvenisse mediante una semplice accessione ali 'Unione Occidentale, bensì attraverso una eventuale più o meno accentuata trasformazione di questa.

628 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

629

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15017/492. Londra, 18 novembre 1948, ore 14, 16 (per. ore 20).

Mayhew mi ha detto iersera che Gran Bretagna intende insistere a Parigi sulla te~;i di un trusteeship britannico immediato sulla Cirenaica e rinvio a tempo indeteJminato della Tripolitania.

Assicura che in ciò Gran Bretagna ha appoggio incondizionato degli Stati Uniti, e può contare su voto favorevole degli Stati arabi e di parecchie Repubbliche sudamericane tra le quali ha specificato Argentina e Brasile 1•

629 1 Con T. s.n.d. 15128/494 del 20 novembre Gallarati Scotti riferiva che Douglas aveva confermato a \t1assigli l'appoggio americano alla Gran Bretagna sulla questione libica.

630

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

TELESPR. 3/1754/c. Roma, 18 novembre 1948.

Riferimento: Suo telespresso 1505/49993/4262 del 15 novembre' (qui unito per Londra).

Condivido il pensiero di Chauvel quale esposto dall'ambasciatore a Parigi nel telespresso cui rispondo. Ciò che occorre fare è cercare di portare gli inglesi il più avanti possibile sul terreno delle realizzazioni e possibilità pratiche evitando di insistere per far loro approvare progetti che essi non possono accettare e che, noi stessi, consideriamo teoricamente apprezzabili, ma prematuri. Per questo considero le nostre proposte del 24 agosto2 più vicine a quelle di Bevin, di quanto non lo siano quelle francesi.

L'ambasciatore a Londra vorrà per parte sua procurare l'occasione di riprendere, con i competenti uffici britannici, ai fini prospettati dali 'ambasciatore a Parigi, la conversazione sull'argomento quale risulta qui avviata in seguito alla recente comunicazione di Mallet (telespresso n. 31/1175 del 3 novembre corrente)3 .

631

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

TELESPR. 1593/C. SEGR. POL. 1• Roma, 18 novembre 1948.

Riferimento: Suo telespresso n. 2151/941 del 22 ottobre u.s. 2 . Di ritorno da Belgrado questo ministro di Jugoslavia ha ripreso la proposta di esaminare le questioni pendenti nelle relazioni tra i due paesi. Si acclude (Ali. 1)3 un appunto sulla conversazione avuta col sig. Ivekovic, il quale, pur presentando una lista -qui unita in copia (Ali. 11)3 -di questioni «proposte per una discussione e soluzione

2 Vedi D. 350, Allegato.

3 Non pubblicato, ritrasmetteva il D. 581 alle ambasciate ad Ankara, Bruxelles, Londra, Parigi e Washington e alle legazioni ad Atene, Bema, Copenaghen, Dublino, L' Aja, Lisbona, Lussemburgo, Osio, Stoccolma e Vienna. Per la risposta di Gallarati Scotti vedi D. 652.

2 Vedi D. 537.

3 Non pubblicato.

923 comune e urgente», ha chiesto che venissero subito affrontati i problemi della «R.o.m.s.a.» e dell'accordo per la pesca, come «prova di reciproca buona volontà».

In successiva conversazione il ministro di Jugoslavia ha proposto l 'inizio immedi 1to di trattative per la modifica e l'ampliamento degli accordi commerciali vigenti (telegramma per corriere n. 12619/c. del 6 novembre u.s.l

Come ella avrà rilevato dalle risposte qui date al signor Ivekovic, da parte nostra non si intende abbordare la questione delle riparazioni, sia pure nella forma di un accordo per l'emigrazione, e neanche trattare un allargamento delle attuali basi di scambi commerciali, se non si arriverà ad intendersi con gli jugoslavi su delicate questioni di carattere politico tuttora aperte o che si riaprono, rendendo più pesante l'atmosfera di disagio che costantemente ci siamo adoperati a disperdere. Nelle relazioni politiche fra i due Governi non si sono in sostanza verificate quelle favorevoli ripercussioni che ci proponevamo di conseguire quando, ora è un anno, ci inducemmo a concludere i primi accordi commerciali. Né ora ci incoraggiano ad a~ secondare le iniziative jugoslave, dirette a sviluppare soltanto l'aspetto economico dei nostri rapporti, l'intransigenza e le resistenze con cui il Governo di Belgrado tntta questioni quali l'istituzione di consolati italiani, le opzioni, lo scambio di condannati, ecc., che pure non incidono sulle direttive generali della politica jugoslava ma rientrano in un piano di semplice nonnalizzazione.

In tale ordine di idee è stato deciso, per il momento, di limitare le trattative con la Jugoslavia alle questioni «R.o.m.s.a.» -accordo per la pesca (anche nell'abbimmento proposto da Jvekovic) e, quanto alla richiesta di ampliamento degli scambi commerciali, di guadagnare tempo con incontri preliminari fra funzionari dell'una e ddl'altra parte in attesa di vedere maturare l'atteggiamento del Governo di Belgrado n ~l senso da noi auspicato.

630 1 Non pubblicato, con esso Quaroni aveva riferito sui punti principali del suo colloquio con Chauvel circa i progetti di federazione europea: opportunità della partecipazione italiana al Comitato di studi e necessità di indurre gli inglesi a precisare il progetto di Bevin.

631 1 Inviato per conoscenza anche alla Direzione generale degli affari economici.

632

LA LEGAZIONE D'AUSTRIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 1 . Roma, 18 novembre 1948.

La legazione d'Austria desidera qui chiarire il punto di vista espresso dal proprio Governo sull'argomento sviluppato nel promemoria dell'an. Ministero degli affari esteri, D.G.A.P. II, n. 27195/100 del 2 ottobre u.s. 2 , relativo ad asserite pressioni che sarebbero state compiute dalla stampa austriaca e perfino da parte di f mzionari austriaci per influenzare la riopzione degli altoatesini.

632 1 Inviato da Schwarzenberg a Zoppi con lettera del 20 novembre, non pubblicata. 2 Vedi D. 474.

Secondo l'opinione del Governo austriaco, l'Accordo di Parigi sugli optanti ha il chiaro e ben comprensibile proposito di riparare, per quanto sarà possibile, al provvedimento arbitrario e costrittivo preso dai Governi nazionalsocialista e fascista e di ricondurre nuovamente verso la nazionalità italiana gli altoatesini che furono costretti ad abbandonare il patrio territorio.

Anche il Governo austriaco adotta, come naturalmente quello italiano, il punto di vista che in tale occasione non si debba ricadere nelle colpe dei Governi autoritari, nel senso di esercitare una pressione sugli interessati, bensì che la riopzione debba venir condizionata ad una volontaria, libera determinazione dei singoli optanti altoatesini. Tale determinazione deve tuttavia, com'è facilmente comprensibile, avvenire in base ad elementi positivi, cioè con la piena conoscenza delle conseguenze da essa derivanti.

Il Governo austriaco ha accolto con compiacimento il fatto che il Governo italiano, partendo da questo concetto, abbia dato di recente agli optanti la possibilità di recarsi n eli' Alto Adige per rendersi conto, prima della loro decisione, delle condizioni che li attendono localmente. È pure, però, d'altra parte compito delle Autorità austriache di chiarire agli optanti altoatesini quale trattamento essi debbano attendersi in Austria, qualora non facciano uso del loro diritto di riopzione.

In tal senso, è da prendersi in particolare considerazione il fatto che il Governo federale, per ragioni di carattere generale e per evitare la creazione di un precedente nei confronti dei numerosi altri gruppi di emigrati che si trattengono in Austria, deve rifiutarsi di concedere in blocco la cittadinanza austriaca a quegli optanti altoatesini che non facciano uso del diritto di riopzione.

Qualora pertanto l'uno o l'altro ente od ufficio austriaco abbia voluto spiegare agli optanti quale sia la situazione giuridica loro spettante nel caso che rimangano in Austria, non si è trattato al riguardo di un caso di pressione, bensì semplicemente di un chiarimento circa le premesse, in base alle quali soltanto può attendersi una libera determinazione degli interessati3•

633

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 15092/48-49. Pretoria, 19 novembre 1948, ore 17,50 (per. ore 8 del 20).

Mi riferisco al telegramma di VE. 321 .

Primo mnustro al quale ho espresso apprezzamento Governo italiano e suo personale, se ne è dimostrato compiaciuto. Mi ha detto che, su questione coloniale, Gwerno sudafricano mantiene punto di vista che tutte le nostre antiche colonie eccetto Cirenaica debbano essere affidate amministrazione italiana. A mia osserv~.zione che questo non era purtroppo chiaro e nettamente espresso in memoriale Sud Africa ai sostituti ministri esteri, mi ha risposto testualmente «è vero; da quel documento si poteva indurre che Sud Africa preferisse amministrazione britannica anche per Tripolitania; invece non è così, noi preferiamo che Tripolitania ritorni Italia». A mia allusione, ha replicato dicendo che vedrà se è possibile cogliere l 'opportunità per reiterare a questo proposito opinione Governo sudafricano come già fatto nel suo discorso alla Camera in settembre scorso (mio rapporto 401 del 2,~ settembre)2. Ha indicato a mia analoga richiesta, che farà del suo meglio perché, nell'eventualità che questione si [discuta] in questa sessione dinanzi all'Assemblea delle N.U. la delegazione sudafricana appoggi immediatamente a~:segnazione all'Italia dell'amministrazione Somalia e rinvio decisione per tutti gli altri territori. Primo ministro non ha nascosto sua personale disapprovazione P'~r atteggiamento britannico nei riguardi delle rivendicazioni etiopiche sull'Eritrea, ir ragione anche e soprattutto delle arretrate condizioni amministrazione etiopica e limitata autorità Negus, e per naturale contrarietà e disagio Sud Africa dinanzi a tutto ciò che possa rafforzare o avvantaggiare posizione indigeni a scapito nazioni

o :cidentali in Africa3 .

632 3 Per la risposta vedi D. 738.

633 1 Del 18 novembre, con il quale Sforza aveva autorizzato Jannelli ad esprimere al primo ministro sudafricano, Malan, l'apprezzamento italiano per le espressioni di amicizia da questi usate in occasione della festa nazionale italiana del 4 novembre.

634

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T S.N.D. PER CORRIERE 15138/059. Trieste, 19 novembre 1948 (per. il 21).

Mi riferisco al telespresso n. 15/30069/293 in data 13 novembre!, di codesto Ministero. La presentazione e la prossima probabile discussione, in seno al Consiglio di sicurezza, della relazione della V.U.J.A. sulla amministrazione della zona istriana del

T.L.T. sembrerebbe consigliare un riesame del nostro atteggiamento rispetto alla nota iliziativa di questo C.L.N. istriano, quale essa è delineata nella lettera del ministro Guidotti n. 1346 del 24 settembre u.s. 2 .

L'iniziativa istriana si riferiva, quando sorse in settembre alla possibilità che il Consiglio di sicurezza dovesse occuparsi genericamente del problema di Trieste.

Successivamente, da parte jugoslava, è stato presentato il memorandum di protesta contro presunte violazioni del trattato di pace commesse dall'amministrazione alleata della zona anglo-americana. Questo fatto nuovo non poteva modificare sostanzialmente la questione sia perché gli argomenti jugoslavi erano gli stessi già controbattuti efficacemente dagli anglo-americani nel corso della precedente sessione del Consiglio3 , sia perché al problema era interessata direttamente, non meno di noi, questa amministrazione alleata: e non v'era dubbio che, o la questione non sarebbe stata discussa, o che, in caso di discussione, questa si sarebbe chiusa in maniera favorevole agli anglo-americani.

La presentazione di un «memorandum» de li 'amministrazione jugoslava nella Zona B e l'atteggiamento puramente difensivo che le autorità anglo-americane avrebbero intenzione di assumere nell'eventuale prossimo esame del Consiglio, mi sembrano modificare i termini della questione, giacché è evidente che a noi, per ragioni di carattere generale, non può convenire che la relazione jugoslava, indubbiamente tendenziosa, passi sotto silenzio o venga accantonata con entiche più o meno superficiali. Ciò costituirebbe già un sostanziale successo di Belgrado.

Il problema della Zona B è un problema soprattutto nostro: e, se esso si pone, deve portare a conclusioni che consentano la speranza di uno sviluppo della situazione a noi favorevole.

In tale situazione, mi permetto di prospettare l'opportunità di chiedere agli anglo-americani che, se l'amministrazione della Zona B venisse in esame al Consiglio di sicurezza, essi assumano un atteggiamento di energica critica, denunciandone illegalità, violenze e soprusi.

Gli elementi necessari potranno essere fomiti da noi, se gli anglo-americani lo desiderano. L'essenziale è che essi ispirino la loro azione non soltanto ai loro interessi, ma alle nostre necessità.

In questo quadro, può essere riesaminata l'iniziativa del C.L.N. istriano. Essa forse oggi può esserci utile, come risposta immediata alla relazione della V.U.J.A. coincida o no con gli interessi anglo-americani nella questione, essa è forse oggi uno dei mezzi più opportuni a nostra disposizione per non permettere che la discussione sull'aministrazione della Zona B si risolva, più o meno direttamente, in un punto a favore degli jugoslavi.

L'invio di una piccola delegazione istriana a Parigi alla cui testa potrebbe essere posto il prof. De Castro, sarebbe dunque in questo momento una mossa non inutile.

Mentre rilevo che l'U.A.I.S. sta progettando di inviare una delegazione a Parigi per fornire elementi circa il presunto malgoverno alleato della Zona A, sarei grato a codesto Ministero se volesse farmi cortesemente conoscere il suo pensiero sulla questione.

633 2 Vedi D. 457. 3 Con T. s.n.d. 13188/33 del 21 novembre Sforza dava istruzioni a Jannelli di ottenere la garanzia c i un ulteriore impegno della delegazione sudafricana a Parigi a sostegno della tesi italiana. 634 1 Non pubblicato. 2 Non pubblicata.

634 3 Ved1 D. 252.

635

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. '>EGRETA 3/1756. Roma, 19 novembre 1948.

Ho letto il suo rapporto del!' Il novembre n. l O114/3 718 1 relativo alla questione afr cana. Come risulta dalle informazioni dell'ambasciata a Parigi, che le vengono via via trasmesse, la situazione si presenta attualmente nei seguenti termini:

a) noi insistiamo ancora sulla proposta prospettata sin dal primo momento e cioè: attribuzione all'Italia del mandato sulla Somalia nel corso dell'attuale sessione della Assemblea e rinvio di tutto il resto;

b) questa nostra proposta è considerata ragionevole dalla grande maggioranza delle delegazioni e raccoglierebbe certamente più che i due terzi dei voti, se fosse appoggiata anche dalla Gran Bretagna. Ma il Governo di Londra chiede la contemporanea decisione per il mandato inglese sulla Cirenaica, ciò che crea ovviamente incertezza in molte delegazioni, e probabilmente l'impossibilità di raccogliere i due teni dei voti sia a favore della nostra proposta, sia a favore di quella inglese;

c) l 'ambasciatore Quaroni cerca trarre profitto da questa incertezza e dalla fretta inglese di avere la Cirenaica per ottenere che si decida allora in nostro favore anche la questione della Tripolitania e dell'Eritrea (con sbocco al mare e qualche rettifica di frontiera alla Etiopia);

d) se gli inglesi si inducessero a questa soluzione, sarebbe forse facile suggerire ai nostri amici di unirsi ai clienti di Londra, e raccogliere così i due terzi dei voti. Si tratterebbe in sostanza, quanto alla Libia, di aderire alla nota proposta di mediazione Massigli2 , migliorata nel senso della contemporaneità della attribuzione della Cirenaica e della Tripolitania (dove la situazione continua a evJlvere in nostro favore). E si tratterebbe, quanto all'Eritrea, di indurre gli inglesi a desistere dal loro proposito di darla agli abissini rovinando del tutto una cinquantennale opera di civiltà e precludendoci ogni possibilità di lavoro su quell'altipiano (gli stessi 25 mila e più italiani che ancora ci sono se ne verrebbero via). Anche l'ambasciatore a Londra, che teniamo al corrente dell'andamento delle cose a Parigi, ha istruzioni di favorire, a momento venuto, questa proposta di soluzione.

Le notizie relative a nostri contatti col mondo arabo sono esatte nel senso che da parte nostra, anche in vista di un nostro ritorno in Libia, abbiamo costantemente mantenuto rapporti e scambi di vedute coi principali esponenti sia della Lega araba che dei partiti libici. Nulla più, anche per evitare sospetti da parte britannica. Nel corso di tali contatti abbiamo tratto il convincimento che le informazioni date dagli

635 1 Non pubblicato. 2 Vedi D. 357.

928 inglesi circa l'atteggiamento degli arabi nei nostri confronti, sono, a dir poco, grandemente esagerate. Numerosi capi tripolini ci assicurano che sono pronti ad entrare in accordi con noi e che non vedono l'ora che finisca l'attuale situazione di incertezza rovinosa per il loro paese.

Circa una nostra diretta partecipazione ai lavori nel seno dell'O.N.U., sembra che a Parigi non vi sarebbero difficoltà di principio. Oltretutto, quando fu redatto il trattato di pace, si era dato per pacifico che noi saremmo stati ammessi entro breve tempo fra le Nazioni Unite e che in conseguenza avremmo non solo avuto voce nella questione, ma avremmo anche votato in Assemblea. La questione è stata esaminata con Quaroni e si è venuti per ora alla conclusione che se si avrà affidamento di una soluzione soddisfacente potremo intervenire formalmente e ufficialmente nel dibattito, ma che in caso diverso conviene, anche per ragioni di politica interna, non esporre il Governo e lasciare agli altri la responsabilità e l'odiosità della soluzione insoddisfacente che ci verrebbe imposta. Intanto continuiamo ad agire per gli usuali tramiti diplomatici ed è quindi necessario anche il suo continuo interessamento costì. Il Governo italiano ha ormai iniziato l'azione necessaria e indispensabile per compiere nel paese quell'opera di chiarimento intesa a far comprendere la necessità di un nostro sempre più marcato allineamento col gruppo occidentale. Le date e le tappe più dolorose della nostra storia recente si allontanano sempre più, la liquidazione delle pendenze più gravi del trattato di pace è ormai avanzata tanto che si restringe quasi unicamente a questioni economiche, se si esclude la consegna delle navi all'U.R.S.S., che sarà un evento tuttavia grave anche perché il paese si era illuso sulla possibilità di un appoggio alleato che è mancato. Il momento è così parso venuto di affrontare i problemi dell'avvenire senza indugiarci a recriminare il passato, e con la presentazione dei nostri Memorandum per l'unione europea3 e gli scambi di vedute che ne sono seguiti con Parigi e Londra, e con la presa di posizione del Governo in favore del nostro schieramento con l'Occidente e relativi contatti sull'argomento con Washington e Parigi, siamo ormai passati, come ho detto nel mio discorso a Carrara4 , da una politica passiva ad una politica attiva e stiamo accentuando sempre più questo passaggio. Lungi da me, da noi, ogni velleità di ricatto, ma non posso che ripetere ancora una volta quanto ebbi a dire così sovente ad americani ed inglesi che cioè nella presente congiuntura politica, gli sforzi che andiamo facendo per ridare a questo paese coscienza della propria missione internazionale, subirebbero un rude colpo qualora gli italiani si vedessero esclusi dall'Africa o vedessero -ad opera proprio degli occidentali ridotta a poche briciole di scarso valore la loro partecipazione alla missione di civiltà in quel continente.

4 Ed. parzialmente in «Relazioni internazionali», a. XII ( 1948), n. 48, p. 785.

I francesi -anche per considerazione di loro interesse -lo hanno capito e confidano ancora che il Governo americano se ne renda conto e trovi in sè sufficiente volontà e forza di persuasione verso coloro che ancora si indugiano in un passato che è ormai superato. Noi riconosciamo le necessità strategiche inglesi che sono poi quelle del mondo occidentale e quindi anche le nostre e l'ho io stesso detto se J.iettamente a Mallet5: si mostri uguale comprensione per le nostre necessità di la•roro e per le esigenze morali, e quindi politiche, di questo paese. Faccio quindi as;;egnamento su di lei anche in questa fase della questione che sarebbe bene poter ri~olvere con generale soddisfazione: è una palla al piede per la nostra politica che una volta rimosso questo ostacolo potrà muoversi con assai maggiore agilità sia al 'interno che all'estero.

635 3 Vedi DD. 350, Allegato e 562, Allegato.

636

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 19 novembre 1948.

Le trattative che corrono oggi con la Gran Bretagna per eliminare il grave punto d frizione della cross-rate, e l'imminenza della sessione plenaria del gruppo di studi d Bruxelles per l'unione doganale europea, cui farà seguito ai primi di gennaio l'ultima e conclusiva riunione itala-francese per la redazione del programma ddl'Unione doganale, mi inducono a sottoporre a V.E. talune considerazioni.

l) Le nostre relazioni con la Gran Bretagna sono state fin qui, in parte danneggiate anche dalla questione della cross-rate alla quale è collegata da parte britannica un lato di prestigio che va al di là del semplice significato monetario, in quanto la posizione della sterlina costituisce il principale elemento di coesione dell'Impero. Perciò proprio mentre le relazioni economiche fra i due paesi non sono mai state così buone e fruttifere come adesso, i rapporti in questo campo tra i dirigenti inglesi ed il nostro paese sono andati peggiorando man mano che noi rtardavamo ad accedere ai desideri britannici. Non voglio affermare con questo che la maggior parte delle difficoltà italo-inglesi saranno eliminate quando l'accordo per la cross-rate sarà stato raggiunto: voglio semplicemente dire che esse diminuiranno assai, e daranno modo anche in seno all'O.E.C.E. di sviluppare una çiù larga e più fattiva collaborazione.

2) Ma, nonostante ciò, dove ci troveremo sempre in contrasto con la Gran Bretagna, è allorché l 'Italia cerca di dar luogo ad intese economico-politiche con i l resto d'Europa e particolarmente con la Francia. Le direttive di V. E. hanno frut

tuosamente mirato ad edificare un ponte fra la Francia e l 'Italia ed a gettare i piloni di altri ponti che ravvicinino tra di loro le nazioni europee. Il terreno delle unioni doganali è particolarmente favorevole alla fondazione di tali piloni. A parte taluni lati militari della grande politica europea, questa infatti si serve oggi, tanto attraverso l'O.E.C.E. quanto mediante il progetto di unione doganale generale che ne proviene, della materia economica quale plasma del tessuto di quella che dovrebbe essere una Europa rinnovellata.

Il nostro Governo ha assunto in tale campo una funzione di pioniere. Anzitutto, l'Unione doganale con la Francia che, se condotta a buon fine, costituirà una rivoluzione politica di portata ben più vasta che non un trattato di alleanza e di collaborazione militare. In secondo luogo la linea di condotta che la delegazione italiana ha assunto nelle successive sessioni per l 'unione generale europea di Bruxelles, condotta che è stata diretta a volgarizzare il concetto d eli 'unione, a indicarne i metodi di esecuzione, a spingere avanti le delegazioni più riluttanti e più tiepide.

3) Tutto ciò però, se deve essere continuato, non può avvenire che malgrado l'Inghilterra e forse contro di essa. La Gran Bretagna vive sul sistema interimperiale, e non può certo comprometterlo per partecipare ad una unione economica europea con la quale la politica interimperiale sarebbe inconciliabile. E non potendovi partecipare non ha nessun interesse a che tale unione si faccia.

Attualmente in sede di conferenza di Bruxelles, i vari comitati e sottocomitati hanno tenninato i loro studi. La prossima riunione del gruppo, del quale io sono il relatore generale, dovrà dunque trarre le sue conclusioni ed avanzare ormai all'O.E.C.E., come pure ai singoli Governi, delle proposte concrete. La delegazione italiana si troverà di fronte alle seguenti alternative: continuare nella sua azione di pattuglia di punta, oppure fingere di assecondare i lavori della conferenza, oppure, infine, mostrare addirittura un certo disinteresse all'andamento di essa.

La nostra politica generale -quale specialmente si è ultimamente estrinsecata nel progetto di allargamento di compiti dell'O.E.C.E. ai fini sia della programmazione europea sia del colorito politico da dare all'organizzazione dovrebbe, mi sembra, consigliare di seguire la prima via: quella di spingere i vari paesi a qualche cosa di fattivo e di concreto sul terreno delle unioni doganali (risparmio a V.E. le varie alternative tecniche con le quali tale scopo potrebbe essere raggiungo, poiché desidero rimanere sul terreno delle linee generali). Ma se tale è la decisione italiana, è fatale che la Gran Bretagna l 'avversi, e che altri elementi di distensione verso di essa, i quali possono prodursi in altri campi, verranno neutralizzati ed annullati.

Nell'ultima seduta della Commissione economica del Gruppo studi di Bruxelles, il delegato olandese chiese fosse posta a verbale la seguente frase: «il Gruppo dovrà decidere se qualora la Gran Bretagna non intendesse partecipare ali 'Unione Europea questa dovrà essere fatta egualmente al di fuori di essa». Tale è l'alternativa di fronte alla quale si troverà presumibilmente la conferenza; e la delegazione italiana dovrà prendere posizione.

4) Altrettanto deve dirsi per quanto riguarda l'Unione doganale italo-francese. Qui, anzi, l'atteggiamento italiano non può mascherarsi dietro un consesso intemaziolale né fingere di ignorare che le conseguenze dell'unione vadano ben al di là del semplice contenuto economico. Malgrado la ottima volontà mostrata sin qui dalle due parti, non può ancora affermarsi con sicurezza che l'Unione doganale vada in porto: am:itutto perché saranno i Parlamenti che dovranno approvare il programma e tutte le obiezioni degli interessati lesi -e saranno molti -faranno leva sui parlamentari che do,rranno votarla; in secondo luogo perché il programma dovrà essere definito a getmaio e non è dato sapere se il Governo Queuille avrà la forza di portarlo in for,do. Ma se ciò accadrà, come è vivamente da augurarsi, è da aspettarsi per certa la più netta opposizione britannica, la quale se verso di noi si paleserà in una accentuata freddezza, potrà assumere verso i francesi forme assai più positive e persuasive.

I punti che precedono adombrano degli interrogativi così vasti e così complessi ch~~ non mirano ad avanzare delle proposte precise al riguardo.

Essi non hanno altro scopo se non di descrivere a VE. la situazione qual è e qmle è suscettibile di divenire, di darle ulteriori elementi per le direttive politiche ge1erali che ella crederà di determinare, ed infine di chiederle istruzioni circa l'atte~:giamento da seguire a Bruxelles, se cioè di semplice aspettativa o, come per il pa;;sato, di iniziativa pratica che la delegazione italiana dovrebbe assumere.

635 5 Vedi D. 565.

637

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TI.LESPR. RISERVATO 5576/2384. Londra, 19 novembre 1948 1•

Riassumo il punto di vista del Foreign Office sul Patto atlantico e la collaborazione europea, come mi è stato esposto in una recente conversazione.

Secondo il Foreign Office il Patto atlantico dovrebbe soprattutto servire a stabilire una connessione fra Unione di Bruxelles da una parte e Stati Uniti -Canada ddl'altra in modo da giustificare di fronte al Congresso un nuovo lend-lease per il riarmo dell'Europa occidentale e un military planning per la difesa comune. Il Foreign Office sottolinea che questo sarebbe lo scopo e la ragione d'essere principale dd Patto dato che la Costituzione degli Stati Uniti riserva al Congresso la facoltà di dichiarare guerra ed esclude quindi a priori un patto di alleanza sia pure difensivo che funzioni automaticamente. Il Foreign Office ritiene del resto che se si potrà giungere a riportare le forze militari dell'Europa occidentale al livello imposto dalle circostanze, e questo in stretta collaborazione con lo Stato Maggiore americano,

)37 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

l'ostacolo costituzionale perderà molto della sua importanza pratica (quella di impedire alle forze armate degli Stati Uniti l'intervento immediato).

In altre parole il Patto atlantico è nella mente del Foreign Office soprattutto un accordo militare e strategico e come tale il Foreign Office è contrario a dargli una portata più vasta, come invece vorrebbero i francesi. Questo sia per non creare un inutile e forse dannoso duplicato dell'O.E.C.E. nel campo economico, sia per poter estendere in avvenire il Patto atlantico ad altri Stati con i quali una stretta collaborazione non è desiderabile o possibile all'infuori delle considerazioni strategiche (esempio Turchia). Rimarrebbe insomma un nucleo di stretta collaborazione (Patto di Bruxelles) circa il quale il Foreign Office non sembra ancora deciso se dovrebbe restare un circolo chiuso o no: questo nucleo trarrebbe i mezzi per il riarmo e la difesa dal canale del Patto atlantico al quale aderirebbero al di là dell'Oceano gli Stati Uniti e il Canada.

Da questo punto di vista è abbastanza naturale che al Foreign Office l'estensione del Patto atlantico ad altri Stati interessi mediocremente. Sembra che da parte americana si desideri comprendervi subito Norvegia e Irlanda, che però sarebbero ancora indecise. Dipenderà poi dall'ammontare e dal ritmo del lend-lease o comunque degli aiuti che gli Stati Uniti sono disposti a dare, se il riarmo difensivo si limiterà in un primo tempo all'Unione Occidentale (difesa della linea del Reno) o si baserà fin da principio su una linea più vasta (Norvegia-Mediterraneo).

II fatto che l'Unione di Bruxelles ha già i suoi organi permanenti crea il problema pratico della liaison con quelli del futuro Patto. È probabile che verrà costituito un nuovo organismo militare per la collaborazione (io direi dipendenza) del Comandante in capo deiie Forze dell'Unione con lo Stato Maggiore degli Stati Uniti.

Il problema della cooperazione europea è dunque visto in sostanza dal Foreign Office così: nel campo militare il Patto atlantico servirà a far beneficiare l'Unione di Bruxeiies prima, e gli altri Stati che aderiranno al Patto dopo, degli aiuti americani in forma di lend-lease e military planning. Nel campo economico esiste già I'O.E.C.E. che il Foreign Office non ritiene opportuno duplicare o complicare con attribuzioni di carattere politico. Nel campo politico l'idea del Forcign Office è quella recentemente suggerita da Bevin cioè un Consiglio permanente dei rappresentanti delle potenze di Bruxelles completato dai rappresentanti di quegli altri Stati che si riterrà opportuno invitare a parteciparvi: a tale riguardo è interessante notare che il Foreign Office prevede fin d'ora la partecipazione-a suo tempo -della Germania Occidentale.

Sul piano ideale il punto di vista britannico può essere criticato in vari modi. Non si può negare però che esso è eminentemente pratico c come tale ha forse le maggiori probabilità di riuscita. Merita quindi di essere considerato attentamente soprattutto per quanto riguarda la possibilità deiia nostra partecipazione al futuro Consiglio dei ministri degli esteri che, se si costituisse, diventerebbe certamente un trust-in regime di monopolio -della politica europea2 .

ALLEGATO

COLLOQUIO DELL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, CON L'ASSISTENTE SEGRETARIO DI STATO AL MINISTERO DEGLI ESTERI BRITANNICO, KIRKPATRICK

APPUNTO. Londra, 17 novembre 1948.

Il Patto atlantico è allo studio e nulla di preciso se ne può dire per ora. Le Potenze di Bnrxelles stanno preparando le loro osservazioni al draft presentato a Washington: la discussio:le con gli Stati Uniti e il Canada dovrebbe aver luogo in dicembre.

Il punto di vista del Foreign Office è il seguente. Il Patto atlantico deve servire soprattutto a stabilire una connessione fra l'Unione di Bruxelles e gli Stati Uniti e il Canada in modo da poter giustificare un nuovo lend-lease per il riarmo e un military planning per la difesa dell'Europa. Non si può contare su un patto di alleanza difensiva automatico in quanto secondo la Costituzione degli Stati Uniti spetta sempre al Congresso dichiarare la guerra ma si può per mezzo del Patto atlantico ottenere i mezzi necessari per il riarmo dell'Unione Occidentale prima, di altre nai:ioni europee dopo, ed elaborare i piani militari insieme con gli Stati Uniti e il Canada. In aloe parole il Patto atlantico è nella mente del Foreign Office soprattutto militare; come tale il Foreign Office è contrario ad estenderlo ad altri campi sia per non creare un inutile o dannoso duplicato deli'O.E.E.C. sia per poterlo estendere a paesi (esempio Turchia) con i quali una collaborazione stretta in altri campi non è invece possibile o desiderabile. Rimarrebbe insomma un patto di stretta cooperazione, quello di Bruxelles, il quale trarrebbe i mezzi per il riarmo e la dif~sa del Patto atlantico in quanto ad esso aderirebbero gli Stati Uniti e il Canada.

Sembra che da parte americana si desideri estendere il Patto atlantico ad alcune nazioni subito (Norvegia, Irlanda) che però sono ancora indecise, ad altre più tardi. Dipenderà anche daTammontare e dal ritmo degli aiuti che gli Stati Uniti sono disposti a dare se il programma di riarmo difensivo si limiterà in un primo tempo all'Unione Occidentale (difesa della linea de Reno) o si estenderà fin da principio ad una linea più vasta (Norvegia-Mediterraneo). La prima ipotesi sembra più probabile.

Sorgono naturalmente vari problemi pratici dal fatto che l'Unione di Bruxelles dispone giù dei suoi organi permanenti di cui bisognerà studiare la liaison con quelli del nuovo Patto. Nd campo militare è probabile che il Patto atlantico servirà per far collaborare il comandante in capo delle forze dell'U.O. con lo Stato Maggiore degli Stati Uniti.

Il problema della collaborazione europea ~di cui tanto si parla in questi giorni ~è dunque visto in riassunto dal Foreign Office così: nel campo militare il Patto atlantico se-virà a far beneficiare l'U.O. prima, gli altri Stati che aderiranno al Patto atlantico dopo, degli aiuti americani in forma di lend-lease e military planning. Nel campo economico es .ste già l 'O.E.E.C. che non sarebbe opportuno duplicare né complicare con affidargli compiti anche politici (e qui il Foreign Office non concorda con l'idea di Sforza). Nel campo politico il F oreign Office ritiene che l 'idea più pratica sia quella recentemente suggerita da Bevin circa un Consiglio permanente dei ministri degli esteri delle potenze di Bruxelles completato dai rappresentanti di quegli altri Stati che si riterrà opportuno invitare a parteciparvi: di questo si occuperà l'imminente riunione di Parigi. A questo Consiglio il Foreign Office prevede che possa in seguito partecipare anche il Governo ddla Germania Occidentale.

Circa la bizona Kirkpatrick ha detto che sebbene la riforma monetaria abbia dato ottimi riwltati fin da principio soprattutto col dare nuovo stimolo alla produzione anche agricola, il regime di libera economia che gli americani insistono per mantenere nella bizona ha effettivEmente prodotto nelle attuali condizioni dell'economia germanica uno stato di cose abbastanza caotico che ha prodotto vivo malcontento fra le classi operaie. Il Governo britannico ri1iene che un regime di economia controllata sia non solo desiderabile ma indispensabile nelle condizioni attuali.

Circa la Ruhr vi è -sebbene Kirkpatrick non l'abbia detto apertamente -un dissidio fra Stati Uniti e Gran Bretagna circa la futura nazionalizzazione delle industrie. Dato che gli antichi proprietari (Krupp etc.) non potranno tomame in possesso, occorrerebbe -nel caso che il futuro Governo tedesco decidesse in favore della proprietà privata -che i prestiti necessari per ottenere l'ingente capitale necessario venissero contratti da privati, in altre parole che le industrie passassero di fatto in mano agli americani. L'alternativa di un prestito governativo, necessaria conseguenza di una decisione di nazionalizzare la Ruhr, dovrebbe secondo Kirkpatrick sembrare più attraente ai tedeschi in quanto la proprietà delle industrie rimarrebbe alla Germania. Kirkpatrick ritiene che la decisione ultima potrà essere in favore della nazionalizzazione alla quale è già favorevole oltre ai partiti di sinistra una considerevole sezione del partito cristiano democratico.

Kirkpatrick mi ha chiesto alla fine se ritenevo che il Governo italiano avesse intenzione di partecipare al Patto atlantico. Ho risposto di sì.

637 2 Nelle carte dell'ambasciata a Londra si trova un appunto sul colloquio Gallarati Scotti-Kirkpatrick, che si pubblica qui in allegato.

638

IL CAPO DELL'UFFICIO COLONIE E CONFINI, CASTELLANI PASTORIS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO. Parigi, 19 novembre 1948.

Il ministro De Oliveira della delegazione brasiliana, da me interpellato per conoscere quanto vi fosse di vero nella voce di una riunione tra nord e sud-americani circa le colonie italiane, mi ha confermato la notizia, aggiungendo:

-che trattavasi di una riunione privata alla quale avevano partecipato Foster Dulles e l'ambasciatore Corrigan per gli Stati Uniti ed i rappresentanti dei principali Stati sud-americani;

-che Foster Dulles aveva fatto propria la tesi inglese insistendo perché i sudamericani vi aderissero; -che a lui avrebbe replicato vibratamente il ministro Femandes, difendendo i nostri diritti ed il nostro punto di vista;

-che non era stata presa alcuna decisione;

-che il ministro Femandes non riteneva che a tale manifestazione si dovesse attribuire eccessiva importanza, ma che tuttavia aveva subito riunito presso di sé i principali esponenti dei paesi latino-americani e che li aveva trovati tutti benissimo orientati nei nostri confronti.

639

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

T. S.N.D. 13174/c. Roma, 20 novembre 1948, ore 23.

Delegazioni sudamericane Parigi sono sottoposte a insistente pressione perché votino in Assemblea risoluzione su questione coloniale a favore attribuzione Somalia

ali 'Italia, Cirenaica ad Inghilterra e rinvio decisione per Tripolitania ed Eritrea. Come le è noto nostra proposta fu inizialmente soluzione a noi favorevole per Somalia e rinvio di tutto il resto. Se inglesi insistono per farsi attribuire subito Cirenaica occorrerebbe almeno che paesi amici condizionino loro adesione a contemporanea attribuzione Italia anche Tripolitania ed Eritrea. Anche a richiesta ambasciata Parigi ptegola intervenire costì perché in tal senso vengano urgentemente inviate istruzioni a delegazione all'O.N.U. di codesto Govemo 1•

640

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T S.N.D. 1512411117. Parigi, 20 novembre 1948, ore 21,58 (pe1: ore 5 del 21).

Mio 11161•

fl39 1 Con successivo T. s.n.d. 1328/C. del 23 novembre, indirizzato alle rappresentanze a Città del !Y:essico, Caracas, Quito, La Paz ed Assunzione, Sf(Jrza chiedeva un nuovo efficace intervento affinché q11ci Governi si unit(Jrnlassero all'atteggiamento favorevole alla tesi italiana in materia coloniale assunto d:1gli altri paesi sudamericani. Gli ambasciatori a Buenos Aires e Santiago risposero di aver avuto a::sicurazione che le delegazioni di quei Governi a Parigi avrebbero avuto istruzioni di appoggiare la tesi italiana (rispettivamente, T. s.n.d. 1534h/266 del 25 novembre e T. s.n.d. 15288/82 del 24 novemb ·e). Istruzioni di favorire l'Italia nella questione coloniale venivano date anche alla delegazione messicana (T s.n.d. 15240/43-44 del 23 novembre e T. 15455/46 del 27 novembre da Città del Messico), a q1ella peruviana (T s.n.d. 15308/62 del 24 novembre) e a quella brasiliana (T s.n.d. 153471141 del 2 5 novembre e T. s.n.d. 15516/146 del 29 novembre da Rio de Janeiro ).

!t is sclf evident that the disposition of ali the territories has not bcen an easy matter. As tàr as the l1alian position is concerned, consideration has had to be given to the additional burden which these deficit arcas would impose upon the already strained Italian economy if trusteeship awarded ltaly, as v'eli as any possible economie benefits which might result from additional outlets for Jtalian surplus population. In addition, examination of the question whether Italian military forces as limited by the Feace Treaty are sut1ìcient for maintcnance of public order in the fonner colonies has been rendered s~rious by the fact that the Soviet veto of ltalian membcrship in the United Nations has barred any rossibility of a simple solution through Security Council action should it develop that additional forces v:ere required.

Contlicting views of the othcr interested Governments have also had to be taken into account. Finally, the wishes and welfare of the l oca! inhabitants of these areas had to be given equitable regard in concurrence with well established principles of the United States Government.

In the circumstances, the United States Government has decided that it is prepared at this stage to t1ke a fina l decision only as regards Italia n Somaliland an d the Southern portio n of Eritrea. As regards Uorthern Eritrea and Tripolitania, the United States is reluctant to take a definite position owing to thc more complex factors involved, but has concluded that a decision should be postponed to perrnit further >tudy by the appropriate Unitd Nations Body. Pending results of this further study, the United States would not wish to preclude any settlement which may tìnd generai suppor!. Regarding Cyrenaica, the lJnited States feels it is bound to respect the British Government's pledge to the Senussi, and to suppor!

Ho visto oggi Marshall che riparte per Washington stanotte. Gli ho detto penosa impressione che aveva prodotto sul Governo italiano decisione Governo americano. Era per noi particolarmente doloroso cinque anni dopo armistizio e quasi due dopo la firma del trattato dover constatare che in questione per noi così importante venivamo ancora trattati come nemici. Durante suo viaggio in Italia aveva potuto rendersi conto quanto Governo italiano in circostanze difficilissime stesse facendo per ricostruzione materiale morale Italia e per definire suo orientamento politica estera. Governo americano sceglieva proprio momento così delicato per aumentare e considerevolmente difficoltà Governo italiano. Marshall, dopo avermi ripetuto quanto Governo americano si interessava questione Italia solidità suo Governo quanto ha fatto e quanto farà nell'avvenire, mi ha detto essere perfettamente conscio complessità interessi in giuoco ed è soltanto con estrema riluttanza che si è indotto prendere questa decisione. Gli ho risposto che il Governo italiano era molto riconoscente quanto America aveva ed avrebbe tàtto: che però nel presente caso non era possibile dimenticare che esistono fattori morali che in certi casi hanno importanza maggiore che dollari. Nel corso della lunga discussione su alcuni aspetti di dettaglio in cui sono intervenuti anche Hutter c Raynor rappresentanti rispettivamente sezioni Medio Oriente ed Africa avendo Hutter accennato aeroporto Mellaha ho chiesto Marshall se esatto era quanto mi avevano detto francesi che principale preoccupazione americana era se guarnigioni italiane avrebbero potuto garantire ordine pubblico interno altrettanto guanto guarnigioni britanniche. A risposta per due terzi affermativa Mar shall gli ho detto che Governo italiano era sicuro poter garantire ordine pubblico e siccome poteva dirmi che affermazione Governo non era sufficiente ritenevo poter dirgli che il Governo italiano era pronto discutere con esperti due paesi dispositivo corrente che in caso intendeva assumere. Ho ritenuto opportuno aggiungere che con questo Governo italiano non intendeva sollevare questione revisione clausole militari trattato di pace che al momento attuale avrebbe potuto creare inutili difficoltà.

the British Govemment in giving effect to this promise. This Government feels confident that thc ltalian Govemment will understand the United States' position in this matter.

As regards Southem Eritrea, the United States will suppor! cession to Ethiopia, and fecls equally confident that this solution will meet with the approvai of the ltalian Govcrnment. For ltalian Somaliland, the Unitcd States will suppor! Italian trusteeship, feeling in the light of the present situation there that return of ltalian administration can be achieved without overriding difficulty or opposition, and that such retum will afford the Jtalian Govemment opportunity to demonstrate to world opinion its willingness and capacity to bring about progress and development for mutuai bcnetit of native and ltalian pcoples. Furthermore, the United States willurge that the former ltalian residcnts ofNorthem Eritrea and Tripolitania be allowed to retum to their homes during the period of postponement of disposition of these areas. lt is recognized that otherwise postponcment will work furthcr hardship on these people, who have thus far been unable to pian for the future, and that it is only equitable and just that they be allowed to retum to the settlement upon which they have exploited their labor and resources.

The President of the Council of Ministers is assured that thc United States Govcmment will continue to give the most careful and sympathetic consideration to ltalian views in this matter, faithful to the policy of friendly collaboration between the American and ltalian peoples which we have consistently pursued in this post war era».

Ho chiesto finalmente a Marshall quali ragiom Imperative esigessero arnvare soluzione proprio ora in un momento per noi particolarmente delicato.

Marshall mi ha chiesto se Governo italiano avrebbe ritenuto accettabile soluzione Somalia sbocco al mare Etiopia e rinvio del resto. Gli ho risposto che se per sbocco al mare Etiopia si intendeva come mi aveva detto Gross tutta l'Eritrea Meridionale incluse Asmara e Massaua, certamente no: se invece si intendeva solo A:;sab ritenevo poter rispondere di sì.

Marshall mi ha confermato sua conversazione con Schuman2 e mi ha detto ccme a lui che avrebbe seriamente considerato questione.

Conosco troppo poco Marshall per poter giudicare sue vere reazioni: ho avuto impressione che egli ha «cattiva coscienza» e che forse potrebbe essere possibile indurlo ad accettare soluzione più o meno completo rinvio. Occorre però tener presente che specialmente a Washington egli tornerà essere oggetto pressioni violente da parte inglesi e che possibilità inglesi sono molto maggiori delle nostre3 .

640 1 In pari data, con il quale Quaroni riferiva, in seguito ad un incontro con Gross, il punto di vista s1atunitcnse sulla questione coloniale. In tale occasione gli fu rimesso il seguente documento confidenz aie: «The American Government has given most thoughtful consideration to severa! communications tìom the President of the Council of Ministers and the Foreign Minister regarding the disposition of the tìmner Italian colonies. lt appreciates the importance which the Jtalian people attach to this question, as well as broader implications regarding European cooperation which the Jtalian Govcrnment has stressed.

641

IL CONSIGLIERE PER LE QUESTIONI COLONIALI, CERULLI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

Parigi, 20 novembre 1948.

Ho visto l'ambasciatore Berckmeyer, delegato del Perù, cui ho chiesto se era p Jssibile convocare la riunione del gruppo latino-americano per esaminare la questione itala-africana. Questo perché il delegato del Perù è il presidente di turno del gruppo e quindi spetta a lui la convocazione. Berckmeyer mi ha detto che egli è perfettamente d'accordo sull'opportunità di una tale riunione; e che se non l'aveva convocata sin ora, ciò era dovuto al fatto che qualche delegazione (quindi, il Brasile) ha espresso l'opinione che nell'interesse dell'Italia è preferibile agire ufficiosamente «nei corridoi». Ho risposto che anche noi avevamo molto apprezzato l'azione amichevole che si stava svolgendo in via ufficiosa, ma questo non esclude, a nostro parere, l'opportunità di una riunione di gruppo, la quale anzi sarebbe un'utile premessa all'azione nei corridoi. Berckmeyer mi ha detto che per suo conto concordava tanto più con me per questa ragione: da parte di Washington si sta svolgendo una intensa pressione sulle delegazioni latino-americane qui e sui rispettivi Governi. Perciò una riunione di gruppo che porti qui ad una conclusione

3 Con T. s.n.d. 15174/1120 del 22 novembre Quaroni informava di aver saputo da Gross che Marshall aveva già comunicato al Ministero degli affari esteri etiopico la decisione americana concerr ente Asmara e Massaua. Quaroni, tuttavia, riteneva la decisione non ancora definitiva e consigliava r•ertanto di far pressione sui latino-americani.

938 concordata darà una possibilità di evitare che la pressione nord-americana arrivi al breaking point. Berckmeyer, in conclusione, mi ha detto che farà la convocazione, avendo l'adesione chiara dell'Argentina (ciò che gli ho subito procurato andando a parlare con l'ambasciatore Arce). La riunione è fissata per lunedì 22 sera.

Quanto all'atteggiamento peruviano nella riunione Berckmeyer mi ha detto che egli potrebbe presentare la proposta di nominare una Commissione di sei delegati latino-americani col compito di cercare un compromesso tra la nostra tesi e quella anglo-americana. Mi ha chiesto se si possa in tal caso contare su di una azione fiancheggiatrice della Francia. Gli ho risposto che ritenevo che sì. Berckmeyer mi ha chiesto se Spaak a sua volta poteva esercitare azione analoga. Gli ho risposto che avevo l'impressione che Spaak non sarebbe stato indifferente alla possibilità di un compromesso italo-britannico, ma che tuttavia non potevo dargli una risposta definita al riguardo, data la crisi ministeriale di Bruxelles e la posizione particolare del Belgio. Circa la sostanza della questione Berckmeyer mi ha detto che il maggior problema è evidentemente la Cirenaica. Berckmeyer mi ha ripetuto le solite motivazioni anglo-americane che giustificano il trusteeship cirenaica con le aspirazioni ideali alla libertà dei popoli, con gli impegni già presi, eccetera. Mi ha chiesto se si possa far sapere agli inglesi che da parte nostra siamo pronti a scontare un voto pel trusteeship britannico. Ho risposto che noi non possiamo aJTivare a tanto se non come parte di un accordo generale di compromesso e quando tale accordo risulti possibile. Il delegato peruviano mi ha detto che la possibilità concreta stava di lavorare per la Tripolitania nella direzione della proposta Massigli; ed io gli ho esposto a mia volta il nostro punto di vista al riguardo.

Berkmeyer mi ha poi parlato dell'Eritrea e mi ha chiesto quali erano le nostre obiezioni contro un rinvio. Gli ho detto che non ci era stata data da esaminare una proposta di rinvio di tutta la questione Eritrea; ma invece si era sin ora parlato di attribuire all'Etiopia la così detta «Eritrea meridionale». Ed allora è ovvio che l'opinione pubblica italiana sarebbe in diritto di domandarsi per quale ragione, dopo aver soddisfatte le pretese etiopiche (e con quale largo spirito!), si debba per giunta anche rinviare la decisione sul resto del! 'Eritrea.

640 2 Con T. s.n.d. 15107/1113 in pari data Quaroni riferiva su conversazioni tra Marshall e Schuman a proposito della Tripolitania.

641 1 Manca il telespresso di trasmissione.

642

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO

T. S.N.D. 13171/50. Roma, 21 novembre 1948, ore 4.

Risulta che in riunione delegazioni americane circa sorte ex colonie delegato cubano ha proposto assegnazione Eritrea ad Etiopia. Non sappiamo se e sino a qual punto tale proposta collimi con istruzioni date da codesto Governo il quale in varie occasioni ci aveva promesso suo totale appoggio. Pregola attirare attenzione codesto Governo su quanto precede e sottolineare pessima impressione che farebbe in Italia una presa di posizione di Cuba nel senso suindicato 1•

643

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS

T. S.N.D. 13 I 93/70. Roma, 21 novembre 1948, ore 15.

Ambasciata Parigi informa che pressioni vengono esercitate in varie delegazioni

O.N.U. per approvazione proposta inglese attribuzione Somalia ad Italia, Cirenaica a Gran Bretagna e rinvio del resto. Come noto da parte nostra era stato proposto rinvio mche per Cirenaica. Se inglesi insistono ora per farsi attribuire la Cirenaica occorre che contemporaneamente sia risolta in nostro favore per ovvi motivi questione Tripolitania ed Eritrea. In caso diverso, situazione questi due ultimi territori verrebbe a trovarsi compromessa. Pregola svolgere costì opportuna azione per ottenere che a delegazione turca a Parigi vengano date urgenti istruzioni nel senso suindicato 1•

644

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

L. 3/1780. Roma, 21 novembre 1948.

Ho ricevuto la sua lettera del 4 novembre 1• La precedente comunicazione dell'amJasciata (telegramma n. 383)" fu dal ministro trasmessa a Londra, ma non abbiamo mcora avuto risposta né conferma o meno della seb>nalazione. Non vedrei difficoltà a 2ontinuare a trattare la questione come ella già ha fatto. Secondo noi l'atteggiamento sovietico in questa questione della nostra ammissione all'O.N.U. è una violazione del preambolo del trattato. Non si può infatti negare che l'aver per due volte posto il «veto» non costituisca una inadempienza dell'impegno assunto dall'U.R.S.S. «di appoggiare le domande che l'Italia presenterà per divenire membro dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e per aderire a tutte le Convenzioni concluse sotto gli auspici delle Nazioni Unite».

2 Vedi D. 603.

Se, nei nostri confronti, la questione delle navi poteva venire ancora opposta come una mancanza di adempimento a una disposizione del trattato, una volta risolta questa questione e concordata persino anzi tempo la questione delle riparazioni, nessun pretesto giuridico potrebbe più sussistere. Ed è anche evidente che la questione dell'ammissione di altri membri non può venire sollevata nei nostri confronti. Nei nostri confronti vi è un preciso impegno del Governo sovietico di cui reclamiamo l'adempimento. Questo per quanto riguarda l'aspetto giuridico della questione.

Dal punto di vista politico l'atteggiamento sovietico ha naturalmente tutte le ripercussioni che ha: si possono invocare costì? Non lo credo in quanto, passato il primo momento, un mutamento di tale atteggiamento lascerebbe i rapporti italo-russi sostanzialmente al punto in cui si trovano. Ma dall'altra parte è anche vero che l'essere

o il non essere l'Italia nell'O.N.U. non sposta l'equilibrio delle maggioranze e minoranze costituitesi nel suo seno. Concludendo: l'U.R.S.S. non guadagna niente e perde qualcosa a farci fare anticamera, non guadagna e non perde nulla !asciandoci entrare.

So bene che costì è difficile ragionare. Lascio quindi a lei di fare il meglio che potrà.

642 1 Con T. s.n.d. 15458/87 del 27 novembre Fecia di Cossato, rispondendo anche al D. 657, riferiva di aver avuto assicurazione che Cuba avrebbe appoggiato il punto di vista italiano. Vedi anche DD. 650 e 691.

643 1 Con T. s.n.d. 15306/90 del 24 novembre Prunas suggeriva l'opportunità di un colloquio di Sforza con Sadak in occasione del passaggio a Roma di quest'ultimo, di ritorno da Parigi, per vincere la perdurante riluttanza turca a prendere posizione in favore dell'Italia nella questione coloniale.

644 1 Vedi D. 594.

645

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 13203/415. Roma, 22 novembre 1948, ore 16.

Tua del 17 1•

Non solo ti autorizzo esplorare presso Bevin al più presto ma in caso suo interessamento sia pure tiepido ti autorizzo dirgli che sei certo che venendo subito in volo a Roma potresti tornare con accenni di allargamento fuori del campo coloniale, degni di un Governo innovatore quale il laburista2 .

646

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15179-15227-15219/927-929-930. Washington, 22 novembre 1948, ore 21,21 (per. ore 4,30 del 24)'.

Suo 6122 .

Considerata gravità comunicazioni fatte ad ambasciata Parigi3 ed effettuati opportuni sondaggi presso Dipartimento di Stato circa mezzi più efficaci per cercare di mutare atteggiamento delegazione americana, ho chiesto udienza presidente Truman anziché Lovett. Inoltre ho inviato stasera a Marshall lettera in cui ho esposto in tt:rmini espliciti dolorosa impressione Governo italiano per ingiustificata decisione americana e gravità sue ripercussioni soprattutto nell'attuale momento.

Frattanto ufficio Europa Dipartimento di Stato, nel confermare sostanzialmente comunicazione di Gross, attribuisce iniziativa decisione a delegazione Parigi, appoggiata da divisione Africa, a sua volta sottoposta ad influenza britannica. Esso fa nlevare che propositi delegazione americana, quantunque ormai comunicati a delegazione terzi paesi, non sono stati ufficialmente resi pubblici e pertanto potrebbero ancora essere modificati dal presidente. Osserva inoltre che, fine lavori O.N.U. essendo prevista entro 11 dicembre e dovendosi ancora trattare spinosa questione Corea, è tuttora possibile rinviare trattazione problema colonie italiane. Tuttavia non ritengo possa attribuirsi speciale significato a queste dichiarazioni che appaiono fatte soprattutto per celare imbarazzo, anche perché atteggiamento Truman su questione colonie durante campagna elettorale non autorizza a particolari speranze4 .

Bonnet, recatosi da Lovett su istruzioni impartitegli da Quai d'Orsay in seguito < esito sostanzialmente negativo del colloquio Schuman-Marshall, gli ha prospettato nuovamente posizione francese contraria a proposta americana circa colonie italiane.

Lovett, a giustificazione detta proposta, ha insistito soprattutto su difficoltà 1inanziarie che l'Italia incontrerebbe nell'amministrare Tripolitania.

Nel pomeriggio di ieri funzionari ambasciata Francia hanno presentato nota a Dipartimento Stato confermando punto di vista francese. In occasione questo e altri contatti, si è avuta conferma buone ma sterili disposizioni Ufficio Europa e rigido atteggiamento Divisione Africa.

In queste condizioni Bonnet ha preannunziato al Dipartimento di Stato che Francia presenterà O.N.U. proposta emendamento a progetto americano basato su :;eguenti punti:

l) assegnazione Tripolitania all'Italia alle stesse condizioni assegnazione Cirenaica a Gran Bretagna; 2) sostanziale riduzione della zona Eritrea assegnata all'Etiopia.

Bonnet ha svolto suoi passi con massima possibile energia prospettando serie ,;onseguenze contrasto Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna in seno a O.N.U., anche m relazione schieramento latino-americano per ottenere i due terzi.

Ad ogni buon fine informo che, secondo comunicazioni confidenziali, Francia, rrel presentare proposta emendamento di cui al mio telegramma n. 9295, solleverebbe :tuestione Fezzan.

4 Sforza rispose a questa prima parte del telegramma con il D. 651.

5 La seconda parte del presente documento.

645 1 Non rinvenuta, ma vedi D. 637, Allegato. 2 Per la risposta vedi D. 658. 646 1 Questo documento fu spedito in due riprese: la seconda e terza parte furono trasmesse il 23 novembre, alle ore 14,34. 2 Pari data, con il quale fu ritrasmesso il D. 640.

646 3 Vedi D. 640, nota l.

71

«L'Europa, diceva, si deve rendere conto della calunnia. Da quattro anni noi diamo la prova che l'opinione cattolica desidera soltanto l'applicazione savia e legale delle nostre libere istituzioni, essa le vuole e le difende tutte».

Non è che i belgi non avessero chiara la nozione di tutte le libertà e non distinguessero in giusta graduazione il loro valore.

Credevano, come noi crediamo, che le libertà essenziali sono quelle della persona, delle coscienze, della famiglia, del comune, della regione, delle associazioni e, aggiungeremmo noi oggi, dei sindacati.

Di fronte a tali profonde libertà, la stessa libertà politica, cioè la partecipazione di tutti i cittadini al Governo, potrebbe rappresentare, in principio, qualche cosa di secondario.

Ma il passato è là a dimostrare che senza la libertà politica tutte le altre sono minacciate.

Si tratta soprattutto di un modo di difesa contro gli eccessi del potere pubblico e dello S·.ato centralizzatore. «Signori, diffidate dello Stato», insegnava Carlo Woeste al Congresso giubilare della g:oventù.

In verità, simili affermazioni antistatalistiche ripetute da uomini politici belgi anche nel P'~riodo in cui nuovi problemi sociali reclamavano l'intervento dello Stato, provocavano scandalo nei nostri animi giovanili, accesi di entusiasmo per le riforme sociali.

Più tardi però la storia e la vita ci hanno insegnato che il condannare in blocco tali sentimenti, come attacco reazionario contro la giustizia sociale, risultava troppo semplicistico. Era l'esperienza delle loro rivoluzioni che spiegava in buona parte la diffidenza dei belgi

v~rso i pubblici poteri. Essi nutrivano lo stesso pessimismo che aveva trovato terreno favorevole fra i pionieri d~lla Repubblica Nordamericana. Questi pionieri, questi rifugiati, questi perseguitati politici dali 'Europa, nutrivano una profonda diffidenza verso lo Stato che diventa così facilmente tirannico. E per questo, con una saggezza politica notevole, essi decidono che è meglio limitare questo potere per sempre. Ciò spiega le molteplici istituzioni di controllo e la complicata macchina politica degli Stati Uniti. Si tratta di impedire che, d'ora in poi, troppo potere sia posto in una sola mano o in un S)lo settore della vita nazionale.

Ma la storia anche dimostra che nessuna precauzione di ordine costituzionale potrebbe impedire l'avvento della tirannia se una attiva coscienza democratica non è operante nel r;opolo.

Anche taluni di noi stessi che l'avversarono, non avvertirono subito la profondità dell" attacco fascista.

Non ci furono forse dei cattolici, non moltissimi per fortuna, che credettero nel corpontivismo totalitario e nella possibilità che la dittatura facesse progredire, con rapide e radicali riforme, la giustizia sociale?

Si è creduto, insomma, che, in un grande Stato, la giustizia sociale potesse avanzare e consolidarsi senza la libertà politica e ci si è illusi che le libertà personali, familiari, sindacali < locali potessero salvarsi senza la libertà politica.

Dall'Italia il contagio si propagò in altri paesi e la dittatura di Lenin venne sfruttata per !:iustificare una contro-dittatura preventiva anticomunista. In questo periodo di tenebra, noi che dovevamo vivere in Patria come esuli, guardavamo ~pesso all'esempio luminoso del Belgio.

Ricordo la campagna elettorale a Bruxelles nel 1937.

Seguivamo con ansia gli sforzi di ricostruzione economica e di equilibrio politico del primo Ministro Van Zeeland che difendeva dall'attacco di estrema destra il suo Governo di concentrazione nazionale e che, di fronte al pericolo della guerra, affermava la sua energica (:d attiva volontà di pace.

Noi ancora oggi potremmo ripetere le parole che egli scriveva il 23 marzo: «Mai accetterei di considerare la guerra come un male necessario e ineluttabile. Fino all'ultimo momento un raddrizzamento è possibile e dobbiamo tendervi con tutti i nostri sforzi», e registravamo con simpatia e speranza le parole di Spaak, allora ministro degli esteri, il quale in una intervista aii'Independence Belge, riconoscendo i valori umani trasmessi dal cristianesimo come fondamentali per la nostra civiltà affermava la possibilità di una collaborazione fra le due correnti, l'una che rappresentava più particolarmente i valori di ordine, di autorità, di responsabilità nel quadro della democrazia, l'altra uno sforzo più potente in favore della giustizia sociale.

Erano i giorni in cui, in due Encicliche pubblicate contemporaneamente, il pontificato romano prendeva posizione su due fronti, l'una diretta contro il comunismo e in favore della giustizia sociale e l'altra contro il nazismo e per la difesa dei diritti cattolici tedeschi.

Ma, se quei documenti erano, come ovvio, di dottrina generale, più esplicita e perentoria, perché rivolta ad un sistema concreto e particolare, ci era giunta la lettera pastorale dei vescovi belgi.

«Noi disapproviamo formalmente, diceva la lettera, le tendenze all'una o all'altra forma di regime totalitario e dittatoriale. Non ci aspettiamo nulla di buono per la Chiesa Cattolica nel nostro paese da uno Stato totalitario che sopprimesse i nostri diritti costituzionali anche se cominciasse col promettere la libertà religiosa. Noi vogliamo il mantenimento di un sano regime di libertà che assicuri ai cattolici, allo stesso titolo e nella stessa misura che a tutti i cittadini rispettosi della legge e dell'ordine pubblico, l'uso delle loro libertà e dei loro diritti essenziali con la possibilità di difenderli e di riconquistarli con mezzi legali se essi venissero un giorno ad essere minacciati o violati».

Poi, fu la guerra e l'iniquo travolgente attacco dello Stato totalitario.

Passata la tempesta, possiamo ora chiederci se la lezione è stata compresa e soprattutto se le nuove costituzioni e le direttive post-belliche dei Governi hanno tenuto conto sufficiente del mortale pericolo corso dalla democrazia.

Mi pare difficile affermarlo. Nello sviluppo della nostra civiltà occidentale due sono le correnti di pensiero che, spesso alternandosi, influiscono sulla evoluzione politica.

La prima, resa più realistica e quindi pessimistica dalla esperienza dei secoli, considera la debolezza naturale dell'uomo, per cui i legislatori e filosofi antichi si domandano che cosa contino le leggi senza il costume, e i costituenti nordamericani si preoccupano anzitutto che il potere politico non inceppi e non leda quelle libertà essenziali che corrispondono ad altrettante virtù morali nella vita sociale.

Questa corrente dunque presuppone che le istituzioni politiche debbano agire in un ambiente morale e le considera come formatrici o almeno come protettrici di moralità. In questa concezione il presupposto essenziale è la coscienza dei cittadini. Ora chi non vede che il regime democratico, fondato sul popolo, dipende più che ogni

altro, non solo dalla coscienza morale dei cittadini, ma anche dai costumi che regolano la loro comunità?

Al popolo sovrano non bastano le virtù della obbedienza e della disciplina; esso deve anche avere il senso della responsabilità di Governo, il sentimento della solidarietà e della comunità, la forza morale di autolimitare le proprie libertà in confronto dei diritti altrui e l'energia di non abusare delle istituzioni democratiche per interessi di parte o di classe.

Nei momenti più decisivi quando l'elettore democratico è chiamato ad esercitare il diritto di voto, egli deve essere incorruttibile in confronto alle lusinghe dei demagoghi e ai ricatti dei potenti e quando agisce nella manifestazione collettiva deve vigilare perché la sua coscienza morale non venga sommersa dalla marea spesso istintiva e irrazionale della massa.

E tuttavia il suo spmto dovrà essere aperto al più profondo sentimento comunitario, dovrà sentire vicinissimo il senso della fraternità, e la democrazia dovrà costituire per lui non semplicemente un regime di istituti, ma una filosofia interiore che si alimenta non solo degli alimenti razionali dell'interesse comune, ma anche e soprattutto degli elementi ideali che pre·;edono le tradizioni spirituali e sentimentali e la storia della nazione.

L'altra corrente, che in certe epoche ha influito prevalentemente sulla evoluzione politica e che oggi stesso, nel dopoguerra, è ricomparsa nei dibattiti e in qualche formula delle As5emblee Costituenti nonché nella maniera di preconizzare le riforme, è quella dell'ottimismo sociale rivoluzionario.

Non v'ha dubbio che a tale ottimismo dobbiamo alcuni slanci di generosità e ventate di idealismo creativo che, nonostante l'errore filosofico del punto di partenza, hanno spinto vigJrosamente innanzi la ruota del progresso umano.

L'ottimismo di Rousseau ha fatto sentire la sua influenza nella dittatura comunista, più di quanto non si creda. l grandi rivoluzionari comunisti non si sono peritati di trasformare lo Stato m una dittatura che servirà, come essi dicono, da ariete per abbattere le ingiustizie sociali.

Rousseau diceva che l'uomo è cattivo soltanto per colpa della vita sociale.

Per i marxisti ortodossi, la radice del male sta nella proprietà privata.

Con l'eliminazione di questa, l'uomo tornerà ad essere buono e la dittatura finirà da sé.

Disgraziatamente la radice del male sta nel cuore dell'uomo e questi è non solo il trmtullo della libido possidendi ma anche della libido dominandi, della volontà di dominare.

Der Wille zur Macht sussiste anche nel regime collettivista.

L'ottimismo un pò infantile, frutto delle correnti di pensiero del secolo XVIII, spiega la facilità con la quale i primi rivoluzionari marxisti hanno ideato quel terribile sistema di oppressione che è lo Stato comunista, accentrando non solo l'amministrazione, la burocrazia e !:i polizia, ma anche l'economia e l'insegnamento.

Si deve aver creduto, molto ingenuamente, in una specie di stato di innocenza dell'umanita, per aver voluto aftìdare tanti poteri nelle mani di pochi.

Quando si tratta di organizzare la vita dello Stato, bisogna avere un sano pessimismo, derivante dalla coscienza che il male si può trovare in tutti gli uomini e in tutte le classi sociali.

Guai a quella concezione politica, secondo la quale tutto il male si trova da una parre e tutlo il bene dall'altra. Si sarebbe, allora, ottimisti nei riguardi del proletariato e pessimisti nei riguardi della borghesia, oppure pessimisti nei riguardi delle masse e ottimisti nei riguardi delle élites. Nell'un caso come nell'altro, si finirebbe con l'abbandonare tutto il potere a quello dei dw~ gruppi nel quale ci si immagina di riconoscere tutta la virtù. Ma allora siamo noi pessimisti che guardiamo all'indietro e prevediamo, come fece cento anni fa Donoso Cortès, la catastrofe apocalittica della civiltà moderna?

Affatto.

Una volta che il nostro realistico e filosofico pessimismo ci abbia condotto a creare qudle cautele costituzionali e ad esercitare quella pratica di Governo che garantisca la libertà politica, come salvaguardia della democrazia, e le libertà essenziali quali presidio delle persone e delle coscienze, noi affrontiamo con risoluto e costruttivo ottimismo l'avvenire democratico delle nostre nazioni.

Se è vero, come scriveva il Bergson, che l 'essenza della democrazia è la fraternità, cowerrà anche ammettere con lui che la democrazia è di essenza evangelica.

E se il regime democratico, veramente e liberamente attuato, è tale da lasciare agire e fiorire il fermento evangelico del cristianesimo, noi abbiamo diritto di sperare che tale energia dinamica fecondi e nobiliti la democrazia e sommuova e rinnovi tutta la civiltà; abbiamo il diritto di sperare c abbiamo anche il dovere di offrire alla democrazia il contributo della nostra filosofia, della nostra morale e della nostra tradizione.

Tale contributo è molteplice e vario secondo le età e secondo le nazioni.

Alcuni elementi, però, propri della vita personale dell'uomo, esercitano ovunque una pressione costante sulla vita sociale purché essa si muova in regime di libertà.

Il cristianesimo, ad esempio, introduce nella vita spirituale dell'uomo lo sforzo verso la perfezione, cioè lo sforzo di liberazione interiore, proprio dei tigli di Dio, i quali, ricorda san Tommaso, agiscono come liberi e non sono schiavi.

Questo spirito di emancipazione si riflette anche nella vita sociale c trova modo di

espandersi nel regime di libera democrazia.

Un altro elemento costitutivo è il concetto dell'uomo come persona umana.

Durante la guerra c nel corso della polemica mondiale contro il nazionalsocialismo e i

suoi derivati, credenti c non credenti, ci siamo trovati tutti d'accordo nel difendere questo concetto, per cui l'uomo, come dice Maritain, è più un tutto che una parte. Sempre più l'uomo si rende conto che egli non è soltanto una parte dello Stato, come l'ape è parte dell'alveare e la formica del formicaio. Quando la concezione dell'uomo come persona si affievolisce, l'organizzazione dello Stato tende a diventare collettivista e assoluta. Il senso della dignità della persona umana porta, invece, all'eguaglianza di fronte alla legge e nella organizzazione politica, cioè alla democrazia. Il terzo e più forte impulso del cristianesimo è l'amore. L'amore si chiama socialmente fraternità ed esige lo spirito di sacrificio nel servizio della comunità. E qui siamo all'elemento più vitale. La democrazia, dice sempre Bcrgson, è di essenza evangelica, cd ha, come forza propulsiva, l'amore.

La guerra portò a molti che l'avevano dimenticata la consapevolezza di questa forza propulsiva del cristianesimo, che sospinge anche la civiltà moderna, per molti aspetti ostile; tanto che un filosofo idealista come il Croce, si attardò a dimostrare perché non possiamo non dirci cristiani.

D'altra parte, molti credenti che avevano diffidato dci principii democratici, perché presentati da Locke e Rousseau, hanno dovuto ammettere, di fronte al carattere pagano dello Stato totalitario, che, pur sviluppata nelle scorie di filosofiche aberrazioni, l'aspirazione democratica aveva origini evangeliche.

Le grandi forze cosmiche che abbiamo scoperto, questa civiltà economica c materialistica che abbiamo attuato, l 'incredibile interdipendenza dei problemi politici, nazionali c internazionali, fanno correre un terribile pericolo alla nostra concezione del potere.

Ci sentiamo in balìa di forze più grandi di noi, parliamo di forze economiche e di necessità 'toriche ed in mezzo a tutto ciò lo slancio umano si arena. Davanti ad un avvenire così oscuro, come non soccombere alla tentazione di rifugiarci nel passato?

Come impedire agli uomini di pensare con nostalgia alle soluzioni arcaiche del buon tempo antico se non facendo appello a tutte le risorse del cristianesimo, la cui età dell'oro non sta nel passato ma nell'avvenire?

Non abbiamo il diritto di disperare dell'uomo, né come individuo né come collettività: non abbiamo il diritto di disperare della storia, poiché Dio lavora non solo nelle coscienze individuali, ma anche nella vita dei popoli.

Solo il cristianesimo, mobilitandosi per le conquiste future, può impedirci di essere presi da una impazienza brutale di fronte alle lentezze dell'uomo.

Privo della pazienza misericordiosa del cristianesimo, l'uomo non sa più dominarsi così che i rivoluzionari più idealistici furono spesso i più sanguinari.

La pazienza: ecco un rimprovero che si è mosso talvolta anche contro la nostra opera politica, come se la pazienza non fosse volontà tenace, ed energia compressa, tenuta in riserva, come se la pazienza non fosse la virtù più necessaria al metodo democratico, sia nella vita interna sia nei rapporti internazionali.

In questi due settori, specialmente, la democrazia è chiamata ad esercitare questa virtù.

Nel primo si tratta soprattutto della giustizia sociale.

Dobbiamo risolvere il grande problema di una più equa circolazione e ripartizione dei beni, messi a nostra disposizione dal progresso.

Queste riforme incalzano; sentiamo che esse si impongono, ma è ora divenuto più che mai evidente che non possiamo attuarle se non creando una sintesi vitale della storia di un secolo; la sintesi si può chiamare libertà politica e giustizia sociale.

Non possiamo uscire da tale binario senza rovesciare il convoglio.

Nel secolo XIX parve che questi due elementi si dissociassero talvolta fatalmente.

Nei paesi di cultura germanica i provvedimenti di legislazione sociale e la vita stessa delle organizzazioni economiche e sindacali autonome parvero presentarsi come frutto di un regime di autorità; mentre nei paesi latini l'eccessivo individualismo e liberismo si presentarono come un ostacolo alla giustizia sociale.

I tempi sono oggi maturi per una sintesi vitale nel metodo e regime democratico.

La partecipazione delle forze operaie organizzate alla vita pubblica deve essere tale da intndurre negli organi politici l'impulso verso la giustizia economica e negli organi economici il presupposto irremovibile della libertà politica.

Chi accetta questa sintesi, accetta la democrazia e su questa base e con tale metodo è preparato e abilitato a partecipare allo sforzo comune del rinnovamento sociale o almeno a prepararlo e a sgomberargli la via.

Poiché lo Stato democratico, logorato dalla guerra, è ancora debole e il peso enorme del suo bilancio finanziario lo fa tardo nella ricostruzione dell'economia e gli ostacoli alla produzione diventano ostacoli all'opera di giustizia sociale.

Il mondo, però, oggi è in ansia, perché avverte che libertà e giustizia sociale si difendono e si raggiungono solo in un clima di sicurezza e di pace.

Forse non è esatto parlare di sintesi del binomio libertà politica e giustizia sociale; è più vero parlare di trinomio: libertà, giustizia e pace tutte e tre interdipendenti e solidali.

Per salvare la libertà bisogna salvare la pace, ma il regime di libertà non si salva se non si attua la ricostruzione economica che è il presupposto della giustizia sociale.

Il circolo è così chiuso e dimostra che tutta l'azione democratica deve puntare per le ragioni stesse della sua esigenza verso la pace.

Quando si parla di guerra, la fantasia corre alle operazioni militari e a forze armate in mo·rimento, ed è ovvio che i capi degli eserciti elaborino piani di difesa, secondo certi sch eramenti e certe linee strategiche; ma agli uomini di Governo e ai politici responsabili non deve sfuggire che, nella guerra che potrebbe scoppiare, le operazioni militari rappresentano solo l'urto supremo, provocato nel punto che l'aggressore considera decisivo.

Tale urto è preceduto da operazioni che non sono militari, ma possono essere operazioni di guerra nel senso che la guerra preparano e conducono ad essa.

In tale senso l'azione per il sovvertimento e la disintegrazione delle democrazie parlamentari e la lotta per sabotare il piano di ricostruzione europea si possono dire operazioni di guerra.

Contro queste operazioni di guerra noi democratici, ciascuno entro la propria nazione, difendendo il regime di libertà e la possibilità di ricostruzione, facciamo opera di pace, vogliamo salvare la pace.

Se è evidente che, qualora il deprecato ricorso alle armi divenisse una realtà, esso avrebbe un carattere universale e certamente europeo, non arrestandosi innanzi ad alcuna frontiera né terrestre, né marittima, né aerea, è pur chiaro che già oggi, pur senza guerra guerreggiata, la stessa pressione e gli stessi pericoli minacciano i nostri paesi, senza distinzione di frontiera.

Ecco che per resistere a tale pressione è necessario ricorrere alle energie ricostruttive ed unitarie di tutta l'Europa.

Contro la marcia delle forze istintive e irrazionali, contro la mistica del materialismo rivoluzionario integrale, non c'è che il supremo appello alla istanza della nostra civiltà comune: costituire questa solidarietà della ragione e del sentimento, della libertà e della giustizia, e infondere ali 'Europa unita quello spirito eroico di libertà e di sacrificio che ha portato sempre la decisione nelle grandi ore della storia.

Questo è il compito primario, il compito di tutti.

Lo spirito di solidarietà europea potrà creare, in diversi settori, diversi strumenti di salvaguardia e di difesa, ma la prima difesa della pace sta nello sforzo unitario che, comprendendo anche la Germania, eliminerà il pericolo della guerra di rivincita e di rappresaglia. Contro la solidarietà della libera Europa verrà ad infrangersi la propaganda dell'odio

ideologico e rinascerà nei popoli la certezza della pace e dell'avvenire democratico, fondato sulle forze dello spirito, della libertà e del lavoro.

Quanto a noi in Italia, Signori, fu appunto questa speranza di rinnovamento e di ricostruzione europea che ci infuse la forza di animo necessaria ad eseguire un trattato di pace che, appena imposto, apparve anacronistico e sorpassato; smantellammo le fortezze, che avrebbero potuto ritardare una invasione, consegnammo delle navi che nel periodo decisivo della guerra avevano servito su tutti i mari la causa della libertà; e avremmo dovuto soccombere sotto il peso del fallimento economico, se la grande democrazia americana non

avesse avuto fede nella nostra capacità ricostruttiva. L'esempio di fierezza e di eroismo della vecchia gloriosa Inghilterra durante la guerra nazista aveva alimentato durante la guerra nazifascista la nostra resistenza morale e ci aveva salvato dalla disperazione; ora l'intervento generoso ed illuminato degli Stati Uniti ci sorregge nella durissima lotta per la libertà dal bisogno.

Altri popoli, vicini e lontani, ci tesero la mano.

Nella nostra sventura noi ridivenimmo più che mai consapevoli della comune civiltà e del nostro comune destino e guardammo al Belgio che camminava innanzi a noi sulla via della ricostruzione e dell'unione dei popoli vicini.

Questa che segue il vostro esempio, amici belgi, è un'Italia nuova, piegata sulle dure esperienze della sua storia, che si è risollevata, cosciente delle necessità dell'ora e pronta ad imporsi, per parte sua, quelle auto-limitazioni di sovranità che la rendono sicura e degna collaboratrice di una Europa unità in libertà e democrazia.

Noi ci auguriamo che, come noi abbiamo imparato a negligere la cosiddetta abilità della tattica machiavellica per confidare, invece, nelle grandi linee strategiche di una politica di civiltà, animata dai valori umani e cristiani, così gli altri popoli, abbandonando gli egoismi propri di tradizioni ormai superate, sentano i vincoli di una solidarietà rinnovatrice.

In quanto a noi, amici belgi, che avete trepidato in primavera sulle nostre sorti e che ora, alle soglie clell'invemo, assistete al travaglio della nostra vita politica e sociale: non dubitate! Acl ogni stagione la sua malizia! Il difendere la democrazia col metodo della libertà è cosa dura, ma l'esperienza per essere meritoria deve essere costante e condotta a fondo.

Noi non ci lasciamo anelare alla deriva perché non rappresentiamo un partito e nemmeno soltanto una nazione, ma siamo una civiltà in marcia e le ragioni della civiltà non tollerano né soste né abdicazioni.

Nessuno ha diritto eli dubitare della nostra fermezza e dell'apporto che può dare un popolo di 45 milioni alla causa della pace e della civiltà, che è la causa di quanti cercano la libertà ed hanno sete di giustizia.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELFSPR. SFGRFTO 1559/204 77/43 74. Parigi, 22 novembre 1948 1•

La presente comunicazione è a complemento di precedente comunicazione per tìlo2 .

Tenninata la parte che potremmo chiamare generale Marshall mi ha detto che m lla sua proposta aveva tenuto ad assicurare la massima libertà di ritorno e di enigrazione italiana nei nostri ex territori, visto che questo costituiva il vero intere.;se nostro in tutto questo affare.

Gli ho fatto osservare che non dubitavo un momento che egli credesse onestam:?ntc di averlo fatto ma che era stato evidentemente male infonnato.

Tripolitania: evidentemente, in base alle sue proposte un certo numero dei profughi avrebbe potuto fare presto ritorno alle loro case, esse però non risolvevano il problema, per noi interessante, dell'ulteriore colonizzazione. La sistemazione di cc Ioni su quelle terre domandava un considerevole investimento di capitale. Gli inglesi osservavano che essi non avrebbero potuto spendere le ingenti somme necessarie per la sistemazione delle basi navali e delle installazioni per V.2 e V.3 (alla mia menzione di questi pericolosi giocattoli Marshall mi ha guardato con una curiosa espressione) se non fossero stati sicuri della sorte avvenire del territorio; allo stesso titolo difficilmente si sarebbero trovati degli italiani disposti ad investire capitali in T1ipolitania se non ci fosse stata una ragionevole sicurezza per l'avvenire italiano di quei territori.

Cirenaica: a mia espressa richiesta i suoi esperti mi avevano detto che non esisteva nessuna esclusione di principio al ritomo degli italiani, ma che gli accordi di enigrazione avrebbero dovuto essere oggetto di trattative fra l'Italia e la potenza m:mdataria. Ora se non lui almeno i suoi esperti sapevano perfettamente che gli inglesi erano decisi a che non un solo italiano facesse ritorno in Cirenaica: la ccncessione era quindi del tutto illusoria.

Eritrea: il grosso della popolazione italiana era intorno ad Asmara: ora qualora la regione fosse affidata all'amministrazione etiopica probabilmente molti degli italiecni ancora residenti avrebbero abbandonata la colonia, ben pochi certo avrebbero a v uta l'intenzione di ritornarvi né d'altra parte il Governo italiano avrebbe potuto in cc scienza cercare di persuadere i suoi sudditi a farlo, date le nessun e garanzie che ci offriva l'amministrazione etiopica. Utter è intervenuto a questo punto dicendo che si sarebbe provveduto ad assicurare agli italiani i treaty rights (le clausole di garanzia introdotte nei trattati di pace). Gli ho risposto che anche agli italiani residenti in Jugoslavia erano stati assicurati i treaty rights e che noi sapevamo benissimo come

t48 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 640.

Autografo di De Gas peri della seconda parte dell'Allegato I al D. 664 (Archivio De Gasperi)

essi erano stati osservati e quanto fosse stato eftìcace l'appoggio americano in favore del rispetto di questi diritti. Non avevamo nessuna ragione di supporre che questi diritti sarebbero stati maggiom1ente rispettati dall'Etiopia, né più eftìcace l'intervento dell'America o dell'O.N.U.

Vedeva quindi Marshall che assicurandoci di aver provveduto alle necessità della nostra emigrazione, ci diceva una cosa che, sulla carta, o in un discorso fàceva bellissima figura, ma che in realtà non aveva nessuna consistenza reale. Non ha risposto.

Ho avuto anche occasione di vedere come Marshall fosse malissimo informato. Alla mia risposta che sarebbe stato possibile per noi accettare la fonnula Somalia più sbocco al mare per l'Etiopia e rinvio del resto se per sbocco al mare si intendeva lo sbocco ad Assab: ma non avremmo potuto farlo se si intendeva invece un corridoio comprendete anche Asmara e Massaua, Marshall mi ha detto: «Ma se rifiutate Massaua rifiutate tutto, non c'è altro porto». È intervenuto Utter: «L'ambasciatore ha parlato di Assab».

Marshall: «Che cosa è Assab?».

Utter: «È l 'altro porto down south». E siccome Marshall dava segni evidenti di non avere ancora capito Utter, accompagnandosi con gesti molto eloquenti delle mani gli ha detto: «Yrm know sir: il corridoio largo e il corridoio stretto».

«Ah, adesso ho capito», ha risposto Marshall.

La questione dell'ordine pubblico era stata oggetto di una mia conversazione con Couve de Murville, successiva a quella con Schuman sulla quale ho riferito per filo. Couve mi aveva detto che nel giomo delle sue discussioni con gli americani questi gli avevano fatto all'incirca il seguente discorso:

Gli inglesi ci dicono che il ritomo degli italiani in Tripolitania porterebbe inevitabilmente a dei gravi sollevamenti della popolazione; voi ci dite che non accadrà niente: noi non abbiamo una opinione, forse la verità è nel mezzo: comunque visto che dei torbidi ci sono in tutti i territori coloniali è probabile ce ne saranno anche in Tripolitania. La Tripolitania ci interessa dal punto di vista dei nostri campi di aviazione: gli inglesi hanno in Tripolitania delle truppe sutT!cienti (secondo Couve almeno una divisione rinforzata), bene in mano, e le sanno adoperare: fino a che ci sono loro, siamo perfettamente tranquilli: sono gli italiani in grado di assicurarci la stessa tranquillità? Ne dubitiamo: non vogliamo rischiare di essere un giorno obbligati ad inviare truppe nostre per la difesa dei campi.

Couve mi ha detto che si trattava di un punto molto importante: che gli americani non si sarebbero contentati di una nostra assicurazione: che sarebbe stato necessario mostrare agli americani che avevamo studiato il problema e che le disposizioni che avevamo in animo di prendere potevano essere considerate come soddisfacenti: la prevengo che non sarà facile -mi ha detto -perché gli americani sono marcatamente pessimisti sulle vostre possibilità.

È per questo che ho ritenuto opportuno parlare con Marshall come ho parlato.

V.E. vorrà scusarrni se l'ho fatto senza consultarla prima, ma gli avvenimenti si sono svolti con una tale rapidità che non ho avuto materialmente il tempo di farlo ed ho dovuto agire di testa mia.

Credo opportuno aggiungere che, nel corso della mia conversazione con Mar shall, gli ho detto che noi ci rendevamo perfettamente conto degli interessi strategici americani nelle nostre ex colonie del Nord Africa e che tenevo ad assicurarlo che, da parte nostra, si era decisi a rispettarli in ogni possibile forma, dato che trattandosi di interessi connessi colla difesa del Mediterraneo essi erano, in certa misura, anche nostri interessi. Marshall mi ha risposto che l'interesse strategico era soltanto nella Cirenaica, e che anche qui si trattava di un interesse principalmente inglese e che gli americani vi erano solo interessati indirettamente in vista della stretta coJiaborazione anglo-americana per la difesa del Mediterraneo. Utter lo ha interrotto dicendogli: Lei dimentica l'importanza che hanno per noi gli air:fìelds della Tripolitania e i nostri programmi di sviluppo.

Ritornando alla conversazione con Couve egli mi ha detto, a mia richiesta, che considerava fallito il tentativo francese di indurre gli inglesi a farci delle proposte accettabili per la Tripolitania, e che questo tentativo era fallito perché né a noi né a loro era riuscito di ottenere un cambiamento del punto di vista americano. Egli era d'avviso quindi che ci convenisse orientarsi per il rinvio totale, senza escludere che nella confusione generale scappasse fuori la possibilità della soluzione primitiva, Somalia e rinvio del resto. Gli ho fatto gentilmente osservare che questo era proprio il contrario di quanto mi aveva detto in tutte le nostre precedenti conversazioni; a che mi ha risposto che la situazione O.N.U. era talmente fluida ed incerta che era inevitabile cambiare spesso di opinione. Sul che ho convenuto.

Con questa ultima riserva, la mia impressione, in base alle conversazioni con Marshall e con Gross2 , è, per il momento, che sarà assai difficile, in breve tempo, condurre gli americani a modificare il loro punto di vista in nostro favore. Forse col tempo si potrà fare qualche cosa (a mio avviso una influenza, quasi decisiva, sull'argomento potrebbero avere le conversazioni di Marras a Washington, se andranno bene -e questo dipende molto da noi); adesso converrebbe invece concentrarsi sul possibile, cioè sul rinvio di tutto. Insisto sul rinvio di tutto, perché se noi continuiamo ad insistere a Washington sulla Somalia adesso temo sarà molto facile agli inglesi rispondere che noi vogliamo adottare la nota formula del carciofo3 . Questo non toglie -sebbene la speranza sia per me minima -che questa ultima soluzione non scappi fuori in Assemblea per iniziativa di qualcuno e che magari passi, tanto grande è la confusione. Ma dati gli umori -ormai indiscutibilmente constatati degli americani il nostro migliore se non l'unico argomento è: la nostra situazione è estremamente delicata, per favore allontanate da noi questo calice amaro; è un argomento più difficile a respingere mi sembra almeno, ma a condizione di essere accettato nella sua totalità.

E la diplomazia resta sempre e solamente l'arte del possibile. Converrebbe quindi concentrare i nostri sforzi su quello che è possibile -anche questo difficile -e non disperderli in tentativi più complicati.

648 3 Vedi D. 587.

649

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1567/20675/4418. Parigi, 22 novembre 1948 1•

Nel corso di un incontro~ sollecitato da lui~ con Jebb egli mi ha chiesto che cosa noi sapevamo del progetto Bevin sulla federazione dell'Europa Occidentale. Gli ho detto quello che mi aveva riferito ChauveF. Mi ha replicato che il progetto di <mncle Ernest» è molto più vasto e organico. Egli intende che, una o, possibilmente, due volte all'anno, si dovrebbe riunire una delegazione dei Governi partecipanti, capeggiata dai primi ministri o dai ministri degli esteri, coll'eventuale partecipazione di ministri, o dei loro rappresentanti qualificati, competenti per tutte le principali questioni sull'agenda, per discutere dei problemi interessanti la comunità. Si dovrebbe istituire un segretariato permanente, internazionale, con a capo una persona qualificata (ho compreso che intende se stesso) e che questo organismo dovrebbe avere un nome, che potrebbe anche essere Unione Europea, o Consiglio dell'Europa,

o quello che si preferisce. L'intenzione inglese sarebbe, in breve, di creare una specie di O.N.U. dell'Europa occidentale, non però connessa in nessuna maniera coll'O.N.U. vera, e non si rifiuterebbe, in principio, a che questa Unione avesse anche la sua carta, purché essa sia redatta in termini abbastanza elastici in modo da permettere tutti gli adattamenti che la realtà può consigliare.

Gli sembrava che questo piano fosse ardito, realistico, comprensivo e molto più aderente alla realtà di tutti i progetti che i vari «federalistic fools» (sono le sue parole testuali) andavano tirando fuori in varie parti del mondo, Ma, mi ha prevenuto molto marcatamente, il Governo britannico non è disposto ad accettare nemmeno a discutere formule di «rinuncia alla sovranità» del genere di quelle che sono state avanzate nel Congresso di Roma (si è riferito varie volte specificatamente al Congresso di Roma). Se si vuole mettersi per questa via, il Governo britannico si ritirerà da qualsiasi attività concernente l'Unione Europea.

Bisognava rendersi conto che, fra pochi mesi, sarebbero venute in discussione al Congresso americano le nuove assegnazioni per il piano Marshall: il nuovo Congresso era più amenable del precedente, ma ci sarebbero state comunque delle grosse difficoltà, se non si fosse presentato all'opinione pubblica americana qualche cosa di concreto nel senso dell'unità europea. Conscia di questo l'Inghilterra e Bevin in particolare si erano decisi a questo passo, svolta importante nella storia inglese: ma l'Inghilterra era decisa che se qualche cosa si doveva fare, doveva essere qualche cosa di concreto, di vitale, e non era disposta a lasciarsi imporre dei piani inadatti per dare soddisfazione a degli utopisti o a gente che aveva solo in vista la propria reclame personale. Tuttavia questa gente si illudeva, lanciando dei piani vistosi di vario genere, di tirare dalla sua l'opinione pubblica americana e riuscire, attraverso l'opinione pubblica americana, a forzare la mano all'Inghilterra. Uncle Ernest, che era fed up di tutti questi utopisti, aveva ora deciso di turn the tables su di loro. Se

649 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Telespr. 1410/19299/4097 del 30 ottobre, non pubblicato.

accettavano il suo piano, bene -l'Inghilterra era naturalmente disposta a discuterlo e pertèzionarlo nei dettagli --altrimenti egli avrebbe reso pubblico il suo piano -non era escluso anzi che lo tàccsse anche prima --e avrebbe dichiarato apertamente che erano le utopie e la confusione mentale degli altri che ne impedivano la realizzazione: gli americani c l'opinione pubblica avrebbero allora visto chi era realmente pro o contro la cooperazione europea.

Ho detto a Jebb -naturalmente a titolo personale -che così come egli me lo presentava il piano Bevin era tutt'altra cosa, un piano completo c reale e che meritava la più attenta considerazione: così, a prima vista, mi sembrava molto vicino al piano Stòrza.

Jcbb, riferendosi alla conversazione Zoppi-Mallet\ mi ha detto che questo era esatto, come base: sia Bcvin che Sforza, molto realisticamente, insistevano sulla necessità di mettere la collaborazione sul piano dei Governi e non su quello di Assemblee: il Governo inglese non poteva però assolutamente accettare la sua connessione coli'O.E.C.E. E ciò per varie ragioni:

l) l'O.E.C.E. funzionava in maniera abbastanza soddistàcente: era inutile rischiare di guastare una macchina passabile dandogli dci compiti diftèrenti: la futura

O.N.U. europea avrebbe potuto avere una sua sottocommisione economica che, in certe questioni, avrebbe potuto connettersi coll'O.E.C.E., ma non si dovevano mescolare le cose;

2) I'O.E.C.E. è troppo legato agli americani; attraverso l'O.E.C.E. saremmo stati in certa forma obbligati a metter dentro gli americani il che non era opportuno, sotto molti punti di vista: meglio tàre una cosa puramente europea e del tutto nuova;

3) I'O.E.C.E. raccoglie degli Stati che non sarebbe possibile né desiderabile fare entrare subito n eli 'Unione Europea. L'Austria, per esempio, data la sua speciale situazione, non potrebbe essere fatta entrare in questo raggruppamento politico senza rischiare di provocare a Vienna un 'altra Berlino. La Grecia e la Turchia sono tutte e due eccentriche, con regimi politici poco consoni ai nostri: è poi gente con cui è difficile di parlare di cose serie.

A mia richiesta mi ha detto che l'Inghilterra vedrebbe volentieri in questa unione i paesi scandinavi, ma ritiene che essi non acconsentirebbero ad entrarvi: la Norvegia sarebbe disposta a tàrlo; la Svezia certamente no, la Danimarca probabilmente no. La Svizzera forse vorrà restarne fuori anche essa, comunque tutti questi paesi sarebbero certamente da invitare. Egualmente da esaminarsi l'estendere l'invito al Portogallo, il quale accetterebbe certamente, ma si rischia di acuire la questione della Spagna. Praticamente questa unione finirà per includere i Cinque più l'Italia: gli altri dovrebbero esserci invitati, ma lasciati liberi di accedervi quando volessero, ad eccezione dell'Austria, Grecia e Turchia.

Sempre a mia richiesta, mi ha detto che questa unione dovrebbe, fin dall'inizio, in principio, includere anche la Germania: la sua partecipazione effettiva dovrà forzatamente essere graduale: potrebbe cominciare col far parte di qualche sottocommissione e poi rapidamente estendere la sua partecipazione fino a diventare completa: ciò nella misura dell'assestamento della Germania occidentale come figura statale.

Alla mia obiezione che il piano Sforza mi sembrava preferibile in quanto aveva, fin dal principio, un maggiore carattere di generalità e quindi evitava esclusioni sempre risentite, mi ha ripetuto che la questione delle adesioni poteva essere ulte

rionnente discussa, ma che il Governo britannico insisteva tassativamente sulla necessità di fare una cosa nuova, e che se si voleva fare una cosa reale e non una cosa illusoria bisognava restringere il cerchio degli aderenti a quegli Stati che avevano una certa comunità di concezione dei problemi mondiali, ed erano in grado di apportare all'Unione un contributo fattivo e non soltanto a cercarvi la soluzione dei loro piccoli problemi.

Gli ho ripetuto che, comunque, la proposta Bevin mi sembrava interessante e pratica: ho però espresso la mia sorpresa che di una questione così interessante se ne dovesse parlare in un incontro occasionale a Parigi e non fosse invece discussa nelle sue sedi naturali a Londra ed a Roma: questo mi sembrava caratteristico dei rapporti italo-britannici che sembrava si volessero mantenere al livello di conversazioni sui problemi che ci separano, come quelli delle colonie od altri, invece di estendersi a quei problemi che ci potrebbero unire. Perché per esempio non erano state date istruzioni a Mallet di parlare del piano Bevin direttamente a V.E.: noi avevamo al più presto comunicato a Londra le nostre idee, e l'interesse che V.E. porta a tutte queste questioni è universalmente noto. Mi ha detto che trovava la mia osservazione giusta e che avrebbe provveduto a fare inviare al più presto delle istruzioni a Maller.

Essendo venuti poi a parlare del Patto atlantico mi ha detto che a Washington sono state fissate soltanto le idee direttive; attualmente si sta elaborando un testo: la Gran Bretagna preferirebbe che si potesse presentare un testo comune dei Cinque, ma dubita che ci si possa arrivare: «del resto -ha detto -questo ha poca importanza: il Patto atlantico è un American show: dovremo accettare il testo che ci presenteranno gli americani». Ritiene che, se l'amministrazione americana si dà da fare, la cosa potrebbe essere completata, inclusa la necessaria legislazione americana, per la prossima primavera. Non ne era però del tutto sicuro a causa della mancanza di coordinazione rra i vari centri della politica americana: Dipartimento di Stato, Casa Bianca, Congresso e E.C.A. Era al corrente delle conversazioni Tarchiani-Hicherson5 e mi ha chiesto quale era il nostro atteggiamento: gli ho esposti i quattro punti approvati da V.E.6 . Circa l'ultimo, su cui ho particolarmente insistito, mi ha detto di comprenderlo ma che gli sembrava che il piano Bevin rispondesse proprio alle nostre idee ed alle nostre necessità: se si accettava il piano Bevin, si sarebbe potuto, entro breve tempo, arrivare alla costituzione se non alla proclamazione dell'Unione west europea: riteneva che noi avremmo potuto fare molto, specie presso i rranccsi, per condurli ad accettare il piano Bevin, e con questo saremmo stati soddisfatti e avremmo reso un vero servizio alla causa.

Avendomi egli richiesto quale era la nostra posizione di fronte al Patto di Bruxelles, gli ho detto che preferivo invece chiedergli quale era l'atteggiamento inglese di fronte ad un eventuale accessione dell'Italia. Perché in Italia si era largamente diffusa l'opinione che l'Inghilterra fosse contraria alla nostra adesione, e che ci fosse contraria perché ci considerava, in quanto ex-nemici, come indegni di partecipare ad un club di presunte persone per bene. Jebb mi ha risposto che questo non era affatto vero: me ne sono felicitato, ma gli ho fatto rilevare ancora una volta quante incomprensioni derivavano dal fatto che da parte inglese ci si ostinava a non volere parlare con noi se non di questioni contingenti e litigiose. Ha continuato dicendomi che il Patto di Bruxelles

Vedi D. 486. 6 Vedi DD. 588 e 614.

aveva due aspetti, uno militare e l'altro politico. Per la parte politica, quanto egli mi aveva detto circa il pensiero inglese di estendere, subito, e praticamente solo all'Italia, il progetto di Unione era, a sua idea, una risposta sufficientemente precisa. Differente era la situazione per quello che riguardava il suo aspetto militare: qui effettivamente l'Inghilterra riteneva l'accessione dell'Italia prematura. I membri del Patto di Bruxelles erano, militarmente parlando, legati da clausole estremamente precise: ma in realtà i Cinque non avevano forze militari sufficienti nemmeno per cominciare a difendere se stessi, non potevano quindi pensare a difendere l 'Italia: l 'Italia da parte sua si trovava nella stessa condizione: nessuno era in grado di aiutare l'altro: sarebbe stata quindi un'accessione del tutto illusoria. Se ne sarebbe potuto meglio parlare in avvenire quando le forze del Patto di Bruxelles e le nostre fossero divenute una realtà. Nelle condizioni attuali, all'Italia e alla sua difesa ci doveva pensare l'America, nella misura delle sue possibilità. Come vedevo era una considerazione puramente realistica e che non aveva nulla a che fare con pretesi sentimenti inglesi verso l'Italia.

Tornando alla federazione europea si è mostrato indignato per la composizione della delegazione francese: cosa si poteva fare di costruttivo con due bloody idiots (parole testuali) come Blum e Reynaud che non pensavano ad altro che a farsi della reclame. Alla mia osservazione che Chauvel era piuttosto favorevole al piano inglese, mi ha risposto: «Per questo anche Schuman, ma a che cosa ci serve che loro due siano favorevoli quando ci obbligano a trattare con due idioti che non contano niente nel loro paese e che sono talmente presuntuosi che il Quai d'Orsay non ha su di loro nessuna influenza». Mi ha detto che Bevin è andato su tutte le furie quando ha saputo che i due erano a capo della delegazione francese e che voleva addirittura rifiutare il concorso inglese; e che c'è voluto del bello e del buono per calmarlo. Circa la delegazione inglese mi ha detto che Dalton è completamente d'accordo con Bevin circa il suo piano, è convinto della sua bontà e necessità e si batterà fino in fondo per farlo accettare: ma è parimenti deciso a mandare francamente al diavolo tutti gli altri rappresentanti se insistono su altri piani o su dichiarazioni di rinuncia alla sovranità (è evidentemente un'espressione che ha dato particolarmente sui nervi a Jebb).

Mi ha detto che il progetto Sforza è nei dossiers della delegazione inglese: al mio suggerimento che un italiano potrebbe utilmente essere invitato ad esporre ed illustrare il piano Sforza, mi ha risposto che l'idea era ottima e che riteneva non avrebbe avuto difficoltà, non solo a farla accettare, ma anche a che la delegazione inglese ne prendesse l'iniziativa. Ha tenuto a precisarmi però che siccome l'esame avrebbe avuto luogo in sede di sottocommissione non avrebbe dovuto essere V.E. personalmente ad esporlo: gli ho detto che non era questo quello che pensavo io: pensavo ad un italiano qualsiasi non a lei. Si è raccomandato che, in questo caso, inviassimo qui un realista e non un sognatore.

Quanto alla procedura mi ha detto che gli inglesi vorrebbero che si cercasse di precisare un piano comune, da sottoporsi alla prossima riunione dei cinque ministri: essi avrebbero dovuto pronunciarsi anche sulla questione delle nuove accessioni e che, in questo caso, da parte inglese si sarebbe certamente patrocinata l'estensione all'Italia, sempre che essa ci fosse gradita. Ho ancora insistito sulla necessità di parlare di tutto questo a Roma o a Londra ed egli, da parte sua, ha insistito sull'opportunità che noi appoggiamo il piano Bevin.

Jebb mi ha infine detto che sarebbe tornato a Parigi la settimana prossima insieme con Dalton e me lo avrebbe fatto incontrare perché potessi riprendere con lui la conversazwne. Sebbene sia chiaramente inteso che tutte queste conversazioni sono sul piano personale, mi sarebbe utile avere al più presto il pensiero di V.E. in proposito7 per non rischiare di dire cose che non rientrino neli'ordine di idee del Governo italiano.

Per quanto mi concerne, le precisazioni di Jebb non potrebbero che confermare la mia prima impressione che nel piano Bevin c'è molto di più di quanto possa sembrare, almeno nel senso concreto e che, sotto molti punti di vista, ci converrebbe di non lesinargli il nostro appoggio; se non altro per il fatto che è evidente che si avrà o il piano Bevin o niente: e il piano Bevin, con tutte le sue manchevolezze, mi sembra sempre meglio di niente.

649 3 Vedi D. 581.

649 4 Vedi D. 694.

650

IL CAPO DELL'UFFICIO COLONIE E CONFINI, CASTELLANI PASTORIS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNT01 . Parigi, 22 novembre 1948.

Sono stato alla delegazione del Cuba ed ho parlato con il prof. Dihigo e con il ministro Bianco (rispettivamente secondo e terzo delegato, perché il primo delegato, ambasciatore Belt, è assente). Ho detto loro che ci era stato riferito come nella riunione privata che aveva avuto luogo da Foster Dulles un rappresentante cubano si sarebbe mostrato favorevole acché tutta l'Eritrea venisse ceduta all'Etiopia2; ho aggiunto che eravamo rimasti dolorosamente sorpresi di ciò, sia perché ci era stato comunicato che il Governo dell'Avana aveva dato istruzioni alla sua delegazione di appoggiare il punto di vista italiano, sia perché non potevamo comprendere come un rappresentante di un paese latino potesse pensare di far passare i 70 mila italiani che vivono in Eritrea sotto un Governo come quello etiopico; ho quindi sviluppato gli argomenti che possono addursi per sostenere il ritorno delle antiche colonie sotto la nostra amministrazione e, accennando alla riunione di stasera del gruppo latinoamericano, ho detto che qualunque iniziativa o mediazione che potesse facilitare un accordo tra noi e gli inglesi sarebbe stata da noi ben vista.

I due cubani hanno mostrato un certo imbarazzo quando ho accennato a quello che avrebbe detto uno di loro nella riunione di Foster Dulles, ma non hanno né smentito né confermato; per il resto, hanno detto che non risultava loro che fossero giunte dall'Avana istruzioni circa la questione delle colonie, cosa che doveva avermi detto anche l'ambasciatore Belt nel colloquio che aveva avuto con me alcune settimane orsono e di cui essi erano al corrente (il che è esatto); che avrebbero partecipato stasera alla riunione del gruppo e che avrebbero subito telegrafato all'Avana facendo presente sia quanto io avevo loro esposto, sia quanto sarebbe stato deciso nella riunione stessa, chiedendo istruzioni.

Ho trovato i due, anche se formalmente molto cortesi e larghi di assicurazioni generiche e di belle parole, molto riservati per quanto riguardava invece l'attitudine della delegazione.

2 Vedi D. 642.

649 7 Vedi D. 667.

650 1 Manca il telespresso di trasmissione di questo documento a Roma.

651

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 13268/881 (Parigi) 618 ( Washington). Roma, 23 novembre 1948.

(Per Parigi) Ho telegrafato quanto segue a Tarchiani in risposta a telegramma trasmessolc con telegramma ministeriale n. 879 1•

(Per tutti) Suo 9272 . Circa gravità situazione creata dalla decisione americana' ho detto Dunn che io la trovavo intellettualmente inconcepibile perché distruggente ogni possibilità di sviluppo di quella costruzione e difesa dell'Europa che era supremo desiderio di Marshall e mio. Sapevo bene che a Washington non si aveva misurato quanto grave sarebbe la ferita al sentimento italiano. Non solo io mi domandavo se in tali condizioni convenisse a noi di accettare Somalia ma gli dovevo confessare che alla discussione decisiva sulla politica estera che si inizia venerdì noi perdevamo tutta quella tòrza di persuasione che rendeva certi della vittoria. Se parlavamo eravamo perduti. Se tacevamo avremmo dato impressione di mentire. Gli aggiunsi che a Washington si doveva sapere che i lunghi generosi benetìci assicuratici dall'America rendevano il caso ancora più grave perché gli italiani sono un popolo fiero che non ammette di ricevere in pari tempo il pane e la indifferenza più completa ai loro sentimenti; che questo si può solo fare con dei selvaggi. Egli sapeva quanto dopo lunga intima meditazione io mi ero convinto che la politica che avevo finito per propugnare era la sola utile per l'Italia e per la pace ma che esistono anche gli imponderabili e che quanto avveniva rendeva impossibile a De Gasperi ed a me di condurre con noi il popolo italiano.

Dunn, cui ho perfino detto che se accadesse quanto si minacciava non vedevo più possibilità di una feconda missione per lui, si é mostrato convinto giustezza mie impressioni c mi ha detto che telegraferebbe subito personalmente a MarshalL

Mi è parso che Dunn ignorasse completamente la decisione presa4 .

652

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 5640/2406. Londra, 23 novembre 1948 1•

Telespresso n. 3/1754/c. del 18 corrente2 .

2 Vedi D. 646.

3 Vedi D. 640, nota l.

4 Per la risposta di Tarchiani vedi D. 660.

2 Vedi D. 630.

Spero che il rapporto sul Patto atlantico (n. 5576/2384 )3 che parte con questo stesso corriere sia abbastanza chiaro circa le idee britanniche in materia di cooperazione europea. Sottolineo in ogni modo che il punto di vista britannico è sostanzialmente diverso dal nostro. Non si tratta di partire dai cinque Stati di Bruxelles da una parte e dai sedici dell'E.R.P. dall'altra per incontrarsi a mezza strada, si tratta di una diversa concezione della cooperazione in Europa.

Gli inglesi ritengono -anche se non lo dicono -che gli affari importanti della politica europea debbano essere trattati dal numero più ristretto possibile di cervelli: quelli che sono assolutamente indispensabili o per lo meno veramente utili (superfluo dire che il cervello direttivo dovrebbe essere quello di Londra). Quindi mentre non si potrebbero escludere allargamenti anche imprevisti (secondo le circostanze) del Consiglio suggerito da Bevin questo dovrebbe plausibilmente rimanere una specie di Santa Alleanza dell'Europa occidentale che comprenderebbe oltre alla Gran Bretagna: l) Francia e Benelux (appendage ormai acquisito della politica britannica in Europa); 2) a suo tempo Germania occidentale; 3) forse qualche Stato scandinavo, forse qualche Stato mediterraneo. Gli inglesi non vedono nessuna ragione né hanno interesse in linea generale (potrebbero, come ho detto prima, avere interesse a tirar dentro un determinato paese anche piccolo, in determinate circostanze) a stabilire una cooperazione obbligatoria più stretta con piccoli Stati che spesso non hanno né desiderio né ragione di immischiarsi ai grossi problemi della politica europea.

Praticamente la concezione britannica potrebbe essere vantaggiosa proprio per noi se riuscissimo a far parte del Consiglio della nuova alleanza. Un paese di 48 milioni di abitanti sprovvisto di risorse ha disgraziatamente dei problemi vitali che non gli permettono di ritirarsi nel beato isolamento della Svizzera o della Svezia né di subordiname la discussione alle fisime della Grecia e dell'Irlanda. Se il Consiglio voluto da Bevin si costituirà esso potrebbe rappresentare per l'Italia-se vi entrasse -la via per tornare ad avere nella politica europea quella parte che in questi ultimi tempi sembriamo esitanti a riprendere.

651 1 Pari data, con il quale era stata ritrasmessa la prima parte del D. 646.

652 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

653

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA PERSONALE 10546/3917. Washington, 23 novembre 1948 (per. il 4 dicembre).

Desidero riferirle che, in merito alla questione delle colonie, ho ritenuto opportuno intrattenere anche il delegato apostolico.

Monsignor Cicognani, pur facendomi naturalmente presente l'estrema delicatezza della sua posizione nel trattare questioni politiche, mi ha promesso di svolgere ogni possibile interessamento presso il cardinale Spellman, presso gli altri cardinali americani e presso McGrath.

Egli ha intanto interessato Myron Taylor, dal quale ha avuto assicurazione che si sarebbe adoperato nel senso desiderato.

P.S. Sulla stessa questione ho naturalmente mosso tutti i possibili elementi nelle diverse comunità perché agiscano rapidamente a nostro favore.

652 3 Vedi D. 637.

654

IL CAPO DELL'UFFICIO COLONIE E CONFINI, CASTELLANI PASTORIS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNT01 . Parigi, 23 novembre 1948.

Dopo varie settimane di incertezze e di stasi -occupate prevalentemente in un lavoro di sondaggi e di orientamento -la questione coloniale è entrata improvvisamente in una nuova fase; sarei portato a chiamarla «fase di combattimento»: gli Stati Uniti hanno finalmente rivelato le loro posizioni ed hanno preso il comando deli'attacco anglosassone.

In un cocktail party, cui erano stati invitati i rappresentanti dei principali Stati latino-americani, Foster Dulles ha esposto il punto di vista di Washington (che coincideva e, sotto qualche aspetto, era anche più «duro» di quello inglese) ed ha chiesto l'adesione dei latino-americani. Tra questi ultimi c'è stato un po' di sbandamento, ma in genere si è mostrata una certa resistenza.

Contemporaneamente tale atteggiamento americano veniva confermato dai francesi che ci comunicavano un telegramma della loro ambasciata a Washington.

Immediata reazione itala-francese: Schuman parla con Marshall e dice di avergli detto che qualora non fosse raggiunto un accordo che desse soddisfazione ali 'Italia per la Tripolitania (silenzio per l'Eritrea), i francesi non voteranno per il mandato britannico sulla Cirenaica. Poche ore più tardi, Quaroni parla con Marshall (e non è stato un piccolo successo personale per il nostro ambasciatore il poter ottenere subito dal segretario di Stato un colloquio, che si è protratto quasi un'ora, nel giorno stesso della sua partenza per l'America): Marshall dà forma ufficiale definitiva al punto di vista americano: Somalia all'Italia, Cirenaica agli inglesi, Eritrea meridionale (ivi comprese Asmara e Massaua) alla Etiopia, Tripolitania e quel che resta dell'Eritrea rinviate di un anno; ritorno dei coloni italiani subordinato ad un accordo con l'Inghilterra e con il Comitato di tutela. Alla replica di Quaroni, Marshall sembra un

poco scosso e promette che riesaminerà la questione. Immediatamente iniziano le conversazioni con gli esperti americani (da parte nostra: Quaroni e Cernili; da parte americana: Gross, consigliere giuridico e Utter del servizio informazioni, cioè rappresentante dei militari); conversazioni frequenti, laboriosissime, vivacissime, in cui gli americani si mostrano ancora più recisi e più duri del segretario di Stato, ma che rappresentano tuttavia -per il fatto stesso che avvengono e che continuano -la migliore ragione di una nostra speranza.

Nello stesso tempo si cerca di mettere in moto i latino-americani, la cui presa di posizione è l 'unica arma effettiva in nostre mani per opporci alla imposizione anglo-americana; vengono «lavorati» argentini, peruviani e brasiliani; e finalmente si riesce ad ottenere questa tanto sospirata riunione del gruppo: non se ne ottiene per ora nulla di conclusivo e di definitivo perché, specialmente tra i piccoli, la pressione statunitense ha causato un certo sbandamento e perché alcuni, già acquisiti alla nostra vecchia formula «Somalia all'Italia e rinvio del resto», non sanno ora come devono interpretare le istruzioni ricevute di fronte ad un progetto di più vasta estensione; tuttavia si è potuto ottenere un unanime generico consenso di appoggiare l'Italia e si spera che questo potrà in qualche modo meglio concretarsi nella prossima riunione del gruppo che dovrebbe aver luogo alla fine della settimana.

Questa è la cronaca sintetica degli ultimi cinque giorni; a ciò faccio seguire alcune impressioni personali:

l) Significativo è il fatto che gli americani non si siano accontentati di appoggiare la tesi inglese, ma che abbiano preso il comando dell'azione, impiegando in questa tutta la loro influenza ed il loro peso; va notato inoltre che la loro tesi attuale è per noi più sfavorevole non solo di quella americana comunicataci nell'agosto scorso, ma anche di quella inglese manifestatasi nei colloqui con McNeil e con Roberts2 .

2) In tale questione per essi giuoca esclusivamente un unico fattore: quello militare; lo hanno fatto ben comprendere: sono le posizioni strategiche della sponda africana del Mediterraneo e, per quanto in misura minore, quelle del Mar Rosso che essi vogliono assicurarsi e la presenza italiana ispira loro molto minor fiducia di quella britannica. Tutte le argomentazioni che essi adducono, per la forma, a sostegno del proprio punto di vista si riducono ai soliti luoghi comuni, di cui a quattro occhi ammettono la inconsistenza. È evidente (e la presenza di Utter ai colloqui lo conferma) che in questa materia i militari (e forse anche il Consiglio superiore di sicurezza) avranno l'ultima parola; e forse -se saremo ancora in tempo -il generale Marras potrà portare argomenti più convincenti nei suoi colloqui tecnici che i negoziatori diplomatici a Parigi.

3) Dai francesi non c'è molto da attendersi: hanno fatto e faranno tutto quello che possono fare per salvare la Tripolitania dall'influenza inglese; ma la loro voce non ha molto peso.

4) I sud-americani restano perciò l'unico atout in nostre mani: se essi fossero veramente compatti e solidali nella decisione di appoggiarci, ci darebbero modo di bocciare ogni proposta e, attraverso la minaccia di rinviare tutto alla prossima Assemblea, di strappare agli americani una soluzione di compromesso abbastanza soddisfacente. Ma non bisogna farsi troppe illusioni: la pressione di Washington è forte ed è per molti difficile rcsistervi. Naturalmente si fa tutto il possibile per mantencrli legati alle loro promesse.

5) In queste condizioni mi sembra che, pur cercando in tutti i modi di venire ad un accordo, dobbiamo dare la sensazione che siamo decisi a dar battaglia ed a resistere fino all'ultimo; nella posizione anglo-americana vi è del bluff: può essere che alla ventitreesima ora essi siano disposti a cedere su qualche punto per non correre il rischio di un rinvio totale; ma se lo faranno, sarà certamente all'ultimo momento e quando si saranno convinti che la maggioranza dei sud-americani è disposta a marciare con noi.

654 1 Manca il telespresso di trasmissione a Roma di questo documento.

654 2 Vedi DD. 510 e 547.

655

IL CAPO DELL'UFFICIO COLONIE E CONFINI, CASTELLANI PASTORIS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNT0 1 . Parigi, 23 novembre 1948.

Il ministro De Oliveira (Brasile)-che però mi ha dato l'impressione di essere in genere portato verso un certo ottimismo -mi ha detto che, nel complesso, possiamo essere abbastanza soddisfatti della riunione del gruppo latino-americano che ha avuto luogo ieri sera. Anche se non si è concluso niente di concreto, si è potuto constatare che l'orientamento è buono e che, più o meno, tutti quanti sono disposti a fare qualche cosa perché si giunga ad una soluzione soddisfacente per l'Italia.

Non è stato possibile giungere ad alcuna decisione concreta anche perché egli mi ha detto -non vi era una formula pronta sulla quale discutere; formula che, una volta approvata dal gruppo, poteva essere senz'altro presentata agli americani ed agli inglesi. A suo avviso, questa formula poteva essere la seguente: Somalia all'Italia, Cirenaica all'Inghilterra, Tripolitania all'Italia (eventualmente con qualche riserva circa la data del trapasso delle amministrazioni), Eritrea meridionale (limitata ad

Assab e ad una parte dci due distretti dell'altipiano occidentale) all'Etiopia, il resto dell'Eritrea all'Italia. Egli ha soggiunto che, se non credevamo che fosse ancora venuto il momento di avanzare noi delle controproposte impegnative, il Brasile poteva presentare tale formula come una sua esclusiva iniziativa e lui confidava di poter ottenere su questa l'adesione della maggioranza degli altri Stati sud-americani. «Ma ~ ha ripetuto ~ è necessaria una formula precisa alla quale legare tutti quanti».

655 1 Manca il telespresso di trasmissione a Roma di questo documento.

656

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. PRECEDENZA ASSOLUTA 13295/884. Roma, 24 novemhre 1948, ore 15,30.

Desiderando porre massimo rilievo prossima visita ministro Bramuglia vorrei cogliere occasione per dare Governo argentino netta sensazione nostro apprezzamento per opera che da tre anni esso costantemente svolge a nostro favore.

Generale Peron si è ripetutamente espresso con nostro ambasciatore in favore solidarietà fra i due paesi rilevando anche importanza che può avere per avvenire mondo latino sviluppo relazioni italo-argentine.

In vista tale favorevole atmosfera mi domando se non sia il caso di confermare con un atto da firmare qui (protocollo o scambio note) sentimenti e propositi dei due Governi. Lascio a lei di sondare Bramuglia al riguardo.

Ove egli si dimostrasse ricettivo, ella potrà concretare proposta precisando, ove sorgessero eventuali esitazioni, che documento dovrebbe limitarsi a generiche affermazioni principio e evitare qualsiasi impegno specifico. Ella potrà precisare inoltre che per quanto ci concerne documento dovrebbe mirare:

l) a dare atto della politica d'amicizia svolta dal Governo argentino a nostro favore e dell'opera da esso compiuta nell'interesse della pace;

2) a riaffermare comune proposito collaborare anche in avvenire sia al rafforzamento pace entro ambito organismi internazionali sia all'incremento reciproci rapporti politici economici e culturali. Analogo contenuto dovrebbe avere testo argentino.

Pregola esprimere Bramuglia mie personali felicitazioni per attività da lui svolta costà e mia convinzione che sua visita Roma varrà rafforzare già cordialissime relazioni tra i due paesi 1•

s.n.d. precedenza assoluta 13294/194 in pari data).

656 1 Ritrasmesso a Buenos Aires con la seguente aggiunta: «Secondo programma Bramuglia dovrebbe giungere Roma giorno 28. Converrebbe pertanto che egli ricevesse tempestivamente istruzioni suo Governo. A tale scopo pregola seguire e eventualmente appoggiare esito sondaggi fatti a Parigi» (T.

657

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE LEGAZIONI A CIUDAD TRUJILLO, GUATEMALA, L'AVANA E PANAMA

T. S.N.D. 13313 1 . Roma, 24 novembre 19482 .

Seguito 13174/c3 .

Ambasciata Parigi comunica4 che in riunione 23 corrente gruppo latino-americano indetta per raggiungere accordo comune su problema colonie italiane si è riscontrato che alcune delegazioni tra cui quelle centro America sono ancora senza istruzioni definitive e risentono influenza pressioni inglesi, mentre delegazioni altri paesi hanno confermato atteggiamento pienamente favorevole a noi. Inoltre delegazione Haiti proposto trusteeship collettivo. Prossima riunione indetta per 29 novembre. Pregola nuovamente ed efficacemente intervenire presso codesto Governo perché dia propria delegazione O.N.U. istruzioni adeguare suo atteggiamento a quello altri paesi sud americani amici. Poiché per far prevalere in Assemblea tesi a noi favorevoli è necessaria maggioranza due terzi e per bloccare quelle avverse è necessario impedire formarsi detta maggioranza, appare ovvia importanza atteggiamento comune latino-americani 5 .

658

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15270/496. Londra, 24 novembre 1948, ore 13,44 (per. ore 18).

Vedo che da Parigi si conferma quanto avevo telegrafato il 18 corrente1 circa appoggio americano alla tesi inglese per immediata assegnazione Cirenaica e rinvio

2 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

3 Vedi D. 639.

4 Vedi D. 655.

5 Il ministro a Ciudad Trujillo, Rossi Longhi, rispondeva (T. s.n.d. 15368/19 del 25 novembre) di aver intrattenuto il ministro degli esteri dominicano sulla base delle istruzioni ricevute. Con telegrammi successivi il ministro a Guatemala, Zanotti Bianco, riferiva di aver avuto assicurazioni circa l'appoggio di Guatemala, Honduras e Salvador alla tesi italiana, mentre il Costarica aveva deciso di appoggiare la richiesta etiopica di annessione dell'Eritrea (telegrammi s.n.d. 15410/38 e 15411/39 del 26 novembre, T

s.n.d. 15461/40 del27 novembre, T. s.n.d. 15530/41 del 29 novembre, T. s.n.d. 15578/42 del 30 novembre e T. s.n.d. 15765/46 del 4 dicembre). Per la risposta da L'Avana vedi D. 642, nota l, mentre non risulta pervenuta risposta da Panama.

966 Tripolitania. Ciò nonostante ho subito e a lungo intrattenuto Mayhew in relazione al telegramma di V.E. 415 del 22 corrente2 .

Mayhew mi ha chiaramente indicato che, di fronte nostra minaccia bloccare con voti amici decisione Cirenaica, Governo britannico si è preoccupato assicurarsi ogni possibile adesione (ossia, come temevo e avevo ripetutamente segnalato, anziché venire a più conciliante atteggiamento «has made up his mind». A tale proposito mi ha fatto capire che voto parecchi sudamericani tra i quali Argentina e Brasile sarebbe acquisito alla Gran Bretagna solo per quanto riguarda Cirenaica, restando ancora impregiudicato per Tripolitania. Posizione da assumere nella prossima discussione ali' Assemblea generale è stata approvata in Consiglio dei ministri e Mayhew non ritiene vi sia alcuna possibilità di modificarla nei pochi giorni che rimangono, anche perché Bevin non terminerà sua vacanza prima della prossima settimana.

Ha aggiunto che Ivor Thomas, che come noto ha lasciato recentemente partito laburista, ha preannunciato per domani interpellanza su questione nostre ex colonie, iniziativa secondo Mayhew assai infelice in questo momento. Poiché Thomas mi ha solo oggi informato della sua intenzione gli ho risposto ringraziandolo ed esprimendo speranza che, in vista discussione Parigi, dibattito non sarà condotto in modo da obbligare Governo a pregiudicare future soluzioni con dichiarazioni troppo definitive.

Al te1mine del colloquio Mayhew mi ha assicurato che riesaminerà tutto il problema con Bevin e gli esporrà mie osservazioni (basate su quanto ho scritto a

V.E. il l 7 corrente )3 . In definitiva mi pare che unica speranza sia ormai che da Parigi possa venir fuori tale confusione da provocare rinvio di tutto. Nel qual caso durante periodo rinvio stesso potremmo tentare insistere nell'azione diretta già prospettata.

657 1 Inviato con i seguenti numeri di protocollo particolare: 8 per Ciudad Trujillo, 28 per Guatemala, 51 per l'Avana e 14 per Panama.

658 1 Vedi D. 629.

659

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. s.N.D. 15290/1128. Parigi, 24 novembre 1948, ore 21,26 (per. ore 6,30 del 25).

Suo 879 1•

Mentre condivido pessimismo Tarchiani circa grande difficoltà ottenere in questi pochi giorni che ci restano modifiche sostanziali progetto americano, continuo avere impressione dai miei contatti con americani qui che potrebbe essere possibile, anche se difficile, ottenere che essi consentano a rinviare il tutto.

3 Vedi D. 645, nota l.

Stabilire esattamente vantaggi c svantaggi rinvio è diftìcile. Personalmente penso che vantaggi superano gli svantaggi ma trattasi opinione puramente personale che vale quello che vale. Occorrerebbe valutare anche a fini politici interni cosa ci conviene di più accettare soluzione Somalia Cirenaica o rinvio di tutto.

Escludo per quanto ciò mi concerne possibilità, durante questa sessione, ottenere da americani decisione più favorevole a noi per Tripolitania c meno ancora migliorare situazione Eritrea.

Se quindi noi riteniamo più t~tvorevole a noi rinvio occorrerebbe concentrare tutti nostri sforzi sia a Washington che a Roma c qui su soluzione rinvio totale.

Mi sembra che tentativi differenti non possono che svalutare quello che è solo argomento veramente forte che noi possiamo cercare di far valere c cioè difficoltà che creerebbe in questo particolare momento al Governo italiano decisione di questo genere:>.

658 2 Vedi D. 645.

659 1 Del 23 novembre, ritrasmetteva il D. 646.

660

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERL SFORZA

T. S.N.D. I 53 I 4-I 5315-15316/934-935-936. Washington, 24 novembre 1948, ore 21,23 (per. ore l O del 25).

Suo 618 1•

Presidente Truman causa due giorni festivi e assenza Washington m1 nceverà martedì 30. Dato ritardo ho visto frattanto Lovett cui ho espresso sorpresa e grave preoccupazione Governo italiano per iniziativa americana questione coloniale in pieno accordo con Inghilterra ed interamente ai nostri danni. Ho illustrato tutti aspetti questione nelle sue ripercussioni politica interna ed internazionale. Risposte difensive Lovett estremamente deboli cd imbarazzate.

Ho notato in particolare che avendo New York Times pubblicato stamane quasi testo comunicazione delegazione americana a nostra ambasciata Parigi non era più nemmeno possibile mantenere segreto intorno collusione anglo-americana per soluzione decisamente contraria nostri interessi. Ho affermato che popolo italiano e Parlamento mentre riescono capire pur deplorando la ostinazione britannica non intendono nuova posizione americana favore soluzione assurda e nociva in tutte sue ripercussioni. Lovett ha affermato che delegazione americana non spinge e che prima intenzione Stati Uniti era proporre rinvio questione generale anno prossimo.

Ho citato allora riunione sud-americana promossa da Foster Dulles2 . Mi ha detto che quella era intesa soltanto accaparrare voti. Risposto naturalmente che

2 Vedi D. 638.

Governo italiano non capiva perché Stati Uniti lavorassero accaparrare voti per Inghilterra a favore sistemazione coloniale contraria nostri interessi in momento così grave per noi e per Europa mentre lavoriamo per Unione europea.

Approfittando suo accenno ho aggiunto che -data gravità situazione determinatasi -minimo che potremmo attenderci sarebbe che Governo Stati Uniti si adoperasse ottenere rinvio tutta questione coloniale italiana anno prossimo. Lovett si è mostrato poco al corrente procedura presso Nazioni Unite e mi ha detto non si poteva rinviare. Ho risposto che alle N.U. nulla è più gradito che rinvio problemi spinosi e che ogni modo Stati Uniti potevano sempre influire in tal senso.

Lovett ha detto che Stati Uniti spesso subiscono scacchi alle Nazioni Unite. Ho replicato che in caso simile (quando parecchi sud-americani possono appoggiare tesi rinvio) non dovrebbe esserci scacco possibile se Governo americano vuole.

Sottosegretario ha cercato rifugiarsi dietro debole paravento libertà di azione delegazione a Parigi che non può essere condotta per mano da Washington.

Ho nettamente risposto che si trattava di questione molto grossa in cui è coinvolta tutta situazione italiana. È Governo americano qui, e non delegazione a Parigi, che deve prendere decisioni. Lovett ha accusato il colpo e ha detto che, naturalmente, avrebbe data massima considerazione a quanto avevo esposto in nome del mio Governo e cercherebbe agire fin dove possibile; ha aggiunto che intanto io sollecitassi Governo italiano perché si adoperasse attivamente in tale senso presso delegazioni amiche.

Inghilterra -ha aggiunto -era contraria perché vuole evitare assai forti spese che incontra Somalia ed Eritrea.

Ha detto pure che Quattro Grandi erano d'accordo perché si venisse a una soluzione. Ho risposto che posizione Francia è molto diversa da quella inglese ed americana. Me ne ha dato atto.

Ha calcolato che 17 voti russo-arabi sarebbero contro rinvio. Ho insistito dimostrandogli come facilmente americani potrebbero convmcere maggioranza se volessero e si unissero ai nostri sforzi.

Dalla totale posizione negativa Lovett via via è venuto riconoscere che situazione era molto più complessa e pericolosa di quanto Marshall non avesse dapprima pensato e che occorreva cercare una via di uscita.

La parecchie volte ripetuta raccomandazione di adoperarci a Parigi presso delegazioni amiche mi è parso avere valore di suggerimento più che di scappatoia.

Governo americano sarebbe lieto, in tal caso, di tornare alla prima tesi del rinvio generale, se potesse farlo per ragioni di situazione obiettiva alla Assemblea, senza mostrare abbandonare o avversare Inghilterra nelle sue speranze e disegni per i quali -ha detto Lovett -ha messo in opera a Parigi straordinaria energia di propaganda e pressione.

Su miei rinnovati e persuasivi inviti ad agire nel comune interesse, in un così grave momento, Lovett ha finito per esprimere una volontà d'intervento che non ha voluto precisare, visto anche che tutta situazione che deploriamo dipende atteggiamenti e impegni Marshall.

Mi risulta che Dipartimento ha telegrafato Parigi sunto colloquio sopra riportato, menzionando anche possibilità rinvio ventilata nel corso conversazione e chiedendo essa venga considerata da delegazione «tenendo conto di tutte le circostanze

1ll giOCO».

Nei prossimi giorni continuerò svolgere opportuna azione presso uffici Dipartimento dove però fino a stamane Divisione Africa manteneva atteggiamento intransigente.

Mi risulta altresì che telegramma Dunn su colloquio con V. E. 1 appoggia nostra tesi in termini assai energici e conclude chiedendo di «riconsiderare» la decisione americana. Detto telegramma sarà sottoposto al presidente.

659 2 Per la risposta vedi D. 669.

660 1 Vedi D. 651.

661

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 15338/061. Trieste, 24 novembre 1948 (per. il 25).

Faccio seguito al mio telegramma n. 186 del 20 corrente 1•

Dai contatti che ho avuto in questi giorni con funzionari di questo Governo militare alleato, ho rilevato che in questi circoli si ritiene che l'azione delle delegazioni britannica e statunitense a Parigi si limiterà a controbattere le argomentazioni contenute nel memorandum jugoslavo indirizzato al Consiglio di sicurezza il 23 ottobre u.s.2 in merito all'amministrazione della zona anglo-americana del T.L.T. Secondo le informazioni in possesso di questi ambienti alleati, le delegazioni britannica e statunitense presso l'O.N.U. intenderebbero rinviare ad altra sessione la discussione sul memorandum della V. U.J.A. circa l'amministrazione della cosiddetta zona B.

Mentre questi consiglieri politici non hanno mancato di darmi le più ampie informazioni sopra il punto di vista alleato circa i punti l, II e III del memorandum jugoslavo, essi si sono dimostrati piuttosto reticenti circa il punto IV (che, come è noto, si riferisce al regime dei beni parastatali italiani a Trieste) dicendomi che la questione era tuttora allo studio.

Ho subito espresso, a titolo personale, l'opinione suggerita nella lettera n. 151 O indirizzata il lo corrente dal ministro Guidotti al ministro Mascia3 , ed ho affermato cioè che a mio parere si dovrebbe, in via pregiudiziale, tener presente il principio secondo il quale lo Stato Libero di Trieste non esiste ancora e che per conseguenza manca il soggetto di diritto internazionale in nome del quale possano essere attuati i provvedimenti definitivi previsti dal trattato di pace. Ho tratto tuttavia l'impressione che questi consiglieri politici, i quali stanno approntando, nelle loro linee principali,

2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XII ( 1948), n. 45, p. 743.

3 Non pubblicata.

970 le dichiarazioni che i delegati britannico e americano faranno a Parigi, non intendono limitarsi a far valere questa pregiudiziale, ma desiderino entrare nel merito stesso della questione.

Di fatto, essi hanno richiesto un parere al riguardo al prof. De Castro, il quale, dopo avermi sentito, ha fornito loro un appunto di cui trasmetto a parte il testo4 ; essi si sono riservati inoltre di assumere informazioni presso i vari enti designati, dal memorandum jugoslavo, come parastatali.

Di conseguenza, ho provveduto a prendere subito contatto con l'avv. Forti, nella sua qualità di rappresentante dell'I.R.I. e di presidente del Lloyd Triestino, e l'ho pregato di mettersi in rapporto con questi consiglieri politici esprimendosi nello stesso senso in cui avevo avuto occasione di esprimermi con loro e tenendosi in ogni caso in stretto contatto con questa missione.

Mi permetto di prospettare l'opportunità di svolgere, presso codeste ambasciate d'America e di Gran Bretagna e presso le delegazioni alleate a Parigi, un passo per far presente il nostro punto di vista sulla questione, di cui è superfluo ch'io sottolinei l'importanza e l'urgenza.

Potranno forse essere fatte notare agli anglo-americani, fra l'altro, le conseguenze di carattere pratico che comporterebbe una mancata presa di posizione nettamente negativa circa il punto di vista jugoslavo in merito ai beni parastatali, non soltanto in relazione all'integrazione dei bilanci delle aziende interessate, ma anche ai fini dell'applicazione delle recenti intese in merito all'attuazione dell'E.R.P. a Trieste.

Sarei comunque vivamente grato a codesto Ministero se potesse fornirmi, nel più breve tempo possibile, tutti gli elementi circa la questione in parola che possano eventualmente servire per mia norma di linguaggio con queste Autorità alleate.

661 1 Non pubblicato.

662

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3204/1427. Bruxelles, 24 novembre 19481•

Il presidente De Gasperi mi ha detto che avrebbe riferito personalmente a Roma circa le conversazioni avute durante il suo soggiorno a Bruxelles con il primo ministro Spaak e con altre personalità2 .

Mi limito quindi ad un'indicazione schematica dei varii argomenti toccati dal presidente nelle sue conversazioni.

2 Vedi D. 664.

Il presidente del Senato Rolin, che era giunto in giornata da Parigi, ha riferito come fossero in preparazione diverse iniziative che sembravano suscettibili di permettere fra breve una soluzione favorevole della questione dell'ammissione dell'Italia all'O.N.U. Il presidente Rolin ha assicurato del suo personale premuroso interessamento al riguardo.

Col primo ministro Spaak l'on. De Gasperi si è intrattenuto a varie riprese, in particolare in un lungo colloquio di circa un'ora al Ministero degli affari esteri. Spaak ha confermato, per quanto concerne le colonie, l'intransigenza inglese per la Cirenaica, motivata da ragioni di carattere strategico. Ha invece impressione che l'Inghilterra potrebbe in definitiva assumere atteggiamento più favorevole per quanto concerne gli altri territori coloniali. L'on. De Gasperi ha insistito nella nostra richiesta per tutte le colonie assicurando che nel quadro della collaborazione europea sarebbe stato possibile dar ogni soddisfazione alle esigenze strategiche britanniche ed indicando che una volta risolta favorevolmente, ed in maniera inequivocabile, la questione di principio della restituzione di tutte le colonie, si sarebbe potuto trovare una formula per l'effettiva riconsegna dei diversi territori, taluno a più breve tale altro a più lunga scadenza.

Il presidente ha indicato che l 'incertezza ed il ritardo della soluzione della questione coloniale non modifica l'atteggiamento politico italiano, favorevolmente orientato verso le potenze occidentali.

Spaak ha detto ritenere indispensabile la collaborazione dell'Italia con l'Occidente, sia nel quadro del Patto di Bruxelles sia con azione indipendente ma parallela. Dalle sue dichiarazioni è apparso chiaro che l'eventualità di un'adesione dell'Italia al Patto di Bruxelles non sia stata mai esaminata in maniera concreta, come pure che Washington non abbia mai svolta azione concreta né dato precisi suggerimenti per sollecitare l'inclusione dell'Italia nel Patto di Bruxelles.

Quanto all'assistenza americana per la difesa dell'Occidente, Spaak ha detto che le numerose conversazioni svolte fino ad ora non avevano ancora permesso di trovare una formula soddisfacente per il funzionamento in modo automatico della garanzia militare nord-americana, e così pure non era stato ancora definito a quali territori tale garanzia avrebbe dovuto riferirsi.

Circa i progetti di Federazione europea Spaak ha confermato quanto era già noto circa la scarsa simpatia britannica per simili progetti; ha indicato come la Commissione di studio nominata dalle cinque potenze lo scorso ottobre abbia un compito strettamente tecnico e molto limitato, aggiungendo che trattasi di un organismo formato esclusivamente dai rappresentanti delle cinque potenze del Patto di Bruxelles, che non è autorizzato ad estendere la sua competenza né chiedere la collaborazione, sia pure a titolo personale e privato, di personalità appartenenti ad altri Stati. Spaak aveva letto con molto interesse i Memorandum del Governo italiano3, nei quali aveva trovato molte buone idee, soprattutto quella di avvalersi anche nel campo politico dell'attuale organizzazione dell'O.E.C.E. Gli sembrava che non avrebbe dovuto essere difficile di trovare qualche formula abile ed elastica per

utilizzare adeguatamente quella organizzazione, evitando la creazione di nuovi organismi e schemi rigidi tanto ostici agli inglesi. Ha chiesto di essere tenuto al corrente del futuro atteggiamento italiano e di nuove proposte o suggerimenti che fossero da noi presentati.

Spaak ha ricordato al presidente l'opportunità di risolvere sollecitamente la questione del risarcimento dei danni di guerra reclamati dal Belgio. Si tratta di questione di modesta importanza finanziaria, ma che interessa al Belgio per ragioni di prestigio e di politica interna e parlamentare. Spaak ha assicurato il presidente che il Governo belga avrebbe trattato la questione con ogni moderazione e spirito di conciliazione, e che egli si sarebbe personalmente interessato per un'equa soluzione. Ha promesso che avrebbe tenuto in evidenza la questione che a noi interessa, del dissequestro dei beni italiani al Congo.

Tutte le conversazioni si sono svolte nel tono più amichevole, in forma non protocollare e quasi privata, tenendosi presente dall'una e dall'altra parte che esse non avevano carattere di trattative ma di un semplice scambio di idee.

La stampa belga ha dedicato una lunga cronaca al soggiorno del presidente De Gasperi, rilevandone l'indubbio significato politico, e l'importanza che esso potrà avere per quella politica di pacificazione e di collaborazione europea perseguita da tutti gli spiriti onesti in Europa, ma riconoscendo che nessun argomento particolare è stato trattato in maniera concreta, e che le conversazioni hanno avuto soprattutto scopo di reciproca illustrazione ed informazione. Nello stesso senso si esprimono i corrispondenti romani dei principali giornali di Bruxelles. Trasmetto qui unita la corrispondenza pubblicata stamane dal Soir e dalla Libre Belgique4 .

ALLEGATO

CONVERSAZIONE FRA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, ED IL PRIMO MINISTRO DEL BELGIO, SPAAK

VERBALE. Bruxelles, 20 novembre 1948.

La conversazione ha avuto tono molto amichevole. Fin dall'inizio il presidente ha argutamente rilevato che egli non era ministro degli affari esteri, e che essendo Spaak in quel momento dimissionario, potevano parlare con tutta franchezza senza dare alla conversazione nessun carattere protocollare né impegnativo.

Il presidente ha indicato la preoccupazione diffusa in Italia per l'incertezza nel regolamento della questione delle colonie. Ha detto che nonostante tale preoccupazione, l'atteggiamento italiano è ed intende rimanere decisamente orientato verso la collaborazione e l'amicizia con le potenze occidentali e con l'America. L'Italia intende rivendicare i suoi diritti coloniali, ma non stabilire un junctim colla cooperazione europea. Spaak ha subito dichiarato la sua sincera soddisfazione per questa dichiarazione la quale, egli ha detto, avrebbe riferito agli inglesi, che certamente l'avrebbero appresa con analoga soddisfazione.

Spaak ha poscia confermato quanto aveva già riferito agli ambasciatori a Parigi ed a Bruxelles, essere cioè una precisa impressione che l'Inghilterra rimaneva intransigente circa la Cirenaica, alla quale tiene per esigenze strategiche, ma che se gli italiani potessero rassegnarsi alla perdita di quella colonia, in definitiva gli inglesi avrebbero finito per cedere su tutti gli altri territori coloniali, compresa l'Eritrea, salvo ben inteso un soddisfacente regolamento della questione dello sbocco al mare per l 'Etiopia.

De Gasperi ha risposto che la rinuncia definitiva alla Cirenaica era cosa dolorosissima e ha messo in rilievo come la Cirenaica fosse il territorio maggiormente suscettibile di sfruttamento a scopo agricolo e demografico. Ha aggiunto tuttavia che l'Italia era prontissima e desiderosa di tener conto e dare soddisfazione alle esigenze strategiche dell'Inghilterra.

Il presidente ha vivamente pregato il ministro Spaak di continuare ad adoperarsi nel suo atteggiamento amichevole e conciliativo e nell'opera di persuasione presso gli inglesi.

Si è poi passato a parlare del Patto di Bruxelles. Spaak ha detto che il problema della prossima adesione di altri Stati, ed in particolare dell'Italia, non era stato in verità mai concretamente affrontato. Il Patto di Bruxelles al momento della sua firma non era stato che una solenne affermazione di buona volontà, ma mancante di contenuto sostanziale e militare. L'adesione immediata dell'Italia disarmata, ed obbligata a rimanere disarmata, avrebbe forse caratterizzata troppo l'attuale debolezza militare di tutti i contraenti. Contrariamente alle voci che erano state diffuse più volte, gli Stati Uniti non avevano esercitato mai nessuna pressione, né dato alcun suggerimento, di sollecitare l'adesione dell'Italia e di altri Stati.

Spaak ha inoltre riferito che Washington aveva dato precisi e ripetuti affidamenti circa la concessione della sua assistenza militare in caso di aggressione, ma non si poteva parlare del cosiddetto intervento automatico, date le cautele delle nostre costituzioni, specie di quella americana. Tuttavia, in via di fatto, l'intervento si può supporre seguirebbe a pochissima distanza l'aggressione.

Spaak ha chiesto se Washington avesse suggerito a Roma di prendere essa l 'iniziativa per sollecitare la sua ammissione nel gruppo delle potenze di Bruxelles. De Gasperi ha risposto che in una conversazione fra l'ambasciatore a Washington ed il sottosegretario Hickerson il suggerimento era stato dato5

L'importante era, secondo Spaak, che l'Italia confermasse i suoi propositi di collaborazione con l'Europa occidentale e per la difesa dell'Occidente; che questo proposito dell'Italia fosse ben compreso dall'America e che Washington accordasse anche all'Italia quelle forme di assistenza militare che avrebbe accordato alle potenze di Bruxelles. L'Italia poteva e doveva avere una parte importante nella difesa dell'Occidente; al momento attuale non era ancora ben chiaro se la collaborazione dell'Italia per la difesa dell'Occidente fosse per riuscire più utile con una esplicita adesione dell'Italia al Patto di Bruxelles, oppure in altra forma parallela, sempre beninteso con l'assistenza nord-americana.

Il presidente ha infine chiesto al ministro Spaak qualche notizia circa il progetto per la Federazione europea. Spaak ha confermato la scarsa simpatia degli inglesi per la forma parlamentare e una vera federazione. Nella riunione delle cinque potenze tenuta a Parigi il 25 ottobre si era riuscito con molta difficoltà a convincere gli inglesi ad accettare la nomina di una commissione di studio. Era stato esplicitamente convenuto che si sarebbe trattato di una semplice commissione di studio, col compito limitato e l'incarico di redigere un rapporto. Sarebbe stato poi compito dei cinque ministri degli affari esteri prendere cognizione del rapporto alla sua presentazione, ossia fra tre mesi, e riprendere allora l'esame politico della questione. Gli inglesi avevano fatto presente che il punto di vista dei cinque Governi era attualmente differente. Era pertanto necessario, prima che la questione prendesse maggiore sviluppo, che i cinque Governi concordassero il loro modo di vedere: la commissione di

studio doveva appunto raccogliere e vagliare il materiale per meglio illuminare i cinque Governi. Detta commissione di studio era un organismo strettamente tecnico ed esclusivamente limitato ai cinque Stati di Bruxelles. La commissione avrebbe esaminato i progetti presentati da altri Governi o da associazioni private, ma era assolutamente da escludersi che nel corso dei suoi lavori essa avrebbe chiesta la partecipazione di altri Stati. Spaak ha confermato la sua personale simpatia per i progetti di Federazione europea, ma ha ripetuto che bisogna procedere con molta prudenza e soprattutto tener conto delle suscettibilità ed esitazioni inglesi. L'Inghilterra è contraria a formule precise e schemi rigidi, così pure alla creazione di nuovi organismi con poteri ben definiti ed impegnativi. A questo proposito Spaak ha detto di aver letto con molto interesse il memorandum italiano3 : esso contiene molte buone idee, specialmente quella di profittare dell'attuale organizzazione deli'O.E.C.E. come nocciolo per successivi sviluppi politici. Quell'organismo stava già rendendo utili servigi nel campo economico, esso avrebbe potuto senza molte difficoltà svilupparsi, adattarsi ed evolversi anche nel campo politico.

Sarebbe stato invero sciocco che i vincoli di collaborazione economica che si stavano così felicemente sviluppando fra tutte le potenze del! 'Europa occidentale, non dovessero essere abilmente sfruttati per facilitare altresì la collaborazione politica e pacifica fra le nazioni; appare del resto dubbio che i pochi anni previsti per l'esistenza dell'O.E.C.E. siano sufficienti perché essa possa espletare tutti i compiti affidatigli, il suo funzionamento dovrà molto probabilmente continuare ancora per un certo periodo di tempo e nel frattempo si presenterà l'occasione per abilmente (ossia senza urtare gli inglesi) ampliarne l'attrezzatura e gli scopi. Spaak ha concluso esprimendo il desiderio di mantenersi in contatto con l'Italia e di essere tenuto al corrente dei nostri propositi e di eventuali nostre nuove proposte e suggerimenti.

In serata l'on. De Gasperi ha avuto un'interessante conversazione col presidente del Senato Rolin, il quale lo ha informato dello stato attuale della questione per la ammissione dell'Italia all'O.N.U. a riguardo della quale si sta studiando, con particolare interessamento di esso Rolin, un'iniziativa che potrebbe permettere una sollecita e favorevole soluzione.

In un secondo colloquio il presidente ha toccato la questione delle cosiddette riparazioni belghe. Spaak ha assicurato di essere disposto a forfaitizzare al minimo l'importo delle riparazioni e di voler nel contempo levare il sequestro dei beni nel Congo. Il presidente ha promesso di sollecitare.

661 4 Non rinvenuto.

662 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

662 3 Vedi DD. 350, Allegato c 562, Allegato.

662 4 Non pubblicata. Si pubblica invece, in allegato, il verbale dell'incontro redatto dallo stesso Diana che da Roma fu ritrasmesso a Londra, Parigi e Washington con Telespr. 1640/c. segr. poi. del 26 novembre.

662 5 Vedi D. 486 e Foreign Relations of the United State.s·, 1948, vol. III, cit., pp. 260-262.

663

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPO MAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 5198/1180. Madrid, 24 novembre 1948 (per. il l" dicembre).

Alla vigilia di una eventuale discussione della «questione spagnola» alla Assemblea delle Nazioni Unite, o -più probabilmente -alla vigilia di un rinvio della discussione alla «piccola Assemblea» che riprenderà, in gennaio, i suoi lavori a New York, può essere opportuno fissare i termini della questione come essa si presenta, soprattutto, dal punto di vista giuridico.

Nonostante l'evoluzione che la questione spagnola ha subìto sul piano politico, l'aspetto giuridico di essa rimane importante perché, come è stato riferito anche dall'ambasciata in Washington con rapporto in data 6 ottobre u.s. 1 , il Dipartimento di Stato considera che gli Stati Uniti, per la loro posizione in seno alle Nazioni Unite, non possano seguire l'esempio di alcune piccole nazioni sudamericane: Paraguay, Perù, Cuba, che dopo aver dichiarato, di loro iniziativa, di ritenere sorpassata la mozione d eli' Assemblea del dicembre 1946, hanno inviato o designato, recentemente, a Madrid un capo missione.

Il Dipartimento di Stato desidera, pertanto, prima di prendere ogni eventuale decisione tendente a modificare lo stato attuale delle sue relazioni diplomatiche con la Spagna, che sia abrogata la mozione del dicembre 1946 e sostituita con altra che della prima, praticamente, annulli gli effetti. Un breve esame dei precedenti vale a far meglio comprendere le ragioni di questo modo di vedere del Dipartimento di Stato.

Il primo accenno alla «questione spagnola» in seno alle Nazioni Unite si ebbe alla «Conferenza di San Francisco» del 1945. Il 15 giugno, in una riunione pubblica della Prima commissione, nella quale erano rappresentati tutti i membri delle Nazioni Unite, su proposta del delegato messicano, e dopo che ebbero parlato a favore vari delegati, fra i quali quello degli Stati Uniti, venne approvata una dichiarazione avente di mira la Spagna. La dichiarazione stabiliva che il paragrafo 2 del Capitolo II della Carta: «l'appartenenza alle Nazioni Unite è aperta a tutti gli altri Stati amanti della pace ... », non poteva applicarsi a Stati i cui regimi sono stati stabiliti con l'aiuto delle forze armate di paesi che hanno combattuto contro le Nazioni Unite, finché detti regimi restino al potere.

Più tardi (agosto 1945) la questione venne ripresa a Potsdam nella riunione delle tre grandi potenze vincitrici, e in quella parte del lungo comunicato nel quale queste fissavano il loro atteggiamento di fronte all'ammissione alle Nazioni Unite di terzi Stati, veniva inserito uno speciale paragrafo dedicato all'«attuale Governo spagnolo» con il quale le tre potenze solennemente dichiaravano che detto Governo «per essere stato insediato con l'aiuto delle potenze dell'Asse, non riunisce, in ragione della sua origine, della sua natura, della sua storia ed intima associazione con gli Stati aggressori, le qualità necessarie per giustificare la sua ammissione in seno alle Nazioni Unite».

Come si vede, fino alla Conferenza di Potsdam era in discussione soprattutto l'ammissione, o meglio la non ammissione, della Spagna fra le Nazioni Unite.

Ritenevano, evidentemente, le tre potenze vincitrici, che sarebbe bastata questa loro messa al bando perché Franco si fosse ritirato dal potere o il popolo spagnolo avesse trovato modo di sostituirlo pacificamente. Nel calcolo non era stato tenuto conto né dell'attitudine alla procrastinazione, propria del «Caudillo», e che gli permette di snaturare, nel tempo, qualsiasi questione, né del grave conflitto di interessi che stava per manifestarsi tra gli alleati e che eliminava il pericolo maggiore che correva il regime spagnolo.

Dopo la dichiarazione di Potsdam il prossimo passo, e quello più decisivo, nel quale trovano in un certo senso origine tutte le presenti difficoltà della questione spagnola, fu preso ad iniziativa degli Stati Uniti.

Questi ultimi, avendo raccolto e catalogato negli archivi tedeschi i documenti che costituivano la prova dell'aiuto che Franco avrebbe prestato all'Asse durante la guerra, e anche per ovviare ad iniziative indipendenti che tanto Francia che Inghilterra avevano già preso o sembravano desiderose di prendere (si ricordi, per esempio, la chiusura della frontiera francese), si fecero promotori di una dichiarazione tripartita, pubblicata simultaneamente a Londra, Parigi e Washington, con la quale i tre Governi (5 marzo 1946) facevano appello al patriottismo del popolo spagnolo perché studiasse i mezzi per provocare la pacifica ritirata del generale Franco, l'abolizione della Falange e lo stabilimento di un Governo interinale, cui avesse potuto essere affidata una consultazione elettorale del popolo spagnolo al fine di eleggere liberamente i suoi rappresentanti. Se il popolo spagnolo avesse tenuto conto dell'invito che gli veniva rivolto, il Governo interinale avrebbe ricevuto «il riconoscimento e l'appoggio di tutti i popoli amanti della libertà». Tale riconoscimento avrebbe compreso «piene relazioni diplomatiche e l'adozione di quelle misure pratiche per aiutare a risolvere i problemi economici della Spagna. Per il momento -continuava la dichiarazione -tali misure non sono possibili. La questione del mantenimento o della cessazione delle relazioni diplomatiche con l'attuale regime spagnolo per parte dei Governi di Francia, Regno Unito e Stati Uniti d'America, è una questione che sarà decisa alla luce degli avvenimenti e dopo che saranno stati tenuti in conto gli sforzi del popolo spagnolo per conseguire la propria libertà».

Passarono così otto mesi senza che la questione avesse fatto un passo avanti, mentre Franco valorizzava le dichiarazioni ostili verso il suo paese per galvanizzare la tradizionale fierezza spagnola e rafforzare le basi del suo potere.

Le discussioni vennero quindi riprese in seno alle Nazioni Unite e la seconda Assemblea, nella sua seduta del 12 dicembre 1946, finiva con l'approvare, a grande maggioranza, la famosa mozione che provocò il ritiro degli ambasciatori da Madrid.

La mozione (di cui per memoria accludo copia)2 , dopo aver rievocato i precedenti interventi di San Francisco, Potsdam e Londra; dopo aver genericamente enumerato i capi d'accusa contro Franco, per l'aiuto da lui prestato a Hitler e Mussolini, raccomandava:

a) che fosse proibita la partecipazione del Governo spagnolo, non solo alle Nazioni Unite, ma anche agli organismi internazionali (le agenzie specializzate) dipendenti dalle Nazioni Unite ed a qualunque conferenza o altra attività organizzata dalle Nazioni Unite, in generale;

b) che qualora, dentro un lasso di tempo ragionevole, non fosse stato formato in Spagna un Governo, che fondasse la sua autorità sul consenso dei governati, il Consiglio di sicurezza considerasse le misure adeguate da adottare per rimediare alla situazione;

c) che tutti i membri delle Nazioni Unite ntirassero immediatamente da Madrid i loro ambasciatori o ministri plenipotenziari colà accreditati.

L'Assemblea concludeva la sua dichiarazione con la raccomandazione che gli Stati membri dessero conto al segretario generale ed alla prossima Assemblea, delle misure da essi adottate in accordo a dette raccomandazioni.

A seguito della approvazione di tale raccomandazione ritirarono i propri capi missione da Madrid l'Inghilterra, l'Italia3 , la Turchia e l'Olanda.

Gli Stati Uniti d'America, la Francia ed il Belgio non ebbero bisogno di procedere a tale ritiro, perché le loro ambasciate erano già da tempo rette da un incaricato d'affari. In analoga situazione si trovavano alcuni altri paesi, specialmente sudamericani, che durante la guerra avevano affidato le loro rappresentanze ad incaricati d'affari o che avevano addirittura ritirato ogni rappresentanza da Madrid (Messico, Venezuela, Panama, Polonia, ecc.).

Allo scopo di permettere a codesto Ministero di avere un quadro preciso della situazione delle rappresentanze diplomatiche a Madrid, immediatamente dopo la mozione del 1946, e quale essa si presenta, oggi, novembre 1948, dopo che alcuni Stati sudamericani hanno rimandato qui i loro capi missione, allego una tabella che permette una rapida comparazione2 .

Durante tutto l'anno 1947 la situazione spagnola incominciò ad evolvere favorevolmente al generale Franco, anche a seguito dell'iniziativa del generale Per6n di inviare qui un suo ambasciatore e di stipulare con questo Governo importanti accordi di natura economica e finanziaria, che sono senza dubbio valsi a rompere il fronte unico della resistenza sudamericana.

Le conseguenze di questa minore ostilità si manifestarono concretamente per la prima volta, in seno alle Nazioni Unite, nel novembre 1947, nell'Assemblea generale tenuta a New York, e durante la quale, nella seduta del 18 novembre, dopo serrata schermaglia nella quale le nazioni del gruppo orientale tentarono di ottenere, addirittura, l'applicazione di sanzioni economiche, veniva approvata una breve e blanda mozione nella quale l'Assemblea, dopo avere preso atto che il segretario generale l'aveva informata, nel suo rapporto annuale, circa le misure adottate dagli Stati membri, a seguito della raccomandazione del dicembre 1946, «esprime la fiducia che il Consiglio di sicurezza assumerà le sue responsabilità, d'accordo con la Carta, quando giudicherà che la situazione della Spagna esiga un intervento». La risoluzione venne adottata con 36 voti favorevoli, 5 contrari e 11 astensioni.

Tuttavia, ancora a quel momento, e nonostante la blandizia di questo secondo intervento delle Nazioni Unite, il Governo degli Stati Uniti rimaneva fermo sulla questione del ritiro dei capi missione a Madrid, tanto è vero che nel suo discorso il delegato americano dichiarò che il suo paese avrebbe visto con favore l'inclusione nella mozione di un richiamo a quei paesi (leggi Argentina) che non si erano attenuti alle precedenti raccomandazioni del!' Assemblea.

La questione spagnola passava così, per espresso voto dell'Assemblea, nuovamente alla competenza del Consiglio di sicurezza. Il 26 giugno 1948, dopo circa sei

mesi, la questione si trovava iscritta all'ordine del giorno dei lavori del Consiglio e si presentava la necessità di decidere se discuterla o meno. La Russia e l'Ucraina si pronunciarono in favore di una immediata discussione, mentre l'Argentina propose che la questione venisse ritirata dall'ordine del giorno.

I rappresentanti delle rimanenti otto nazioni si astennero dal votare, e così la questione non venne discussa, ma si passò a trattare altri argomenti. Questa piccola manovra procedurale, che non è ancora facile di stabilire se sia stata utile o dannosa alla Spagna, è stata, in ogni caso, interpretata da una parte delle nazioni sudamericane come indicativa del fatto che il Consiglio di sicurezza avesse inteso dichiarare che la Spagna non costituisce una minaccia alla pace, e che, come conseguenza di essa, la raccomandazione dell'Assemblea del dicembre 1946 restava praticamente esaurita.

Secondo molti degli Stati sudamericani (Perù, Bolivia, Cuba, Colombia, ecc.) l'attuale Assemblea delle Nazioni Unite dovrebbe pertanto limitarsi a prendere atto di questa decisione (?) del Consiglio di sicurezza e dichiarare che siano lasciati senza effetti i provvedimenti contro la Spagna, preconizzati nella risoluzione del 12 dicembre 1946.

In tal senso la delegazione colombiana ha depositato una mozione che dovrebbe essere discussa dall'Assemblea e che si ritiene avrebbe l'appoggio della grande maggioranza dei paesi sudamericani, di tutto il gruppo arabo, oltre che di alcuni Stati neutrali o amici della Spagna. Esiste inoltre una raccomandazione della Polonia, che chiede nuovamente l'applicazione di sanzioni economiche contro la Spagna.

Si può pertanto prevedere che la discussione, a Parigi o a New York, si svolgerà prima sulla mozione polacca, che si può presumere verrà rigettata a gran maggioranza, e poi su quella colombiana che ha buone probabilità -ma non la certezza di essere approvata con i necessari due terzi dei voti.

Il desiderio del Dipartimento di Stato di arrivare al ritiro della mozione del dicembre 1946, appare ormai evidente; è però altrettanto evidente che, a causa dei precedenti che ho ricordato, la massima cautela si imponga a Washington. Questo spiega perché, come afferma quella nostra ambasciata, nel citato rapporto, sia da escludere una iniziativa diretta degli Stati Uniti tendente al ritiro della mozione del dicembre 1946; mentre si può prevedere che il Dipartimento di Stato rivedrebbe la propria posizione nei confronti della Spagna quando la Assemblea, per iniziativa di altri paesi, si decidesse ad annullare la nota raccomandazione.

È molto verosimile, pertanto, che della questione spagnola si sia parlato fra Marshall, Bevin e Schuman a Parigi, anche se una vera e propria proposta di Marshall sia mancata.

Questo incaricato d'affari di Francia, che si è intrattenuto con me sulla cosa, dopo avermi enumerato gli ostacoli che ancora si opponevano ad una normalizzazione dei rapporti fra la Francia e la Spagna di Franco, aggiungeva però che se un giorno il segretario di Stato avesse comunicato a Bevin ed a Schuman che gli Stati Uniti ritenevano, per considerazioni di carattere generale, giunto il momento di riprendere relazioni diplomatiche normali col Governo di Madrid, e pregavano Francia e Inghilterra di fare altrettanto, egli riteneva che il Governo francese, per parte sua, non si sarebbe opposto ulteriormente.

Ciò farebbe ritenere che i tre Governi siano d'accordo (qualche resistenza permane forse ancora a Londra), per non ostacolare una iniziativa sudamericana tendente alla abrogazione della mozione del dicembre 1946, il che varrebbe, in ogni caso, ad eliminare l'ostacolo giuridico, salvo a decidere l'invio dei capi missione più tardi, alla luce dello sviluppo ulteriore degli avvenimenti internazionali.

Mi ricorre il dovere di aggiungere che questo apprezzamento cauto che mi pare si debba quindi fare della situazione, non appare condiviso dal ministro degli affari esteri sig. Martin Artajo, il quale mi diceva ieri, durante un pranzo, evidentemente perché io lo riferissi a V.E., di ritenere che la norrnalizzazione delle relazioni diplomatiche con la Spagna avrebbe avuto luogo non oltre il febbraio e che sperava pertanto che l 'Italia si fosse decisa a mandare qui un ambasciatore, prima di tale data.

663 1 Vedi D. 492.

663 2 Non pubblicata.

663 3 Vedi serie decima, vol. IV, D. 616.

664

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

In treno verso Trento2 , 24 novembre 1948.

Ti mando materiale inforrnativo3 a cui aggiungerò poi le note che mi trasmetterà Quaroni4 . Eccellente e positivo il contegno di Schuman. Non so se nel tuo dossier esista una continuazione del famoso colloquio di Hickerson5 . Come spiega Tarchiani il silenzio di Marshall? Sarebbe bene chiederglielo, per essere in chiaro -alla Camera -anche su questo particolare.

ALLEGATO I

APPUNTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI6

Ciò che risulta dai colloqui a Bruxelles

Dai tre colloqui con Spaak si può concludere quanto segue:

l. Spaak afferma che tra i Cinque non si è mai presa di petto la eventualità di un'adesione dell'Italia o di altri Stati al Patto di Bruxelles. Il testo del patto prevede ulteriori adesioni, ma si ritenne che convenisse prima costituire un nucleo più compatto e più omogeneo che riguardasse tanto un'ipotesi germanica, quanto russa.

2 Così nel testo. De Gasperi proveniva da Parigi.

3 Vedi Allegato I.

4 Vedi Allegato II.

5 Vedi D. 486.

6 L'originale manoscritto è nell'Archivio De Gasperi. La parte relativa ai colloqui di Bruxelles è edita in facsimile in MARIA ROMANA CATTI DE GASPERI, La nostra patria Europa, Milano, Mondadori, 1969, doc. l fuori testo.

Già il patto originale, disse Spaak, correva il rischio di essere considerato un bluff per la sua inefficienza militare. L'aggiungervi subito l'Italia non poteva far sorgere la questione del trattato, o, ad esempio, il Portogallo, quella della Spagna ecc.? Ogni nuova adesione avrebbe significato un ritardo per risolvere complicazioni nuove. E invece urgeva far presto per assicurare il rapido concorso dell'America. Ciò non toglie che l'adesione sia possibile e desiderabile, quando si presenti come matura. È chiaro che l'adesione non può venire né richiesta dagli interessati né sollecitata dagli attuali componenti, prima che essa sia assicurata in sondaggi ufficiosi.

A mia precisa domanda, Spaak torna a confermarmi di non aver mai constatato presso gli inglesi un pregiudiziale atteggiamento negativo. A mia ulteriore domanda ancora Spaak specifica che tra i Cinque la formula concordata è «difesa più a est che sia possibile» lasciando ai militari di determinare tale possibilità.

Circa il Patto atlantico comunica che il testo dei Cinque è stato inviato in America ove dovrà nascere il patto a Sette. Personalmente è convinto che il problema della difesa diventerà per forza europeo e che quindi lo schieramento dovrà venire allargato; il Belgio poi, come la Francia, sono interessati ad un copertura anche verso est e devono desiderare che in una forma o nell'altra l'Italia possa intervenire. Il punto determinante è la decisione americana e, con tale riferimento, Spaak mi ha chiesto se l'iniziativa della visita Marras era dovuta ali' America 7; al che ho risposto in senso affermativo, aggiungendo che certamente i circoli militari americani prendono in considerazione anche l'Italia e che anche da parte del Dipartimento di Stato s'erano dati suggerimenti in riguardo. Solo Marshall a Roma si era astenuto di farci riferimento a tali suggerimenti, sia per estrema delicatezza sia perché non riputasse il momento politico tempestivo. O potrebbe anche esser vero, come vogliono taluni, che fossero gl'inglesi a interferire? Spaak, a tale domanda incidentale, rispose: mi pare di poter escludere un siffatto intervento negativo.

Concludendo Spaak mi ha detto di non credere a un conflitto prossimo, ma di ritenere che convenga essere riarmati per il momento in cui la soluzione della questione germanica non potesse più essere differita.

M'è parso di comprendere che il Belgio, del quale oggi Spaak è interprete di fiducia, ci vede con ogni simpatia, purché non ci troviamo in antitesi coll'Inghilterra.

2. -A lungo si parlò della questione coloniale. La particolare caratteristica della concezione Spaak è che egli crede che se noi cedessimo sulla Cirenaica gl'inglesi sarebbero senz'altro favorevoli a chiudere tutta la partita, lasciando a noi le altre tre, salvo imprecisate concessioni ali' Abissinia in Eritrea. La sua convinzione è così forte eh' egli si offerse di fare su tale base il mediatore. Risposi che avrei sentito Schuman e poi ne avrei parlato con Sforza e che eventualmente gli avrei inviato nei prossimi giorni una lettera confidenziales Egli mi confermò anche in un terzo colloquio questa sua sicura ambizione di riuscire. 3. -È molto favorevole a creare un organismo di cooperazione europea. Il comitato di studio che si volle dai Cinque lascia aperte tutte le vie. Tuttavia, a mia precisa domanda, Spaak smentì che il comitato abbia l'incarico di consultare altri Stati e avviarli verso l'adesione. È per ora un comitato pro foro interno, precisò. Ma egli personalmente prevede che si allargherà c, in ogni caso, vede bene la proposta Sforza circa l'O.E.C.E.

Segnalo anche un colloquio con Rolin presidente del Senato c della commissione per l'O.N.U.

Esistono, egli disse, tre alternative circa la proposta di ammissione: l) o interpretare il parere deli'Aja in senso favorevole all'Assemblea e passar oltre; 2) o invitare il Consiglio di sicurezza a teneme conto in favore dell'Italia e della Finlandia; 3) o infine deliberare che Italia e Finlandia partecipino intanto con voto consultivo.

~ Vedi D. 718.

Egli chiedeva di sapere a Parigi a tempo, se quest'ultimo espediente vemsse da noi considerato accettabile. Ne ho già fatto cenno a Quaroni.

Un colloquio col vice presidente Eyskens, con Schryver, Cauvelaert ecc. mi ha fatto capire che i cristiano sociali belgi sono molti impressionati per l'incertezza della situazione politico-economica francese. Vedrebbero volentieri anche l'unione doganale; ma bisognerebbe pur vedere, dissero, con chi avremo da fare.

APPUNTO SU PARIGI.

Chiaro, concreto, confortante il colloquio con Schuman, che m'è parso uomo di notevole rilievo e di informazione ampia e controllata.

Dichiarò che la Francia, quando lo desiderassimo, era pronta ad appoggiare la nostra adesione al Patto di Bruxelles o a favorire qualsiasi altra forma di collaborazione che noi, con l'assenso dell'America, desiderassimo. Promise di tenerci informati, in leale amicizia, sulla opportunità o tempestività di qualsiasi iniziativa volessimo prendere. Ammise che l'Inghilterra è sempre la prima a mettere in sospetto il continentalismo. L'interesse della Francia alla difesa verso est è troppo evidente perché non avvertisse l'importanza dell'apporto italiano. Ritiene che i nostri paesi hanno lo stesso modo di vedere circa la Germania; necessità di strapparla alle seduzioni nazionaliste o comuniste e d'altro canto necessità di essere cauti. La proposta Bevin di nazionalizzare la Ruhr è di un'estrema imprudenza.

Circa la cooperazione europea rettificò la informazione Spaak. Il comitato designato dai Cinque deve prima elaborare un compromesso tra il piano francese e quello inglese, tenendo conto anche delle proposte Sforza ecc.

Fatto questo studio preliminare, prima di ogni deliberazione dei Cinque, verranno consultati anche Stati fuori del patto, prima certamente l'Italia. Si occuperà dei particolari con Sforza nel convegno di dicembre9 ; sa che gl'inglesi obiettano che non bisogna correre il rischio di guastare colla politica anche l'O.E.C.E.

Circa le colonie è meno ottimista di Spaak. Non crede che gl'inglesi siano disposti facilmente a mollare sulla Tripolitania e Eritrea; tuttavia egli prega di essere ulteriormente documentato per poter insistere.

Altri punti di rilievo: dichiarazione di Schuman e· Queuille circa l'unione doganale e comunicazione di Moch sulla convenienza di organizzare le informazioni, di Ramadier circa militari, di Marie sulle leggi di difesa ccc.

Devono giungere appunti da Quaroni. Il quale insiste perché si chiarisca il colloquio Hickerson e si risponda al suggerimento americano di fare proposte 10 .

ALLEGATO Il

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1612/20950/4505. Parigi, 26 novembre 1948.

Ti trasmetto tre appunti relativi alle conversazioni avute dal presidente del Consiglio con Queuille e Schuman. Tieni presente che essi non possono però considerarsi come definitivi, dato che S.E. De Gasperi ha manifestato il desiderio che si sottomettessero prima alla sua approvazione.

A

APPUNTO DI QUARONI SULLA CONVERSAZIONE DE GASPERT-QUEUILLE (23 novembre 1948, ore 11-11,30)11

11 presidente Queuille ha intrattenuto a lungo il presidente De Gasperi sulla situazione interna francese mostrandosi soddisfatto del corso dello sciopero pur ammettendo che tutto non è ancora tranquillo. Ha dato atto che gli italiani, nella loro grande maggioranza, hanno avuto un atteggiamento corretto. Gli stranieri più agitati sono stati gli spagnuoli. Ha detto che il Governo francese non ritiene ci siano depositi di armi molto considerevoli nascosti in Francia, con la possibile eccezione della zona del sud-est e ad opera delle organizzazioni spagnuole.

È stato poi parlato dell'Unione doganale: Queuille ha confermato che il Governo francese vi è favorevole e intende spingere avanti le cose fino ad arrivare ad un progetto da presentarsi ai due Parlamenti. Non è però possibile nascondersi che si va incontro a delle difficoltà non indifferenti. Ha particolarmente insistito sulla questione dell'adeguamento della legislazione fiscale e sociale nei due paesi, adeguamento che solleverà delle forti difficoltà anche di carattere interno. Il presidente De Gasperi, pur non nascondendosi anche lui le difficoltà da superare, ha confermato la ferma volontà del Governo italiano di condurre a termine l'iniziativa.

I due presidenti si sono trovati d'accordo sulla opportunità di approfondire i rapporti fra i due Governi per lo scambio di informazioni circa l'attività dei comunisti nei due paesi, e circa la situazione al di là della cortina di ferro. Ha confermato l'invito fatto dal ministro Moch al presidente De Gasperi di inviare a Parigi il sottosegretario di Stato all'interno per concretare questi accordi.

B

APPUNTO DI CHAUVEL SULLA CONVERSAZIONE SCHUMAN-DE GASPERI (23 novembre 1948, ore 11,30-12,15)

Le Ministre, assisté du Sécrétaire Général du Départment, a reçu ce matin le Président du Conseil italien assisté de l'Ambassadeur d'Italie. L'entreticn a porté d'abord sur l'union douanière.

M. De Gasperi a indiqué qu'il s'était entretenu à ce sujet avec M. Queuille qui lui avait affirmé la volonté d'aboutir du Gouvernement français.

M. Schuman a confirmné cette volonté. 11 a précisé qu'à son sens il convenait de soumettre au Parlement, en janvier, un premier accord devant faire l'objet d'un vote. Par la suite, imerviendrait des premiers projets de lois destinés à donner effet aux mesures dont l'ensemble permettrait de réaliser l'union douanière.

E n fin, à une date qui pourrait etre fixée au ler janvier 1950, la ratification des tarifs pourra ètre réalisée.

Sans doute, divers éléments tant sur le pian politique que sur celui des intérèts particuliers, sont insuffisamment convaincus de l' opportunité de l 'union douanière, il y a don c une propagande à faire, le Gouvernement français s'y emploiera. Des difficultés existent. Elles ne sont pas insurmontables. Elles deviendraient préoccupantes seulement si, aux objections

communistes, venait s'ajouter une opposition de la part de représentants de certaines catégories d'intérèts.

M. De Gasperi s'est déclaré très satisfait des explications qui lui avaient été données et a ajouté que son Gouvemement suivrait la mème ligne que le Gouvemement français.

Les Ministres ont ensuite échangé des vues sur l'immigration. Ils ont, l'un et l'autre, constaté que des éléments communistes s'étaient, à la faveur des circonstances, infiltrés dans !es organismes aux quels incombent, aux termes des accords, la responsabilité des opérations d'immigration. De part et d'autre tout un travail de préparation a été fait et il est permis d'espérer qu'à l'avenir !es difficultés rencontrées ne se produiront plus.

M. De Gasperi a ensuite évoqué le problème de l'association de l'Italie à l'organisation de l'Europe occidentale.

M. De Gasperi a dit que le Gouvemement italien était décidé à marcher dans la voie de l'association de l'Italie à cette organisation mais il a rappelé que cette association soulevait en ltalie des oppositions assez vives, plus spécialement de la part des communistes.

Cette opposition s'explique sans peine dans un pays ayant subi deux guerres en 20 ans et pour qui la seconde a donné lieu à une lutte qui s'est poursuivie en mème temps sur le pian intemational et sur le pian intérieur. Actuellement le courant pacifiste est extrèmement fort en Italie en dehors de toute considération d'allégeance de telle ou telle tendance idéologique, il y a donc une certaine résistance de la part des italiens à tout initiative susceptible de conduire l'Italie à un conflit armé. Il s'est toutefois montré optimiste au sujet des résultats du débat parlementaire: il a exprimé la confiance de réussir à le mener de façon à donner une ampie liberté d'action au Gouvemement italien.

Cependant, le Gouvemement italien, pour sa part, souhaite sans trop tarder, ètre appelé à participer à quelques forme d'organisation occidentale. On lui a beaucoup dit que le Gouvemement britannique lui était, en l'espèce, peu favorable. Les Américains, consultés, n'ont pas confirmé cette indication.

M. De Gasperi s'est demandé si le Gouvernement britannique n'avait pas tendance à prèter au Gouvernement italien l'intention d'exploiter une invitation qui lui serait adressée pour obtenir, en contre partie de son acceptation, des avantages soit sur le pian colonia!, soit sur le pian de la révision du traité de paix. Or il tient à préciser que le Gouvernement italien n'a pas cette intention.

L'échange de vucs se poursuit; (M. de Gasperi a dit que si l'organisation curopéenne avec garantie et aide américaine était constituée, I'Italie restant cn dehors, l'opinion publiquc italienne aura i t l 'impression d'ètre abandonnée et !es conséquences pourraient en ètre sérieuses) il permet de faire apparaìtre à M. De Gasperi que la France est favorable à l'accession de l 'Italie au Pacte dc l' Atlantiquc (M. Chauvel fait obscrver que pour ce qui concerne le Pacte de l' Atlantique, il y a réticence de la part du Gouvemement britannique) ainsi qu'à son association, aussi prochaine que possible, aux travaux tendant à la réalisation de l'union européenne. Sur ce second point M. Schuman indique que, d'après lui, l'ltalie devrait ètre appelée à entrer dans la combinaison aussitòt que les cinq participants au Pacte de Bruxelles se seraient mis d'accord sur la question de principe et avant qu'aucun accord n'ait été signé entre eux. L'Italie, dans cette hypothèse, ne serait pas appelée à adhérer à un accord déjà conclu, mais participerait à cette conclusion au mème titre que !es cinq puissances signataires du Pacte de Bruxelles.

En ce qui concerne !es colonies italiennes, !es propos échangés n'ont fait apparaìtre aucun élément d'information nouveau.

M. Schuman a très nettement précisé qu'à ses yeux deux solutions seulement étaient possibles; à savoir le règlement simultané de toutes !es questions relatives à l'attribution de la Libye ou la remise à une date ultérieure du règlement de tous ces problèmes.

M. De Gasperi a dit que tous les renseignements en son pouvoir portaient à croire que la population de la Tripolitaine n'était pas contraire au retour de l'Italie: il n'y avait pas de raison de s'attendre à des troubles sérieux.

Les deux interlocuteurs ont convenu que la position à laquelle s'arrèterait en définitive la délégation americaine serait décisive.

M. Schuman a évoqué !es difficultés que soulevait en France la question de la ratification de l'accord portant modification de la frontière.

M. Quaroni a fait état des contacts qu'il avait pris et se proposait de développer avec le Marquis de Moutiers.

M. Schuman a marqué qu'il ne s'agissait pas de remettre en question l'attribution de la centrale électrique du Mont Cénis, mais que !es objections portaient sur l'intérèt militaire que présentait telle crète ou te! versant.

Il a été admis que l'affaire ferait l'objet, dans quelque temps, d'un échange de vues destiné à faire le point. M. Schuman a déclaré que sa principale préoccupation était d'éviter un vote hostile, !eque! pourrait avoir un effet mora! tout à fait disproportionné avec son objet géographique.

c

APPUNTO DELL'AMBASCIATORE QUARONI

L'appunto francese è sostanzialmente esatto.

Per la parte concernente l'associazione dell'Italia all'organizzazione dell'Europa Occidentale Schuman ha spiegato al presidente De Gasperi molto in dettaglio la situazione e particolarmente:

l. l'indipendenza del Patto atlantico da quello di Bruxelles.

2. -Il desiderio francese che l'organizzazione europea non lasci fuori il Mediterraneo, anche al di là (geograficamente) della partecipazione italiana: l'opportunità che sia Francia che Italia facciano presente ali' America questa necessità: la necessità del contatto fra i due in occasione della prossima visita del generale Marras. 3. -Che la commissione per la Federazione europea che si riunisce a Parigi non è che una commissione di studio: ha messo in rilievo che la delegazione francese non ha istruzioni ed è del tutto indipendente nei suoi giudizi dal Governo francese.

Circa la questione delle colonie Schuman ha detto precisamente al presidente De Gasperi che sia lui personalmente, sia il suo ambasciatore avevano fatto presente agli americani che, qualora essi insistessero per presentare la loro tesi: Somalia a noi e Cirenaica agli inglesi, da parte francese sarebbe stato presentato un emendamento concernente la Tripolitania e l'Eritrea.

Ho cercato nel corso della mia conversazione con Chauvel di far rettificare l'appunto su questo punto. Mi ha risposto che si trattava soltanto di una traccia di conversazione, che non conveniva quindi di «l'encombrer di dettagli». La ragione effettiva è evidente: i francesi che sono molto decisi sulla Tripolitania non amano, per ragioni loro, apparire in prima linea sul! 'Eritrea.

Schuman ha anche detto di dover rilevare con tutta franchezza che per quello che concerneva l 'Eritrea bisognava tener presente che ali' Assemblea il caso deli 'Etiopia incontrava larghe correnti di simpatia anche fra paesi a noi favorevoli, quali gli Stati dell'America latina (cosa del resto assolutamente esatta).

Da aggiungere che la conversazione ha avuto un tono generale particolarmente cordiale: come cordiale è stata l'accoglienza fatta al presidente del Consiglio in tutti gli ambienti.

664 1 Autografa.

664 7 Vedi D. 523.

664 9 Vedi D. 768. 10 In fondo al foglio De Gasperi ha scritto: «Copiare e passare a Sforza. La parte del Belgio, la mia e quella di Diana [vedi D. 662, Allegato], mandarla anche all'ambasciata di Bruxelles».

664 11 Assistevano l 'ambasciatore Quaroni e il segretario di Stato Devinat.

665

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15230/51. Pretoria, 25 novembre 1948, ore 16,25 (per. ore 7,30 del 26).

Telegramma di V.E. 33 1•

Ho conferito primo ministro che ha accolto favorevolmente richiesta espressagli a nome Governo italiano. Mi ha detto fino a questo momento non risultano informazioni qui giunte da Parigi, [che] confermassero notizie giunte al [Ministero]. Comunque sembravagli [opinioni] autorità politiche italiane non fossero contrasto opinione Governo sudafricano, da lui personalmente manifestata, circa sorte colonie italiane. Egli avrebbe consultato funzionari Dipartimento degli esteri perché istruzioni fossero inviate delegazione sudafricana, e mi ha espresso rincrescimento che per Cirenaica Governo sudafricano non avesse potuto appoggiare Italia. Governo sudafricano aveva dovuto tener conto imperiose necessità, particolarmente sentite qui, che una potenza militare forte si opponga nel Mediterraneo ad altra che ne minaccia sicurezza; soprattutto in vista precaria situazione Grecia mi ha reiterato interesse che Sud Africa attribuisce restauro consolidamento posizione Italia. Nella comunità cristiana occidentale mi ha detto non essere chiaro atteggiamento americano nei riguardi questione coloniale, e si domanda se americani non vogliano essi stessi riservarsi Tripolitania per stabilire proprie basi. Conferirò domani segretario generale e riferirò2 .

666

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. RISERVATO PER CORRIERE 15420/0300. Parigi, 25 novembre 1948 (per. il 27).

Chauvel mi ha detto che questa mattina ambasciatore America gli ha rimesso personalmente nota dichiarante ferma intenzione Governo Stati Uniti inclusione Italia Patto atlantico.

Nota è indirizzata cinque firmatari Patto Bruxelles.

665 1 Vedi D. 633, nota 3. 2 Per il seguito vedi D. 710.

667

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 31/1209. Roma, 25 novembre 1948.

Ho ricevuto i due rapporti del 22 corrente'. Circa il colloquio di V.E. con Marshall non solo approvo, ma mi compiaccio per la sua iniziativa.

Circa la conversazione con Jebb approvo che ella abbia rilevato l'analogia di fatto delle mie proposte «europee» con quelle di Bevin. La prego anzi di ricordare o [far] apprendere a Jebb o a altro interlocutore britannico che ogni volta che in discorsi e scritti ho affermato le mie idee circa la federazione europea, non ho mai mancato di aggiungere che il mio dovere di uomo di Governo oltrepassava ogni mia preferenza dottrinale e personale; che quello che per me contava era il fine, non la via da percorrere; e che ben sapevo -più d'una volta ho detto -che quando si tratta di notevoli passi avanti il meglio era nemico del bene. Farò seguire più dettagliate istruzioni2.

Per sicurezza di sempre maggiore chiarimento -poiché a Londra si ha tanta paura dei federalistic fools -invio all'ambasciatore a Londra il suo rapporto e questa mia risposta.

668

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1628 SEGR. POL. Roma, 25 novembre 1948.

Quello che mi scrivi nella tua lettera del 14 corrente' circa i nostri rapporti con l'Inghilterra, è di vivo interesse attuale. Anch'io mi sono posto spesso il problema.

C'è indubbiamente qualcosa che avvelena l'atmosfera generale dei rapporti tra i due paesi, ed è in quest'atmosfera avvelenata che le questioni insolute (colonie) si fanno virulente, quelle già risolte producono effetti lenitivi che si rivelano soltanto limitati e transitori (navi), e nuovi attriti insorgono continuamente per le questioni più futili o per i malintesi più goffi (vedi il trattamento dei nostri operai nel Kenia, o la incredibilmente tardiva resipiscenza delle autorità inglesi dopo il massacro di Mogadiscio, la questione del film sulle Olimpiadi, ecc.).

Vedi D. 678. 668 1 Vedi D. 624.

Ora non voglio fare della psicologia generica, e tanto meno delle recriminazioni del tipo «passionale». È certo tuttavia che gli inglesi, i quali in Italia sono stati rispettati e ammirati per secoli, e nell'ultima fase della guerra e la prima della liberazione (quella che corrisponde alla fase di «radio-Londra», tanto per intenderei) erano considerati quasi con maggior simpatia degli americani, hanno ora perduto gran parte e forse tutta la loro popolarità. Tanto che può dirsi sia riuscito ad essi di ottenere quella cordiale antipatia che a Mussolini non era riuscito mai di inculcare nell'animo degli italiani!! Naturalmente è avvenuto anche il reciproco; quel poco favorevole, e di dubbia lega, di cui godevamo in Inghilterra è andato tutto perduto. La colpa sarà di tutti e due in parti eguali, oppure principalmente nostra o loro. Non importa; il risultato è questo, un estraniamento progressivo di due popoli che per ottanta anni avevano proceduto, in complesso, d'amore e d'accordo.

Tu dici: le colonie non sono l'ostacolo principale, occorre trovare una serie di punti di interesse comune tra i due paesi. Sono tentato di darti ragione, ma vorrei prima sapere se diamo lo stesso senso alle stesse parole.

Proprio in questi giorni abbiamo detto agli inglesi: «ci dispiace di constatare come a cinque anni dall'Armistizio ci consideriate ancora non si sa bene se come dei nemici o come gente di cui non vale la pena di ricercare l'amicizia. Non vuol dire: noi invece consideriamo che l'accordo e la cooperazione con voi siano un caposaldo della nostra politica. La nostra è una standing offer, e siamo sicuri che un giorno vi accorgerete che ha del valore per noi e per voi».

La verità è che in questo momento non facciamo la minima paura all 'Inghilterra, e perciò lei si permette tante cose con noi, ivi compresa quella singolare negligenza e intempestività nei suoi rari atti generosi che le impedisce di trame alcun beneficio. Ma ha avuto paura nel passato e sarebbe pronta a riaveme per l'avvenire se le circostanze lo rendessero possibile, ad esempio se fosse possibile per noi, il che non è, fare una politica di equilibrio tra i due blocchi. Allora rivedremmo la vecchia Inghilterra, con una politica fatta ancora più chiara ed energica dalle esperienze del recente passato, ma sostanzialmente identica a quella di prima, pronta a schiacciarci se dessimo segno di voler passare dall'altra parte, ad accordarsi largamente e liberamente con noi se ci mostrassimo a ciò propensi: il che non abbiamo saputo fare nel '38-'39.

Ecco ciò che, a mio parere, manca più di ogni altra cosa ai nostri rapporti con l'Inghilterra; manca questo ossigeno che, circolando liberamente in essi, li salverebbe dall'intristirsi, creando spontaneamente, e ad ogni piè sospinto, nuove occasioni, se non d'intesa, quanto meno di chiarificazione e definizione. E, nota bene, è una mancanza che è dovuta soltanto in parte alla sconfitta.

Riprendiamo ora, a fronte di queste premesse, le tue due osservazioni. Certo, le colonie non costituiscono l'ostacolo principale ma tanto meno costituiscono un motivo ed uno spunto per mettersi d'accordo. Sono anzi per l'Inghilterra, e in questo risiede la loro importanza capitale, un'occasione aperta per regolare definitivamente i conti con noi, nel senso di impedirci di ridiventare per lei, non tanto un pericolo (l'ipotesi è per ora così lontana da essere priva di interesse attuale) quanto un partner potenziale con il quale le potrebbe un giorno convenire di mettersi d'accordo per ripartire interessi e influenza. E per quanto riguarda il secondo punto: è esatto che la cura del male sarebbe di trovare dei punti di interesse comune; il guaio è che l'Inghilterra, senza neppure pensarci troppo ma soltanto limitandosi a seguire empiricamente la meccanica interna del giuoco, si sta mettendo nella condizione di non avere, o per meglio dire di avere il minimo possibile di punti di interesse comune con noi. I due da te additati sono certamente importanti ma, secondo me non sufficienti; a proposito del primo, collaborazione economica, siamo decisi a proseguire quanto abbozzato aii'O.E.C.E. e prossimamente verrà regolata anche la vessata questione della cross-rate. Quanto al secondo (Unione Europea) non dipende solo da noi il collaborare attivamente; siamo già riusciti a fare molto da soli, portandoci innanzi, dal poco o nulla, approfittando di questa questione che abbiamo colto a volo, col Memorandum del 24 agosto2 . Ma se Londra ci dà l'ostracismo non vi sarà possibilità di collaborazione. Però, ripeto, questi due punti non mi sembrano di natura tale da poter modificare lo stato psicologico dei rapporti italo-inglesi. Non credo che a Londra si indurrebbero, oggi, a modificare, per questa collaborazione, il loro punto di vista in materia coloniale, e d'altra parte qui si capirebbe ancora meno la liquidazione dell'Italia in Africa, in clima di collaborazione italo-inglese: le ire sarebbero anche maggiori.

Purtroppo però vi sono anche dei punti di divergenza, e non di poco momento, fra noi e Londra: essi investono la nostra presa di posizione politica generale e i nostri rapporti con gli altri paesi. Tu sai che noi facciamo una politica di sempre più intimo accostamento con la Francia e spingiamo per l 'unione, anche doganale, europea. A qust'ultimo riguardo rappresentiamo anzi, in tutte le riunioni, la pattuglia di punta. Questa nostra politica trova approvazione e incoraggiamento in America. Ancora durante la sua recente venuta a Roma, Harriman ci ha detto di perseverare, perché questa è la via giusta e che risponde alle idee e alle aspettative del popolo americano. Disse «le simpatie per voi, e il vostro prestigio, cresceranno negli Stati Uniti; incontrerete in Europa difficoltà e avrete grattacapi, ma perseverate».

Questa linea politica incontra infatti l'ostilità della Gran Bretagna. Essa non può far parte di una unione doganale europea per le stesse ragioni per cui non vuole una unione politica sulle linee del progetto francese (e se su questo punto ultimo è d'accordo con noi e lo è perché noi siamo possibilisti e non utopisti). Non potendo parteciparvi, non la vuole. Del pari non vede di buon occhio l'unione doganale italo-francese e un eccessivo riavvicinamento italo-francese. È la sua vecchia politica.

Per noi si tratta o di «vivacchiare» (con conseguenze non solo di prestigio) o di creare delle migliori prospettive di vita a questo nostro paese e a questo popolo. Abbiamo così aperto innanzi a noi queste due vie e siamo convinti che ci consentiranno delle possibilità feconde. Dobbiamo lasciar perdere?

Se «molliamo» rinunceremo certamente ai vantaggi che ci proponiamo di ottenere e Londra ne sarebbe felice, ma che cosa avremmo in cambio dalla Gran Bretagna?

D'altra parte, tu mi dirai, e ne convengo, bisognerebbe assicurarsi che chi ci spinge su questa via non si limiti ad applaudirci per poi mollarci ogni qual volta loro conviene per tenersi buona l 'Inghilterra (parlo della Francia e degli Stati Uniti). È quindi in gran parte il problema della nostra politica estera che sta racchiuso in questa alternativa.

Mi sarebbe gradito conoscere il tuo pensiero3 .

667 1 Vedi DD. 648 e 649.

668 2 Vedi D. 350, Allegato.

669

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 13387/896. Roma, 26 novembre 1948, ore 19,30.

Suo 1128 1•

Pressioni da noi esercitate in questi giorni presso Governi paesi amici sono state nel senso che, ove non fosse possibile come ormai appare evidente far prevalere nostra primitiva proposta, si cercasse condizionare accoglimento insistente richiesta britannica Cirenaica per risolvere contemporaneamente secondo nostre aspirazioni e proposte questioni altri territori. Ove nemmeno questa soluzione apparisse ora possibile, riteniamo preferibile rinvio intera questione. Ciò varrebbe se non altro far constatare che, con aiuto nostri amici, saremmo riusciti impedire soluzioni contrarie nostri interessi e potrebbe consentire ulteriore ripresa in esame questione con prospettive più favorevoli 2 .

670

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI

TELESPR. URGENTE 15/3 l 042/82. Roma, 26 novembre 1948.

R(ferimento: Suo telespresso n. 274611594 del 2 novembre u.s. 1• Si concorda con le considerazioni da lei accennate in merito all'opportunità di soprassedere, per il momento, ai sondaggi delle disposizioni bulgare ad assumersi la

669 1 Vedi D. 659. :> Per la risposta vedi D. 682. 670 1 Vedi D. 583.

tutela degli interessi italiani in Albania. Si prega tuttavia di voler tener presente, nei contatti con codesto Ministero degli esteri, che, allo stesso titolo per cui noi tolleriamo che questa legazione di Bulgaria si interessi del rimpatrio di qualche albanese, potrebbe la legazione bulgara in Tirana trovare pari tolleranza presso le autorità albanesi in materia di rimpatrio di nostri connazionali che si trovano in speciali condizioni di salute o di famiglia.

Ella è del pari autorizzata a proporre a codesto ministro di Albania lo scambio di una missione economica albanese con una missione italiana incaricata di curare sul posto il rimpatrio degli italiani. È stato del resto sempre nei nostri intendimenti -fin dal momento dell'invio della missione Turcato in Albania -assecondare, entro certi limiti, l'aspirazione albanese ad una ripresa di traffici commerciali con l 'Italia per portare il Governo di Tirana ad una visione più realisti ca del suo interesse di arrivare a normalizzare i rapporti con noi.

Occorrerà però insistere sulla contemporaneità di un siffatto scambio di missioni. Come per le richieste albanesi connesse col trattato di pace, noi non potremmo infatti accettare, né la opinione pubblica capirebbe, una trattativa che non fosse preceduta da concrete prove di buona volontà albanese di risolvere l 'angoscioso problema degli italiani trattenuti arbitrariamente in Albania2 .

668 3 Vedi D. 707.

671

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 26 novembre 1948.

Poiché la base giuridica delle relazioni itala-sovietiche è rappresentata, per il momento, soltanto dal trattato di pace, il quale non stabilisce obblighi che per l'Italia, le violazioni da parte dell'U.R.S.S. di impegni internazionali a danno nostro non possono -sempre da un punto di vista giuridico -che essere riferite a quelle pochissime clausole del trattato stesso che in qualche modo sono impegnative per le potenze alleate ed associate.

Le più notevoli violazioni in tal senso concernono:

a) la questione dell'ammissione del! 'Italia nel/ 'O.N.U. Nel preambolo del trattato di pace è detto che la conclusione del trattato stesso avrebbe dovuto «permettere alle potenze alleate ed associate di appoggiare le domande che l'Italia presenterà per divenire membro dell'O.N.U. e per aderire ad ogni Convenzione conclusa sotto gli auspici delle Nazioni Unite». L'U.R.S.S. condizionò invece il suo consenso all'ammissione dell'Italia nell'O.N.U. al consenso degli altri Stati

all'ammissione di alcuni paesi del blocco orientale e balcanico; né mostra di voler recedere da tale atteggiamento anche dopo che la Corte internazionale di giustizia si è pronunziata nel senso che un membro del Consiglio di sicurezza o dell'Assemblea non può, da un punto di vista giuridico, far dipendere il suo consenso, in materia di ammissione di nuovi Stati, da condizioni non espressamente previste dalla statuto dell'O.N.U.;

b) la questione dei prigionieri di guerra. Anche a voler ammettere che il Governo sovietico -come esso sostiene -abbia adempiuto all'obbligo stabilito dall'articolo 71 di restituire i prigionieri di guerra italiani, non è meno una violazione dello stesso impegno il fatto che l'U.R.S.S. continui a trattenere un gruppo di 28 militari quali «indiziati» di crimini di guerra, e ciò a più di cinque anni dall'armistizio e a più di tre dalla fine della guerra e per motivi che ormai, dato il lungo tempo trascorso, devono presumersi privi di fondamento;

c) la questione del rimpatrio del gruppo di funzionari e diplomatici di Salò, sorpresi dagli avvenimenti in Bulgaria e Romania e internati nell'U.R.S.S. quali «collaborazionisti». Sulla loro situazione nessuna notizia precisa si è avuta finora, dato che essi sono posti nell'assoluta impossibilità di corrispondere con l'ambasciata in Mosca o con le famiglie in Italia. Il trattamento fatto dal Governo sovietico a questi nostri connazionali costituisce una patente violazione dei «diritti dell'uomo», più ancora che di una disposizione del trattato di pace.

Se da un punto di vista giuridico la particolare posizione dell'Italia verso l'U.R.S.S. non consente di registrare altre violazioni di impegni internazionali, da un punto di vista politico deve per converso essere posto in rilievo l'atteggiamento sovietico nettamente contrario al principio della revisione del trattato di pace, o anche soltanto ad ogni adattamento pratico che renda meno intollerabili gli oneri imposti all'Italia.

Tanto dal punto di vista giuridico che da quello politico ben diverso è il quadro se si esamina il comportamento del Governo sovietico nei riguardi dei paesi che con l'U.R.S.S. hanno collaborato nel fissare le norme che regolano l'attuale vita internazionale. Per nessuna delle violazioni attribuire all'U.R.S.S. dagli altri paesi, il Ministero degli affari esteri dispone di diretta documentazione, che pertanto va ricavata dalle pubblicazioni ufficiali straniere.

A tale riguardo si ricorda che il Dipartimento di Stato nordamericano -per documentare il discorso pronunziato il 17 maggio u.s. dal presidente Truman al Congresso, discorso culminato con la denunzia che l'U.R.S.S. «aveva persistentemente ignorato e violato» gli accordi posti come base per una giusta pace presentò alla Commissione degli affari esteri del Senato un elenco di 37 violazioni di accordi commesse dall'U.R.S.S. Si rimette (allegato 1)1 il n. 466 del bollettino del Dipartimento di Stato che riporta (pagg. 738-744) per ciascun paese e per ciascun

accordo le violazioni in questione fino al giugno scorso (10 Germania, 7 Austria, l Polonia, 3 Ungheria, 6 Bulgaria, 3 Romania, 4 Corea, 3 Manciuria).

Dal 19 giugno i rapporti tra l'U.R.S.S. e le potenze occidentali sono stati dominati dalla crisi di Berlino, per la quale il Dipartimento di Stato ha pubblicato il qui unito Libro Bianco (allegato 2).

670 2 Per la risposta vedi D. 723.

671 1 Gli allegati non si pubblicano.

672

IL MINISTRO AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 3548/1205. Ottawa, 26 novembre 1948 (per. il 15 dicembre).

Fin dai miei primi contatti col Dipartimento degli esteri e con questi più importanti giornalisti, ho ripetutamente portato il discorso, nei modi più opportuni possibili, sulla questione delle colonie. Ho naturalmente insistito con ogni utile argomento sulla nostra posizione per un 'immediata decisione favorevole ali' Assemblea dell'O.N.U. circa la Somalia e per il rinvio delle deliberazioni circa la sorte degli altri territori africani.

Nel corso di un lungo colloquio, il signor Reid, Acting Undersecretary of State, che di fatto regge il Dipartimento degli esteri nell'assenza di Pearson, mi informò di notizie giunte da Parigi, secondo le quali l'intera questione coloniale sarebbe stata, con tutta probabilità, rinviata ali' Assemblea generale del 1949. Mi disse di ritenere che questa avrebbe potuto essere la soluzione a noi più favorevole, in relazione anche ai prevedibili sviluppi della situazione internazionale. Ne avremmo anche ricavato maggior tempo per la nostra opera di persuasione. Non mancai ovviamente di ribattere, insistendo ancora sul nostro punto di vista.

In seguito ad altre conversazioni col direttore degli affari politici del Dipartimento, quest'ultimo mi accennò genericamente, anzi nebulosamente, a possibili eventi favorevoli a Parigi, assicurandomi che mi avrebbe riparlato dettagliatamente della questione, ove tali eventi finissero per concretarsi. Ammise d'altronde, tra il serio ed il faceto, che le difficoltà di una decisione circa l'assegnazione dei trusteeships sulla colonie sono tali da far apparire come soluzione più semplice quella di tenere in maggiore considerazione le richieste dell'Italia.

Non escluderei che il predetto alto funzionario abbia inteso riferirsi a qualche voce qui giunta di intensi contatti diplomatici a Parigi, anche italo-inglesi, insistendosi però da parte britannica sull'attribuzione immediata della Cirenaica alla Gran Bretagna. In compenso Londra appoggerebbe subito la concessione ali 'Italia del trusteeship somalo e farebbe qualche promessa per la decisione l'anno prossimo della sorte degli altri territori. Riferisco quanto precede, per debito d'ufficio, certo che queste voci -se tali -debbono essere già note costì.

673

IL CONSIGLIERE PER LE QUESTIONI COLONIALI, CERULLI ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

APPUNTO. Parigi, 26 novembre 1948.

Durante i colloqui di ieri per sollecitare la seconda riunione dei latino-americani l'ambasciatore del Perù, Berckmeyer y Paz, mi ha confidenzialmente detto che da parte britannica è stato detto ad alcuni latino-americani che la votazione del trusteeship britannico per la Cirenaica è in realtà la premessa per un futuro compromesso tra Italia e Inghilterra. «L'Italia mantiene una atteggiamento molto rigido» è stato detto. «La votazione per la Cirenaica può servire ad indurre il Governo italiano a scoprire le sue carte e dichiarare le sue convinzioni finali per l'accordo che da parte britannica si auspica».

Lo scopo di tale discorso è ovvio.

674

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A SANTIAGO, FORNARI

T. RISERVATO URGENTE 13426/34. Roma, 27 novembre 1948, ore 23.

Telegramma V. E. 81 1•

Nostra linea di condotta è di astenerci dall'interferire nella situazione interna dei vari paesi americani e nelle questioni di esclusivo interesse interamericano. In casi di mutamenti violenti di Governo subordiniamo generalmente nostro riconoscimento due condizioni: che nuovi Governi dimostrino di disporre di effettivo potere in tutto il paese; che siano stati già riconosciuti da un certo numero di Governi americani.

In tal senso abbiamo proceduto confronti attuale Governo peruviano, che abbiamo recentemente riconosciuto2 .

Ove opportuno, ella potrà avvalersi tali elementi per illustrare in via confidenziale codesto Governo ragioni nostro atteggiamento.

Vedi D. 590.

674 1 Del 23 novembre, con il quale Fomari aveva riferito che il ministro degli esteri cileno chiedeva di essere informato circa la posizione italiana nella questione del riconoscimento del Governo militare del Perù.

675

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 15405/405. Mosca, 27 novembre 1948, ore 3,07 (per. ore 8).

A nome La Malfa e mio comunicovi quanto segue: «Poiché situazione trattative giunta a punto critico, riteniamo dare a V.E. tutti gli elementi di giudizio su di essa per decisioni da prendere per eventualità suo repentino peggioramento. Occorre tener presente che sovietici con accordo 6 novembre non hanno soltanto rinunciato alle loro tesi interpretative del trattato circa le riparazioni, ossia: l) libera loro scelta beni balcanici; 2) prezzi 1938 forniture produzione corrente; 3) commissioni riparazioni. Queste tesi sono definitivamente superate. Inoltre ed essenzialmente sovietici con detto accordo hanno accettato i principi fondamentali da noi posti a base del progetto italiano riparazioni e cioè: consistenza e funzionalità beni balcanici riferite a 8 settembre 1943; estraneità del Governo italiano ai contratti e ai prezzi contrattuali; meccanismo di pagamento riparazioni attraverso accreditamento in conto. Viceversa essi hanno soltanto formalmente incluso tali principi nelle formulazioni da loro presentate nella discussione testo definitivo. In verità essi praticamente li smentiscono chiedendo intervento diretto Governo italiano per assicurare conclusione ed esecuzione contratti e per convertire impegno annuale d'accreditamento in un impegno di consegna annuale di fornitura, il che contrasta al principio della libera contrattazione. Inoltre affogano i principi stessi in una serie di emendamenti a tutti gli articoli togliendo così ogni coerenza formale e sostanziale al progetto italiano e rendendolo equivoco, macchinoso e con obbligazioni non esattamente delimitate. La sola ragione seria che essi adducono per giustificare loro controproposta circa intervento del Governo italiano nei contratti è preoccupazione trovarsi di fronte artificiose ed eccessive pretese prezzi ed altre condizioni contrattuali da parte fornitori. Si potrebbe ovviare a tali preoccupazioni sovietiche introducendo nell'art. 5, dopo le parole "fermo restando" e le parole "i prezzi saranno quelli correnti del mercato italiano alla data della conclusione del contratto". Ma a parte il fatto che i sovietici troverebbero forse tale aggiunta insufficiente siamo convinti che in situazione così equivoca non convenga assolutamente proporla se non quando tutti altri punti fossero definitivamente accettati a nostro favore. Questa accettazione al punto critico cui sono giunte trattative appare problematica e poiché non possiamo lasciare trascinare trattative soprattutto in vista termini consegna navi riteniamo indispensabile affrontare decisamente situazione ponendo sovietici di fronte a nostro irrigidimento anche a costo di rottura. In caso rottura sovietici tenteranno addossarci responsabilità per rifiuto garanzia contro condizioni vessatorie contratti ma noi oltre ad invocare loro assenso principi nostro progetto potremo documentare articoli da loro proposti che sovvertono totalmente principi medesimi. Perciò pur non volendo escludere possibilità sorprese anche favorevoli, sempre possibile data mentalità

sovietici, prego V.E. autorizzarmi per caso fallimento imminenti ultimi incontri assumere tale posizione fino rottura.

Naturalmente in tale caso comunicheremmo Molotov e Mikoyan documenti necessari per chiarire irrefutabilmente legittimità nostra posizione. Comunicheremmo specialmente a Molotov che accordo 6 novembre ritiensi sospeso in ogni sua parte e che intera materia verrà sottoposta da Governo italiano a quattro ambasciatori ai sensi articolo 86 trattato pace.

Anche su quest'ultimo punto prego V.E. volerei preventivamente autorizzare».

676

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARPESANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 15438/227. Buenos Aires, 27 novembre 1948, ore 3,30 (per. ore 17,30).

Il presente telegramma si riferisce telegramma ministeriale 194 1•

Iniziativa qui accolta massimo favore.

Oltre rispondere noti atteggiamenti presidente della Repubblica, essa giunge particolarmente gradita per prestigio che ne può derivare al Governo alla vigilia stesse elezioni 5 dicembre. Rilevo questa favorevole situazione, giacché penso che, a prescindere auspicati sviluppi di un protocollo di carattere generale, occasione forse consente assicurarci anche qualche concreto beneficio immediato e comunque delle intese impegnative su determinate questioni. Segnalo tra l'altro nel campo culturale questione insegnamento lingua italiana e riconoscimento nostri titoli accademici (mio te l espresso 961 del 29 ottobre u.s. f: entrambi per noi di notevole importanza ma che nonostante generici affidamenti non è mai stato possibile condurre in porto.

Ho creduto pertanto, nel presentare iniziativa, pur illustrando nostri propositi manifestazione gratitudine, di mettere accenti su obbiettivi collaborazione concreta: ed ho accennato che atto potrebbe costituire base ed eventualmente contenere impegni di specifici accordi.

Nel campo politico possibile tendenza Argentina interpretazioni accordi o anche semplici affermazioni nello spirito della proclamata «terza posizione» con i suoi noti riflessi nei confronti certune situazioni internazionali (miei rapporti 53 7 e 626 del 24 giugno e del 23 luglio )3 .

2 Non rinvenuto.

3 Vedi DD. 143 e 237.

Mi risulta questo Ministero esteri si propone predisporre progetto Protocollo da trasmettere sua ambasciata a Roma per orientamento.

676 1 Vedi D. 656, nota l.

677

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15449/231. Bruxelles, 27 novembre 1948, ore 19,27 (per. ore 8 del 28).

Questo segretario generale degli affari esteri, parlando delle conversazioni in corso per il Patto atlantico, mi ha detto Belgio non era contrario ma perplesso circa adesione eventuale dell'Italia al Patto Bruxelles in quanto ciò avrebbe significato sollevare problema difesa Mediterraneo, questione che doveva essere esaminata dalle grandi potenze ma che Belgio, piccola potenza, riteneva fuori sua competenza e sue responsabilità.

De Gruben si è espresso negli stessi termini anche per Patto atlantico. Egli ha detto Belgio sarebbe favorevole partecipazione Stati scandinavi (i quali peraltro dimostrano scarso entusiasmo) ma meno propenso inclusione altri Stati come Italia e Turchia, geograficamente troppo distanti dalla zona che interessa particolarmente Belgio che tuttora invece patrocina progetto originario inglesi che prevedeva stipulazione Patto atlantico settentrionale.

Ciò mi sembra confermare quanto più volte ho avuto occasione far presente su aspirazione Benelux di assicurarsi parte preponderante assistenza americana e d'altra parte timore che partecipazione altri Stati alle intese per la difesa occidentale portino diminuzione prestigio e importanza politico-strategica di Benelux nonché diminuzione nella quota parte aiuti.

678

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. 31/1215 1• Roma, 2 7 novembre 1948.

Riferimento: Suo te l espresso 1567/20675/4418 del 22 novembre2 •

Le grandi linee del progetto Bevin, quali delineate a V.E. da Jebb2 , erano state qui vagamente accennate anche da Mallet con l'avvertenza che il signor Bevin si sarebbe riservato di darvi maggiore consistenza dopo l'esito delle elezioni americane.

Tale progetto presenta ovviamente un notevole passo innanzi rispetto ali' anteriore posizione britannica circa l'Unione Europea e contiene elementi pratici e positivi di indubbio interesse per una prima realizzazione di tale unione.

Come noto la nostra posizione non è aprioristicamente contraria al progetto francese e tanto il Governo italiano quanto l'opinione pubblica vedono con simpatia e appoggiano quei movimenti federalisti che tendono alla costituzione di una federazione europea. Ci rendiamo tuttavia conto che occorre procedere con la necessaria gradualità realizzando il realizzabile poiché ciò che conta è mettersi in cammino e avvicinarsi alla mèta: il meglio è sempre stato nemico del bene.

Perciò come già le ho significato con mio dispaccio del 25 corrente3 , bene ha fatto V.E. nel rilevare che il progetto Bevin merita la più attenta considerazione e che esso appare abbastanza vicino ai concetti essenziali del mio Memorandum del 24 agosto4 . In questo Memorandum, come noto, noi abbiamo considerato come embrione dell'Unione Europea l'O.E.C.E. e ciò per le seguenti ragioni:

l) esso è una organizzazione già esistente e, come ha osservato Jebb, funziona già in modo abbastanza soddisfacente: non vedevano quindi la necessità di creare un nuovo organismo di cooperazione europea;

2) data l'impostazione dell'O.E.C.E. i vincoli economici che esso viene man mano creando fra i paesi aderenti creano fra i paesi stessi una interdipendenza che non potrà non riflettersi sui problemi di cooperazione politica di per se stessi più difficili da conciliare;

3) perché nell'O.E.C.E. sono rappresentati numerosi paesi, e, a nostro avviso, anche per ragioni note di politica interna, converrebbe che l'Unione Europea non comprendesse soltanto i Cinque di Bruxelles più l'Italia, ma fosse il più possibile estesa.

Non credo, a prima vista, che ci irrigidiremo su tale formula ove si precisi quali compiti, data l'esistenza dell'O.E.C.E., potrebbero venire deferiti agli organi economici dell'Unione Europea previsti da Bevin, avendo presente anche i lavori del Comitato per le unioni doganali, e tenendosi sempre presente la possibilità che, una volta terminato l'E.R.P., i compiti di cooperazione economica europea vengano rilevati dai progettati organi economici de li'Unione Europea. Altrimenti questa verrebbe ad essere puramente una show priva di effettivo contenuto.

Purché il progetto Bevin sia una realtà, purché le riunioni del Comitato proposto siano più frequenti, in modo da sostituirsi gradatamente al Consiglio consultivo di Bruxelles, io non potrei che confermarle quanto le scrissi il 25 corrente, e cioè che quello che per noi conta è il fine, non la via da percorrere. Se il progetto Bevin costituirà un reale passo avanti, noi terremo presente che il meglio è nemico del bene.

4 Vedi D. 350, Allegato.

678 1 Inviato per conoscenza alle ambasciate a Londra e Washington ed alle direzioni generali degli AtTari ;olitici e degli Affari economici con allegato il !el espresso di Quaroni in riferimento. Vedi D. 649.

678 3 Vedi D. 667.

679

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 2451/1065. Belgrado, 27 novembre 1948 (per. il JO dicembre).

Subito dopo la nomina del signor Kardelj a nuovo ministro degli esteri del Governo jugoslavo, avevo chiesto di potergli fare la consueta visita di cortesia. Tale visita è avvenuta il 24 novembre u.s. Per quanto fossero trascorsi circa tre mesi dalla mia richiesta, è da osservarsi che fino ad ora, a quanto mi risulta, era stato ricevuto, fra i capi missione, soltanto l'ambasciatore degli Stati Uniti, sulla cui visita ho riferito a V.E. il 13 corrente con mio rapporto n. 2333/1035 1•

Kardelj mi ha ricevuto alla Presidenza del consiglio, dove risiede normalmente.

La conversazione, durata un'ora, è stata cordiale e Kardelj ha evitato ogni accenno che potesse dispiacermi, e ai quali ero invece abituato nelle conversazioni col suo predecessore Simic.

Mi onoro riassumere brevemente il contenuto della conversazione.

Dopo i convenevoli d'uso, ho detto al signor Kardelj di essere lieto di iniziare i miei rapporti con lui nella speranza di poter giungere a creare relazioni di buon vicinato tra i nostri due paesi. Kardelj mi ha osservato che tali relazioni già esistono e che occorre lavorare per approfondire i rapporti amichevoli, attraverso la soluzione delle questioni esistenti tra i due paesi. Gli ho risposto che da parte del Governo italiano esiste tutta la migliore volontà di migliorare le relazioni ed in particolare da parte di V.E. di cui è noto il pensiero, non soltanto recente, sulla necessità di buoni rapporti tra i nostri due paesi, confinati e complementari in economia, e di cui è anche testimonianza il recente volume di V.E.2 .

Kardelj mi ha espresso tutto il suo personale apprezzamento per V.E., desunto dai rapporti personali che V.E. ha intrattenuto con il ministro di Jugoslavia a Roma e inoltre dalla convinzione sul senso realistico della politica di V.E.

Poiché, sia pure riferendosi al passato, era stato fatto cenno a problemi territoriali, dissi che fra due paesi confinanti è fatale che non si riesca a trovare il punto di sutura per una reciproca soddisfazione, anche perché talvolta i Governi non sono sufficientemente obiettivi.

Per esempio, ho aggiunto, in Jugoslavia si parla molto degli sloveni che vivrebbero in Italia e si tace che un ben maggior numero di italiani vivono attualmente in territorio jugoslavo. Kardelj mi ha risposto che secondo le loro statistiche il numero degli italiani non sarebbe maggiore e che tutto al più si equilibra con gli sloveni che si trovano in Italia. Ad ogni modo, ha voluto conchiudere Kardelj, tra l'Italia e la Jugoslavia esiste un trattato di pace che stabilisce l'attuale frontiera e che la Jugoslavia intende rispettare. Ho prontamente dichiarato a Kardelj che prendevo atto

679 1 Vedi D. 622. 2 CARLO SFORZA, Jugoslavia, storia e ricordi, Milano, Rizzoli, 1948.

volentieri delle sue dichiarazioni perché recenti manifestazioni irredentistiche jugoslave e, in particolare il discorso del generale Gosniak a Lubiana, avevano suscitato in Italia pessima impressione. Kardelj mi ha risposto che si è trattato di un discorso fatto in un congresso di partito, dove si è discusso di politica generale, ma che io dovevo prendere atto della sua dichiarazione fatta in qualità di ministro degli esteri. Mi ha riconfermato che la Jugoslavia intende rispettare il trattato di pace e risolvere tutte le questioni economiche che da esso discendono.

Poiché trattavasi di visita di cortesia ed essendomi accorto che Kardelj conosceva poco i termini delle questioni pendenti tra i due paesi, mi sono limitato a raccomandare a Kardelj la rapida soluzione di due problemi destinati a suscitare particolare reazione nell'opinione pubblica italiana: quella degli amnistiati e quello delle opzioni. Kardelj mi ha promesso tutto il suo interessamento ed in particolare mi ha dato affidamenti per la soluzione dei casi gravi di opzioni respinte, in seno a nuclei familiari, di cui alcuni membri abbiano già ottenuto il decreto di opzione.

Ritornato a parlare dei rapporti italo-jugoslavi in generale, ho ricordato a Kardelj che nel colloquio che io ebbi col maresciallo Tito avevo avuto occasione di esprimere l'opinione che, alla lunga, i rapporti commerciali con l'Italia si sarebbero rilevati i più efficienti rispetto a tutti gli altri rapporti della stessa natura che la Jugoslavia avesse intrattenuto con gli altri paesi e che, specialmente nell'attuale situazione, avevo ragione di ritenere che, anche da parte jugoslava, ci si fosse convinti di questo.

I nostri rapporti commerciali, ho aggiunto, si fondano su reali reciproci interessi che superano i colori e le contingenze politiche. Una riprova di ciò è nel fatto che la mancata vittoria dei comunisti in Italia ha dato la possibilità alla Jugoslavia di continuare con essa i normali rapporti commerciali, il che non si è verificato nella stessa misura con i paesi di colore politico affine a quello jugoslavo. Kardelj non ha nulla obiettato ed anzi ha espresso la sua speranza che tali rapporti vengano sempre più allargati.

Kardelj mi ha poi parlato della delegazione italiana che si trova a Belgrado e che ha poi abbandonato le conversazioni. Ho risposto che da parte del Governo italiano sono state spiegate le ragioni di natura finanziaria che hanno costretto alla momentanea sospensione delle conversazioni3 , che peraltro avevano per oggetto questioni di molta importanza per il Governo italiano. Ho aggiunto che appunto per continuare le conversazioni avevamo proposto di trasferirle provvisoriamente a Venezia4 . Kardelj mi ha risposto che anche per la Jugoslavia esiste un problema di divise e più grave che per l'Italia, che è un paese più grande e più ricco. Ha aggiunto che il Governo jugoslavo avrebbe ben presto risposto circa le conversazioni da tenersi a Venezia.

Ho concluso la conversazione chiedendo al ministro Kardelj di volermi ricevere prossimamente per esaminare insieme e a fondo le questioni pendenti fra i due paesi.

4 Vedi D. 554.

Poiché era presente alla conversazione il signor Brilej, direttore generale di questo Ministero degli affari esteri, il quale tratta gli affari con l'Italia e poiché ogni mio accenno in proposito non veniva raccolto da Kardelj, non ho potuto parlare con lui dell'attuale situazione jugoslava. D'altra parte, Kardelj pareva decisamente orientato a occuparsi dei rapporti itala-jugoslavi, considerati da lui come giunti ormai su un piano di concreto sviluppo.

Tale disposizione ho notato nel colloquio di ieri, con il signor Brilej, durato due ore e mezzo, e sul quale riferisco con telespressi a parte5 .

Come V.E. avrà rilevato, ho parlato con Kardelj delle questioni politicamente più vive e più attuali, di cui alle istruzioni di V.E. (telespressi ministeriali nn. 1593/c6 e 16137 dell8 e 22 u.s.), giuntemi dopo la mia conversazione con questo ministro degli esteri.

Ho l'impressione che, dopo le disillusioni arrecate dal Cominform, il Governo jugoslavo si sia volto ad una politica di maggior concretezza, abbandonando o facendo tacere le suscettibilità e le diffidenze politiche che già intralciarono i passi di questi giovani governanti, troppo animati da fantastiche ideologie.

Ho potuto dire a Kardelj, senza forse suscitare «scandalo», alla distanza di sedici mesi dal mio primo colloquio con Simic8 , che, secondo la mia personale opinione, Italia e Jugoslavia potrebbero veramente lavorare per la pace nei contrasti fra i grandi Stati.

679 3 Vedi DD. 515 e 520.

680

IL CONSIGLIERE PER LE QUESTIONI COLONIALI A PARIGI, CORA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

Parigi, 27 novembre 1948.

Ho avuto un secondo colloquio con il mm1stro degli affari esteri etiopico il quale si è dimostrato assai più cordiale della prima volta e mi ha detto subito di aver trasmesso al Negus il rapporto sul nostro primo colloquio a mezzo di persona partita in aereo per Addis Abeba e che avrebbe dovuto giungervi giovedì. Non aveva ancora ricevuto risposta.

Come d'intesa, ho ripetuto al ministro che, pel momento, a noi interessa la questione, secondo lui, di minore importanza: quella della ripresa delle relazioni diplomatiche, primo passo indispensabile per tutto il resto. Gli ho fatto rilevare come, proprio in questi giorni, l'Italia abbia ripreso i rapporti diplomatici con l'Iraq

6 Vedi D. 631.

7 Non rinvenuto.

8 Vedi serie decima, vol. VI. D. 196.

mediante uno scambio di lettere effettuato a Parigi. Ho proposto di fare altrettanto con l'Etiopia. Il ministro ha convenuto che questa sarebbe la forma migliore. In un secondo tempo, ho aggiunto, potrebbe andare ad Addis Abeba una missione speciale (ed io sarei disposto a fare il viaggio ed a trattenermi per un paio di mesi per aderire al desiderio espresso dal Negus) per preparare l'ambiente per l'invio del ministro titolare.

Il ministro mi ha detto che, intanto, occorreva attendere la risposta del Negus e che egli stesso desiderava sistemare la questione della ripresa dei rapporti appena si recherà ad Addis Abeba dopo la fine dei lavori dell'O.N.U. Il Negus sarà certamente favorevole, ma occorrerà persuadere qualche altro capo allarmato dal persistere delle nostre richieste per l 'Eritrea: egli riteneva che sarebbe occorso un mese e mezzo almeno per far ciò. «Del resto, aggiunse, lei è in corrispondenza col Negus-scriva anche lei a S.M. in modo di poter essere sicuro di esprimergli tutto il suo pensiero che ritengo, tuttavia, di aver riportato con esattezza».

Riprendendo il discorso sul trusteeship gli ho chiarito un suo concetto erroneo sulle zone strategiche che già gli avevo fatto rilevare l'altro giorno. Aklilou, a riprova delle nostre intenzioni, mi disse che come amministratori fiduciari potevano anche fortificare Eritrea e Somalia con il pretesto delle zone strategiche. Gli ho esposto esattamente come stanno le cose a conferma delle varie limitazioni connesse al sistema del trusteeship circa il quale ho confermato, che, richiedendolo, l'Italia non ritiene di compiere alcun atto ostile verso l'Etiopia, tanto più che ci rimettiamo al controllo internazionale del Consiglio dei trusteeship la cui severità ha già avuto occasione di manifestarsi recentemente (discorso Bevin). Ma la discussione sull'argomento del trusteeship finisce sempre per cadere perché il ministro etiopico è convinto che il trusteeship, come già il mandato, sia une annexion déguisée.

Comunque, il ministro ha ostentato la assoluta sicurezza che il trusteeship suli'Eritrea non ci verrà affidato e che quel territorio sarà attribuito all'Etiopia. «Se di ciò voi foste convinti dovreste fare il gesto di rinunciare ali 'Eritrea e mettervi d'accordo con noi. La Gran Bretagna ha dato l'esempio di sapersi adattare ai tempi rinunciando all'India, ecc. ecc.».

Nel corso della conversazione ho trovato modo di toccare vari argomenti a scopo informativo: secondo Aklilou le reserved areas sono stata completamente e definitivamente sgomberate dai britannici coi quali sono in corso trattative per un nuovo trattato di amicizia. Circa le ricerche petrolifere in Ogaden egli ignorava che vengono effettuate sulle carte geologiche italiane in seguito ad accordi AgipSinclair. In tema di amministrazione giudiziaria (gli facevo osservare che la popolazione italiana è e sarà la più importante popolazione straniera dell'Etiopia) il ministro pretende che la giustizia in Etiopia funziona egregiamente, senza lamentele da parte di quel corpo diplomatico. Vi sono vari giudici stranieri (inglesi svedesi e norvegesi) e le prigioni sarebbero luoghi di villegiatura. «<l trattato di Klobukowski non esiste più», ma l'Etiopia desidera che la giustizia funzioni sempre meglio a protezione dei legittimi interessi stranieri. A tale scopo il ministro starebbe assumendo in servizio <mna trentina di giudici francesi» da ripartirsi anche nelle provincie. Vi potranno essere giudici italiani soprattutto con l'aumento della popolazione secondo lo sviluppo del piano di valorizzazione di cui mi parlò l'altra volta.

Infine Aklilou mi ha ripetuto che nella sua qualità di mm1stro degli esteri intende rilasciare il maggior numero possibile di visti per l'ingresso in Etiopia per tutti gli stranieri che intendano stabilirvisi anche per scopi agricoli. Anzi a questi ultimi verrebbe data la preferenza. Avendogli chiesto se l'Etiopia ha i mezzi finanziari per provvedere a tutti questi piani il ministro mi ha risposto affermativamente, facendo affidamento sui finanziamenti della Banca Internazionale ed eventualmente sull'estensione del piano Marshall all'Africa. Mi ha anche detto che la corporazione africana, fondata dall'ex segretario di Stato Stettinius per la Liberia, ha inviato recentemente una missione di studio in Etiopia.

Siamo rimasti intesi d'incontrarci di nuovo anche senza un motivo di servizio.

679 5 Non rinvenuti.

680 1 Trasmesso a Zoppi con Telespr. 1639/21114/4960 del 29 novembre.

681

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTIN I

T. 13458/115. Roma, 28 novembre 1948, ore 16.

Suo 143 1•

Ringrazio ed attendo ulteriori comunicazioni, pregandola fare costà opportunamente comprendere che testo accordo rimesso Parigi da avv. Graziadei e Fernandes rappresenta massimo sforzo che potevo fare presso altre amministrazioni per attenerne consenso.

682

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15482/1142. Parigi, 28 novembre 1948, ore 14,25 (per. ore 22,30).

Suo 896 1•

Da ultima mia conversazione con Gross ho avuto impressione che delegazione americana qui comincia dubitare che loro proposta sia accettata da Assemblea: mi hanno fatto però osservazione (del resto giusta) che anche con appoggio Stati Uniti ed Inghilterra non si è sicuri che soluzione a noi favorevole per Tripolitania sarebbe accettata.

Potrebbe essere quindi che, se riuscissimo persuadere americani che soluzione contemporanea Tripolitania, Cirenaica Fezzan passa, potremmo con qualche speranza successo spingere in questa direzione. Americani suggeriscono in questo caso durata massima tre mandati dieci anni e poi indipendenza, soluzione che difficilmente sarebbe contrastata Assemblea. (Trattasi ipotesi molto ottimistica che comunque a questo stadio converrebbe restasse all'attuale livello medio delegazione Parigi e venisse portata a livello superiore solo quando siamo sicuri che delegazione la accetti).

Tra delegazioni dubbie americani hanno specificatamente menzionato Svezia, Grecia e Turchia. Converrebbe tentare agire direttamente su quei Governi: Svezia e Turchia potrebbero forse più utilmente essere spinte astenersi trattandosi questione legata con trattato di pace di cui non sono firmatarie.

Per quello che riguarda Eritrea debbo invece dire che nostra situazione mi sembra molto difficile: è innegabile che atmosfera generale Assemblea è favorevole Etiopia e che non (dico non) potremo avere anche fra latino-americani non solo unanimità ma anche solo maggioranza nostro favore.

Se si arriva a soluzione generale adesso meglio che possiamo aspettarci è Tripolitania e Somalia a noi, Cirenaica agli inglesi, Eritrea inclusa Asmara Massaua all'Etiopia e rinvio di quello che resta e naturalmente Fezzan ai francesi.

Prego telegrafarmi urgenza se questa soluzione, che è ripeto massima ipotesi ottimistica, è per noi attuali circostanze preferibile rinvio totale oppure no2 .

681 1 Del 26 novembre, con il quale Martini informava che il presidente Dutra stava tuttora esaminando lo schema di accordo italo-brasiliano elaborato a Parigi, per il quale vedi D. 623.

682 1 Vedi D. 669.

683

COLLOQUIO DEL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, CON IL VICE CAPO DELLA DIVISIONE EUROPA MERIDIONALE AL DIPARTIMENTO DI STATO DEGLI STATI UNITI, DOWLING

APPUNTO. Roma, 28 novembre 1948.

Colonie. Ho chiesto a Dowling se ritenesse possibile un miglioramento della situazione in seguito ai «chiarimenti» intervenuti in questi giorni e all'imminente colloquio Tarchiani-Truman 1• Mi ha risposto che tutto quello che c'era da aspettarsi e da augurarsi nelle attuali circostanze era un rinvio della questione. Ho obiettato che la delegazione americana a Parigi si era agitata in senso diametralmente opposto, cioè per ottenere una decisione in questa sessione. «È vero» ha risposto Dowling, «la delegazione ha preso la posizione che ha preso senza consultare il Dipartimento. La cosa ci è molto dispiaciuta: e io, personalmente, avrei dato parere contrario soprattutto per quanto riguarda l 'Eritrea. Ma, al punto in cui stanno le cose e dopo la reazione italiana, io credo (I think) che la nostra delegazione non si opporrà a una proposta di rinvio».

683 1 Vedi D. 690.

Ho detto allora a Dowling che, per parte nostra, anche noi eravamo giunti alla conclusione che il male minore fosse un rinvio di un anno per tutto il problema. Eravamo anche abbastanza tranquilli circa la possibilità di ottenere praticamente questo rinvio. Soltanto ci sembra, per molte buone ragioni, che fosse da evitarsi di ottenere il rinvio soltanto con l'appoggio di un gruppo di Stati a noi favorevoli, che voterebbero contro la proposta anglo-americana. Ciò avrebbe posto, per la prima volta, l 'Italia e gli Stati Uniti in due campi opposti: e i nostri comunisti non si sarebbero lasciati sfuggire una così bella occasione di propaganda. Molto meglio sarebbe stato se la proposta fosse partita dagli Stati Uniti, o quanto meno l'accettazione al rinvio fosse stata accompagnata da una dichiarazione da parte della delegazione americana con qualche riconoscimento favorevole al nostro punto di vista.

Dowling ha ammesso che una soluzione di questo genere avrebbe certo dei vantaggi, ma, alludendo alla pressione inglese, mi ha aggiunto subito che non era praticabile; se però la proposta di rinvio fosse partita da una delegazione amica a noi (ha menzionato la Francia) la delegazione americana si sarebbe associata.

Gli ho parlato allora del «Comitato di mediazione» costituito dal gruppo latinoamericano. Non conosceva l'iniziativa e mi ha detto subito che gli sembrava ottima e avrebbe potuto fornire a tutti un'occasione favorevole per uscire da una situazione imbarazzante. In risposta a una mia domanda ha specificato che, naturalmente, il rinvio sarebbe accettabile soltanto qualora fosse totale, includesse cioè la Somalia. «L'intera questione coloniale dormirebbe così per un altro anno» ha concluso «e in un anno molte cose possono succedere».

Patto atlantico. Dowling ha così riassunto il pensiero del Dipartimento. Il Patto di Bruxelles è considerato a Washington come un'organizzazione europea, nella quale il Governo americano non ha (ufficialmente) alcuna voce in capitolo. La partecipazione, o meno, dell'Italia all'Unione Occidentale è perciò un problema che riguarda unicamente i rapporti tra l'Italia e i cinque paesi di Bruxelles.

Il Patto atlantico, invece, è un accordo tra gli Stati Unti e il Canada da una parte, e alcuni Stati europei dall'altra; il Governo americano ha pertanto il diritto, anche formale, di dichiarare quali, tra i paesi europei, debbano, a sua avviso, essere ammessi all'Unione atlantica. E di fatto ha comunicato ai cinque paesi di Bruxelles che è decisamente in favore della partecipazione italiana2 . Su mia richiesta ha spiegato che nel Patto atlantico saranno ammessi soltanto Stati singoli e non raggruppati; cioè, in altre parole, i cinque paesi di Bruxelles ne faranno parte individualmente e non collettivamente. A Washington si attende ancora il progetto dei cinque Governi dell'Unione Occidentale; dopo di che, presumibilmente a gennaio, si potrà convocare la Conferenza per la costituzione formale dell'Unione atlantica. «Il patto», ha aggiunto Dowling, «dovrà essere formulato in tal modo da lasciare aperta alla Italia la facoltà di presentare la domanda di ammissione, se lo desidera».

Da tutto quanto ha detto Dowling è chiaro che la formulazione, il meccanismo e la procedura del patto sono ancora allo stato di progetto e che la forma definitiva

potrebbe subire variazioni notevoli. È però emerso un punto interessante. È possibile, sebbene non ancora sicuro, che vi siano due forme distinte di partecipazione, una di full membership (presumibilmente per gli Stati originari di Bruxelles) e l'altra di limited membership per altri Stati tra i quali potrebbe rientrare, per la sua ridotta possibilità di riarmo, anche l'Italia. Ho espresso la mia meraviglia; se non era questione che di potenziale bellico, l'Italia non sarebbe stata sempre assai più forte del Lussemburgo? Ho aggiunto che parlavo a titolo personale, ma mi sembrava che il fatto della sottocategoria complicasse molto il problema per il Governo italiano. Dowling lo ha capito, e mi ha detto che, lui personalmente, era contrario al sistema delle classi.

Per quanto riguarda il Patto di Bruxelles, egli pensa che l'opposizione inglese ad una partecipazione italiana sia piuttosto tattica che di principio, e che alla fine sarebbe facilmente superabile.

Avendogli io accennato agli sforzi che il Governo italiano va compiendo da molto tempo, e con scarso successo, per porre i rapporti italo-inglesi su una base di cooperazione fiduciosa, Dowling mi ha detto che ne era a conoscenza e che, a suo parere, occorre insistere su questa strada senza esitazioni o deviazioni (mi è sembrato che, senza dirlo esplicitamente, volesse alludere con disapprovazione agli attacchi della stampa italiana contro l'Inghilterra). «È essenziale», ha aggiunto, «che voi abbiate buoni rapporti con gli inglesi perché noi siamo legati con loro». Evidentemente egli considera l'impostazione di questi rapporti come una premessa indispensabile di politica generale; per quanto riguarda invece la politica europea, in senso più ristretto, Dowling mi ha parlato con molto calore della nostra intesa con la Francia che mi ha detto essere vista con grande favore a Washington3 .

682 2 Per la risposta vedi D. 686.

683 2 Vedi D. 666.

684

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO i 0575/3946. Washington, 28 novembre 1948 (per. il 6 dicembre).

La recente decisione americana, concernente le ex-colonie italiane costituisce purtroppo una prova, simile ad altre di cui abbiamo avuto precedente esperienza, degli «scarti» cui è costantemente soggetta la politica estera di questo paese.

Nelle scorse settimane ho riferito a V.E. le notizie che venivo raccogliendo a mano a mano sull'atteggiamento del Dipartimento di Stato e, per quanto era possibile giudicare da qui, su quello degli altri Governi, in merito all'importante questione.

Fino alla fine della scorsa settimana si aveva l'impressione che, malgrado l'atteggiamento ostile della Divisione Africa e malgrado le pressioni britanniche, il peggio sarebbe stato evitato. Si riteneva, cioè, possibile che l'Assemblea dell'O.N.U. fosse invitata a decidere di assegnare all'Italia il trusteeship sulla Somalia, rinviando tutto il resto; e si poteva altresì ritenere che, qualora gli inglesi avessero chiesto una decisione in merito alla Cirenaica, la delegazione americana avrebbe bensì votato a favore della sua assegnazione alla Gran Bretagna, ma più che altro per onorare l'impegno preso in tal senso verso il Governo di Londra e quindi senza incoraggiare gli altri paesi ad assumere un atteggiamento analogo. Vi era quindi motivo di sperare che, in questa ipotesi, sarebbe stato difficile raccogliere la prescritta maggioranza di due terzi.

Poi si è avuto notizia della posizione improvvisamente assunta dalla delegazione americana a Parigi, posizione la cui gravità risulta principalmente dai seguenti elementi:

l) gli Stati Uniti non si limitano ad accettare le soluzioni a noi avverse, ma se ne fanno in sostanza promotori, fino al punto da esercitare pressioni sulle delegazioni latino-americane, affinché a loro volta le sostengano;

2) alla decisione sfavorevole per la Cirenaica si aggiunge quella per l'Eritrea, e non già soltanto per la parte meridionale di quella regione, bensì, in pratica, per la totalità di essa;

3) il ritorno dei coloni italiani è previsto soltanto in teoria e (secondo quanto ha qui affermato la Divisione Africa) soltanto per la Tripolitania.

Tale disgraziata proposta è il prodotto di elementi molteplici. Indubbiamente hanno contribuito a determinarla alcune circostanze accessorie; la presenza di Marshall a Parigi e la conseguente maggiore autonomia della delegazione rispetto al Dipartimento di Stato; l'irriducibile ostilità della Divisione Africa, la cui attenzione è polarizzata sugli aspetti locali del problema, con un completo disconoscimento dei suoi riflessi europei e di politica generale; la mancata previsione, da parte americana, delle ripercussioni che la decisione avrebbe avuto nella politica interna e negli orientamenti italiani di politica estera.

Tuttavia la ragione determinante dell'atteggiamento americano è una sola e può essere così riassunta: gli americani non sono in grado di resistere alla volontà degli inglesi, quando questi, attribuendo a un dato problema un'importanza capitale per la sicurezza del loro Impero, si mostrano risoluti a non accettare soluzioni diverse da quelle che essi propongono.

Evidentemente, nel quadro della politica generale di riorganizzazione del mondo occidentale, patrocinata dagli Stati Uniti, la Gran Bretagna svolge una sua politica intesa a riconquistare, lentamente ma tenacemente, una potenza autonoma. Ciò si verifica nel campo economico, in cui l'Inghilterra fa tanti sacrifici per conseguire una posizione solida, indipendentemente dagli aiuti americani; e ciò si verifica altresì nel campo strategico. In quest'ultimo, si assiste ad un spostamento del centro di gravità degli interessi britannici dall'Asia all'Africa. Da questo spostamento deriva, a quanto pare, l'ostinato proposito inglese di accaparrare in Africa taluni capisaldi e di accaparrarli in proprio o mediante qualche protettorato di vecchio stile (Etiopia, Senussi) anziché indirettamente attraverso potenze alleate nel quadro di un'organizzazione internazionale.

Partendo da questa concezione, la Gran Bretagna ha messo in opera ogni forma di pressione (fino all'aperta minaccia di cui al mio telegramma n. 941 di ieri) 1 per forzare gli Stati Uniti ad accettare le sue tesi; e, temendo che la semplice acquiescenza di essi non bastasse a raccogliere i voti necessari in seno all'Assemblea dell'O.N.U., ha preteso da loro un appoggio attivo.

Siffatto appoggio è stato, a quanto si può constatare oggi, accordato. Continuerà ad essere accordato fino in fondo? Vi sono molte ragioni per temere di sì. L'impegno, preso con gli inglesi, è probabilmente esplicito. La pubblicità data alla proposta anglo-americana rende difficile un ritorno sulle posizioni precedenti. Il desiderio degli Stati Maggiori britannico e americano, di raggiungere una rapida soluzione per quanto concerne il problema Cirenaica, è preciso. D'altra parte però le energiche dichiarazioni fatte da

V.E. all'ambasciatore Dunn2 e da lui debitamente riferite nonché i passi che questa ambasciata ha compiuto e compirà qui sono destinati a impressionare notevolmente il Dipartimento di Stato. Inoltre l'opposizione della Francia e la nostra azione presso i paesi latino-americani possono far sì che l'Assemblea si mostri restia ad avallare la proposta anglo-americana. Questi fattori potrebbero, malgrado quelli contrari, condurre a soluzioni meno sfavorevoli, quali il rinvio puro e semplice della questione all'anno venturo, oppure la contemporanea decisione di assegnare la Tripolitania all'Italia o per lo meno qualche modifica sostanziale delle clausole concernenti il ritorno dei coloni italiani, onde rendere effettivamente possibile tale ritorno in tutta la Libia.

Quali che siano le prospettive in proposito, non ci resta altra via che quella consistente nel reiterare nei prossimi giorni i nostri passi, sulle linee del colloquio fra

V.E. e l'ambasciatore Dunn. Infatti sono bensì convinto che, qualunque cosa accada, sarà sempre nostro interesse participare il più attivamente e intimamente possibile a quelle forme di organizzazione del mondo occidentale che stanno gradatamente prendendo corpo; ma il Governo di Washington deve comprendere fino a che punto taluni suoi grossi sbagli possano ostacolare e ritardare, con danno di tutti, siffatta partecipazione.

683 3 Nel corso di un successivo colloquio (Appunto di Zoppi del 2 dicembre), Dowling confermò i concetti sopra esposti aggiungendo, per l'argomento colonie, che l'idea del rinvio si faceva strada e che la questione avrebbe dovuto essere esaminata d'accordo tra Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Italia.

685

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, E AL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE

T. s.N.D. 13484/71 (Ankara) 96 (Stoccolma). Roma, 29 novembre 1948, ore 21.

Ambasciata Parigi segnala che è in corso azione sudamericana tendente condizionare attribuzione Cirenaica ad Inghilterra a contemporanea attribuzione Tripolita

2 Vedi D. 651.

nia ad Italia. Questione Eritrea dovrebbe esser risolta a nostro favore (eccettuata cessione Assab all'Etiopia) o riservata ad ulteriore esame.

Ove non fosse possibile varare tale progetto, verrebbe proposto, d'accordo con noi, rinvio intera questione. Pregola interessare d'urgenza codesto Governo perché non si opponga e possibilmente secondi detta iniziativa e in peggiore ipotesi, ove questione venisse portata in Assemblea si astenga dal voto, ciò che potrebbe essere giustificato dal fatto che codesto Governo non è parte al nostro trattato di pace. In tal senso intratteniamo anche Sadak.

684 1 Con esso Tarchiani aveva comunicato di aver appreso da fonte confidenziale che gli inglesi avevano minacciato, in caso di assegnazione all'Italia del trusteeship sulla Tripolitania, di ritirare i loro presidi lasciando al Governo italiano il compito di riconquistare la regione.

686

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 13485/909. Roma, 29 novembre 1948, ore 21.

Suo 1142 1•

Seguito suo 1138-392 sono stato impartite rappresentanze sudamericane istruzioni chiarire nostra posizione circa Eritrea e impossibilità in cui ci troviamo abbandonare città italiane come Asmara e Massaua. Pertanto quand'anche si dovesse arrivare a progettato compromesso circa Libia questione Eritrea (salvo sbocco mare Assab) dovrebbe almeno rimanere riservata. Caso contrario preferibile rinvio totale. A questo riguardo la informo che, secondo informazioni raccolte qui, Governo americano non (dico non) assumerebbe allo stato attuale iniziativa per rinvio ma vi si associerebbe ove esso venisse proposto da altri.

687

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15521/233-234. Bruxelles, 29 novembre 1948, ore 20,35 (per. ore 2,30 del 30).

Mio telegramma n. 231 1•

Spaak mi ha detto avere appreso che il Governo americano stava svolgendo insistenza a Roma per sollecitare partecipazione dell'Italia al Patto atlantico. Egli aveva a titolo personale espresso avviso che questa insistenza poteva essere rappresentata come indebita pressione e che convenisse invece di lasciare l'Italia assolu

2 Del 27 novembre, non pubblicato.

tamente libera prendere quella decisione che essa ritenesse migliore, ciò anche in considerazione situazione politica interna e del diverso modo di vedere di alcuni partiti ed anche di alcuni uomini di Governo. Spaak ha accennato recenti dichiarazioni on. Saragat. Ho risposto che non ero al corrente eventuale suggerimento America a Roma ma che a mia volta lo pregavo dire se Governo americano avesse svolto presso potenze Bruxelles passi per facilitare partecipazione Italia e superare riluttanze che qualcuna di quelle potenze fosse per avere al riguardo.

Spaak mi ha informato allora che U.S.A. avrebbero desiderio che al Patto atlantico partecipassero Irlanda, Stati scandinavi e Italia. Ora egli sapeva in modo sicuro che Irlanda aveva dichiarato non poter contrarre impegni militari con Inghilterra prima fosse regolata questione provincie settentrionali; che Svezia era molto esitante e quindi Norvegia e Danimarca sarebbero state probabilmente spinte seguire decisioni Svezia.

Delle potenze suggerite dall'America non resta che Italia. Egli aveva dichiarato che la collaborazione dell'Italia era indispensabile per la difesa Occidente; personalmente quindi (e riteneva analogamente tutte le altre potenze Bruxelles) sarebbe stato lieto sollecita adesione dell'Italia a patto Sette ora in elaborazione.

Ho risposto che ora egli mi parlava patto Sette e successivamente sollecita adesione italiana mentre, se io avevo ben compreso, America aveva suggerito patto a Otto. Ho aggiunto che non sapevo quale fosse modo di vedere mio Governo ma a me personalmente sembrava che se l'Italia decideva in definitiva partecipare Patto atlantico, meglio conveniva certamente partecipare fino da inizio come membro fondatore. Gli ho domandato se anche su tale argomento fosse stesso avviso. Spaak ha un poco scantonato; si è ripetuto personalmente lieto ma al momento lavori preparatori finora compiuti prevedevano patto Sette; progetto collaborazione fra potenze Bruxelles Stati Uniti e Canada era stato concretato proprio in questi giorni a Londra e inviato a Washington per esame. Evidentemente se si concretava partecipazione dell'Italia progetto avrebbe potuto essere modificato come pure progetto militare; ciò avrebbe richiesto ben più ponderato studio e probabile ritardo stipulazione patti.

Praticamente mi ha confermato infine che partecipazione de li 'Italia Patto atlantico non [comporta] necessità adesione anche Patto Bruxelles.

686 1 Vedi D. 682.

687 1 Vedi D. 677.

688

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 15605/0303. Parigi, 29 novembre 1948 (per. il fD dicembre).

Progetto Patto atlantico concordato a cinque a Londra è stato redatto, a quanto ci è stato detto dall'Ufficio competente Quai d'Orsay, sotto forma Nota. Quantunque testo sia, per quel che riguarda i Cinque, definitivo, si è preferito non irrigidirlo fin d'ora in articoli e porre così americani di fronte a progetto più elastico.

Americani sono stati tenuti al corrente conversazioni Londra, testo del progetto è da loro conosciuto e sembra sia stato trovato in massima soddisfacente. Conversazioni con americani per definitiva stesura sono di imminente inizio a Washington e non dovrebbero incontrare difficoltà; tuttavia firma potrebbe tardare ancora qualche settimana, anche per far sì che, in relazione ad inizio lavori parlamentari americani, ratifica possa seguire firma senza ritardi.

Testo progetto, che è naturalmente formulato nel quadro del patto delle Nazioni Unite, si avvicina più a Patto Bruxelles che a quello Rio de Janeiro. Contiene, sempre a dire del Quai d'Orsay, garanzia reciproca contro aggressione e minaccia di aggressione con funzionamento non automatico, cioè sotto riserva delle disposizioni delle costituzioni dei singoli Stati contraenti; in altre parole misure militari non potrebbero essere prese da parte americana senza assenza Senato. Garanzia è estesa a territori europei Stati partecipanti oltre zone occidentali di occupazione in Germania. Adesione di altre potenze al Patto è aperta senza limitazioni di sorta.

689

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 29 novembre 1948.

In relazione alla segnalazione di Quaroni (telegramma di Parigi 1142) 1 ho convocato il ministro di Grecia. Lo ho messo al corrente degli ultimi sviluppi della questione coloniale, gli ho detto che sembra che la delegazione greca a Parigi mostri qualche titubanza e che sarebbe spiacevole, a così breve distanza dalla firma del Trattato di amicizia e del ripristino delle antiche relazioni fra i due paesi, che la Grecia assumesse una posizione che potrebbe essere male interpretata in Italia e in ogni caso suscitare spiacevoli reazioni e ironici commenti.

Gli ho rifatto la storia delle nostre proposte sulle quali anche il suo Governo aveva concordato e che sarebbero state facilmente varate a Parigi se la Gran Bretagna non avesse chiesto l'immediata assegnazione per sé del mandato sulla Cirenaica il che ha fatto naturalmente sorgere anche la questione della Tripolitania. Gli ho spiegato che ben poche possibilità rimarrebbero di salvare questo territorio una volta che Londra avesse ottenuto la Cirenaica e glie ne ho spiegato le varie ragioni. Gli ho detto che il progetto di dare all'Etiopia città europee e italiane come Asmara e Massaua è un nonsenso, che la reazione nel sentimento pubblico italiano legato a

quel paese da settanta anni sarebbe stata vivacissima e che il prestigio del Governo ne sarebbe riuscito assai minorato.

Ormai era da considerarsi quasi sicuro che potevamo contare su di un numero sufficiente di voti per impedire che si formasse una maggioranza di due terzi su proposte così catastrofiche. Perciò, gli ho detto, era più che probabile che si andasse verso un rinvio generale. Comunque la situazione restava fluida e non era da escludersi che la Gran Bretagna insistesse per cercare di ottenere la Cirenaica. Gli ho quindi ricapitolato come segue le raccomandazioni che lo pregavo di mandare a Pipinelis:

Somalia all'Italia con sbocco al mare all'Etiopia in Eritrea (Assab). Rinvio di tutto il resto. oppure: come sopra per Somalia e Assab, Cirenaica alla Gran Bretagna. Rinvio dell'Eritrea. oppure: Rinvio di tutto.

Il ministro di Grecia telegrafava questa sera stessa ad Atene e a Pipinelis a Parigi quanto da me dettogli e pregava anche Pipinelis di mettersi subito in contatto con l'ambasciatore Quaroni.

689 1 Vedi D. 682.

690

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15573/955-956. Washington, 30 novembre 1948, ore 17,21 (per. ore 8 del l o dicembre).

Mi ha introdotto dal presidente il capo del protocollo Woodword che è rimasto presente al colloquio. Presidente lo aveva chiamato -come mi ha detto -per prendere eventualmente note (che non ha preso).

Ho cominciato col felicitare presidente del suo successo e coll'assicurarlo che sua vittoria era stata accolta con viva soddisfazione dal popolo italiano che ha molto ricevuto e molto si aspetta da sua amicizia e da continuazione sua politica nostri riguardi.

Truman ha detto apprezzare molto questi sentimenti, assicurando nostro popolo e nostro Governo sua profonda simpatia. Ho parlato quindi della situazione in Italia descrivendo quello che Governo fa nel campo politico per limitare comunismo e per portare il paese -attraverso pubblici dibattiti -a prendere posto fra nazioni che difendono al tempo stesso civiltà occidentale e pace. Presidente mi ha più volte interrotto per esprimermi sua approvazione e soddisfazione per quanto Governo fa, per risultati recenti elezioni municipali che gli ho illustrato e per nostre direttive politica estera.

Ho quindi prospettato -con tutti noti appropriati argomenti anche riferentesi alla presente discussione parlamentare -situazione che si veniva a creare artificialmente da Parigi col progetto anglo-americano per le colonie italiane, rafforzando molto opposizioni e mettendo Governo di fronte gravissime difficoltà proprio in un momento in cui si consolida all'interno e prende coraggiosi atteggiamenti politica estera.

Presidente non ha opposto alcun argomento ai miei nettissimi e incalzanti. Più volte ha accennato approvare. Gli ho quindi proposto o adottare migliore soluzione o, se questo è impossibile anche per mancanza tempo, rinviare tutto a settembre 1949.

Situazione di fatto anglo-americana non muta e quindi non vi sono aggravati pericoli militari; si salva posizione italiana in questo complicato momento; si può in una anno trovare un compromesso tra diverse tesi ora in contrasto e risolvere problemi con sufficiente generale soddisfazione in atmosfera nuova di reciproca comprensione e fiducia.

Truman non ha avuto nulla da obiettare. Ho aggiunto: «Lei ha dato innumerevoli prove di agire secondo buon senso. Questa non è questione da esaminarsi in tutti dettagli pro e contro, bensì nell'insieme; e appare evidente che rinvio un anno ha immensi vantaggi politici e pratici e nessun maggiore inconveniente. Governo e popolo italiano aspettano da lei decisione che li tolga da ansietà e dia loro ragione sperare in più lato ed equo giudizio. La prego dirmi quale è opinione sua su questo grave argomento».

Truman ha risposto: «Abbiamo molto discusso con Marshall questione vostre colonie. Al lume argomenti che lei mi ha presentato ne discuterò col Segretario di Stato anche domani». Ho insistito: «Se lei vuole, il problema sarà risolto almeno in favore di un opportuno rinvio ...». Truman: «Non basta che io muova un dito per cambiare faccia alle cose ...».

Ho incalzato: «Se lei se ne occupa con spirito amichevole certo riuscirà. Riesce sempre quando mette impegno e animo per una causa. Ne abbiamo tutti un recente esempio».

Presidente ha riso di gran cuore. Gli ho quindi ripetuto che contavo, col Governo e popolo italiano, su suo decisivo intervento. Ha risposto: «La assicuro che farò del mio meglio e che Segretario di Stato le comunicherà poi quello che avremo potuto fare». Ho ancora detto: «Se farà del suo meglio avremo partita vinta perché non ho mai visto che lei abbia ceduto quando si è battuto per una buona causa». Mi ha ripetuto, con molte cordiali manifestazioni, che avrei avuto presto la risposta1•

È mia impressione che presidente Truman non condivida apprensioni «strategiche» e considerazioni economico-politiche di Marshall, ma, sapendo di avere a che fare con un uomo di grande autorità e notoria ostinazione, non ha voluto dire di più. Tuttavia da tutto il suo comportamento era chiaro che in cuor suo mi dava ragione su

ogni punto e capiva a fondo ripercussioni di una disgraziatissima improvvisazione dell'ultima ora a Parigi.

Non vi è ragione dubitare che ne parli a Marshall nel senso di riconsiderare. Non oserei affermare però -sebbene si possa sperarlo -che sia deciso dare un ordine fermo se Marshall continuasse ad insistere nella necessità di risolvere il problema subito e nel senso indicato dal malaugurato progetto.

Posso quindi arrivare a dire che presidente si batterà per noi con simpatia, se non con assoluta determinazione.

Decisione finale dipenderà da resistenza Marshall presso cui tento ancora una aziOne.

Intanto elemento tempo -ormai scarsissimo a Parigi -ha gran peso e ci aiuta nel senso del rinvio. Stesso Truman lo ha riconosciuto durante la sempre cordialis

o o

stma conversaziOne.

690 1 Vedi D. 712.

691

IL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15588/89. L 'Avana, 30 novembre 1948, ore 19,19 (per. ore 8 del l o dicembre).

Telegramma di codesto ministero 13459/c1 e seguito telegramma 872 .

Ho veduto stamane ambasciatore Guell, già al Messico, testè nominato consigliere politico segretario di Stato, che ho intrattenuto questione coloniale. Egli -che è persona in vista e a noi favorevole -in sostanza mi ha detto:

l) Cuba desidera appoggiare aspirazioni Italia questione coloniale in relazione soprattutto aiutare Italia -quadro politica generale -a rafforzarsi Europa e Mediterraneo.

2) Istruzioni impartite delegato del Governo cubano a Parigi -che per quanto riguarda colonie è sig. Dihigo -sono state già confermate senso appoggiare punto di vista italiano, sia pure entro i limiti eventualmente imposti da politica generale da cui non possono esimersi. Come è noto unica limitazione azione Cuba può essere imposta dai suoi stretti legami con U.S.A. Circa Eritrea ho rimesso appunto e pregato inviare nuove istruzioni a Parigi. Nel caso poi non si addivenga accordo O.N.U. circa affidare trusteeship Italia sue colonie, escluso Somalia, rimandare decisione.

T. s.n.d. 15428/1138-1139 del 27 novembre da Parigi, non pubblicato, riguardante la seconda riunione dei paesi latino-americani per le colonie italiane, con le seguenti istruzioni di Zoppi:«Prego chiarire a codesto Governo ( ... ) che siamo favorevolmente disposti riconoscere esigenze etiopiche sbocco mare (Assab) e che nostri sforzi tendono salvaguardare altipiano eritreo popolato da italiani e idoneo colonizzazione bianca, e città Asmara e Massaua ormai completamente europeizzate».

2 Vedi D. 642, nota l.

Per poter man mano eventualmente fornire elementi questo consigliere politico prego V.E. possibilmente continuare tenermi informato andamento riunione nazioni latino-americane.

691 1 Del 28 novembre, indirizzato alle rappresentanze in America latina, ritrasmetteva parzialmente il

692

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 5261/1185. Madrid, 30 novembre 1948 (per. il 4 dicembre).

Riferimento: mio telegramma per corriere n. 046 del 16 novembre u.s. 1•

La questione di una eventuale partecipazione della Spagna al piano Marshall ha formato oggetto di dichiarazioni pubbliche e private, tanto da parte di uomini politici spagnoli, incominciando da Franco stesso, quanto da parte di personalità americane.

Poiché da parte spagnola si è fatto un giuoco molto sottile, che ha dato luogo a manifestazioni apparentemente contraddittorie, ritengo possa essere utile cercare di stabilire quale sia il vero atteggiamento di questo Governo di fronte ad una questione di così capitale importanza.

Premetto che sebbene la Spagna non abbia partecipato all'ultimo conflitto mondiale e non abbia quindi subìto le distruzioni che hanno sopportato altri paesi europei, essa ha tuttavia un bisogno grandissimo degli aiuti americani perché -a parte le conseguenze non ancora cancellate della sua guerra civile -la sua economia è indietro di almeno settanta anni sul resto de li'economia europea ed essa non ha altro modo di colmare il divario che rimodernare i suoi impianti e crearne di nuovi. Senza questa radicale azione di aggiornamento, che diventa ogni giorno più urgente, la distanza che separa la Spagna dal resto dell'Europa, nel campo economico, si aggraverà talmente, come sta avvenendo, da rendere impossibile ogni intercambio con questo paese.

Con il rapporto n. 2113/509 del 25 maggio 19482 , questa ambasciata trasmise a codesto Ministero uno studio -il solo studio concreto che sia stato fatto in Spagna sull'argomento -preparato nel marzo scorso, per i propri azionisti, dalla direzione della Banca Urquijo.

Lo studio della Banca Urquijo, che è considerato prudenziale, prendeva in esame il fabbisogno spagnolo nei prossimi quattro anni, ed ammettendo che all'importazione degli alimenti potesse provvedere, in parte, il trattato con l'Argentina, e che una parte delle importazioni di materia prime potessero essere compensate dalle

1015 esportazioni di prodotti finiti (ipotesi da ritenersi molto ottimistica), determinava il fabbisogno della Spagna per i prossimi quatto anni in 777 milioni di dollari.

Quando nel marzo scorso si riunì a Parigi il Comitato dei Sedici, che aveva il compito di gettare le basi dell'organizzazione europea del piano Marshall, la Spagna credette che le circostanze fossero favorevoli ad una sua eventuale inclusione nel gruppo dei paesi europei riceventi gli aiuti E.R.P. A Madrid si considerava che le dichiarazioni del Dipartimento di Stato e dello stesso segretario di Stato Marshall, che lasciavano ai paesi europei, beneficiari del piano, la decisione sull'inclusione o meno della Spagna, significassero che gli Stati Uniti erano favorevoli all'ammissione della Spagna stessa e che questa considerazione sarebbe bastata a vincere le opposizioni degli altri Stati.

Fu il Governo portoghese che, d'accordo con quello di Madrid, ebbe l'incarico di presentare al Comitato dei Sedici una proposta concreta per l'ammissione della Spagna.

Da parte portoghese si intendeva, oltre tutto, evitare che il Portogallo si trovasse geograficamente separato dagli altri paesi rappresentati nel piano Marshall, per l'esclusione della sua vicina peninsulare.

Da parte spagnola si perseguiva, invece, sopratutto, un importante successo politico; ché tale sarebbe stato senza dubbio per il Governo di Franco l'inclusione della Spagna neii'O.E.C.E. di Parigi.

Ricordo che il Governo di Madrid chiese anche l'intervento dell'Italia perché la nostra delegazione a Parigi appoggiasse la proposta del Portogallo3•

Nonostante che l'azione diplomatica-svolta in quella circostanza-tendesse a conferire sincerità al desiderio di questo Governo di essere ammesso nel piano Marshall, un esame più approfondito della questione, anche alla luce di più recenti manifestazioni pubbliche di questo Governo, fa ritenere che la campagna diplomatica e di stampa a suo tempo orchestrata non sia stata che un espediente tattico per indurre gli americani a dare, sotto altra forma, gli aiuti che avrebbero potuto dare col piano Marshall.

Se dubbi potessero ancora sussistere su questo argomento, essi dovrebbero ormai cadere di fronte alle inequivoche dichiarazioni fatte da Franco all'inviato speciale del New York Times signor Ciro Szulberger e riprodotte -con numerose omissioni -dalla stampa spagnola del 13 corrente.

Le dichiarazioni di Franco sono notevoli per la loro chiarezza, per l'autorità del giornalista e del giornale che le pubblica e per l'epoca in cui sono state fatte, all'indomani, cioè, della vittoria di Truman ed alla vigilia dell'inizio della nuova fase di lavoro dell'amministrazione democratica.

Franco ha dichiarato che «per la Spagna un accordo con gli Stati Uniti d'America sarebbe eccellente» e potrebbe permettere di sostituire l'antiquata attrezzatura industriale del paese e di trasformare il suo sistema di comunicazioni.

Ha ripetuto che la Spagna coshtutsce «un buon investimento», ma che «non desidera realmente essere inclusa nel programma europeo di ricostruzione del piano Marshall» e preferisce invece «negoziare direttamente con gli Stati Uniti».

Il signor Szulberger cita una somma di 200 milioni di dollari che Franco gli avrebbe indicata come costituente un primo indispensabile aiuto iniziale (riferimento, questo, omesso nel resoconto della stampa spagnola).

Se il pensiero del Governo di Franco viene oggi reso di pubblica ragione senza possibilità di equivoci -gli è perché, a distanza di circa un anno dal funzionamento de Comitato di Parigi, caduta ogni possibilità di ottenere un successo politico -quale sarebbe stato l'ammissione, otto mesi fà, nel piano Marshall la Spagna ritiene inutile nascondere oltre questo suo intimo pensiero e si rivolge direttamente al paese che, oltre a detenere i cordoni della borsa, è il solo che col suo intervento può evitare il crollo totale dell'economia spagnola. Gli Stati Uniti sembrano infatti al Governo di Madrid i soli che, mettendo un freno a considerazioni di natura ideologica, si preoccupino -seppure, per ora, soltanto a parole -di evitare che questo paese, attraverso il caos economico verso cui è fatalmente incamminato, possa ricadere in quello politico.

Un accordo diretto con gli Stati Uniti presenta, pertanto, per la Spagna, una serie di vantaggi che sono troppo nella linea dei gusti e delle preferenze di questo paese, perché esso non lo accarezzi come la soluzione di gran lunga preferibile.

La Spagna infatti non è in condizioni, per la sua attuale situazione economica, di sottostare allo stesso metro di misura al quale possono sottostare gli altri paesi europei.

La sua presenza nel Comitato di Parigi avrebbe costituito, per l'efficiente funzionamento di questo, un intralcio gravissimo, tale da doverci far considerare buona ventura che essa non vi abbia partecipato. La Spagna si sarebbe trovata a Parigi nella necessità di sottoporre la sua economia alla critica degli altri paesi europei, specialmente della Francia e dell'Inghilterra, ciò che avrebbe urtata la sua tradizionale fierezza, ed avrebbe contribuito a peggiorare i suoi rapporti con questi due paesi. Si sarebbe vista costretta ad assumere impegni di natura economica, in relazione ad una maggiore libertà degli scambi, impegni che in realtà essa non vuole contrarre perché teme di sovvertire tutta la sua economia, che è oggi l'economia più controllata e «diretta» d'Europa.

Perciò Franco scarta, nella situazione presente, ogni tentativo di vedere la Spagna ammessa, sia pure tardivamente, nell'O.E.C.E., e punta tutte le sue carte verso un accordo diretto con gli Stati Uniti d'America.

A confortarlo in questa sua determinazione non mancano di contribuire anche motivi squisitamente politici. La Spagna, nella linea della sua tradizionale politica di neutralità, manifesta le sue preferenze per un accordo diretto con gli Stati Uniti perché lo considera più elastico e meno impegnativo che non la inclusione -sic et simpliciter -nel piano Marshall.

Qui il problema si allarga fino ad investire tutto l'atteggiamento della Spagna di fronte al Patto occidentale e di fronte ai tentativi di organizzare politicamente la comunità europea. È il problema, in altri termini, della continuazione o della fine dell'isolamento spagnolo.

Franco ha creduto di rispondervi con un'altra intervista concessa, questa volta, alla nota rivista americana «News Week».

Ne riferisco con altro rapporto4 .

692 1 Non pubblicato, anticipava quanto qui più diffusamente riferito circa l'intervista concessa da Franco a Szulberger. 2 Non rinvenuto.

692 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 448.

693

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 8151/1523. Trieste, 30 novembre 1948 1•

Ho avuto stamane un colloquio col colonnello Chapman, capo del Dipartimento di giustizia del G.M.A. che, come ho avuto occasione di riferire nel mio telegramma per corriere n. 062 del 29 corrente2 , è tornato testè da Parigi dove era stato incaricato di fornire aiie delegazioni britannica e statunitense presso l'O.N.U. elementi circa la nota di protesta jugoslava del 23 ottobre u.s. 3 .

Il colonnello Chapman ha cominciato col dirmi che non riteneva che una discussione sul documento jugoslavo potesse aver luogo a Parigi: ed era appunto per tale sua convinzione che egli aveva fatto ritorno a Trieste.

Come è noto, dal 15 dicembre fino al ritrasferimento degli uffici dell'O.N.U. a Lake Success, verranno messe ali' ordine del giorno soltanto questioni di particolare urgenza; e fra queste non può certo annoverarsi la questione triestina. Nel periodo antecedente al 15 dicembre, gli argomenti di cui il Consiglio di sicurezza intende occuparsi sono già numerosi. Né, da parte jugoslava, si è dimostrato sensibile interesse ad una pronta discussione deii'argomento, e ci si è limitati anzi a chiedere che venga fissata una data per l'esame del memoriale in parola. In tale situazione, da parte alleata, si intenderebbe mantenere per il momento un atteggiamento passivo, rinviando la discussione ad un successivo momento più favorevole per un contrattacco.

Le delegazioni britannica e statunitense si sarebbero tuttavia accordate fin d'ora sul tenore deiia risposta da dare al documento jugoslavo nel caso che esso dovesse venire esaminato a Parigi; ed il mio interlocutore mi ha data visione di un progetto di dichiarazione che sarebbe stato compilato ali 'uopo e che tuttavia le delegazioni in parola si riserverebbero di approfondire e di rielaborare in alcuni punti, ove ciò fosse necessario ed ove ne restasse il tempo.

Il progetto di dichiarazione aiieata, che comprende una ventina di pagine, contiene una confutazione, punto per punto, degli argomenti jugoslavi. La confutazione è generalmente breve e non fa che richiamare le precedenti discussioni che

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 661, nota 2.

1018 hanno avuto luogo nel luglio scorso a Lake Success, accennando alla circostanza che il memorandum jugoslavo non porta elementi nuovi, ma ripresenta, in maniera più o meno diretta, quelli che erano stati già confutati a suo tempo.

Per quanto riguarda il regime dei beni statali e parastatali (di cui al punto IV del memorandum jugoslavo), che è poi la parte del documento che più ci interessa e l 'unica che ho potuto esaminare con una certa ampiezza, il punto di vista espresso dagli Alleati può riassumersi come segue:

l) non si intende disconoscere il carattere parastatale dell'I.R.I. Tuttavia l'I.R.I. non ha sede a Trieste, né possiede, in quanto I.R.I., delle proprietà nella Zona A del T.L. La sua partecipazione in imprese che, giuridicamente e per i fini che perseguono, hanno carattere privato, non può in alcun modo conferire a quest'ultime caratteristiche parastatale. Si tratta di personalità giuridiche totalmente distinte, le quali non possono mutare la loro natura in seguito all'appartenenza di una aliquota delle loro azioni ad un istituto di carattere pubblicistico. Il G.M.A. ritiene pertanto che un suo intervento nella gestione delle imprese designate quali affiliate dell'I.R.I. dal memorandum jugoslavo non trovrerebbe una giustificazione legale;

2) esistono, a Trieste, altri enti di varia struttura giuridica, cui, da molte parti, si è sostenuto debbasi riconoscere carattere parastatale. La determinazione obbiettiva di tale qualità appare tuttavia enormemente complessa e delicata. Il G.M.A. ritiene che, fino a che tale natura non sia perfettamente accertata per ogni singolo ente, non sarebbe logico che ad essi si applichino le disposizioni dell'art. l dell'aH. X del trattato di pace;

3) per quanto concerne, infine, la costituzione di una amministrazione mista jugoslavo-anglo-americana, per la gestione dei beni statali e parastatali nelle due zone del T.L.T., la dichiarazione alleata fa rilevare che l'istituzione di tale amministrazione congiunta contrasta con le disposizioni dell'art. l dell'aH. VIII del trattato di pace, e che pertanto essa è giuridicamente impossibile ed illegale.

Il colonnello Chapman ha tenuto a dichiararmi che, nel redigere le argomentazioni che erano state accolte poi, più o meno integralmente, nel progetto di risposta alleata, egli si era dovuto basare su considerazioni frettolosamente raccolte e sulle sue cognizioni giuridiche personali. D'altra parte il tempo non gli aveva consentito, a Parigi, più accurate ricerche. Era stata in ogni modo consultata l'ambasciata degli Stati Uniti in Roma.

Egli sarebbe stato comunque lieto se questa missione fosse stata in grado di fargli conoscere, al più presto possibile, il punto di vista italiano sulla questione, in modo che se ne potesse tener conto, ove ve ne fosse tempo, in un'eventuale ulteriore redazione della risposta alleata. Gli ho detto che, nei prossimi giorni, sarei stato lieto di poter avere con lui un ulteriore e più approfondito colloquio sull'argomento; non ho mancato tuttavia di accennare subito all'abbiezione preliminare derivante dall'inapplicabilità dell'art. l dell'allegato X del trattato di pace, in seguito all'inesistenza di un'amministrazione unica e definitiva del Territorio Libero.

È superfluo che attiri l'attenzione di codesto Ministero sugli argomenti alleati: di cui particolarmente pericoloso è il secondo, che ammette implicitamente l'applicabilità, anche in questa fase, della norma surricordata, e che la subordina soltanto all'effettivo accertamento del carattere parastatale degli enti in esame; ma anche non completamente soddisfacente è il primo, che, se esclude il carattere parastatale delle imprese finanziate dall'I.R.I., riconosce apertamente tale natura nelle proprietà di tale Istituto.

Una nostra presa di posizione in merito mi sembrerebbe quindi necessaria: ed io sarei pertanto vivamente grato a codesto Ministero se volesse mettermi in grado di esporre al colonnello Chapman, se non altro a titolo personale, le considerazioni e le osservazioni che sembreranno opportune.

Il colonnello Chapman mi ha aggiunto che le delegazioni britannica ed americana a Parigi avevano ritenuto necessario, per avere una più chiara visione del problema, di conoscere l'ammontare della partecipazione dell'I.R.I. alle varie aziende triestine interessate. Le delegazioni stesse si sarebbero rivolte al riguardo a codesta ambasciata degli Stati Uniti, la quale però avrebbe evitato di evadere la richiesta facendo presente la delicatezza della questione e l'impressione che un simile sondaggio avrebbe prodotto negli ambienti italiani. La delegazione statunitense avrebbe replicato di ritenere tale informazione necessaria, aggiungendo che, in ogni modo, poteva essere data assicurazione al Governo italiano che i dati fomiti sarebbero stati considerati come strettamente confidenziali, e che, d'altronde, l'atteggiamento delle delegazioni alleate a Parigi sull'argomento sarebbe rimasto inalterato. Il colonnello Chapman riteneva pertanto di dover rivolgere anche a me tale richiesta e teneva a precisarmi che essa tendeva soltanto ad avere un'idea esatta delle «dimensioni» del problema.

Penso che sarebbe conveniente, a questo riguardo, esporre delle considerazioni, possibilmente di carattere tecnico-giuridico, in merito all'impossibilità, in cui il Governo italiano si trova, di indicare l'ammontare di tale partecipazione, che, fra l'altro, penso costituisca una percentuale più o meno variabile dell'intero capitale delle aziende interessate, ed, anche su questo argomento, sarei grato a codesto Ministero se volesse fornirmi le istruzioni opportune.

692 4 Telespr. 5266/1190 del l o dicembre, non pubblicato.

693 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

694

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 13558/427 (Londra) 912 (Parigi). Roma, l" dicembre 1948, ore 23.

(Per Parigi) Ho telegrafato a Londra quanto segue:

(Per tutti) Mallet è venuto a leggermi piano di Bevin circa «Consiglio dell'Europa».

Gli ho dichiarato che per me il dovere supremo di noi tutti era di intenderei su una formula pratica che desse al più presto una base concreta all'Europa; e che quindi pur continuando ad apprezzare i vantaggi del mio piano ero pronto a riconoscere anche quelli del piano britannico. Se questo apparisse più accettabile noi saremmo lieti di vederlo realizzato.

Ho aggiunto a Mallet che un invito britannico all'Italia avrebbe un serio valore morale solo se formulato senza il menomo ritardo in confronto di altri. Di ciò Mallet si è detto convinto.

695

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

] 0

T. S.N.D. 15620/409. Mosca, dicembre 1948, ore 16,20 (per. ore 16,30).

Da La Malfa.

Prego comunicare con cortese sollecitudine opinione Governo circa necessità o meno ratifica Parlamento ad accordo in discussione circa riparazioni tenendo presente che tale accordo può essere considerato come semplice accordo esecutivo del trattato di pace già ratificato e che esso non importa alcuna assunzione di nuovi

. .

1mpegm. Ho fondate ragioni di ritenere che i sovieti farebbero estreme difficoltà a considerare accordo come innovativo e quindi ad ammettere necessità ratifica. Ciò non

toglie che se Governo non ritenga necessaria ratifica accordo possa essere comunque sottoposto discussione Parlamento insieme con scambio di lettere Molotov-Brosio in occasione presentazione ratifica trattato di commercio e accordo scambi commerciali 1 .

696

IL MINISTRO A DUBLINO, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15645/46. Dublino, l" dicembre 1948, ore 18,38 (per. ore 7,30 del 2).

Mio telegramma per corriere 036 del 30 novembre u.s. 1• Questo ministro degli affari esteri mi ha informato stamane che ha già provveduto far conoscere Washington pensiero del Governo irlandese favorevole ritorno all'Italia sue antiche colonie. Egli mi ha aggiunto confidare che l'avviso del Governo irlandese potesse avere qualche influenza a Washington come era accaduto in altre circostanze per essere Irlanda considerata paese fuori competizioni internazionali e pertanto del tutto obiettivo. Il sig. Mac Bride mi ha detto di aver fatto leva oltre che su principi giustizia sui pericoli reazione opinione pubblica ed eccessivo addensamento nostra popolazione. Ho ringraziato questo ministro degli affari esteri a cui mi sarebbe gradito far pervenire anche una parola apprezzamento da parte V.E.2 .

695 1 Con T. s.n.d. 13739/208 del 6 dicembre Zoppi comunicò che l'accordo poteva entrare in vigore con la sola firma. 696 1 Con il quale Babuscio Rizzo aveva riferito di aver intrattenuto il ministro degli esteri irlandese sul problema delle colonie italiane. 2 Con T. s.n.d. 13597/21 del 2 dicembre Sforza dava istruzioni a Babuscio Rizzo di esprimere a Mac Bride il vivo apprezzamento del Governo italiano.

697

IL MINISTRO A BOGOTÀ, SECCO SUARDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15649/23. Bogotà, JO dicembre 1948, ore 12,43 (per. ore 8 del 2).

Comunicato ieri questo Ministero quanto prospettato 1 , incontrando favorevole accoglimento. Oggi partiranno istruzioni Parigi così concepite:

«Importa Colombia:

l) assicurare convenienza strategica difesa Mediterraneo da Russia.

2) Nel quadro anzidetto soddisfare legittime aspirazioni italiane.

3) Considerare disposizioni Governo italiano ad ammettere cessione basi Inghilterra ed America come soluzione idonea armonizzare interessi generali. Pertanto concedere fide commesso Cirenaica alla Gran Bretagna, Tripolitania all'Italia, Fezzan Francia, Eritrea all'Italia ed Etiopia per assicurare sbocco mare».

Confidenzialmente appreso che questo ambasciatore Stati Uniti nell'apprendere possibilità cessione basi Libia riservando territori Italia, giudicato le formule nuove e soddisfacenti. Questo Governo risponde alla nota ricevuta dall'ambasciata di Francia elencando condizioni succitate.

698

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI

L. 8158. Trieste, l" dicembre 1948.

Scusa se prendo due minuti del tuo tempo, per attirare la tua attenzione sul mio te l espresso n. 815711524 in data odierna, che ti allego in copia1• Si tratta della redazione della futura nota anglo-americana, che, come risulta anche dal telegramma ministeriale n. 132 del 19 novembre u.s. 2 , dovrebbe costituire il prossimo passo nello sviluppo diplomatico della questione di Trieste. Il colonnello Chapman, capo del Dipartimento di giustizia del G.M.A., è stato incaricato a Parigi di buttar giù una prima redazione della nota, che dovrebbe aver carattere possibilmente e prevalentemente giuridico. Egli mi ha chiesto se, da parte italiana, vi siano suggerimenti da dare: ed io credo che noi dovremmo profittare dell'occasione per formulare in maniera chiara e precisa, se pure, evidentemente, nelle linee di sviluppo dell'azione alleata, le nostre richieste circa il futuro del Territorio triestino. Che l 'impostazione

697 Si riferisce al D. 639.

2 Non pubblicato.

della futura nota corrisponda al nostro punto di vista, è certo importante non tanto per la questione del Territorio nel suo complesso, la cui situazione dipende ovviamente da fattori di ben maggiore portata, quanto per l'avvenire della Zona A, in cui i suggerimenti alleati, soprattutto ove essi auspicassero, come mi sembra probabile, un graduale adeguamento all'amministrazione italiana, potrebbero trovare immediata applicazione.

In altre parole, il problema che ci dovremmo porre è quello di determinare che cosa si possa ottenere, a nostro favore, nella Zona A, senza compromettere le nostre rivendicazioni sulla Zona B e tenendo conto delle esigenze di sicurezza e di carattere più generale cui soddisfano le truppe anglo-americane colla loro presenza a Trieste.

Se ti pare che io non abbia torto su questa questione di cui non credo di sopravvalutare l'importanza, ti sarei grato se volessi farmi inviare gli opportuni elementi, in modo ch'io possa fame oggetto, al più presto, di uno scambio di vedute col colonnello Chapman. In un momento successivo, ed in base alle reazioni di questi ambienti alleati, si potrebbe pensare forse alla redazione di un vero e proprio memorandum, compilato in forma più meditata e definitiva.

ALLEGATO

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 8157/1524. Trieste, l" dicembre 1948 (per. il 2).

Durante la conversazione che ho avuto 1en col colonnello Chapman, (mio telespresso

n. 8151/1523 del 30 novembre )3 , ho avuto occasione di chiedere al mio interlocutore quale sia il punto di vista delle delegazioni alleate a Parigi circa la relazione annuale della V.U.J.A. suli 'amministrazione della Zona jugoslava del T. L. Il colonnello Chapman mi ha detto che il documento jugoslavo era stato oggetto negli ambienti anglo-americani di Parigi di un breve esame: al momento in cui egli aveva lasciata la capitale francese era prevalsa, tuttavia, in seno alle delegazioni alleate, l'opinione che non convenisse fame argomento di discussione, ma che fosse preferibile lasciare che il rapporto stesso, come del resto le relazioni trimestrali del generale Airey fosse messo agli atti. Le delegazioni britannica e statunitense si riservavano di studiare in ogni modo il documento jugoslavo, al fine di trame quegli clementi che potessero essere utili per lo sviluppo delle tesi alleate circa il T.L.T.

A tal riguardo, il colonnello Chapman desiderava informarmi in via confidenziale che era stato deciso, da parte anglo-americana, di passare al contrattacco, subito dopo la discussione del memorandum jugoslavo del 23 ottobre, con la presentazione di una nuova nota che riproduca, ma questa volta in forma concreta e con abbondanza di argomentazioni e di particolari, le conclusioni della dichiarazione tripartita del 20 marzo4 . Egli stesso, Chapman, aveva ricevuto l'incarico a Parigi di stendere una prima relazione del documento, che avrebbe dovuto avere prevalentemente carattere giuridico. Preso atto che il trattato di pace si era dimostrato ineseguibile, per l'impossibilità dimostrata di procedere alla nomina del governatore, tenuto presente che le norme statutarie (ali. VI e VII del trattato) erano, nella massima

4 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

parte, tecnicamente inapplicabili, e che, d'altra parte, sarebbe contrario allo spirito democratico del trattato il mantenimento, per un lungo periodo, delle amministrazioni militari, di cui all'art. l dell'ali. VII, il documento dovrebbe dimostrare che non è possibile né equo estendere ad infinitum l'attuale regime e che l'unica soluzione pratica potrebbe risultare dalla restituzione pura e semplice dell'intero territorio all'Italia. Il mio interlocutore mi ha aggiunto che egli stava appena raccogliendo il materiale per la prima redazione della nota in parola: non avrebbe mancato di tenermi al corrente del suo lavoro, ma certo avrebbe gradito conoscere, a titolo personale, il nostro punto di vista sulla questione e ricevere da parte nostra elementi ed eventuali suggerimenti.

Al qual proposito, non ho bisogno di sottolineare come una nostra partecipazione, sia pure indiretta, a questa prima redazione, possa essere utile; e come forse ci sarebbe possibile, attraverso la presentazione di uno schema di memorandum che risponda alle esigenze alleate, di influire sulla impostazione del problema e sulla stessa redazione definitiva del documento anglo-americano.

Mi riservo di trasmettere, a parte, alcuni suggerimenti che i contatti avuti sul posto mi autorizzano forse ad avanzare circa la formulazione delle nostre osservazioni5 . Desidero tuttavia indicare fin d'ora le due caratteristiche cui probabilmente si ispirerà il documento alleato: l) carattere essenzialmente formale e giuridico delle argomentazioni in esso contenute; 2) probabile gradualità delle conclusioni del documento, che potrebbero prevedere un adeguamento progressivo delle condizioni giuridiche ed economiche della Zona alla situazione italiana, lasciando, fino ad un certo punto, impregiudicata la questione della presenza delle truppe.

698 1 Vedi Allegato.

698 3 Vedi D. 693.

699

IL MINISTRO AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15658/63. Ottawa. 2 dicembre 1948, ore 3,27 (per. ore 13).

Seguito telegramma 62 1 .

In lungo colloquio iersera [il 30] ho esposto dettagliatamente al primo ministro nostra posizione in problema africano nel quadro più largo situazione italiana ed attuali direttive politica estera Governo verso il mondo occidentale. Ho particolarmente insistito su questione Cirenaica e su nostra nota tesi per rinvio decisioni all'anno 1949 tranne possibilmente sorte Somalia.

Mi ha risposto:

l) aveva testé ricevuto telegramma da Pearson che annunciava aver dovuto modificare posizione canadese al fine contribuire appianamento divergenze tra punti di vista americano e britannico (ciò che evidentemente si riferisce nota posizione di questo Governo di cui telegrammi n. 45 e 462 e probabilmente anche precedente tendenza canadese per rinvio intera questione coloniale ad Assemblea Generale 1949).

699 1 Del l o dicembre, non pubblicato. 2 Vedi DD. 299 e 30!.

2) Governo canadese si sforzava considerare questo come altri problemi internazionali controversi in spirito equità e giustizia per tutti interessati, onde promuovere pace e concordia Occidente.

3) Pearson aveva a Parigi ampia facoltà regolarsi secondo le circostanze, agendo per il bene generale. 4) Vi erano state alcune questioni (come Palestina) in cui Canada aveva assunto posizioni proprie. 5) Suggeriva che da parte nostra si riprendesse contatto con Pearson per illustrargli in tutti suoi aspetti problema prospettatogli. L'ho pregato di informare anche direttamente Pearson del nostro colloquio. Non si è impegnato, ripetendo con maggiore calore suggerimento suindicato.

Pur facendo ampie riserve su effettiva possibilità atteggiamento autonomo Canada, specie poi ove posizioni Stati Uniti e Inghilterra si rivelassero concordi, permettomi prospettare opportunità che l'ambasciatore a Parigi intrattenga eventualmente, oltre a Pearson, ambasciatore Wilgress che egli ben conosce da Mosca.

698 5 Vedi D. 709.

700

IL MINISTRO AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15690/64. Ottawa, 2 dicembre 1948, ore 17,45 (per. ore l O del 3).

Riassumo molto brevemente punto di vista espostomi dal primo ministro in risposta alle mie domande circa Patto atlantico.

l) Patto dovrebbe essere uno degli anelli di una serie di patti regionali, che unirebbero i vari gruppi di Stati al di fuori cortina secondo proprie strette necessità geo-politiche; tradizionale concetto neutralità essendo ormai privo di contenuto giuridico e politico per necessità autoconservazione spirituale e materiale.

2) Dovrebbe anche costituirsi un patto del Pacifico (che soprattutto inserirebbe nel sistema generale Australia e Nuova Zelanda-nessun accenno alla Cina). Così pure un Patto mediterraneo cui il Canada non è interessato per sua lontananza. Forse altre intese ancora.

3) Elemento essenziale dei patti, la partecipazione a ciascuno di essi degli Stati Uniti e dell'Inghilterra, ciò che li aggancerebbe automaticamente tutti: è in sostanza sempre la stessa concezione nota fin dal marzo scorso.

Nessuna particolare menzione della Francia. 4) Stati Uniti d'America collegherebbero inoltre sistema con trattato panamericano di mutua assistenza: anche ad esso Canada non ha interesse a partecipare.

5) Primo ministro si è mantenuto molto vagamente su contenuto ed estensione Patto atlantico e sue connessioni ed intersecazioni con Unione Occidentale attuale e suoi futuri sviluppi. Sussistono evidentemente su tali problemi molte incertezze.

Riferirò per corriere mie impressioni 1• In relazione accenno Patto mediterraneo, ho osservato che ancora alcune settimane fa Washington considerava come più remota realizzazione intesa del genere per la immaturità di alcuni Stati arabi che avrebbero potuto parteciparvi e per la complicazione palestinese. Primo ministro mi ha allora detto che Bevin nutriva invece convinzioni ben diverse e teneva ad un Patto mediterraneo che «riunisse tutti gli Stati dal Pakistan fino alla Grecia».

701

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 2 dicembre 1948.

Seguendo da vicino la politica estera condotta in questi ultimi anni dal Governo argentino e constatando, in modo particolare, la favorevole accoglienza da esso riservata a ogni nostra richiesta di appoggio -ovunque si siano dibattuti in consessi internazionali i più grossi problemi concernenti l'Italia -si è giunti alla constatazione che la tradizionale amicizia fra i due paesi latini e cattolici, trova una conferma pratica ed operante anche nell'azione politica.

Di qui è sorta, ad iniziativa di questo Ministero, l'idea di consacrare questa similarità di intenti e di vedute con uno strumento internazionale, il Protocollo di amicizia e collaborazione che sarà firmato il 4 corrente, in occasione della visita del ministro Bramuglia. Il documento reca generiche affermazioni della comune volontà di cooperare nel piano internazionale anche, ogni qualvolta sia possibile, per la tutela dei reciproci interessi. Tale collaborazione resta comunque inquadrata nello spirito dello Statuto delle Nazioni Unite: nessuna deroga è quindi ammessa agli impegni derivanti da esso, dall'Organizzazione degli Stati americani o da qualsiasi altro sistema regionale europeo o intercontinentale che venisse eventualmente costituito. Ciò è stato particolarmente precisato, ad evitare inesatte valutazioni, anche ai Governi delle tre grandi potenze occidentali.

Per quanto concerne l'attività futura, il protocollo contiene una reciproca promessa di collaborazione in settori diversi e principalmente: lavoro, cultura, economia.

Prescindendo dai problemi emigratori ed economici che richiedono per la loro complessità una elaborazione più lenta, si ritiene che l'esame dei più urgenti problemi culturali, quali il ripristino dell'insegnamento della lingua italiana nelle scuole argentine, l'istituzione di lettorati di italiano, il trattamento di reciprocità per il riconoscimento di titoli di studio e soprattutto il riconoscimento dei titoli accademici

e professionali italiani possa aver luogo al più presto e le relative soluzioni possano venir consacrate in un auspicato prossimo accordo culturale.

In questo periodo postbellico si è dato un singolare incremento nei paesi dell'America latina e in particolare in Argentina, al desiderio di «importare la cultura italiana» che, avendo faticosamente superato le concorrenti influenze ispaniche e anglosassoni, contesta oggi il primato alla sola cultura francese. È dunque su tale propizio terreno che si potrà lavorare.

Va aggiunto infine che il protocollo italo-argentino, come non mira a fini politici particolaristici, così non è neppure destinato a definire un rapporto esclusivistico fra i due paesi, ma piuttosto a costituire il precedente per un più vasto sistema di cooperazione che ci proponiamo di instaurare con altre Repubbliche dell'America latina.

700 1 Vedi D. 797.

702

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1661121199/4590. Parigi, 2 dicembre l 948 1•

Al Quai d'Orsay ci si mostra piuttosto soddisfatti del modo in cui il Patto atlantico si sta sviluppando. Non si sa ancora -dato che questo punto è stato lasciato al criterio degli ambasciatori a Washington -se il testo occidentale sarà sottoposto agli americani subito come tale (come opinerebbero gli inglesi) o nel corso delle conversazioni in modo da non ferire eventuali suscettibilità americani (come preferirebbero i francesi). Il punto essenziale e delicato è peraltro costituito, come è noto, dal carattere di automatismo che le cinque potenze vorrebbero assicurare al Patto, e dalle resistenze americane motivate dagli scrupoli costituzionali nonché dalla posizione geografica degli Stati Uniti apparentemente meno esposti a una aggressiOne.

Più esattamente si sta ricercando un punto intermedio tra il Patto di Rio de Janeiro considerato troppo lento anche a Washington e quello di Bruxelles ritenuto troppo impegnativo. I francesi vorrebbero quindi stabilire un piano comune di difesa per il caso di pericolo, che, nei singoli paesi entrerebbe in funzione secondo decisioni individuali; il che permetterebbe l'attuazione di un piano organico pur salvaguardando i diritti dei Parlamenti.

Per quanto riguarda l'adesione al Patto di altri paesi, saranno eseguiti dei sondaggi presso i Governi interessati. A prescindere dali 'Islanda, e con riserva per l'Italia, di cui si dirà poi, si è portati a dubitare che le risposte siano favorevoli: l'Irlanda perché, notoriamente, ha posto come pregiudiziale il regolamento della

1027 questione dell'Uister, i tre Stati scandinavi perché la questione, sollevata ora, rischia di compromettere gli accordi a tre attualmente in corso e comunque la Svezia anche la Danimarca in senso negativo; il Portogallo perché già legato dalla sua alleanza con l'Inghilterra e dai suoi accordi militari con l'America. Dalla risposta italiana infine dipenderà se l'Italia potrà partecipare subito alla discussione del Patto nella sua fase attuale di elaborazione; cosa alla quale né i francesi né certamente gli americani si dice, avrebbero obiezioni.

Mentre il patto è in corso di elaborazione si ravvisa qui anche l'opportunità che i contatti militari siano stabiliti a un livello più alto, quello strategico. A Londra infatti, americani e canadesi, rappresentati da missioni qualitativamente e numericamente importanti hanno già avuto il modo di essere esattamente ragguagliati sulle necessità e i progetti delle cinque potenze occidentali; a Fontainbleau è stato istituito un centro, sotto la presidenza di Montgomery, che peraltro prende in esame un solo problema: quello della difesa sul Reno. Occorrerebbe ora considerare, nella loro complessità e connessione anche gli altri problemi sul piano strategico mondiale; e per questo occorrerebbe predisporre in tempo gli organi adeguati.

Circa la data in cui il Patto potrebbe essere firmato si ritiene in via di approssimazione probabile quella della fine di gennaio. E non si prevedono particolari difficoltà di ordine parlamentare anche perché i negoziati in corso sono condotti di intesa con le commissioni parlamentari competenti.

702 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

703

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15726/411. Mosca, 3 dicembre 1948, ore 23,35 (per. ore 8 del 4).

Telegramma V.E. 200 1•

Da on. La Malfa.

Onoromi comunicare V.E. quanto segue:

l) fondamento nostro progetto accettato da parte sovietica è che beni balcanici siano valutati nella loro totalità e computati con priorità su cento milioni dollari; cosicché su questo punto V.E. non deve avere alcuna preoccupazione. Valore forniture industriali sarà costituito da differenza fra cento milioni dollari e valore totale beni balcanici. Se entro sei mesi valore beni non sarà concordato fra le parti, meccanismo forniture industriali non potrà entrare in azione. È evidente che su questo punto sarebbe stato interesse sovietico di insistere per ottenere data certa ed improrogabile a partire dalla quale divenisse operante nostro impegno forniture

1028 produzione corrente. È quindi indiscutibile vantaggio italiano aver subordinato inizio commesse forniture a valutazione beni.

2) Per quanto riguarda beni che sovietici intenderebbero sottrarre da totale nostri beni perché rientranti bottino di guerra o requisiti da armata rossa, abbiamo già chiesto a delegazione sovietica di limitare tale esclusione a quei beni che sono stati considerati preda bellica o requisiti prima della data armistizio rispettivi paesi; riteniamo sovietici accoglieranno nostra proposta al riguardo. Faccio notare che con questa limitazione perdite per ragioni militari potranno ridursi notevolmente, mentre aver ottenuto fissare consistenza e funzionalità economica totalità nostri beni alla data 8 settembre 1943 rappresenta notevole successo neppure prevedibile inizio trattative anche perché trattato di pace non giustificherebbe simile concessione da parte sovietica.

3) Per quanto riguarda proroga massima di un anno garanzia cambio sulle somme versate dal Tesoro e non utilizzate entro l'anno, è da rilevare che (ave da parte sovietica non fossero state collocate relative ordinazioni) questa proroga equivarrebbe in pratica a dilazionare da cinque a sei anni le nostre obbligazioni in materia di forniture in conto riparazioni. È questa una concessione che teoricamente avremmo potuto chiedere ai sovietici e che invece abbiamo l'aria di far loro. Da questo punto di vista vorrei sollecitare personalmente on. Pella darmi con massima urgenza autorizzazione, assicurando di aver tenuto ben conto interessi Tesoro italiano.

4) Per quanto riguarda liste commerciali e riparazioni invio oggi stesso elementi completi con altro telegramma2 . Posso tuttavia assicurare V.E. che tutti punti delicati ed interessanti sono stati ottimamente superati.

Conto poter anche vincere ultime insistenze sovietiche circa petroliere in lista commerciale, mentre in questi ultimi giorni è stato possibile escluderle da lista riparazioni. In relazione anche ai chiarimenti fomiti con mio precedente telegramma3 e tenuto conto che Ministero esteri è in possesso documentazione trattative e particolarmente nostro progetto riparazioni 11 settembre, sembrami, sulla scorta di quanto comunicato più sopra in risposta al telegramma a cui mi riferisco, non debbano più esistere elementi di dubbio fra preoccupazioni Governo e posizioni assicurate da delegazione.

Sarò pertanto grato a V.E. di autorizzarmi alla definitiva messa a punto degli accordi e alla firma relativa4 , e ciò con estrema urgenza essendo anche nell'interesse italiano che accordi siano conclusi e illustrati a opinione pubblica nella loro reale portata prima 15 dicembre, data imbarco equipaggi civili su navi da consegnare sovietici.

Pregherei pure darmi contemporaneamente risposta a telegramma 4093 circa necessità ratifica accordo riparazioni.

3 Vedi D. 695.

4 Vedi D. 725.

703 1 Del 2 dicembre, con il quale Sforza richiedeva le informazioni qui comunicate.

703 2 T. s.n.d. 15728/413, non pubblicato.

704

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15741/965. Washington, 3 dicembre 1948, ore 20,40 (per. ore 9,30 del 4).

Prego comunicare seguente telegramma generale Marras a Stato Maggiore esercito, Ufficio I:

«Ricevuto ottima accoglienza con onori militari. Generale Bradley mi ha cordialmente salutato arrivo aeroporto. Avuto oggi con lui lungo colloquio dove, premessi accenni situazione politica secondo direttive ricevute, ho esposto quadro situazione militare italiana e nostri bisogni generali. Ascoltatore attento, profondamente interessato, ha ringraziato completezza e franchezza esposizione dimostrandosi ben disposto. Situazione verrà esaminata dettagliatamente in conversazioni Stato Maggiore che occuperanno giornata lunedì prossimo. Generale Bradley parte domani mattina per previsto giro ispezione. Avrò nuovo colloquio prima partenza. Miei contatti con Hickerson, Reber, Dowling, ambasciatore Dunn e altre personalità Dipartimento Stato lasciano intravvedere loro favorevoli disposizioni. Per parte politica e questione colonie, oggetto miei accenni e attivi contatti questa ambasciata, riferisce ambasciatore. Comunicato anche Affari esteri».

705

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15730/966. Washington, 3 dicembre 1948, ore 20,45 (per. ore 8 del 4).

Dunn avuto colloquio con Forrestal e Lovett. Entrambi si accingevano vedere stamane Truman. Dunn stesso non l'incontrerà che al principio settimana prossima.

Presidente, che ha discusso questione con Lovett e con Marshall, non aveva fino a stamane comunicato decisione. Pressioni inglesi, basate su noti sofismi, continuano. Uffici Dipartimento Stato ritengono che impegni presi con Inghilterra e atteggiamento finora tenuto a favore di soluzioni immediate rendano difficile a Stati Uniti patrocinare rinvio. Ho facilmente suggerito iniziativa terzi, eventualmente francesi o latino-americani, per proporre rinvio un anno che Stati Uniti, senza promuoverlo, potrebbero confidenzialmente accettare a priori con minor male.

706

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1674/21210/4601. Parigi, 3 dicembre 1948 (per. il 7).

Il presente telespresso è a completamento di precedente comunicazione per filo 1•

Ho visto Bohlen perché Caffery, che è stato sempre molto cooperativo in questo affare (è stato soltanto grazie a lui che ho potuto vedere MarshalF sebbene non mi faccia nessuna illusione sulla importanza di quel mio colloquio) mi ha detto che, in tutta la delegazione americana, Dulles compreso, è l'unico che abbia veramente dell'influenza. La conversazione ha avuto luogo in presenza di Caffery coi suoi frequenti interventi in nostro favore ed è durata un'ora e mezza. I risultati sono stati assai poco incoraggianti.

Da parte mia ho fatto valere i soliti argomenti: l) difficoltà che viene creata al Governo italiano sia sul piano interno che sul piano estero; 2) totale disregard dei nostri interessi e dei nostri sentimenti che l'atteggiamento americano manifesta;

3) impossibilità per l'opinione pubblica italiana di mandare giù, come inizio della collaborazione europea, un provvedimento che equivale alla eviction totale italiana dall'Africa.

Bohlen ha risposto:

l) Il Governo americano lo sa e ne è molto spiacente: colpa di questa situazione è però molto del Governo italiano: se il Governo avesse fatto una propaganda diretta a dimostrare che il ritorno nelle colonie italiane era difficile militarmente, costoso finanziariamente, e che le prospettive di emigrazione erano minime, come è la realtà, e come esso è stato consigliato di fare ripetutamente dal Governo americano non si troverebbe attualmente nella presente situazione. Il rinvio di tutto avrebbe una utilità pratica soltanto se il Governo italiano avesse seriamente intenzione di approfittare di questo periodo per fare una propaganda di questo genere: siccome non c'è nessuno accenno a che esso abbia intenzione di farlo, così il rinvio non risolve niente: fra qualche mese la situazione sarà la stessa, non si avrebbe nessun miglioramento: un dibattito di politica estera può essere provocato di nuovo fra qualche mese, quindi fra qualche mese noi potremo tirar fuori lo stesso argomento;

2) il Governo americano, in sé, non sarebbe stato affatto contrario a dare una soluzione favorevole all'Italia per la questione della Tripolitania: se non ha creduto di poterlo fare è stato soltanto perché, fatti i necessari sondaggi, si è convinto che questa decisione avrebbe almeno 28 voti contrari (glielo ho negato ma debbo aggiun

706 1 T. s.n.d. 15672/1156 del 2 dicembre, non pubblicato. 2 Vedi DD. 640 e 648.

gere che Bohlen ha ragione). Presentare adesso la proposta per il mandato italiano per la Tripolitania sapendo che essa sarà bocciata significa bar per sempre questa possibilità mentre rimandando la di un anno c'è qualche debole chance che la situazione possa cambiare.

Il punto di Bohlen è questo: sia per la Tripolitania sia anche in parte per l'Eritrea (mi ha ammesso che su questo punto anche l'America non ci è favorevole) il Governo italiano commette una grave ingiustizia nel dire che esso ci viene rifiutato perché l'America non vuole: esso ci viene rifiutato dall'Assemblea: dovete tener presente che tutto il mondo arabo, tutto il mondo ex coloniale non ha dimenticato i sistemi coloniali fascisti italiani: la propaganda italiana per le colonie così come essa è stata fatta, in Italia e fuori non è stata di tale natura da riuscire a convincere tutta questa gente che la nuova Italia avrebbe adottato sistemi differenti: che la sua amministrazione sarebbe stata elastica e progressiva come quella britannica. È una cosa di cui siamo stati ripetutamente avvertiti dagli americani e dagli stessi inglesi: non dobbiamo accusare gli americani degli scarsi risultati di questa nostra propaganda quando la colpa è nostra. L'interesse prevalente americano è la sistemazione strategica della Cirenaica: il loro canvassing li ha portati alla convinzione che essa passa (gli ho dimostrato di no, ma ne sarò proprio sicuro solo a votazione avvenuta): che invece non passa se collegato con la questione della Tripolitania.

Gli ho riposto che la sua previsione può anche essere corretta: ma che il canvassing è stato fatto in queste circostanze: tutto il peso dell'Inghilterra contro di noi, basato sull'affermazione che l'America era d'accordo (affermazione che i fatti hanno dimostrato corretta). Il canvassing avrebbe avuti dei risultati differenti se l'Inghilterra avesse gettato il suo peso in nostro favore; e se al favore inglese si fosse aggiunto quello americano. Gli inglesi avrebbero cambiato opinione se avessero saputo che per avere l'appoggio americano alle tesi sulla Cirenaica dovevano appoggiare il mandato italiano sulla Tripolitania. Alla sua osservazione che gli inglesi non erano al corrente della decisione americana gli ho detto che McNeiP, con cui avevo parlato circa un mese fa, ne era perfettamente al corrente: e che aveva parlato in tal senso a tutti. Era appunto questa considerazione che mi spingeva a chiedere il rinvio: certo in pochi giorni non si poteva capovolgere la situazione: ma qualche mese di canvassing in nostro favore, da parte inglese ed americana avrebbe potuto cambiare la situazione. Ero testimonio con quanta violenza, in questo caso l'America stesse canvassing contro di noi, avrebbe potuto fare lo stesso in senso inverso.

Mi ha risposto che l'opinione pubblica americana era contraria al sistema coloniale: quindi l'America non avrebbe potuto insistere in nostro favore con tanta energia in favore di un principio che era contrario all'opinione pubblica americana. Alla mia richiesta come questo si conciliava coll'appoggio all'Inghilterra mi ha detto che lì si aveva un interesse strategico anche americano: che poi l'opinione pubblica sia americana che mondiale era convinta che c'era una profonda differenza fra i sistemi coloniali britannici e quelli degli altri: l'Inghilterra effettivamente si adoperava per il benessere dei popoli amministrati e quando erano maturi concedeva loro

l'indipendenza: prova ne era quello che aveva fatto in India. Lo stesso non si poteva dire noi.

Ha molto insistito sul fatto che la Cirenaica è essenziale alla difesa del Mediterraneo, quindi anche alla nostra, e che noi avremmo dovuto convincerci che era nostro interesse che passasse al più presto il progetto americano. La questione della Tripolitania sarebbe rimasta aperta, e lavorando intelligentemente tutti si sarebbe potuto sperare che fra un anno o due la situazione avrebbe potuto essere migliorata in nostro favore. Al mio argomento in favore della possibilità di emigrazione mi ha risposto che gli americani intendevano che il trusteeship nostro, come quello per la Cirenaica, dovesse avere una durata massima di dieci anni (poi indipendenza) e che quindi anche se avessimo avuta la Tripolitania avremmo dovuto occuparci prima del benessere delle popolazioni locali, e poi degli eventuali coloni italiani: e che comunque gli interessi degli arabi avrebbero difficilmente permesso l'invio di numerosi coloni: che la nostra insistenza sulla popolazione costituiva uno dei più forti argomenti contro la concessione a noi del trusteeship.

Al mio argomento che questo avrebbe costituito una gravissima difficoltà per quella politica di orientamento occidentale che il Governo aveva in animo di fare, Bohlen ha risposto: se l'Italia non fa questa politica ne avrà a soffrire essa molto di più di quanto non ne soffrirà l'America od il resto del mondo occidentale.

Bohlen nel complesso ha marcatamente voluto darmi l'impressione che ci trovavamo di fronte ad una decisione irrevocabile dello Stato Maggiore americano: che erano stati pesati lungamente tutti gli argomenti pro e contro, incluso quelli della ripercussione in Italia e che si era decisi ad andare avanti per la loro tesi, «cost what it costs»: che il Governo italiano avrebbe fatto bene ad occuparsi di cose serie, come la messa in ordine della sua economia delle sue finanze del piano Marshall in genere, piuttosto che perdersi di fronte a questioni di puro prestigio: che non credeva affatto a così gravi ripercussioni sull'Italia della soluzione americana, e che comunque tenevano più alla soluzione della questione Cirenaica: che non credevano affatto che il Governo italiano sarebbe caduto su questa questione: che non davano molta importanza a questo anche se accadeva, che si sarebbero benissimo adattati con un altro Governo: che gli italiani avrebbero strillato ma si sarebbero dopo calmati: che gli americani avrebbero in qualche modo trovato un contentino per noi in qualche altro campo: che gli americani erano sempre disposti ad aiutarci, pur nella misura del possibile per cose serie, ma che non erano disposti a sacrificare interessi americani serii per nostri capricci.

Non credo che interessi a V.E. sapere in dettaglio che cosa gli ho risposto: lo può benissimo immaginare: evidentemente c'era del bluffnell'atteggiamento di Bohlen: voleva scoraggiarmi dall'insistere e dal cercare di far loro altrimenti delle difficoltà: e gli ho detto ben chiaro che avrei continuato. Bluff a parte era però evidente che da parte americana si erano scontate le nostre reazioni e che non si era affatto inclini a dar loro troppo peso.

Il suo atteggiamento era quello di un padre a cui un figlio domandi per giuocare degli esplosivi minacciando in caso contrario di fare Dio sa che cosa. Se questo è il punto di vista della sezione Europa che si dice a noi favorevole immaginiamo quale sarà quello degli uffici a noi contrari.

706 3 Vedi D. 510.

707

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1678/21509/4667. Parigi, 3 dicembre 1948.

Grazie della tua lunga lettera del 25 novembre 1•

D'accordo con te nel constatare che l'atmosfera fra Inghilterra ed Italia è attualmente, specie da parte nostra, quella che Mussolini avrebbe sognato.

D'accordo che la maggiore debolezza della nostra situazione è che non è possibile fare una politica di altalena cosa che ci accade per la prima volta nella nostra storia.

Tu dici: «le colonie sono per gli inglesi una occasione per impedirci di ridiventare un partner potenziale con il quale potrebbe un giorno convenire di mettersi d'accordo per ripartire interessi ed influenze». È in gran parte così, però molto in funzione americana: se il Mediterraneo fosse un interesse solo britannico, forse l'Inghilterra non sarebbe tanto aliena dal !asciarci questa possibilità di futuro partnership: ma l 'Inghilterra sente benissimo che la sua influenza, la sua situazione nel Mediterraneo, e nel mondo arabo, si regge, e in larga misura, soltanto se essa può persuadere l'America che è nel suo interesse che regga: e se ne attende, e ne ha, dei benefici concreti: ha già, nel Mediterraneo (altra sponda), un possibile anche se modesto concorrente, la Francia: vorrebbe non avercene anche un altro, l'Italia. Già ha dovuto mandare giù un grosso rospo nell'Italia continentale. Roosevelt aveva riconosciuto, al momento dell'armistizio, la prevalenza degli interessi inglesi in Italia: Truman non ha mantenuto l'impegno: questo giuoco di passo passo si è materializzato nella caduta del Gabinetto Parri, l'uomo di fiducia degli inglesi. Ma gli inglesi vorrebbero evitare che questo giuoco di passo passo si potesse trasportare anche in Africa.

Tu poi metti il dito su due altri punti dolenti: la nostra politica di unione doganale con la Francia e la nostra politica di unione anche doganale europea. Si tratta di due fatti che in diversa misura urtano i nervi agli inglesi, specie il secondo, sia per la loro sostanza, sia appunto perché diretti a cercar favore presso gli americani, proprio su argomenti su cui gli inglesi, anche volendo, non possono seguire.

Gli inglesi più o meno si dicono: gli italiani non possono essere tanto idioti da non rendersi conto che l'Unione doganale europea non la si farà mai -e qui si sbagliano perché noi ci crediamo -se lo fanno lo fanno soltanto per obbligarci a dire di no e a darci fastidio.

Ora, la domanda che io mi pongo è proprio la tua: siamo noi sicuri che chi ci spinge per questa via non si limiti ad applaudirci per poi mollarci ogni qualvolta conviene loro per tenersi buona l'Inghilterra?

Prendiamo la Francia: la Francia non può che mollarci: non per malafede, per machiavellismo, per scarsa simpatia per noi: non può che mollarci perché poveretta non ce la fa: vedo, in questi giorni, gli sforzi che fanno i francesi per tenere un po' duro sulla questione delle colonie: tengono duro sulla Tripolitania perché ritengono che si tratti per loro di vita o di morte: ma per l 'Eritrea sono per forza e gradatamente costretti a mollarci: non possono rischiare, per farci un favore di doverlo pagare, mettiamo, in moneta tedesca. Mettiti o mettiamoci nei loro panni, poveri disgraziati.

Tu pensi realmente che all'Unione doganale itala-francese ci si possa arrivare? Teoricamente si, sebbene non sia da nascondersi che le difficoltà da superare sono molte e reali: prima di queste l'impossibilità di arrivare all'Unione doganale senza l'Unione monetaria, la quale presuppone la stabilizzazione delle due monete, che a sua volta presuppone l'equilibrio del bilancio: e con questo ho detto tutto. I nostri uffici economici sostengono la tesi che l'Unione monetaria deve seguire non precedere: ma credi a me quando ti dico che è una bestialità: vediamo adesso (non so se hai letto il mio rapporto n. 20254 del 10 novembre)2 che perfino l'emigrazione italiana in Francia viene resa impossibile a causa di un fenomeno puramente monetario, che la Francia non ha più lire né i mezzi di procurarsele. L'Unione doganale lede, sia in Francia che in Italia dei grossissimi interessi, e non solo quelli degli agricoltori: tutti questi interessi (alcuni, quali i siderurgici, potresti metterli d'accordo e anche qui quante difficoltà, ma non tutti) si esprimono in termini parlamentari: come puoi aspettarti che due Governi che si reggono collo sputo, specialmente quello francese, possano anche solo pensare di affrontare una battaglia parlamentare sull'Unione doganale? Si può andare avanti finché si tratta di una dichiarazione platonica come quella di Torino: si può arrivare anche all'approvazione parlamentare di un testo che sia poco di più di una dichiarazione platonica: ma il giorno in cui si dovrà passare agli atti concreti, allora apriti cielo. Mi fanno ridere quando mi dicono che il Governo italiano è sufficientemente forte da farlo: l'unica conclusione che ne posso trarre è che non si è capito di cosa si tratta. Ti cito un esempio: si dice che bisogna equiparare gli oneri che gravano sui costi di produzione: sai tu cosa questo significa in termini italiani? Significa ridurre di oltre metà gli obblighi di assistenza sociale e permettere non sulla carta, ma in realtà, la libertà di licenziamento: mi dici tu chi lo fa questo? Da parte francese ti potrei fare una lista chilometrica di impossibilità.

Per quello che concerne la Francia, l'Unione doganale la potrebbe fare un Governo forte come potrebbe essere quello di de Gaulle: ma de Gaulle -e qualsiasi altro Governo francese forte -porrebbe come condizione all'Unione doganale una Gleichschaltung completa delle due politiche italiana e francese, intesa come un accodamento integrale italiano alla politica francese. Siamo noi pronti ad accettarlo? Permettimi di dubitarne.

L'Unione doganale itala-francese è una cosa a cui, se mai, si può arrivare, attraverso degli atti concreti di collaborazione, questi sempre possibili, gradatamente,

per passi insensibili, e a condizione che i due paesi all'interno si mettano non solo a parole, ma a fatti, sulla via di una vera politica liberale, intendendo per questa anche la libertà di fallire e quella di morire di fame: ma ci vorranno decenni, non anni.

Se questo vale per l'Unione doganale italo-francese, figurati l'Unione doganale europea: ci vorrebbe un altro Hitler, nella posizione del 1940 per tentare di farla: o che gli americani si mettano loro a fare gli Hitler, il che non è probabile.

Passiamo agli americani: mi fa piacere che Harriman abbia previsto che avrete dei grattacapi: vorrei osservare che non ci ha però detto penseremo noi a pararvi dai grattacapi.

Abbiamo noi chiesto sul serio agli americani che cosa intendono per cooperazione europea? Io non ho mai visto, su questo argomento, né da Washington, né da Roma una conversazione tant soit peu esauriente e seria. Ci basiamo su discorsi, del genere di quello di Dewey, che non sono che discorsi. Gli americani di qui hanno l'aria di dire: dateci qualche cosa che ci permetta di dire al nostro Congresso che si è fatto qualche cosa: il loro ragionamento è il seguente: abbiamo delle difficoltà a far mandare giù alla nostra opinione pubblica le tasse che sono la conseguenza del piano Marshall: bisogna che le portiamo in cambio qualcosa: ma parlano di illusione e non di realtà. Personalmente dubito che gli americani realmente desiderino l'Unione doganale europea la quale significherebbe l'autarchia europea e finirebbe per rivolgersi a svantaggio degli Stati Uniti. Per me essi vogliono quello che è realizzabile, ossia una collaborazione concreta in certi determinati campi. Del resto, sullo stesso piano E.R.P., ossia quello di Harriman in cambio degli elogi, abbiamo avuto taglio più grosso di tutti alle assegnazioni richieste e abbiamo, in questi giorni, un ulteriore taglio di circa cento milioni di dollari. Se noi vogliamo acquistare favore negli Stati Uniti, e peso nel mondo, c'è un solo mezzo sicuro di arrivarci, ed è quello di dare un minimo di efficienza, in tutti i rami, forze armate, economia, finanze, amministrazione ecc. Tutto questo è difficile, costa fatica e lavoro: è molto più facile assumere delle posizioni di punta in questioni largamente fumogene, che affrontare il problema della nostra efficienza: non facciamoci illusione che l'uno possa sostituire l'altro. Tu mi dirai, e giustamente, che tutto questo supera i compiti del Ministero degli esteri: ma è altrettanto vero che una politica estera degna di questo nome, anche modesta non la si può fare se essa non è basata su un certo numero di dati di fatto che sono appunto, cannoni, finanze, produzione. Siamo arrivati all'8 settembre per non avere tenuto sufficientemente conto di questi dati di fatto: facciamo attenzione di non arrivare per altra via a risultati analoghi. Gli ideali possono essere altrettanto pericolosi che gli imperialismi.

Tutto questo è una uscita di tema, in un certo senso. Ritornando a bomba ti dirò francamente il mio pensiero. Né gli americani, né tanto meno i francesi sono in grado di proteggerei, al di là di un minimo, dalle conseguenze inglesi della nostra politica, anche se sostanzialmente a loro gradita. O se vuoi, in altri termini, è giusto che noi abbiamo una politica americana e una politica francese, ma nessuna di queste politiche ci può permettere di astrarre dai nostri rapporti con l'Inghilterra.

L'Unione doganale italo-francese, e ancora di più l'Unione doganale europea non possono nelle migliori ipotesi essere realizzate che a distanze talmente grandi da uscire dai calcoli. Non si tratta quindi di mollare, perché per mollare una determinata politica bisogna in primo luogo che questa politica sia una realtà, quando questa politica non esiste ...

Invece il Memorandum del 24 agosto3 è stata una ottima cosa: e che sia stata una ottima cosa lo dimostra appunto la reazione inglese, bisogna pur dirlo, più pronta e più precisa della reazione francese: Mallet è venuto a parlarti4 del nostro memorandum, molto più rapidamente e più esaurientemente di quello che non abbiano fatto· i francesi. La mia piccola conversazione con Jebb5 mi sembra abbia portato, come reazione rapidissima, la presa di posizione di Dalton e la comunicazione Mallet: niente di sostanziale d'accordo, ma comunque, un gesto, che soprattutto per la parte da cui viene, ha la sua importanza. Questo non è certo ostracismo: dimostra anzi che gli inglesi hanno intenzione di parlame con noi. Perché insisto perché ne parliate a Londra ed a Roma? Capirai, le mie conversazioni qui con Jebb e, un giorno forse, con Dalton sono fenomeni accidentali: perché mi sembra che ed è questo uno dei risultati positivi e forse inattesi del Memorandum del 24 agosto -ci troviamo di fronte ad un possibile punto positivo di contatto fra Londra e Roma: quello che noi dobbiamo sacrificare è poco, la partenza dal Patto di Bruxelles invece che dall'O.E.C.E.: dico poco, perché, sostanzialmente, il punto di arrivo sarebbe sempre lo stesso. Ma sarà almeno un argomento di cui tu potrai parlare con Mallet e Gallarati con Bevin o Sargent, senza litigarsi: si riprenderà l'abitudine di parlarsi, da quello si potrà scivolare su altri argomenti, magari da principio solo a scopo informativo.

Il pensiero di Jebb, confermato dal gesto di Dalton, si può riassumere così: voi vorreste una Unione Occidentale di 17 Stati: noi non ne vogliamo di più di 7 o 8: ci interessa che voi non insistiate: siamo pronti a pagarvi facendovici entrare. Mettiamoci su questa strada e accettiamo subito. L'importante è entrare in qualche cosa: una volta ci siamo dentro avremo infinite occasioni di parlare di tanti argomenti con gli inglesi e da queste conversazioni si potrà vedere se e quali punti di contatto esistono.

La collaborazione sul piano O.E.C.E. potrebbe essere altrimenti sostanziosa: questa qui, per esempio: dopo tutte le difficoltà iniziali, che tu ben conosci, Cattani e Malagodi, con abilità, ma soprattutto con molta pazienza sono ormai riusciti a far parte dell'inner circle. Perché per esempio non inviamo Cattani a Londra per discutere di qualche problema concreto dell'O.E.C.E. con gli inglesi sul posto: ti dico mandiamo lui perché essendo ben noto a Londra molte porte si aprirebbero automaticamente a lui. Lui può trascinare con sé gente dell'ambasciata; sarà un altro ghiaccio rotto, sarà tutta una serie di conversazioni e di contatti che l'ambasciata potrà continuare e coltivare: e da cosa nasce cosa. Dico di mandarci Cattani anche perché l'ambasciata di Londra, come tutte le nostre ambasciate, è talmente male informata di tutto quello che accade all'O.E.C.E. che sarebbe difficile per loro cominciare delle conversazioni serie senza il suo ausilio iniziale.

4 Vedi D. 581.

5 Vedi D. 649.

Non mi vengono in mente altri punti di contatto iniziali: se ne vedrò te li segnalerò, ma questi due, come principio basterebbero, poi da cosa nasce cosa. Tutto questo non si realizza né in giorni né in settimane, è opera paziente di mesi. Non occorre mollare niente, del resto, almeno di quello che è un po' più reale ossia le nostre relazioni con i francesi e le conversazioni sull'Unione doganale italo-francese, mettiamo soltanto, se possibile, un po' di sordina alle nostre dichiarazioni di Governo: e poi vediamo che cosa scappa fuori da questo modesto sistema di approach presso gli inglesi. Soltanto quando questo sia stato fatto, o almeno tentato, potremmo giudicare se e che cosa e in che direzione si può ottenere.

Dimmi cosa ne pensi6 .

707 1 Vedi D. 668.

707 2 Non pubblicato.

707 3 Vedi D. 350, Allegato.

708

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 1969/745. Oslo, 3 dicembre 1948 (per. il 27).

Con mia corrispondenza telegrafica ho riferito a V.E. come questo ministro degli esteri -che è ritornato da Parigi il 28 novembre e che, alla fine del suo soggiorno colà, ha visto come è noto, tanto Marshall quanto Bevin in conversazioni che hanno avuto molto rilievo nella stampa-mi ha detto della sua poca fiducia in un accordo, o per lo meno in un compromesso, con la Svezia circa una linea di condotta comune nei riguardi del Patto atlantico, e che quindi in tali riguardi, a suo avviso, alla Norvegia non rimarrà, in fine dei conti, che agire da sola.

Dal discorso del signor Lange è evidente che, ad incoraggiarlo in tale suo punto di vista, hanno dovuto non poco contribuire le conversazioni di Parigi con i ministri degli esteri anglosassoni, e che, in conseguenza, l'adesione della Norvegia al Patto atlantico può considerarsi come un dato di fatto.

È mia impressione pur tuttavia -ed il ministro Lange mi ha anche a ciò accennato specificamente -che -da oggi sino alla fine dei lavori del Comitato di coordinazione militare interscandinavo, prevista, come ho telegrafato, per la seconda metà di gennaio -la Norvegia, aiutata dalla Danimarca, tenterà in ogni modo di trovare una formula qualsiasi di compromesso che le permetta allo stesso tempo di non rompere completamente i ponti con la Svezia in una questione così importante come quella degli aiuti militari, e di prendere contemporaneamente ogni libertà di azione nei riguardi delle potenze occidentali e, in conseguenza, della sua adesione al Patto atlantico.

La Svezia, in realtà, è troppo forte geograficamente e, sino ad un certo punto anche materialmente, per essere messa completamente da parte nel quadro generale della difesa scandinava. Non va dimenticato poi che, pur se fra svedesi e norvegesi corre generalmente lo stesso sangue a cui noi siamo avvezzi in Italia nei riguardi della Francia (dir male qui della Svezia e degli svedesi è cosa corrente in ogni ceto ed in ogni classe ed ugualmente avviene in Svezia nei riguardi della Norvegia e dei norvegesi) l'idea di una fratellanza e di una cooperazione scandinava è anche essa troppo ancorata un po' dappertutto, perché il Governo di Oslo possa permettersi dichiarare apertamente e senza preamboli che i due paesi sono in pieno ed aperto disaccordo.

A me sembra quindi quasi indubbio che, anche al momento in cui la Norvegia prenderà -come sembra oramai decisa -ogni libertà di azione, e consacrerà in maniera evidente la differenza dei punti di vista fra Oslo e Stoccolma con una propria adesione al Patto atlantico, i due Governi dovranno finire per trovare una formula qualsiasi che salvi per lo meno le apparenze di una continuata collaborazione scandinava. Con quali parole una simile formula di compromesso sarà annunciata è difficile oggi dire.

Ciò che mi pare si possa senz'altro constatare è però che, anche il giorno in cui, ufficialmente, la Svezia avrà riaffermato la propria neutralità e la Norvegia invece navigherà a vele gonfie nel mare occidentale, i due paesi non rallenteranno affatto i vincoli che attualmente li uniscono, e i due Governi continueranno a consultarsi, a scambiare le proprie idee, a solidarizzare in moltissimi altri campi, conservando tra loro quei rapporti attuali, che pur non essendo facilmente definibili in termini di ordinario linguaggio diplomatico, non per questo esistono e hanno meno un valore che possa venire facilmente trascurato. Le riunioni periodiche dei ministri degli esteri scandinavi è ben difficile, ad esempio, che possano essere interrotte; alla stessa maniera come non potrà essere interrotta la serie delle riunioni periodiche dei capi dei partiti social-democratici (che sono in pratica riunioni fra i presidenti del Consiglio data l'attuale formazione dei tre Governi) e quella dei comitati giuridici, economici, sociali, postali, igienici, culturali e così via, che rendono comuni tanti aspetti della vita scandinava.

Altro fatto importante, e che va ugualmente tenuto da conto, è che la Norvegia è stata recentemente eletta come membro del Consiglio di sicurezza. Anche se il suo atteggiamento, in quel consesso, sarà in funzione della propria appartenenza al Patto atlantico e dei suoi rapporti con Washington e Londra, essa non potrà dimenticare la propria situazione geografica nella penisola scandinava, e, per lo meno nelle questioni che direttamente o indirettamente concernono tale penisola, non potrà non tener conto del pensiero dei propri vicini, e specialmente della Svezia.

Si può dire, riassumendo, che anche quando in termini diplomatici, gli avvenimenti consacreranno una divisione per lo meno temporanea, fra le politiche estere di Oslo e di Stoccolma -e probabilmente anche di Copenaghen cambiamenti effettivi, per il momento, non avverranno nei rapporti correnti fra i tre paesi.

Con o senza Patto atlantico, con o senza blocco o alleanza regionale nordica, qualsiasi possano essere le minacce o le promesse che U.R.S.S. da una parte o Stati Uniti dall'altra abbiano a fare o elargire all'uno o all'altro dei tre paesi scandinavi, nella buona come nella cattiva fortuna, questi tre stessi paesi non possono rinunciare, anche volendolo, ad una solidarietà di carattere psicologico e direi quasi umano che è oramai insito in essi come entità statali, perché è insito in ogni cittadino dei singoli paesi.

Per fare un riferimento ad un problema analogo che oggi è tanto dibattuto da noi e dalla cui felice risoluzione tanta parte del nostro avvenire dipende, io credo che il giorno in cui fra Francia e Italia, e fra francesi e italiani potesse svilupparsi lo stesso senso di solidarietà che esiste fra Svezia, Norvegia e Danimarca e fra svedesi, norvegesi e danesi, il problema dei rapporti fra Roma e Parigi sarebbe risolto per il settanta per cento prima ancora della firma di qualsiasi strumento di carattere internazionale.

Quello della solidarietà interscandinava è un fatto che non va tralasciato nell'esame dei problemi scandinavi di oggi, ma che va tenuto nel suo debito conto anche nell'esame dei problemi europei di domani.

707 6 La risposta di Zoppi non è stata rinvenuta.

709

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI

L. 8275. Trieste, 3 dicembre 1948.

Dopo la conversazione con il colonnello Chapman di cui ho dato notizia con il telespresso n. 8157/1524 1 e con la lettera a te indirizzata n. 8158 del l o dicembre2, abbiamo molto pensato, Gaja ed io, quali potrebbero essere le argomentazioni da svolgere con il predetto ufficiale e quali gli eventuali suggerimenti in vista dell'impostazione da dare, conformemente ai nostri interessi, al documento che gli anglo-americani avrebbero in animo di presentare al Consiglio di sicurezza dell'O.N.U.

Lungi da noi, naturalmente, la pretesa di dire qualche cosa di importante o di originale sulla questione. Non ne avremmo la forza, né da qui potremmo venire in possesso di tutti gli elementi che sarebbero necessari per un giudizio approfondito e intonato.

Ad ogni modo, troverai qui allegato un appunto, compilato da Gaja. Abbi la pazienza di leggerlo, e fammi quindi sapere, te ne prego, fino a che punto tu sia d'accordo con quanto è in esso contenuto.

709 1 Vedi D. 698, Allegato. 2 Vedi D. 698.

ALLEGATO

IL CONSOLE GAJA AL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CASTELLANI

APPUNTO. Trieste, 3 dicembre 1948.

È evidente che la nuova iniziativa americana o anglo-americana per una più precisa, solenne e concreta riconferma della dichiarazione tripartita del 20 marzo3 , va collocata nel quadro delle questioni attuali. Ai fini di cui trattasi ha, ad ogni modo, un'importanza relativa che essa sia dovuta al desiderio di esercitare una pressione sulla Jugoslavia, di fronte a delle reazioni inaspettate o insoddisfacenti da parte di Belgrado, o che essa tenda a darci soddisfazione su un punto di importanza relativamente minore, mentre sta forse per cadere a noi sfavorevole una decisione sulle colonie, o che essa sia dovuta ad altre cause di carattere anche più contingente.

Ciò che è piuttosto da rilevare è che l'occasionale incontrarsi di circostanze che ha permesso o suggerito la dichiarazione tripartita del 20 marzo, e che oggi sembra consentirne o consigliarne -dopo un silenzio di otto mesi -una più energica riconferma, sembra non destinato a ripetersi molto facilmente. Le condizioni da cui tale promessa fu dettata, e che sono necessarie perché essa venga ripetuta -non si dice perché venga attuata, per il che si richiederebbe un concorso di circostanze anche più straordinario sono talmente numerose e delicate che appare difficile prevederne il rinnovato verificarsi a nostro favore.

Due di tali condizioni -che, se non siamo in errore, possono identificarsi nell'esistenza di una tensione, se non altro dimostrativa, fra le potenze dichiaranti e la Jugoslavia e nella permanenza di un accentuato interesse nei problemi dell'alto Adriatico -avrebbero carattere contingente. Ma, se anche tale carattere non avessero, ci sarebbe sempre da domandarsi se possano agire altrimenti che in coincidenza con altre cause (e particolarmente con certe situazioni nei rapporti fra l 'Italia e le potenze occidentali), il cui acuirsi segue un diverso ritmo interno. Comunque, l'esperienza di questi brevi mesi ha dimostrato che il venir meno di una sola di tali condizioni, è sufficiente per far mettere in seconda linea la promessa del 20 marzo e per far rimandare a tempo indeterminato ogni azione che essa comporterebbe.

Questa constatazione porta come conseguenza che l'attuale occasione non dovrebbe essere lasciata sfuggire, e non soltanto per una ripetizione, più o meno ampliata, della dichiarazione del 20 marzo, quanto per la realizzazione di qualche passo concreto e irrevocabile, che segni un deciso avvio alla definizione, in senso a noi favorevole, della questione triestina.

Il passo deve essere di possibile realizzazione immediata: altrimenti potrebbe darsi che, mutando le circostanze, esso non abbia seguito; e perciò dovrebbe dipendere, nella sua attuazione, soltanto dal volere delle potenze anglo-sassoni, e non già dall'esito di una discussione al Consiglio di sicurezza, dove ogni proposta ed ogni decisione potrebbero essere bloccate.

Inoltre, come si è accennato, questo passo non dovrebbe compromettere la successiva affermazione e realizzazione delle nostre rivendicazioni in tutta la questione triestina, nel suo quadro adriatico ed istriano; non dovrebbe costituire un pretesto per un aggravamento della separazione esistente fra le due zone del Territorio, con il pericolo di metterne anche in forse l'unità ideale; e non dovrebbe infine essere tale da non consentire l'esplicazione di quelle

funzioni di carattere internazionale, cui adempiono attualmente, con la loro presenza, le truppe alleate.

Tutte queste premesse, se corrette, ed altre numerose, di ordine giuridico, di cui si rende conto a parte e che si possono trarre, del resto, da un esame anche affrettato del trattato di pace, restringono il campo delle nostre eventuali proposte. Queste potrebbero assumere la forma di vari progetti alternativi, più ampi o meno ampi. Tuttavia, se si vuoi rimanere nel campo delle possibili realizzazioni, è da ritenere che non potremmo far altro che puntare su una cessione in amministrazione, perdurante l'occupazione anglo-americana, della Zona A del T.L. È evidente, infatti, che un ritorno formale della nostra sovranità non potrebbe avvenire se non col consenso del Consiglio di sicurezza. La cessione in amministrazione è un istituto che è già noto e che non comporta necessariamente variazioni nella sovranità del territorio. Qui si tratterebbe di adattarla con la permanenza dell'occupazione alleata, e col fatto che la responsabilità de li 'amministrazione stessa ricadrebbe sul comandante alleato. Sempre ai fini giuridici, le potenze anglo-sassoni potrebbero dichiarare che la cessione ali 'Italia de li 'amministrazione locale non intende portare alcun pregiudizio alle eventuali decisioni del Consiglio di sicurezza circa la sorte definitiva del T.L. In altre parole, gli alleati delegherebbero a noi, sotto la loro responsabilità e sotto il loro controllo, i poteri amministrativi che sono loro riconosciuti dall'art. I dell'ali. VII del trattato di pace. Non sembra che, giuridicamente, vi sia molto da obbiettare. Del resto, mutatis mutandis, si tratta dello stesso ragionamento fatto dagli jugoslavi rispetto all'istituzione dei cosiddetti poteri popolari. In pratica, ciò porterebbe ad uno smantellamento, più o meno graduale, dell'intero G.M.A. che dovrebbe ridursi ad un solo ufficio affari civili, presso il comandante delle truppe. Questi, salvo casi speciali, darebbe esecuzione automaticamente, con un suo proclama, a tutte le nostre disposizioni legislative, così come veniva fatto in Italia durante il periodo de li' occupazione. In tal modo, di fatto, Trieste ritornerebbe a funzionare normalmente nell'ambito dell'amministrazione italiana, solo con le limitazioni derivanti dalla presenza delle truppe e dal controllo sull'estensione dei provvedimenti da parte del comandante militare alleato.

La soluzione prospettata più sopra sarebbe indipendente, pertanto, dalla soluzione del problema del ritiro delle forze anglo-americane da Trieste, che potrebbe essere impostato o inquadrato a parte, in relazione a considerazioni di altra natura e sulle quali si crede che possano influire fattori di carattere locale. L'attuazione del progetto qui esposto dovrebbe essere esaminata anche in relazione ali' esito delle future elezioni; e per quanto, rispetto ai terzi Stati, la situazione non venga formalmente ad essere modificata, si potrebbe studiare quali assicurazioni, oltre a quelle contenute nel discorso del ministro Sforza al Senato4 , potrebbero essere date, da parte nostra, circa la salvaguardia degli interessi delle altre nazioni nel regime del porto franco ed in generale n eli' emporio triestino, nonché circa la protezione dei diritti delle minoranze (ad esempio: trattato di pace -ali. VI, artt. 2, 4, 33, 34 e 35 -ali. VIII).

Non si nega che, in sostanza, il passo che si verrebbe a compiere in tal modo sarebbe piuttosto modesto: esso comporta tuttavia dei vantaggi di carattere locale, derivanti dalle minori spese di amministrazione, conseguenti alla semplificazione degli organi pubblici locali; dalla risoluzione immediata e logica di vari problemi giuridici (consegna criminali, cassazione ecc.); da una maggiore certezza circa il futuro della città e soprattutto dal fatto che ciò ci consentirebbe di porre fine, almeno in parte, all'attuale «regime straordinario» della zona, in seguito al quale ed in previsione di elezioni o plebisciti, noi abbiamo immobilizzato in queste terre una pletora di impiegati statali, creando una situazione artificiale che alla lunga sarebbe insostenibile e che già attualmente è pesante.

Da un punto di vista internazionale, per quanto è dato di giudicare, un passo del genere, per modesto che sia, contribuirebbe tuttavia a delimitare la possibilità di far leva sulla questione triestina, questione alla quale siamo stati così strettamente agganciati: e ci porterebbe, pertanto, ad una situazione di maggiore obbiettività o libertà, o, se non altro, di minore dipendenza.

Certo è che in tal modo il ritorno dell'Italia a Trieste avverrebbe in forma assai modesta e soprattutto senza quell'accompagnamento coreografico di truppe e di bandiere che i triestini, nella loro mentalità quarantottesca, auspicano e sognano. Ma qui, occorre guardare piuttosto alle cose concrete, le quali, se anche non hanno brillante apparenza, hanno pure un peso, un significato ed un valore. Se si decidesse di seguire la strada cui si è fatto cenno più sopra (si tratta di una soluzione cui, in sostanza, si era pensato, da varie parti, nel mese di aprile: gli elementi di essa che sarebbero nuovi sono quelli che permettono di lasciare impregiudicata la questione della sovranità e quella del ritiro delle truppe, al fine di permettere la pronta attuazione della proposta), sarebbe indubbiamente utile che noi preparassimo uno schema di argomentazioni giuridiche per suffragare la nostra richiesta, schema che gli alleati dovrebbero far proprio.

Ora la preparazione di un simile schema è meglio !asciarla ai giuristi. Sembra comunque che fra gli argomenti da porre in luce dovrebbero essere i seguenti:

l) il G.M.A., che ha continuato ad amministrare il territorio in base all'art. l dell'ali. VII del trattato di pace, non può farlo, come si deduce dalla stessa adozione del verbo «continuare», che in forza degli stessi principi giuridici in base ai quali antecedentemente lo occupava. Dovranno quindi trovare applicazione, nella fase prevista dall'articolo in parola, le disposizioni della nota Convenzione dell'Aja sui diritti dell'occupante ed in particolare dovrà essere mantenuto in vigore, come in complesso è stato mantenuto effettivamente in vigore, il sistema giuridico italiano. Per quanto riguarda lo sviluppo della legislazione in epoca successiva al 15 settembre 194 7, è chiaro che la riconosciuta impossibilità della nomina del governatore, nomina che fra l'altro non è desiderata dalla maggioranza della popolazione, ha portato ad una situazione anormale, in quanto, da un lato, l'unico ente cui può essere attribuita la potestà legislativa è il G.M.A., mentre, dall'altro, è ben chiaro che il trattato ha previsto che in data successiva al 15 settembre l 94 7, la legislazione triestina avrebbe avuto carattere democratico e conforme ai voti della popolazione. L'unica via pratica di uscita è di riconoscere in principio l'estensione automatica al Territorio della legislazione italiana, la quale corrisponde esattamente all'ordinamento giuridico della Zona ed ai sentimenti della popolazione.

2) C'è poi da chiedersi quali norme speciali regolassero, prima del 15 settembre, e regolino quindi anche ora, in base al «continuerà» dell'art. l dello strumento provvisorio, l'amministrazione alleata. Ora non v'è dubbio che si debba tener conto al riguardo delle disposizioni dell'art. 20 del cosiddetto «armistizio lungo», nonché delle loro successive interpretazioni. L'art. 20 stabilisce fra l'altro «che il personale dei servizi amministrativi, giudiziari e pubblici italiani eseguirà le proprie funzioni sotto il controllo del comandante in capo alleato». Il cosiddetto «memorandum Macmillan» conteneva, inoltre, salvo errore, più precise disposizioni in proposito. Comunque è chiaro che, in base a tali norme, da cui il Comando alleato deviò creando uno speciale sistema amministrativo nella Venezia Giulia, il nostro sistema amministrativo avrebbe dovuto rimanere in vigore. Di fatto, se tale disposizione fosse stata osservata anche a Trieste, la Zona avrebbe avuto un prefetto italiano fino al 15 settembre 194 7 e, di conseguenza, avrebbe continuato ad averlo anche dopo. Nulla vieta che si faccia oggi quello che avrebbe dovuto accadere automaticamente se, per ragioni loro, gli Alleati non avessero ritenuto di dare, con decisione giuridicamente discutibile, un ordinamento speciale alle nostre provincie orientali.

709 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 468.

709 4 Vedi D. 525, nota 4.

710

IL MINISTRO A PRETORIA, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. ]5775/54-55-56. Pretoria, 4 dicembre 1948, ore 18 (per. ore 19,30 del 5).

Mi riferisco al mio telegramma 51 del 25 novembre1•

Istruzioni a delegazione sudafricana Parigi hanno subito ritardo per improvviso viaggio dottor Malan a Capetown e, ritengo, sopratutto per desiderio Dipartimento degli esteri raccogliere più precise informazioni a Parigi, Londra e Washington prima dare esecuzione direttive primo ministro. Continui contatti mantenuti in questi giorni con [ministro] e sottosegretario agli affari esteri mi consentono dare V. E. quadro abbastanza esatto nei riguardi questione vista da sudafricani.

Secondo elementi qui ora disponibili, Inghilterra avrebbe non solamente ottenuto appoggio U.S.A. e Francia per quanto concerne Cirenaica, ma esisterebbero fondati timori che U.S.A. abbiano anche accettato sulla base inglese che maggior parte Eritrea (comprese Asmara e Massaua) sia attribuita ad Etiopia, riservando ad ulteriore sistemazione solo territori mussulmani nord-orientali che verrebbero accantonati quale eventuale [offerta] per futuro accomodamento di più largo raggio politico con Egitto.

Per Tripolitania d'altra parte, Londra insiste nel rappresentare che consegna all'Italia segnerebbe inizio diffuse rivolte che l'Inghilterra non ha alcun desiderio di affrontare anche perché aggraverebbero sua già difficile situazione nel Levante. Né U.S.A. sembrano propensi ad appoggiare candidatura Italia per tutela Tripolitania. Secondo informazioni questo Dipartimento degli esteri, a Washington si nutrirebbero forti dubbi su stabilità interna italiana; si riterrebbe che elezioni aprile non sono, o non sono più, espressione esatta reciproci rapporti forze politiche; e minaccia russa nel Mediterraneo attraverso Italia sarebbe loro più che mai presente, donde riluttanza ammettere rebus sic statibus nostro ritorno in Tripolitania.

Di fronte circostanze di cui sopra, Governo sudafricano (malgrado opinione personale Malan, che preferirebbe una soluzione totale immediata, ma naturalmente secondo linea proposta Sud Africa) ritiene che non sarebbe nell'interesse italiano forzare così, anche se ciò fosse possibile, una soluzione che certamente risulterebbe contraria Italia per quanto concerne Eritrea (a proposito della quale Governo sudafricano simpatizza in modo speciale con nostra aspirazione, anche se per diverse ragioni) e molto difficilmente potrebbe esserci favorevole per ciò che concerne Tripolitania.

In seguito maturo dibattuto esame di quanto precede, istruzioni sarebbero state inviate ieri, 3 corrente, a delegazione sudafricana nel senso: l) che appoggio sia accordato a proposta che attribuisca Somalia all'Italia e rinvii tutto il resto;

2) che se invece questa prima soluzione non sia accettata e Inghilterra insista ed ottenga attribuzione immediata Cirenaica, appoggio sia accordato a proposta rinvio ogni decisione per Eritrea e Tripolitania.

Mi è stato detto che un certo margine, in queste istruzioni, è stato anche dovuto lasciare alla discrezione del capo delegazione in vista necessità tattiche ultimo momento dinanzi Assemblea. Governo sudafricano spera d'altra parte che questione in definitiva non venga discussa Parigi se lavori saranno aggiornati come pare 11 corrente, nel qual caso è anche augurio Governo sudafricano che nel prossimo anno posizione italiana possa essere migliorata anche per comprovata stabilità Governo e dimostrata volontà popolo italiano collaborazione con potenze occidentali.

Sarei grato informazioni in possesso codesto Ministero su ulteriore sviluppo questione a Parigi ed eventuali istruzioni.

710 1 Vedi D. 665.

711

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3103/1821. Sofìa, 4 dicembre 1948 (per. il 9).

Questo Ministero degli affari esteri ha rimesso a questa legazione in data 30 novembre u.s. la nota verbale di cui allego copia 1 .

Con detta nota verbale le autorità bulgare rispondono alle note verbali n. 370, 2830 e 2832 (trasmesse a codesto Ministero rispettivamente con i rapporti n. 436/ 258 del24 febbraio 1948 e 2847/1574 del27 dicembre 1947)2 , con le quali da parte italiana si protestava contro l'avvenuta nazionalizzazione delle imprese industriali e bancarie italiane in Bulgaria, in considerazione della loro destinazione al pagamento delle riparazioni all'Unione Sovietica.

La nota bulgara sopracitata, dopo avere polemizzato con le argomentazioni giuridiche da noi addotte, invita il Governo italiano ad iniziare delle trattative per giungere ad una equa soluzione della questione. A tal fine, il Governo bulgaro si dichiara disposto a ricevere una delegazione italiana a Sofia a partire dalla seconda metà del corrente mese di dicembre.

Mentre rinvio alla allegata relazione di questo addetto commerciale 1 per un più dettagliato esame di tutta la complessa questione, ritengo mio dovere di attirare l 'attenzione di codesto Ministero sui seguenti punti:

l) la nota verbale allegata non risponde alla nota verbale n. 2259 in data lO settembre u.s. 1 , con la quale questa legazione, in esecuzione delle istruzioni contenute nel telegramma per corriere n. 9820 del 27 agosto u.s. 3 , comunicava a questo

2 Non pubblicati.

3 Vedi D. 363.

1045 Ministero degli esteri che la conclusione di nuovi accordi commerciali era ritenuta incompatibile con la situazione creatasi per gli interessi italiani in Bulgaria. La recente nota bulgara risponde soltanto ad uno dei punti sollevati con la nota italiana sopracitata, quello delle nazionalizzazioni delle imprese industriali e bancarie, anche se si tratta della questione di maggior rilievo.

2) Mentre sembra opportuno non respingere l'invito bulgaro a trattare, crederei d'altra parte utile insistere per estendere le trattative a tutte le questioni in sospeso, ed in particolare definire anche la questione delle assicurazioni, la più importante fra quelle lasciate in disparte nella nota bulgara.

3) Con la nota bulgara sopracitata, questo Ministero degli esteri chiede di essere informato sul risultato delle trattative di Mosca in merito alla definitiva attribuzione degli averi italiani in Bulgaria. Si tratta di una questione pregiudiziale di carattere fondamentale, sulla quale questa legazione non dispone di concrete notizie. Sarò grato a codesto Ministero se vorrà mettermi in grado, ove possibile, di fornire una risposta a queste autorità.

4) Anche in mancanza di una risposta esauriente alla questione di cui al punto 3), sembra opportuno non procrastinare le trattative tra l'Italia e la Bulgaria; a tal fine si potrebbero accantonare le questioni la cui definizione è subordinata alle trattative italo-sovietiche, per cercare di giungere ad un accordo sulle altre questioni, anche se di portata minore.

5) In sede di trattative, da parte bulgara saranno senza dubbio sollevate anche altre questioni tutt'ora in sospeso, quali quella dei rapporti di debito e di credito fra le Amministrazioni militari dei due paesi (vedi mio rapporto n. 20511 1198 del 16 agosto a.c.)4 e quella del credito delle ferrovie bulgare verso le ferrovie italiane. È pertanto opportuno che da parte italiana ci si appresti a trattare anche su tali argomenti.

6) Riterrei in ogni caso necessario di far precedere le trattative generali sempreché codesto Ministero vi sia di massima favorevole -da un sondaggio da effettuarsi da un delegato da inviarsi appositamente a Sofia, con l'incarico di fissare le questioni di principio, e ciò allo scopo di non esporre una delegazione ad un eventuale insuccesso. L'invio di un funzionario da Roma con tale compito mi sembra necessario per dare maggiore peso ai sondaggi, e per evitare nel contempo di dare l'impressione al Governo bulgaro di voler procrastinare l'inizio delle trattative.

In relazione a quanto precede, ho predisposto l 'unito schema di nota verbale, che mi permetto di sottoporre all'approvazione di codesto Ministero4 .

Con detto schema, dopo aver brevemente controbattuto le argomentazioni bulgare, si chiede di estendere le trattative a tutte le questioni in sospeso, e si accetta l'invito a negoziare pur facendo precedere l'inizio dei negoziati veri e propri dall'invio del funzionario di cui sopra è cenno.

Questa legazione si trova necessariamente nell'impossibilità di inserire nello schema di nota verbale gli elementi risultanti dalle trattative di Mosca, e sarò pertanto grato a codesto Ministero se vorrà integrare ed inquadrare lo schema predetto sulla base dei risultati delle trattative stesse, fornendomi nel contempo ogni utile notizia in proposito.

Sarò grato infine a codesto Ministero se vorrà farmi conoscere se concordi con le conclusioni dell'allegata relazione, facendomi cortesemente pervenire le proprie istruzioni per l'ulteriore azione da svolgere.

711 1 Non pubblicata.

711 4 Non pubblicato.

712

IL SOTTOSEGRETARIO AL DIPARTIMENTO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, LOVETT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

Washington, 4 dicembre 19482 .

The President and the Secretary have given most careful and sympathetic consideration to the representations of Ambassador Tarchiani, and Your Excellency's personal message delivered to the Secretary by Ambassador Quaroni in Paris3 , conceming the question of the disposition of the former Italian colonies. The decision has now been reached that in view of ali of the considerations involved the position supported by the United States Delegation to the Generai Assembly represents a solution which will best meet the wishes and promote the welfare of the inhabitants and further the interests of peace and security.

Throughout the consideration of this problem, the United States Govemment has given the most sympathetic regard to Italy's economie and demographic needs, and has kept in mind also the question of the colonies when other measures to assist the Italian people in their reconstruction of a prosperous, free and peaceful nation have been studied. In searching for the most just and equitable solution of this difficult problem the United States Government has had to take into consideration the interests and desires of the inhabitants of the territories, and also the practical question of Italy's economie position and the possibility that the burden of administration of some of the areas might seriously retard Italian recovery at home.

The United States Govemment has fully and actively supported an Italian trusteeship for Somaliland, and it is hoped this proposal will be approved by the Generai Assembly. This will provide an opportunity for Italians to resume their

1047 work of developing this area for the mutuai benefit of the indigenous population and of Italians who will be able to emigrate to the territory. Moreover, the United States position favoring postponement of a decision on Tripolitania this year does not preclude eventual ltalian trusteeship, and it is intended to make this point ciear at Paris. We intend as well to take a strong position with regard to the retum of forrner Italian residents of Tripolitania and ali of Eritrea. We are aiso inciuding in the American draft resoiution a clause designed to guarantee the human rights of ali inhabitants of the territory which wouid provide for the protection of the interests and rights of both those Itaiians resident in Eritrea and those who may retum.

In conveying this decision to Your Excellency I wish to renew the President's assurances that the Govemment of the United States maintains steadfastly its poiicy of cooperation with the ltalian Govemment for the rebuilding of a society wherein the ltaiian and American peoples and ali of the freedom-loving peopie of the world can live and work together in peace and security. Although the proposed solution of this one problem may be less favorable to Italy than that for which your Govemment has so eamestly appeaied, I hope that your Excellency will appreciate the reasons underlying this decision4 .

712 1 Ed. in Foreign Relations al the United States, 1948, vol. III, cit., pp. 967-968. 2 Tarchiani trasmise questa lettera a Sforza con Telespr. strettamente riservato 10938/4101 del 4 dicembre 3 Non rinvenuto, ma vedi DD. 640 e 648.

713

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. PERSONALE 13706/633 1 . Roma, 6 dicembre 1948. ore 21.30.

Le parole di cui al suo 974 sono talmente categoriche che mi riferisco al solo suo 9702•

2 Vedi D. 712, nota 4.

Prego V.E. dire con massima urgenza a Dunn che riferendomi all'allusione a lei fatta da Lovett circa un eventuale diretto accordo italo-inglese io confermo a Dunn quanto segue: ciò che gli dissi a titolo personale la sera della sua partenza può solo essere suggerito a Londra da codesto Governo non da noi. Le altre cose che gli confidai permangono intere3 .

712 4 In pari data Tarchiani aveva telegrafato (T. s.n.d. 15771/970) che al momento della consegna della lettera Lovett, raccomandando di informarne esclusivamente De Gasperi e Sforza, aveva aggiunto «che insistenza Governo americano su sua posizione nonché attività delegazione Parigi intesa favorire realizzazione del progetto sono dovute a impegni onnai presi con Gran Bretagna; ma che in sostanza Stati Uniti si augurano rinvio della questione. Naturalmente sarebbe qui più gradito che rinvio avvenisse per ragioni tecniche connesse con mancanza tempo. Tuttavia, ha aggiunto Lovett, quale seconda ipotesi resta possibilità che Assemblea, che ha già dato esempi indipendenza e nella quale -ha tenuto a dirmi -Stati Uniti non comandano singoli voti, bocci proposta anglo-americana .... A mia precisa domanda circa reazioni americane a eventuale mancato raggiungimento due terzi, mi ha fatto comprendere che non solo egli personalmente ma anche presidente Truman e segretario di Stato, con i quali nei giorni scorsi questione era stata discussa nel modo più completo, mostravano preferire non solo prima ma anche seconda ipotesi invece di successo proposta anglo-americana. Lovett ha aggiunto che, sia nel caso di un rinvio per ragioni tecniche sia nel caso di una sconfitta del piano anglo-americano, Stati Uniti sarebbero stati sempre favorevoli accoglimento proposte a noi più vantaggiose purché fossero frutto accordo angloitaliano ...». Con T. s.n.d. 15774/974, ugualmente del 4 dicembre, Tarchiani aveva inoltre trasmesso la traduzione del presente documento; per la risposta di Sforza ad entrambi i telegrammi vedi D. 713.

713 1 Minuta autografa.

714

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, GIARDINI

T. S.N.D. 13720/18. Roma, 6 dicembre 1948, ore 15,30.

Risulta da fonte sicura che codesto Governo ha dato istruzioni sua delegazione O.N.U. appoggiare punto di vista inglese circa colonie. Intervenga nuovamente e urgentemente sottolineando come amicizia fra due paesi debba sostanziarsi in reale collaborazione in questioni reciproco interesse e chiedendo che delegazione codesto Governo, in attesa meglio esaminare questione, sostenga almeno proposta rinvio 1 .

715

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA

T. S.N.D. 13730/212. Roma, 6 dicembre 1948, ore 19.

Presidente consiglio ha oggi affidato ad ambasciatore Motte suo personale messaggio diretto Spaak1 ricordandogli sua offerta mediazione e sollecitandone intervento affinché questione coloniale, attualmente in esame Parigi secondo le note proposte anglo-americane2 , venga rinviata. Ci risulta infatti che Stati Uniti, mentre debbono mantenere impegni assunti con Gran Bretagna e non assumere iniziativa rinvio, non vi sono tuttavia contrari qualora proposta venisse formulata da altri e trovasse consenso varie autorevoli delegazioni. Si adoperi nello stesso senso e telegrafi3 .

2 Sulla questione vedi DD. 629, 658, 683 e 712.

3 Per la risposta vedi D. 721.

713 3 Ved1 D. 651.

714 1 Con T. s.n.d. 15918/30 del 7 dicembre Giardini rispondeva di aver avuto assicurazione che la delegazione boliviana a Parigi sarebbe stata favorevole all'aggiornamento della questione.

715 1 Vedt D. 718.

716

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 13768/925. Roma, 6 dicembre 1948, ore 23.

Riferimento mio 923 1•

Ho consegnato a Fouques Duparc seguente messaggio del presidente del Consiglio diretto a Schuman:

«Sono estremamente allarmato notizia che proposta anglo-americana di affidare all'Italia sola Somalia verrebbe sottoposta Assemblea. Particolarmente sono certo che cessione Eritrea a Negus risulterebbe intollerabile a coscienza nazionale italiana e renderebbe qui estremamente difficile difesa libertà democratiche. So anche per certo notizia che Stati Uniti preferirebbero rinvio ma che non possono assumere responsabilità di tale iniziativa. Memore dei suoi amichevoli affidamenti e della nostra solidarietà nella difesa delle istituzioni democratiche la prego urgentemente di intervenire per il rinvio della proposta soluzione».

Identico passo è stato fatto con Spaak tramite questo ambasciatore belga2 . Pregola adoperarsi costì nello stesso senso e telegrafare.

717

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, LONDRA, PARIGI E WASHINGTON, ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BEIRUT, CAIRO E DAMASCO E AL CONSOLATO GENERALE A GERUSALEMME

TELESPR. 31730/c. Roma, 6 dicembre 1948.

Riferimento: Telespressi di questo Ministero n. 14579/c. del 12 maggio,

n. 1214/c. del 7 agosto e n. 25983/c. del 14 settembre1 allegati in copia per l'ambasciata presso la S. Sede e l'Ufficio del Contenzioso diplomatico.

Le Rappresentanze in indirizzo sono al corrente, attraverso le diramazioni fatte a cura di questo Ministero, delle notizie giunte dai vari Uffici all'estero circa gli sviluppi della situazione in Palestina e sono altresì a conoscenza delle risposte pervenute alle istruzioni di cui ai telespressi ministeriali citati in riferimento.

In sostanza, risulta pienamente confermato l'insuccesso politico militare degli Stati arabi partecipanti alla lotta; le persistenti dichiarazioni di intransigenza da parte

2 Vedi D. 718.

1050 dei loro Governi non valgono a mascherare il vivo desiderio di una rapida soluzione del conflitto palestinese, anche se imposta dall'O.N.U., che eviti maggiori disastri sul campo di battaglia ed ulteriori colpi al loro prestigio già così gravemente compromesso all'estero ed all'interno.

Appare altresì, dalla corrispondenza su accennata, che l'idea da noi propugnata di procedere ad un allargamento del piano di spartizione della Palestina araba tra i vari Stati interessati, mentre non ha incontrato sostanziali opposizioni da parte di altre potenze, ha trovato i maggiori consensi presso il Governo di Parigi il quale (te l espresso ministeriale del 14 settembre precitato) è giunto fino a ventilare l'idea di cercare di «metterei d'accordo su di un piano realizzabile» per tentare quindi «di farlo accettare, con sforzi concordi, a Washingtom>.

È da rilevare tuttavia, a questo proposito, che la soluzione del problema palestinese è stata da tempo avocata a sé dall'O.N.U., che i vari tentativi sino ad ora effettuati non hanno potuto essere tradotti in atto per la mancata accettazione delle parti in conflitto, e che l'incalzare degli sviluppi della situazione militare tende a superare continuamente le proposte dei mediatori. Tutto ciò rende difficile la redazione di un vero e proprio piano itala-francese che non avrebbe probabilità di successo maggiori dei precedenti e susciterebbe comunque fatalmente reazioni negative sia da parte dei Governi arabi come da parte dello Stato ebraico; ed in tal modo frustrerebbe il nostro scopo che è bensì, di dar prova della nostra volontà di favorire la pacificazione della Palestina ma anche di evitare che il nostro atteggiamento provochi animosità contro di noi da parte dei paesi in conflitto.

L'azione che la nostra posizione ed i nostri interessi di nazione mediterranea ci danno titolo per svolgere al riguardo presso le grandi potenze e presso i belligeranti dovrebbe pertanto tenere conto:

l) dell'esistenza e vitalità del nuovo Stato ebraico;

2) della prospettiva ormai molto probabile dell'attribuzione della maggior parte del territorio palestinese che rimarrà fuori dai confini d'Israele al Regno transgiordanico le cui aspirazioni sono energicamente appoggiate, come è noto, dalla Gran Bretagna sia direttamente presso gli organi dell'O.N.U. e sia indirettamente mediante pressioni diplomatiche su altre nazioni.

Entro questi limiti, si ritiene necessario che le rappresentanze in indirizzo continuino ad agire presso i Governi dei rispettivi paesi in conformità delle direttive già impartite con i precedenti telespressi nel senso cioè di favorire un allargamento del piano di spartizione in modo da dare anche agli altri Stati arabi confinanti con la Palestina un qualche compenso territoriale che valga ad impedire una assegnazione dell'intera regione araba alla sola Transgiordania; si attenuerebbero così i timori della Siria e del Libano che vedono in un eccessivo ingrandimento del Regno transgiordanico una potenziale minaccia alla loro stessa indipendenza e si ridurrebbero le preoccupazioni del Regno arabo-saudiano per le note ambizioni della dinastia hascemita. E poiché la peggiore sorte nelle operazioni militari condotte dagli eserciti arabi è toccata all'Egitto, che ha sopportato un onere assai grave nelle operazioni medesime, si conferma l'opportunità che sia offerto ad esso qualche vantaggio più sostanziale atto a potere essere sfruttato presso l'opinione pubblica per evitare pericolosi rivolgimenti interni.

In questa azione che, per quanto limitata può essere, se svolta con tempestività e prudenza, assai utile a dimostrare il vivo interessamento dell'Italia al ritorno in Medio Oriente di una pace fondata su criteri di equità, potrebbe rilevarsi preziosa una intesa con la Francia, intesa alla quale si potrebbe tentare di far aderire anche Washington per sostenere successivamente con maggior vigore il comune punto di vista presso gli altri Governi.

In questo senso si prega l'ambasciatore in Parigi di voler riprendere con Chauvel la conversazione che formò oggetto del suo tel espresso 31 agosto u.s. n. l 034 2 .

Le altre rappresentanze in indirizzo vorranno nel frattempo continuare a comunicare ogni notizia che appaia loro utile per l'orientamento di questo Ministero e dell'ambasciata in Parigi ai fini dell'azione di cui trattasi.

Per quanto concerne in particolare la questione di Gerusalemme e dei Luoghi Santi, resta ferma la tesi da noi già enunciata contemplante l'adozione di uno Statuto internazionale sul modello di quello di Tangeri a cui l 'Italia dovrebbe necessariamente partecipare in una situazione che tenga conto dei suoi interessi materiali, politici e spirituali di paese mediterraneo e cattolico; tale tesi, per quanto osteggiata, come è noto, dallo Stato d'Israele, sembra non incontrare opposizioni altrove ed essere stata anzi accolta con favore dai vari Governi.

Al riguardo verrà comunicato non appena possibile un progetto di massima che è attualmente allo studio presso questo Ministero e che potrà essere illustrato e discusso nel corso dei successivi contatti, quando cioè si tratterà di raggiungere una intesa comune con le potenze che già si siano mostrate genericamente favorevoli al nostro punto di vista.

Si prega infine l'ambasciata presso la Santa Sede a cui il presente telespresso è diretto per conoscenza, con riferimento alle considerazioni contenute nei suoi rapporti nn. 2553/786 del 26 ottobre u.s. e n. 2401/729 del 1° corrente3 , di volere esporre alla Segreteria di Stato, sul problema dell'internazionalizzazione di Gerusalemme, gli intendimenti del Governo italiano, conformi del resto a quei principi che il sommo pontefice ha enunciato nella sua recente enciclica In multiplicibus e che secondo quanto comunicato dalla stessa ambasciata -appaiono essere già condivisi da parte francese e britannica.

716 1 In pari data, ritrasmetteva una comunicazione di Tarchiani per la quale vedi D. 712, nota 4.

717 1 Vedi DD. 13 e 296. Il Telespr. 2593/c. non è stato rinvenuto.

718

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEL BELGIO, SPAAK

[Roma, 6 dicembre 1948.}

Con riferimento vostre cortesi dichiarazioni a Bruxelles ricorro vostra amichevole urgente mediazione perché proposta anglo-americana di affidare Italia sola

3 Non rinvenuti.

Somalia venga rinviata. Perdita Eritrea in favore Negus sarebbe evento intollerabile per coscienza italiana. D 'ailleurs ci consta in modo assoluto che americani consapevoli di ciò gradirebbero rinvio di cui però non possono prendere iniziativa.

Convinto che un vostro rapidissimo intervento testimoniante valore azione presente Governo in favore libertà europea potrebbe essere ben accolto vi esprimo fin d'ora nostra viva riconoscenza.

717 2 Non pubblicato.

718 1 Autografo, consegnato a mano il 6 dicembre all'ambasciatore Motte per la trasmissione a Bruxelles.

719

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO l 0939/4102. Washington, 6 dicembre 19481•

Ho oggi accompagnato il generale Marras nella sua visita di cortesia al presidente Truman.

Il presidente ha risposto con marcata cordialità alle espressioni del nostro capo di Stato Maggiore. Ha detto che si augurava che egli potesse trarre i migliori frutti dalla sua visita negli Stati Uniti e si è dichiarato certo che i vari servizi americani gli sarebbero stati larghi di ogni assistenza.

Sono allora intervenuto per dire al presidente che, ben conoscendo l'interesse che egli portava alle cose italiane, volevo richiamare la sua attenzione sulla affermazione testè conseguita alla Camera dal nostro Governo2 , affermazione che costituiva al tempo stesso una ulteriore sanzione ufficiale del Parlamento e dell'opinione pubblica italiana alla politica di V.E. e del presidente De Gasperi. Ho detto che il successo del Governo era da considerarsi tanto più significativo in quanto la discussione si era dovuta svolgere sotto gli auspici sfavorevoli dell'annuncio di una posizione angloamericana sulla questione delle colonie italiane che arrecava un serio pregiudizio ai nostri legittimi interessi. Ho aggiunto che, poiché sembrava che la discussione della questione dovesse subire un rinvio, sia pure per ragioni più che altro procedurali, contavamo sull'aiuto degli Stati Uniti perché la soluzione di essa venisse riesaminata e migliorata. Gli ho detto infine che sapevo quanto egli si era adoperato per ottenere almeno che la questione non venisse discussa immediatamente e che di ciò gli eravamo grati.

Mi ha risposto che egli aveva fatto del suo meglio ma che il problema presentava e presenta tuttora gravi difficoltà.

Ho allora detto che ove, come tutto sembrava indicare, la questione dovesse venire in discussione alla sessione primaverile del!' Assemblea generale, noi non avremmo mancato, accogliendo anche il suggerimento che mi era stato dato da

2 Si riferisce all'esito delle discussioni sulle mozioni di Nenni e Giacchero concernenti la politica estera del Governo, vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, IV, seduta del 4 dicembre 1948, pp. 5064-5118.

Lovett3 , di continuare a cercare un accordo al riguardo con gli inglesi: ma necessitavamo a tal fine dell'appoggio del Governo americano il cui intervento presso Londra potrebbe ~ove condotto con fermezza ~avere valore decisivo.

Il presidente ha mostrato di accogliere con simpatia la mia richiesta e, rivolgendosi pure a Marras, ha detto che egli era lieto di adoperarsi a favore dell'Italia anche perché molti membri del suo Gabinetto e moltissime personalità americane avevano altamente elogiato la capacità, l'onestà e l'attività degli uomini di Governo italiani, precisandogli che il nostro era il migliore tra gli attuali Governi europei.

Rivoltosi poi al capo del Cerimoniale Woodward, che assisteva al colloquio, il presidente ha testualmente detto: «Sia Marshall che Harriman mi hanno espresso questa opinione ed io sono lieto di ripeterla di fronte all'ambasciatore d'Italia».

Nel momento in cui tutto sembra indicare che Truman, reso più confidente in se stesso dal risultato delle elezioni, si accinge a prendere una parte sempre più attiva nella direzione della politica sia interna sia estera di questo Governo, le espressioni da lui avute nei confronti del nostro paese e dei suoi dirigenti assumono un significato particolarmente favorevole.

719 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

720

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.ND. PER TELEFONO 13763/926. Roma, 7 dicembre 1948, ore 18,45.

Conto con piena fiducia sul suo intervento. Ma debbo pregare V.E. significare formalmente costà che se si entra nel merito circa le ex colonie italiane noi contiamo che dopo sentito lei non si prenda alcuna decisione che potesse essere a noi contraria senza aver prima ascoltato sia il presidente del Consiglio sia me.

721

L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, VENTURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. s.N.D. 15895/241. Bruxelles, 7 dicembre 1948, ore 19,54 (per. ore 7,30 dell'B).

Telegramma di VE. 2121 pervenuto stamane cioè dopo che discussione situazione nostre colonie era stata rinviata.

721 Vedi D. 715.

Intervento Spaak, pronunziatosi in favore prolungamento attuale sessione O.N.U., conferma quanto più volte riferito: egli non è disposto prendere posizione che possa riuscire sgradita Inghilterra in problema che non tocca da vicino Belgio.

Non è forse da escludere che il desiderio di Spaak di vedere risolta subito questione colonie italiane in modo compromessorio sia pure da collegarsi con noto atteggiamento Belgio circa Patto atlantico. Infatti rinvio decisione circa nostre colonie ci dà un poco di respiro, ci permetterà meglio preparare nostra eventuale inclusione patto e può in conseguenza rendere più difficile accoglimento da parte Washington progetto caldeggiato anche da Spaak e includente, almeno in un primo tempo, soli partecipanti Patto Bruxelles.

719 3 Vedi D. 712.

722

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO RISERVATISSIMO. Roma, 7 dicembre 1948.

Dopo alterne vicende, -che hanno trovato la loro più preoccupante manifestazione nelle comunicazioni con le quali l'onorevole La Malfa, in data 27 novembre1 , ha riferito circa l'eventualità di una rottura delle conversazioni, -i negoziati itala-sovietici sono giunti (anche a seguito delle istruzioni di V.E. impartite in vista di ricondurre i negoziati su di una base più consona agli impegni internazionali assunti dall'Italia) ad una certa schiarita che fa ritenere, come d'immediata possibilità, che i lavori della delegazione italiana a Mosca possano concludersi nei prossimi gtornl.

Mi permetto al riguardo, infatti, di attirare l 'attenzione di V.E. sugli ultimi telegrammi pervenuti da Mosca, ed al presente appunto allegati, con i quali il capo della delegazione, informando il Governo di avere in massima parte raggiunti anche gli obiettivi, designatigli con le ultime istruzioni governative, ha pressantemente sollecitato l'urgente autorizzazione alla «definitiva messa a punto degli accordi ed alla loro relativa firma» 2•

Come a V.E. è noto tale firma si riferisce, oltre che alla questione della cessione delle navi da guerra (questione non di competenza di questa Direzione generale) ad un:

a) Trattato di commercio e navigazione;

b) Accordo commerciale;

722 1 Vedi D. 675. 2 Vedi D. 703.

c) Accordo per le riparazioni.

L'onorevole La Malfa ha particolarmente sottolineato l'urgenza della firma di detti accordi -sui cui dettagli questo Ministero non è stato che parzialmente informato -facendo presente «come sia urgente anche nell'interesse italiano concludere ed illustrare gli accordi nella loro reale portata ali'opinione pubblica italiana prima del 15 dicembre» data d'inizio delle prime operazioni relative alla consegna delle navi da guerra italiane alla Russia in base all'accordo del 6 novembre 1948.

Per ciò che concerne il corso dei negoziati dei tre accordi sopraindicati, la Direzione generale scrivente, unicamente sulla scorta degli ultimi telegrammi pervenuti da Mosca, riassume quanto segue:

l) Trattato di commercio e navigazione. L'accordo, a quanto assicura la delegazione, è stato raggiunto salvo alcune questioni di dettaglio per cui sono ancora in corso le discussioni. Si ha però ragione di ritenere che tali questioni potranno essere risolte.

2) Accordo per le riparazioni. La delegazione informa che il Governo di Mosca, dopo grandi difficoltà, ha adeguato le sue richieste al progetto italiano per l'accordo riparazioni, salvo alcuni emendamenti di carattere tecnico che sembra possano essere accettati da parte italiana. In particolare la delegazione ha specificato che i beni italiani in Romania, Bulgaria ed Ungheria saranno computati alla funzionalità e valore che avevano all'8 settembre 1943, e ciò nella loro totalità, con priorità sulle forniture industriali correnti per il noto totale di l 00 milioni di dollari dovuti. (Tale soluzione corrisponde alle richieste americane). Si sta tutt'ora facendo infine ogni sforzo, e la delegazione spera con successo, allo scopo di ottenere che le requisizioni dei beni italiani nei Balcani, effettuate dali'Armata rossa a titolo di preda bellica o trofeizzazione, prima e dopo l'entrata in vigore degli armistizi con i paesi balcanici interessati, siano limitate soltanto a quelle avvenute prima dell'entrata in vigore degli armistizi con i detti paesi.

3) Accordo commerciale. La questione più delicata di tutto l'accordo è stata la formulazione della lista delle merci da liberamente fornire all'U.R.S.S. Su questo punto, mentre da un lato la delegazione si è trovata a dover fare fronte a delle insistenti richieste sovietiche, dall'altra essa ha dovuto -su precise istruzioni del Ministero -tenere presente la particolare situazione dell'Italia in relazione agli ultimi impegni internazionali assunti, situazione questa che non ha, indubbiamente, facilitati questi complessi negoziati.

Come è noto infatti a V.E. le autorità americane hanno nel corso di questi due ultimi mesi riservatamente richiesto a tutti i Governi dei paesi aderenti al piano Marshall che alcune categorie di prodotti non fossero esportate nella Russia sovietica o nei suoi paesi satelliti. Per quanto riguarda l'Italia, in particolare, precisi passi sono stati al riguardo compiuti tanto a Roma quanto a Washington presso la nostra ambasciata, soprattutto in relazione ai nostri negoziati di Mosca3 .

Sulle ripetute istruzioni impartite da questo Ministero la nostra delegazione è riuscita a far recedere i sovietici dalla loro richiesta di includere nell'Accordo commerciale vari prodotti figuranti nella objectable list americana. È tuttavia rimasta in discussione la fornitura, sempre in base all'accordo commerciale, di otto petroliere da 1500 tonnellate.

La voce «petroliere», VE. ne è al corrente, è quella che nel corso dei confidenziali contatti intercorsi con le autorità statunitensi (ambasciata a Roma, missione E.C.A., Dipartimento di Stato), ha provocato le maggiori obbiezioni americane.

A tale proposito si osserva, che se anche si è riusciti, con l'azione autorizzata da VE., e riservatamente svolta presso le autorità americane, ad evitare fino ad ora di giungere ad un impasse, da un lato pericolosa per i nostri stretti ed amichevoli rapporti con Washington e dall'altro pregiudizievole ai nostri negoziati con Mosca, non si è potuto invece ottenere -come del resto ha anche ripetutamente informato la nostra ambasciata a Washington -che fosse avallata da parte americana la fornitura delle petroliere.

Di questa particolare delicata situazione, indubbiamente causata dall'intensificazione dei nostri obblighi con l'Occidente, non ha potuto pienamente rendersi conto la nostra delegazione a Mosca -partita alla metà dello scorso mese di agosto nonostante vari richiami e suggerimenti ministeriali.

Pertanto, in tale situazione di fatto, presentito anche il ministro del Commercio estero (incaricato tecnicamente dal Consiglio dei ministri di seguire, unitamente al Ministero dell'industria e commercio, le nostre relazioni economiche con l'Oriente europeo), si ritiene esprimere il parere che l'autorizzazione a firmare, pressantemente richiesta dall'onorevole La Malfa, debba ora essere accordata ma soltanto a condizione che vengano eliminate dalla lista delle forniture commerciali le otto petroliere richieste dal Governo dell'U.R.S.S.

Di fronte ad un eventuale insuperabile irrigidimento sovietico la soluzione confacente alla nostra posizione derivante dalla situazione internazionale, potrebbe soltanto essere rappresentata dal suggerire nuovamente il trasferimento della fornitura di petroliere dalla «lista commeriale» alla «lista riparazioni». Tale soluzione -che del resto è già stata segnalata alla nostra delegazione a Mosca in base a personali confidenziali suggerimenti da parte americana -dovrebbe essere tuttavia sempre subordinata al fatto che la fornitura di petroliere sia conditio sine qua non per giungere ad un accordo con la Russia.

In relazione a quanto precede si ha l'onore di unire un progetto di telegramma di istruzioni per la delegazione italiana4 .

A conclusione di quanto sopra esposto ritengo mio dovere di segnalare a VE., nella probabile eventualità di una prossima conclusione degli accordi con Mosca qualora I'E.V. approvi le definitive proposte d'istruzioni, che particolare attenzione venga data da parte degli Uffici competenti alla presentazione ed illustrazione

all'opinione pubblica italiana ed estera delle decisioni che saranno raggiunte a Mosca.

Per quanto concerne l'Italia è ovvio che si sottolinei l'importanza degli accordi commerciali e che si chiarisca la portata della cessione delle navi avvenuta in base agli accordi di pace, inquadrandola nel complesso degli accordi economici (questione, del resto, di non specifica competenza di questa Direzione generale).

Per quanto concerne l'estero, ed in particolare l'opinione pubblica nord-americana, sembra assolutamente necessario che gli accordi di Mosca siano ridotti alle loro vere proporzioni che sono del resto in massima parte definite dai precisi impegni che l'Italia ha preso con tutte le potenze alleate in ottemperanza agli accordi di pace.

A tale riguardo è forse utile sottolineare che se gli ambienti governativi americani, date le continue riservate informazioni sul corso dei negoziati con la Russia ad essi fomiti su istruzioni di V.E., hanno già «scontato», e credo non con disapprovazione, la possibilità di una regolamentazione dei nostri rapporti economici con l'U.R.S.S., l'opinione pubblica statunitense potrebbe invece essere sfavorevolmente colpita, in questo delicato momento politico, da un'incauta presentazione degli accordi che potranno essere raggiunti fra l'Italia del piano Marshall e la Russia sovietica.

722 3 Vedi D. 512.

722 4 Vedi D. 725.

723

IL MINISTRO A SOFIA, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3 162/184 7. Sojìa, 7 dicembre 1948 (per. il 14).

Riferimento: te l espresso di codesto Ministero n. 15/31042/82 del 26 novembre

u.s. 1•

Prendo nota delle istruzioni di cui alla prima parte del telespresso in riferimento; e non mancherò di tener presente, nei contatti con questo Ministero degli esteri, l'opportunità di sollecitare, per speciali e più pietosi casi di rimpatrio, l 'intervento presso le autorità albanesi della legazione bulgara a Tirana, analogamente all'interessamento che in singoli casi ha svolto costì la legazione di Bulgaria.

Ho inoltre dato corso alle istruzioni contenute nella seconda parte del telespresso in riferimento. Ho avuto stamane un colloquio con l'incaricato d'affari d'Albania, signor An toni (il ministro H e ba è sempre assente), il quale è rientrato da pochi giorni da Tirana dove si era trattenuto per circa mezzo mese.

723 Vedi D. 670.

Gli ho chiesto inizialmente se avesse appurato nulla a Tirana circa l'esito delle nostre insistenze per il rimpatrio degli italiani trattenuti colà. Mi ha risposto che non era autorizzato a farmi alcuna comunicazione ufficiale; ma che poteva a titolo personale dirmi d'aver parlato della questione al Ministero degli affari esteri albanese, e d'aver tratto da tali colloqui l'impressione che la questione del rimpatrio degli italiani tuttora in Albania sarebbe stata quanto prima regolata. Avendogli io chiesto cosa intendesse dire con quel «quanto prima», egli ha risposto vagamente che in questo momento le amministrazioni albanesi sono eccessivamente cariche di lavoro, e che d'altra parte si desiderava da parte albanese conoscere quale fosse in definitiva la risposta ufficiale del Governo italiano alla loro proposta (mio telespresso n. 2271/1338 del 10 settembre u.s.) 2 per l'invio di una missione economica albanese in Italia, in relazione all'applicazione delle clausole del trattato di pace.

Gli ho detto allora che da parte mia ero ora in grado di dargli al riguardo una informazione precisa: avevo infatti ricevuto istruzioni da Roma di comunicare che il Governo italiano era disposto ad autorizzare l'ingresso in Italia di una missione economica albanese se il Governo albanese fosse stato da parte sua disposto ad autorizzare l'ingresso in Albania di una missione italiana per il rimpatrio e l'assistenza degli italiani tuttora in Albania; ed ho sottolineato che l 'eventuale scambio di missioni avrebbe dovuto aver luogo simultaneamente. Per maggior precisione gli ho lasciato il pro-memoria di cui unisco copia3 .

L'incaricato d'affari albanese mi è parso personalmente ben impressionato dalla nostra proposta. Mi ha chiesto se la missione economica albanese avrebbe potuto trattare con le autorità italiane degli interessi albanesi sorgenti dalle clausole del trattato di pace; al che ho risposto che ciò non mi pareva dubbio: l 'idea della missione economica albanese era infatti originata dalle richieste contenute nella nota verbale albanese del 10 settembre u.s. (allegata al telespresso di questa legazione succitato ). Il signor An toni mi ha poi chiesto di quante persone sarebbe eventualmente composta la missione italiana. Gli ho risposto che non avevo al riguardo indicazioni; ma che queste questioni di dettaglio potevano essere discusse successivamente se i due Governi si accordavano per lo scambio delle missioni. Avendo poi il signor Antoni cominciato, da buon orientale, a sostenere un maggior diritto da parte albanese di inviare una missione in Italia di quanto l 'Italia non avrebbe di inviare una sua missione in Albania, ho tagliato corto dicendo che o si accettava, fra Stati indipendenti, sovrani e uguali, la reciprocità dello scambio delle mi~sioni, con diritti uguali, o tutto sarebbe caduto; desideravo anzi ripetere che era indispensabile il requisito della contemporaneità per lo scambio delle missioni stesse.

Il sig. Antoni mi ha assicurato che avrebbe subito informato il suo Governo; e mi avrebbe fatto avere comunicazioni appena possibile.

723 Vedi D. 410. 3 Non si pubblica.

724

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

PROMEMORIA. Parigi, 7 dicembre 1948 1•

Il signor Charles Bohlen, consigliere del Dipartimento di Stato, in una lunga e cordiale conversazione mi ha detto quanto segue nei riguardi delle colonie italiane:

l'accanimento inglese nell'ottenere, a tutti i costi, almeno l'inizio della discussione sulle colonie italiane -a parte le ragioni di politica interna che avevano anche il loro peso -si poteva ascrivere ai seguenti motivi:

a) l 'urgenza di ottenere un «titolo» legale e definitivo per poter chiedere al Parlamento inglese l'autorizzazione di spese militari e para-militari in Cirenaica. Le promesse non bastavano;

b) liberarsi, al più presto, del grave carico finanziario dell'amministrazione della Somalia, Eritrea e Tripolitania;

c) qualsiasi rinvio della questione era pregiudizi evo le per la sicurezza inglese data l'estrema urgenza dei lavori militari (campi di atterraggio per grandi aerei, apprestamento di basi navali, cantieri, alloggiamenti ed altre importanti opere militari).

D'altro canto il Governo americano considerava l'anno 1949 come un «anno cruciale» di importanza ben maggiore, e con pericoli ben più gravi, dell'anno in corso. Di fronte alle considerazioni di alta strategia generale fatte valere dagli inglesi, e alla necessità di assicurarsi basi efficienti e sicure per una guerra futura, il Governo americano, seguendo il parere del suo Stato Maggiore Generale e dell'Ufficio Medio Oriente del Dipartimento di Stato, aveva preso l'impegno di sostenere il piano inglese nei riguardi delle colonie italiane.

Venendo a parlare poi della proposta francese e sud-americana di abbinare la Cirenaica con Tripolitania, egli mi ha detto che la minaccia di torbidi contro una eventuale amministrazione italiana era troppo grave per poterla scartare a priori. In più, un esame accurato, fatto in Assemblea, circa le possibilità di raggiungere i due terzi a nostro favore aveva dato risultati completamente negativi. L'Inghilterra aveva già dimostrato essere pronta a concedere l'indipendenza a quei possedimenti coloniali che fossero giunti alla maturità (lndia, Egitto, Iraq, Transgiordania, Birmania, Ceylon) mentre la concezione colonialista italiana -rassomigliante molto a quella francese -considerava i territori sotto il suo dominio come facenti parte del proprio territorio metropolitano, concezione questa fortemente osteggiata da tutti i gruppi arabi e quelli anti-colonialisti estremo-orientali, medio-orientali e sud-americani.

A queste ragioni d'ordine permanente che avevano influito sull'orientamento americano se ne era aggiunta in questi giorni un'altra d'ordine puramente transitorio e temporaneo. L'Inghilterra, nel dibattito in corso sulla Palestina, aveva fatto dei reali sacrifici, rinunciando a sostenere il piano Bernadotte, per avvicinarsi al punto di vista

1060 americano. Queste concessioni importanti erano state fatte dietro pressanti richieste americane. La delegazione degli Stati Uniti non poteva ora non venire incontro alla delegazione inglese specialmente quando questa chiedeva di aiutarla almeno nel far iniziare il dibattito coloniale. Bohlen poi ha dovuto convenire con me su tutti gli inconvenienti derivanti da un tale accomodamento e si è dimostrato più che convinto della utilità anzi -ha aggiunto -della necessità di un rinvio di qualche mese.

Egli era contrario a un inizio immediato del dibattito perché le delegazioni non potevano oggi rendere di pubblica ragione le loro tesi fissando in antecedenza la loro posizione per riprendere poi le discussioni entro tre mesi: molte cose potevano accadere in questo lasso di tempo che potevano far modificare fondamentalmente le idee dei vari Governi su questo complicato problema.

Egli, perciò, aveva fortemente consigliato la sua delegazione di non fare alcuna dichiarazione impegnativa o che potesse comunque essere interpretata come una presa di posizione.

E Bohlen, accentuando volutamente quanto diceva, ha aggiunto, «Voi sapete quanto il Governo di Washington è interessato nella rinascita e nel rafforzamento deli'Italia e quanto esso ha fatto a questo fine da oltre due anni. Io personalmente sono stato molto più interessato nell'esito delle elezioni italiane che in quelle americane. L'Italia rappresenta per noi uno dei punti chiave della politica americana in Europa, e la divisione Western Europe -alla quale io appartengo -ha fatto tutto il suo possibile per difendere gli interessi italiani nella questione coloniale. Sfortunatamente il suo parere non ha avuto il sopravvento. Il rinvio quindi apre la porta a tutte le possibilità. Molte cose possono cambiare nei prossimi mesi. Il generale Marras è a Washington, ospite dello Stato Maggiore Generale, e speriamo che egli possa fornire tutti quegli elementi che possano rassicurare i nostri militari sulla inesistenza dei pericoli prospettati e sulla possibilità di una collaborazione efficace e piena di promesse avvenire nel campo militare in genere. Ciò potrebbe far cambiare completamente le premesse sulle quali era stata basata la nostra decisione».

E poi, concludendo, ha detto: «Tutto quello che si farà qui ed anche a Lake Success non riguarda in fondo che l'immediato futuro, il quale, per forza di cose, è influenzato dalle condizioni politiche attuali. Io sono sicuro che, passata questa contingenza, le valide ragioni italiane saranno pienamente riconosciute da tutti, anche dopo raggiunta una soluzione alle Nazioni Unite».

Egli mi ha infine promesso di intervenire presso Dulles perché il delegato americano, prima di dare il suo voto contrario alla mozione sovietica e inglese di incominciare i dibattiti nella Commissione ad hoc, sia pure per tre o quattro giorni -faccia una dichiarazione netta sulla necessità del rinvio della questione al lo aprile.

Dal tono delle soprariportate dichiarazioni, e dall'andamento generale della conversazione -non limitata soltanto ai predetti argomenti ma che ha spaziato su tutto l'orizzonte politico, e sulla quale riferiscono in separata sede -ho avuto l'impressione che, in questi ultimi giorni, siano intervenute delle considerazioni nuove ed importanti, che hanno sensibilmente modificato l'atteggiamento generale della delegazione nord-americana nei nostri riguardi.

724 1 Trasmesso da Quaroni con Telespr. 1726/21865/4763 dell'Il dicembre.

725

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 13801/214. Roma, 8 dicembre 1948, ore 15,30.

Per an. La Malfa.

Riferimento sue ultime comunicazioni e in particolare telegramma 411 1 .

Governo autorizza V.S. firmare trattato commercio e navigazione, accordo commerciale e pagamento, accordo riparazioni a condizione che:

l) venga stralciata voce forniture petroliere da accordo commerciale;

2) venga inserita in accordo riparazioni precisa formulazione priorità cessione beni balcanici rispetto a forniture tratte da produzione corrente.

Qualora questione petroliere fosse condizione assolutamente indispensabile per conclusione accordi, V.S. è autorizzata negoziare trasferimento tali navi da lista commerciale a lista riparazioni conformemente quanto telegrafato con telegramma ministeriale n. 2072 , informando però questo Ministero prima di assumere al riguardo definitivi impegni.

726

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA PERSONALE 10970/4133. Washington, 8 dicembre 1948 (per. il 22).

Oggi abbiamo avuta la decisione a Parigi secondo quanto qui avevamo, se non del tutto previsto, sperato -dopo i nostri ripetuti interventi -cioè il rinvio puro e semplice.

Evidentemente non si può mai contare ciecamente sulla parola di chicchessia, ma le assicurazioni confidenziali che mi erano state date, e che io le avevo comunicate, non potevano lasciare dubbi sulla buona volontà e soprattutto nella buona fede assoluta di uomini che ci hanno sempre aiutato efficacemente nei momenti difficili.

La presenza di Dunn qui negli ultimi giorni mi è stata preziosa sia per il suo valevole apporto sia per controllare le mie impressioni e per sentirmi rassicurato sulle nuove direttive americane.

La battaglia è stata durissima così per l'ostilità costante della Divisione Africa (sotto l'influenza britannica) come per gli impegni che Marshall -senza approfon

725 1 Vedi D. 703. 2 Del 4 dicembre, non pubblicato.

dire il problema e fors'anche per stanchezza dato il suo stato fisico e morale negli ultimi tempi -aveva presi con gli inglesi a Londra e a Parigi. E questo non per scarsa considerazione del Governo italiano, di cui ha detto un gran bene al presidente1 (come riferisco a parte) ma per lo strano errore di cedere ad argomenti sofistici o infondati -specie di carattere militare -gabellatigli per buoni e per equi.

In ogni modo tutto questo è passato; abbiamo rimediato, anche se con molta fatica, al grave ed improvviso malanno che ci era cascato addosso; dobbiamo ora preparare la soluzione avvenire.

Ho parlato col presidente e con Lovett della necessità che gli Stati Uniti ci aiutino a risolvere il problema con Londra. Il fatto che Dunn ci vada -non per parlare direttamente con gli inglesi ma per illuminare Douglas -è già un'indicazione favorevole.

Mi è parso egli fosse in dubbio se presentare senz'altro l'idea sua che nonostante sia quella che potrà veramente risolvere il problema nel futuro -appare ora prematura dati gli umori degli inglesi; potrà però certo includerla nelle conversazioni per un piano d'intesa generale in Africa. In ogni modo noi pure dobbiamo lavorare con grande lena a Londra e convincere gli inglesi delle nostre leali intenzioni verso di loro (allo State Department mi hanno detto che il Foreign Office è fuori di sè per la campagna -soprattutto di parole imprudenti o eccessive -che sarebbe sarebbe stata fatta nell'America latina da nostri funzionari. Sarebbe bene cercare di limitare gli ardori di chi strafà e anche senza volerlo crea malanimo e difficoltà).

Il maggior elemento che possiamo far valere in nostro favore è quello della nostra entrata nel gruppo delle nazioni occidentali garantite dal Patto atlantico e messe automaticamente su piede di parità, di fiducia e di responsabilità comune.

Dunn parlando ieri allo Stato Maggiore al Pentagono ha detto: dobbiamo d'ora in poi parlare di Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia ad ogni proposito e su un piano di solidali interessi.

È proprio questo cui dobbiamo tendere e decisamente e rapidamente. Tutto quanto lei ha fatto finoggi con coraggioso patriottismo deve sfociare in questo accordo che lei potrebbe annunciare prima confidenzialmente alle varie capitali, e poi venire a firmare qui.

L'Inghilterra voleva la discussione subito perché giustamente (dal suo punto di vista) temeva che entrando noi nella coalizione difensiva occidentale -come gli Starti Uniti desiderano e chiedono -avremmo acquistato titoli, autorità e possibilità per risolvere altrimenti la questione coloniale.

So quanto sia difficile la sua posizione, date certe malfondate avversioni, ma son certo che lei sarà pari al compito che si è prefisso e che corrisponde ai superiori interessi nazionali.

Non v'è altra via di sicurezza per l'Italia, morale politica economica militare, all'infuori dell'organizzazione difensiva dell'Occidente. Occorre essere tempisti e non lasciar sfuggire le favorevoli occasioni, anche in considerazione dell'indispensabile apporto finanziario che il nuovo Congresso dovrà votare agli inizi della nuova legislatura.

Io sono lieto di aver potuto intervenire qui in tempo nella crisi coloniale ed essere riuscito con molti sforzi ad aiutare a risolvere la situazione.

Adoperiamoci a fondo ora per assestarci adeguatamente e non solo per le colonie ma per tutti i grandi problemi nostri, compresa l'emigrazione cui assiduamente lavoro.

Ma il primo passo è l'adesione. Altrimenti continuiamo ad avere tutti gli svantaggi di una posizione di sospensione pur essendo ugualmente impegnati. I francesi credono si possa benissimo aderire al Patto atlantico senza entrare prima in quello di Bruxelles.

Allo State Department non si è giunti ancora ad un'idea ben definita. Ma avremo in questi giorni una chiarificazione nelle discussioni tra gli ambasciatori e Lovett, che cominciano venerdì 10.

La informerò subito2 . (È mio parere peraltro che rispetto alla nostra opinione pubblica possa apparire più strumento di guerra il Patto atlantico che non quello di Bruxelles, giacché nessuno può credere che le nazioni europee -ridotte come sono -pensino a provocare o facilitare un conflitto anziché limitarsi, come fanno, a semplici e legittimissime precauzioni difensive. Capisco che la ripugnanza per Bruxelles dipende dalle nostre attuali relazioni con gli inglesi. In ogni modo il Governo ha libertà di scelta, se questa possibilità sarà confermata).

Sono contento che il voto della Camera3 e il rinvio di Parigi rafforzino molto l'azione sua, e non solo come ambasciatore ai suoi ordini ma anche come semplice italiano e vecchio amico4 .

726 1 Vedi D. 719.

727

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 1132/524. Lisbona, 8 dicembre 1948 (per. il 24).

Il l o dicembre si celebra in Portogallo la festa della Restaurazione, con cui si commemora la fine della dominazione spagnuola (l o dicembre 1640).

3 Vedi D. 719, nota 2.

4 Per la risposta vedi D. 750.

La data è stata scelta, non si sa bene per quali ragioni, anche come festa della «Mocidate (Gioventù) portuguesa» etichetta che copre una timida imitazione delle milizie giovanili fasciste. Create quando -fascismo e nazismo trionfanti -le dottrine totalitarie sembravano destinate ad affermarsi in Europa, le formazioni militareggianti della gioventù portoghese dovevano, insieme con quella della «Legione portoghese», rappresentare l'embrione di un Portogallo organizzato sul modello fascista e nazista.

La guerra, la vittoria delle democrazie, la conseguente fine ovunque dei regimi nazionalisti totalitari, hanno messo in sordina anche le velleità fasciste del prof. Salazar e la Mocidade e la Legione furono poste da parte. Ma non sono mai state abolite, e il l o dicembre le formazioni giovanili, vestite in camicia verde, inquadrate da una fitta siepe di bandiere alla moda nazista, hanno sfilato per la città, hanno salutato col braccio alzato, ricordando al popolo di Lisbona che la cellula esiste sempre, pronta a estendersi e a moltiplicarsi.

Dalle fotografie unite, scelte a caso nella stampa locale, si vedono le uniformi e le bandiere, e può anche osservarsi un gruppo di gerarchi che saluta con la mano tesa e che ricorda in modo impressionante le cerimonie fasciste.

Dalla fine della guerra, è questa la prima volta che viene dato un tale risalto a manifestazioni del genere. Deve ritenersi che, passata la bufera antifascista, calmati gli animi e date alcune soddisfazioni formali allo spirito democratico, i dirigenti portoghesi considerano che il momento è ormai giunto di mostrare i propri sentimenti, e gettare, in certo senso, la maschera destinata ad ingraziarsi i vincitori.

Nella confusione generale che ha seguito alla fine della guerra, quando lo stesso Franco, pericolante nella vicina Spagna, cercava di rivemiciare e dissimulare la sua origine e i suoi principi, mentre sembrava che l 'Europa e il mondo intero dovesse, per vivere, inserirsi in un ordine democratico, il Portogallo, senza peraltro per nulla mutare i sistemi autoritari che da tempo seguiva, si è raccolto su se stesso, ed ha atteso, la testa sotto l 'ala, che la tempesta si calmasse. L'anticomunismo ha assolto alla perfezione il suo compito di coprire con un'etichetta ben nota e bene apprezzata una merce avariata: nel momento in cui i vari fascismi crollavano, il vecchio e mai rinnegato filofascismo di Salazar veniva presentato come una legittima forma di ostilità dottrinaria al comunismo e all'U.R.S.S.

Delineatasi in seguito la scissione tra Occidente ed Oriente, i regimi autoritari della penisola iberica si sono mantenuti e vanno anzi consolidandosi a misura che si accentua la scissione stessa.

E oggi gli imitatori dei dittatori credono di poter rialzare la testa e di poter tirar di nuovo fuori l'armamentario militaresco-fascista che avevano precipitosamente deposto quando durante la guerra cominciò a delinearsi il sicuro trionfo delle democrazie. E ricominciano le sfilate, le uniformi, le camicie variopinte, tutte quelle fantasie che sono ben note in Italia e altrove, e che, pur sembrando innocenti giuochi di ragazzi, si sono nella realtà dimostrate fonte di pericoli e di disastri.

Vari avvenimenti di ordine internazionale, negli ultimi tempi, son sembrati peraltro poco incoraggianti per i regimi totalitari. Si è avuta in primo luogo l'elezione di Truman: sembrava al volgo che ben poca fosse la differenza tra i due candidati; il programma dei due partiti -si diceva -è quasi identico; il popolo americano è unito su quelli che sono i principi direttivi e le linee essenziali della sua vita politica e sociale; tanto i democratici che i repubblicani seguiranno la stessa politica estera. Ma le piccole differenze di livello e di inclinazione al centro producono degli scarti immensi alla periferia della ruota, e ciò mi sembra sia avvenuto con il trionfo dei democratici. Poco prima delle elezioni alcuni americani, esponenti del Partito repubblicano, hanno viaggiato in Europa, sono stati a Madrid, dove hanno concesso interviste e fatto dichiarazioni a favore della Spagna e anche di Franco. Sembravano questi avvenimenti senza importanza, ma bastarono perché in Spagna, e di conseguenza in Portogallo, dove l'elezione di Dewey non era messa in dubbio, si affermasse e sinceramente si credesse -e forse a torto-che l'isolamento nel quale l'attuale Governo spagnuolo era venuto a trovarsi dopo la guerra stava per finire, che tutte le prevenzioni cadrebbero e che Franco, senza esser costretto ad alcuna di quelle concessioni alla democrazia e alla libertà che il Governo di Truman esigeva da lui, sarebbe trionfalmente entrato nel consesso delle Nazioni Unite.

Un ambasciatore degli Stati Uniti-si diceva in Spagna e si ripeteva a Lisbona -sarebbe quanto prima giunto a Madrid, seguito da quelli di tutte le altre potenze. E questa idea faceva un immenso piacere a spagnuoli e a portoghesi. Il successo dei democratici ha fatto tacere queste voci.

Dalle riunioni dell'O.N.U. a Parigi nulla di buono è venuto per Franco: la situazione resta immutata. Il malumore e la delusione vengono pubblicamente mostrati per la prima volta nel brindisi pronunciato il 4 dicembre dal ministro degli esteri di Portogallo durante il banchetto offerto al ministro degli esteri del Brasile. Il Caeiro da Matta attacca decisamente le Nazioni Unite, affermando che la nullità e l'impotenza della nuova organizzazione è superiore alla nullità e all'impotenza della vecchia organizzazione ginevrina. Il Fernandes, vecchio saggio e di spirito fine ed arguto, non rileva le insinuazioni del collega portoghese, ma -nel rispondergli -esprime invece il disappunto provato per la mancata ammissione del Portogallo all'O.N.U. e formula l'augurio che il «fratello maggiore» del Brasile possa presto entrare nell'accolta delle Nazioni Unite. C'è quasi da chiedersi se si assista ad uno scambio di propos entre sourds.

Nello stesso brindisi il ministro portoghese non ha perduto l'occasione per riaffermare l'ostilità ai progetti di Federazione europea che ha definito concezione romantica il cui fallimento è facilmente prevedibile, ed ha anche affermato che l'Europa è un cimitero di trattati violati. È quest'ultima una frase che appare sconcertante e alla quale è difficile dare un senso concreto; a quali trattati si vuole alludere? In qual modo sono stati lesi gli interessi del Portogallo? Ma sarebbe vano cercare in profondità: probabilmente si è ceduto alla tentazione di un'immagine che è apparsa efficace e che rispondeva all'intonazione pessimistica e quasi aggressiva di tutto il discorso. Evidentemente quella che, in un'Europa riproducente un'assemblea con i suoi vari partiti e le varie tendenze, rappresenta oggi l'estrema destra, non è contenta dell'andamento della discussione in corso, e ha qualche scatto di malumore. Ma si tratta, come succede proprio nelle assemblee, di una minoranza che, come tutte le minoranze, si mostra eccitabile e nervosa e soffre di complessi van.

Per restare nell'immagine dell'assemblea e considerando l 'eventualità che i dissensi attuali tra gli Stati Uniti e l'U.R.S.S. vengano a sboccare in un conflitto armato, quale sarebbe la funzione della penisola iberica, ossia dell'estrema destra? Non è dubbio che il possesso di questa parte d'Europa, che geograficamente e socialmente rappresenta una zona completamente distinta e separata dalla sfera d'azione immediata dell'ipotetico nemico, potrebbe dimostrarsi assai utile agli alleati occidentali. Le cellule di estrema sinistra senza dubbio vi esistono, e meglio organizzate di quanto comunemente si creda, ma, già costrette oggi ad una attività clandestina, sarebbero, in caso di guerra, ancora più facilmente ostacolate e ridotte. Ovvia è l'importanza strategica della penisola affacciata sull'Atlantico, con il prolungamento delle Azzorre, già solidamente in mano americana. Su tali considerazioni a Madrid e a Lisbona si conta per continuare negli attuali sistemi, ben decisi a far pagare a caro prezzo qualsiasi aiuto ed appoggio. E non è detto che l 'appoggio sarebbe immediato e completo; assai probabilmente si tratterebbe, al principio almeno, di una benevola attitudine di attesa: non sarebbe, naturalmente, il caso di parlare di neutralità data l'ostilità preconcetta e già virtualmente in atto verso l'Unione Sovietica. E si calcola anche -a Madrid e a Lisbona -che gli attuali regimi politici possono rendere maggiori servizi, in caso di guerra, agli Stati Uniti e ai loro alleati, che non una Spagna e un Portogallo retti con sistemi democratici, dove i comunisti sarebbero presenti ed attivi e dove l'U.R.S.S. avrebbe una ben maggior libertà di movimenti. L'estrema destra europea abbozza quindi una specie di ricatto, incoraggiata dall'atteggiamento che la maggioranza ha fino ad ora usato nei suoi riguardi. Per timidezza o per paura di complicazioni, o forse soltanto perché troppo contavano sulle loro forze, gli alleati hanno seguito nei confronti di Franco una politica niente affatto virile e decisa, ma incerta e molle, una politica di sospetto e di colpi di spillo, che ha culminato nel richiamo degli ambasciatori da Madrid, tipica mezza misura senza efficacia pratica, e in quella chiusura della frontiera francese, movimento di collera isterica, che il Governo di Parigi ha dovuto, con suo scorno, rimangiarsi.

Franco non può dimenticare tutto questo e non può nutrire sentimenti di simpatia per coloro che in tal modo lo hanno trattato, ma oggi il nemico numero uno non è per lui l'Occidente, ma l'Oriente, ed è quindi pronto a entrare nel giuoco-e vi è praticamente già entrato -dell'Occidente contro l'Oriente. Quanto al Portogallo esso fa blocco con la Spagna franchista e passa oltre ai vecchi rancori e alle vecchie incomprensioni verso il secolare nemico, spinto dalle necessità impellenti del momento.

Nel caso che il conflitto scoppi, gli Stati Uniti con i loro alleati potranno perciò contare sulla penisola iberica e -se agiranno con tatto -servirsi delle sue basi per i loro scopi bellici, ma si tratterà di un'unione basata sull'identità di interessi, il cui carattere e le cui premesse potranno mutare -e certamente muteranno -durante le operazioni belliche.

Molti elementi ostili agli attuali regimi di destra in Spagna e Portogallo pensano e sperano che essi non resisterebbero a lungo alle scosse e ai contraccolpi che non possono mancare, nel corso di una guerra esterna, di influenzare la politica interna e si augurano uno scompiglio generale per liberarsi delle dittature, aumentando in tal

1067 modo la non esigua schiera di coloro che, a causa della situazione interna del loro paese, siano essi rumeni o polacchi o spagnuoli, desiderano una conflagrazione mondiale che considerano come l'unica via d'uscita da una situazione intollerabile, e continuano a ripetere che la guerra è inevitabile e imminente.

726 2 Vedi D. 754.

728

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. RISERVATISSIMA 7981/880. Roma, 9 dicembre 1948.

In merito all'andamento dei negoziati con l'U.R.S.S. unisco un appunto di D'Ajeta che fa il punto sulla situazione odierna 1• È da presumere che, salvo imprevisti o difficoltà dell'ultima ora, sempre possibili, l'accordo venga concluso prossimamente. In tal caso le navi che in base all'art. 57 del trattato di pace devono essere consegnate all'U.R.S.S. partiranno nell'ordine seguente: l) entro il 15 gennaio: la «Giulio Cesare», l'«Artiglio», i sommergibili «Marea» e «Nichelio»;

2) 15 giorni dopo il ritorno degli equipaggi che hanno accompagnato il primo gruppo (e non più tardi del 1° marzo): il «Duca d'Aosta», !'«Animoso», il «Fortunale», la «Cristoforo Colombo»;

3) dopo completato il carico dei pezzi di ricambio la nave da trasporto ((Montecuccoli»; 4) presumibilmente a maggio o giugno: «Fuciliere» e «Ardimentoso» che necessitano qualche riparazione; 5) maggio 1949: ventidue piccole unità che non possono essere trasferite nei mesi invernali.

Le navi avranno a bordo equipaggi civili -essendo state radiate dal naviglio militare -non recheranno i loro nomi, ma semplici sigle con cui sono state iscritte nella Marina mercantile di cui batteranno la bandiera.

Ti prego di dare notizia delle date previste per la partenza delle navi al Dipartimento di Stato affinché questo possa regolarsi nel richiedere all'U.R.S.S. la restituzione delle navi prestate dagli Stati Uniti, le quali, secondo l'art. 9 del Protocollo navale del l O febbraio 194 7, dovrebbero essere restituite simultaneamente alla consegna all'Unione Sovietica delle navi italiane assegnatele dal trattato di pace2 .

728 1 Vedi D. 722. 2 Per la risposta vedi D. 748.

729

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 14529/1400. Vienna, 9 dicembre 1948 (per. il 4 gennaio 1949).

In queste ultime tre settimane sono stato ripetutamente messo genericamente al corrente e consultato circa il corso delle varie trattative che si stanno svolgendo attualmente costì in sede di esecuzione dell'accordo di Parigi ed in applicazione delle intese corse tra V.E. ed il ministro Gruber in occasione della recente visita di questi a Roma1•

Come è noto, a parte il contenuto tecnico dei vari accordi in gestazione, è insorta soprattutto una controversia circa la interpretazione da dare, alla lettera d) del paragrafo 3 dell'allegato IV del Trattato di Parigi, nonché sul come dare, anche formalmente, esecuzione al medesimo, specialmente in relazione all'accordo, separatamente formulato e in via di principio anche concordato, per la cosiddetta abolizione dei visti.

Da parte mia mi sono limitato ad una generica difesa del nostro più recente punto di vista in argomento, quale mi è apparso dalle varie comunicazioni fattemi pervenire cortesemente in argomento.

Con le notizie verbalmente portate dal ministro Bersbach rientrato tre giorni addietro dalla sua nuova missione a Roma, si è concretizzato e definito il pensiero del Governo austriaco in argomento, consegnandolo infine in una nota che è stata trasmessa alla legazione d'Austria a Roma perché la comunichi ufficialmente a V.E. Accludo per notizia la nota di tenore analogo che per mia informazione mi è stata rimessa, a nome del ministro Gruber, e a firma del direttore generale degli affari politici, ministro Leitmaier2 .

In definitiva, il Governo austriaco, senza rinunciare alle note riserve e soprattutto senza irrigidirsi sulle medesime in via pregiudiziale, si pone su un terreno di maggiore praticità che anche a me è apparso come l'unico sistema per uscire dall 'astratto e venire al concreto.

Dal contesto della nota, a cui si aggiungono i chiarimenti verbali che mi sono stati dati per rispondere alla mia insistente richiesta di quale fosse la controproposta austriaca di fronte ai diversi accordi in corso di negoziazione, dato che non era politicamente possibile arenarsi su una questione interpretativa, nella quale del resto non entravo, quando vi era stato da parte del Governo italiano tutto un insieme

729 1 Vedi D. 586. 2 Del 6 dicembre, non pubblicata.

di intenzioni e proposte costruttive, il punto di vista austriaco risulta per essere grosso modo il seguente:

a) Accordo preferenziale sulle merci: le trattative seguono il loro corso, parallelamente alle trattative generali per l'accordo commerciale, con analoghe e parallele difficoltà tecniche. Non sembra peraltro che vi siano particolari osservazioni austriache sulla loro impostazione; almeno sulla base delle scarse notizie inviate da Roma; le trattative, come noto, si sono iniziate il 29 novembre u.s.;

b) Accordo per il cosiddetto piccolo traffico di frontiera, secondo le proposte da noi fatte: sarebbero d'accordo, però il ministro Gruber vuole che il medesimo venga concluso come appendice dell'accordo commerciale generale; non mi è chiaro se con richiamo o meno dell'accordo di Parigi.

Ho fatto valere a titolo personale che se è vero che generalmente questi accordi per il piccolo traffico di frontiera vengono conclusi come annessi di un accordo commerciale, sta però di fatto che nella fattispecie l'accordo commerciale che si sta negoziando a Roma non è un vero e proprio accordo commerciale, né tanto meno un trattato di commercio nel senso tradizionale tecnico di questa parola; esso è veramente un puro e semplice accordo commerciale, che non concerne altro che lo scambio di merci e non contiene nessuna di quelle stipulazioni che contiene appunto un trattato di commercio che talvolta finisce per assimilarsi almeno in certe sue parti ad un vero e proprio trattato di stabilimento.

Quando da parte austriaca si fa riferimento ali 'accordo sul piccolo traffico di frontiera del 1923, concluso in allegato ali 'accordo commerciale o meglio trattato di commercio egualmente del 1923, si dimentica precisamente che il trattato di commercio del 1923 aveva un contenuto ben più vasto dell'accordo commerciale che si sta ora negoziando e trovava pertanto giustificazione la circostanza che in annesso al medesimo venisse concluso un accordo per il piccolo traffico di frontiera.

Con intenzione non ho sollevato in modo preciso la questione se l'accordo per il piccolo traffico di frontiera, che è in oggetto di discussione, debba fare riferimento

o meno al paragrafo 3, lettera d) dell'accordo di Parigi. Da tutta l'argomentazione che gli austriaci prospettano, dovrei concludere che esso rimanga nei loro pensieri assolutamente fuori dal quadro di Parigi;

c) Progetto di accordo per l 'abolizione dei visti: viene considerato come definito e quindi come applicabile, dalla data che d'accordo si volesse definire, con una condizione peraltro e cioè, che lasciando impregiudicata per il momento la questione interpretativa della lettera d) del paragrafo 3, e tenendo conto del carattere assolutamente provvisorio dell'accordo in questione, del quale non si prevede neppure il prolungamento automatico, salvo denuncia, allo scadere dei sei mesi di esperimento, rimanga inteso che ove l'accordo non venga rinnovato e quindi la materia dei visti e del traffico in genere delle persone finisca per rimanere scoperta, si riapriranno le trattative, non comprendo l'accordo per il piccolo traffico di frontiera, e ciò secondo il punto di vista ormai espresso ufficialmente dal Governo austriaco, il traffico di frontiera più esteso di cui è menzione alla lettera d) paragrafo 3, dell'accordo di Parigi.

Mi pare di aver riassunto i termini della situazione ad oggi e prospettato quali sono i punti su cui da parte nostra occorre prendere una decisione per continuare e, se possibile, concludere i negoziati.

Allo stadio a cui sono giunte le trattative, nonché anche in parte in base alle vicende subite dalle medesime e al mutamento che a un certo momento è intervenuto nelle tesi da noi sostenute, mi appare come impresa assai difficile condurre il Governo austriaco ad una incondizionata adesione della attuale interpretazione che vogliamo dare alla lettera d) del paragrafo 3, dell'accordo di Parigi.

Dal punto di vista tecnico, non ho nulla da aggiungere a quanto ho sopra esposto e su quanto a varie riprese ho avuto occasione di riferire sulle singole questioni.

Dal punto di vista politico, non posso completamente nascondere che la interpretazione ora sostenuta circa la lettera d) paragrafo 3 dell'accordo di Parigi, e che, per essere almeno franchi tra noi, è in contrasto con precedenti nostre comunicazioni e direttive, ha proiettato un'altra ombra di perplessità e diffidenza nei nostri confronti e su quella via della applicazione esecutiva integrale delle stipulazioni di Parigi che è nel desiderio e nei voti del Governo austriaco e che ogni imprevista e nuova difficoltà che sorge sulla via della sua esecuzione tende, anche dopo ogni pausa di rinascente ottimismo, a dimostrare il carattere permanente e quasi insopprimibile almeno di delicatezza, per non dire di insolubilità del problema dell'Alto Adige nel quadro dei rapporti italo-austriaci.

Ad ogni modo anche in questa occasione il ministro Gruber mi ha ripetutamente detto che egli è fermamente convinto, insieme con tutto il Governo austriaco, della necessità di una perfetta intesa con noi e che vi sarà da parte austriaca la migliore buona volontà per cooperare sempre più alla eliminazione di tutti quei problemi la cui soluzione tende appunto a svuotare di contenuto contro operante, nel quadro delle relazioni tra i due paesi, il problema dell'Alto Adige.

730

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. SEGRETO 1684/c. Roma, l O dicembre 1948.

Si trasmettono qui acclusi due appunti circa conversazioni avute dal segretario generale1 e dal direttore generale degli affari politici2 con il signor Dowling che è venuto a Roma in breve visita con l'aeroplano inviato dal generale Bradley per prendere il generale Marras.

Si richiama in particolare l'attenzione dell'ambasciatore in Washington sul'accenno fatto da Dowling a una possibile distinzione di classi tra i membri del futuro

730 1 Vedi D. 683. 2 Non rinvenuto.

Patto atlantico. Si ha presente quanto ha riferito l'ambasciata, sullo stesso punto, con il suo rapporto n. 1059113962 del 26 novembre u.s. 3 . Tuttavia le parole di Dowling, sebbene caute e in alcuni punti evasive, non hanno dato l'impressione che l'idea fosse stata del tutto abbandonata.

Si gradirà pertanto conoscere qualsiasi nuovo, utile elemento di giudizio e informazione al riguardo4 .

731

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 11061/4172. Washington, l O dicembre 1948 1•

Le vicende dei lavori dell'Assemblea generale dell'O.N.U. relativi alla questione delle nostre colonie hanno confermato le previsioni di cui al mio rapporto

n. 10833/4048 del 2 corrente2 .

Le favorevoli disposizioni manifesta temi dal presidente Truman3 , anche se non autorizzavano a sperare un cambiamento della posizione americana, permettevano tuttavia di contare su un ulteriore riesame della questione e lasciavano sperare che tale riesame potesse fare almeno pesare la bilancia a favore del rinvio totale della decisione.

Il riesame è avvenuto: il presidente ha parlato della questione con Marshall, prima che questi entrasse in clinica; ne ha riparlato con Forrestal e Lovett; ne ha fatto oggetto di discussione in sede di riunioni del Gabinetto e del National Security Council.

Nel frattempo la delegazione americana a Parigi veniva continuamente tenuta al corrente dell'interesse manifestato dal presidente alla questione, e riceveva una conferma delle istruzioni di massima secondo le quali l'eventuale appoggio americano alle aspirazioni britanniche doveva essere condizionato ad una fondata possibilità di ottenere il consenso dell'Assemblea.

Durante il periodo del riesame della questione gli inglesi hanno svolto a Washington una decisa azione, sia in estensione, sia in profondità, puntando sui militari e soprattutto sulla Divisione Africa del Dipartimento di Stato. A confermare l'efficacia dell'azione inglese e l'influenza che Londra esercita ancora su questi ambienti sta il fatto che nei contatti che questa ambasciata ha, negli scorsi giorni, avuto con i giornalisti per illustrare il punto di vista italiano, ci si è quasi sempre trovati di

4 Per la risposta vedi DD. 783 da Londra, 743 e 752 da Parigi, e 754 da Washington.

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 690.

1072 fronte a gente preoccupata solo di accertare in che cosa le nostre aspirazioni potessero danneggiare i piani britannici. Ad eccezione infatti del noto editoriale di Sumner Welles, la stampa si è astenuta dal prendere posizione e ciò, se si pensa ai mezzi impiegati dagli inglesi, costituisce il massimo che potevamo sperare.

La fase successiva si è aperta con il mio secondo colloquio con Lovett, durante il quale egli mi ha consegnato la lettera per il presidente De Gasperi4 . Tale colloquio contribuiva a rendere sempre più evidente il contrasto tra posizione ufficiale americana e atteggiamento confidenziale di simpatia per la nostra causa di questi dirigenti, contrasto che ha senza dubbio costituito una delle cause principali della condotta incerta e senza dubbio confusionaria della delegazione americana a Parigi.

La lettera al presidente De Gasperi è senz'altro negativa: bisogna tuttavia tener conto delle frasi che potranno servirei in avvenire. Mi riferisco all'espressa volontà americana di non precludere la possibilità dell'amministrazione fiduciaria italiana della Tripolitania e soprattutto al passaggio relativo al ritorno dei nostri coloni in tutta l'Eritrea. Come è noto a VE. la comunicazione fattaci lo scorso agosto5 prevedeva il ritorno degli italiani soltanto nella parti dell'Eritrea non assegnate all'Etiopia. Tra le dichiarazioni del Dipartimento di Stato di cui va presa nota vi è poi quella circa il mantenimento delle attuali frontiere della Cirenaica (mio telegramma

n. 949 del 27 novembre u.sl.

Mi rendo conto che le idee del Dipartimento sulla geografia africana sono qualche volta vaghe, ma potremo sempre attaccarci alle dichiarazioni di cui sopra per difendere la tesi a noi più favorevole.

Dopo il mio colloquio con Lovett, il Dipartimento inviò a Parigi delle istruzioni riservatissime che, dati gli impegni assunti con gli inglesi, si sono più che altro limitate all'espressione di un feeling favorevole al rinvio. Tale feeling, per quanto venisse da alto loco, trovava però un contrappeso in altre esposizioni assolutamente sfavorevoli al rinvio che, dati i mezzi rapidissimi ~ usati senza risparmio ~ di comunicazione (telescriventi ecc.) a disposizione del Dipartimento di Stato, venivano continuamente fatte giungere a Parigi dalla Divisione Africa. Ancora la sera del 7 corrente il capo della Divisione Africa esprimeva la sua convinzione che la delegazione americana avrebbe appoggiato gli inglesi per l'inizio della discussione sulle colonie da parte del ad hoc Committee.

Tutto ciò potrà dare l'impressione dell'esistenza di un certo disordine al Dipartimento di Stato: va però tenuto conto della relativa indipendenza di cui godono qui, specie nell'amministrazione Marshall-Lovett, gli uffici e della loro influenza sui dirigenti, spesso non al corrente delle questioni di dettaglio.

Anche noi abbiamo però approfittato di tale stato di incertezza: infatti l'azione costante svolta presso elementi maggiori e minori del Dipartimento, più sensibili alle nostre aspirazioni, l'opera di persuasione condotta dall'ambasciatore Dunn, sia da Roma che nel corso della sua visita qui, nonché il continuo appoggio ufficiale che ci ha dato, su istruzione di Parigi, questa ambasciata di Francia, hanno avuto ragione delle forze a noi contrarie.

731 4 Vedi D. 712. 5 Vedi D. 329, Allegato.

La delegazione americana a Parigi si è dovuta barcamenare tra questo continuo affluire di considerazioni, spesso in contrasto, ed ha dovuto al tempo stesso tenere conto delle istruzioni di massima ricevute di non urtare apertamente gli inglesi, nonché delle pressioni esercitate in loco dai rappresentanti britannici e dai loro associati. Non nascondo a V.E. che spesso anche il Dipartimento di Stato

o almeno l'ufficio Europa -era preso di sorpresa da alcuni improvvisi mutamenti della delegazione a Parigi e non poteva spiegarli che come necessità tattiche.

Non bisogna poi dimenticare che Foster Dulles ed i suoi principali collaboratori a Parigi (Cohen, Bohlen, ecc.) facevano già parte di quella delegazione americana alla Conferenza di Londra che, nell'estate del 1945 operò un completo voltafaccia nella posizione degli Stati Uniti circa il futuro delle nostre colonie.

Ciò nonostante, il bilancio dell'azione della delegazione, pur fra tante indecisioni e nostri patemi d'animo, non è poi completamente negativo nei nostri confronti. Essa ha infatti insistito perché l'Assemblea chiudesse i lavori l' 11 corrente; ha respinto apertamente la proposta inglese per una contemporanea discussione della questione della Corea e di quella delle colonie; ha difeso la priorità della situazione in Corea su quella delle nostre colonie; si è opposta infine alla discussione da parte del ad hoc Committee. L'adesione data in un primo tempo da Foster Dulles a tale discussione va valutata nel quadro della necessità di non inasprire eccessivamente gli inglesi, rendendo così più agevole la tattica dilatoria condotta da altre delegazioni.

730 3 Non pubblicato.

731 1 Copia priva dell'indicazione dell data di arrivo.

732

IL MINISTRO A GUATEMALA, ZANOTTI BIANCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1868/415. Guatemala, 10 dicembre 1948 (per. il 28).

In seguito al ristabilimento dello stato di pace fra l'Italia e il Costarica, questa legazione, allo scopo di controllare i dati qui esistenti e preparare il terreno ad eventuali negoziati per la rimessa in vigore o la modificazione ed eventualmente la stipulazione di nuovi, aveva fatto chiedere al Governo costaricense, per il tramite del reggente della nostra legazione a San Josè, quali accordi, trattati e convenzioni risultassero colà esistere fra l 'Italia e il Costarica al momento dello scoppio delle ostilità.

Il signor Porta chiese invece a quel Governo se ritenesse in vigore i sei accordi, trattati e convenzioni di cui alla sua nota verbale n. 665 che unisco in copia (Allegato)1 (senza riflettere che sull'argomento codesto Ministero avrebbe dovuto manifestare il suo parere) ottenendo una risposta affermativa (Allegato 2).

Trattandosi di atti bilaterali scaduti a causa della dichiarazione di guerra, per rimetterli in vigore sarebbe occorso, a mio avviso, il consenso delle due parti.

Tuttavia, per non complicare le cose, dato che in sostanza, nulla mi sembra ostare, da parte nostra, al mantenimento di tali atti, gradirei conoscere se codesto ministero sia disposto ad autorizzarmi di rispondere alla nota verbale del Ministero degli affari esteri costaricense che detti accordi, trattati e convenzioni sono considerati in vigore anche da noi.

Per ciò che concerne il Trattato di commercio del 1933 che è stato denunziato espressamente con decreto del l Ogennaio 1942, il Governo di Costarica non è per il momento disposto a concederci la clausola della nazione più favorita (Allegato 3).

Ritengo pertanto anch'io che sarebbe opportuno attendere un'epoca più favorevole per trattare.

732 1 Gli allegati non si pubblicano.

733

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. Washington, l O dicembre 1948.

Mandandoti, come il solito, per tua rapida informazione, copia di una mia lettera a Sforzai, ti faccio presente che la ragione dell'urgenza di venire ad una decisione nella questione della nostra adesione confidenziale (ma ufficiale) di principio sia al patto di Bruxelles sia a quello atlantico (comunicandola, come ci fu richiesto fino dali' ottobre2 , a Parigi, Londra e Washington, ed io penserei anche a Bruxelles, Aja e Lussemburgo) è dovuta al fatto che qui s'intende venire rapidamente ad una soluzione del problema e ad una fissazione dei programmi da essere presentati al Congresso, per ottenerne gli stanziamenti finanziari.

Si tratta ora di non rimaner fuori da questa specie di piano Marshall per gli armamenti, che diverrà operante entro il '49, ma si dovrà precisare ora nelle sue linee fondamentali e nelle sue conseguenze. Quale utile può trarre Marras qui (dove fa benissimo) se le nostre esposizioni di piani difensivi e di necessari aiuti per attuarli rimangono puramente tecniche e non hanno rispondenza nelle decisioni che debbono venire prese prima del 20 gennaio dai politici?

Aderire a Bruxelles o al Patto atlantico pare sarebbe lo stesso (sebbene questa interpretazione non sia ancora certa); dobbiamo però sempre pensare che saremmo costantemente esclusi da tutte le discussioni e decisioni preliminari degli europei, le quali potrebbero avere per noi particolare e diretta importanza e vitali interessi nostri potrebbero essere compromessi da decisioni preventive, e difficili poi a rimediare, in affari europei senza alcun nostro intervento.

733 1 Vedi D. 726. 2 Vedi D. 486.

Spero, in ogni modo, di poter confermare che il Governo ha libertà di scelta e mi auguro deciderà nel senso del miglior nostro vantaggio, al lume anche della situazione interna di cui è il maggior giudice.

734

IL MINISTRO A BUDAPEST, BENZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 16055/44. Budapest, 11 dicembre 1948, ore 13,54 (per. ore 18,20).

Questo sottosegretario esteri rimessomi iersera nota protesta in merito recente dichiarazione fatta Camera dei deputati ministro affari esteri concernente Ungheria 1•

Nota afferma essere prive di fondamento asserzioni relative a:

l) riarmo ungherese oltre i limiti concessi trattato;

2) rinunzia sovietica metà riparazioni a condizione loro utilizzo scopo militare;

3) controllo equipaggiamento esercito ungherese da parte missione militare sovietica 120 membri nonché nomina generale sovietico qui del tutto sconosciuto; 4) disposizione ostile Ungheria la quale persegue invece politica opposizione a guerra e a preparaziOne guerra.

Dopo aver espresso stupore per affermazione senza fondamento e malevola verso Ungheria fatta da personalità responsabile tribuna parlamentare e formulato «energica protesta», nota verbale conclude chiedendo che Governo italiano voglia fare necessario affinché «le dichiarazioni suindicate fatte da suo rappresentante più qualificato siano rettificate in forma conveniente». Invio testo nota nonché rapporto primo mezzo 2 .

735

IL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 16064/9 3. Porto Principe, 11 dicembre 1948, ore 16 (per. ore 8 del 12).

Ho proceduto oggi firma del trattato pace con Haiti e da parte del Governo haitiano ha firmato ministro estero signor Brutus. Sono stati rimessi mia presenza a

Vedi D. 744. 735 1 Accreditato anche ad Haiti.

1076 interessati titoli loro proprietà e inoltre essi mio tramite hanno rimesso a Governo haitiano somma dollari 523.465 rappresentanti transazione definitiva spese sequestri. Invierò per corriere aereo rapporto e testo italiano e francese trattato 2 .

734 1 Vedi Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, IV, seduta del 3 dicembre 1948, pp. 5030-5040.

736

IL MINISTRO A PANAMA, MARIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 16429/06. Panama, 11 dicembre 1948 (per. il 22).

Questo ministro degli affari esteri mi ha detto confidenzialmente che il mio collega britannico discutendo con lui questione coloniale gli ha, in appoggio propria tesi:

l) fatto presente pericolo prevalenza comunista in Italia con conseguente insediamento russo Libia;

2) assicurato eventuale libertà accesso alle colonie nostri lavoratori. Egli gli ha quindi chiesto se il suo Governo non volesse modificare proprio atteggiamento. Il ministro degli affari esteri mi ha dichiarato avergli risposto che il suo è un piccolo paese ma deciso sostenere punto di vista italiano che considera giusto.

Nel ringraziare gli ho osservato che appunto sua piccolezza consente al Panama sostenere obiettivamente causa giustizia. Mi sono peraltro reso conto che, malgrado sua risposta a ministro di Gran Bretagna, mio interlocutore è rimasto impressionato dall'argomento del comunismo che pertanto ho opportunamente controbattuto. Allo stesso tempo il ministro non mi ha nascosto suo convincimento circa declino britannico.

737

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNT01• Roma, Il dicembre 1948.

I sondaggi compiuti nei mesi di ottobre, novembre e dicembre dalle nostre ambasciate a Londra, Parigi, Washington e i contatti avuti dal presidente del Consi

glio in occasione delle sue visite a Bruxelles e a ParigF, ci permettono di avere un quadro complessivo dell'attuale fase di organizzazione dell'Europa occidentale. In particolare sono stati messi in chiaro i seguenti punti:

l) procedendo nel potenziamento degli accordi di Bruxelles, i cinque paesi che hanno sottoscritto quegli accordi sono entrati in conversazione con gli americani per un primo scambio di vedute sulle possibilità di un effettivo contributo militare d eli' America alla difesa d eli' Europa occidentale.

2) Stati Uniti e Canada hanno convenuto di porre le basi di un Patto atlantico che possa costituire il sostegno anche militare, dell'Europa occidentale. Il Patto atlantico non è da considerarsi ancorato al gruppo di Bruxelles, ma piuttosto viceversa, questo a quello. Il Patto atlantico verrebbe cioè a comprendere tanto il gruppo di Bruxelles, quanto altri paesi quali l'Italia, gli Stati scandinavi (almeno Norvegia e Danimarca), eventualmente la Spagna e la Germania occidentale.

3) La Gran Bretagna non è ostile in principio alla inclusione d eli' Italia nel Patto di Bruxelles, tuttavia la ritiene praticamente prematura per il fatto che le cinque potenze aderenti al quel patto non sono nemmeno esse stesse ancora in grado di assolvere l'impegno assunto di prestarsi reciproca assistenza e difesa; tanto meno esse sarebbero in grado di mantenere un simile impegno verso l'Italia la quale a sua volta non avrebbe oggi alcuna possibilità di contribuire alla difesa della Francia, della Gran Bretagna e del Benelux. Quest'ultimo condivide il punto di vista britannico. La Francia considera invece non essere possibile un difesa dell'Europa occidentale che non comprenda l'Italia e non faccia assegnamento anche sulle basi, sul territorio e sull'apporto italiano; essa ritiene che non basta difendere l'Europa nordoccidentale, ma che occorre coprire anche quella sud-occidentale e portare lo schieramento difensivo il più avanti possibile in Germania, Austria ed Italia.

4) Gli americani vedrebbero con favore l'inclusione dell'Italia nel Patto di Bruxelles, tuttavia non intendono esercitare pressioni a tal fine né sul Governo italiano né sugli altri cinque Governi. Per contro essi considerano che l'inclusione dell'Italia nel Patto atlantico è una questione che concerne direttamente gli Stati Uniti e l'Italia.

5) Gli inglesi sono ormai favorevoli a fare qualcosa sul piano di una «Unione Europea». Non sono favorevoli ai progetti francesi per la creazione di un parlamento europeo, ecc. giudicandoli prematuri. Sotto questo aspetto le loro idee sono più vicine a quelle contenute nel Memorandum italiano del 24 agosto 3 che accoglie il principio della gradualità. Tuttavia se ne discostano in quanto mentre le nostre proposte prendono a base dell'Unione Europea la già esistente cooperazione economica fra i sedici paesi dell'E.R.P. estendendo tale cooperazione anche al campo politico, il progetto britannico propone di partire da una base più ristretta.

L'iniziativa assunta dall'Italia col Memorandum del 24 agosto rende ormai sicura la nostra partecipazione alla costituenda «Unione». Gli sviluppi di questa situazione consentono all'Italia una certa libertà di movimento e le offrono la possibilità di tener conto, nelle sue iniziative, delle esigenze di

3 Vedi D. 350, Allegato.

ordine interno e di quelle della propria sicurezza. A queste esigenze si sono sinora ispirati il nostro atteggiamento e la nostra azione nei confronti di questa delicata questione, partendo dalle premesse seguenti:

l) che l'Italia appartiene al mondo occidentale e che il suo inserimento politico nel gruppo delle nazioni occidentali e in quelle organizzazioni che tendono ad unire sempre più intimamente queste nazioni è auspicabile e necessario nello stesso nostro interesse. Essendo fuori questione un nostro inserimento nel gruppo orientale, ogni politica di equidistanza e neutralità ci condurrebbe all'isolamento e lascerebbe quindi insoluti e anzi finirebbe con l'aggravare i nostri problemi politici, economici e militari, e il paese ne soffrirebbe prima o poi moralmente e materialmente, e vedrebbe compromessa la propria sicurezza;

2) che dall'altra parte per un complesso di motivi ben noti, il Patto di Bruxelles non è considerato con troppo favore dal paese, il quale (anche nelle recenti discussioni parlamentari) ha mostrato piuttosto la propria preferenza per una unione europea che non abbia carattere militare o per lo meno esclusivamente o prevalentemente militare;

3) che, nella nostra particolare situazione geografica e militare, l'esame dei problemi relativi alla nostra sicurezza deve precedere quello della nostra eventuale adesione formale a patti che abbiano anche carattere militare.

Nel quadro della situazione estera e interna quale ora si presenta, sembra quindi che la nostra azione possa e debba svolgersi sulla seguente direttrice:

l) mantenere atteggiamento non aprioristicamente negativo verso il Patto di Bruxelles, senza peraltro sollecitarne attualmente l'estensione ali 'Italia e lasciando che, a questo riguardo, la situazione venga portata a maturazione dallo sviluppo degli avvenimenti;

2) dimostrarci favorevoli al Patto atlantico e disposti ad aderirvi;

3) sviluppare con francesi ed americani, ed eventualmente anche con gli altri, l'esame dei problemi concernenti la nostra difesa in relazione alla difesa dell'Europa occidentale e del Mediterraneo;

4) collaborare attivamente alla realizzazione dell'Unione Europea partecipando sempre più, a questo fine, alla cooperazione economica e politica fra le varie nazioni dell'Europa.

735 2 Il testo del trattato è edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, vol. LXVII, cit., pp. 475-476. 73 7 1 Trasmesso con Telespr. 1791 /c. se gr. poi. del 29 dicembre alle ambasciate a Bruxelles, Londra, Ottawa, Parigi e Washington.

737 2 Vedi DD. 662 e 664.

738

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, SCHWARZENBERG

L. PERSONALE. Roma, 12 dicembre 1948.

Ho ricevuto la sua cortese lettera del 20 novembre con allegato il promemoria della legazione 1 che riflette il punto di vista del Governo austriaco circa i rilievi

1079 mossi da parte italiana ad atteggiamenti e a metodi, non sempre commandevoli dell'ufficio distaccato ad Innsbruck della Cancelleria federale e, in particolare, all'atteggiamento assunto da detto ufficio nei confronti di quegli alto-atesini optanti che non ritengano di avvalersi della revisione delle opzioni.

Ho letto il promemoria e verrei meno alla mia abituale franchezza con lei se non le dicessi che mi aspettavo da parte austriaca l'affidamento che qualche assicurazione, per quanto tardiva, sarebbe stata pur data agli alto-atesini che non intendono tornare in Italia: perlomeno l'assicurazione che essi avrebbero potuto vivere in Austria con la prospettiva di diventare cittadini austriaci optimo jure.

Perciò io credo non eccessiva la nostra richiesta di un comunicato chiaro ed esplicito, largamente diffuso sulla stampa austriaca, che tranquillizzi quanti fra gli alto-atesini non intendano avvalersi della procedura delle opzioni.

Le sarò grato se vorrà prendere in considerazione quanto precede e farlo presente al suo Governo. Mi interesserà quindi conoscere a suo tempo le decisioni prese.

738 1 Vedi D. 632.

739

IL MINISTRO A GEDDA, ZAPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2066/238. Gedda, 12 dicembre 1948 1•

Poiché attendere il ritorno a Sana del nuovo Imam Ahmed avrebbe potuto ritardare di qualche mese ancora la mia visita nel Yemen ho preso occasione del passaggio a Gedda del sig. El Gebely per sollecitare dall'Imam l'autorizzazione di recarmi a Taiz. Il 27 ottobre il Gebely mi telegrafava che il sovrano mi avrebbe ricevuto con piacere a Taiz anziché a Sanaa. In pari tempo venivo a sapere che il governatore di Aden, sir Reginald Champion, avrebbe visitato l'Imam il lo novembre e che sarebbe rimasto a Taiz fino al 20 dello stesso mese. Ho pertanto deciso di iniziare il mio viaggio il I 8 novembre per arrivare a Taiz dopo la partenza della missione inglese. Ho subito comunicato il mio itinerario (Gedda-Port SudanAsmara-Kamaran) all'ambasciata britannica a Gedda la quale molto gentilmente ha telegrafato all'amministratore britannico dell'isola di Kamaran perché facilitasse il viaggio mettendo a mia disposizione un'imbarcazione per il percorso Kamaranlbn Abbas, piccolo porto yemenita a circa l 00 km a nord di Hodeidah. Ho infine telegrafato alla nostra legazione al Cairo perché annunciasse a quella rappresentanza yemenita il mio arrivo a Hodeidah per il 19 novembre.

Il viaggiatore che si dirige nel Yemen con i mezzi marittimi ed aerei attualmente in servizio nel Mar Rosso, deve necessariamente fare scalo ad Aden o a Kamaran; ciò è pure vero per il movimento delle merci da o per lo Yemen, ed anche per le comunicazioni postali e telegrafiche tanto da potersi dire che il

Yemen non può comunicare con gli altri paesi del mondo senza sottostare al controllo britannico. L'organizzazione del servizio aereo e del servizio marittimo yemeniti (i due Dakota ed il piroscafo recentemente acquistato in Italia) costituisce quindi un primo tentativo dell'Imam Ahmed per stabilire dirette comunicazioni fra il suo e gli altri paesi.

Dopo due giorni di viaggio in automobile per percorrere i 270 km che separano Hodeidah da Taiz, viaggio tanto interessante per quanto faticoso, dovendo l'automobile percorrere ciò che in Italia si chiamerebbe una pessima strada mulattiera, sono arrivato a Taiz il 23 novembre, tre giorni dopo la partenza di sir Reginald Champion. Lungo il percorso mi sono fermato nei principali centri urbani, accolto molto festosamente dalle autorità locali e dal popolo. Tutti hanno dimostrato molta simpatia per l 'Italia e non pochi sono i sudditi yemeniti che parlano abbastanza bene la nostra lingua e che ricordano con nostalgia il tempo trascorso nelle colonie della Somalia e deli'Eritrea. Molti fra di essi avrebbero piacere di tornare a lavorare con noi e tutti riconoscono che l'allontanamento dell'Italia dalle sue colonie nel Mar Rosso ha determinato una grave crisi nel lavoro e nel commercio yemeniti.

Taiz è un villaggio di montagna con scarsi dieci mila abitanti. Circondato di montagne che raggiungono i 4 mila metri di altezza e mancante di strade vere e proprie, Taiz rappresenta una roccaforte quasi inaccessibile. È qui che l'Imam Ahmed ha fissato il suo quartiere generale in attesa che la situazione interna gli consenta di far ritorno alla capitale.

Dopo il colpo di stato del 17 febbraio scorso culminato con l'assassinio del vecchio Yahia e la guerra civile che ne è seguita, l'Imam Ahmed ha preso lentamente il controllo del paese, tagliando la testa ai suoi oppositori. Anche suo fratello principe Abrahim, capo del movimento dei «liberi yemeniti», è stato imprigionato e poi avvelenato d'ordine dell'Imam. Ma a Sanaa c'è ancora del fermento contro Ahmed perché, come è noto, il sovrano ha spinto alcune tribù settentrionali contro la capitale per liberarla dagli uomini di Al Wazir, autorizzandole, quale compenso, a razziare la città. Molti sono stati i danni sofferti dalla popolazione di Sanaa e grande è il risentimento. Ciò nonostante il nuovo Imam è oggi arbitro della situazione e non sembra temere nuovi grandi incidenti. Egli non ha ancora formato un Governo ed amministra personalmente tutto il paese con l'assistenza di un vicerè a Sanaa e del Cadi Alaly, specie di primo ministro a Taiz. Nelle altre città ha posto nuovi governatori che lo stimano e lo temono.

L'uomo più autorevole del Yemen è oggi El Cadi Alaly perché devesi a lui l'insuccesso del partito d'opposizione capitanato da Al Wazir. Alaly era a quel tempo governatore di Hodeidah e figurava tra i capi del movimento di opposizione al vecchio Yahia e come tale era al corrente dei preparativi in corso per il colpo di stato. Egli ha tradito il partito di Al Wazir con una abile manovra che doveva portarlo al potere affrettando la crisi. Fu lui infatti a svelare il complotto facendo diramare da Aden alla stampa egiziana la falsa notizia della morte dell'Imam e della formazione del nuovo Governo con Al Wazir alla testa. Il vecchio Yahia venuto così a sapere dell'immediato pericolo che lo minacciava ha ordinato al figlio Ahmed di lasciare Taiz con le sue truppe per venire in suo soccorso a Sanaa. I congiurati sono stati così obbligati di agire prima che giungessero i soccorsi ed hanno assassinato l'Imam. Con questa manovra il Cadi Alaly si è liberato del vecchio Yahia ed ha aperto la via al successore Ahmed, che gli è ora riconoscente per aver salvato la dinastia. Ed è Alaly che governa ora di fatto il paese.

Il Cadi Alaly è un vecchio di circa 70 anni, molto gentile e ben educato. Molto più colto ed equilibrato dell'Imam, Alaly si è messo all'opera per riorganizzare il paese e per farlo sortire da quell'isolamento in cui l'ha posto l'Imam Yahia durante il suo lungo regno. Alaly è quindi l'uomo del giorno e dalla sua opera dipende l'avvenire del Yemen. Egli ha delle idee molto precise sulla via da seguire per la modernizzazione del paese, e con tenacia e metodo procede nel suo programma, compiendo opera di persuasione verso il sovrano ed i principi reali, che, come è noto, sono troppo ignoranti per comprendere i suoi progetti e troppo diffidenti per accordargli piena libertà d'azione.

Accolto al mio arrivo a Taiz dal primo ministro sono stato alloggiato nella casa degli ospiti assieme al ff. cancelliere Mario Mazzarini e all'interprete signor Houssani. Tutti gli italiani di Taiz erano presenti al mio arrivo.

Il 24 novembre ho fatto visita al primo ministro ed ho chiesto per il suo tramite una udienza dall'Imam. Sino dal principio il Cadi Alaly si è dimostrato favorevole alla cooperazione italiana nel programma di modernizzazione del Yemen, e mi ha espresso la fiducia dell'Imam e sua nell'opera che gli italiani potranno svolgere nel Yemen e mi ha detto che nel corso della mia permanenza a Taiz avrebbe con me esaminato quanto poteva farsi per realizzare questa cooperaziOne.

Il 28 novembre sono stato ricevuto dall'Imam Ahmed. Contrariamente a quanto mi era stato detto, l 'Imam gode di ottima salute e appare uomo intelligente ed energico. Gli ho consegnato il messaggio di V.E. che egli ha letto molto attentamente e poi quello diretto a suo padre il defunto Imam Yahia. Quest'ultimo messaggio ha fatto molto piacere a S.M. che ha subito detto «essere l'amicizia dell'Italia per il Yemen di vecchia data e che lui tiene a rafforzare questi vincoli di amicizia seguendo le nobili direttive del defunto suo padre». Poiché alla udienza era presente un segretario dell'Imam, certo Nagib Abou Izzedine di origine libanese che parla molto bene l'inglese ed il francese, e che come dirò poi, sembra essere al servizio degli inglesi, S.M. Imam non ha voluto fare cenno nel corso della conversazione alla richiesta cooperazione italiana al programma di modernizzazione del Yemen e mi ha trattenuto circa un'ora per chiedermi notizie sugli avvenimenti in Europa ed in Cina con particolare riguardo all'attività comunista. Ho colto l'occasione per comunicare all'Imam che l'Italia, nonostante le difficoltà del dopoguerra, ha ripreso in pieno la sua attività industriale e commerciale tanto da potersi dire che essa sia fra le nazioni europee quella che più si è affrettata sulla via della ricostruzione e della normalità. L'Imam mi ha detto essere al corrente di tutto ciò e che si augura di tutto cuore che il nostro paese possa riprendere al più presto nel mondo il posto che merita di avere.

Ho notato che l 'Imam è bene informato sulla situazione politica internazionale; egli ha un segretario incaricato di ascoltare le radio-trasmissioni arabe, europee ed americane, e legge quotidianamente un riassunto in lingua araba delle notizie più importanti.

S. M. mi ha consegnato un messaggio diretto a V.E. che qui unisco unitamente ad altro messaggio del Cadi Alaly2 .

Nei giorni successivi ho avuto contatti quotidiani con il primo ministro Alaly. Egli mi ha comunicato ufficialmente il desiderio dell'Imam di avere la cooperazione italiana nella esecuzione del programma di modernizzazione del paese. A differenza di quanto ha fatto l'Arabia Saudita, il Yemen non vuole dare concessioni agli stranieri per lo sfruttamento del sottosuolo. L'Imam domanda all'Italia un geologo per la ricerca e lo studio dei giacimenti minerari, un ingegnere per l'estrazione della lignite «picea» e per l'estrazione di altri minerali, un ingegnere idraulico per sondaggi d'acqua e per lavori di irrigazione, ed un dottore in agraria. Questi specialisti italiani dovrebbero studiare e proporre un piano di lavori che l'Imam stesso finanzierebbe, provvedere a spese del Governo yemenita il materiale necessario allo scopo e assumere la direzione dei lavori. L'Imam prega vivamente il Governo italiano di scegliere i richiesti specialisti fra laureati che diano assoluto affidamento di capacità e di onestà, e che siano pronti a partire per il Yemen al più presto possibile. Allego al presente rapporto la minuta di un accordo di massima raggiunto fra me ed il primo ministro sul trattamento che il Governo yemenita accorderà agli italiani da lui impiegati (All. l )3 .

È evidente che dall'opera di questi italiani dipenderà non solo lo sviluppo del programma di modernizzazione del Yemen ma anche l'apporto che l'Italia potrà dare alla realizzazione del programma stesso.

Il Yemen oltre ad avere del petrolio, per quale occorre procedere a dei sondaggi per individuare le zone più ricche del minerale, possiede notevole quantità di lignite «picea», di cuprite mista ad azurite, di calcite, di granito, con calcopirite, di piriti di ferro e di blenda.

Il primo ministro mi ha poi chiesto a nome dell'Imam il seguente materiale che dovrà essere ancora fornito al più presto dall'industria italiana:

l) l 0-15 mulini per cereali, azionati da macchine a vapore.

2) 30-40 pompe per sollevamento d'acqua, azionate a vapore.

3) 200 tonnellate di filo elettrico per telegrafo.

4) l stazione radiotrasmittente che possa comunicare con qualsiasi paese del mondo. 5) l O macchine livellatrici per strade ed aeroporti, il cui tipo sarà indicato dall'ingegnere specialista. 6) ... macchine perforatrici per mine e cave, il cui numero e tipo sarà indicato dali 'ingegnere specialista. 7) 4 serbatoi per benzina da 200 tonnellate ciascuno da essere piazzati nel

sottosuolo. 8) 3 hangar metallici capaci di contenere ciascuno 4 aeroplani tipo «Dakota». 9) l autoblindata, tipo militare.

3 Non rinvenuto.

l O) autoambulanza con apparecchio radiologico e materiale per pronto soc corso. 11) gabinetto radiologico (radiografia e radioscopia) per l'ospedale di Taiz.

12) l apparecchio per fondere l'argento. l macchina per tagliare i dischi d'argento per le monete di l, 112,114, 118 e 1116 di tallero, l macchina punzonatrice con matrici d'acciaio per coniare monete di l, 112, 114, 118 e 1/16 di tallero.

13) Materiale chirurgico completo per due ospedali. 14) 20 tonnellate di rame in fogli dello spessore di 1/4 di tallero. Allegato a questo rapporto una distinta del materiale sopra indicato con maggiore dettagli (Ali. 2)3 . Il pagamento di questo materiale sarà effettuato in valuta estera, o, se del caso, ma non necessariamente, con contropartita di prodotti yemeniti.

Il Governo italiano dovrebbe incaricare una ditta italiana di assoluta fiducia per la scelta del materiale e per la sua spedizione: il pagamento potrebbe essere fatto per il tramite della stessa ditta: ho accennato al primo ministro che tale ditta potrebbe essere la SANE ed il Cadi Alaly non ha mosso obiezione al riguardo.

Durante la mia permanenza a Taiz ho visitato tutte le autorità locali, il governatore, il generale comandante le truppe yemenite, il giudice ed anche il Mufti di Deir Ezzor (Siria settentrionale) S.Em. Mohamed al Arifi; amico intimo dell'Imam e suo consigliere. Quest'ultimo mi ha confermato che Imam deve procedere al più presto alla modernizzazione del paese per evitare che il partito dei «liberi yemeniti» tenti un altro colpo di stato contro di lui, e mi ha assicurato che l'Imam considera l'Italia come il paese amico che meglio di qualsiasi altro potrà aiutarlo nella realizzazione dei suoi programmi. Il Mufti è arrivato al punto di dirmi che il popolo yemenita pone fiducia nella mia missione e nella cooperazione del Governo italiano.

Ho infine intrattenuto il Cadi Alaly sull'opera svolta dai sanitari italiani nel Yemen. Il primo ministro, a nome dell'Imam, si è dichiarato molto soddisfatto dei nostri medici. Essi hanno lavorato per circa 12 anni nell'interesse della salute pubblica ottenendo ottimi risultati per quanto concerne la lotta contro la malaria e l'ameba, le due malattie prevalenti nel Yemen. Per l'opera di questi sanitari l'Imam è grato al Governo italiano. Ma alcuni dottori hanno preso parte diretta negli ultimi avvenimenti politici del Yemen o hanno mancato di osservare le leggi coraniche e la tradizione yemenita. Il dr. Rossi, chirurgo a Sanaa, è accusato di partecipare al movimento rivoluzionario di Al Wazir contro l'Imam Yahia, ed il primo ministro, a nome dell'Imam, ne ha chiesto l'immediato rimpatrio. Per ragioni di delicatezza verso il Governo italiano, l'Imam ha voluto attendere il mio arrivo nel Yemen prima di ordinare la partenza del Rossi.

Il farmacista Audisio è invece incolpato di aver ricevuto nella sua abitazione personalità yemenite e di aver loro somministrato bevande alcoliche, contravvenendo così alle leggi coraniche ed alle tradizioni del paese. Per queste ragioni l'Imam ha ordinato il suo rimpatrio unitamente alla moglie, dottoressa De Marchi.

Il primo ministro prega il Governo italiano di voler sostituire il chirurgo Rossi, il farmacista Audisio e la dottoressa De Marchi (specialista in radiologia) con persone che diano affidamento di capacità, di onestà e di serietà. La sostituzione ha carattere di urgenza avendo l'Imam rifiutato a detti dottori di attendere a Sanaa

l'arrivo dei sostituti. La dottoressa specialista in radiologia dovrà anche curare le donne yemenite. I dottori Toffolon e Merucci dovranno restare al loro posto, il primo in qualità di medico personale dell'Imam ed il secondo come medico a Hodeidah.

Ciò è tutto quanto mi ha detto il primo ministro nei riguardi dei nostri medici, ma io debbo aggiungere quanto mi è stato riferito da altri yemeniti e cioè: il Rossi avrebbe fatto della sua professione una speculazione per ricavare dai pazienti ricchi quanto più danaro fosse possibile; l'Audisio avrebbe ricevuto in regalo dalla missione americana che ha visitato Sanaa alcuni anni or sono un apparecchio radio, ricevente e trasmittente. Sarebbe inoltre incolpato di irregolarità amministrative nella gestione della farmacia. Queste accuse, ripeto, non sono state formulate dal primo ministro e io ho riportato l'impressione che non corrispondano al vero. È molto probabile che esse siano il frutto delle false e maligne attribuzioni di colpe che caratterizzano i rapporti fra i medici italiani nel Yemen e di cui il dr. Rossi ha lasciato larga traccia anche negli archivi di codesto Ministero. Il dr. Audisio assicura che la stazione radio di cui trattasi fosse solo ricevente e che il suo controllo amministrativo della farmacia avesse lo scopo di evitare abusi da parte degli arabi. La mia impressione personale è che l'Audisio sia un gentiluomo e che la sua colpa è di non aver ben capito l'ambiente e la mentalità yemeniti, altrimenti non avrebbe accettato in regalo una radio dalla missione americana e si sarebbe ben guardato di assumere la gestione della farmacia.

Per quanto riguarda il dott. Toffolon nessuna accusa è stata mossa dal primo ministro, ma non vi è dubbio che egli pure abbia partecipato al colpo di stato del 17 febbraio. Egli stesso mi ha detto l'Imam ribelle Al Wazir lo aveva incaricato di recarsi ad Aden per domandare l'aiuto inglese contro il principe Ahmed, cosa che Toffolon ha fatto. Nel mentre il Rossi ha solo partecipato mantenendo i contatti con il governatore di Aden. Ci si potrebbe domandare allora come mai l'Imam non abbia chiesto anche il rimpatrio del Toffolon. A questo proposito dirò che nel Yemen vi sono molti infonnatori al servizio dell'Inghilterra (tre svedesi di cui due piloti e la moglie di uno di questi, ed il segretario dell'Imam Nagib Abou Izzedine, sopra ricordato, che ha prestato servizio per molti anni nel protettorato britannico di Aden) e che l 'Imam preferisce neutralizzare per quanto possibile la loro opera anziché Jàre atto di protesta contro Aden mettendoli alla porta. Ho riportato l'impressione che la posizione del dr. Toffolon sia assai delicata ed egli stesso mi ha confessato di non vivere tranquillo. Comunque sia io credo consigliabile procedere ad una graduale sostituzione dei nostri sanitari. Ora partono Rossi, Audisio e la De Marchi, e quando questi saranno stati rimpiazzati con altri medici italiani, si potrà procedere, d'accordo con l'Imam, al richiamo e sostituzione dei rimanenti. Con rapporto a parte riferirò sulla posizione amministrativa di questi nostri sanitari e sulla opportunità o meno di nominare un nuovo capo missione.

Il primo ministro Alaly al quale ho domandato se l'Imam avesse deciso o meno di allacciare rapporti diplomatici con gli altri paesi, mi ha detto che la questione è allo studio e che nel 1949, probabilmente, saranno inviati rappresentanti diplomatici yemeniti nei paesi arabi e più tardi nei paesi europei ed americani. Ciò premesso il Cadi Alaly mi ha detto che desidera mantenersi in contatto epistolare con me a Gedda, anche per quanto concerne lo svolgimento delle pratiche relative alla richiesta di personale e di materiale di cui sopra è detto. A questo fine mi ha consegnato una specie di codice arabo col quale comunicare con lui in forma riservata.

Avendo io espresso il desiderio di visitare gli italiani residenti a Sanaa prima di lasciare il suolo yemenita, l'Imam, molto gentilmente mi ha messo a disposizione uno dei Dakota recentemente acquistati in Italia.

Il giorno 5 dicembre S.M. l'Imam mi ha offerto una colazione a palazzo reale alla quale hanno partecipato i suoi fratelli principi al Hassah, al Kassem, al Motahar, Yehyah, il suo figlio principe Badr, due sue nipoti, il primo ministro ed i notabili di Taiz. Un altro pranzo mi è stato offerto dal primo ministro con la partecipazione di quattro principi reali e di tutta la piccola comunità italiana di Taiz.

Ho lasciato Taiz il 6 mattina e dopo un volo interessantissimo a circa 5 mila metri per sorvolare le montagne yemenite, sono arrivato a Sanaa accolto dalle autorità locali e dai nostri connazionali.

Ho fatto subito visita al vicerè ed all'ex ministro degli affari esteri Regheb bey. È quest'ultimo un simpatico e colto ex funzionario turco, già governatore di Hodeidah e di Taiz ai tempi dell'occupazione turca del Yemen, che risiede a Sanaa da oltre 40 anni. Egli è stato amico e uomo di fiducia del vecchio Imam Yahia ed è a lui che si deve in massima parte quel poco di riforme che il defunto sovrano ha portato nel reggimento del paese. Anche Regheb bey è del parere che il nuovo Imam deve fare qualche cosa per migliorare le sorti del popolo yemenita al fine di scongiurare il pericolo di nuovi incidenti. Egli giustamente osserva che il desiderio di una migliore amministrazione del paese e di una maggiore libertà nei commerci non è espresso dalla classe dirigente retrograda e ignorante, ma dal popolo stesso, e più precisamente dagli operai yemeniti emigrati nelle colonie italiane e francesi dell'Africa orientale ed in Egitto, e che poi hanno fatto ritorno in patria. Questi operai, che ammontano a parecchie migliaia, hanno avuto modo di vedere e comprendere quanto gli italiani, i francesi e gli inglesi abbiano fatto nelle loro colonie per il benessere delle popolazioni indigene e, non a torto, reclamano che altrettanto venga fatto nel loro paese.

Regheb bey non è più ministro degli esteri perché l'Imam Ahmed, come ho detto, non ha ancora formato un Governo, ma spera di poter dare ancora la sua opera ali 'Imam una volta che questo abbia fatto ritorno alla capitale. A questo proposito egli ritiene che Ahmed compirà prossimamente un viaggio nelle provincie settentrionali per mettersi in contatto con quelle tribù montanare che si dimostrano ancora non troppo ossequienti alla sua persona, al fine di raggiungere un accordo che gli consenta di fare ritorno a Sanaa con tutta tranquillità.

Il 7 dicembre mattina, con lo stesso aereo, ho lasciato Sanaa e dopo una sosta di un'ora a Kamaran per rifornimento di benzina, ho proseguito per Gedda dove ho atterrato alle ore tre pomeridiane.

PS. Il nome del primo ministro, in questo rapporto indicato come Alaly, è precisamente ed in esteso Hussein Ali al Alali.

739 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

739 2 Non rinvenuti.

740

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1736/22004/4793. Parigi, 13 dicembre 19481•

Scampati da questa riunione de li' Assemblea2 , molto più per fortuna che per abilità (se non ci fossero state le lungaggini delle discussioni precedenti de li'Assemblea alla prima Commissione nessuno sforzo nostro avrebbe potuto impedire che la questione coloniale fosse discussa e, almeno in parte, decisa) resta ora a vedere che cosa possiamo fare per utilizzare questo breve breathing time che ci è stato concesso per migliorare, in quanto è possibile, la nostra situazione.

L'esperienza di questi tre mesi si può riassumere in alcune conclusioni: l) l'ostacolo americano può essere più duro a superare che non quello da parte inglese; 2) nonostante che i latino-americani abbiano funzionato bene a Parigi, al momento decisivo faremmo bene a non contarci troppo; 3) l'atmosfera generale dell'O.N.U. sulla questione coloniale, specialmente per la parte che concerne l'Etiopia, ci è scarsamente favorevole. L'opposizione inglese mi sembra ispirata prevalentemente a ragioni politiche: ma essendo politica l'opposizione britannica teoricamente almeno, potrebbe mutare

o almeno diminuire in conseguenza di una mutamento politico. L'opposizione americana è invece basata su di una serie di considerazioni di fatto, alle quali, onestamente, non si può nemmeno negare una certa base, e che non sarà facile smontare.

Cirenaica. L'interesse americano è centrato sulla Cirenaica, ed è essenzialmente militare. Questo ci è stato detto in tutte lettere: il giorno delle serie complicazioni la base Cirenaica, in tempo di pace affidata ali 'Inghilterra, diventa una base americana. Da quello che mi è stato dato di comprendere, si tratta non tanto di una base navale (Tobruk) ma di grandiose istallazioni per il lancio di V2, V3 o altri numeri, le quali, data la posizione della penisola Cirenaica, permettono di coprire una vastissima area, non solo balcanica ed europea ma anche molto al di là3 . Il vantaggio degli inglesi su di noi è che dell'organizzazione di queste basi gli inglesi assumono in larghissima parte l'onere finanziario, la difesa, non solo da attacchi nemici, ma anche, forse non meno importante, da sguardi indiscreti. Gli americani sono sensibili anche agli argomenti più specificatamente inglesi (difesa del canale) ma sostenendo la soluzione britannica difendono un interesse militare americano che essi ritengono basilare.

Noi abbiamo detto: )asciateci la sovranità sulla Cirenaica daremo agli inglesi ed agli americani la libera disposizione di tutte le basi che essi vogliono. Perché essi non l'accettano?

l) Gli inglesi si rifiutano di spendere le somme ingenti che questi lavori richiedono se non su di un territorio nel quale essi abbiano una ragionevole durata di permanenza e mano libera per sistemarlo come essi vogliono politicamente: d'altra parte non saremmo certo noi che pagheremmo le spese della sistemazione;

2) perché ritengono che la nostra riapparizione in Cirenaica scatenerebbe dei disordini locali; 3) perché non ritengono i nostri servizi di intelligence sufficientemente eflìcienti per assicurare la protezione degli impianti da atti di spionaggio e di sabotaggio.

E quando ci si rifiuta l'emigrazione italiana, in Cirenaica, lo si fa perché si ritiene che, data la situazione italiana noi non siamo in grado di impedire, con la migliore buona volontà, la infiltrazione di elementi comunisti e la formazione sul posto di quinte colonne. L'emigrazione italiana in Cirenaica non sarà impedita in principio, ma sarà regolata col contagocce, almeno nel senso che non sarà permesso l'ingresso che a persone di assoluta fiducia dei due intelligence service: la Cirenaica è destinata in altre parole a diventare una specie di zona interdetta, come la zona dell'industria atomica, nella quale gli estranei al servizio, in principio, non debbono entrare.

Argomenti, come si vede che, quando dalla discussione teorica di principio si passa ad una discussione seria e concreta, è difficile controbattere. Non si tratta, per quanto concerne specialmente gli americani, di una politica: si tratta di gente che difende un interesse militare capitale e che per un compito così importante non si fida di noi: e dimostrare loro che possono o debbono fidarsi di noi, in pochi mesi, è difficile. Poiché non si tratta di dimostrare la necessità di avere fiducia nel Governo italiano, il che potrebbe essere non impossibile: si tratta di dimostrare fiducia in un nostro organo periferico. Gli americani sanno benissimo fino a che punto l'Italia, tutte le sue amministrazioni, siano permeate di spie e di agenti di ogni sorta: bisognerebbe dimostrare loro che saremmo capaci di fare una eccezione per l'amministrazione Cirenaica: ma non credo che gli americani siano comunque disposti a correre dei rischi. Per cui, per quanto concerne la Cirenaica è meglio che ci mettiamo l'anima in pace: non c'è niente da fare, né per l'amministrazione, né per l'emigrazione, né per altre formule. Può essere che, in avvenire, se la nostra cooperazione militare con l'America e con l'Inghilterra diventerà sufficientemente stretta e fiduciosa, se avremo mostrato che siamo capaci di efficienza e degni di vera fiducia, ci riesca ad introdurci, parzialmente, nell'organizzazione della Cirenaica come base militare: che, cioé, da base anglo-americana ci riesca di trasformarla in base italaanglo-americana: ma sarebbe comunque una questione di un avvenire non prossimo. La questione della Cirenaica la si potrà forse risollevare il giorno in cui il pericolo di guerra essendo scomparso oppure i dati geomilitari del problema essendo spostati (per esempio che la «sicurezza» dell'Italia sia giunta a tal punto da consigliare di trasportare le basi in questione mettiamo a Foggia, località teoricamente più conveniente) la regione cessi di rappresentare un grosso interesse americano. (Questo ci è stato detto espressamente, valga quello che vale).

Tripolitania. L'interesse alla Tripolitania è sussidiario: le basi aeree americane sono importanti sì, ma non sembrano considerate vitali: essa ha un importanza riflessa in quanto spalle della base Cirenaica.

Sulla Tripolitania gli americani, a mia impressione, vorrebbero poterei dare soddisfazione e gli inglesi, senza entusiasmo, potrebbero essere convinti a non opporsi. Le principali obiezioni americane sono le seguenti:

l) il ritorno degli italiani in Tripolitania creerebbe dei torbidi: questi torbidi comporterebbero per il Governo italiano delle spese che graverebbero su di un bilancio già in cattive condizioni e la cui sistemazione costituisce già una grave preoccupazione per l'America. Torbidi, combattimenti, insuccessi, perdite possono alla loro volta creare al Governo italiano, all'interno, delle complicazioni che si aggiungerebbero ad una situazione non facile;

2) noi parliamo della Tripolitania come di una terra di colonizzazione. Gli americani ritengono che le possibilità vere di colonizzazione della Tripolitania siano talmente minime da non costituire una soluzione nemmeno parziale del problema della nostra eccedenza demografica. La delegazione americana mi ha detto: se vi riesce a persuaderei che realmente voi potere sistemare in Tripolitania 500 mila italiani, vi assicuro che il Governo americano cambierebbe il suo punto di vista. Ritengono inoltre che la colonializzazione, in vasta misura, comporti necessariamente una sostituzione della popolazione italiana alla popolazione araba: si verrebbe così a creare in Tripolitania, in una zona per l'America strategicamente delicata, una nuova Palestina (i due criteri sono contraddittori, ma questo non spaventa gli americani). Si potrebbe quindi al massimo trattare del ritorno dei coloni che hanno dovuto allontanarsi a causa della guerra;

3) per mantenere l'ordine pubblico in Tripolitania e garantire la sicurezza dei campi di aviazione, gli esperti militari americani ritengono sia necessaria una guarnigione di due divisioni efficienti. Essi ci chiedono: avete voi due divisioni realmente efficienti e disponibili subito? (Poiché gli inglesi sono decisi a ritirare le loro forze al momento stesso della proclamazione del trusteeship italiano). La situazione interna italiana (non il pericolo di aggressioni esterne perché a questo riguardo essi ritengono che due divisioni più o meno non fanno gran differenza) è tale da permettere di allontanare dal territorio metropolitano due divisioni efficienti? (Gli americani non sono disposti a sollevare, in questa sede e per queste ragioni, la questione della revisione delle clausole militari del trattato di pace). Meno chiaramente (ma forse la considerazione è invece la più importante) mi è stato chiesto se per caso di invasione dell'Italia o di comunistizzazione dell'Italia, il Governo italiano è in grado di garantire che queste divisioni non diventeranno comuniste e non costituiranno una minaccia alle spalle dello schieramento cirenaica.

Alle obiezioni l) e 2), che del resto ci sono note da tempo, noi abbiamo, a quanto mi risulta almeno, già varie volte risposto a Washington. Siccome non ritengo ci sia veramente cattiva volontà da parte americana, ma anzi il contrario, bisogna trame le conclusioni che i nostri argomenti non sono stati trovati convincenti.

Molto più serio è l'argomento n. 3, che è poi quello fondamentale: perché è facile rispondere di sì, difficile dimostrare convincentemente il fondamento del sì. Se noi vogliamo ottenere un cambiamento della posizione americana per quello che concerne la Tripolitania, bisogna quindi che abbandoniamo gli argomenti sin qui

1089 adoperati (prestigio, situazione del Governo italiano, questione morale, eccetera) ma che ci adoperiamo a convincere il Governo americano che, come è suo interesse militare avere gli inglesi in Cirenaica, così è suo interesse militare, anche se in un primo tempo modesto, di avere gli italiani in Tripolitania.

Per me, un argomento cui ho accennato e che mi sembra avere avuto un certo effetto, è l'opportunità di creare in Tripolitania una base di rifugio per il Governo italiano in caso di invasione dell'Italia, come Casablanca è organizzata come sede di rifugio per il Governo francese; sede sicura, perché checché se ne dica una randonnée dei russi dal Caucaso alla Sirte è nel regno delle chimere; sede vicina in modo da permettere un relativamente facile passaggio di informazioni, raccolta di unità militari disperse, di formazioni di volontari, eccetera. Ammesso questo, diventerebbe anzi interesse comune di avere in Africa due, o magari più divisioni sicure (bisognerebbe dare serie garanzie circa il reclutamento della truppa, la scelta degli ufficiali e dei comandanti) che potrebbero costituire il nucleo dell'esercito italiano di liberazione, e nel frattempo cooperare alla difesa della Cirenaica e del Canale di Suez. Questa è una mia idea, i nostri militari, specie dopo le conversazioni di Washington, potranno averne delle altre e delle migliori. Ma è bene che noi teniamo presente che, di fronte agli americani, questo è il nocciolo della questione. Se noi riusciamo a convincerli che è loro interesse militare che noi restiamo in Tripolitania, il resto viene da sé: tutti gli argomenti usati finora possono allora servire a sdoganare la merce, perché di cose di questo genere le persone per bene non parlano apertamente. Se non ci riusciamo, mi creda quando le dico che non avremo la Tripolitania.

Sarà poi comunque necessario che noi ci orientiamo decisamente verso un nostro ritorno concordato con le popolazioni libiche: è una espressione che noi abbiamo già usata, si tratta però di darle un contenuto concreto: non conosco sufficientemente i problemi locali per poter dare dei suggerimenti: bisognerà però arrivare alla costituzione di uno Stato arabo o italo-arabo, per cui le nostre funzioni siano quelle di organizzazione e di tutela. Spetterà a noi di farlo nella maniera migliore possibile per la difesa dei nostri interessi, ma è bene convincersi che è indispensabile. Anche con tutto l'appoggio dell'America, far passare all'O.N.U. il nostro trusteeship sulla Tripolitania non sarà cosa facile: noi potremo arrivare a che l'Inghilterra non si opponga, difficilmente potremo ottenere che essa faccia addirittura pressione in nostro favore. Bastano 19 voti contrari perché la cosa non passi: ci sono 6 voti certi contrari del blocco russo: fra arabi, paesi semi-coloniali o ex coloniali (Iran, Birmania, Filippine, eccetera) e quei 3 o 4 latino-americani in principio contrari all'idea coloniale (Guatemala, Haiti, eccetera) si fa presto ad arrivare a 19.

Un trusteeship puro e semplice, mi creda, è assai difficile che passi. Un trusteeship congiunto all'organizzazione di una forma statale, per cui possa essere presentato come un primo passo effettivo verso l'indipendenza, può, se bene presentato, servire a trovare in questo ultimo gruppo quel minimo di adesioni o magari semplicemente di astensioni che sono necessari perché passi. Mi permetto di insistere molto su questo punto: l'Assemblea non è un organo del tutto sottomesso agli anglo-americani, come si crede: non basta un accordo dei tre grandi più noi per imporlo: è necessaria anche una certa presentazione: abbiamo visti dei casi in cui inglesi ed americani d'accordo, non hanno avuto la necessaria maggioranza. Gli umori dell'Assemblea sono anche essi una realtà di cui bisogna tener conto: noi siamo talmente convinti di difendere nelle colonie una causa giusta che crediamo realmente che il solo ostacolo che ci si oppone è il malvolere inglese. Invece nell'Assemblea ci sono moltissimi Stati, più che sufficienti per impedire i due terzi favorevoli, convinti che non si tratta affatto di una causa giusta: molti di questi non hanno nessuna simpatia per l'Inghilterra e moltissima per noi: questo però non toglie che essi siano onestamente convinti che la nostra causa non è giusta. È questo un fatto di cui sarebbe un gravissimo errore non tener conto: spiacevole, ingiusto, non lo discuto ma comunque un fatto. Bisognerebbe per lo meno che ne traessimo la conseguenza che la nostra propaganda come è stata fatta finora è stata sbagliata, non ha avuto effetto, e bisogna cambiarla.

Gli americani sembrano decisi a mettere il limite di dieci anni a tutti i trusteeship sulla Libia. I francesi vi sono contrari e si capisce: gli inglesi pure sono contrari: mi è stato detto che è perché questo li metterebbe, fra dieci anni, in situazione difficile nei riguardi del Sudan cui sarebbe difficile rifiutare una indipendenza che si concede alla Cirenaica. Comunque su questo argomento sarebbe bene lasciare manovrare loro e noi non fare specifiche difficoltà. Fra l'altro la durata di dieci anni potrebbe essere sfruttata presso gli arabi per far loro intendere che il problema dell'unità della Libia è solo rimandato, e facilitare il loro voto. Ma anche questo argomento milita a favore della forma statale che, alla peggio, ci permetterebbe di conservare colla Tripolitania dei legami speciali anche dopo la fine del mandato.

Eritrea. Questo è il punto più doloroso. Sulle ragioni vere per cui gli inglesi sono contrari a noi le opinioni sono diverse: c'è chi dice che essi vorrebbero dare l'Eritrea all'Etiopia per farle mandare giù il nuovo trattato: c'è chi dice che è perché essi non ci vogliono vedere nel Mar Rosso: i francesi pensano che sulla questione dell'Eritrea sarebbe più facile far cambiare di parere agli inglesi. Gli americani sono essi contrari a noi perché appoggiano gli inglesi (le ragioni l), 2) e 3) riportate per la Tripolitania valgono evidentemente anche in questo caso) o sono essi contrari per ragioni di giustizia? Certo oggi siamo in presenza di un fatto grave: Marshall, in persona, ha comunicato al ministro degli affari esteri abissino che il Governo americano ha deciso di dar loro Asmara e Massaua. Non sarà né la prima né l'ultima volta che gli americani cambiano di avviso, ma comunque bisognerà per prima cosa farli cambiare.

Quello che è certo è che se potremo, il che è per me molto dubbio, salvare qualche cosa, non sarà più di qualche cosa. Bisogna quindi che consideriamo come perduti, almeno al pari della Cirenaica, non solo Assab e la Dancalia tutta, ma anche una parte abbastanza larga dell'Altipiano: il minimo che dobbiamo considerare come perduto è insomma tutto il largo sbocco al mare di cui alla prima nota americana, e concentrare tutti i nostri sforzi per cercare di salvare Asmara e Massaua.

Ma, ed è qui il punto più delicato, bisogna che teniamo presente che per la questione dell'Eritrea l'opinione pubblica dell'Assemblea ci è nettamente contraria. Essa è favorevole alla Etiopia, ritiene che è dali' Altipiano che due volte l 'Italia ha aggredito l 'Etiopia, e che l 'Etiopia ha diritto ad una grossa compensazione. Tutto questo sarà ingiustissimo, ma è un fatto: anche per i latino-americani. Mentre per la Tripolitania, a meno che ci fosse un intervento massiccio degli Stati Uniti contro di

1091 noi, potremmo contare su 16 o 17 voti latino-americani a nostro favore, per il caso dell'Eritrea possiamo contare al massimo su 7 o 8 ed anche questi dati a malincuore. Quindi, teniamo lo bene presente, anche se portassimo l'America e l 'Inghilterra dalla parte nostra, l'Eritrea non passa all'Assemblea senza grandi sacrifici territoriali da parte nostra ed è infinitamente dubbio che passi anche il resto. Un po' d'aiuto in Assemblea ci potrebbe venire da parte dei paesi arabi, ma è parte di una politica molto delicata e che dovrebbe essere trattata a pennello.

Dato questo, si presenta la domanda se non ci converrebbe metterei d'accordo direttamente con l'Etiopia. Mi si dice che, in sostanza, le proposte del Negus sono le seguenti: rinunciate all'Eritrea ed in cambio io apro tutto il mio impero alla vostra penetrazione, economica, politica e anche demografica. Se questo è vero, se fosse possibile concludere un accordo serio, di cui ci si potesse fidare, evidentemente prima di dire di no ci converrebbe pensarci due volte. Perduta per perduta, sarebbe meglio perdere l'Eritrea all'Etiopia in cambio di vantaggi concreti piuttosto che perderla per niente. Ma è questo seriamente possibile? Non conosco l'Etiopia, ma conosco sufficientemente l 'Oriente per dire che accordi di questo genere funzionano soddisfacentemente per paesi i quali hanno larghissime disponibilità finanziarie, come l'America o prima l'Inghilterra, molto meno bene quando si tratta di poveri disgraziati come noi.

Un punto importante è però questo: l'argomento ha fatto colpo su molti direi su tutti: gli etiopi non l'hanno detto solo a noi. È probabile che essi siano solo relativamente in buona fede, e che quando si viene al dunque, di questa apertura dell'Etiopia a noi ben poco ne resti. Ma ammettendo che sia così, sarebbe un indiscutibile vantaggio per noi, sia presso gli americani, sia presso tutti gli altri, il poter dire, documenti alla mano, ecco qua, abbiamo esplorato questa possibilità, guardate che cosa ci offrono gli etiopi, dite voi se è serio. Questo potrebbe turn the tahles in nostro favore di una causa altrimenti disperata. Dico subito, onestamente, che Cerulli è contrario a questo tentativo; e porta a giustificazione della sua opinione molti argomenti seri che, appoggiati alla sua conoscenza dei fatti, non posso permettermi di respingere alla leggera: comunque è un punto che mi sembra meriti tutta la nostra seria attenzione.

Cosa fare ora durante questi tre mesi e mezzo di respiro?

La chiave del problema è a Washington. Lovett ha detto a Tarchiani che l'America accetterebbe una formula concordata fra Italia e Jnghilterra4 . Presa au pied de la lettre è una presa in giro. L'Inghilterra difficilmente rinuncerà al suo punto di vista (vediamo l'ostinazione con cui si è battuta) se non avrà l'impressione che esso non è condiviso dali' America. Oggi noi abbiamo, in extremis, guadagnato un punto sugli inglesi, abbiamo portato gli americani a reconsidérer la cosa: ma spero che V.E. e l'amico Tarchiani mi perdoneranno se non condivido l'ottimismo di cui al telegramma n. 13805 per corriere5 . Gli inglesi torneranno alla carica con gli argomenti che hanno sinora loro

servito e che, è bene tenerlo presente, anche se da essi adoperati in malafede, hanno una base seria. Bisogna quindi lavorare sodo a Washington su basi nuove e con argomenti nuovi. Quanto le ho scritto e proposto, è la conclusione di lunghe e serrate conversazioni con gli americani di qui: è su quelle basi con argomenti adatti a quelle basi che bisogna condurre le trattative, non su altre. È necessario, secondo me, mandare d'urgenza Cerulli a Washington, magari accompagnato da altri esperti dei vari settori: anche e specialmente militari. Noi ci troviamo di fronte a gente che ha studiato il problema a fondo, sotto tutti gli aspetti, le loro obiezioni non sono tutte né dovute a malanimo né campate in aria: non si possono controbattere con la conoscenza solo generica del problema che può avere una ambasciata. Credo, per i miei precedenti, di conoscere le questioni coloniali nostre un po' meglio della metà dei funzionari di carriera: eppure di fronte a tante, ma importanti, questioni di dettaglio mi sarei trovato nell'impossibilità di rispondere senza l 'ausilio di Cerulli.

Contemporaneamente, bisogna riprendere le trattative a Londra. Gli inglesi si sono forse persuasi di quello a cui non volevano credere, che eravamo in grado di resistere: non possono più dirci adesso di avere dalla loro (eccetto che per la Cirenaica) gli americani al cento per cento. Può essere che siano disposti a trattare: se saranno disposti a trattare lo saranno anche loro e forse più degli americani soltanto sul terreno concreto, sul terreno delle obiezioni americane per intenderei, non sul terreno delle idee generali e tantomeno su quello della politica interna italiana. Convincerli che le loro obiezioni ufficiali non sono ben fondate, potrà servire loro a salvare la faccia per una loro eventuale ritirata.

Che gli inglesi siano maturi per una considerevole virata di bordo, da soli, è possibile, ma ci credo poco. Ma comunque è necessario trattare anche con loro per ragioni di prestigio inglese. Se noi ci mettessimo d'accordo con Washington senza Londra, londra se ne avrebbe a male, rifiuterebbe di accedere al nostro accordo con Washington e Washington non eserciterebbe su Londra la pressione che sarebbe necessaria per convincerla a cambiare idea. Se noi invece trattiamo contemporaneamente a Washington e a Londra, Londra che è sempre informata ed attenta agli umori di Washington, se facciamo progressi a Washington li registrerà nelle sue trattative con noi, avendo l'aria di cedere a noi e non agli americani. Una simile evoluzione inglese -e anche americana -sarà indubbiamente molto facilitata da un corso rapido ed intelligente delle conversazioni relative al Patto atlantico ed all'Unione Europea. La connessione del problema coloniale con tutto l'indirizzo della nostra politica generale è troppo nota perché debba tornarci.

Particolare e serrata attenzione va dedicata a tutti i paesi latino-americani. Non dobbiamo considerare il loro appoggio come un fatto acquisito: bisogna battere quotidianamente. Sappiamo noi qui che cosa c'è voluto per tenerli insieme: e questo in condizioni eccezionalmente favorevoli: eravamo a Parigi e non a Lake Success dove l'influenza americana è molto più sensibile: i nord-americani non hanno fatto veramente delle pressioni massicce che per pochi giorni. Nonostante questo essi ci sfuggivano, anche materialmente, da tutte le parti: tanto è vero che se si fosse arrivati alla votazione non sono affatto sicuro che la proposta anglo-americana sarebbe stata bocciata. Gli americani, oltre alle pressioni, hanno dalla loro la soddisfazione di tanti desideri delle repubbliche latine. Bisogna che anche noi vediamo in concreto, se e che cosa possiamo dare loro in cambio del loro appoggio. A Governi come a persone.

I rapporti con gli Stati arabi sono stati forse una delle features più interessanti e più promettenti di questa Assemblea, vanno continuati: e vanno continuati con sistemi pratici, bisogna mostrare, in concreto, che è loro interesse andare d'accordo con noi perché noi possiamo essere utili in qualche cosa di concreto. Non si possono prenderli di punta, ma si possono trovare sempre con loro delle formule complesse che servono ai nostri voti. Senza trascurare gli altri, mi permetterei di consigliare di concentrare la nostra attività su Riad El Solh che ha servito molto; ha effettivamente seguito ed influenza, ed i suoi rapporti col nostro rappresentante sul posto sembrano particolarmente buoni.

Ma bisogna curare anche tutti gli altri (non parlo del blocco orientale su cui non c'è niente da fare) perché ognuno di essi rappresenta un voto, ed un voto, anche una sola astensione, in certi casi, può essere decisivo. Dobbiamo riconoscere che in molti Stati, specie in quelli semi-coloniali, la nostra propaganda ha fallito: bisogna quindi ritentarla con altri metodi; Mascia ha preparato un rapporto in cui analizza, Stato per Stato, il loro atteggiamento: quali favorevoli, quali esitanti, quali contrari. Mi sembra sia una guida sufficiente per le istruzioni che il Ministero potrà dare.

Riassumendo: bisogna considerare la Cirenaica come definitivamente perduta: al 90 per cento perduta l'Eritrea e salvabile, comunque, solo con gravissime mutilazioni. Salvabile invece la Tripolitania, ma salvabile con argomenti e con formule sostanzialmente differenti da quelli adoperati finora: esse ci hanno servito adesso a Washington per ottenere l'assenso al rinvio, ma non ci serviranno per un cambiamento di posizione. Se noi guardiamo la situazione quale essa è, per spiacevole che sia, possiamo ancora sperare di salvare il salvabile. Se vogliamo salvare più del salvabile o se vogliamo mantenere la discussione a Londra o a Washington su altri piani, noi rischiamo seriamente di arrivare al primo aprile con una situazione anche peggiorata in confronto di quella odierna, che non è brillante.

E al l o aprile un altro rinvio non riusciremo ad averlo.

740 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 L'S dicembre l'Assemblea generale dell'O.N.U. deliberò di rinviare alla successiva sessione (primavera del 1949) la discussione sul futuro delle ex colonie italiane in Africa. 3 Si trattava della prima fase della costruzione della base di Wheelus-Field, operativa dal 1949.

740 4 Vedi D. 712, nota 4. 5 Del 9 dicembre, con il quale veniva ritrasmesso a Londra e Parigi il T. s.n.d. 16927/982 da Washington, non pubblicato, ma vedi D. 726.

741

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, LANZA D'AIETA, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA

T. S.N.D. PRECEDENZA ASSOLUTA 14040/22tl. Roma, 15 dicembre 1948, ore 13, 15.

Personale urgente per ministro Grazzi.

In relazione imminente incontro ministro Sforza-Schuman -notlZla tuttora riservata -pregoti volere a seguito tuo telespresso del 7 dicembre 2 telegrafarmi massima urgenza questioni che a tuo parere possono essere, nelle linee generali, affrontate in questo importante incontro per i rapporti italo-francesi e per l'Unione doganale.

Ad ogni buon fine informati che ambasciata Francia ha ultimamente risollevato questione differenza cambio fondo lire-riparazioni chiedendo altri due miliardi3.

741 1 Inviato anche a L'Aja con protocollo n. 79.

742

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16205/95. Ankara, 15 dicembre 1948, ore 20 (per. ore 8 del 16).

Mia lettera a segretario generale del 12 novembre n. 19681 . Questo segretario generale Ministero degli affari esteri mi prega comunicare d'urgenza V.E. che, a seguito nuovo esame Convenzione Montreux, Governo turco è giunto conclusione che disposizioni sezione seconda della Convenzione stessa vietano passaggio Stretti gran parte delle nostre navi da guerra (navi di linea, sottomarini) da cedere Russia con consegna Odessa. Circostanza, da me segnalatagli, che navi dovrebbero probabilmente navigare sotto bandiera mercantile ed equipaggi civili, è, a suo avviso, irrilevante. Governo turco non ha naturalmente suggerimenti da darci in materia ma tiene comunicarci in tempo utile predetta conclusione, per conseguente decisione da parte nostra. Segretario generale prega Governo italiano voler tenere presente che obiezioni turche sono ispirate da fondamentale interesse Turchia, soprattutto nelle presenti circostanze, mantenersi scrupolosamente fedele a disposizioni Convenzione Montreux 2 .

3 Con T. s.n.d. 16259/243 del 16 dicembre da Bruxelles Grazzi suggeriva di chiedere a Schuman: «l) Se intende procedere chiusura ... lavori sessione gennaio firmando atto costitutivo Unione doganale secondo progetto formulato da Drouin e da me e che dovrà essere completato da Commissione mista. 2) Dare disposizioni amministrazioni francesi affinché esportazioni francesi verso Italia abbiano carattere precedenza in modo che scambi ricevano maggiore equilibrio e incrementando conto pagamenti possiamo essere tranquilli circa rimesse emigranti dall'aprile in poi». Sulla questione di cui all'ultimo capoverso Grazzi suggeriva un atteggiamento negativo.

2 Per la risposta vedi D. 746.

741 2 Non rinvenuto.

742 1 Vedi D. 563, nota l.

743

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1769/22192/4847. Parigi, 15 dicembre 1948 1•

Ringrazio per la trasmissione delle interessanti conversazioni di cui al dispaccio

n. 1684/c. del l O corrente2: per mia informazione gradirei conoscere con quale numero mi sia stato trasmesso il rapporto di Washington n. 10591/39623 che non riesco ad identificare nei miei archivi.

Mentre mi riservo di chiarire coi francesi, in quanto possibile, la questione della distinzione in classi dei membri del futuro Patto atlantico mi permetto di fare alcune osservazioni.

L'opposizione inglese alla nostra adesione al Patto di Bruxelles e presumibil·mente anche al Patto atlantico, non è al cento per cento opposizione a noi. L'In-ghilterra vede il suo piano a lungo termine, concentra tutti i suoi sforzi per rendersi, al più presto possibile, indipendente dall'America e tornare a trattare con lei su piede di parità. Le sue risorse non le permettono né di fare da sola lo sforzo di ricostruzione economica, né, ancor meno, di occuparsi allo stesso tempo del suo riequipaggiamento economico e del suo riarmo. L'Inghilterra, sfruttando quindi al massimo la sua situazione di unico Stato realmente solido all'interno e efficiente in Europa situazione che nonostante alcune apparenze sarebbe errato negare -mira a concentrare su di sé tutto, o il massimo, del futuro aiuto militare americano. Essa cerca di dimostrare agli americani che i danari investiti a questo scopo in Inghilterra sono i meglio spesi: ogni dollaro che va ad un altro paese, è un dollaro tolto all'Inghilterra. I suoi concorrenti veri, in questo senso, Germania a parte, sono Francia ed Italia. Per questo l 'Inghilterra sta facendo abilmente, in seno al piano Marshall, una campagna di pressione sulla Francia e di denigrazione della Francia. Per quanto riguarda noi essa sfrutta quanto può la nostra inefficienza nel campo economico, e la presente poca stabilità politica. Ma allo stesso tempo, fa il possibile per indurre noi stessi a stame fuori volontariamente, il che risparmierebbe loro il compito ingrato e forse difficile di convincere gli americani a tenerci fuori. Questo spiega fra l'altro perché mentre da una parte ci rimproverano -o ci rimproveravano -l'ambiguità della nostra politica estera, dall'altra è facile scorgere la mano dell'Inghilterra in molti partigiani italiani del no entanglements.

Ripeto, secondo me, non è politica antitaliana nel senso che comunemente intendiamo noi. L'Inghilterra è seccata di quella che le sembra essere la nostra politica; appoggiarsi sull'America e sulla Francia per poter ignorare l 'Inghilterra: sa oggi di non potere competere con l'America: spera fra non molto -gli inglesi a mio avviso mentre sono convinti più degli americani della necessità della guerra

Vedi D. 730. 3 Non pubblicato.

alla Russia non la credono vicina -di essere in grado lei stessa di poter prendere in mano il riarmo dell'Italia, e cerca di tenerci isolati e fuori del giuoco politico e militare fino a che noi non ci persuaderemo che senza di lei in America poco c'è di concreto da fare per noi. A parte molti elementi psicologici su cui più volte ha attirato la nostra attenzione l'ambasciata di Londra, e che hanno il loro valore, io non credo che l'Inghilterra ci dia realmente tanta importanza da opporsi a quel tanto di relèvement dell'Italia che è possibile; essa si oppone a che il relèvement dell'Italia venga fatto tramite Francia o tramite America, l'Inghilterra venendo da noi lasciata da parte come quantité négligeable.

Non è affatto da escludere quindi che la teoria del limited membership sia di origine inglese: che gli americani -per cui l'Inghilterra è il n. l, questo non ce lo dobbiamo mai dimenticare -per non prenderla di punta la considerino come una soluzione soddisfacente per conciliare il loro desiderio di estendere certi vantaggi del Patto atlantico all'Italia e il desiderio inglese di non averci nel Patto atlantico: che gli inglesi, i quali conoscono la nostra psicologia e la nostra estrema suscettibilità, abbiano, fra l'altro, tirata fuori la teoria del limited membership contando che noi, per punto d'onore, ci rifiutiamo di accettarla. Non ci dimentichiamo che gli inglesi sono professori in questi giuochi sottili e che per furberia non hanno certo da prendere lezioni da noi.

Quindi prima di prendere, di fronte ad un eventuale limited membership, una posizione dalla quale sia difficile tornare indietro bisognerebbe por mente ad alcune considerazioni:

l) da quanto mi consta ormai, pur con tutte le nostre difficoltà di politica interna, noi, ad avere la garanzia americana ed un certo aiuto americano per il nostro riarmo, ci teniamo. Mi sembra anzi che noi ci preoccupiamo anche delle ripercussioni che potrebbe avere sull'opinione pubblica italiana, il fatto che il Patto atlantico possa essere concluso noi restandone fuori. Se è così, prima di prendere troppo nettamente posizione contro una limited membership bisognerebbe essere sicuri che gli americani sono disposti a sostenerci a fondo per il full membership o ad aiutarci militarmente anche senza nessun membership. Che il signor Dowling sia contrario a queste classificazioni, in quanto poco gradite a noi, non ne dubito; ma abbiamo ormai quattro anni di esperienza i quali se ci permettono da una parte di non dubitare delle buone disposizioni verso di noi dell'Italia n desk, ci permettono ancor meno di dubitare della non decisiva influenza dell'Italian desk nelle decisioni del Dipartimento di Stato. Siamo noi sicuri che an higher leve/ non si finirà per essere d'avviso che, dopo tutto, una limited membership che, col tempo, può diventare anche una full membership, non sia la buona formula che permette di parare al più urgente: fare entrare cioè l'Italia nel numero di quei paesi a cui si può estendere l'aiuto americano? Se questa soluzione fa comodo domani agli americani essi possono anche dirci che l'hanno escogitata per venire incontro alle riluttanze del Governo italiano e della sua opinione pubblica ad assumere degli engagements più completi. Comunque c'è sempre il rischio che gli americani ci dicano o questo o niente. Non vorrei essere frainteso: è evidente che noi dobbiamo cercare, visto che abbiamo deciso di entrare in questo Patto atlantico, di entrarci in condizioni, teoriche, di parità: ma manteniamo prudentemente questa nostra posizione nell'ambito delle trattative diplomatiche: non ne parliamo troppo e non prendiamo posizione in pubblico perché non è escluso che ci troviamo, di fatto, nella necessità di fare delle ritirate.

2) Come che sia, anche se, per quel che concerne il Patto atlantico noi avremo giuridicamente unafull membership, di fatto ci sarà una differenza molto sensibile fra i membri del Patto di Bruxelles, sezione militare, e quelli che non lo sono. Solo i primi saranno gli alleati, teoricamente, alla pari: gli altri saranno dei clienti. Quindi se noi vogliamo avere la vera parità, teorica si intende, bisognerà che cerchiamo di entrare anche nel Patto di Bruxelles: se non ci vogliamo entrare, se vogliamo essere conseguenti, bisogna che ci rassegnamo a non essere pari. Ma se ci vogliamo entrare, teniamo conto che è solo attraverso l'Inghilterra che ci possiamo entrare; non sarà certo la Francia che riuscirà a forzare la mano agli inglesi. Che gli inglesi non siano poi così decisi a !asciarci fuori, mi sembra dimostrato dal fatto che sono proprio loro ad offrirei di entrare nella sezione politica: il che è pur sempre una mezza apertura di porta. Ma non ci faranno entrare in full senza pregare: gli inglesi non dimenticheranno subito l'accoglienza non entusiastica fatta in Italia all'invito originale di Bevin.

3) La parità, sempre sul piano teorico, non la si riacquista di colpo, ma solo passo a passo. Temo che noi in Italia non ci rendiamo conto di quanto ancora portiamo sulla fronte, in moltissimi passi, il marchio di ex nemici: tutto questo passerà, ma ci vuole tempo, gradualità e pazienza. Prendiamo un esempio recente, il piano Marshall: abbiamo cominciato col mettere la pregiudiziale della parità: in fatto abbiamo dovuto rimangiarci questa pregiudiziale di un forte per cento: e ci sentivamo tanto poco pari che abbiamo sparato tutte le nostre salve di trionfo quando siamo riusciti ad avere la prima vice presidenza di un sottocomitato. Forse che oggi, ad un anno di distanza non ci siamo in situazione di pari? E non in situazione di semplice parità giuridica col Lussemburgo per esempio: siamo nella situazione nostra naturale, nella situazione di terzo, e nessuno pensa più a disputarcelo. Cosa vogliamo adesso? Il nostro reinserimento nel giro politico europeo ed entro certi limiti, internazionale: questo non potrà mai avvenire di colpo: non avremo mai una politica ufficiale: da oggi l'Italia è reintegrata nella posizione che essa aveva prima della guerra. Possiamo riacquistare questa posizione solo piano piano, gradualmente e la riacquisteremo tanto più facilmente quanto meno faremo rumore.

O si sceglie l'isolamento-V.E. sa che lo ritengo non solo impossibile ma anche esiziale ai nostri interessi vitali -o si sceglie il reinserimento. Se si sceglie il reinserimento bisogna reinserirsi come si può e dove si può, e una volta dentro, anche se per la porta di servizio, cercare di work our way up, nella migliore maniera possibile.

743 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

744

IL MINISTRO A BUDAPEST, BENZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 4347. Budapest, 15 dicembre 1948 (per. il 20).

Mio telegramma n. 44 dell'Il dicembre corrente 1•

Il sottosegretario politico presso questo Ministero degli affari esteri, signor Arpad Berei, il quale la vigilia mi aveva pregato di passare da lui nel pomeriggio del 10, mi ha rimesso la Nota verbale qui unita in copia2 •

Mentre ancora ne percorrevo il testo, il signor Berei ha tenuto ad illustrarmelo, facendomi presente la penosa sorpresa del suo Governo per le affermazioni del ministro italiano degli esteri che non corrispondono alla verità, in quanto l'Ungheria «non pensa menomamente a sorpassare né nel corso del '49 né nell'anno successivo i limiti militari impostile dal trattato» eccetera. Finita la lettura della nota ho interrotto il signor Berei facendogli presente che ignoravo, a prescindere da monchi estratti di stampa, il testo del discorso del mio ministro ma che, comunque, non pensavo fame con lui oggetto di discussione; ero stato pregato di trasmettere una nota e a questo mi sarei limitato. Intendevo solo dirgli a titolo personale e in risposta a quanto egli mi era venuto esponendo, che le dichiarazioni del ministro Sforza, quali che esse fossero, andavano interpretate nel quadro di un dibattito inteso ad illuminare la particolare situazione internazionale dell'Italia e che, nel mio convincimento, esse non miravano affatto -non fosse altro che perché l'Italia non è firmataria del trattato ungherese -a sindacare l'operato dell'Ungheria. Se da parte ungherese si era creduto attribuire loro un senso e un portata ostili la cosa non mi sorprendeva in quanto non poche dichiarazioni responsabili ungheresi in questi ultimi tempi mi avevano sufficientemente edotto che si ritengono qui nemici della pace e potenziali aggressori del blocco politico-militare cui appartiene l'Ungheria, vari paesi occidentali che hanno sistemi politico-economici ed ideologie non conformi a quelle in vigore nel blocco medesimo.

Al che il signor Berei ha obiettato che dichiarazioni del genere non eran state mai pronunciate dalla tribuna parlamentare. Gli ho risposto -prendendo congedo -che questa circostanza, in regime di democrazia popolare, non mi sembrava di grande peso.

Il breve colloquio, che è stato preceduto da una conversazione di carattere generico sull'andamento di questa crisi ministeriale nonché su altro argomento di cui pochi giorni addietro avevo intrattenuto lo stesso signor Berei, si è svolto sempre in tono e in termini perfettamente corretti.

744 1 Vedi D. 734.

745

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. Londra, 15 dicembre 1948.

Ti ringrazio della tua lettera del 9 corrente 1•

745 1 Non rinvenuta.

Mi sembra però indovinare da essa una certa generica incomprensione e una alquanto superficiale valutazione dei rapporti italo-inglesi come si sono svolti effettivamente. Per questo è necessario da parte mia un brevissimo riesame e una messa in chiaro circa alcuni capisaldi della nostra politica con Londra.

Punto fondamentale sul quale l'accordo col pensiero del ministro Sforza è sempre stato intero e che io ho tentato per quanto le circostanze lo consentissero di sviluppare è: che l'essenziale consisteva nel non perdere di vista la finalità suprema e il punto di arrivo, ossia il ritorno dell'Italia dentro la grande compagine delle nazioni occidentali, la sua partecipazione alla grande politica europea da pari. Le altre questioni, sia pure importantissime come quella delle colonie, andavano risolte nel modo migliore e più dignitoso per il nostro amor proprio nazionale, ma mantenendo sempre la loro giusta proporzione e sapendo fin da principio che esse non potevano essere risolte che dal di dentro della Unione Europea, dove l'Italia avrebbe potuto parlare e agire liberamente, non inasprendole dal di fuori.

Di fatto nella pratica questa direttiva fu capovolta. Il problema delle colonie dominò tutta l'area delle nostre relazioni con l'Inghilterra e più che considerarlo come problema interdipendente delle nostre relazioni con l'Unione Occidentale (in senso largo del termine) esso divenne condizione sine qua non della nostra partecipazione ad essa con effetti che era evitabile scontare.

Per questa ragione i rapporti italo-inglesi nel 1948 si riassumono nei susseguenti momenti.

l) Mogadiscio. È inutile riguardare indietro. Mia critica e non di oggi: il mancato senso di proporzioni e di misura che sconvolgeva e interrompeva la più larga politica a sfondo europeo che doveva essere svolta da Londra e proprio in quei mesi dopo la felice ripresa dovuta al viaggio di Sforza. Pericoloso prevalere di una valutazione sentimentale di un episodio che distraeva tutta l'attività politica italiana dal piano della nostra collaborazione occidentale portandola su quello più angusto della polemica e delle rivendicazioni ne Il' Africa italiana.

2) Nonostante ciò molto lavoro fu fatto in quei mesi per non perdere il filo principale e per tenere inquadrato l'episodio doloroso dentro una più larga visione dei nostri interessi e del nostro avvenire. Tale lavoro si riassume nel colloquio Bevin-Sforza a Parigi alla vigilia delle elezioni del 18 aprile2 . In esso il ministro Sforza riaffermò la sua chiarissima visione delle relazioni italo-inglesi dando al problema coloniale il suo giusto posto e prospettandolo soprattutto come diritto del lavoro italiano di ritornare in Africa. Nelle linee generali della politica italoinglese Bevin e Sforza si trovarono in quella occasione d'accordo ripromettendosi uno sviluppo di tale politica a elezioni compiute. Per una seconda volta si aprivano così le prospettive di rapporti italo-inglesi dentro il più vasto quadro di un rapporto europeo. Ma le dichiarazioni del presidente De Gasperi sulla soluzione coloniale come condizione della nostra partecipazione alla Unione Occidentale riconducevano

le nostre relazioni con l'Inghilterra a un punto morto (non so se in Italia ci si sia resi conto quale è stata la ripercussione sfavorevole di quelle dichiarazioni e quali dubbi ed esitazioni abbia in genere provocato l'orientamento di neutralità della politica italiana fino ai discorsi del ministro Sforza con cui nel settembre furono prese posizioni decise). Ancora una volta invece di fare della politica si faceva del colonialismo sacrificando l 'una all'altro.

3) Per uscire da quel punto morto io parlai a lungo con Bevin in un colloquio del 20 agosto essenzialmente improntato agli interessi europei occidentali dell'Italia e in cui riferii il pensiero di Sforza espressomi in una sua lettera. Certo quel colloquio non fu improntato ad acquiescenze o ottimismi da parte mia (mio telegramma 416)3 . Come ben sapete esso fu assai fermo e non privo di contrasti, ma ho ferma convinzione che da esso deriva una nuova valutazione delle nostre direttive e della reale volontà del ministro Sforza di porre le relazioni italo-inglesi sopra un piano più alto. Tale valutazione ebbe la sua conferma dalle posizioni prese dal ministro e dal presidente del Consiglio in Parlamento d'onde la recente offerta di Dalton all'Italia di partecipazione al Consiglio delle nazioni europee (la cui importanza capitale ho segnalato) e un ottimismo per le nostre relazioni nel 1949 che ho riscontrato in questi giorni al Foreign Office, e di cui attendo la conferma nel prossimo colloquio con Bevin4 .

4) Però nel frattempo la questione coloniale ancora una volta ha minacciato e minaccia di ridare al particolare problema coloniale un valore di primo piano, riconducendo quella che vorrei fosse l'azione politica che ha prospettive migliori a una semplice e sterile polemica tra Italia e Inghilterra che occupi di sé i prossimi mesi fino al lo di aprile. Mentre nel mio viaggio a Roma sia il ministro Sforza, sia il presidente del Consiglio e tu stesso riconosceste che mentre il piano Massi gli (che era poi un tentativo di Bevin attraverso Massigli) era inaccettabile la via aperta da quel tentativo era da seguire. Però giunto a Parigi a metà ottobre senza che tu trovassi utile che l'ambasciatore a Londra si abboccasse a Roma con il ministro su questioni di così grave importanza, trovai che le direttive erano affatto mutate. Non solo il colloquio Quaroni-McNeil 5 poneva il problema coloniale sopra una base di netto contrasto di forze ma investiva tutte le relazioni italo-inglesi (con forte risentimento al Foreign Office). In quella occasione mi trovai concorde con Cerulli sui pericoli che si sarebbero corsi sia in un successo che ci avesse dato le colonie a dispetto degli inglesi, sia di un rinvio a cui giungessimo in stato di antitesi con gli inglesi stessi. A me però non restava che lasciar maturare la situazione a Parigi non chiudendo, come scrissi, nessun uscio ma non prendendo nessuna iniziativa.

5) Oggi siamo giunti al rinvio. Il rinvio della questione delle colonie alla Assemblea del l o aprile a Lake Success può essere cosa ottima o pessima. Un successo o un insuccesso a seconda della politica che intendiamo e riusciremo a fare. Se i mesi che

4 Vedi D. 749.

Vedi D. 510.

ci separano dalla ricomparsa del problema di fronte alle Nazioni Unite saranno tutti concentrati in successivi tentativi e in successive attese poggiate su vaghe promesse o imprecisi affidamenti altrui, arriveremo alla data non lontana in condizioni peggiori della precedente e ci dovremo trovare di fronte a umiliazioni e disillusioni peggiori di quelle subite. Se punteremo invece decisamente sopra una politica di collaborazione europea sviluppando le prospettive che mi pare si aprano con le intenzioni che l'Inghilterra ci ha dichiarato in queste ultime settimane (senza rinunziare beninteso a inquadrare in un programma intelligente, concreto e leale circa le nostre rivendicazioni coloniali come dici nella lettera), allora sarà stato un grande bene.

Queste cose le pensavo e mi sono sentito in obbligo di dirle con franchezza. Sarei lieto che il ministro le leggesse sapendo che, in massima, esse corrispondono al suo modo di vedere e perché è in base a questa lettera che discorrerò con lui appena mi sarà possibile incontrarlo.

744 2 Non pubblicata.

745 2 Il 16 aprile, in occasione della firma del trattato istitutivo dell'O.E.C.E. Su questo colloquio non ci sono documenti di parte italiana.

745 3 Vedi D. 335.

746

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS

T. S.N.D. 14099/73. Roma, 16 dicembre 1948, ore 23.

Suo telegramma n. 95 1•

Pur dimostrando massima comprensione per motivi che ispirano codesto Governo VE. vorrà far presente che impegni assunti ci obbligano comunque presentare richiesta ufficiale transito Stretti per tutte le unità cedute alla Russia con recente accordo.

Pregola pertanto presentare Nota verbale trasmessale con telespresso n. 1689 del 13 corrente con ultimo corriere2 .

747

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 2026/773. Osio, 16 dicembre 1948 1•

Riferimento: telespresso n. 1899/715 del 18 novembre u.s. 2 e corrispondenza telegrafica di questa legazione.

Non rinvenuto. 7 4 7 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Non pubblicato.

Come ebbi a suo tempo a riferire, quando venne sul tappeto la questione di un'eventuale partecipazione della Norvegia al Patto atlantico, questo Ministero degli esteri fece presente a Bevin e a Marshall che, per motivi di varia indole, il Governo norvegese preferiva di non essere invitato a partecipare come membro fondatore alle prime conferenze per il patto stesso.

Bevin, rendendosi conto dei motivi esposti dal signor Lange, dette assicurazioni, per la parte concernente l 'Inghilterra, nel senso richiesto. Marshall fu invece meno preciso, dichiarandosi, in principio, d'accordo con il rappresentante norvegese, ma trincerandosi dietro il fatto che molto probabilmente egli avrebbe in breve dovuto cedere il suo posto a un nuovo ministro degli esteri, esponente del partito repubblicano e che quindi non riteneva di poter vincolare la futura attività di quest'ultimo.

La conferma di Marshall a segretario di Stato ha allontanato l'evenutalità di un invito iniziale alla Norvegia e il signor Lange mi ha detto che il ministro americano gli ha dato assicurazioni in proposito nel recente colloquio di Parigi. Quanto precede è stato, se pure indirettamente, portato a conoscenza di questa opinione pubblica dallo stesso signor Lange con una dichiarazione aB 'ufficioso Arbeiderbladet. Egli ha infatti affermato che «non ha motivo di ritenere che alcun invito venga fatto attualmente a1la Norvegia». Cadono così, per la parte riguardante questo paese, le notizie messe con insistenza in giro dalla stampa internazionale su un probabile ampliamento del Patto atlantico fin dalle origini.

Circa i motivi che spingono la Norvegia a non aver fretta, ho già riferito a V.E. per filo. Ritengo ad ogni modo opportuno riassumerli: a) obbligo di correttezza nei confronti dei vicini scandinavi con cui sono attualmente in corso le note trattative per la difesa comune; b) opportunità di preparare progressivamente questa opinione pubblica a una decisione di portata tanto rilevante e soprattutto di poter dimostrare, con il fallimento -già scontato -delle trattative suddette, che alla Norvegia non rimane altra soluzione per uscire da un pericoloso isolamento; c) convinzione di questo Governo che il partecipare o meno fin dagli inizi al Patto sia assolutamente irrilevante agli effetti della futura sicurezza del paese, nonché dei vantaggi e delle facilitazioni di cui godranno gli Stati aderenti.

746 1 Vedi D. 742.

748

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 16286/1000. Washington, 17 dicembre 1948, ore 11,48 (per. ore 20).

Lettera segretario generale 7981/880 del 9 corrente 1•

Sono state fatte comunicazioni opportune a Dipartimento Stato, il quale ringrazia.

Prime reazioni Dipartimento Stato ad accordo italo-sovietico sono favorevoli, sopratutto per quanto concerne accordo commerciale. Circa riparazioni e conse

gna navi si nt1ene qui che tali aspetti dell'accordo possono essere utilmente sfruttati di fronte ad opinione pubblica italiana, sottolineando differenza fra atteggiamento sovietico e quello delle nazioni occidentali in materia di esecuzione trattato di pace.

748 1 Vedi D. 728.

749

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16309/519. Londra, 17 dicembre 1948 1•

Ho parlato ieri lungamente con Bevin che ha con me esaminato molto apertamente problemi di interesse comune.

Mi ha confermato che proposta britannica includere Italia nel comitato studi per Consiglio europeo parte personalmente da lui. Ha ripetuto che Governo britannico ritiene che effettiva cooperazione europea possa essere ottenuta soltanto attraverso organismo ristretto, efficiente e responsabile e che un parlamento europeo sarebbe oggi più che utile dannoso perché, anziché discutere utilmente e tanto meno risolvere problemi europei, riuscirebbe soltanto a mvelenirli.

Bevin spera che, se progetto britannico sarà approvato, invito formale potrà esserci rivolto verso fine gennaio epoca per la quale attuale fase preliminare dovrebbe essere terminata: confida che Governo italiano accetterà tale invito che tende associare Italia nuovo organismo europeo nel quale questioni che ci interessano più da vicino potrebbero essere trattate seriamente e nel modo migliore per avviarle a una soluzione. Nostra partecipazione assieme rappresentanti dei cinque di Bruxelles a lavori per la costituzione del Consiglio potrebbe, secondo Bevin, avviarci gradualmente verso una forma di stretta collaborazione con le potenze occidentali senza imporci impegni più precisi a cui nostra opinione pubblica parrebbe tuttora riluttante.

Circa Patto atlantico Bevin mi ha detto che è ancora in piena discussione e nulla di preciso sarebbe possibile affermare circa i suoi sviluppi avvenire.

Mi ha quindi accennato di sua iniziativa a sue idee per una possibile soluzione della questione colonie2: su ciò riferirò a voce come pure del desiderio di Bevin di discutere al momento opportuno di questi problemi direttamente con

V. E.

749 1 Spedito il 18 alle ore 12,15 e pervenuto alle ore 19 del medesimo giorno. 2 Vedi D. 758.

750

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 3/2125. Roma, 17 dicembre 1948.

Ho la sua dell'8 dicembre 1• Non credo giusto l'appunto che lei ha udito fare circa «l'eccesso di zelo» dei nostri agenti nell'America latina: la difesa dell'estrema linea !asciataci non permetteva linguaggi ovattati. So del resto che un alto funzionario britannico a Parigi fu molto colpito (e niente offeso) quando avendo citato «gli impegni col Senussm> in conversazione con un ambasciatore sud-americano, questi gli rispose «Por favor, dejamos estas tonterias».

Lei tocca a pagina 3 certe personali «avversioni». Esse non esistono. Ciò che lei subodora è solo il risultato dell'atteggiamento autarchico del Governo britannico ostile ad ogni fusione economica del continente europeo. Ma ben si sa a Londra quanto io tenga alle migliori intese coli 'Inghilterra. E lo saprà ancor più se Dunn ha parlato (pagina 2 della sua) con Douglas.

Per una somma di ragioni (parte faziose e parte naturali) è mia ferma impressione che il suo accenno nel penultimo capoverso della sua andrebbe rovesciato: il paese (o per esso la classe politica) accetterà più facilmente la formula A che non la formula B; e ciò anche perché sarà più facile che alla formula A aderiscano taluni Stati scandinavi -già fin d'ora restii circa la formula B, o mal accetti da chi la compone.

751

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2405/597. Mosca, 17 dicembre 19481•

Sul contenuto degli accordi econom1c1 italo-sovietici2 e sulle trattative che li precedettero riferirà indubbiamente l'on. La Malfa, così come gli altri membri della delegazione riferiranno ai Ministeri dai quali dipendono.

751 Copia priva de li'indicazione della data di arrivo. 2 Il trattato firmato l'Il dicembre è edito in: MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXVII, cit., pp. 4 79-487.

Io mi limiterò a segnalare alcuni fatti ed impressioni che possono avere un certo interesse dal punto di vista pratico e politico ed a precisare, per evitare equivoci in avvenire, l'esatta portata di alcuni punti essenziali dei patti conclusi.

I. Impressione generale sul metodo e sulla tattica dei negoziatori sovietici. Per giudizio comune dei nostri delegati, i negoziatori sovietici sono apparsi seri e preparati, ma non di superiore qualità. Sia sul tema delle riparazioni, sia su quello degli scambi e dei pagamenti, e del trattato di commercio, essi non hanno mancato di toccare i punti essenziali e di formulare le obiezioni più importanti; ma nei dettagli, specialmente giuridici, non si sono dimostrati eccessivamente ferrati, ed hanno perso e fatto perdere molto tempo in discussioni inutili e puramente formali su parole, discussioni rese più difficili dalla difficoltà di esprimere appropriatamente in lingua russa talune specifiche espressioni italiane, tecniche o giuridiche, e viceversa. I loro interpreti erano quasi tutti mediocri, i loro giuristi scarsamente inquadrati nei principii; in sostanza, forti e serii sull'essenziale, i sovietici sono apparsi inferiori all'aspettativa nei dettagli e nella formulazione delle norme.

Quanto alla tattica, essi giocano più sul tempo che sulla resistenza; sono cioè mancate le lunghissime ed estenuanti discussioni, specialmente notturne, di cui fecero cenno altre delegazioni. Piuttosto, lo stancheggiamento della controparte tendeva ad avvenire con i !ungi intervalli, talora di alcuni giorni, fra una seduta e l'altra, che costringeva la delegazione ospite ad ozi snervanti; ed anche col sistema di ritornare continuamente su posizioni che già apparivano superate, aggravando così la perdita di tempo. Ma tutto ciò non è andato molto al di là del prevedibile, e nel complesso si può dire che in fatto di pazienza e di metodo la delegazione italiana non si è lasciata mai superare, e non ha perduto alcun punto né per stanchezza, né per impazienza. Buona preparazione, tempo a disposizione e pazienza continuano ad essere i requisiti migliori per sostenere adeguatamente le discussioni qui a Mosca.

II. Svolgimento generale delle trattative. Le trattative hanno avuto tre tempi. Il primo, dall'arrivo della delegazione al rientro a Roma dell'an. La Malfa, è servito più che altro a preparare il terreno ed a chiarire i punti di dissenso. Si è visto allora che un accordo era estremamente improbabile, sia perché i punti di vista in tema di riparazioni erano agli antipodi, sia perché l'acuirsi del dissidio sul tema delle navi faceva venir meno il minimo necessario di fiducia politica.

I sovietici proponevano in sostanza le stesse condizioni che avevano fatto accettare ai finlandesi, agli ungheresi ed ai rumeni, ed erano estremamente restii ad accordarci un trattamento più favorevole di quello riservato ai loro amici. Essi avevano lasciato venire la delegazione a Mosca, al fine di sorprenderla poi con la richiesta delle navi, e di ottenere che il Governo italiano le consegnasse, per poter consentire una discussione e una transazione sulle condizioni delle riparazioni e sugli scambi commerciali. Volevano così porre il Governo italiano nell'alternativa, o di rompere le trattative richiamando la delegazione, o di dare le navi. Dato che il rifiutare le navi non era possibile, e presto o tardi si sarebbero dovute consegnare, l'abbinare in queste condizioni le due questioni delle navi e delle riparazioni era la sola mossa che consentisse di non subire la manovra, e di porre noi le nostre condizioni imponendo l'accettazione integrale del progetto italiano riparazioni.

Ciò avvenne nel secondo tempo delle trattative, che vanno fino al 6 novembre, data dell'accordo firmato dal ministro Molotov e da me per le navi e per le riparazioni. Queste trattative dirette con Molotov furono iniziate in una atmosfera di estrema diffidenza. Quando io richiesi a Zorin il colloquio con Molotov anche a nome dell'an. La Malfa, questi mi disse: «Che cosa volete discutere con Molotov? Mi pare non vi sia niente da discutere. Qui si tratta soltanto di dare le navi, il cui termine di consegna è scaduto da sei mesi». -Malgrado questo, la chiarezza e la precisione del promemoria dell'an. La Malfa3 fecero subito su Molotov una impressione evidente; anch'egli partì da una posizione iniziale di estrema diffidenza, e giunse ad una impressione finale di serietà nelle nostre trattative. Quel che lasciava un dubbio in Molotov fu la nostra prima proposta di consegnare le navi «entro il termine tecnicamente necessario» 3 . Questa espressione gli parve (ed era) vaga e soggetta a discussione; egli propose il 31 dicembre, e non fu senza difficoltà che nei colloqui successivi, e dopo avergli fatto attendere parecchi giorni la risposta, noi potemmo fargli accettare i termini molto più lunghi proposti dalla nostra Marina. Negli ultimi tempi gli incontri divennero cordiali, per quanto può essere cordiale un incontro con Molotov, il quale non manca tuttavia di un suo velato e quasi monosillabico umorismo.

La terza fase fu la più dura. Noi ci rendemmo conto fin dall'inizio che i sovietici avrebbero cercato di giocare sulla accettazione da parte loro dei principii del nostro progetto riparazioni; dai principii agli accordi definitivi potevano correre ancora molte discussioni e molti equivoci. Ma noi eravamo decisi a non cedere, e sapevamo che i sovietici non volevano perdere la nostra promessa per le navi. Non avevamo mancato occasione per ripetere a Molotov che prima di qualsiasi nostro atto di esecuzione per le navi, gli accordi per le riparazioni e gli accordi commerciali dovevano essere firmati. Volemmo inserire nella lettera d'accordo del 6 novembre un preciso monito scritto in questo senso; i sovietici lo compresero.

Dal 7 novembre alla firma dell'accordo definitivo vi fu una serie di serrati scontri: i sovietici cercarono con la massima possibile abilità di togliere al progetto italiano, nella maggior misura possibile, la sua precisione. Soprattutto essi si batterono per limitare la clausola che li obbligava ad accettare i beni danubiani (o balcanici) nello stato in cui erano alla data dell'armistizio, includendovi il più grande numero di eccezioni; e per ottenere dal Governo italiano una precisa garanzia di intervento nella conclusione ed esecuzione dei contratti di fornitura in conto riparazioni. L' on. La Malfa tenne duro e rifiutò spesso anche le più leggere modifiche formali, per timore di scuotere i principii del progetto: il dott. Prato ebbe col vice ministro Kumykin scontri violenti e li superò brillantemente. Vi fu un momento in cui la rottura apparve possibile e noi eravamo tutti ben decisi ad affrontarla (vedi telegramma n. 405 del 27 novembre u.s.) 4 ma personalmente non ne fui mai convinto, anzi espressi sempre alla delegazione la sicurezza che i sovietici all'ultimo momento avrebbero ceduto, perché non potevano rompere senza mettersi in una posizione insostenibile. Infatti, all'ultimo momento Mikoyan sconfessò (apparente

751 3 Vedi D. 521, Allegato I. 4 Vedi D. 675.

mente) Kumykin e abbandonò le modifiche da questi tenacemente difese; in questo modo era aperta la via all'accordo definitivo. Fino all'ultimo minuto, tuttavia, si discusse tenacemente su ogni clausola e su ogni parola, secondo il costante sistema sovietico.

III. Alcune interpretazioni importanti. Vi sono tre punti dell'accordo sulle navi e sulle riparazioni, degni di chiara interpretazione, perché potranno eventualmente dare luogo domani a discussioni di una certa importanza pratica:

a) con la consegna delle 33 navi, l'obbligo del Governo italiano deve considerarsi esaurito. Purtroppo vi è nell'accordo tecnico firmato dagli ammiragli (se non sbaglio) un articolo il quale potrebbe dar luogo a dubbi, là dove dice che la rinuncia dei sovietici alla riparazione delle 33 navi non implica rinuncia al diritto dei sovietici di far da noi riparare le altre 15. Se anche questa clausola fosse stata mantenuta, certo essa non potrebbe derogare alla lettera ed allo spirito che con la consegna delle 33 navi, l 'Italia avrà esaurito ogni obbligo di questa natura. Così è richiesto nel passo di Molotov del 4 ottobre, così ho chiarito io a Molotov in uno dei colloqui successivi, quando egli tentò di formulare una riserva per le navi rimanenti, che poi lasciò cadere.

b) Non vi è dubbio che nessuna consegna di forniture industriali in conto riparazioni, potrà avvenire fino a che non sia determinata esattamente la somma dovuta, ossia fino a che non sia dedotto dai l 00 milioni totali il valore di stima dei beni italiani in Ungheria, Rumania e Bulgaria. Il nostro progetto è chiarissimo in tale senso; le forniture industriali sono dovute per differenza, e la differenza presuppone un diminuendo e un sottraendo. È vero che fu fissato un termine per la valutazione dei beni, e questo termine dovrà essere rispettato; ma se esso fosse sorpassato per ragioni di forza maggiore o per colpa dei sovietici o degli stessi Stati ove i beni si trovano; oppure se nel termine non si riuscisse ad un accordo sul valore, o questo non fosse approvato dai quattro ambasciatori, i sovietici non avrebbero alcun diritto di invocare l'inizio delle forniture industriali col 15 settembre, perché si tratterebbe ancora di obbligazioni indeterminate. Naturalmente una simile posizione non può essere invocata se si verificano ritardi dovuti a cattiva volontà del Governo italiano, ma nei limiti della buona fede sarà sempre pienamente valida.

c) Infine, va chiarita la portata dell'art. 5, 2° comma dell'accordo riparazioni, a termini del quale «il Governo italiano prenderà tutte le misure necessarie per una tempestiva e completa esecuzione del programma delle forniture previste dal menzionato Allegato A), fermo restando che le clausole tecniche ed il prezzo delle singole forniture saranno convenuti direttamente tra la rappresentanza commerciale dell'U.R.S.S. in Italia, o le organizzazioni economiche sovietiche, da una parte, e le ditte fornitrici dali 'altra».

Anzitutto, è da ricordare che nelle trattative, da parte sovietica si è sempre riconosciuto che per misure del Governo italiano si dovranno intendere interventi amichevoli e misure amministrative, non mai misure legislative.

In secondo luogo e sopratutto, occorre definire la portata reale dell'obbligo assunto dal Governo italiano. Il principio generale è e rimane che il Governo italiano apre il conto, e il Governo sovietico pensa a trattare le forniture coi fornitori italiani, fissa le condizioni, stipula le penali, ecc. ecc. Il Governo italiano ha l'obbligo di favorire le condizioni generali necessarie per il regolare sviluppo delle trattative e delle forniture, non soltanto col non creare ostacoli legislativi ed amministrativi, ma anche coll'invitare

le ditte a prendere contatto con la Rappresentanza commerciale sovietica ed a stipulare i relativi contratti. Di più, a rigore, esso non è tenuto a fare, perché le misure cui è obbligato sono quelle che influiscono sull'ambiente generale entro il quale nascono i contratti, i quali viceversa sono esclusi totalmente dalla sua competenza.

Potrebbe discutersi ancora se fosse obbligatorio un intervento successivo del Governo italiano, nel caso che le trattative con le ditte fallissero in seguito a richieste di prezzi o di condizioni veramente anormali (rispetto, si intende, al normale mercato italiano) da parte delle nostre imprese. Un preciso impegno in questo senso non esiste: forse esso può farsi discendere dalla interpretazione di buona fede dell'accordo, ma dovrà pur sempre trattarsi di casi veramente evidenti di organizzata coalizione delle ditte italiane per rendere impossibili, o esose, le forniture in conto riparazioni.

IV. Intonazione politica dell'accordo. Non vi è stato nessun accenno, nelle trattative, tale da attribuire all'accordo una portata politica più ampia di quella che discende direttamente dal suo contenuto: e cioè da un lato liquidazione degli obblighi del trattato di pace, con la ripresa di relazioni normali in posizione di piena parità fra i due Stati, e dall'altro, inizio di rapporti economici reciprocamente convenienti.

Naturalmente, i sovietici non avrebbero visto mal volentieri una maggiore accentuazione politica, o quantomeno avrebbero desiderato attribuire agli accordi una certa risonanza esteriore, tale da gettare un'ombra di dubbio sui nostri leali rapporti con gli Stati Uniti, anche se essi non si illudevano affatto sulla possibilità di una qualsiasi attenuazione della nostra sostanziale linea politica. Non potendo deviarci i sovietici avrebbero voluto volentieri comprometterci.

Ma questo non è avvenuto in alcun modo. Tutte le trattative, sia quelle della delegazione, sia quelle più strettamente politiche dell'an. La Malfa e mie con il ministro Molotov, non diedero mai luogo in alcun momento ad alcun accenno che potesse tàr dubitare della nostra volontà di conservare pienissima libertà nelle nostra azione, e nel tono della nostra azione politica futura. Anche per questo non fu proposta a Molotov una vera e propria riduzione del nostro onere di riparazione. Già, una simile proposta sarebbe stata probabilmente pagata con la rinuncia ai principii del nostro progetto, almeno in parte. È chiaro che se noi avessimo invocato la riduzione del 50% concessa dai sovietici ai finlandesi, ai rumeni e agli ungheresi, ci saremmo sentiti richiedere gli stessi criteri di pagamento da loro accettati. Dal punto di vista economico, ciò sarebbe stato uno svantaggio: perché se è vero che i finnici hanno avuto un abbuono del 50% sul residuo loro debito (che era in quel momento del 50% circa sul totale) è anche vero che per il solo fatto della applicazione dei prezzi del 1938 essi avevano praticamente raddoppiato il loro debito. Cosicché essi ebbero da un lato un aumento del 100% sul totale, e poi godettero di una riduzione del 50% sulla metà, ossia pagheranno il 150% di quel che avrebbero pagato applicando i prezzi correnti al momento delle forniture; e ciò a prescindere dalle commissioni di controllo, dalle rigorosissime multe, ecc. ecc.

Ma soprattutto, dal punto di vista politico, una simile richiesta avrebbe significato porci al livello degli Stati satelliti, compromettere cioè una posizione di piena indipendenza che andava rigorosamente salvaguardata, anzi raggiunta proprio mediante l'adempimento degli obblighi del trattato.

Il fatto che l'accordo non abbia avuto alcun significato ed alcun retro scena di compromissione politica al di là dei termini stretti che ne formano il contenuto, non toglie però che esso abbia contribuito, per la sua stessa natura, a creare una premessa di miglioramento futuro di rapporti con l 'Unione Sovietica, che potrà essere sfruttata se le condizioni politiche generali e gli interessi dell'Italia lo suggeriranno.

Abbiamo dato certamente ai sovietici una impressione di serietà, ed anche di fermezza nelle trattative, che li ha costretti a prenderei sul serio ed a rispettarci; le stesse normali relazioni fra questa ambasciata ed alcuni fra i maggiori esponenti della politica sovietica (Molotov e Mikoyan, Zorin e Gusev), si sono fatte più strette e più facili.

Le basi degli accordi economici sono a noi vantaggiose e formano un buon punto di partenza per maggiori sviluppi futuri. Tutto questo ha un valore politico non trascurabile, che potrà essere utilizzato o no, ripeto, secondo le circostanze e secondo i nostri interessi.

V. Funzionamento della delegazione. Guidata con autorità e fermezza dall'on. La Malfa, la delegazione ha svolto il suo lavoro in perfetto affiatamento fra i suoi membri, con questa ambasciata e con le autorità sovietiche. Il dott. Prato e il dott. Ferlesch hanno diretto egregiamente le loro sottocommissioni, superando spesso ostacoli delicati. Nessun incidente in nessuna direzione ha turbato la serenità dei lavori della delegazione e ciò ha contribuito certamente alla efficacia del suo lavoro ed a quella paziente resistenza, che occorreva dimostrare di fronte ai sovietici.

750 1 Vedi D. 726.

752

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. l 780/22334/4882. Parigi, 17 dicembre 1948 1 .

Rijèrimento: suo 1684/c. del l O corrente2 . Ho chiesto a Chauvel alcuni chiarimenti circa i punti toccati nella conversazione Dowling-Guidotti3 .

l. Da parte americana era stato precedentemente detto che non si desideravano delle proposte concrete dei Cinque, ma che si preferivano avere le idee dei singoli Stati e poi procedere ad una discussione comune dei vari progetti. Il l Ocorrente invece Lovett ha chiesto se i Cinque potevano presentare un punto di vista comune: gli è stato allora consegnato il «testo» redatto a Londra4 . Sempre secondo Chauvel,

2 Vedi D. 730.

3 Non è stata rinvenuta documentazione su tale conversazione. Per il colloquio che Dowling ebbe nella stessa occasione con Zoppi vedi D. 683.

4 Vedi DD. 688 e 702.

si sta ancora nella discussione dei punti generali, durata del Patto (mi ha confermato che i francesi desiderano la durata più lunga possibile) automatismo, eccetera. Sebbene si sia solo ai primi passi, mi ha detto che a sua impressione il Patto, in quanto patto politico, sarà redatto in modo da essere estremamente elastico e in fondo conterrà ben poco. Non è stata ancora abbordata la questione degli Stati da invitare: non è stato nemmeno discusso il principio se gli eventuali Stati da invitare saranno chiamati ad esprimere il loro punto di vista su di un trattato ancora in formazione, oppure se si procederà prima alla firma del trattato a sette, e si passerà poi all'invito ad altri Stati. Mi ha confermato che nelle conversazioni generali che si tengono al riguardo nelle varie capitali, gli americani continuano ad insistere sulla partecipazione dell'Italia. Nessun cambiamento nell'atteggiamento degli altri partecipanti.

2. -La questione se ci dovrà essere un patto generale, o dei patti bilaterali, o tutti e due: il collegamento col Comando di Fontainebleau, le missioni militari nei singoli paesi, il collegamento con il Comando americano sono tutte questioni che non vengono trattate adesso: le trattative attuali vertono esclusivamente sulla parte politica del Patto. Tutto il resto farà parte delle convenzioni militari che dovranno seguire il Patto politico. A sua impressione le idee degli americani non sono ancora del tutto chiare, comunque sono cose di cui si potrà discutere: non è affatto escluso che si arrivi ad una combinazione sul genere di quella esposta da Dowling: ossia a qualche cosa di analogo ai patti multilateriali e bilaterali del piano Marshall. 3. -Circa la full e limited membership Chauvel mi ha detto che la questione è stata sollevata, per iniziativa europea, nelle conversazioni generali del settembre scorso, a Washington, come una possibilità da tenersi presente. Ma, mi ha spiegato, il significato di questa differenza non è quello che gli diamo noi. Essa trae la sua origine dall'art. 9 del Patto di Bruxelles (Les Hautes Parties contractantes pourront décider, de commun accorci, d'inviter tous autres Etats à adhérer au présent Traité, aux conditions qui seront convenues entre Elles et l'Etat invité). La clausola era opera sua e me ne poteva spiegare quindi il significato. Si era partiti dal punto di vista che uno Stato avrebbe potuto dichiararsi pronto ad aderire al Patto di Bruxelles, ma solo parzialmente: era stato fatto, a titolo di esempio il caso estremo di uno Stato il quale desiderasse di aderire alle sole clausole culturali del Patto di Bruxelles. Cosa fare? Rispondere che o tutto o niente? Si era preferito lasciare una maggiore elasticità ed ammettere che uno Stato aderisse al Patto di Bruxelles con responsabilità limitata: in questa maniera si poteva contare, forse, sull'adesione di Stati i quali in un primo momento avessero avute delle difficoltà ad accettare una full membership.

La stessa questione si poteva presentare per il Patto atlantico e per questo era stato proposto di mettere una clausola elastica simile. In realtà la questione si era già posta, in certa misura, per il Lussemburgo il quale aveva fatto sapere di essere pronto a mettere il suo territorio a disposizione degli Alleati ma che difficilmente avrebbe potuto consentire ad obbligarsi a levare truppe, nemmeno in quantità proprozionata alla sua popolazione. Un caso analogo si sarebbe certamente presentato per l'Islanda, la quale ha una posizione strategica di primo ordine, ma non solo non ha esercito ma ha anche qualche cosa nella sua costituzione che le impedisce di avere un esercito nel vero senso della parola. Quindi full members sarebbero stati gli Stati che erano disposti ad assumere tutti, senza nessuna eccezione, gli obblighi del Patto, limited members sarebbero stati quelli che avrebbero accettato di assumere solo alcune delle obbligazioni del Patto. Non era quindi, come lo intendevamo noi, una differenziazione di categorie imposta dagli invitanti; era al contrario una differenziazione di impegni consentita, su domanda di uno Stato invitato e in suo favore. Mi ha aggiunto, a questo riguardo, che avendone parlato recentemente col ministro degli esteri del Canada questi aveva sollevato delle obiezioni, nel senso che difficilmente il Parlamento canadese avrebbe accettato che il Canada si impegnasse incondizionatamente nei riguardi di uno Stato il quale a sua volta assumesse degli impegni solo limitati nei riguardi del Canada. Avendogli io spiegate le nostre preoccupazioni mi ha detto che il Governo francese era al pari di noi contrario ad avere delle caste o dei gironi differenti nel Patto atlantico. A mia richiesta mi ha ripetuto che attualmente però della questione non si è affatto parlato.

Effettivamente la spiegazione data da Chauvel, anche se sotto un certo punto di vista può essere considerata soddisfacente, non manca di essere speciosa. L'idea generatrice della clausola può anche essere realmente quella che egli mi ha detto, ma, così come essa è redatta non toglie che anche il contrario possa essere vero; che cioè siano le potenze invitanti a mettere dei limiti alla partecipazione di uno Stato al Patto atlantico. Non ho creduto tuttavia, a questo punto, risollevare questa obiezione a Chauvel. A mio avviso, prima di prendere una posizione recisa su questo punto, converrebbe, mi sembra, prima chiarire se gli americani, an high leve/, accettano questa distinzione, sia in generale, sia nei nostri riguardi, e soprattutto se in caso sono pronti a resistere a insistenze da parte europea. Nel nostro caso, evidentemente, tale clausola potrebbe servire per ritirar fuori le clausole di disarmo del trattato di pace, argomento per noi difficile ad accettare; e che appunto per questo potrebbe essere sollevato da chi volesse che noi, per azione nostra ne restassimo fuori. Comunque, se realmente questo si mostrasse un ostacolo insuperabile, la spiegazione francese, del resto plausibile, potrebbe benissimo servirei, se vogliamo, per salvare la faccia. A precisarne la speciosità del resto abbiamo sempre tempo.

752 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

753

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 11229/4257. Washington, 17 dicembre 1948 1•

A seguito del mio telespresso n. 3948 del 26 novembre2 , mi onoro di informare

V.E. che il Dipartimento di Stato ha ora, con nota ufficiale, risposto alla comunicazione con cui questa ambasciata aveva accompagnato il Memorandum sull'organizzazione dell'O.E.C.E., facente seguito a quello del 24 agosto diretto al Governo francese3 . Già nel corso del colloquio da me avuto al Dipartimento di Stato per

2 Non pubblicato.

3 Vedi DD. 350, Allegato e 562, Allegato.

presentare la comunicazione di cui sopra, era stata verbalmente espressa la soddisfazione di questo Governo per l'iniziativa italiana.

La nota che ora mi perviene conferma tali sentimenti e precisa che l'Acting Secretary of State è gratified della comunicazione da noi fatta ai vari paesi partecipanti per rafforzare l'organizzazione di cooperazione europea.

La nota aggiunge che il Governo degli Stati Uniti condivide il punto di vista del Governo italiano sulla desiderabilità che i paesi partecipanti considerino la nuova organizzazione come un istituto che potrà vivere anche dopo la fine dell'E.R.P. e servire a suscitare una permanente cooperazione economica tra i paesi partecipanti.

Tale risposta del Dipartimento di Stato si inquadra d'altra parte con i motivi originatori del piano Marshall che ho a suo tempo illustrato con miei precedenti rapporti a V.E. È d'altra parte vivissima la sensibilità degli ambienti americani alle questioni della collaborazione economica in Europa come è provato dalle continue pubblicazioni che appaiono nei giornali e nei periodici americani. Hoffman, al suo ritorno dal continente europeo, si è costantemente espresso sul tema della cooperazione e, nei colloqui con lui, è sempre molto evidente la sua insistenza a che la cooperazione economica venga il più possibile potenziata, come base di futura collaborazione politica.

Trasmetto insieme alla copia della nota in questione, anche alcuni ritagli apparsi su questi giornali sul problema generale della cooperazione europea\ da cui V.E. potrà rilevare il vivissimo interessamento in questi ambienti in merito al problema stesso.

753 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

754

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 11199/4258. Washington, 17 dicembre 19481•

Le conversazioni fra il Dipartimento di Stato e le rappresentanze diplomatiche a Washington dei cinque paesi componenti l'Unione Occidentale sono incominciate la scorsa settimana e proseguiranno ora con incontri frequenti. Nelle prime sedute, che hanno avuto un carattere del tutto generico e quasi esclusivamente procedurale, i cinque paesi europei sono stati rappresentati dai rispettivi capi-missione. Adesso, a questi si sono sostituiti i consiglieri, con l'incarico di affrontare i problemi concreti, salvo ricorrere nuovamente ai titolari delle rappresentanze, qualora sorgano divergenze sostanziali.

754 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

Ho raccolto da varie fonti (Dipartimento di Stato e rappresentanze dei paesi europei) le prime informazioni sullo sviluppo delle trattative. Tali informazioni sono naturalmente ancora vaghe e, salvo qualche aspetto, contraddittorie, dato che le trattative sono tuttora in uno stadio preliminare.

Circa i «tempi» previsti per lo sviluppo delle trattative l'opinione prevalente è che nella prima decade di gennaio il progettato patto potrà essere già formulato nelle sue linee essenziali e che entro il lo febbraio avrà luogo la firma o per lo meno vi sarà un accordo completo sul testo da firmare.

Quanto alle clausole, si è ancora nel vago. Infatti, mentre, in sostanza, è acquisito il concetto della «garanzia» americana ai contraenti europei, persistono le note difficoltà giuridiche inerenti alle norme della Costituzione degli Stati Uniti, che ostacolano la concessione di una garanzia «automatica».

Circa gli aiuti militari, appare difficile che il Governo di Washington assuma fin dall'inizio impegni precisi in materia di ripartizioni delle forniture. Tuttavia sembra certo che i primi invii sostanziali di materiale bellico cominceranno entro il 1949. Parimenti si ritiene probabile che almeno un primo stanziamento di fondi sarà chiesto al Congresso entro il mese di marzo, per approfittare del periodo di «luna di miele», fra il presidente e le Assemblee legislative.

Nulla di positivo è stato stabilito finora in merito alla procedura concernente l'eventuale adesione di altri paesi all'Unione Occidentale e al Patto atlantico. Sembra probabile che quest'ultimo sarà aperto ad altri paesi, che potranno essere invitati da uno dei contraenti, a nome di tutti. Secondo una notizia fornita dal Dipartimento di Stato, in modo confidenziale e con ogni riserva, la formula che potrebbe essere adottata sarebbe la seguente: hanno veste per aderire al Patto atlantico, inizialmente o successivamente, i paesi che si affacciano sull'Atlantico e quelli della Unione di Bruxelles.

Non è ancora escluso, quantunque attualmente non apparisca probabile, che il patto preveda due categorie di contraenti, con diversità di diritti e di obblighi. L'eventuale adesione dell'Italia non è stata ancora discussa espressamente. Tuttavia, nei cenni che ne sono stati fatti durante le conversazioni preliminari, è affiorata qualche riluttanza, tanto da parte inglese quanto da parte dei tre paesi minori. Gli inglesi hanno insistito soprattutto sulla debolezza italiana e sul conseguente pericolo che l'adesione dell'Italia costituisca più un peso che un vantaggio. I rappresentanti del Benelux hanno rivelato piuttosto la preoccupazione che gli eventuali aiuti all'Italia vadano a detrimento di quelli destinati ad assicurare la difesa dei loro territori e che, in generale, con l'inclusione dell'Italia, il centro di gravità del costituendo sistema politico-militare si sposti verso il Mediterraneo. È stato, inoltre, sollevato il dubbio che l'Italia, col pretesto della sua adesione al Patto di Bruxelles o al Patto atlantico, chieda subito la revisione delle clausole militari del trattato di pace.

Per contro l'ambasciata di Francia ha messo in rilievo i vantaggi che l'eventuale adesione italiana apporterebbe, tanto dal punto di vista generale quanto degli specifici interessi francesi (difesa delle comunicazioni fra il territorio metropolitano e quelli nordafricani).

Le sopradescritte perplessità, oltre ad essere manifestate, come ho detto più sopra, in via del tutto generica e preliminare, sono state per di più espresse in modo tale da dare l'impressione che potrebbero essere superate senza speciali difficoltà. Su questo punto, appare decisivo l'atteggiamento americano, il quale è nettamente favorevole. In sostanza, il Dipartimento di Stato ci ha fatto capire chiaramente che se l'Italia vuole aderire al Patto atlantico oppure anche a quello di Bruxelles, non vi saranno difficoltà insormontabili.

Circa la procedura dell'eventuale adesione, ho l'impressione che stiano affiorando due tendenze. La prima appartiene ai paesi europei e consisterebbe nell'incoraggiarci piuttosto ad aderire soltanto al Patto atlantico e dopo che esso sarà stato concluso. La seconda, americana, ci spingerebbe invece ad agire secondo le linee a suo tempo già indicateci e cioè: l) far sapere ai cinque paesi dell'Unione Occidentale che gradiremmo aderire al Patto di Bruxelles; 2) informare gli Stati Uniti di tale nostro passo; 3) aderire al Patto di Bruxelles e quindi divenire, allo stesso titolo degli altri cinque paesi europei, contraenti del Patto atlantico.

Nel mio rapporto n. 10254/3807 del 17 novembre2 ho già espresso il mio avviso circa la scelta fra le due vie. Aggiungo che l'affiorare delle due tendenze sopradescritte mi rafforza nella mia opinione. Mi sembra, infatti, giustificato il timore che i paesi europei possano preferire di vederci aderire al solo Patto atlantico appunto perché ciò, mentre assicurerebbe loro i vantaggi della nostra adesione, ci manterrebbe, per così dire, al margine del nucleo direttivo del costituendo sistema di alleanza. La Francia soltanto potrebbe forse orientarsi verso una nostra più intima partecipazione ai futuri consigli delle principali potenze, sperando che la nostra presenza valga a rafforzare la sua posizione nei confronti della Gran Bretagna.

La mia impressione è confermata altresì dall'atteggiamento del Dipartimento di Stato. Questo, infatti, nel fornire talune delle notizie sopracitate, non ha nascosto che, anche se le clausole del Patto atlantico non prevederanno due categorie di contraenti, rimarrà pur sempre (se non altro dal punto di vista psicologico) una differenza fra i contraenti originari e quelli successivi. Da parte mia, per meglio chiarire il mio pensiero, aggiungo che, qualora l'adesione al Patto di Bruxelles prima che al Patto atlantico comportasse maggiori ostacoli di politica interna, si potrebbe cercare di negoziare in modo che l'adesione al Patto di Bruxelles, dopo essere stata decisa in massima, onde permetterei di partecipare alle discussioni per il Patto atlantico, abbia la sua sanzione formale contemporaneamente alla stipulazione di quest'ultimo.

Onde V.E. disponga di tutti gli elementi di giudizio che io posso fornirle da qui, aggiungo che al Dipartimento di Stato, pur ripetendosi che il Governo degli Stati Uniti non intende esercitare pressioni (il che appare ovvio) e neppure dare consigli, si è espresso esplicitamente l'avviso che qualora l'Italia intenda aderire agli accordi di cui trattasi, questo è il momento di farlo sapere.

753 4 Non pubblicati.

754 2 Vedi D. 628.

755

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A L'AVANA, FECIA DI COSSATO

T. 14188/57. Roma, 18 dicembre 1948, ore 23.

Pregola esprimere Governo Haiti nostro vivo compiacimento per conclusione accordo con cui si è proceduto al diretto ristabilimento dello stato di pace indipendentemente dal Trattato di Parigi1• Accordo, mentre rinsalda reciproci vincoli tradizionale amicizia, è sicura premessa sviluppo collaborazione fra due paesi.

756

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16331/99. Ankara, 18 dicembre 1948, ore 19,30 (per. ore 7,30 del 19).

Mio telegramma 97 1• Con nota odierna che trasmetterò prossimo corriere2 questo Governo conferma ufficialmente, in risposta mia nota verbale ieri, che navi superficie superiore l Omila tonn., porta-aerei e sommergibili appartenenti potenze non rivierasche non sono, a termini convenzione Montreux, autorizzati transitare Stretti, iscrizione Marina mercantile ed altri accorgimenti di cui nostra nota verbale non muta loro qualità navi da guerra.

757

IL CAPO DELL'UFFICIO COLONIE E CONFINI, CASTELLANI PASTORIS, AL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI

L. SEGRETA PERSONALE 3/2127. Roma, 19 dicembre 1948.

Faccio seguito alla mia lettera del 15 corrente 3/2091 1•

Ieri l'altro, inaspettatamente, Riad El Solh è arrivato a Roma, da dove ripartirà stanotte. Ne abbiamo approfittato per condurre avanti le trattative relative alla fornitura di cui al telegrama allegato alla mia lettera del 15 dicembre. Le trattative sono bene avviate e si dovrebbero concludere stasera. Sia per l'esecuzione di tali forniture, sia per altre eventuali nuove forniture molto probabilmente si dovrà far capo a codesta legazione: in tal caso riceverai tempestivamente (tempestivamente «mori ministeriali») istruzioni al riguardo. Comunque per tuo orientamento, ti avverto che al Ministero l'«affare» non interessa; interessa invece di far cosa gradita a Riad El Solh ed al Governo libanese ai fini generali della nostra politica ed in particolare della questione delle colonie.

Dato l'arrivo inaspettato di Riad ed il fatto che lui è venuto qui in veste del tutto privata, non è stato possibile onorario nel modo grato agli orientali, anche perché il ministro e il segretario generale erano in partenza per l'incontro di Cannes; il ministro però ha detto a Riad che lo aspettava prossimamente a Roma in forma ufficiale e che lo avrebbe in tale occasione accolto nella forma dovuta alla sua personalità, ed alla sua qualità di buon amico dell'Italia. Questo ti dico privatamente per l'eventualità che tu riscontrassi in lui l 'impressione di non essere stato ricevuto nei dovuti modi. Ci interesserà anzi sapere da te quale è l'impressione che lui ha riportato dal suo fugace passaggio per Roma2 .

755 1 Vedi D. 735. 756 1 Del 17 dicembre, con il quale Prunas comunicava di aver consegnato la nota annessa al Telespr. 1689 del 13 dicembre. Il telespresso non è stato rinvenuto, vedi D. 746. 2 Non pubblicata. 757 1 Non rinvenuta, relativa alla richiesta di fornitura di armi di cui al D. 609. Vedi anche D. 610.

758

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 6015/2569. Londra, 20 dicembre 1948 (per. il 27).

Nel lungo colloquio che abbiamo avuto il 16 corrente1 , Bevin è entrato di sua iniziativa ne li'argomento delle ex colonie. Riassumo qui di seguito quanto ha detto sui vari territori, aggiungendo tra parentesi i commenti che l'Ufficio competente del Foreign Office ha fatto in via del tutto confidenziale:

Somalia: Poiché la sua assegnazione all'Italia è ora decisa, Bevin ritiene necessario che si pensi in tempo a concordare riservatamente le modalità del trapasso.

(Quando sarà decisa l'assegnazione della Somalia al trusteeship italiano, ci sarà in Gran Bretagna enorme pressione di opinione pubblica per un immediato ritiro delle truppe inglesi: è urgente che da parte italiana si studi con la massima serietà il problema pratico della «rioccupazione» in tutti i suoi dettagli, prendendo accordi minuziosi con gli inglesi in base a piani positivi).

758 1 Vedi D. 749.

Eritrea: Bevin non vi si è dilungato: ha accennato che le difficoltà di una soluzione dipendono non solo da fattori politici ma «dall'incontro di tre sentimentalismi», ossia quello italiano, quello inglese e quello etiopico, e di tre opinioni pubbliche nettamente orientate in senso diverso. A titolo personale ho replicato che vi sarebbe forse la possibilità di inquadrare la questione dell'Eritrea in un programma più ampio di completa pacificazione tra Italia e Etiopia che, salvando le esigenze di entrambi i paesi, porterebbe anche un nuovo contributo del lavoro italiano non solo in Eritrea ma nella stessa Etiopia. Ciò non vorrebbe dire penetrazione politica ma utile collaborazione per lo sviluppo economico di un importante settore dell'Africa. Bevin ha osservato che questa era per lui una idea nuova, che l'avrebbe esaminata e che gliene riparlassi non appena possibile.

(Secondo il Foreign Office tutti i settori responsabili del Governo inglese, compreso Bevin personalmente, sarebbero fermamente convinti della impossibilità di ridare all'Italia entrambe le colonie confinanti con l'Etiopia: su ciò anche gli americani sarebbero d'accordo. I più recenti progetti inglesi non parlano più di sbocco al mare per l'Etiopia, ma addirittura di annessione dell'intera Eritrea. Una diversa soluzione provocherebbe grandi clamori in Parlamento e nella opinione pubblica ove le richieste etiopiche hanno sostenitori molto rumorosi. È stato replicato che l'assegnazione all'amministrazione etiopica di una città europea come Asmara provocherebbe ovunque, e anche in Inghilterra, la indignazione di un'altra parte dell'opinione pubblica, almeno altrettanto importante di quella ciecamente pro-etiopica. A dire del Foreign Office gli interessi europei, e italiani in particolare, in Eritrea troverebbero completa protezione da parte degli organi di controllo previsti dai progetti inglesi. Una totale pacificazione tra Italia e Etiopia, pagata da parte italiana nella perdita d eli 'Eritrea, sarebbe, a dire del Foreign Office, graditissima al Governo inglese i cui rappresentanti sono stati confidenzialmente informati da un delegato etiopico a Parigi che ad Addis Abeba si desidera molto, una volta acquisita l'Eritrea, prendere accordi per una immigrazione italiana in Etiopia di rilevante entità e certamente superiore a quella che potrebbe trovare lavoro in Eritrea. La possibilità di rivedere in senso favorevole all'Italia l'atteggiamento assunto per la questione dell'Eritrea, sarebbe inesistente in vista anche degli affidamenti dati dagli americani agli etiopici).

Cirenaica: Il Governo italiano dovrebbe ormai accettare l'assegnazione della Cirenaica al trusteeship britannico. (Il Foreign Office non ha fatto commenti).

Tripolitania: Bevin ha ripetuto con forza che la Gran Bretagna non ha alcuna intenzione di restare in Tripolitania e che non ha motivo politico per opporsi a che vi ritorni l 'Italia. Ha però molto insistito sulle difficoltà intrinseche del problema e sulla convinzione degli esperti inglesi che il nostro ritorno nel territorio non potrebbe avvenire senza disordini anche gravi. In vista di ciò Bevin è tuttora dell'opinione che una decisione sulla Tripolitania debba essere presa e annunciata a una certa distanza di tempo dalla decisione per gli altri territori, nella speranza che si possa trovare una via d'uscita dalle difficoltà.

(Il Foreign Office ritiene che sarebbe da parte nostra grave errore se chiedessimo di avere la Tripolitania contemporaneamente alla Somalia. Qualora lo facessimo e l'Assemblea decidesse di accontentarci, saremmo pronti a ricoccupare la Tripolitania? Tenessimo presente che sarebbe assai grave se al momento buono ci trovassimo costretti a chiedere alla Gran Bretagna di «hold the baby» per qualche tempo per darci modo di terminare la nostra preparazione. La Gran Bretagna si ritirerebbe dalla Tripolitania immediatamente dopo una eventuale decisione di mettere il territorio sotto trusteeship italiano, anche se l'Assemblea dovesse raccomandare che il trapasso avvenga dopo un certo intervallo. L'opinione pubblica inglese sarebbe su ciò fermissima: non un soldato britannico deve essere esposto ai pericoli derivanti dai possibili disordini che potrebbero essere provocati da una decisione sgradita ai più scalmanati settori della popolazione araba. L'unica ragione delle insistenze inglesi per un rinvio è appunto la preoccupazione di cui sopra. È stato chiesto allora che scopo potesse avere un rinvio se durante esso non ci si fosse messi d'accordo sulle misure da prendere in caso di assegnazione della Tripolitania all'Italia: in attesa che ciò venisse approvato o negato dall'Assemblea, sembrava logico che senza alcun impegno si studiasse un piano operativo per evitare appunto quei disordini che gli inglesi, a torto o a ragione, dicono temere. Secondo il F oreign Office toccherebbe a noi di incominciare a dire dove avremmo trovato, e con che preavviso, le due divisioni ritenute necessarie per la rioccupazione della Tripolitania; quale sarebbe il loro equipaggiamento; quali navi potremmo adibire al trasporto; quali rifornimenti, eccetera potremmo avere pronti. Provassimo a sottoporre al più presto, non ufficialmente e senza pubblicità, un piano logico e minuzioso e poi si sarebbe esaminato il da farsi. Ciò comunque avrebbe fatto probabilmente migliore impressione che non una ripetizione di argomenti polemici sui nostri diritti o sul nostro passato in Tripolitania, quando da parte inglese ci viene contestata ora soltanto la nostra capacità di rioccupare «con efficienza, competenza e prestigio» un territorio in condizioni particolarmente difficili).

757 2 Vedi D. 780.

759

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 6017/2571. Londra, 20 dicembre 1948 1•

In seguito al mio colloquio con Bevin del 16 corrente2 ne ebbi uno assai lungo col Lord Chancellor che in qualche modo lo completa e chiarisce e di cui mi sembra utile tenere conto.

Lord Jowitt è un nostro sincero amico e tra i più desiderosi di poter interporsi per trovare una via di accordo e un consolidarsi, non a parole, delle relazioni tra i due paesi dentro il più vasto quadro dell'Unione Occidentale. Dato i nostri ottimi rapporti possiamo quindi parlarci chiaro. Egli era già perfettamente al corrente di

759 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi DD. 749 e 758.

quanto Bevin mi aveva detto, poiché Bevin lo tiene informato «di tutto lo svolgersi delle più importanti questioni di politica estera» che interessano l'Impero. Egli era quindi il più indicato a spiegarmi le posizioni prese dal Foreign Secretary. Bevin è ormai persuaso che conviene che la Gran Bretagna esponga decisamente all'Italia i punti salienti della sua politica nei nostri riguardi, specie in materia coloniale, in modo da non continuare nelle incertezze e imprecisazioni che potrebbero condurci a nuove sorprese, a nuove amarezze senza invece darci modo di trovare una intesa e di seguire una politica più costruttiva nei rapporti tra i due paesi. Lord Jowitt riconosce che da parte inglese vi è stato l'errore di non prendere a tempo posizioni nette e definite in relazione ai problemi che ci dividono, ma egli lascia intendere che è un poco difficile dire la verità agli italiani sempre pronti a crederla ispirata a animosità verso il loro paese. Il suo consiglio a Bevin è stato che conveniva mettersi a un esame serio, oggettivo delle nostre reciproche posizioni non accontentandoci di parole, di affidamenti, di attesa passiva che le cose migliorassero per conto loro. Il suo pensiero era, a questo proposito, già stato espresso in un discorso fatto a un banchetto del 6 dicembre scorso dato dai «Knights of the Round Table Club» in onore del rappresentante dell'Italia. Benché il discorso non avesse carattere politico vi era inserito questo periodo che mi sembra dettato da Bevin e che è in armonia con quanto mi espresse a voce:

«The Italian Ambassador comes here at a very difficult time. He is the first Ambassador from Italy to be officially accredited since that most unhappy of all wars, and a war always leaves its aftermath of problems and of difficulties. Countries are conquered, possessions are over-run, pledges are given to certain groups resident within those countries and these pledges in due course have to be honoured.

It is the task of statemanship today to see that these problems are surmounted without prejudicing the good relationship and the finn friendship which, save for this mad interval, have always subsisted between our two countries.

It does not follow that those who shout loudest for Italian rights are the best friends of ltaly».

In queste parole è il motivo fondamentale del pensiero di Bevin nei nostri rapporti. Gli inglesi sono portati a discutere con noi a viso aperto intorno a un tavolo purché noi ci mettiamo sulla base della realtà quale risulta dalla guerra e dalle esigenze post-belliche e purché nelle discussioni noi non sfuggiamo a questa stessa realtà riportandoci sul piano del sentimento e di diritti superati. Bevin è ormai insofferente al più alto grado della genericità latina (questo me lo aveva detto con vigore un po' duro parlando della Francia). Lord Jowitt è persuaso che se con Bevin ci mettiamo su un piano di esame concreto («Feet on the ground») dei problemi lo troveremo comprensivo. Ma vi sono dei punti fissi della politica britannica da cui non si demorde e le parole di Lord Jowitt lasciano bene intendere quali essi siano.

Anche Lord Jowitt è persuaso che un inconto Sforza-Bevin sarebbe assai opportuno, a patto però che fosse seriamente preparato, ossia che le posizioni fossero state studiate seriamente e a fondo antecedentemente in modo che i colloqui tra i due ministri degli esteri potessero svolgersi su basi definite e potessero tendere con qualche fiducia a chiarificazioni e conclusioni concrete. Non bisogna, come dice Bevin e ripetono i suoi più prossimi collaboratori, fare nulla in questo momento che dia speranze eccessive e degeneri in pericolose disillusioni.

Anche con Sir Stafford Cripps ebbi alcuni colloqui assai interessanti sopra le linee fondamentali della politica europea a cui evidentemente l'Inghilterra spera di trovarsi vicina all'Italia. Egli mi disse che a questo proposito avrebbe ritenuto utile contatti con gli esponenti maggiori della politica dei due paesi e riteneva che la visita di Lombardo avesse avuto ottimi effetti. Da parte sua mi fece comprendere che un invito da parte dell'Italia verso primavera per una conferenza che giustificasse direi più larghi contatti sarebbe stata accolta da lui con grande piacere.

Sia Lord Jowitt che Sir Stafford Cripps sono membri del Gabinetto e ho ritenuto opportuno riferire brevemente sul tono dei miei colloqui con loro solo a illustrazione del migliore spirito nei nostri riguardi che ritengo aver potuto osservare negli ultimi tempi.

760

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

PROMEMORIA RISERVATO 5975. Londra, 20 dicembre 1948.

Alcune dichiarazioni fatte in Italia subito dopo le elezioni e il tono generale della nostra stampa in quel periodo hanno prodotto a Londra l'impressione che il Governo italiano intendesse mantenere una libertà di azione rispetto ai due blocchi nella speranza di ottenere in questo modo i massimi vantaggi soprattutto nella revisione delle clausole del trattato di pace. Questo nostro atteggiamento -più o meno presunto -ha permesso al Governo britannico, come ad altri, di mantenersi a sua volta nei nostri riguardi su una posizione «non committal» mentre durante un periodo critico della politica mondiale, vari problemi grandi e piccoli, alcuni dei quali ci interessavano direttamente, venivano trattati senza che potessimo partecipare alle discussioni.

Le ripetute dichiarazioni fatte negli ultimi tempi dal conte Sforza e soprattutto quelle sue e del presidente del Consiglio durante il dibattito di politica estera hanno dato per la prima volta alla politica italiana -vista da Londra -una linea chiara. In conseguenza le relazioni italo-britanniche sono uscite dallo stato fluido in cui erano rimaste fino ad ora e si vanno precisando. Due conseguenze immediate di questa precisazione sono:

l) la proposta fatta dal delegato britannico a Parigi di associare l 'Italia ai lavori dei Cinque per la formazione del Consiglio politico europeo;

2) il parere favorevole dato dal Governo britannico all'acquisto da parte nostra delle licenze di costruzione dei Vampires (caccia a reazione) e di un certo numero di apparecchi già pronti.

Mentre sul secondo punto non vi è da parte nostra che da prendere una decisione di carattere puramente tecnico -che sarebbe inutile precisare qui -il primo punto richiede una nostra decisione che può avere conseguenze rilevanti sm rapporti itala-britannici.

È noto infatti (telegramma n. 519 e rapporto n. 5640/2406)1 che questo Governo attribuisce considerevole importanza al fatto che i problemi politici europei possano essere trattati in un cerchio ristretto di rappresentanti governativi responsabili e non in un parlamento che diventerebbe subito un istrumento di propaganda (elettorale o altro). Per quanto il progetto debba essere in prima linea approvato dai Cinque, una nostra accettazione dell'invito britannico e una nostra azione nel senso di mantenere al futuro organismo europeo il carattere voluto dagli inglesi (che secondo il parere ripetutamente espresso da questa ambasciata sarebbe oggi quello più vantaggioso anche per noi) avrebbero evidentemente ripercussioni positive concrete sulle relazioni itala-britanniche.

Rimane la questione delle colonie: il rapporto n. 6015/2569 in data odierna2 riassume l'opinione del Governo britannico in proposito. Sembra quindi che oggi al problema delle nostre relazioni con la Gran Bretagna si possano dare tre soluzioni diverse:

l) una soluzione negativa che consisterebbe nel declinare -o almeno ritardare -di aderire all'invito britannico cercando di ottenere alla prossima sessione dell'O.N.U. una soluzione della questione delle colonie contro la Gran Bretagna.

2) Una soluzione intermedia che consisterebbe nello accettare l'invito britannico e stabilire così un principio di collaborazione, riservandoci però di batterci contro gli inglesi a New York in aprile per le colonie con le eventuali conseguenze sulla collaborazione stessa.

3) Una soluzione positiva che consisterebbe nell'accettare l'invito britannico e cercare fin da ora una soluzione della questione delle colonie d'accordo con gli inglesi in modo da stabilire una vera base di collaborazione politica, ampia per quanto è possibile, da sfruttare per tutti i possibili sviluppi avvenire. Questo implicherebbe da parte nostra la liquidazione di una pendenza originata dalla guerra, così come l 'attuale collaborazione con la Francia è stata (senza parlare di Briga e Tenda) preceduta dalla liquidazione della nostra comunità e dei nostri interessi in Tunisia e dalla consegna di un certo numero di unità da guerra (per le quali poche settimane fa la nostra stampa esortava i francesi a seguire l'esempio britannico): in altre parole dalla liquidazione inevitabile dei residui di una guerra perduta.

Ognuna di queste tre soluzioni può essere sostenuta e l'ambasciata -sebbene sia pronta a esprimere il suo parere in proprio -non desidera farlo senza esserne richiesta. Quello che l'ambasciata desidera però rilevare è che, se decidiamo di adottare la prima soluzione, non possiamo almeno per ora contare sui risultati pratici di una collaborazione con la Gran Bretagna.

760 1 Vedi DD. 749 e 652. 2 Vedi D. 758.

761

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, MARRAS, AL MINISTRO DELLA DIFESA, PACCIARDI

RELAZIONE TELEGRAFICA. Washington, 20 dicembre 19481•

Mia visita centri sperimentali ultimata ieri. Dappertuto mi sono state usate grandi cortesie, sincere manifestazioni amicizia e prove di alto riguardo. Conversazioni conclusive svoltesi oggi con questo Stato Maggiore con partecipazione generali, capi divisione e capi ufficio. Sinteticamente:

Primo: Stato Maggiore soffermatosi sulle dichiarazioni fatte da Marshall a entrata vigore trattato pace e precisamente che Stati Uniti interessati mantenimento sicurezza in Italia. Piano riarmo Italia dipenderà ammissione Italia Patto Bruxelles e relativa costituzione Unione atlantica previa autorizzazione del Congresso del programma forniture militari Europa. Inizio funzionamento Unione atlantica previsto per prossima primavera. Dichiarazioni provenienti da altra sorgente mi hanno tuttavia notificato che importanti risoluzioni sono aspettate nelle prossime settimane.

Secondo: sono disponibili materiali da me richiesti con carattere d'urgenza ma potrebbero essere fomiti atto prima entrata vigore programma generale riarmo, con urgente procedura soltanto nel caso esigenze di sicurezza interna lo consigliassero. Americani insistito sul fatto che formazioni militari comuniste esistenti ed i quantitativi di armi da esse possedute male si conciliano con sicurezza interna. Ho insistito per chiarire che non sono giustificate preoccupazioni di carattere interno però ho riportato sensazione che questa possa essere unica scappatoia per ottenere rifornimenti di emergenza data condizione stabilita per avere rifornimenti urgenti.

Terzo: per bisogni nostre forze armate dovrebbe essere utilizzata al massimo industria italiana. Confermato fondi E.R.P. destinati ricostruzione economica ma nulla in contrario che parte di essi siano indirettamente orientati rivalutazione industria siderurgica e automobilistica.

Quarto: linea difesa Europa includente territorio nazionale prevista dopo ingresso Italia Patto occidentale. Europa occidentale potrà fornire a suo tempo notevole numero di divisioni ben armate e addestrate. In tale quadro viene considerato apporto Italia con divisioni costituite su modello americano tenute presenti attuali limitazioni trattato. Interessano Stato Maggiore americano le basi navali e aeree di Napoli, Palermo, Foggia, Livorno, Spezia, Genova. Partecipazione Italia Stato Maggiore combinato avverrebbe condizioni parità.

Quinto: attuale attrito jugoslavo Cominform è riconosciuto di una certa entità ma nessuno si illude che Jugoslavia non faccia fronte unico in caso di guerra con i paesi sovietici. Essa a detta Stato Maggiore americano avrebbe possibilità eseguire da sola operazioni offensive contro Italia.

Sesto: vitale importanza Mediterraneo per Stati Uniti caso eventuale guerra è stata riconfermata come pure conseguente importanza militare nostre colonie.

Settimo: Stato Maggiore americano ritiene possibile a partire da settembre 1949 invio nostri ufficiali scuole Stato Maggiore e d'arma.

Sia le visite che le conversazioni si sono svolte in ambiente di grande cordialità e notevole franchezza. Mie numerose domande presentate in apposito questionario hanno avuto tutte risposta. Sensazione derivante da intonazione del complesso delle manifestazioni confermano che Stato Maggiore è veramente ben disposto verso esercito italiano ma subordinatamente agli accordi politici e garanzie sicurezza interna. Riassumendo considero che visita e conversazioni concluse oggi parallelamente ad intesa e vigile attività svoltasi in sede diplomatica rispondano ad obbiettivi propostici.

761 1 Copia priva delle indicazioni orarie della partenza e dell'arrivo.

762

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N .D. PERSONALE 16406/1008. Washington, 21 dicembre 1948 ore 12,33 (per. ore 21).

Attiro attenzione su seguenti punti relazione telegrafica inviata da generale Marras a Stato Maggiore esercito 1 circa conclusioni sue conversazioni con questi ambienti militari:

l) piano riarmo Italia dipende da ammissione Italia Patto di Bruxelles e costituzione Unione atlantica, nonché autorizzazione programma forniture militari Europa da parte Congresso. Inizio funzionamento Unione atlantica previsto per la prossima primavera ma importanti risoluzioni sono attese prossime settimane.

2) Programma difesa Europa includente territorio italiano è previsto dopo nostro ingresso Patto occidentale.

3) Sensazioni derivanti dal complesso dei contatti confermano che Stato Maggiore americano è ben disposto verso esercito italiano subordinatamente ad accordi politici e garanzie sicurezza interna.

763

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16405-16411/1009-1010. Washington, 21 dicembre 1948, ore 11,45 (per. ore 8 del 22).

Bonnet annunciatomi che domani si terrà riunione ambasciatori per Patto atlantico. Da lui ed altra fonte risultami non (dico non) attenuata opposizione

inglese ed estrema tepidezza Benelux. Francesi continueranno decisa azione nostro favore ma temono che mancanza nostra dichiarazione confidenziale (come da indicazioni a suo tempo date da Hickerson) 1 possa indebolire posizione loro ed anche quella americana rispetto argomento avverso basato su imbarazzo e riluttanza italiana.

Sarei grato istruzioni insieme informazione risultati Cannes.

Dipartimento Stato conferma che conversazioni con rappresentanti cinque potenze assumono ritmo assai rapido. Si ritiene che entro questa settimana o al principio della prossima sarà pronto un primo drafl del Patto atlantico. È stata già trovata formula soddisfacente per conciliare norme costituzionali americane con garanzia degli Stati Uniti ai paesi europei. Pertanto si prevede che ben presto sarà affrontato nuovamente ed a fondo problema eventuale adesione altri paesi.

Circa questo punto notasi più marcato orientamento verso formula accennata mio rapporto 4258 del 17 corrente2: paesi che si affacciano su Atlantico e paesi contraenti Patto Bruxelles. Infatti tale formula, mentre consentirebbe ingresso Italia, eviterebbe estensione Patto atlantico al di là di limiti attualmente desiderati e in particolare estensione a Grecia e Turchia. Adesione italiana a Patto Bruxelles diverrebbe in tal caso necessaria ma potrebbe, secondo giudizio dato confidenzialmente da funzionario Dipartimento Stato, avvenire al momento stipulazione Patto atlantico.

Ritmo rapido negoziati rende sempre più imminente pericolo che eventuale decisione italiana aderire patti in questione, qualora non intervenga tempestivamente, trovi già cristallizzata posizione privilegio promotori3 .

762 1 Vedi D. 761.

764

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 16517/0168. Ankara, 21 dicembre 1948 (per. il 24).

Ha chiesto vedermi, immediatamente prima della partenza del corriere, questo ambasciatore sovietico. Notizia che Governo turco aveva già fatto sapere a potenze interessate che passaggio nostre navi attraverso Stretti avrebbero dovuto conformarsi a disposizioni convenzione Montreux, è stata già pubblicata da giornali turchi 1•

Sicché, a sua esplicita domanda, e per evitare che sovietici, sospettosi e diffidenti come sono, possano avere impressione di una qualche nostra connivenza coi turchi per suscitare ulteriori ostacoli e difficoltà, gli ho genericamente confermato di

2 Vedi D. 754.

3 Per la risposta di Zoppi vedi D. 770.

aver presentato una nota in proposito e di aver ricevuto da questo Governo risposta che V.E. conosce e di cui ritengo del resto ambasciatore Kostylev già al corrente.

Ho avuto impressione che Lavrischev ritenesse che richiesta avrebbe dovuto, non so per quali ragioni, fare oggetto di un passo comune e contemporaneo: nostro e sovietico.

Ho informato il Governo turco.

763 1 Vedi D. 486.

764 1 Sull'argomento vedi DD. 742, 746 e 756.

765

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 11370/4324. Washington, 21 dicembre 1948 1•

La visita del generale Marras negli Stati Uniti, che si conclude oggi e sulla quale lo stesso generale ha riferito telegraficamente al suo Ministero2 e riferirà dettagliatamente a voce a V.E. si è svolta in un'atmosfera di grande cordialità, sincerità e reciproca stima.

Il nostro capo di Stato Maggiore ha fatto un'eccellente impressione alle autorità militari e civili americane, che ne hanno altamente apprezzato la competenza, la chiarezza di esposizione e la franchezza. Egli ha avuto la possibilità di osservare da vicino alcuni aspetti essenziali dell'attrezzatura bellica di questo paese e di fornire agli organi militari americani una descrizione precisa, quale essi desideravano, dello stato attuale delle nostre forze armate.

Il risultato essenziale dei colloqui che si sono svolti al Ministero della difesa consiste, a mio avviso, nell'accertamento della posizione che l 'Italia occupa nei piani politico-strategici degli Stati Uniti. Innanzi tutto è stato accertato che lo Stato Maggiore americano intende comprendere l'Italia nel sistema difensivo dell'Europa occidentale, assicurandone la protezione alla stessa stregua di quella della Francia e del Benelux e stabilendo presumibilmente una linea difensiva sul Piave. A tal fine, esso si propone di facilitare il riarmo dell'Italia (nei limiti, almeno in un primo tempo, consentiti dal trattato di pace) ed è altresì disposto ad accordarle talune indispensabili forniture anche subito. Queste forniture di massima urgenza sono state bensì collegate con eventuali esigenze italiane di sicurezza interna; ma, al tempo stesso, è stato fatto intendere abbastanza chiaramente che tale collegamento vuole essere più che altro lo spunto per consentire che il nostro riarmo abbia inizio anche prima che il piano generale del riarmo europeo entri in funzione.

La graduale riorganizzazione delle forze armate italiane è concepita su un piano di perfetta parità con gli altri paesi interessati dell'Europa occidentale. Da parte

765 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 761.

americana si è messo in particolare rilievo il fatto che la partecipazione dell'Italia nei costituendi organi dello Stato Maggiore comune avverrebbe, appunto, in condizioni di completa parità. Infine si prevede che l'industria italiana contribuisca al riarmo nella più larga misura possibile e che riceva a tale scopo gli aiuti necessari, attraverso i fondi E.R.P. o nelle altre forme che saranno successivamente escogitate.

Dalle conversazioni fra il generale Marras e queste autorità militari è apparso che siffatto programma di stretta collaborazione viene subordinato ad una sola condizione: che l'Italia si inserisca in quegli accordi politici che costituiscono la base della collaborazione militare fra i paesi dell'Unione Occidentale e fra questi e gli Stati Uniti. A tale proposito, cioè in tema di Patto di Bruxelles e di Patto atlantico, sono state pienamente confermate ieri a Marras le informazioni da me fomite a V.E. col rapporto n. 11199/4258 del 17 corrente3 . Inoltre gli è stato ripetuto quanto Bonnet mi aveva detto ieri (vedi mio telegramma n. 1009 di stamane)4 circa il ritmo rapido che hanno assunto le conversazioni fra il Dipartimento di Stato e le rappresentanze diplomatiche delle cinque potenze dell'Unione Occidentale.

Il complesso di queste notizie mi sembra rafforzare il convincimento, già manifestato a V.E., che esista da parte americana il più fermo proposito di favorire l'inserzione dell'Italia nel sistema difensivo del mondo occidentale e che la maggiore o minore intensità della collaborazione in tal senso, con corrispondenti maggiori o minori obblighi e vantaggi, dipenda essenzialmente dalle decisioni politiche che il Governo italiano nel suo libero giudizio riterrà di poter adottare nell'imminente futuro.

766

IL MINISTRO A PRAGA, VANNI D'ARCHIRAFI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2404/1494. Praga, 21 dicembre 1948 (per. il 27).

Nell'esposizione della politica estera, fatta ieri davanti alla Commissione degli affari esteri della Camera, il ministro Clementis ha ritenuto opportuno riassumere tutta l'attività politica della Repubblica dal rivolgimento politico del febbraio scorso, da quando cioè la democrazia popolare ha assunto il potere in Cecoslovacchia, fino ad oggi.

Il discorso del ministro Clementis si è polarizzato intorno a due nuclei: l'U.R.S.S. e l'America. O meglio, l'U.R.S.S. ed il piano Marshall.

L'U.R.S.S. considerata principio di ogni bene, opposto, come in certe cosmogonie orientali, al principio di ogni male, rappresentato nel caso pratico dal piano Marshall.

L'unità omogenea e rettilinea della politica cecoslovacca -politica estera e politica interna costituiscono un'unità indivisibile, ha detto il ministro -scaturisce

765 3 Vedi D. 754. 4 Vedi D. 763.

dal rivolgimento del febbraio che ha spazzato via incertezze e compromessi, rendendo «la politica cecoslovacca identica a quella dell'U.R.S.S.».

Nel suo lungo discorso il ministro cecoslovacco ha girato e rigirato sempre sullo stesso argomento ripetendo a sazietà i luoghi comuni già usati ed abusati dalla stampa e dai conferenzieri domenicali sul disinteresse della politica sovietica, sul sacro rispetto dell'U.R.S.S. per la sovranità e l'indipendenza dei suoi alleati, sugli aiuti generosi di Mosca per cui «non è necessario giustificare l'alleanza con la grande Unione orientale perché ogni bimbo sa in Cecoslovacchia che la Russia ci ha assicurato il pane». Laddove tutti i beneficiari del piano Marshall sono degradati al rango di colonie degli Stati Uniti, brutalmente tiranneggiate, preda della disoccupazione, della fame e dell'imperialismo.

Per Clementis è stata l'ostilità preconcetta della politica discriminatrice degli Stati Uniti che ha impedito alla Cecoslovacchia di ottenere dalla Banca internazionale il prestito cui aveva diritto e di cui aveva bisogno, ed è stata solo la generosità della Russia che le ha testé assicurato i mezzi necessari alla ricostruzione.

Quindi il ministro ha passato in rassegna gli accordi conclusi con la Polonia, con la Bulgaria, con la Romania e quello più recente con l'Ungheria, accordi che la reazione aveva costantemente avversati. Tutte codeste intese, ha sottolineato Clementis, rivestono carattere pacifico e difensivo, al contrario di quelle scaturienti dal piano Marshall dirette contro l'U.R.S.S. ed i suoi alleati.

Dopo aver ricordato che i paesi orientali vogliono una Germania democratica e che non costituisca una minaccia per i suoi vicini, Clementis ha elencato tutti i tentativi fatti recentemente dall'U.R.S.S. all'O.N.U. per garantire la pace al mondo, tentativi fiustrati dalla volontà antisovietica dell'Inghilterra e degli Stati Uniti.

Per l'avvenire, ha concluso il ministro degli esteri cecoslovacco, il Governo di Praga proseguirà la sua lotta per una politica di pace e per una collaborazione con tutti i paesi amanti della pace.

Dal discorso risulta evidente lo sforzo di inquadrare in un'unica pagina la politica estera della Cecoslovacchia dal febbraio ad oggi, distanziandola da quella dei Governi precedenti il rivolgimento del febbraio e di marcare una identificazione sostanziale e formale dell'odierno atteggiamento del paese con quello dell'U.R.S.S.

Un passo avanti, dunque, formale, sulla via di un'ulteriore adesione a Mosca.

767

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE1 . Washington, 21 dicembre 1948.

Eccoti copia della mia odierna lettera a Sforza2 .

767 1 Autografa. 2 Vedi D. 765.

Tutto è stato ormai detto circa il Patto di Bruxelles e il Patto atlantico.

I nostri più fidati amici allo State Department e i francesi qui ci esortano a decidere nel più breve tempo la nostra adesione confidenziale, per non arrivare ad inserirei quando sia stata fissata una per noi penosa priorità dei «cinque» e dei due Stati americani.

Nei francesi è evidente la preoccupazione di rimanere soli in Europa (e nelle riunioni risolutive) di fronte al blocco Inghilterra-Benelux. Desiderano, con noi, esercitare un'influenza sugli Stati Uniti che non sia esclusivamente diretta a proteggere interessi britannici e nord-europei.

Ti prego di considerare -insieme a Sforza, cui ho ripetutamente telegrafato la nostra decisione come di estrema urgenza, se dobbiamo schierarci ad Occidente per essere in grado di contribuire a mantenere la pace e salvaguardare, in ogni caso, i supremi interessi nazionali.

Marras ti dirà a voce le sue impressioni e il suo maturo giudizio sulle disposizioni e i sentimenti di qui, e le possibilità nostre in conseguenza.

768

COLLOQUI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAW

VERBALE SEGRET02 . Cannes, 20-21 dicembre 1948.

PRIMO COLLOQUIO [20 dicembre 1948], dalle ore 18 alle ore 20,15

Il mm1stro Schuman inizia il colloquio dando il suo benvenuto al ministro Sforza e felicitandosi che l'incontro abbia luogo in un momento in cui nessun problema tragico gravi sui due paesi e che si tratti quindi di colloqui destinati unicamente a sviluppare sempre più la collaborazione e l'amicizia fra l'Italia e la Francia.

Il ministro Sforza ringrazia il ministro Schuman dell'invito e si associa alle sue considerazioni sul carattere del colloquio e sulla necessità di sviluppare la collaborazione fra i due popoli.

Noi abbiamo, egli dice, un'occasione a tout jamais per cementare questa unione fra l'Italia e la Francia, unione che è assolutamente necessaria per far fronte ai

2 Il presente verbale è stato redatto dall'ambasciatore Quaroni, che lo ha inviato al segretario generale Zoppi con lettera n. 1787/22337/4885 del 23 dicembre. Corretto dal ministro Sforza e dallo stesso Zoppi (la copia con le loro correzioni autografe è agli atti) è stato da questi restituito a Quaroni, con l'incarico di consegnarlo al Quai d'Orsay, con lettera n. 3/2191 del 30 dicembre 1948.

pericoli che incombono. Questi pericoli non si limitano solamente all'U.R.S.S., ma dietro l'U.R.S.S. può profilarsi per un giorno più o meno lontano il pericolo tedesco. Questo sarà un pericolo che premerà ugualmente su tutti e due i paesi. Per parte mia vi penso costantemente. Si è perciò che stimo necessario fissare insieme certe concezioni comuni e perfino alcune linee di condotta.

È da tener presente che con l 'unione dei nostri paesi noi iniziamo veramente l'unione dell'Europa. Questo concetto, che del resto è stato sempre mio, me lo ha ripetuto Marshall: «Cercate di intendervi con monsieur Schuman -mi ha detto Marshall -voi ci renderete un gran servizio». Quest'unione dovrà servire anche a creare le premesse favorevoli per il reinserimento della Germania in Europa, di una Germania che non debba essere più trattata come un paese di Lanzichenecchi, ma sia divenuta, col nostro esempio, un paese normale che non costituisca più un pericolo per nessuno.

Ministro Schuman: Concordo pienamente con le sue idee. La nostra unione è necessaria anche nei confronti dell'America. Se questa unione non si verificasse, c'è il pericolo che gli Stati Uniti possano preferire la Germania alla Francia e all'Italia nei loro sforzi di ricostruzione europea.

Il ministro S.fòrza entra subito nella trattazione della questione dell'Unione doganale, accennando al timore che ad essa possano fare contrasto particolari interessi finanziari e che a tale riguardo il Governo francese possa trovarsi in maggiori difficoltà di quello italiano. Poiché noi siamo più poveri, egli ha detto, questi interessi sono meno pericolosi e il Governo italiano può avere maggiori possibilità di pressioni.

Ministro Schuman: Questi interessi finanziari possono eventualmente agire in Francia solo attraverso il Parlamento: i trusts non hanno possibilità di agire direttamente. Ma finora non si è sviluppata nessuna campagna nel senso temuto. Del resto noi siamo decisi a prendere il toro per le coma. Dopo il prossimo incontro di Parigi sottoporremo senza timori l'accordo per l'Unione doganale al Parlamento. In Francia, è vero, vi è un certo esprit routinier, una certa antipatia per le novità, ma abbiamo fiducia che riusciremo a vincerli.

Ministro S.fòrza: Se il testo dell'accordo a cui si giungerà potrà comportare una firma solenne io sarò lieto di venire a Parigi per apporla.

Il ministro Schuman ringrazia e consegna al conte Sforza il progetto di accordo Grazzi-Drouin, osservando che l'approvazione da parte del Parlamento di tale accordo servirà ad eliminare qualsiasi incertezza e qualsiasi eventuale sorpresa.

Ministro Sforza: Non ci sono dubbi sulla maggioranza? Ministro Schuman: Credo che riusciremo ad avere la maggwranza che ora normalmente hanno le proposte governative.

L'ambasciatore Quaroni osserva che il partito comunista dalle due parti SI e manifestato recisamente contro l'Unione doganale e d'altra parte accenna anche ad alcuni articoli della stampa finanziaria francese recentemente apparsi e sfavorevolmente intonati.

Ministro Schuman: L'opposizione comunista servirà a fare aprire gli occhi agli altri partiti e faciliterà la formazione della maggioranza intorno alla nostra proposta. D'altra parte il Governo francese non ha mancato di sondare le classi e le categorie interessate. Posso dirle che non vi è stato une fin de non recevoir.

Ministro Sforza: Desidero dirle che l'opinione pubblica italiana segue con grandissimo interesse l'iniziativa; gli italiani pensano che con l'Unione doganale avremo forse delle difficoltà per alcuni anni ma che alla fine l'Unione aprirà una era nuova e più feconda per tutti. Noi siamo una massa con alta forza dinamica; voi avete dirigenti e tecnici più preparati, un vero Stato Maggiore, siamo complementari, quindi.

Il ministro Schuman accenna alle difficoltà che possono venire dalla instabilità monetaria. Pur augurandosi che la Francia possa al più presto pervenire alla stabilità, sa che ciò richiederà qualche tempo.

Ambasciatore Quaroni: Questo è uno dei problemi più gravi soprattutto in relazione alla situazione commerciale fra i due paesi. Per il 1949 si possono prevedere 14 miliardi di franchi di deficit per la Francia. Bisogna mettersi a studiare al più presto la soluzione di questa questione, per evitare che due mesi dopo la proclamazione dell'Unione doganale il commercio italo-francese rimanga bloccato. Occorrerebbe forse stabilire una reciproca precedenza per gli acquisti. Ciò sarebbe di grande utilità per attenuare il deficit, ma mi rendo conto che vi sono delle resistenze da parte dei ministeri tecnici.

Ministro Schuman: I ministeri tecnici hanno delle preoccupazioni di carattere generale, devono cioè considerare la situazione commerciale nei confronti di tutti i paesi e d'altra parte l'attuazione del piano Monnet porta a dare preferenze ai paesi a moneta forte. Tuttavia riconosco che bisognerebbe stabilire una preferenza per il nostro partner dell'Unione doganale.

Ambasciatore Quaroni: I ritardi nella concessione delle licenze sono un grosso impedimento. Soprattutto perché molti degli affari tra Francia e Italia sono piccoli affari che non possono aspettare. Circa tre miliardi di acquisti italiani in Francia sono rimasti bloccati e sono poi andati perduti per il ritardo delle licenze. Spesso i ministri sono perfettamente d'accordo ma poi tutto si arresta e si insabbia negli uffici.

Ministro Schuman: Questi sono residui di un periodo strettamente dirigistico da cui stiamo uscendo. Comunque constatiamo che la questione dell'Unione doganale ha progredito e noi faremo di tutto, anche in maniera spettacolare, per creare il clima necessario alla sua approvazione sia presso il Parlamento sia presso il Consiglio economico. Ci sarà un'ampia discussione ma il Governo difenderà calorosamente l'Unione.

Ministro Sforza: Non vi è dubbio che ciò avrà grandissima eco in America, con vantaggio politico ed economico dei nostri due paesi. Ambasciatore Quaroni: Parallelamente ai lavori per l 'Unione doganale bisognerà anche occuparsi del deficit nella bilancia dei pagamenti. Ministro Schuman: A tale proposito prenderò contatti con la Direzione delle finanze estere. Ambasciatore Quaroni: Il deficit della bilancia crea anche il pericolo del ritorno in Italia degli emigranti che non riuscirebbero più ad inviare i loro risparmi in Italia.

L'ambasciatore Fouques-Duparc accenna alla necessità della revisione degli accordi sull'emigrazione del 1947, affermando che ci sono state delle frodi: si è constatato, egli dice, che gli operai italiani hanno inviato il 50 per cento dei loro salari, oltre agli assegni familiari -il che sembra troppo -e che le trasferte sono continuate anche durante gli scioperi quando i salari non erano percepiti.

Ambasciatore Quaroni: Qualche frode può esserci stata, ma è da tener presente che vi erano dei risparmi accumulati dal tempo in cui per difficoltà burocratiche gli operai non riuscivano a inviare risparmi. Comunque se frodi ci sono state, si è fatta una proposta che permette di eliminarle.

Ministro Schuman: Non mi meraviglio che l'operaio italiano, di cui è ben nota la frugalità, possa inviare alle famiglie il 50 per cento del suo salario.

Ambasciatore Fouques-Duparc: L'accordo del '47 è per noi troppo oneroso e si presta a frodi. Su 85 mila emigranti, solo 16 mila hanno inviato risparmi e malgrado questo si sono raggiunte cifre astronomiche.

Ambasciatore Quaroni: Questi sono dati contestabili e contestati e che del resto sono stati già corretti dallo stesso ministro Bousquet. L'ambasciatore Fouques-Duparc accenna alla necessità di sviluppare l'emigrazione delle famiglie per diminuire le rimesse. L'ambasciatore Quaroni fa osservare che questo è il desiderio di tutti, ma che vi sono delle insormontabili difficoltà di alloggio.

Il ministro Schuman concludendo osserva che il problema del deficit commerciale e il problema dell'emigrazione sono problemi tecnici che dovranno essere rinviati per lo studio ai competenti organi affinché questi trovino al più presto una soluzione, prima che vi possano essere perniciose incidenze sull'Unione doganale. Bisogna esplorare, egli dice, tutte le possibilità per migliorare le esportazioni dalla Francia all'Italia.

Si passa quindi a parlare dell'UNIONE EUROPEA.

Il ministro Schuman consegna al ministro Sforza il processo verbale conclusivo della Commissione di studio dei Cinque per l'Unione Europea. L'iniziativa, egli dice, ha fatto progressi. Il testo del progetto è ora stato sottomesso ai cinque Governi che decideranno alla fine di gennaio chi verrà chiamato ad associarsi alla ulteriore fase degli studi preparatori. Non vorrei fare un accordo a cinque affinché non si creino due categorie di partecipanti. Non vorrei soprattutto, anche per un doveroso riguardo, che il ministro Sforza il quale più di ogni altro è stato ed è assertore dell'Unione Europea restasse fuori da questi studi.

Il ministro Sforza: Quello che vale è il punto di arrivo. Non la strada che si sceglie ma l'albergo a cui si giunge. Il mio è un progetto3 , uno dei tanti, ma ripeto, quello che conta è adottarne uno. La ringrazio del progetto che mi comunica, su cui domani, se è il caso, dopo averlo studiato, potrò fare le mie osservazioni.

Ministro Schuman: Quello che desidero è che l'Italia, tanto nella prima fase di studio quanto in quella seconda più conclusiva, sia con noi; che essa cioè sia con noi fra i fondatori de li'Unione. Ci siamo limitati ad uno studio a cinque per poterei mettere subito al lavoro. Ora abbiamo un testo che non è male, che non è definitivo ma che può essere una buona base. Allo stato attuale delle cose, del resto, non sappiamo nemmeno se esso sarà integralmente accettato dai cinque Governi; gli

inglesi e gli olandesi potrebbero essere esitanti, soprattutto per quel che riguarda il diritto di iniziativa che è stato dato all'Assemblea.

Ministro Sforza: La ringrazio per quanto ella ha detto. Ci sono delle sensibilità italiane che non possono essere neglette. D'altra parte il popolo italiano comprende l'identità europea e vi ripone le sue speranze. Un popolo come l'italiano, alieno da guerre e scettico in politica estera, troverebbe nell'Unione Europea un'identità degna di sacrifici e di speranze.

Esaurito l'argomento dell'Unione Europea il ministro Schuman passa a parlare delle RETTIFICHE DI FRONTIERA previste dall'accordo di Parigi.

Ministro Schuman: Alcune resistenze si sono manifestate negli ambienti parlamentari nei confronti dell'approvazione dell'accordo. Sono resistenze che non si possono ignorare, soprattutto perché bisogna assolutamente evitare di essere presi di sorpresa e di trovarsi di fronte a un voto contrario dell'Assemblea. Temo quindi che sia necessario rivedere l'accordo. D'altra parte nessuna opposizione si è manifestata per la parte essenziale dell'accordo, nulla vi è in contrario per la centrale elettrica. Sono sorti invece dei problemi militari, di piccola entità, che a noi possono sembrare anacronistici, ma che tuttavia sono bastati per creare uno stato d'animo nell'Assemblea, stato d'animo che, ripeto, non possiamo ignorare.

Ministro Sforza: Prendo atto di quanto lei mi dice. Quanto lei mi rendo conto delle difficoltà parlamentari; ma conto su di lei.

Il ministro Schuman aggiunge che se è necessario la questione verrà trattata a Parigi. Assicura che vedrà l'on. De Moustier, relatore per l'accordo, insieme all'ambasciatore Quaroni.

CoNTATTI MILITARI. Ambasciatore Chauvel: Nel quadro delle conversazioni m corso non si possono dimenticare i contatti militari già iniziati che dovranno essere proseguiti4 . Vi è in tale senso una decisione di principio presa nel recente colloquio fra il presidente De Gasperi ed il ministro Ramadier5 .

Ambasciatore Quaroni: Il ministro Ramadier aveva detto che ci avrebbe fatto sapere il nome del generale francese con cui stabilire i contatti. Non abbiamo avuto finora nessuna comunicazione in proposito.

Il ministro Schuman assicura che parlerà al più presto con Ramadier e che ci farà sapere la risposta.

Ministro Sforza: Anche in questo settore la Francia può contare sull'Italia, per quanto vi sia la necessità di ménager certi settori dell'opinione pubblica italiana che in buona fede credono ancora alla possibilità di una neutralità. A tale proposito non bisogna dimenticare l'elemento Vaticano. Il Papa, il quale esplica un potere personale senza precedenti nella recente storia del Papato, si preoccupa enormemente del pericolo sovietico e in fondo vede con interesse anche la possibilità di accordi militari; tuttavia non si può dimenticare che la neutralità è la politica tradizionale

5 Non è stata rinvenuta documentazione su tale colloquio.

del Vaticano. Vi è poi anche fra i partiti al Governo ed in particolare nella Democrazia cristiana una frazione che è in dubbio e che si domanda se la neutralità non sia la migliore via. Per costoro bisognerà creare una carreggiata che li guidi.

Ciò detto potete contare su di noi. Ho promesso al Parlamento di non firmare nessun impegno segreto e manterrò la parola ma ciò non mi impedisce di assistere con interesse allo sviluppo di contatti tecnici fra i nostri militari, contatti tutti ad referendum.

SECONDO COLLOQUIO 21 dicembre 1948, dalle ore 10 alle 12,20

Ministro Sjòrza: Sul problema delle colonie io le parlerò con la franchezza totale con cui si parla solo ad un amico sicuro a cui si può dire tutto: noi non crediamo all'utilità economica delle colonie. Ma il popolo italiano non vive di solo pane; sa che nelle colonie ha ben lavorato e sente quindi che sarebbe ingiusto di privarlo di esse. Tuttavia, noi consideriamo il problema africano con la massima larghezza non escludendo nessuna idea nuova. Bevin nell'ottobre 1947 mi parlò, e sono sicuro in piena sincerità, di un Sindacato europeo in Africa con una partecipazione italiana su piano di eguaglianza. L'idea era ottima ma purtroppo non ha avuto sviluppi. Noi l'avremmo accettata con entusiasmo.

Io considero che l'Africa debba essere in un certo senso la base ed il compito dell'Unione Europea se vogliamo che questa Unione abbia consistenza e sviluppo.

Ho parlato a lungo con l'ambasciatore Dunn della questione; gli ho detto che ci sono certe cose che l'Italia non può perdere e che gli Stati Uniti non possono permettere che noi perdiamo. Asmara e Massaua sono città italiane che non possiamo abbandonare. «lo sono anticolonialista, gli ho detto, ma se certe decisioni venissero prese frustrando completamente i desideri italiani, di fronte a tale diniego di giustizia sarei pronto a dimettermi».

Ministro Schuman: Qual è il minimo per l'Eritrea? Ministro Sforza: Noi non ci opporremmo a che all'Etiopia andasse la parte meridionale dell'Eritrea con Assab. Ministro Schuman: Ma Assab può bastare? Il ministro degli esteri etiopico mi diceva che era assolutamente insufficiente.

Ministro Sforza: In realtà gli etiopici che hanno subito dall'Italia due aggressioni, hanno paura -e in un certo senso li comprendo -della terza. Si potrebbero dare agli abissini degli speciali privilegi commerciali su Massaua.

Conte Zoppi: È da tener presente che il porto di Assab, grazie ai lavori italiani, è assai migliorato e legato a Dessiè da una camionabile.

Ministro Sforza: In Eritrea potremmo forse accettare -esprimo qui una mia idea personale -con più facilità che altrove una forma di mandato collettivo, poiché trattasi di territori innegabilmente italiani cioè con un importante contingente di popolazione italiana. Un mandato collettivo quindi ci danneggerebbe di meno.

Sorge allora nel mio spirito l'idea, che espongo sempre a titolo personale, che sarebbe possibile di affidare il mandato sull'Eritrea alla Unione Europea. Ministro Schuman: Noi abbiamo pensato a una cosa simile per la Ruhr.

Ministro Sforza: L'abbinamento delle due cose sarebbe ottimo.

Ministro Schuman: Certo la questione dell'Eritrea mi preoccupa molto perché non le nascondo che essa ha un aspetto sentimentale nei confronti di molti membri dell'O.N.U., aspetto che funziona innegabilmente in favore dell'Etiopia.

Ambasciatore Chauvel: Ciò poi è complicato dal fatto che Marshall ha promesso Asmara e Massaua agli etiopici. Ministro Sforza: Marshall non era al corrente e credo si sia pentito della sua promessa. Ambasciatore Chauvel: Oltre alla promessa di Marshall vi è anche una posizione sentimentale inglese.

Ministro Sforza: Ripeto che non vi sarebbero difficoltà che la parte meridionale dell'Eritrea andasse all'Etiopia. Trattasi di terra e non di anime. E, è da tener presente, il Negus ha simpatia per gli italiani anche se teme l'Italia. Come del resto teme l'Inghilterra.

Ambasciatore Quaroni: Gli inglesi vorrebbero pagare con l'Eritrea il trattato di protezione che vogliono imporre all'Etiopia.

Il ministro Schuman concludendo osserva che l'eventuale mandato sull'Eritrea all'Unione Europea potrebbe forse essere facilmente accettato dall'O.N.U. e che esso d'altra parte non dovrebbe incontrare difficoltà in America. L'eventualità di un mandato all'O.N.U. è per altro da scartarsi perché includerebbe l'U.R.S.S. e escluderebbe l'Italia.

Venendo poi a parlare della Tripolitania egli dice di non comprendere bene quale sia stata l'intenzione dell'Inghilterra nel proporre il rinvio di tale questione. Ci deve essere un arrière-pensée, egli osserva, ma non so quale sia. Noi teniamo moltissimo ad essere i vicini dell'Italia nell'Africa del Nord e la eventualità di una indipendenza tripolina ci inquieta. Gli inglesi affermano che il ritorno degli italiani in Tripolitania provocherebbe delle reazioni locali il cui peso finirebbe per ricadere su di loro.

Ministro Sforza: Se ritornassimo in Tripolitania noi abbiamo quella divisione o quel paio di divisioni che sarebbero necessarie per mantenere l'ordine, ma è da tener presente che il ritorno italiano in Tripolitania avrebbe una fisionomia nuova; esso non dovrebbe quindi provocare ribellioni.

Ministro Schuman: C'è infatti una contraddizione nell'atteggiamento inglese: gli inglesi hanno detto che durante il periodo del rinvio avrebbero permesso agli italiani di ritornare in Tripolitania. Come conciliare ciò col timore di sommosse anti italiane?

Ambasciatore Chauvel: Gli inglesi sono in contradizione anche per la Cirenaica quando chiedono il mandato per stabilire le loro basi e dimenticano completamente il controllo che eserciterebbe l'O.N.U.

Ambasciatore Quaroni: Gli inglesi chiedono un anno di rinvio per la Tripolitania per avere tempo di prepararvi, come per la Cirenaica, la instaurazione di uno Stato arabo. Ciò del resto è stato detto da McNeil agli arabi.

Ministro Sforza: Desidererei sapere dal presidente Schuman fino a che punto noi potremo manovrare a titolo tattico la formula dell'indipendenza, senza con ciò urtare i generali punti di vista francesi sulla politica africana.

Conte Zoppi: Potremmo noi spingere le nostre promesse fino alla costituzione in Tripolitania di uno Stato unito all'Italia da un atto contrattuale, creandovi una situazione eguale a quella che voi avete in Tunisia?

Ministro Schuman: La formula di uno Stato contrattuale che ponga la Tripolitania nei vostri riguardi in una situazione analoga a quella che ha la Tunisia nei nostri, mi sembra buona. Noi non avremmo inconvenienti. Ciò non potrebbe crearci fastidi. D'altra parte la parola indipendenza, ve lo diciamo noi che abbiamo l'esperienza indocinese, è assai pericolosa.

Ambasciatore Quaroni: La durata dell'eventuale mandato secondo gli americani, sarebbe al massimo di dieci anni. Gli americani sono ostinati in questa loro idea. La formula di uno Stato contrattuale servirebbe anche ad evitare tale ostacolo.

L'ambasciatore Chauvel suggerisce che per le questioni coloniali vengano riprese le conversazioni a Washington.

Il conte Zoppi propone delle conversazioni parallele italo-francesi a Washington.

Ambasciatore Chauvel: Sì, ma voi aprite il fuoco.

Ministro Schuman: Ho trovato Marshall, almeno prima del suo viaggio in Italia, alquanto preoccupato sulla situazione interna italiana. Ho cercato di convincere gli americani che le preoccupazioni che essi hanno devono piuttosto spingerli a maggiormente appoggiare il Governo italiano sulla questione coloniale, per consolidarlo di fronte ai pericoli. Questo, della presunta debolezza del Governo italiano di fronte ai comunisti, è un argomento che voi non potete impiegare, ma noi, se volete, in tutta amicizia, possiamo farlo valere.

Ministro Sforza: In realtà non vi è nessun pericolo comunista; ci potrebbe essere quando mai, soprattutto nei riguardi della questione coloniale, un pericolo nazionalista.

Ambasciatore Quaroni: Anche a me gli americani nei colloqui che ho avuto a Parigi hanno manifestato timori per una quinta colonna italiana in Africa. La proposta del ministro Schuman potrebbe permettere una divisione dei compiti nella azione italiana e francese a Washington.

Ministro Schuman: Sono perfettamente d'accordo.

Ministro Sforza: Vi è effettivamente una tattica da seguire a due.

Ministro Schuman: Il vantaggio è che ci siamo compresi perfettamente e che siamo d'accordo.

Ministro Sforza: Sì, la duplice azione sarà utilissima, ma ricordate che per la questione dell'Eritrea ci sono delle cose essenziali a cui non possiamo rinunciare e per cui dobbiamo arrivare agli estremi della difesa.

PATTO ATLANTICO. Conte Zoppi: Sul Patto atlantico abbiamo delle informazioni non del tutto complete e precise. Desidererei sapere quanto risulta al Ministero degli esteri francese.

L'ambasciatore Chauvel fa brevemente la storia del Patto. Subito dopo il piano Marshall è sorta in Europa l'idea di ottenere dall'America degli aiuti militari. L'America ci ha detto: organizzatevi prima fra voi e poi verremo a darvi il nostro appoggio. È per ciò che abbiamo creato il Patto di Bruxelles. Dopo la Conferenza di Rio de Janeiro si sono iniziate le conversazioni con Washington. Le linee da seguire potevano essere due: quella del Patto di Rio e quella del Patto di Bruxelles. La formula del Patto di Rio non poteva essere per noi soddisfacente perché troppo vasta e troppo debole; ci si è quindi piuttosto orientati verso la formula del Patto di Bruxelles, stabilendo però che per aderire al Patto atlantico non era necessario passare attraverso il Patto di Bruxelles. Il Patto atlantico si presenta quindi come una associazione fra due paesi americani e altri paesi europei individualmente e esso deve apparire, secondo i desideri americani, come un Patto di protezione per l'America con impegni reciproci fra Europa ed America. Quanto all'automatismo si è cercato di spingerlo più in là possibile e si sta facendo ogni sforzo per ridurre al minimo il tempo morto, cioè i ritardi con cui l'assistenza militare entrerebbe in funzione.

I colloqui di Washington hanno portato alla redazione di un primo testo che i Cinque hanno attentamente studiato, redigendo poi con le loro osservazioni un secondo documento che è attualmente allo studio in America.

Conte Zoppi: Se ho ben compreso i Cinque del Patto di Bruxelles parteciperebbero al Patto atlantico come singoli. Sarebbero cioè Francia, Gran Bretagna, eccetera, a partecipare a questo Patto e non l'Unione di Bruxelles in quanto tale.

Ambasciatorre Chauvel: Precisamente.

Ministro Schuman: Circa alle partecipazioni al Patto bisogna tener presente che i tre Stati scandinavi sono legati fra di loro in modo che è difficile che uno solo dei tre possa staccarsi dal gruppo ed accettare per conto suo di partecipare al Patto atlantico. Per il momento quindi, dato l'atteggiamento della Svezia, l'intervento scandinavo è ancora assai vago.

Ambasciatore Chauvel: Per quanto riguarda la partecipazione italiana si devono registrare certe riserve da parte dei nostri partner del Patto di Bruxelles e anche da parte del Canada che vuole impegnarsi per l'Atlantico ma non vuole andare più in là. Vi è invece un caldo interessamento degli Stati Uniti. L'intervento degli altri paesi avverrebbe su una formula dégrossie del Patto. A tale proposito è bene tener presente che potrebbe essere utile che il testo desse la possibilità di graduazioni nell'associazione al Patto, adottando una formula simile a quella che abbiamo impiegato per il Patto di Bruxelles. Ciò allo scopo di agevolare le adesioni di paesi che eventualmente non fossero disposti a sottomettersi a tutti gli obblighi previsti dal trattato.

In tema di eventuali partecipazioni, non credo che il Portogallo, dato che la Spagna rimarrà fuori, desideri molto di aderire; esso darebbe forse la sua adesione per le Azzorre.

Infine bisogna tener conto anche delle preoccupazioni turche che si sono recentemente manifestate; la Turchia dice che si sentirebbe particolarmente esposta al pericolo, se venisse lasciata fuori.

Comunque le trattative per il Patto atlantico sono per ora unicamente sul piano politico; nessun esperto militare vi è stato associato.

Ministro Schuman: Ho l'impressione che gli americani abbiano fretta e che si possa arrivare ad una conclusione alla fine di gennaio o al più tardi in febbraio. Desidererei sapere che cosa se ne pensa in Italia.

Ministro Sforza: Ritengo che per la partecipazione dell'Italia la massa italiana sia d'accordo e che il Patto potrà essere accettato anche dai socialisti saragattiani.

Esauriti gli argomenti che erano stati messi all'ordine del giorno, il ministro Schuman dichiara chiusi i colloqui. Dopo di che il ministro Sforza lo intrattiene ancora brevemente sul contenuto degli accordi recentemente firmati dall'Italia sulla Russia6 .

768 1 In C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., è pubblicato un «largo sunto» di queste conversazioni, nel quale mancano tuttavia completamente taluni dei temi trattati. Ai colloqui erano presenti l'ambasciatore a Parigi Quaroni e il segretario generale ambasciatore Zoppi per la parte italiana, il segretario generale del Quai d'Orsay ambasciatore Chauvel, e l'ambasciatore francese a Roma, Fouques-Duparc, per la parte francese.

768 3 Vedi D. 562, Allegato.

768 4 Sull'argomento vedi DD. 480, 508, 517, 518, 525, 541, 546 e 569.

769

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLA LEGAZIONE D'AUSTRIA A ROMA

PROMEMORIA 1763 SEGR. POL. Roma, 22 dicembre 1948 1•

Il Governo italiano è venuto a conoscenza delle decisioni adottate il 2 novembre

u.s. dal Consiglio dei ministri della Repubblica federale sulla posizione giuridica degli alto-atesini residenti in Austria, decisioni in base alle quali è stato, tra l 'altro, stabilito che le norme emanate a favore di questi dal Governo austriaco il 29 agosto 1945, e con cui essi venivano parificati ai cittadini austriaci, cessino di avere applicazione il 4 febbraio 1949, data di scadenza del termine per le riopzioni, nei riguardi di quanti non abbiano per tale data fatto uso del diritto di riopzione. Nell'annuncio dato sulla stampa austriaca di tali decisioni il 27 novembre u.s. si aggiunge, inoltre, che «verrà tuttavia esaminato quale trattamento debba successivamente applicarsi a questa categoria di persone».

Delle decisioni suddette il Governo italiano non può che prendere nota come di misure interne del Governo austriaco in merito a cui non ha, in linea di diritto, titolo per intervenire. Esso ritiene peraltro doveroso rilevare, a scanso di ogni equivoco, che «io spirito di larga equità» nel quale si è impegnato con l'Accordo di Parigi a rivedere il regime delle opzioni in Alto Adige viene e verrà interpretato da parte italiana nel senso che debba essere rispettata l'assoluta libertà di riopzione degli alto-atesini che avevano a suo tempo rinuciato alla cittadinanza italiana in base agli accordi del 1939.

Ora, è opinione del Governo italiano che le decisioni adottate dal Consiglio dei ministri austriaco il 2 novembre u.s. e cioè tre mesi prima della scadenza del termine delle riopzioni abbiano confermato il fondamento delle preoccupazioni precedentemente manifestate con il promemoria n. 16/271951100 del 2 ottobre u.s. 2 sancendo

(T. s.n.d. 14454/678) e Gallarati Scotti. A questi il telegramma venne consegnato a mano a Roma, con le seguenti istruzioni: «Sottolinei che conversazioni Cannes, oltre che rafforzare legami itala-francesi, costituiscono passo essenziale nostro inserimento organizzazione occidentale».

769 1 Consegnato a mano da Guidotti a Schwarzenberg. 2 Vedi D. 474.

una discriminazione che costituisce una vera e propria coercizione legale ed economica tale da pregiudicare in modo essenziale la libertà di scelta degli interessati coll'indurii a chiedere la revoca dell'opzione per timore di andare incontro al rischio dell'apolidia e delle gravi conseguenze che possono derivarne in ogni campo, politico, morale ed economico. Di questo timore si sono già fatti portavoce presso il Governo italiano alcuni esponenti di ambienti alto-atesini tra i quali si è diffuso un senso di viva apprensione.

È da sottolineare a questo proposito come uno dei principii inderogabili della legge italiana in materia di acquisto o di riacquisto della cittadinanza sia quello della più completa spontaneità della relativa manifestazione di volontà.

In vista di quanto precede, il Governo italiano spera vivamente che il Governo austriaco vorrà rendere tempestivamente di pubblica ragione il trattamento che sarà riservato in Austria agli alto-atesini i quali non ritengono di valersi del diritto di riopzione ed auspica sinceramente che tale trattamento sia tale da garantire ai predetti la possibilità di identificarsi, con piena parità di diritti, con il paese il cui Governo ne ha perorato la causa invocando, oltre che affinità etniche, anche principii di umanità e di cristiana giustizia.

In mancanza di una tale garanzia che valga a neutralizzare l'effetto psicologico delle discriminazioni sancite nei confronti degli originarii alto-atesini, è da prevedere che, alla luce dei principii generali di diritto, le discriminazioni stesse possano essere considerate tali da infirmare le manifestazioni di volontà di rioptare presentate posteriormente al 2 novembre u.s.

768 6 Vedi D. 751. Il 22 dicembre Sforza informò sinteticamente sull'esito di questi colloqui Tarchiani

770

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 14299/666. Roma, 23 dicembre 1948, ore 16.

Suoi l 008-1009 1•

A Cannes2 ci è stato detto da parte francese che Patto atlantico non (dico non) verrà concluso fra Stati Uniti e Canada da un lato e Unione Bruxelles dall'altro, ma che ognuno dei paesi aderenti Patto Bruxelles vi parteciperà singolarmente. Che sarà aperto adesione altri Stati e che ognuna tali adesioni darà luogo trattative e conseguenti condizioni adesione stessa. Partecipazione Patto atlantico sarebbe indipendente da appartenenza Patto Bruxelles nei confronti del quale d'altra parte le è nota nostra posizione come pure quella britannica e Benelux circa nostra eventuale partecipazione.

770 1 Si riferiva al D. 763, come fu rettificato con successiva communicazione (T. 14319/669 del 29). 2 Vedi D. 768.

Con francesi siamo rimasti d'accordo mantenerci stretto contatto3 per seguire sviluppo negoziati in corso costà onde trame, d'intesa con Parigi, norma per nostra linea condotta4 .

771

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 14300/667. Roma, 23 dicembre 1948, ore 17, 15.

Nello scorso agosto furono iniziate delle conversazioni ufficiose tra il capo del servizio economico trattato di pace di questo Ministero, il ministro Empson di questa ambasciata di Inghilterra e il signor Bonner di questa ambasciata d'America circa cessione al Governo italiano quasi totalità dei beni tedeschi in Italia per un pronto soddisfacimento, a date condizioni, dei claims di cui all'art. 78 del trattato di pace.. Dagli ulteriori contatti avuti fin'ora risulta che un'intesa di massima sarebbe inter-· venuta tra i Governi americano, inglese e francese in proposito, ma che mancherebbe soltanto l'accordo tra Governo americano e inglese circa la misura in cui i cennati beni verrebbero ceduti, desiderandosi da parte americana la cessione della totalità di essi e da parte inglese del solo 76 per cento.

Prego V.E. voler esprimere codesto Dipartimento nostro vivo apprezzamento per questa ulteriore prova di amicizia e questo nuovo aiuto che ci viene prospettato, aggiungendo che saremmo molto lieti di vederlo concretato al più presto possibile, secondo il punto di vista americano.

772

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER CORRIERE 16577/0328. Parigi, 23 dicembre 1948 (per. il 27).

Chauvel mi ha detto avere avuta segnalazione da Washington che nel corso discussioni per estensione ad altri stati Patto atlantico americani non si sono dimostrati così saldi per ammissione Italia come da parte francese si attendeva dopo passi fatti da americani a Parigi e quanto V.E. aveva detto circa contatti generale Marras.

4 Per la risposta vedi D. 775.

Da parte americana è stato osservato:

l) opinione pubblica italiana appare molto contraria Patto atlantico;

2) Governo italiano non sembra molto deciso né per quanto riguarda sua posizione nei riguardi Patto atlantico né nel senso indirizzare opinione pubblica italiana.

Date riserve vari paesi di cui francesi ci hanno informati, Quai d'Orsay teme che se posizione americana non si mostra più decisa è possibile si finisca con nostra esclusione da Patto atlantico.

Conversazioni hanno avuto luogo sul piano Kennan: può essere che sul piano Lovett situazione appaia differente comunque è bene noi lo teniamo presente.

Per quanto riguarda francesi, Schuman ha telegrafato personalmente Bonnet dicendo che da sue conversazioni con V.E. gli risulta che se effettivamente poteva ancora dirsi che opinione pubblica italiana non sia ancora del tutto matura, Governo italiano era deciso orientare Italia verso forma più stretta collaborazione con mondo occidentale e che in questo quadro non esisteva per noi alcuna esitazione circa Patto atlantico. Ha raccomandato Bonnet fare presente tutto questo americani con massima chiarezza mettendo m rilievo non trattarsi impressioni vaghe francesi ma risultato conversazioni Cannes 1•

770 3 Vedi DD. 773 e 776.

773

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1769 SEGR. POL. Roma, 23 dicembre 1948.

Ti mando tre telegrammi giunti da Washington 1 e la risposta interlocutoria per Tarchiani2 .

Come vedi le informazioni di Washington non coincidono affatto con quelle che i francesi ci hanno dato a Cannes3; tanto per quanto riguarda la connessione tra Patto di Bruxelles e Patto atlantico, quanto per l'urgenza della decisione e l'imminenza del draft del Patto atlantico.

Comunque ti sarei grato di controllare presso Chauvel se nel frattempo, cioè durante l'assenza tua e sua, fosse giunto da Bonnet qualcosa che confermasse le notizie date da Tarchiani. Nel frattempo, con la risposta interlocutoria, abbiamo guadagnato qualche giorno sino al ritorno del ministro che non sarà a Roma prima di lunedì prossimo. Ti pregherei, se ci fosse qualche elemento nuovo interessante, di farmelo sapere per telegramma4 .

2 Vedi D. 770.

3 Vedi D. 768.

4 Per la risposta vedi D. 776.

772 1 Vedi D. 768.

773 1 Vedi DD. 762 e 763.

774

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. S.N.D. 14361/230. Roma, 24 dicembre 1948, ore 23,30.

Mio 2291•

Trasmetto per corriere nota Governo turco2 . Per sua conoscenza la informo che ammiraglio Karpounin, messo al corrente da ammiraglio Rubartelli risposta turca, ha osservato che risultato avrebbe potuto forse essere diverso qualora nostra nota verbale fosse stata concordata con russi e presentata contemporaneamente.

In realtà argomenti invocati Governo turco non sono tali da essere influenzati da circostanze esteriori. Comunque è evidente che in nessun caso avremmo potuto effettuare passo congiunto con i russi, dando così carattere pressione nostra richiesta. Né d'altra parte accordi in tal senso erano intervenuti nel corso trattative qui o costì.

775

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16544/1018. Washington, 24 dicembre 1948, ore 14,48 (per. ore 8 del 25).

Suo 6661•

Informazioni raccolte fino a stamane confermano che:

l) è vieppiù probabile adozione formula secondo cui partecipazione Patto atlantico verrebbe riservata a paesi che si affacciano Oceano Atlantico ed a quelli facenti parte Patto Bruxelles; qualora tale formula, che tende ad evitare inclusione paesi non atlantici (Grecia Turchia) ad eccezione Italia, fosse adottata, partecipazione ad entrambi i patti sarebbe necessaria, ma potrebbe essere contemporanea.

2) Notizie stampa americane e canadesi, secondo cui alcuni paesi sarebbero invitati partecipare fin da ora a trattative, sono premature: tuttavia è probabile che non appena conversazioni fra i sette avranno dato luogo a stesura primo drafl, vengano invitati quei paesi i quali avranno manifestato loro desiderio aderire patto; in proposito sono stati qui menzionati Norvegia, Portogallo, Islanda e Danimarca, alcuni dei quali hanno già espresso detto desiderio.

2 Non pubblicata. 775 1 Vedi D. 770.

3) Procedura da seguire onde Italia partecipi Patto atlantico o a entrambi patti nonché, se ancora in tempo, alle trattative di Washington è tuttora quella già indicata: rivolgersi contemporaneamente ai cinque paesi Bruxelles nonché U.S.A. e Canadà; Italia potrebbe, anziché specificare patti cui intende aderire, manifestare genencamente desiderio partecipare organizzazione difesa occidentale.

4) Trattative Washington proseguono ritmo assai rapido2 .

774 1 Del 21 dicembre, informava di quanto riferito da Ankara con il D. 756.

776

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16599/1207. Parigi, 27 dicembre 1948, ore 24 (per. ore 8 del 28).

Lettera Zoppi 1769 1 .

In assenza Schuman e Chauvel, ho visto Couve che mi ha assolutamente negato sia stata nel corso attuali negoziati New York rimessa in discussione indipendenza Patto Bruxelles da Patto atlantico né che sia stata sollevata questione paesi rivieraschi o non Atlantico. Mettendo brutalmente le cose mi ha detto «se Italia non entrerà Patto atlantico, non sarà perché non fa parte Patto Bruxelles».

Mentre mi ha confermato che per garanzia formula americana si avvicina tesi automatica francese molto più di quanto si sperava, non (dico non) ritiene che drafl definitivo potrà essere pronto così presto: prevede che conversazioni si prolungheranno prima quindicina gennaio.

Sempre secondo Couve, questione estensione Patto atlantico ha finora soltanto fatto oggetto conversazioni sondaggi ma non è ancora entrata in fase piena discusswne.

Informazioni Couve vanno comunque prese con certa riserva poiché oltre ad essere per sua natura sfuggente, egli non (dico non) condivide politica italiana suo ministro ed è tuttora nettamente contrario nostra adesione Patto atlantico.

In linea generale mi permetto osservare che nonostante atteggiamento favorevole America e Francia non conviene sotto estimare possibilità negative Inghilterra: se da parte nostra si tiene a che nostra adesione Patto atlantico avvenga in condizioni di relativa parità, occorrerebbe non più tardare a far conoscere chiaramente nostro pensiero in proposito Washington e Londra. A quanto mi risulta, fino ad oggi è soltanto ai francesi che noi abbiamo detto in forma autorevole (V.E.2 e

2 Vedi D. 768.

presidente del Consiglio3) e non equivoca che, pur non disconoscendo difficoltà interne che ancora esistono, Governo italiano per quel che lo concerne è deciso ad aderire Patto atlantico. Non ho ragione di dubitare che da parte francese tale nostra posizione sia stata effettivamente portata a conoscenza sia Washington che Londra ma può essere difficile spiegare ragione per cui noi ci serviamo tramite francese invece di farlo direttamente, come ci fu già da molto tempo suggerito da Hickerson4. Altrimenti alcune nostre reticenze pubbliche rese talvolta necessarie da ancora non completa evoluzione nostra opinione pubblica possono finire per rendere più difficile opera quei paesi che desiderano nostra inclusione e facilitare invece quella di chi vuole tenercene fuori.

Qualora invece poco ci importi figurare fra i paesi fondatori e ancora più se troviamo indifferente entrarci in condizione di piena o di limitata partecipazione noi ci possiamo mantenere ancora qualche tempo posizione attuale di attesa. In questo caso però sarebbe bene avvertirne francesi i quali, poco o molto che facciano, partono oggi dal principio che noi desideriamo entrarci in condizione piena parità e potrebbero rimproverarci domani di averli fatti esporre in posizione molto più avanzata della nostra.

Ho impressione che incontro Schuman Bevin stia sfumando.

775 2 Con successivo telegramma (T. s.n.d. 16562/1022 del 25 dicembre) Tarchiani confermò l'imminente invio ai cinque Governi europei del primo draft del Patto atlantico e la favorevole disposizione statunitense all'eventuale adesione dell'Italia.

776 1 Vedi D. 773.

777

IL MINISTRO A BUCAREST, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. PER CORRIERE 16765/077. Bucarest. 27 dicembre 1948 (per. il 3 gennaio 1949).

Da fonte sicura apprendo in via segretissima che un convegno di importanti esponenti dei Governi e dei partiti comunisti della Bulgaria, della Polonia, dell'Ungheria, della Cecoslovacchia e della Romania avrebbe dovuto aver luogo a Bucarest in questi giorni con la partecipazione di membri del partito comunista dell'U.R.S.S. e di alti ufficiali dell'esercito sovietico.

Per ragioni che il mio informatore non ha potuto precisare, tale convegno è stato rinviato e avrà luogo probabilmente nel prossimo mese di gennaio. Ad esso si attribusce nelle sfere comuniste notevole importanza e si mantiene il più grande riserbo sia sulla riunione, sia sugli argomenti che vi saranno discussi.

Il mio confidente ritiene che si tratti di coordinare taluni aspetti del riarmo e dell'organizzazione militare degli Stati satelliti. Altra ipotesi verosimile potrebbe essere quella dello studio di un atteggiamento comune nei riguardi di Tito e della

4 Vedi D. 486.

Jugoslavia, che cosbtmscono sempre un «punctum dolens» di estrema gravità e delicatezza per l'U.R.S.S. e per il blocco orientale.

È singolare la circostanza che, contemporaneamente alla notiza di cui sopra, mi è stato detto da persona per solito bene informata che il Comitato centrale del partito comunista dell'U.R.S.S. si proporrebbe di chiamare la signora Pauker a succedere al defunto Zdanov nella direzione suprema del Cominform. È certo che la predetta signora da qualche tempo a questa parte è venuta acquistando sempre maggior favore e credito sia a Mosca, sia nei supremi organi direttivi del comunismo. La notizia anzidetta, pertanto, potrebbe avere fondamento e non essere estranea al divisato convegno comunista di Bucarest.

Anche per controllo della serietà e attendibilità del mio informatore, mi sarebbe gradito di avere possibilmente qualche notizia in merito a quanto precede dalle nostre rappresentanze nei vari paesi interessati.

776 3 Vedi D. 664.

778

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, DUNN

APPUNT01 . Roma, 2 7 dicembre 1948.

Ricevuto Dunn che nel corso di una lunga conversazione è venuto, come casualmente, a parlarmi dell'adesione dell'Italia alle Unioni occidentali. Mi ha detto che credeva aver capito (benché non ne avessimo mai parlato) che le mie preferenze sarebbero più pel Patto atlantico che per quello di Bruxelles: ma che la scelta del Patto atlantico sembrava ora impossibile a Washington perché un'esclusiva entrata dell'Italia avrebbe ferito la Turchia, paese serio e sicuro, con cui gli U.S.A. non dovevano niente trascurare per tenerlo vicino e amico. (Non citò un'altra nazione, pure mediterranea, la Grecia).

Aggiunse: «l 'Italia entrando nel Patto di Bruxelles acquista ipso facto il carattere di Stato difensore dell'Atlantico contro eventuali attacchi ed è quindi la ben venuta nel Patto atlantico».

Spiegò poi che le adesioni dei vari aderenti del Patto di Bruxelles al Patto atlantico sarebbero loro chieste singolarmente.

Risposi a Dunn che non avevo bisogno di significargli il mio pensiero sull'attitudine che l'Italia doveva prendere per la difesa dell'Occidente, tenendo conto dei nostri essenziali interessi di sicurezza quali li avevo delineati a Marshall nella mia seconda conversazione romana2 .

Vedi D. 533.

778 1 Autografo.

779

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 2 7 dicembre 1948.

D'accordo col Governo jugoslavo è stato deciso di «stralciare» dall'elenco delle varie questioni pendenti fra i due paesi le quattro seguenti, per avviarle ad una rapida soluzione:

l) consegna delle navi da guerra alla Jugoslavia conformemente al trattato di pace (questione di interesse jugoslavo);

2) trasferimento alla Jugoslavia dei macchinari delle raffinerie petrolifere di Fiume (R.O.M.S.A.) che furono trasportati in Italia dai tedeschi (questione di interesse jugoslavo);

3) convenzione pesca (questione di interesse italiano); 4) indennizzo per i beni di italiani nazionalizzati in Jugoslavia (questione di interesse italiano). Le questioni di cui a punti 3 e 4 sono trattate a Belgrado dalla delegazione del senatore Bastianetto e da quella del console generale Romano. Le questioni di cui ai punti l e 2 non necessitano una lunga trattativa (per le navi siamo già sostanzialmente d'accordo). Tuttavia il Governo di Belgrado ha voluto mandare una delegazione a Roma, diretta dal sottosegretario al commercio. Questa delegazione inizierà anche la trattazione di una quinta questione relativa alle navi jugoslave che si trovano affondate nelle acque italiane o tuttora in mani italiane. Le quattro questioni di cui sopra non sono formalmente legate fra di loro, tuttavia l'impostazione data alla trattativa tende ad arrivare ad una più o meno contemporanea soluzione favorevole all'Italia per le due ultime e favorevole alla Jugoslavia per le prime due. L'avere indotto il Governo jugoslavo a trattarle contemporaneamente e parallelamente costituisce un evidente vantaggio per noi, tanto più che, ad esempio, la consegna delle navi da guerra deriva dal trattato e non avrebbe potuto essere condizionata alla soluzione di altre questioni.

Le trattative di Belgrado e di Roma si svolgono formalmente indipendenti l'una dali' altra per quanto concerne il lavoro delle delegazioni cui sono affidate. È tuttavia da tenersi presente l'opportunità che quelle di Roma, che sono di più

rapida conclusione data la loro materia, vengano condotte in modo da darci tempo di ottenere a Belgrado sicuri affidamenti per la pesca e per le nazionalizzaziOni.

780

IL MINISTRO A BEIRUT, ALESSANDRINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATA 2513. Beirut, 27 dicembre 1948.

Ti ringrazio per la tua cortese lettera n. 3/2086 del 15 dicembre' relativa alle conversazioni ed alle trattative che si sono svolte a Parigi ed a Roma con Riad El Solh. Ho avuto una lunga conversazione con Riad El Solh subito dopo il suo ritorno a Beirut e gli ho detto:

a) che il conte Sforza era stato assai spiacente di non aver potuto, a causa del quasi contemporaneo incontro di Cannes, accoglierlo ed onorario nel modo da noi desiderato, ma che contiamo su una sua futura visita ufficiale in occasione della quale egli sarà festeggiato in modo degno delle relazioni di sincera amicizia esistenti fra i due paesi;

b) che il Governo italiano è stato particolarmente sensibile alle prove di buona volontà da lui fomite in occasione della discussione sulle colonie italiane all'O.N.U.;

c) che il Governo italiano mi ha messo al corrente delle trattative riservate per la fornitura di armi al Libano, trattative che hanno ricevuto il migliore appoggio del Governo stesso al fine, sopratutto, di fare a lui cosa gradita. A proposito di tale ultimo argomento ho opportunamente trovato modo di fargli comprendere che se si è verificato qualche contrattempo e si è avuta qualche incomprensione ciò è stato dovuto al fatto che noi lo abbiamo messo a contatto con gente seria e non con i soliti interposti venditori verso i quali gli arabi sono, giustamente, diffidenti. E gli ho assicurato che può avere piena fiducia nelle persone che saranno da noi segnalate e raccomandate.

Riad El Solh mi ha vivamente ringraziato e mi ha pregato di far sapere al conte Sforza che egli è profondamente riconoscente per l'accoglienza sinceramente amichevole con la quale è stato accolto, così come è grato al presidente della Repubblica Einaudi ed al presidente del Consiglio De Gasperi per la viva cordialità che essi gli hanno testimoniato. «Non è-ha detto Riad El Solh-dal numero degli agenti di polizia schierati all'arrivo ed alla partenza o dall'abbondanza dei soliti pranzi ufficiali che io intendo la verità e la sincerità dei sentimenti che si nutrono per me e per il mio paese ... A Roma ho avuto una sensazione di calorosa simpatia, di fiduciosa sincerità, di onestà di propositi che mi ha commosso e per la quale la prego di rinnovare i miei più vivi ringraziamenti».

Passando a parlare [delle] colonie italiane, egli mi ha ricordato le varie fasi della questione davanti all'O.N.U., ripetendo quanto già sapevo grazie alle costanti ed utilissime informazioni da te inviatemi al riguardo. Ho notato che il suo racconto coincide quasi sempre con le segnalazioni fatte in proposito da Cerulli e da Castellani, comprese le ammissioni di qualche «impossibilità» per il Libano di intervenire a nostro favore durante qualche particolare fase del dibattito. Ha detto che da oggi ad

aprile avremo modo di esaminare attentamente tanto la questione in se stessa, così come essa si presenta fra noi e gli arabi, quanto la posizione nostra e loro di fronte ai «Grandi» ed all'O.N.U. Ha ricordato che vi è un punto sul quale italiani ed arabi sono d'accordo: quello della necessità di assicurare l'unità della Libia. Ha concluso dicendo che è lieto di offrirei nuovamente i suoi buoni uffici, ed ha accennato alla indubbia utilità che Cerulli abbia, come si è progettato, a venire a Beirut per trattare riservatamente la questione a lato della legazione.

Per quanto si riferisce infine alla questione delle forniture di armi Riad El Solh mi ha detto che si è reso perfettamente conto del fatto che l'intervento e le segnalazioni del nostro Governo sono sopratutto state motivate dall'intendimento di fare a lui, ed agli arabi in genere, cosa grata. Si è anche reso conto delle cause che hanno determinato qualche incomprensione, cui non ha d'altronde attribuito alcuna importanza. Ha detto che egli deve ora esaminare la situazione palestinese quale essa si presenta dopo il suo ritorno, ed in accordo con gli altri membri della Lega. Se si andrà, come egli tende a credere inevitabile, verso una ripresa effettiva delle ostilità .. egli ci farà sapere i suoi desideri in materia di armamenti, dopo di aver rilevato anche le relative disponibilità finanziarie. Ha espresso tuttavia il desiderio che, se le trattative saranno riprese, l'attività e le formulazioni delle persone che saranno inviate a Beirut per le trattative stesse siano seguite e controllate dalla legazione. Egli mi ha infine chiesto un appunto sulle offerte da noi presentate per due Macchi 205 V, appunto che ho redatto sulla base del tuo telegramma a Parigi in data 13 dicembre2 . Poiché Fagiuoli mi ha telegrafato che conta di venire a Beirut fra un paio di settimane, ti sarò grato se prima della sua partenza lo vorrai informare di quanto precede dandogli le necessarie istruzioni.

Riad El Solh ha concluso la lunga conversazione incaricandomi di dire al conte Sforza ed a te che il noto trattato di amicizia e di stabilimento fra Italia e Libano, dopo aver subìto un breve rinvio a causa delle assorbenti fatiche cui i funzionari ed i tecnici di questo piccolo paese sono stati sottoposti durante la sessione dell'U.N.E.S.C.O. sarà rapidamente avviato a conclusione durante le prossime settimane.

780 1 1\on rinvenuta, ma vedi DD. 609 e 757.

781

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16620/1024. Washington, 28 dicembre 1948, ore 17,33 (per. ore 8 del 29). A suo telegramma 674 1• 781 1 Del 27 dicembre, con il quale era stato ritrasmesso il D. 772.

Dipartimento di Stato ha indicato più volte, anche recentemente, procedura che Italia dovrebbe seguire per aderire Patto atlantico e, se necessario o opportuno, anche Patto Bruxelles. Mi riferisco fra l'altro a miei telegrammi 804-5-6 nonché mio telegramma l O18, paragrafo terzo, mio telegramma l 009 ultima parte, e mio rapporto 4258 pagina 4 2 .

Tuttora in assenza di ogni indicazione circa i nostri propositi nei riguardi detti patti, Dipartimento di Stato, nel corso trattative Washington, si limita a constatare quanto indicato punti l e 2 secondo capoverso telegramma ministeriale citato. Pertanto affinché detti argomenti cadano ed esso possa assumere atteggiamento diverso occorrerebbe precisa tempestiva diretta definizione atteggiamento nostro sia pure confidenziale.

Secondo notizia da telegramma Schuman a Bonnet, V.E. avrebbe dichiarato a Cannes3 che Italia «non ha alcuna esitazione circa Patto atlantico». Contenuto tale telegramma mi è stato confermato da questa ambasciata di Francia. Prego comunicarmi se notizia è esatta, nel qual caso mi parrebbe necessario che il Governo italiano ne informasse immediatamente questo ed altri Governi interessati mettendo così in moto procedura suggerita da Stati Uniti4 .

780 2 T. s.n.d. 13988/941, non pubblicato.

782

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2259/908. Ankara, 28 dicembre 19481•

Riferimento: a telespresso n. 1680 del 13 dicembre2 .

La posizione della Turchia nei confronti del Patto atlantico è stata in questi giorni illustrata dagli interpreti ufficiosi di questo Governo, il giornale Ulus e il suo direttore Yalchin.

In caso di conflitto -afferma l'Yalchin -si presentano due ipotesi: che la Russia attacchi la Turchia; che attacchi su altri fronti e cerchi di assicurarsi la neutralità turca.

Primo caso: non esistendo alcun trattato di alleanza fra la Turchia da una parte e il blocco occidentale in quanto tale dall'altra, quest'ultimo non è impegnato a venirle in aiuto. Un trattato di alleanza in piena regola e in pieno vigore esiste tuttavia fra Turchia e Gran Bretagna. La quale è dunque impegnata a

3 Vedi D. 768.

4 Per la risposta vedi D. 786.

2 1\on rinvenuto.

intervenire a suo fianco È in guasto caso verosimile che gli Stati Uniti restino neutri? No certo. E perché allora prescegliere codesta strada indiretta, quando la partecipazione della Turchia al Patto atlantico condurrebbe allo stesso risultato e con mezzi molto più chiari e diretti?

Secondo caso: la non partecipazione della Turchia al Patto atlantico potrebbe dare ai russi l'impressione che la Turchia non interverrà se Mosca attaccasse su altri fronti. Cercheranno allora di neutralizzarla con minacce e promesse. Non vi riusciranno, ma potranno illudersi di riuscire, ciò che può indurii a correre il rischio della guerra, come la speranza in un intervento britannico e francese indusse Hitler a bruciare le tappe. L'inserzione della Turchia nel Patto atlantico potrebbe dunque essere utilissima; è soltanto così che l'U.R.S.S. si convincerà che l'intervento turco è cosa certa, anche se l'attacco sovietico fosse diretto contro altri fronti europei.

2. -Le informazioni di Chauvel non mi sembrano dunque perfettamente esatte. Direi invece che la Turchia mira ad inserirsi nel Patto atlantico, con o senza la partecipazione dell'Italia. L'inclusione nostra le darebbe certo un 'ulteriore -e forte -argomentazione per sostenere la necessità di non essere tagliata fuori, ma non è, né ci sarebbe ragione che fosse, la ragione determinante della sua richiesta. La quale va piuttosto ricercata nel desiderio -del resto legittimo e del resto universale -di ottenere una formale impegnativa garanzia nord-americana. 3. -II caso della Turchia è del resto diverso dal nostro, soprattutto in quanto i turchi sono già da tempo militarmente assistiti dagli Stati Uniti ed in modi e forme progressivamente maggiori. Codesta assistenza potrebbe bastarle. Non vi ha infatti dubbio che se gli americani spendono milioni di dollari per attrezzare l'esercito turco, li spendono per difendere anche interessi propri e cioè le posizioni strategiche e petrolifere del Medio Oriente. Sicché par certo che presto o tardi, e più presto che tardi, gli Stati Uniti [si] porteranno, in caso di attacco sovietico, in aiuto della Turchia. Ma è in questo «presto o tardi» che sta il nocciolo della questione. I turchi vogliono essere difesi subito e non liberati dopo. Mirano cioè ad ottenere una garanzia di assistenza automatica ed immediata che ancora non posseggono e che soltanto potrà acquetarli. Codesta garanzia hanno in un primo tempo cercato di attenerla attraverso un patto od intesa mediterranea, appunto per uniformarsi alle note decisioni del Congresso relative alle unioni regionali. Ma, troppo lentamente maturandosi le possibilità di codesta intesa -che resta tuttavia un obiettivo sussidiario -si rivolgono oggi verso il Patto atlantico e insistono per esservi inseriti, non so con quanta probabilità di successo (la direi piuttosto evanescente).

Sta comunque di fatto che obiettivo numero uno della politica turca è quello di ottenere la «garanzia nord-americana». Intesa mediterranea o Patto atlantico sono due strade che possono entrambe condurvi: tutte e due sono state infatti e saranno ulteriormente tentate.

781 2 Vedi rispettivamente D. 486, nota 5 e DD. 775, 763 e 754.

782 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

783

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, ANZILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 6100/2625. Londra, 2 8 dicembre 19481•

Ho avuto una conversazione con Kirkpatrick circa il Patto atlantico: ne riassumo i punti più interessanti.

l) Effettivamente, ha detto Kirkpatrick, le discussioni sono entrate in questi ultimi tempi in una fase risolutiva. Vi sarebbero ancora punti controversi (per esempio, l'estensione del Patto ai territori oltremare, cioè all'Africa, estensione desiderata dai francesi e ostacolata da tutti gli altri) ma nelle linee generali il Patto sta prendendo forma concreta e la questione dell'inclusione di altri Stati oltre i Cinque di Bruxelles (e naturalmente gli Stati Uniti e il Canada) è all'ordine del giorno.

2) Vi è stata effettivamente a un certo momento l'idea, proveniente dagli americani, di avere due gradi differenti di membership con diverse responsabilità: è stata abbandonata per la difficoltà di metterla in pratica. La formula oggi è potenze di Bruxelles + paesi atlantici: sarebbero invitati ad aderire Islanda, Norvegia, Danimarca, Irlanda e Portogallo ma è dubbio se tutti accetterebbero, specialmente gli Stati scandinavi e l'Irlanda.

3) Per quanto riguarda l'inclusione dell'Italia i francesi sono gli unici favorevoli: gli americani indecisi (i militari piuttosto favorevoli): i canadesi piuttosto contrari: il Benelux contrario come la Gran Bretagna. Il punto di vista britannico secondo Kirkpatrick è il seguente: la Gran Bretagna non ha nessuna obiezione di principio all'inclusione dell'Italia ma ne fa una quesione di timing per due ragioni: a) che non risulta che il Governo italiano desideri essere invitato e tanto meno che l'opinione pubblica italiana sia ben disposta; b) che se il Patto venisse esteso all'Italia non sarebbe più atlantico ma un patto difensivo generale e dovrebbe in tal caso comprendere anche la Grecia e la Turchia la cui posizione strategica è altrettanto importante quanto quella dell'Italia. Quando il Governo italiano si dichiarerà pronto a firmare il Patto atlantico e gli Stati Uniti accetteranno di includervi Grecia e Turchia cesseranno le obiezioni che oggi la Gran Bretagna solleva per ragioni di opportunità soltanto.

4) Non è stata trovata né sarebbe possibile trovare una formula per far entrare gli Stati Uniti in guerra automaticamente senza la dichiarazione di guerra che la Costituzione espressamente riserva al Congresso. Gli sforzi degli autori del Patto tendono invece a creare un complesso di piani militari e di impegni tali da convincere il Congresso che qualsiasi ritardo nel dichiarare guerra sarebbe pericoloso per gli interessi vitali degli Stati Uniti: in altre parole creare presupposti per una specie di Pearl Harbour politica.

Ritengo utili due parole di commento al paragrafo 3. Gli inglesi considerano come è già stato scritto -il Patto atlantico da un punto di vista strettamente militare

1151 ossia come il mezzo per ottenere dagli Stati Uniti da un lato la garanzia del loro appoggio in caso di aggressione sovietica, dall'altro i mezzi per riannare. Il secondo punto in certo modo li interessa più del primo in quanto ritengono che un'aggressione sovietica, nell'atmosfera attuale, provocherebbe comunque una immediata reazione americana. Trattandosi quindi di una questione di annamenti e piani strategici l'opinione degli esperti -e quindi di Montgomery -è prevalente e Montgomery è d'opinione che bisognerebbe procedere per gradi e riannare prima di tutto le potenze del Patto di Bruxelles, aggregandone altre in un secondo tempo. Per questa e per l'altra ottima ragione che l'aiuto americano sarà in un primo tempo almeno piuttosto limitato e che dividendolo per tre (contando il Benelux come uno) ne verranno porzioni più grandi che dividendolo per sei o sette, gli inglesi avrebbero preferito limitare il Patto atlantico ai Cinque di Bruxelles: non potendo escludere i paesi atlantici di cui gli Stati Uniti desiderano la partecipazione, cercano di tenerlo per ora nei limiti più ristretti possibili. Non si tratta tanto di circoscrivere l'area garantita dagli Stati Uniti (Kirkpatrick mi ha detto che è stata sollevata a Washington l'idea di una dichiarazione con la quale i finnatari del Patto atlantico garantirebbero Italia, Grecia e Turchia contro qualsiasi aggressione. Per quello che possa valere, gli inglesi sarebbero favorevoli). Si tratta di chi deve riannare prima e più presto e qui gli inglesi desiderano ridurre il numero dei concorrenti. Secondo loro noi dovremmo cominciare col partecipare seriamente al Consiglio politico europeo, ciò che significherebbe il nostro ritorno nella politica europea attiva. Contemporaneamente, preparare l'opinione pubblica in modo che dopo un certo tempo il Governo italiano non abbia più da temere serie reazioni se desidera aderire sia al Patto atlantico sia al Patto di Bruxelles. Da parte britannica non vi sarebbe «al momento opportuno» opposizione alla nostra adesione ali 'uno o ali 'altro dei due Patti o ad ambedue.

A questo atteggiamento britannico nei nostri riguardi è facile attribuire una quantità di motivi che manterrebbero la riputazione -piuttosto esagerata -della «perfida Albione». Personalmente credo che quello che ha detto Kirkpatrick sia sostanzialmente la verità con questa riserva: che se non avessimo fatto la guerra nel campo nemico l'opinione di Montgomery o sarebbe diversa o avrebbe minor peso. Detto questo, credo che nella mente del Foreign Office si tratti veramente oggi come oggi -di una questione di tempo; in altre parole non di un'esclusione ma di un rinvio.

783 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

784

IL DELEGATO PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1510. [Parigi], 28 dicembre 1948.

A qualche mese di distanza dall'inizio dell'attività dell'O.E.C.E. e sopratutto dopo le discussioni che hanno accompagnato in seno al Comitato esecutivo l'esame dei programmi nazionali a lungo tennine, mi sembra opportuno di esporre a V.E.

alcune riflessioni che mi vengono suggerite da questo nuovo sistema di lavoro e di trattative economiche internazionali. Comincerò con una considerazione di carattere procedurale che ha tuttavia una certa importanza:

Ogni qual volta un problema di policy, tanto in materia di programmi, quanto di scambi o di questioni di carattere generale dell'O.E.C.E., ha messo in contrasto i diversi punti di vista, ci si è resi conto che i problemi europei sono considerati secondo tesi più o meno divergenti che sono però in sostanza personificate da alcune delegazioni principali, e cioè Inghilterra, Francia, Italia, Benelux, Scandinavia e Bizona: ciascuna rappresenta un pezzo adeguato del tutto europeo, ed allorquando attraverso la approfondita discussione il desiderio di conciliazione prevale in una ricerca concorde di principi o di soluzioni, queste sono generalmente accettate senza grandi difficoltà da tutti gli altri. Ciò ha in realtà creato il sistema di lavoro dell'Organizzazione, che ricorre sempre più sovente agli scambi di idee fra questi gruppi di paesi, come preparazione necessaria a quel minimo di comunità di vedute, che consente poi la abbastanza sollecita progressione del lavoro e l'adozione di risoluzioni -ed è appena il caso di ricordare che tutte le decisioni sono state prese sinora all'unanimità, che è la regola del resto della Carta del 16 aprile, e nessuno ha mai fatto ricorso sino ad oggi ad un diritto di veto o di opposizione. È una constatazione indubbiamente confortante, se si guarda indietro al complesso di decisioni di gran rilievo che costituiscono il risultato di questi primi sette mesi dell'attività dell'O.E.C.E.

Ciò premesso, queste complesse discussioni che sono intercorse tra le varie delegazioni principali rivelano che vi è ancora una considerevole fluidità di concetti circa il modo come ognuno dei maggiori partecipanti intenda la realizzabilità della coordinazione dei programmi a lungo termine che dovrebbe, in ultima analisi, condurre a quella che gli americani indicano come «integrazione» dell'economia europea.

Cominciando dagli americani, non è ben chiaro né che cosa essi abbiano avuto in mente quando la formula è uscita dalla dottrina del discorso di Harvard, né quello che abbiano in mente ora. A me risulta che vi sia considerevole divergenza di idee tra ambienti politici, ambienti economici e amministrativi americani e in un certo senso è bene che sia anche così, per evitare il rischio di legarci ad una concezione teorica o programmatica che si potrebbe rivelare in pratica dannosa.

Secondo alcune tendenze europee, la «integrazione» dovrebbe condurre alla conseguenza più lata di un 'unione economica europea. E a seconda come si giudichi l'atteggiamento britannico in generale nei riguardi dell'Europa, vi è chi ritiene che questa unione economica non possa che essere limitata al continente europeo, e secondo altri inglobarvi l'Inghilterra non tanto come madre patria, ma come esponente dell'area della sterlina. Vi è inoltre chi ritiene che la formula dell'unione economica totale europea sia prematura ed irraggiungibile e che meglio convenga dirigere i propri sforzi verso formule intermedie, tanto per quanto riguarda la intensità e la misura della «integrazione» economica, quanto per ciò che concerne l'estensione geografica della sfera di azione dell' «integrazione» predetta.

Per quanto riguarda gli americani -ripeto -non mi pare che essi abbiano idee molto precise e ognuno può interpretarle come conviene meglio alla tesi che gli è più gradita. Accade anzi che ogni paese europeo continentale afferma che è in pieno accordo con gli americani e che le idee che esprime non ne sono che un'interpretazione. E, dopo tutto, perché no, visto che non vi è una dottrina americana precisa, almeno per ora. Da quanto ne so io, gli ambienti politici americani sembrano preferire una larga intesa di carattere politico a cui corrisponda un largo campo d'intese economiche pur senza senza precisazioni formali. Nel campo degli economisti, che non è quello degli uomini d'affari, mi sembra vi sia ancor maggiore fluidità di concetti. Può anzi essere estremamente pericoloso ritenere che siano gli americani a spingere l'Europa sulla via dell'unificazione economica o sulla via delle unioni doganali di cui essi stessi non valutano ora tutte le implications. In realtà, anche in questo campo e giustamente, preferiscono di lasciare una larga iniziativa agli europei di ricerca di quelle forme di ampia cooperazione o di unificazione in senso lato di politiche economiche o di misure che essi ritengono più atte agli scopi comuni, anziché proporre e imporre soluzioni programmatiche di impronta americana.

Ciò che falsa oggi la direzione e la prospettiva di questa ricerca della soluzione realmente conveniente all'Europa è che purtroppo tanto gli ambienti deii'E.C.A quanto quelli del Department of State hanno bisogno di novità, più o meno sensazionali e immediate che, nel loro desiderio di collaborare alla creazione di un ambiente favorevole agli U.S.A. per l'assistenza all'Europa e l'ottenimento dei fondi necessari, essi possano presentare al Congresso come atti concreti, tali da impressionare l'opinione pubblica. E ciò rappresenta un notevole disturbo nel lento processo di ricerca delle forme più convenienti alla complessità della situazione europea nella direzione della «integrazione». Quanto dico a questo proposito riguarda anche l'Unione doganale itala-francese, che essi considerano come un ottimo argomento da presentare al Congresso per dimostrare che l'Europa fa sul serio e perciò danno seguito volentieri alla nostre «presentazioni», ma della quale Unione doganale io sono certo che non hanno né compreso né valutato tutte le conseguenze.

Oserei dire qui che bisogna che l'Europa e noi riflettiamo a ciò che facciamo e che pensiamo anche a ciò che, in materia di unioni economiche, potrà convenire a noi e agli Stati Uniti in futuro, a mente più fredda e riposata, cioè libera dagli stimoli contingenti di window-dressing. Sarebbe estremamente pericoloso di affidarsi solo a stimoli del momento, perché sappiamo fin troppo bene che gli anglo-sassoni arrivano tardi a valutare tutti gli aspetti delle cose e se queste poi si rivelano non a loro sostanziale convenienza, accusano l'avversario di averli giocati.

D'altra parte, questa tendenza di lasciare agli europei la responsabilità di «inventare» la formula che risponda ai loro bisogni e agli interessi americani insieme è apparsa chiaramente questa estate quando ci hanno affidato la patata calda della divisione dell'aiuto e la formulazione del Programma a lungo termine con relativa «integrazione» economica europea.

Fanno del resto benissimo agendo così, perché una soluzione di marca solo americana sarebbe precaria e costerebbe loro molto più cara. Sta a noi naturalmente di non sbagliare. E non sono così sicuro che queste varie considerazioni siano sempre presenti ad alcuni dei nostri amici (i francesi ad es. che scivolano spesso verso idee di sapore autarchico), e a noi stessi.

Qualche economista americano di perspicace mentalità avanza già dei dubbi sulle conseguenze di un'unione economica generale, poiché ciò fa nascere immediatamente il concetto di «discriminazione»; e pensiamo infatti per un momento che l'Europa non è una zona economicamente florida e non lo sarà per molto tempo, la sua unificazione -in senso tradizionale -per potersi consolidare dovrebbe forzatamente «proteggersi» nel periodo di formazione con varie misure nei riguardi del mondo esterno più agguerrito economicamente: è la storia che si è sempre verificata nei processi iniziali di industrializzazione. Ora, il concetto di protezione o di discriminazione, come dir si voglia, è un concetto che suona male all'orecchio americano, per ragioni economiche ovvie che non mi dilungo a menzionare. D'altro canto, i concetti di discriminazione e di protezione rischiano di trascinare con sé degli scivolamenti anche maggiori di quelli attuali verso tendenze autarchiche europee, che non è certo nelle intenzioni americane di incoraggiare. E si può essere facili profeti nel prognosticare le più impensate reazioni americane il giorno che realizzassero che marciamo su quella strada.

Constatata quindi la indeterminatezza «attuale» americana per quanto riguarda il concetto di «integrazione» economica europea, e cioè a quale dottrina questo concetto si ricolleghi, mi pare si possa giungere alla conclusione che anche in questo campo l'Europa-tenendo presente soprattutto lo spirito ed il carattere politico che ha originato il piano Marshall, carattere politico prevalente su quello economico deve ricercare essa stessa quella formula di «integrazione» che meglio convenga ai suoi interessi considerati a lunga scadenza. Ciò facendo, essa renderà un servigio anche all'America, presentando le delle soluzioni che non contrastino in ultima analisi coi suoi interessi più generali.

Considerando il problema dell'integrazione economica europea dal punto di vista degli interessi dei paesi partecipanti, mi sembra che non vi è dubbio che questa integrazione è suscettibile di notevoli sviluppi, se essa congloba tanto l 'Europa contmentale quanto l'intera area della sterlina; qualunque atteggiamento diverso non può essere che una manovra tattica, che la Francia talvolta affaccia, ma che non può operare se non in senso contrario agli interessi continentali europei. Ciò è tanto vero in linea economica quanto in linea politica, poiché tutti gli studi e le analisi fatte dimostrano che, se è ben vero che esiste un problema del dollaro, della cui scarsità tutto il mondo -ed in particolare l'Europa -soffre, vi è subito dopo un problema della probabile futura scarsità della sterlina (anche se per una strana circostanza noi ci troviamo a non soffrirne), probabilità di cui è una prova la crisi di cui l'Organizzazione ha sofferto in questa ultima tornata di novembre-dicembre, nel confronto dei Programmi a lungo termine, crisi che conferma come l'Europa continentale rischi di soffrire nel '52 di una forte scarsezza di sterline: la Francia ne soffre acutamente da dopo la guerra, e anche nel '52 si troverà ad aver bisogno di sterline più gravemente di tutti gli altri.

A questa situazione, che mi riservo di analizzare più concretamente a parte, l'integrazione economica europea potrebbe in gran parte ovviare quando essa conglobasse tutta l'area della sterlina con le agevolazioni di scambio che comporta, come attualmente si tenta di fare nell'ambito dell'O.E.C.E. ed in parte si è fatto in materia di accordo di pagamenti.

Questi concetti di «integrazione» economica europea, che sono una necessità e che si andranno chiarendo come meccanismo di realizzazione nel quadro dell'attività dell'O.E.C.E. per giungere alla coordinazione dei Programmi a lungo termine, prescindono naturalmente dal campo di indagini che sono state compiute in seno al «Gruppo di studio delle unioni doganali di Bruxelles».

Nell'ambito del «Gruppo di studio» è in corso una iniziativa di carattere più formale e preciso per la ricerca di una unificazione completa del genere di quella che noi abbiamo programmato tra Francia e Italia, e che comporta un'indagine minuziosa di studi e di ripercussioni e di misure per l'unificazione di disposizioni, che allo stadio attuale dell'evoluzione della psicologia e dell'amministrazione in Europa è di carattere pressoché irraggiungibile e pertanto concordo nella opinione della Direzione generale degli affari economici del Ministero, che la considera -almeno per ora -utopica.

Per contro, il processo di coordinazione e di integrazione economica che è in corso di studio all'O.E.C.E. come premessa o come conseguenza necessaria della formulazione di un Programma a lungo termine, è di natura più empirica, ancorché le conseguenze non siano molto diverse da quelle di un'unione doganale nel senso più completo, e mi spiego: nei prossimi mesi dovrà venire fuori dall'O.E.C.E. un Programma a lungo termine comune: perché esso sia veramente comune -e ciò è necessario che sia, poiché abbiamo misurato che se ciò non si facesse, l'Europa non può neppure avvicinarsi alla viabilità né ricevere l'aiuto americano -occorrerà mettersi d'accordo anche con molte crisi, strida e tensioni, su un programma comune di investimenti prioritari, su livelli di produzione concordati, su una politica monetaria e fiscale improntata ad eguali scopi nonché su vari altri settori principali, non ultimo quello di dove e come meglio ripartire la capacità di esportazione. Io non dico che a questo si arrivi, e cioé non voglio fare dell'ottimismo anticipato, ma ritengo poter affermare che uno sforzo coraggioso verrà fatto in questa direzione e che o ci si riuscirà a mettere d'accordo su tutti i punti che ho sopra indicati, e allora il Programma uscirà dalla crisalide, oppure non uscirà; ma se non uscirà, non è probabile che l'aiuto americano continui né quindi che l'Europa si possa salvare.

L'interesse di aver misurato il baratro di fronte a cui l'Europa si trova, è appunto di aver potuto valutare l'azione che occorre per non cadervi, e vi è quindi legittima presunzione che si cerchi di costruire il Programma nelle linee che ho indicate: se ciò avviene, non tanto per idealismo o per senso politico, ma per senso di necessità, l'unione economica europea è in gran parte fatta: essa non avrà carattere formale, né sarà così spinta in tutte le sue conseguenze, come avverrebbe con un ordinato quadro del genere di quelli studiati a Bruxelles; essa avverrà in quella forma empirica, ma rispondente alle necessità principali, che è la premessa necessaria, ma anche sufficiente per progredire poi gradualmente verso forme più evolute. Potrebbe essere ad un dipresso nel campo economico quello che è, nel campo politico, il legame che tiene raggruppato il Commonwealth. Si potrebbe obiettare che è troppo poco, che -come il Commonwealth si può sempre sciogliere -anche l'unione economica potrebbe essere una creatura temporanea, oggetto del bisogno e quindi precaria: ma mentre l'obiezione non regge nel campo politico, credo che non regga neppure nel campo economico: una volta che l'Europa si sia ristrutturata secondo un concetto di divisione del lavoro ed una ripartizione e concentrazione di derminate sfere di attività, si saranno creati degli interessi che sono destinati a consolidarsi e proseguire insieme, anche se di tempo in tempo diano luogo a crisi momentanee, che sono aspetti di vitalità di un fenomeno sano.

Che del resto la formulazione di un Programma a lungo termine in seno all'O.E.C.E. comporti delle conseguenze di natura da influenzare decisamente il lavoro del «Gruppo di studio delle unioni doganali di Bruxelles», è confermato dalle conclusioni cui è giunta la recente riunione di dicembre di quel «Gruppo», che io non conosco in dettaglio, ma che, da un passaggio riportato nel rapporto dell'O.E.C.E. in seguito a comunicazione del signor Spieremburg, ha deciso di attendere per proseguire i suoi lavori di conoscere i risultati dei lavori dell'O.E.C.E. per il Programma a lungo termine. Mi sembre di poteme dedurre che, se il Programma a lungo termine in seno all'O.E.C.E. viene realizzato con un largo accordo di «integrazione economica», come gli americani lo desiderano, la prima fase dell'unione economica -dirò «empirica» -sarà avviata ed il problema in gran parte avviato a soluzione.

Se quindi può essere considerato che una delle basi migliori per la soluzione dei problemi europei va ricercata in un'integrazione tanto dell'area continentale europea quanto dell'area insulare ed esterna della sterlina, si potrebbe spingere più oltre l'argomento nell'avanzare l'ipotesi che, come questo concetto mira a rendere meno angoloso il problema della scarsezza della sterlina, un'unione economica che rappresentasse l'Europa occidentale (con l'area sterlina) con l'emisfero occidentale americano nord e sud, potrebbe contribuire a risolvere il problema della scarsezza del dollaro e facilitare i pagamenti con l'America latina.

Con queste successive illazioni, per ora teoriche, si può rilevare che le idee in campo economico muovono sulle stesse linee nelle quali esse si muovono nel campo delle direttive politiche, poiché del resto l'uno e l'altro aspetto sono riflessi di un unico problema. Non vi è dubbio che queste speculazioni in campo economico sono nell'ordine delle cose possibili, e può anche giungere il momento che si facciano strada nel campo delle linee di azione positiva: oserei dire che è una possibilità meno remota di quanto possa oggi sembrare. Tuttavia, per poter passare a questo stadio, è essenziale che l'Europa superi prima lo stadio della coordinazione fra zona continentale e zona sterlina.

Ho avuto occasione di segnalare a V.E. alcuni aspetti della controversia francoinglese, che di questo problema della coordinazione fra zona continentale e zona sterlina è uno degli aspetti più appariscenti. Da parte francese -come le è noto si sono fatte serrate accuse al punto di vista britannico, quale esso appare dal Programma a lungo termine, e si è ritenuto di ravvisare in esso un'intenzione ben determinata britannica di staccarsi dal continente e perseguire la «viabilità» in via autonoma e nel solo quadro del Commonwealth.

Qualche considerazione in tal senso mi è parso di rilevare in una comunicazione della nostra ambasciata in Londra. A quanto ho già riferito a V.E. su questo argomento, mi sembra opportuno aggiungere qualche altra riflessione, quale a me sembra di poter fare da questo osservatorio. Le accuse francesi contengono una parte di verità: il Programma a lungo termine inglese, che è frutto di una programmazione spietata e dottrinaria, ha posto l'accento in maniera eccessiva sulle sue previsioni di rovesciamento della posizione tradizionale britannica di debitrice del continente e sulla intenzione di non più ammettere i prodotti di lusso e di semi-lusso sino a quando la viabilità inglese non sia stata realizzata e cioè l'Inghilterra si sia resa indipendente da ogni aiuto esterno e la sterlina si sia nuovamente consolidata come seconda moneta internazionale. Questo eccesso di accento ha offerto il destro -e con ragione -agli attacchi francesi ed alla enunciazione dell'accusa che l'Inghilterra si disinteressi del continente.

Che l'Inghilterra sia indotta a riprendere la sua posizione debitrice verso il continente nella stessa misura in cui lo era in passato non è per ora possibile, perché la posizione passata aveva come contropartita un largo reddito inglese di suoi investimenti in altre aree del mondo, investimenti che sono oggi interamente stati ingoiati dalla guerra. E che la Francia possa riportare le sue esportazioni di prodotti di lusso verso l'Inghilterra al livello di anteguerra è un pio desiderio nelle circostanze attuali e in un immediato futuro: come ho già rilevato, in Inghilterra è avvenuta una rivoluzione sociale e non esistono più i larghi ceti che possano consumare vini fini francesi e prodotti di alta moda. Ne è prova il fatto che le stesse licenze d'importazione di tali prodotti concesse dall'Inghilterra assai liberamente alla Francia non sono neppure interamente utilizzate poiché manca la domanda. Del resto la rigida programmazione inglese era una indiretta pressione rivolta alla Francia perché essa cerchi di dedicarsi a produzioni più necessarie ali' economia europea (prodotti agricoli) ed in particolare a quella britannica: queste precisazioni d'altra parte erano apparse anche in sede di discussione del Programma a lungo termine a Parigi e non credo si possano interpretare come un'intenzione inglese di staccarsi dal continente.

In conversazioni estremamente confidenziali con colleghi britannici, questi mi hanno dichiarato che in Gran Bretagna si è molto discusso in materia di «viabilità» inglese: e vi sono in proposito due tendenze; l'una ritiene che l'unico mezzo per l'Inghilterra di aiutare efficacemente il continente sulla via della sua ricostruzione è quello di perseguire senza soste ed a qualunque costo il raggiungimento della «viabilità» britannica, in modo da essere in grado dopo il '52 di presentarsi di fronte all'Europa in una posizione simile a quella degli Stati Uniti e cioè come fornitrice di «assistenza»: è una tesi che trova sostenitori anche presso ambienti dell'E.C.A. ed è di natura tale da presentare aspetti suggestivi per il prestigio e la posizione britannica: evidentemente presuppone che l'Europa continentale non sia in grado di diventare viabile nel '52 e che ogni dispersione di aiuti come quest'anno è avvenuta in Francia sia nociva al successo dell'E.R.P. La seconda tendenza che si è affermata in Gran Bretagna ritiene questa concezione troppo rigida e di natura da suscitare intempestivi sospetti e ripercussioni politiche ed è pertanto in favore di una maggiore flessibilità che consenta al continente di avvicinarsi al massimo possibile alla viabilità, anche se questa comporta un meno rapido acquisto di viabilità da parte britannica.

Comunque sia per essere la tendenza che si affermerà in Gran Bretagna, dalle concessioni fatte in questi giorni -che troveranno tanto maggiore ampiezza quanto più da parte francese ci si metterà su una strada di concretezza -non credo che si possa dedurne che essa intenda staccarsi del continente: anche qui politica ed economia non possono scindersi e l 'Inghilterra non potrà dimenticare che nel programma di ricostruzione europea è in gioco, in ultima analisi, anche la sua sicurezza e quindi le sue programmazioni di politica economica non potranno mai spingersi fino a rischiare di produrre conseguenze di natura tale da porre in reale difficoltà e in uno stato di disarticolazione il continente europeo.

Vorrei aggiungere qualche altra osservazione che mi è ispirata dal rapporto dell'ambasciata a Londra. L'Inghilterra certo tende ad avere tra l'America ed il continente europeo una posizione intermedia: direi anzi che ce l'ha già. Gli americani non tralasciano occasione per additare l'esempio dell'Inghilterra a noialtri continentali, di affermare che il Programma a lungo termine inglese è una cosa formidabile, e così via: in realtà i due cugini anglo-sassoni, anche se ogni tanto si bisticciano, sono fatti per intendersi e si ammirano reciprocamente. Anche una certa riserva che sino a ieri i repubblicani in procinto di andare al potere nutrivano per certi sistemi del laburismo, è oggi destinata ad essere relegata in soffitta, con il prevalere del partito democratico, che ha un programma anch'esso dirigista, nella misura che ciò può avvenire in America, ed un ampio programma sociale. Non bisogna quindi farsi illusioni sulle preferenze americane tra l'Inghilterra e paesi europei del continente, ad onta di qualsiasi apparenza contraria contingente. Anche in materia monetaria si parla spesso di rivalità fra dollaro e sterlina; ciò è vero per la storia passata, ma non attuale. Il dissesto europeo è tale che una moneta europea stabile, intermediaria del dollaro, è necessaria per alleggerire i problemi di convertibilità europee, e gli americani nel loro stesso interesse favoriranno questa posizione speciale della sterlina e cioè dell'Inghilterra.

Che l'Inghilterra si vada distaccando dall'Europa meridionale, ciò che l'ambasciata di Londra ha rilevato, è vero, mi sembra, solo in parte: può applicarsi per la Grecia, perché è stata passata con pochi profitti e molte perdite agli Stati Uniti e può applicarsi alla Turchia che si trova in una situazione analoga per ragioni militari. Non credo che sia vero per noi, se debbo giudicare: a) dall'andamento degli scambi italiani con l'area sterlina; b) dall'interesse col quale tale movimento è stato sottolineato anche in sede di discussione dei programmi a lungo termine e dalla collaborazione che in temi di politica generale le due delegazioni hanno sviluppato da qualche mese a questa parte in seno all'O.E.C.E.

Incidentalmente aggiungerò che il relativo distacco britannico da Grecia e Turchia lascia a noi un certo campo di proficua attività e quindi considero che rappresentiamo un anello di congiunzione tra interessi generali europei di cui siamo una parte non trascurabile ed interessi regionali periferici, così come l'Inghilterra è un anello di congiunzione per il mondo scandinavo.

Vorrei concludere che in fondo la viabilità inglese è l'elemento primordiale della ricostruzione europea, senza del quale non vi è successo dell'E.R.P. possibile, così come il riassetto delle cose in Francia e l'esecuzione del programma agricolo francese ne è uno dei pezzi fondamentali. Per parte nostra noi abbiamo una posizione intermedia, la viabilità altrui più presto è raggiunta e maggiori frutti può dare allo incremento della nostra attività economica, che si basa sul risanamento dei nostri vicini.

Come ho avuto occasione di segnalare a V.E. alla radice della sommossa che la Francia ha creduto di poter animare, cercando di aggiogarsi per interessi momentanei il Benelux e per supposti interessi più sostanziali l'Italia, vi sono anche delle ragioni meno plausibili: la Francia ha attinto largamente dall'area sterlina dalla liberazione ad oggi con prestiti ingenti, sa di non poter produrre quanto le occorre per porsi in equilibrio con l'area sterlina dopo il 1952, ed era legittimo che tentasse di far avallare la sua posizione attuale più o meno acuta di debitrice dell'Inghilterra. Il conflitto è in sostanza conciliabile, se da una parte e dall'altra ci si dispone ad incontrasi a metà cammino, e l'esperienza di questi ultimi giorni sembra dimostrare che ciò è possibile. In ogni caso, l'Inghilterra ha attenuato la sua impostazione e dal canto suo la Francia si deve rendere conto che il problema diventa meno difficile se essa si mette a produrre, se rimette in ordine il suo bilancio e se si decide a disporre meno allegramente di tutto quello che il mondo le fornisce, noi compresi.

A questo proposito è bene che V.E. sappia che un quindici giorni fa il signor Stafford Cripps ha diretto al signor Queuille una lettera per attirare la sua attenzione sul vivo interesse che rappresentava, tanto per l'Inghilterra quanto per tutto il resto d'Europa, il programma di risanamento del bilancio francese ai fini dell'esecuzione del Programma a lungo termine francese e della ricostruzione europea in generale: questa missiva -giudicata da Alphand e Baraduc perfettamente intonata alla gravità della posta in gioco ed alla cooperazione nel senso che è ormai necessario ammettere, di interdipendenza fra nazioni europee -aveva provocato le reazioni più vivaci del signor Queuille, che evidentemente non si rende conto che gli affari degli altri sono oggi gli affari di tutti in Europa.

Certo la Francia, il Belgio, l'Olanda e anche noi, parliamo molto di cooperazione: quanto a noi ne facciamo un poco, anche se a malincuore (accordo pagamenti), ma la Francia non ne fa affatto mentre la pretende dagli altri, e la cooperazione del Belgio è molto pelosa. Ora bisogna intendersi: se cooperazione significa assistenza, è meglio dirlo, c'è forse modo di ottenerla anche dall'Inghilterra, come la si ottiene dagli U.S.A.

Gli inglesi detestano essere presi in giro e danno molto valore alle parole. Se cooperazione è operare insieme, essi dicono, vediamo cosa fa ognuno, cosa di preciso può dare e cosa desidera: non è detto che non ci si possa intendere su cose concrete, anche se la parte che ognuno pone nel pool è di diversa entità e proporzionale alle sue possibilità. La cooperazione che la Francia è disposta a fare verso l'Inghilterra è limitata dai suoi scarsi mezzi di produzione e di esportazione e dal suo appetito nei consumi. Ma che dire poi di quello che è disposta a fare verso di noi! Le difficoltà negli scambi e nelle rimesse, l'ambiguità sui problemi dell'assorbimento della nostra mano d'opera, sono tasti che dovranno pure essere toccati in tema di «cooperazione».

Ho accennato più sopra alla parte che il Benelux ha preso nella recente contesa franco-inglese, e nella quale ha piuttosto secondato l'atteggiamento francese. Non è il caso che mi dilunghi ora sull'atteggiamento in generale del Benelux, ciò su cui mi riprometto di riferire a parte in un prossimo rapporto; ma questo è uno dei tanti casi in cui il Belgio, che è l'elemento motore del Benelux, forte di una sua posizione contingente eccezionale come produttore di certe merci essenziali (acciai speciali di cui l'Inghilterra ha assolutamente bisogno, e di rame) e di produttore al tempo stesso

di «azalee» orienta volta a volta il suo atteggiamento, così da conseguire il massimo dei risultati possibile: è un gioco che finora gli è riuscito benissimo, perché riesce non solo a imporre le sue azalee proporzionalmente per ogni quantitativo di acciaio, ma anche a farsi pagare in oro o in dollari dall'Inghilterra. Tuttavia sta accumulando dosi notevoli di malumore da varie parti, che verranno a galla appena si dovesse trovare in difficoltà.

Sempre in materia di unione economica o di integrazione economica in Europa, mi consenta V.E. di toccare uno degli aspetti che è stato considerato dal Gruppo di Studio delle unioni doganali di Bruxelles, e cioè quello delle unioni economiche regionali. A questo proposito mi risulta, da quando ero agli affari economici al Ministero e dalla lettura della stampa in epoca più recente, che la tesi da noi sostenuta è che le unioni regionali sono una via più positiva per giungere progressivamente all'unione economica generale in Europa. In teoria, sono pienamente d'accordo che ciò si presenti come un'ipotesi più plausibile, ma non ne sono così sicuro in pratica; a me sembra che, dal punto di vista economico, è assai meno complicato e disagevole, specialmente in un periodo di riorientazione dell'economia europea in un dopoguerra come questo, di creare degli interessi in larghe aree o in settori principali, rimettendo a successive fasi un eventuale adattamento dei settori minori, che non procedere ad un'integrazione completa per aree più ristrette e staccate in un ambiente già limitato come quello europeo, per poi tentare successivamente, quando i nuovi equilibri si siano già formati, di coordinare le varie aree regionali collimanti.

Ho molti dubbi ad esempio che, una volta realizzata l'unione economica italafrancese e consolidatosi il fenomeno di adattamento degli interessi relativi, si possa giungere alla saldatura economica, cioè all'integrazione completa di quest'area con altre aree vicine: sarei portato ad escluderlo per quanto riguarda la fusione dell'area franco-italiana con quella del Benelux: maggiori dubbi ancora ho per una successiva fusione con la Germania occidentale nella quale le influenze britanniche ed americane tenderanno a creare interessi economici più strettamente collegati con l'area sterlina e col mondo americano, come già oggi è agevole prevedere, fenomeno che acquisterebbe tanto maggiore intensità -per un naturale fenomeno di polarizzazione -quanto più si sviluppasse una corrispondente polarizzazione franco-italiana.

D'altra parte, se la mia affermazione, che cioè le unioni regionali non facilitino la creazione di unioni economiche successive più vaste, potrebbe essere validamente contraddetta in linea teorica, ritengo che la mia osservazione abbia maggior fondamento ove non si prescinda dai riflessi politici che tali processi di unioni regionali possono suscitare.

Non vi è dubbio che l'unione economica regionale, tipo Francia-Italia, è la via di passaggio all'unione politica: qualcuno (anche americani) può essere indotto a meno precisi apprezzamenti per la relativa innocenza dell'unione economica: è un contratto e, come tutti i contratti, si sa che può essere sempre interrotto: in realtà il contratto dell'unione economica, se è indubbiamente innocente all'apparenza, graduale nell'applicazione, e può anche essere realizzato senza eccessive scosse, una volta realizzato crea tali situazioni di compenetrazione e di interdipendenza di interessi, che non è più possibile scioglierlo, a meno di crisi di prima grandezza. L'unico esempio contrario di tale natura che può essere portato è quello dell'unione scandinava, che fu sciolta tanto politicamente quanto economicamente nel 1905, ma oserei dire che ciò è avvenuto in un periodo di minor industralizzazione di quello attuale e fra due regioni di struttura economica completamente diversa l'una dall'altra e non certo allora integrate economicamente nella misura cui oggi è giocoforza arrivare. Credo che debba essere chiaramente valutato -e non dubito che lo sia già stato -che la unione economica, se si realizza in fatto e non soltanto sulla carta, non può essere più rescissa ed è la forma meno appariscente ma più sostanziale di fusione politica di due paesi. È molto più facile arrivare, del resto, ad un'alleanza politica-e l'esperienza anche di questo dopoguerra lo ha dimostrato -che non arrivare ad un'unione economica; e un'alleanza può essere senza grave sconquasso disdetta, corretta o allargata, ciò che è assai più difficile fare in campo economico.

Del resto può essere di un certo interesse che riferisca a VE. la risposta che il collega del Benelux ha dato tempo fa ai miei sondaggi in materia di unione doganale fra Francia e Benelux: «non l'accetteremmo mai; significherebbe tornare ai tempi di Luigi XIV e farci annettere politicamente dalla Francia».

Ho accennato a queste considerazioni per riprendere l'argomento dei riflessi politici che le unioni regionali economiche possono suscitare: non credo di essere lontano dal vero nell'affermare che l'unione economica itala-francese è vista con un certo concern da parte britannica: beninteso, è sempre stato un desiderio inglese che tra Italia e Francia si stabiliscano dei buoni rapporti, ma fino a che punto questi buoni rapporti debbano essere spinti, è un soggetto che va attentamente esplorato. Che gli inglesi non abbiano fino ad oggi assunto un atteggiamento molto chiaro in materia, non è un buon argomento da tener in conto, poichè è noto come le reazioni britanniche siano estremamente lente e rispondano soltanto alla ben intesa concezione dei particolari interessi britannici ed imperiali. Vi è da domandarsi se l'Inghilterra riterrà, a un determinato momento, pienamente conforme ai suoi interessi la formazione di un blocco continentale di novanta milioni di abitanti, o per lo meno se lo giudicherebbe tale in tutte le circostanze, intendo cioè in tutte le sue possibili manifestazioni di tendenza o di regimi politici: a quel momento, tardivamente purtroppo, si risveglierebbe una reazione britannica di sospetto e di opposizione con reazioni non forse perfettamente conformi ai nostri interessi. È difficile prevedere, ma già giudicando sin d'ora da quelle che sono le divergenze non sempre composte tra Francia e Inghilterra e cioè, in ultima analisi, tra Stati Uniti-Inghilterra (poiché gli Stati Uniti saranno sempre dalla parte inglese) da un lato e Francia dall'altro, sull'assetto economico della Germania, è legittimo ipotizzare -in fase di contrasto acuto -un ritorno ad un politica tradizionale di contrappesi da parte de li'Inghilterra sul continente (Germania) che purtroppo ricorderebbe periodi trascorsi della storia europea che non ci farebbero certo avanzare molto sulla via delle soluzioni nuove che ci sono necessarie dei problemi in Europa.

VE. ha, a questo proposito, fatto delle dichiarazioni a Cannes1 sull'interesse italiano ai problemi della Germania e inquadrato la necessaria soluzione del problema tedesco in senso europeo: non credo di sbagliare nel dirle che i francesi del gruppo

O.E.C.E. sono stati molto sensibili a certi accenni che essi interpretano come una

mallevadoria italiana alla loro posizione nei riguardi della Germania, posizione che pur contenendo molti fondamenti di realismo non coincide -credo -completamente con la nostra. Tuttavia, sul piano delle conseguenze politiche che l'unione economica comporta, non vi è dubbio che le illazioni francesi sono legittime e che noi avremmo difficoltà a variarle. Ciò ci riporta quindi naturalmente a quello che potrebbe essere l'atteggiamento inglese nei confronti dell'unione franco-italiana anche nei riguardi delle soluzioni del problema tedesco che possono ritenersi più appropriate. Tutto ciò, ripeto, è variamente ipotizzabile soprattutto avendo in sospetto l'eventualità di un cambiamento di regime in Francia.

Con ciò non intendo esprimere opinione contraria all'unione economica franco-italiana, ma soltanto prospettarne alcuni aspetti per dovere di sincerità e nel quadro delle considerazioni che sul piano economico mi vengono suggerite dall'esperienza di questi mesi. Poiché l'unione economica senza alcun dubbio è un'unione politica, potrei forse aggiungere a V.E. che un'unione politica continentale dovrebbe comportare per l'Italia una garanzia che essa non possa portarla in conflitto con interessi economici e politici marittimi ed in particolare britannici: e nel concetto di «marittimi» va compresa anche l'America, che sarà sempre dietro l'Inghilterra in qualsiasi momento di reale contrasto con altri paesi europei. Se ciò è stata la regola che ha guidato l'Italia nelle sue esperienze del XIX secolo in materia politica, ritengo che sia anche vero oggi in campo economico; e mi permetto di ricordare a questo proposito alcune considerazioni che sono andato facendo a V.E. frammentariamente in altre segnalazioni: i nostri rifornimenti essenziali (a parte quelli provenienti dall'emisfero occidentale) provengono dall'area sterlina, sono materie prime insostituibili in Europa da qualsiasi altra provenienza, così come le nostre correnti di esportazione verso l'area sterlina rappresentano un pezzo essenziale della nostra attività e della nostra esistenza economica. Vale la pena di ricordarne le cifre, poiché sono sempre di qualche valore indicativo: i nostri scambi con la Francia, prescindendo da tutte le difficoltà che oggi li ostacolano, si prevedono su 40-60 milioni di dollari per il '49, mentre quelli verso l'area sterlina sono previsti come otto volte più importanti e sono in continuo sviluppo. Gran parte della nostra industria di trasformazione si basa su materie prime dell'area sterlina, che nessuno in Europa -e tanto meno in Francia -può fornirci. Anche qui vale la pena di ricordare le differenze di struttura economica esistenti tra noi e la Francia, che orientano in modo tutto affatto diverso le due politiche di scambio. La Francia è un paese che, quando avrà realizzato l'intensificazione della sua struttura agricola, avrà un'attività economica ben proporzionata tra industria ed agricoltura, che la renderà molto meno dipendente di quanto oggi non sia da suoi rifornimenti dall'estero e, in teoria, più o meno autosufficiente. La struttura economica italiana è simile a quella britannica in questo che, per quanto si incrementi la sua attività ed anzi in ragione diretta del suo incremento di attività e di popolazione, sarà sempre più dipendente dal suo commercio con l'estero e dalla sua necessità di sempre maggiore trasformazione di materie prime altrui.

Aggiungo ancora che, nel panorama economico italiano, dopo i nostri rapporti con l'area sterlina, vengono quelli con la Germania per complementarietà di produzioni tradizionali e che intendiamo sviluppare al massimo. Non ci può essere quindi indifferente qualsiasi eventualità che incida sulla soluzione del problema tedesco e siamo interessati al massimo a che questa soluzione avvenga in piena armonia con gli interessi tanto dell'Europa continentale quanto dell'Inghilterra.

Tutto ciò mi induce a far presente a V.E. che l 'unione economica tra Francia e Italia, che ha un immenso valore europeo e politico, è una cosa che può dare i suoi massimi frutti se è fatta d'intesa con l'Inghilterra e attraverso essa in connessione con l'area della sterlina. Non sono estremamente tranquillo, ad esempio, per certi discorsi scambiati con i francesi, presso i quali appare di sovente questo antagonismo con la Gran Bretagna, che giunge talvolta -ne ammetto il lato polemico -a preconizzare un'intesa economica continentale, con la quale sarebbe più facile fare i conti con l'Inghilterra. Si può anche andare, se necessario, a questo, ma, poiché noi siamo più vulnerabili di altri, non prima di avere sperimentato se è possibile evitarlo -ciò che ritengo non solo possibile, ma probabile.

L'esperienza mi ha dimostrato che queste tempeste piccole e grandi finiscono col risolversi, ma si risolvono meglio se anziché rafforzare il fronte francese psicologicamente continentale ed autarchico, noi ci possiamo appoggiare su dei punti di vista intermedi a svolgere cioè opera di armonizzazione. Non creda V.E. che avanzi queste considerazioni solo sulla base di queste ultime esperienze. Ho visto crisi varie in questi mesi e sono portato ad affermare: l) che il nostro interesse in questioni di principio ed in questioni pratiche di carattere economico corrisponde spessissimo e senza alcuna fatica con il punto di vista, il modo di pensare realistico e di risolvere i problemi, nonché con gli interessi britannici, anziché con gli interessi francesi; 2) che, avendo d'altra parte interessi fondamentali anche con i francesi, ci è molto più agevole di svolgere una funzione di conciliazione se non siamo aggiogati al carro di nessuno, poiché in realtà la nostra stessa posizione economica ci impone di contemperare esigenze varie e talvolta divergenti. Non è il caso che io esemplifichi, ma è forse opportuno che accenni a V.E. che, ad esempio su taluni problemi di fondo sull'orientamento economico europeo dei prossimi anni, certe idee care ai francesi-che pur sono riflesso della struttura economica del loro paese -ci trovano molto freddi: tale è il caso, per esempio, delle loro idee assai spinte in materia di specializzazione di produzione europea e di cartellizzazione delle esportazioni. Ed è naturale che in questo campo noi che, come l'Inghilterra, siamo un paese che ha assoluto bisogno nei prossimi anni di conquistare posizioni nuove e livelli molto maggiori di produzione, e cioè abbiamo una situazione mobile ed in ascesa, non ci sentiamo incoraggiati alla specializzazione ed alla cartellizzazione, che significano, in parole povere, e salvo qualche eccezione (tessili), uno stato qua della nostra posizione di inferiorità.

Dall'esperienza avuta ho la convinzione inoltre che, se manteniamo una abbastanza larga libertà di movimento, possiamo non solo svolgere meglio la nostra azione fra Francia e Inghilterra (anche nell'interesse comune italo-francese) ma anche evitare di essere l 'abituale perdente in eventuali contrasti con l 'Inghilterra, poiché non credo ci si debba fare illusioni sull'appoggio francese.

Prescindendo dai vari abbastanza complessi problemi che già esistono in materia economica tra Francia e Italia, dei quali ha riferito l'ambasciata a Parigi in un suo recente rapporto la soluzione dei quali potrà forse essere concertata in sede di discussione nella Commissione itala-francese che si riunirà prossimamente a Parigi, e che comunque sorpassano -così come quelli posti dalla emigrazione -i limiti di queste mie considerazioni, vorrei concludere prospettando a V.E. l'opportunità di uno scambio di idee su quest'argomento dell'unione doganale itala-francese, con gli inglesi in una prossima occasione appropriata.

Mi propongo di farlo io stesso a titolo personale e a puro carattere di tour d'horizon con Hall-Patch, ma l'argomento può essere trattato soltanto da V.E. con Bevin se -come immagino -una riunione avrà luogo a Parigi nel corso di gennaio del Consiglio dell'O.E.C.E.

Del resto, Bevin incontrerà Schuman prossimamente e le questioni dell'O.E.C.E. saranno certo trattate da una parte e dall'altra: è quindi logico che da parte nostra si faccia altrettanto, tanto più che sul terreno dell'O.E.C.E. abbiamo delle discrete posizioni e qualche cosa da dire. Uno scambio di idee oggi può essere molto opportuno, anche per sapere come regolarci, con tutti gli elementi in mano, nel processo di realizzazione dell'unione doganale e delle prossime fasi parlamentari nei due paesi.

Mi consenta infine V.E. di tornare un momento ancora sull'argomento delle unioni regionali. Ho l'impressione che esse rappresentino anche un certo imbarazzo sul piano dell'unione politica europea che è perseguita dal Governo italiano, pur nella indeterminatezza della procedura che potrà essere impiegata per giungervi. Lo stesso problema tedesco, sia economico che politico, è meno arduo da risolvere se è impostato in un quadro europeo occidentale compatto e cioè con una linea di atteggiamento concordata tra Francia-Inghilterra-Benelux ed Italia anziché con una serie di compromessi sorgenti da un contrasto anglo-americano e continentale che si avviverebbe da un nostro fiancheggiamento completo con la Francia.

V.E. mi perdonerà se io mi sono spinto a sottoporle queste varie osservazioni, che ella valuterà meglio nel quadro più generale delle esigenze politiche italiane e nella gradualità che l'attuale sviluppo delle trattative per l'unione italo-francese può consentire. Ho l'impressione infine che, senza perdere di vista i vantaggi che la prossima trattativa sull'unione doganale itala-francese ci può assicurare, una chiarificazione al riguardo con gli inglesi anche su questo punto possa fornirci argomento di utile scambio di idee e di ricognizione delle reciproche posizioni, tanto su questo punto quanto sui problemi più generali del Programma a lungo termine europeo. Ritengo che lo sviluppo di un'attiva collaborazione con l'Inghilterra in questo campo possa anche far meglio intendere agli inglesi le possibilità di adattamento dell'uno e dell'altro piano, così da renderli concomitanti anziché concorrenti.

Un ultimo aspetto della realizzazione di un programma europeo di integrazione attraverso il Programma a lungo termine può essere considerato anche nei confronti dell'Europa orientale con la quale si dovrà pur arrivare a un certo momento ad un settlement economico collettivo. L'Europa orientale è già un tutto integrato, o per lo meno in avanzata via di integrazione economica, e la trattativa frammentaria dei vari paesi europei deli'O.E.C.E. può giovare temporaneamente, ma non vi è dubbio che se e quando l'Europa occidentale potesse presentarsi come un tutto integrato in un'avanzata fase di realizzazione del Programma a lungo termine, essa avrà messo al suo attivo una delle migliori carte del suo gioco nelle trattative necessarie con l'Oriente europeo, sia nel campo politico che nel campo economico.

784 1 Vedi D. 768.

785

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO, MARRAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

MEMORANDUM 844/R.P./C.S.M. Roma, 28 dicembre 1948.

Sintesi delle comunicazioni fatte dallo Stato Maggiore americano nella riunione conclusiva.

l) All'atto dell'entrata in vigore del trattato di pace Marshall ha dichiarato l'interesse degli Stati Uniti al mantenimento della sicurezza in Italia. Essenziale è dunque che l'Italia mantenga la propria sicurezza interna. L'esistenza di formazioni militari comuniste e i notevoli quantitativi di armi in loro possesso non si conciliano con siffatta sicurezza.

2) Truman, in un colloquio con l'ambasciatore Tarchiani 1 , ebbe a considerare l 'Italia come membro naturale di un raggruppamento delle potenze europee occidentali. Gli Stati Uniti vedrebbero dunque volentieri l'Italia nel Patto di Bruxelles e, successivamente, nella Unione atlantica. È previsto che tale unione possa cominciare a funzionare nella primavera prossima2 .

3) Gli aiuti militari all'Italia da parte degli Stati Uniti si inquadrano negli aiuti militari agli Stati aderenti al Patto atlantico sui quali ancora deve pronunciarsi il Congresso. L'Italia potrebbe cioè ricevere aiuti per il suo riarmo subordinatamente alla sua adesione al Patto di Bruxelles e alla sua successiva inclusione nel Patto atlantico.

4) In rapporto all'interesse degli Stati Uniti al mantenimento della sicurezza interna, qualora fosse avvertita una situazione di pericolo, potrebbero essere concessi aiuti militari con carattere di urgenza.

5) Attualmente, quale linea di difesa dell'Europa occidentale viene considerata quella svolgentesi lungo il Reno, le Alpi occidentali. Se l'Italia manifesterà il proposito di partecipazione all'unione dell'Europa occidentale è intendimento dello

S.M. americano aderire alla linea proposta dal generale Marras: linea inglobante tutto il territorio italiano.

6) L'industria italiana dovrà essere utilizzata al massimo per il fabbisogno delle FF.AA. italiane. Pur essendo i fondi E.R.P. destinati alla ricostruzione economica industriale, parte d'essi può essere proficuamente devoluta al potenziamento delle industrie attinenti alla guerra: specie siderurgiche e automobilistiche.

7) Ufficiali italiani potranno partecipare a scuole di addestramento americane a cominciare dal settembre 1949.

D. 719.

2 Nota del documento: «Nei riguardi dell'Unione atlantica e della organizzazione dell'Europa occidentale l'amm. Hillenkoetter prevedeva decisioni importanti nelle prossime settimane».

Tanto il generale Bradley quanto il generale Wedemayer in colloqui particolari hanno tenuto a mettere in rilievo che la forma schietta delle risposte fu determinata dal desiderio di un'assoluta franchezza anche nei rapporti militari.

Sulla situazione generale mi hanno espresso il loro apprezzamento sia il generale Wedemayer che l'amm. Hillenkoetter.

Il generale Wedemayer ha sottolineato che in Italia esiste circa il 30 per cento di comunisti i quali rappresentano indubbiamente un pericolo. Ha aggiunto che a suo avviso il comunismo deve essere contrastato nel campo politico, economico e anche culturale e psicologico.

Nei riguardi generali si è dimostrato alquanto pessimista, considerando con preoccupazione i prossimi diciotto mesi.

L'ammiraglio Hillenkoetter, capo del servizio informazioni, si è dimostrato invece più ottimista, accennando anche a difficoltà interne della Russia nell 'Ucraina e in genere in tutta la regione euro-asiatica meridionale, oltre che alle resistenze che si manifestano in Polonia e all'atteggiamento di Tito.

Metto in rilievo la grande importanza attribuita alla situazione interna dell'Italia, ripetutamente sottolineata, anche dal generale Wedemayer. In un colloquio particolare egli mi ha aggiunto che la fiducia degli Stati Uniti va particolarmente a determinate persone.

Ho infine rilevato che mentre inizialmente l'orientamento generale sembrava per una ammissione diretta dell'Italia al Patto atlantico, nella riunione finale è prevalso un orientamento alquanto diverso.

Tale mutamento potrebbe essere attribuito ad un'azione svolta dall'Inghilterra nell'intervallo.

È mia impressione che il Governo degli Stati Uniti e la stessa opinione pubblica americana siano in attesa, da parte dell'Italia, di decisione a breve scadenza la cui mancanza avrebbe certamente una ripercussione sfavorevole.

785 1 Si riferisce al colloquio svoltosi in occasione della visita di Marras a Truman per il quale vedi

786

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 14491/681. Roma, 29 dicembre 1948, ore 21.

Suo 1024 1•

VE. può far sentire fin d'ora Dipartimento di Stato che io sono convinto necessità aderire Patto atlantico secondo le linee che già dissi a Marshall. Informazione di Schuman è dunque esatta, ma VE. comprende che per una formulazione ufficiale del nostro pensiero desidero aspettare ritorno presidente del Consiglio dalla Sicilia2 .

786 1 Vedi D. 781. 2 Per la risposta vedi D. 791.

787

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16650/447. Mosca, 29 dicembre 1948, ore 19,30 (per. ore 8 del 30).

Telegramma di V.E. 229 e 230 1•

Questo incaricato d'affari U.S.A. mi comunica che il suo Governo pur consi·· derando atteggiamento turco letteralmente conforme art. 29 Convenzione Montreux ha adottato in conformità a iniziativa inglese la linea di condotta di svolgere opera persuasiva puramente amichevole ad Ankara affinché Governo turco desista dalle difficoltà sollevate tenendo conto del momento politico e del fatto che trattasi in definitiva di navi già assegnate dal trattato di pace ad un paese rivierasco. Sopratutto le due potenze tenderebbero ad evitare che questione diventasse oggetto pubblico contrasto in seguito comunicazione ufficiale della Turchia alle potenze firmatarie della Convenzione o di altre potenze, ai quattro ambasciatori o in altro qualsiasi modo. Tanto trasmetto per debito di informazione.

788

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16653/1027. Washington, 29 dicembre 1948, ore 22 (per. ore 8 del 30).

Suo 678 1• Dipartimento di Stato ha accolto con compiacimento comunicazione di questa ambasciata come da ultimo periodo telegramma. Esso aveva ricevuto analoga comunicazione da Dunn in seguito a suo colloquio con V.E.2 nonché notizia nello stesso senso e in termini assai netti da parte francese. Circa procedura per passare a fase pratica nostro inserimento organizzazione occidentale Dipartimento di Stato conferma essere necessario e sufficiente che Governo italiano faccia conoscere a tutti Governi interessati suo desiderio partecipare sistema difensivo occidentale attualmente in gestazione.

Siffatta comunicazione, quantunque generica, dovrebbe avere come presupposto decisione italiana aderire Patto atlantico ed anche a quello di Bruxelles, qualora adesione a quest'ultimo appaia opportuna tanto a Governo italiano quanto attuali con

788 1 Vedi D. 768, nota 6.

Vedi D. 778.

1168 traenti, oppure sia resa necessaria da adozione formula di cui miei precedenti telegrammi (paesi che si affacciano sull'Atlantico e paesi partecipanti a Patto Bruxelles).

Opposizione Gran Bretagna e Benelux perdura, ma Dipartimento di Stato la ritiene superabile. Esso, nel corso trattative Washington, pur constatando mancanza fin ad ora di indicazioni dirette circa propositi Governo italiano, ha lasciato intendere chiaramente che U.S.A. sarebbero favorevoli inclusione nostro paese.

Trattative, sospese per feste e soprattutto per dare ai cinque Governi europei tempo pronunciarsi su risultati già raggiunti, ricominceranno intensamente primissimi genna10.

787 1 Vedi D. 774.

789

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 14533/683. Roma, 30 dicembre 1948, ore 22,40.

Si sono iniziati in questi giorni a Roma e Belgrado negoziati intesi risolvere talune questioni pendenti fra due paesi, alcune delle quali connesse con trattato pace. Trattasi accordo per pesca Adriatico e questione nazionalizzazione e trasferimento beni optanti che siamo riusciti connettere con questioni di interesse jugoslavo quali cessione navi guerra (art. 57 trattato) e consegna macchinari raffinerie R.O.M.S.A. già in territorio ceduto.

È esclusa per ora ogni discussione sia per riparazioni sia per ampliamento accordi commerciali vigenti.

Poiché alcuni nostri organi stampa, riecheggiando infondate notizie pubblicate da agenzie americane, hanno dato certa risonanza ad inizio negoziati su accennati, ritengo utile V.E. ne precisi costì esatta portata.

790

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 16698/357. Belgrado, 30 dicembre 1948, ore 21,35 (per. ore 8 del 31).

Invio per corriere prossimo dichiarazioni Kardelj all'Assemblea popolare.

Mi limito ora segnalare passi riguardanti Trieste e relazioni con Italia:

l) circa Trieste, ministro degli affari esteri dichiara che Jugoslavia non poteva essere soddisfatta trattato «perché in questa questione danni e ingiustizie sono state fatte a noi ed a nessun altro» ma che tuttavia Jugoslavia intende mantenere fedelmente impegni. «Tre potenze occidentali» invece hanno violato trattato con dichiarazioni a favore ritorno Trieste all'Italia, con stipulazione accordo commerciale fra la Zona A e l'Italia, con politica anti-slava a Trieste.

2) Circa rapporti con l'Italia vengono citati lavori per delimitazione confini (con accenno a difficoltà che proverrebbero attualmente da parte italiana), ampie facilitazioni jugoslave agli optanti, tutela culturale minoranza italiana, accordo beni optanti. Kardelj considera ritardate questioni restituzioni industriali e di naviglio che «appena poco tempo fa si sono messe in movimento» e segnala «scarsa prontezza» italiana in tema riparazioni. Auspica allargamento accordi commerciali ed affaccia speranze soluzione problema pesca.

791

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16707/1036. Washington, 30 dicembre 1948, ore 20,14 (per. ore 8 del 31).

Ministeriale n. 681 1•

Dipartimento di Stato ha accolto con vivo compiacimento comunicazione di cui telegramma sopracitato, fattagli oggi confidenzialmente in attesa formulazione ufficiale atteggiamento italiano circa Patto atlantico.

792

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

TELESPR. 16/180l SEGR. POL 1 . Roma, 30 dicembre 1948.

Riferimento: per ultimo telespresso di questo Ministero n. 1442 segr. poi. del 15 ottobre u.s. 2 •

791 Vedi D. 786.

2 Con il quale Sforza aveva trasmesso il promemoria del 2 ottobre (vedi D. 474) con le seguenti istruzioni: «Ove venga fatto cenno alla S.V. del promemoria in questione faccia comprendere al Ballhaus che ci attendiamo quanto meno da parte austriaca delle assicurazioni largamente e pubblicamente diffuse che agli alto-atesini che intendano rimanere in Austria il Governo austriaco verrà incontro facilitando loro l'acquisto della cittadinanza austriaca e la loro completa e definitiva inserzione nella vita economica del paese».

La politica di coazione morale ed economica svolta dal Governo austriaco per indurre gli alto-atesini, anche se nolenti, a rioptare per l'Italia era stata motivo, oltre che delle rimostranze fatta dalla S.V. fin dall'aprile scorso in ottemperanza alle istruzioni ministeriali di cui al telegramma n. 763 , anche del promemoria rimesso dal segretario generale a questo ministro d'Austria il 2 ottobre u.s. e di cui al telespresso surriferito.

A tale promemoria questa legazione d'Austria dava il 20 novembre una risposta il cui tenore del tutto insoddisfacente (Ali. 1)4 determinava uno scambio di lettere personali fra il segretario generale ed il ministro Schwarzenberg (Allegati II e II1)5 che fa stato della divergenza di vedute in merito alla questione in oggetto.

La notizia data dalla stampa austriaca il 27 novembre (e di cui alla segnalazione della S.V. n. 14530/1401 in data del 10 corrente)6 delle decisioni adottate il 2 novembre dal Consiglio dei ministri austriaco circa la posizione degli alto-atesini in Austria ha inserito nella divergenza stessa un elemento nuovo che rafforza la nostra tesi e dà rilevanza giuridica alle eccezioni e alle riserve da noi tempestivamente formulate circa la possibile configurazione di un «vizio di consenso» tale da invalidare le istanze di revoca delle opzioni che risultassero presentate sotto l 'assillo di pressioni morali ed economiche.

Il direttore generale degli affari politici nel rimettere il 22 corrente a questo ministro d'Austria un promemoria7 che precisa il nostro punto di vista lo ha illustrato verbalmente sottolineando come il provvedimento del Consiglio dei ministri austriaco adottato a tre mesi dalla scadenza delle riopzioni abbia condotto la politica di pressione ufficiosa e d'intimidazione propagandistica dell'Aussenstelle di Innsbruck alla seguente reductio ad absurdum morale e giuridica: agli alto-atesini che, col presentare l'istanza di revoca dell'opzione, hanno manifestato l'intenzione di ritornare cittadini italiani viene accordata la parificazione ai cittadini austriaci mentre tale parificazione viene negata a chi, con il non presentare tale istanza, ha indicato chiaramente di considerarsi ormai legato, spiritualmente ed economicamente, all'Austria.

Nell'allegare copia di detto promemoria (nonché di un appunto relativo al colloquio fra questo direttore generale degli affari politici ed il ministro Schwarzenberg)6 si prega V.S. di volersi esprimere nello stesso senso al Ministero degli esteri austriaco e, ove lo ritenga opportuno, anche ad un livello più alto come ha suggerito lo stesso ministro Schwarzenberg.

Quello che appare necessario è che sia ben chiaro al Governo austriaco il nostro punto di vista affinché non si sia costà impreparati ad un nostro irrigidimento o quanto meno alla nostra più ristretti va aderenza alla lettera dell'Accordo di Parigi.

4 Vedi D. 632.

Vedi D. 738. 6 Non pubblicato. 7 Vedi D. 769.

Non sarebbe, infatti, giusto che fossimo soltanto noi a doverci ispirare a quell'equità e a quella larghezza di vedute sotto il cui segno fu deciso a Parigi di considerare la revisione delle opzioni.

Si aggiunge, per riservata informazione della S.V., che è stato qui rilevato con disappunto come le misure discriminatorie di cui trattasi siano state adottate alla vigilia del viaggio del ministro Gruber a Roma8 e siano state rese pubbliche suc·· cessivamente a tale visita.

792 1 Indirizzato per conoscenza alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ufficio per le zone di confine.

792 3 Vedi serie decima, vol. VII, D. 621.

793

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 16695/81. Lussemburgo, 31 dicembre 1948, ore 0,45 (per. ore 8).

Ho incontrato deputato Loesch presidente sottocommissione cinque Potenze per Unione Europea rientrato da Parigi. Egli mi ha detto, a titolo confidenziale, che durante le ultime riunioni, nel corso delle quali venne esaminato anche memorandum di V. E. 1 , era stato raggiunto accordo di massima. Parlamento europeo avrebbe funzioni consultive e tratterebbe problemi sottopostigli da Consiglio europeo pur avendo facoltà avocare direttamente a sé alcune questioni non trattate da organi già costituiti come O.E.C.E. Questioni militari sarebbero escluse da sua competenza. Rimarrebbero tuttavia ancora diversi punti da chiarire fra i quali criterio di scelta dei membri diversi Parlamenti. Ciò interesserebbe particolarmente Governo inglese poiché se dovessero essere scelti alcuni membri fra opposizione, non potrebbe essere escluso Churchill che verrebbe automaticamente assumere figura troppo rilevante. Per questa ragione rappresentanti inglesi si sarebbero mostrati riservati circa approvazione Bevin. Secondo Loesch partecipazione Italia sarebbe pacifica. Credeva infatti che su questo punto inglesi e francesi erano d'accordo. Sempre a suo dire, durante prossime riunioni si presenteranno probabilmente due seguenti possibilità:

l) che sia dichiarata costituita Unione Europea e siano chiamati altri Stati ad aderirvi; 2) che altri Stati siano chiamati in precedenza a far parte del gruppo degli Stati fondatori.

793 1 Vedi D. 350, Allegato.

792 8 Vedi DD. 586 e 621.

794

L'AMBASCIATORE A CARACAS, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 16728/99. Caracas, 31 dicembre 1948, ore 14,50 (per. ore 8 del 1" gennaio 1949).

Riferiscomi telegramma 88 1• Ho fatto visita ministro degli affari esteri seguendo analogo atteggiamento inglese e francese continuazione relazioni diplomatiche.

Ministro Gomez Ruiz ringraziando per passo compiuto mi ha dichiarato che nuovo Governo intende avvicinarsi sempre più Italia andando incontro nostri desideri in ogni occasione.

Circa emigrazione desidererebbe regolarla meglio perciò riterrebbe opportuno stipulazione trattato. Relativamente trattative questione navi sequestrate mi ha assicurato voler prendere accordi per cancellare ogni pendente residuo periodo bellico. Riferisco separatamente su ogni argomento per corriere.

795

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON L'AMBASCIATORE DEL BELGIO A ROMA, MOTTE

APPUNT01 . Roma, 31 dicembre 1948 (sera).

Dopo firmato, in casa mia, l'accordo italo-belga-lussemburghese2 , l'ambasciatore del Belgio chiese di potermi parlare a parte. Mi disse aver ricevuto una lunga lettera personale di Spaak sulle colonie e me ne voleva dar contezza.

Spaak osserva che bisogna usare i tre mesi a nostra disposizione per eliminare questo brandon de discorde che potrebbe divenire la questione dei nostri mandati e che quindi bisogna parlare all'Inghilterra.

lo: Avete visto una mia intervista di giorni fa in cui dissi che non si va o si rimane in Africa senza una piena intesa coi paesi più interessati? Matte disse che l'aveva spedita a Spaak il quale -aggiunse -diceva anche nella sua lettera: che secondo lui, e secondo tutti, la Somalia deve venire a noi; che

per l 'Eritrea egli farà tutto quanto può perché venga a noi, meno Assab e la parte meridionale; che per la Cirenaica bisogna rendersi conto che, perduto l'Egitto, essa è necessaria all'lnghilterra e che in certi casi ciò può essere militarmente utile anche a noi, come è forse necessario per gli U.S.A.

lo: Bisognerebbe almeno che la Gran Bretagna ricevesse i nostri vecchi coloni della zona fertile della Cirenaica-nord; è senza senso temer comunisti italiani presto riconoscibili, mentre nessuno riconoscerà mai gli arabi che diventino comunisti.

Matte aderì (ma conta poco) e aggiunse che per la Tripolitania il pensiero di Spaak era che dovesse andar all'Italia ma solo quando questa fosse in grado di tenerla militarmente, perché non si può pretendere che l'Inghilterra tenga armati in Tripolitania finché ciò possa far comodo all'Italia.

lo: Questo caso non si verificherà; perché noi contiamo andare in Tripolitania con sole forze di polizia e con valide intese cogli arabi. Aggiunsi a Motte che di ciò io avevo francamente parlato a Cannes con Schuman3 che aveva aderito al mio pensiero.

Alla fine della nostra conversazione dissi a Motte di ringraziare vivamente Spaak non solo a nome mio ma anche del presidente De Gasperi tuttora assente di cui so quanto vivo e simpatico il ricordo delle sue conversazioni col collega belga a Bruxelles4 .

794 1 Del 29 dicembre, con il quale Zoppi aveva dato istruzioni di intrattenere, sulla scia dell'atteggiamento inglese e francese, relazioni di fatto con il nuovo Governo venezuelano, subordinandone il riconoscimento ad analogo passo statunitense.

795 1 Autografo.2 Ed. in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l 'italia e gli altri Stati, vol. LXV[J, cit., pp. 548-590.

796

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1817/22729/4981. Parigi, 31 dicembre 19481•

L'incontro di Cannes2 , e il precedente viaggio a Parigi del presidente del Consiglio3 si sono svolti in un'atmosfera più che amichevole: la soddisfazione per questi contatti personali è stata, a quanto mi è permesso giudicare, dalle due parti, grande, ed essi rappresentanto, tutti e due, sebbene su piani differenti, più generico il secondo, più preciso e sostanziato il primo, un'importante tappa nei rapporti dei due paesi.

Non vorrei però che dall'atmosfera di questi due incontri ne derivasse, da parte nostra, una valutazione troppo ottimistica di quello che è lo stato reale dei rapporti italo-francesi. Essi possono essere definiti oggi, senza dubbio, soddisfacenti: non sarei però onesto se non aggiungessi che, personalmente, non ne sono del tutto soddisfatto, in quanto essi mi sembrano, a tutt'oggi, instabili, superficiali, e poco

4 Vedi D. 664.

2 Vedi D. 768.

3 Vedi D. 664.

sviluppati in profondità. Sopratutto va tenuto presente che esiste un grave sfasamento fra il Governo il quale, nel complesso, si rende conto dell'opportunità, anzi della necessità di questo riavvicinamento, e il paese che se ne rende molto meno conto.

La mia impressione è che, tutto compreso, da parte nostra si sia andati avanti molto più che in Francia. L'elemento dirigente, in Francia, politico economico e culturale, ha fatto effettivamente dei passi avanti nel senso del rapprochement, in misura che, un paio di anni addietro, sarebbe stato assai azzardato sperare. Ma se dagli strati superiori passiamo alle classi medie e basse, a mano a mano che scendiamo, troviamo sempre più vivo tutto un complesso di risentimenti, di gelosia, di astio che sarebbe grave errore sottovalutare. Tanto più che in questa situazione preelettorale, questo stato d'animo della massa francese non può non avere il suo effetto sulle disposizioni del Parlamento francese al nostro riguardo. Né va sottovalutata la campagna sorda, ma costante e spesso abile che sta facendo il partito comunista contro di noi, e che non manca di avere il suo effetto anche su circoli che con il comunismo hanno poco a che fare.

Ma se andiamo a vedere a fondo anche per le classi superiori, è facile accorgersi che tutto il vecchio complesso francese verso l'Italia, complesso che, non certo solo per colpa nostra, ha per 70 anni resi difficili i rapporti fra Italia e Francia, non è morto, ma soltanto sopito.

A questo riguardo, il rifiuto parlamentare dell'accordo per le frontiere deve essere considerato come un richiamo alla realtà sia per noi, sia per il Governo francese. In sè è una cosa che non occorre drammatizzare: ma nelle motivazioni, da ogni parte, il motivo del coup de poignard dans le dos, del pericolo italiano, dell'aggressività italiana ritornano ad ogni passo e senza reticenze.

L'esempio dell'astio con cui da parte francese viene ancora condotto tutto quello che concerne la Tunisia è anche esso abbastanza eloquente.

Prendiamo anche un altro campo, quello dell'emigrazione. Noi riteniamo che con l'emigrazione rendiamo un servizio a noi stessi, ma ne rendiamo uno non minore alla Francia. Ma questo non è affatto il pensiero del francese medio: il francese medio -e come francese medio intendo in buona parte anche tutto l'apparato amministrativo -la intende invece solo come un grande piacere che la Francia tà all'Italia: i lavoratori vi vedono dei concorrenti pericolosi, non per i salari, ma per la loro voglia di lavorare; i datori di lavoro si meravigliano che questi straccioni non siano più quelli di prima e che vogliano salari ed abitazioni, come degli esseri umani: gli uffici governativi si meravigliano che abbiano la pretesa di voler mandare le loro economie in Italia: e poi ci si dice, anche apertamente, che bisogna disperderli per tutta la Francia, che non sono ammissibili concentramenti di italiani in certe zone: per le colonie l'emigrazione italiana dovrebbe essere inviata soltanto in quei territori dove la vita è troppo dura per i francesi: il sospetto del secondo fine traspare da ogni parte.

Quando si parla di cooperazione sul piano economico e finanziario, si ammette come assioma sottinteso che la maggioranza deve essere in tutti i casi francese: le liste delle zone tabù, sabbene non scritte, sono vaste.

Se dovessi riassumere il pensiero del francese medio sui rapporti italo-francesi potrei, all'incirca definirlo così: bien sur, l'Italia e la Francia, sorelle latine, debbono unirsi: ma voi italiani ci avete attaccato proditoriamente nel 1940: la Francia vinci

trice e generosa è pronta a perdonare, ma non a dimenticare: l'Italia deve meritarsi questo suo perdono mostrando, in tutte le occasioni, che essa è ben cosciente di questa sua colpa, accettando francamente la sua posizione di inferiorità, deve tener presente che la Francia ha tutto il diritto di non fidarsi di lei. Bisogna che voi italiani sappiate riconoscere e mantenere le distanze.

E sopratutto l'Italia ne doit pas se relever trop vite.

Da parte nostra, parlo della gente, numerosa in realtà, che viene a Parigi, c'è, nel riavvicinamento verso la Francia un certo elemento affettivo e sentimentale: c'è la speranza che Francia e Italia unite possano prosperare per il bene dell'umanità, oltre che per il loro stesso. Da parte francese, se si eccettua qualche isolato italianisant che non conta niente, non c'è nulla di simile. C'è soltanto un cortese calcolo. I francesi in fondo, tranne qualche rara eccezione, non hanno compreso niente di quello che è accaduto nel mondo, in Francia e fuori: sono ancora convinti che la grandeur francese è di diritto divino, che la eclissi francese è solo temporanea: che appoggiandosi sulla massa italiana essi possono riportare più rapidamente la Francia alla sua naturale posizione: l'Italia se sarà buona, potrà profittare qualche cosa di questo nuovo rayonnement della Francia, ma essa deve essere lieta di lavorare per la gloria della Francia. Non che i francesi non si rendano conto che lo stato attuale della Francia è tutt'altro che brillante, ma c 'est la faute du Gouvernement: se il Governo francese facesse questo o quello, la Francia sarebbe di nuovo il primo paese del mondo. Il francese medio crede ancora sinceramente, oggi, che tutto il mondo ama ed ammira la Francia, che si addolora della sua eclissi, e che il giorno in cui la Francia e Parigi tornassero ad essere quello che erano sotto Luigi XIV, sarebbe un gran giorno per tutta l'umanità. E chi non ci crede è un nemico della Francia.

Non creda che con questo voglio drammatizzare la situazione: voglio soltanto rilevare che il problema dei rapporti italo-francesi non è ancora risolto: che non ci lasciamo prendere dall'euforia ma che guardiamo le cose come sono.

I rapporti itala-francesi sono indiscutibilmente migliorati, ma molti sono gli scogli sotterranei: la situazione è ancora assai delicata: essi sono certo suscettibili di forte miglioramento, ma ci vuole tempo, pazienza e cura: ci vogliono ancora degli anni di lavoro paziente, silenzioso, accorto prima che si possa dire di aver data ad essi una base veramente solida. La situazione francese è ancora molto fluida, le influenze interne ed esterne a noi contrarie sono ancora forti: siamo appena ai primi passi del rapprochement, il cammino da fare è ancora molto. Il Governo, su questa via, è molto più avanzato del paese, ma esso, bisogna riconoscerlo, non ha fatto niente -e non fa niente -per popolarizzare in Francia l'idea del rapprochement. In buona parte non gliene si può fare una colpa: è troppo debole, è troppo instabile perché si possa realmente contare su di lui: esso può seguire, non certo guidare, la sua opinione pubblica, il suo Parlamento. Noi da parte nostra poco possiamo fare: bisognerebbe spendere dei milioni per la stampa: non li abbiamo: non crediamo alla propaganda: e la stampa francese si offende perché siamo i soli a non pagarla, ossia a non prenderla sul serio.

Da queste considerazioni vorrei trarre alcune conclusioni:

l) guardiamoci da voler correre troppo: guardiamoci dal voler forzare la mano alla Francia: contentiamoci di fare quei passi concreti, anche se piccoli, che la Francia è disposta a fare. A parole il francese è oggi disposto a tutto, sul piano

italo-francese, sul piano europeo: sul terreno pratico esso non è disposto a niente. A voler correre troppo si rischia di avere delle reazioni che possono invece far fare al riavvicinamento dei passi indietro. Parliamo pure di riavvicinamento italo-francese sul piano generale o retorico che dir si voglia, ma andiamo piano sul terreno pratico, sia che si tratti di emigrazione, di collaborazione sul piano concreto economico e finanziario o di che si vuole. Non ci dimentichiamo che su questo terreno c'è un equivoco fondamentale: i francesi vogliono assorbire l'Italia, noi contiamo di assorbire la Francia: i francesi lo sanno e ne hanno un riserbo istintivo: ci disprezzano in un certo senso, ma hanno paura della nostra pujanza: andiamoci piano, nascondiamo le coma quanto è possibile.

2) Non ci facciamo illusioni su quello che la Francia ci può dare in cambio della nostra amicizia, nel campo internazionale. La Francia conta poco o nulla nel campo internazionale: di tutte le sue forze essa ha bisogno per difendere quelli che considera i suoi interessi: vulnerabile come è da per tutto, essa non ha la possibilità di sostenerci a fondo: può sempre essere obbligata a mollare un interesse nostro per non sacrificame uno suo: e lo fa naturalmente, direi senza malizia. Diamo ai francesi l'impressione che contiamo su di loro: poveretti, fa loro tanto piacere che lo si creda: ma guardiamoci dalle reazioni, se ad un certo punto la Francia ci deve mollare. Poveretta, essa ci molla perché non può fare altrimenti, ma non lo ammetterà mai: se ci molla vorrà persuadersi che è perché i nostri interessi erano in contrasto con i suoi: invece di scusarsi di averci mollati, ce ne vorrà. E sopratutto non crediamo che i migliorati rapporti con la Francia possano sostituire i nostri rapporti con altri paesi europei, piccoli o grandi che siano. Lo potranno forse un giorno se essi diventeranno realmente solidi, se la Francia si sarà un po' ripresa, ma non oggi.

Per molte ragioni, non ultima il fatto che la mia sede di lavoro è Parigi, ci tengo molto ai rapporti italo-francesi e ritengo che riconosceme oggi l'instabilità, le difficoltà, la portata effettiva molto limitata, e la necessità di curarli come una pianta di serra sia il migliore forse l 'unico modo di non comprometterne né l'esistenza né lo sviluppo.

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IL MINISTRO AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 3817/1274. Ottawa, 31 dicembre 1948 1•

Ho l'onore di riferire a V.E. il succo di alcune conversazioni avute in queste settimane, sul Patto atlantico, con autorevoli esponenti del Governo canadese: il primo ministro St. Laurent, il signor Claxton, ministro della difesa, e ad interim

1177 degli affari esteri nella lunga assenza di Pearson, e questo ultimo al suo ritorno ad Ottawa. Si tratta di prime conversazioni ed approcci di carattere politico, dopo le generiche prese di contatto di cortesia, all'inizio della mia missione. Ed in esse non potevo, per parte mia, non mantenermi un po' vago per quanto concerneva le intenzioni concrete ed i desideri di Roma, data la nostra situazione politica e la mancanza di informazioni fresche, tranne l'Ansa ed il New York Times, sulle direttive del Governo e sull'azione di V.E. presso le tre grandi capitali dell'Occidente.

Ho naturalmente compensato questo mio necessario riserbo, ponendo dettagliatamente al corrente i miei interlocutori delle dichiarazioni aneutralistiche di V.E. in occasione degli ultimi dibattiti alla Camera, del discorso del presidente del Consiglio e della grande vittoria parlamentare del Governo. Ho posto in rilievo la necessaria, indispensabile posizione dell'Italia nell'Europa e nella civiltà occidentale, sempre sottolineata da V.E. Li ho informati anche della visita del generale Marras agli Stati Uniti su pressante invito di Washington e del successo da essa avuto in tutti gli ambienti americani e specie in quelli militari. In sostanza, non potendo dire in poche parole, ho lasciato intendere con molte.

Gli esponenti del Governo canadese, sono molto matter offact e non usi -tranne Pearson -alle sottigliezze diplomatiche, né alle volte, per la loro natura nordica, afferrano a volo le allusioni. Comunque non mi è sembrato di trovare presso i miei interlocutori alcuna preconcetta ostilità nei confronti di una eventuale -e vorrei dire probabile -partecipazione dell'Italia al Patto atlantico, del quale sono tutti entusiastici sostenitori e che vorrebbero vedere concretato ed in funzione al più presto.

Sull'argomento di un nostro ingresso nella progettata unione -mantenuto, ripeto, in limiti necessariamente generici ed in termini di principio -ho però riscontrato presso i tre miei interlocutori delle nuances un po' diverse. Più riservato, il primo ministro, d'altronde assorbito nella politica interna e di partito. Più caloroso, Claxton. Direi, incline ad accettare, se non con particolare entusiasmo con comprensione e -mi è anche sembrato -con sufficiente simpatia, il ministro Pearson. Tutti e tre erano poi abbottonatissimi sui punti ancora controversi delle trattative di Washington e forse, specie i primi due, per insufficiente conoscenza di tutti i dettagli: tanto è che l'ambasciatore del Canada a Washington, Hume Wrong, sarebbe presto qui richiamato a dare di viva voce spiegazioni e chiarimenti.

Dopo questa premessa, un po' lunga ma credo necessaria a rendere l'atmosfera di Ottawa, ecco l'essenza dei colloqui.

l) Il primo ministro St. Laurent. Ha accolto con molte approvazioni e consensi calorosi la mia esposizione sul convincimento di V.E. dell'impossibile neutralità fra Oriente ed Occidente: sono idee identiche alle sue e che egli si sforza di far accettare ai franco canadesi, alcuni di tali ambienti essendovi piuttosto restii. Considera il Patto atlantico come un patto regionale, da collegare con tutta una serie di accordi difensivi di sicurezza collettiva, destinati ad unire col tempo tutte le nazioni fuori della cortina di ferro. È profondamente convinto che questo sia l'unico modo per persuadere Stalin ed i minori dirigenti del Kremlino ad astenersi da ulteriori mosse espansionistiche e, quindi, ad assicurare alla umanità il mantenimento della pace. Ove ciò risultasse impossibile per una impotetica pervicacia russa -il che egli escluderebbe -tutte le nazioni associate si troverebbero almeno ad affrontare un

nuovo conflitto nelle migliori condizioni, con la sicurezza già iniziale di vincere. La indispensabile coalizione sarebbe già costituita, anziché formarsi per la pressione di successivi eventi, come nelle due ultime guerre mondiali.

Quanto alla accennata catena dei patti, il Canada è interessato al Patto atlantico e così pure potrebbe partecipare ad un futuro Patto del Pacifico. Non così ad un Patto mediterraneo ed al Trattato panamericano di Rio. Tutti i patti sarebbero collegati dalla partecipazione dell'Inghilterra e da quella degli Stati Uniti.

Circa l'Unione Occidentale, almeno nella sua forma attuale, e le sue connessioni col Patto atlantico, sembrò trovare l'argomento quasi alla pari di una teorica disquisizione giuridica. Per quanto concerne il Canada, gli attuali componenti di detta unione entrano infatti tutti nel Patto atlantico, sicché vi è identità di fattori come si dice nelle formule matematiche.

A proposito del contenuto del Patto atlantico e delle eventuali differenze col Patto di Bruxelles, mi disse che non aveva avuto ancora il tempo di leggere e studiare il progetto recentemente preparato dai Cinque europei per le trattative di Washington, né conosceva bene tutti i dettagli di queste ultime.

Infine sull'argomento di una partecipazione od accessione dell'Italia al Patto atlantico, seguì con attenzione la mia esposizione ed i miei ripetuti riferimenti al desiderio del Governo di Washington ed alle insistenze fatteci dallo State Department per una nostra sollecita decisione, che lasciai vagamente intendere come probabile e prossima. Non mosse alcuna obiezione, come di cosa perfettamente naturale e logica, né ebbe il minimo accenno ad eventuali nostre alternative di adesioni ad altri patti. Anzi, a proposito di Patto mediterraneo, mi riferì la radicata volontà di Bevin di unire in tale accordo tutti gli Stati «dal Pakistan sino alla Grecia». La mancata inclusione dell'Italia, potrebbe esser forse quindi una riprova di favorevoli disposizioni, anche dello stesso St. Laurent, per un nostro ingresso nel Patto atlantico, data la concezione generale della catena di accordi da lui prospettatami e qualche riserva che mi è sembrata scorgere in lui circa il Medio Oriente.

Il fatto che il primo ministro conoscesse tanto bene le idee di Bevin, in materia di questo Patto cosiddetto mediterraneo, è ben spiegabile, data la di lui partecipazione alla riunione di ottobre del Commonwealth a Londra, dove certo si discusse dei patti e dell'Italia.

2) Ministro della difesa, Claxton. Claxton è il tipo americano, forse più che inglese. È stato, credo, nel 1945 in breve sosta a Roma ed a Capri per sue incombenze militari e ne parla volentieri. Mi è sembrato di sentire in lui una sensibile simpatia per l'Italia.

In una diffusa conversazione, in risposta a mie domande, mi disse che il Governo canadese riteneva che nel Patto atlantico dovessero naturalmente entrare, oltre i Sette delle trattative di Washington, almeno tre dei paesi scandinavi che vi si andavano predisponendo (Danimarca, Norvegia ed Islanda), nonché la Svezia, ove superasse le note sue perplessità. Proseguendo nel settore geografico atlantico, vi era l'Irlanda; non vi era motivo di disperare di averla dentro il Patto, prima o poi; e qui un sorriso, quasi ad intendere che Dublino, dato l'ovvio suo interesse, dovrebbe non insistere oltremodo nei suoi tentativi di negoziare l'adesione per trame vantaggi territoriali.

Scendendo ancora -proseguì -vi è il Portogallo, anche a causa delle Azzorre. Vi è poi la Spagna, la cui inclusione era considerata qui molto desiderabile ed anche Washington si andava convincendo: ma vi erano ancora molte difficoltà specie a Londra, sicché per il momento la cosa era esclusa. lovero i due Stati iberici avrebbero potuto partecipare invece ad un Patto mediterraneo, coll'Italia, la Grecia e la Turchia: nonostante qualche mia discreta allusione, non mi accennò né ai propositi di Bevin dettimi da St. Laurent, nè ad estensioni agli Stati arabi. È possibile quindi che ignorasse tali propositi e progetti o li considerasse segretissimi. Claxton ha però concluso il suo riferimento al Patto mediterraneo dicendomi che questo era prematuro e che al riguardo vi era ancora tutto da fare. E qui tornò al Patto atlantico, e mi disse: vi è poi l'Italia. Mi chiese poi, carrément, se avessimo già preso una decisione

o se volessimo entrarvi, sottointendendo che ne era ormai tempo. Gli risposi ripetendo diffusamente gli argomenti accennati al principio di questo rapporto ed allu·· dendo a possibilità di decisioni affermative di Roma a non lunga scadenza. Mi disse allora, coi suoi modi netti: ebbene comunicateci appena possibile la vostra decisione! La mia impressione è che egli sia qui una delle personalità del Governo meglio disposte, se non la più favorevole, ad una nostra eventuale adesione al Patto.

Claxton non nutre invece molta fiducia nelle possibilità concrete attuali di una Unione Europea, su base di Parlamenti e di Comitati. Tutte bellissime cose -mi disse senza perifrasi -e molto utili col tempo. Ma oggi il Patto atlantico è il solo accordo realmente efficiente e quindi necessario.

In una nuova breve conversazione odierna, avendo chiesto a Claxton quali fossero i punti ancora controversi delle trattative di Washington, egli non esitò a rispondermi con questo suo fare di poche parole: uno di questi è proprio l'Italia. Tentai qualche sondaggio per vedere di sapere se vi fossero particolari difficoltà elevate da altri Stati ed in particolare da Londra. Ma egli mi chiese invece se vi fosse una decisione di Roma per la partecipazione. Non ho insistito.

3) Il ministro degli esteri, Pearson. Mi ha ricevuto gentilmente subito dopo la fine delle vacanze di Natale, a pochi giorni dal suo ritorno. Tra i vari argomenti toccati, sui quali riferirò con altri rapporti, si parlò naturalmente del Patto atlantico. Questo era stato concepito, in partenza, come uno della catena dei patti di difesa su basi strettamente geografiche e regionali. Ed egli aveva ritenuto che il nostro posto naturale e geografico fosse in un Patto mediterraneo. Aveva però modificato tale sua precedente opinione: tra l'altro gli era stato fatto autorevolmente osservare che una esclusione dell'Italia avrebbe attirato su di essa l 'indesiderabile attenzione di altre potenze ed avrebbe potuto quindi porre in più o meno immediato pericolo il nostro paese, con gravi conseguenze per la pace europea e mondiale. Proseguì osservando che anche altri paesi avevano radicalmente mutato il loro atteggiamento, dapprima contrario alla nostra partecipazione al Patto atlantico. Mi nominò la Francia, che da principio ostile, faceva ora fuoco e fiamme per includerei. Non menzionò né gli Stati Uniti, nè l'Inghilterra.

Ciò premesso, osservò scherzosamente che occorreva ormai provvederei di qualche titolo geografico, che rendesse ovvia la nostra partecipazione. Bisognerà pensare a darci una delle Azzorre; no, meglio una delle Canarie. Gli risposi del pari in tono scherzoso che, data la parte storica avuta nella civiltà occidentale e nella scoperta de il'America, il nome valeva forse di più di nuovi titoli insulari. Dimenticai

di menzionare la nostra partecipazione a Tangeri, che può eventualmente essere anche un «titolo atlantico»!

Pearson mi chiese poi seriamente se il Governo italiano avesse già deciso di chiedere di partecipare al Patto atlantico. Gli risposi coi soliti argomenti. Ma di fronte ad altre sue domande, gli espressi il mio personale convincimento che una decisione sarebbe stata con tutta probabilità adottata in gennaio. Non avrei mancato di riferirgli subito le informazioni che V.E. mi avrebbe fatto pervenire.

Riparlando ancora di Patto atlantico, quando abbordammo la questione delle colonie (circa la quale riferirò a parte) Pearson mi ha espresso simpaticamente il suo convincimento che, una volta noi fossimo entrati nel Patto, sarebbe stato possibile, discutere pacatamente tra amici e risolvere il complesso problema in modo più soddisfacente per i principali interessati, tra i quali, in primis, noi stessi. Anticiperò qui a V.E. che egli darebbe per scontato il nostro ritorno in Tripolitania. Ciò che, a suo dire, potrebbe assorbire a lungo e completamente le nostre possibilità di azione per quanto concerne la Libia.

Subito dopo la mia conversazione con Pearson, il signor Mayrand, capo della Divisione degli affari politici europei del Dipartimento, chiese di venirmi a trovare in ambasciata. Premesso che veniva a trovarmi a titolo privato e per sua personale documentazione, mi chiese di fargli il punto sulle precise disposizioni di V.E. e del Governo nei confronti del Patto atlantico. Il Dipartimento aveva infatti ricevuto al riguardo informazioni contrastanti e non molto chiare. Da autorevoli segnalazioni sembrava che vi fossero ancora a Roma molte incertezze e riluttanze e che, in una delle migliori ipotesi, una decisione di partecipare al Patto dovesse farsi attendere ancora a lungo.

Lo rassicurai diffusamente per quanto potevo, sempre beninteso tenendo sulle generali, ma promettendogli maggiori informazioni in gennaio.

Cercai, a mia volta, di accertare se rispondessero a verità alcune voci o notizie, secondo le quali, l'Inghilterra ed altri Stati preferirebbero ammetterci nell'Unione di Bruxelles anziché subito nel Patto atlantico. Protestò la sua ignoranza; sapeva però che avevamo amici che ci desideravano subito nel Patto atlantico.

Gli chiesi ancora scherzosamente se, a suo parere, convenisse all'Italia chiedere di entrare immediatamente nel Patto atlantico, trascurando l'Unione di Bruxelles e quella specie di anticamera. Mi rispose senz'altro che non vi era da esitare: il Patto atlantico, cogli Stati Uniti -tralasciò per modestia di nominare il Canada -era la migliore e più importante combinazione possibile. La partecipazione a questa, che ci poneva sulla base di alleati cogli Stati Uniti, ecc., ci faceva compiere un passo da gigante. Se fosse lecito un paragone con i clubs, quello atlantico era il meglio frequentato, il più autorevole ed anche il più ricco.

E tale è anche il subordinato parere del sottoscritto, se V.E. mi autorizza ed esprimerlo.

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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI (8 maggio -3 I dicembre 1948)

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO SFORZA Carlo, senatore della Repubblica.

SOTTOSEGRETARI

BRUSASCA Giuseppe, deputato al Parlamento. MORO Aldo, deputato al Parlamento, dal 27 maggio.

GABINETTO DEL MINISTRO

Capo del Gabinetto: N.N.

Vice capo del Gabinetto: PRUNAS Pasquale, console di 2a classe, fino al 18 giugno.

Ufficio del Gabinetto: MATACOTTA Dante, console di 2a classe, fino al 28 giugno; MONDELLO Mario, console di 2a classe; CORNAGGIA MEDICI CASTIGLION! Gherardo, console di 3a classe; BETTINI Emilio, CoNTE MAROTTA Aldo, addetti consolari, dal 5 settembre; BOLASCO Ernesto, volontario, dal 3 novembre.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL MINISTRO Capo della Segreteria particolare: CALEF prof. Vittorio. Segretario particolare: GUAZZUGLI MARINI Giulio.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO BRUSASCA

Capo della Segreteria particolare: BETTELONI Giovanni Lorenzo, console di 2" classe,. dal 18 dicembre primo segretario di legazione di 2a classe.

Segretario: CAGIATI Andrea, volontario, dall'8 novembre.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO MORO

Capo della Segreteria particolare: MESSER! Girolamo, console di 2a classe, dal 16 giugno; PoMPEI Gianfranco, console di 2" classe, dal 18 novembre.

Segretari: FABBRICOTTI Fabrizio, console di 3a classe, dal l o luglio; TAMAGNINI Giulio, volontario, dal 3 novembre; VALLE Antonio, vice ispettore per i servizi tecnici, dal 16 giugno.

SEGRETERIA GENERALE

Segretario generale: FRANSONI Francesco, ambasciatore, fino al 31 maggio; ZOPPI Vittorio, ministro plenipotenziario di l a classe, dal l o giugno.

UFFICIO COORDINAMENTO

Capo ufficio: CASTELLANI PASTORIS Vittorio, consigliere di legazione.

Segretari: ToscANI MILLO Antonio, console di 2a classe, dal l o agosto; DE REGE THESAURO Giuseppe, console di 2" classe, fino al 13 dicembre; PASCUCCI RIGHI Giulio, console di 2a classe, dal l o novembre; SIOTTO PINTOR Aureliano, console di 2a classe, fino al l O dicembre; DAINELLI Luca, console di 2a classe; VoLPE Arrigo, console di 3a classe, fino al 2 novembre; RICCIULLI Pasquale, volontario, dal 13 dicembre.

SEGRETERIA DELLA COMMISSIONE CONFINI 1

Capo della segreteria: N.N.

Successivamente denominata «Ufficio colonie e confini».

Segretari: PAPINI Italo, vice console di 2a classe, dal 18 dicembre vice console di l a classe, dall' 11 settembre; GUTLLET Amedeo, addetto consolare.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Capo del Cerimoniale: TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, ambasciatore.

Segretari: SCOLA CAMERINI Giovanni, consigliere di legazione; MACCHI DI CELLERE Pio, primo segretario di legazione di l a classe; FARACE Ruggero, primo segretario di legazione di 2a classe; LONI Aldo, console di 2a classe, fino al 24 agosto; DE GIOVANNI Luigi, console di 2a classe; GUIDI DI BAGNO Ricciardo, addetto consolare, dal 5 settembre.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Capo ufficio: PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale all'Università di Roma.

Segretari: MARESCA Antonio, console di 2a classe; DE Rossi Michele Gaetano, volontario, dal 4 settembre addetto consolare; RAFFAELLI Pietro, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO STAMPA ESTERA

Capo ufficio: BOUNOUS Franco, primo segretario di legazione di 2a classe, fino al 29 luglio; FARACE Alessandro, console di 2a classe, dal 23 dicembre (reggente).

Segretari: VINCI Piero, console di 2a classe; FERRARA Renato, addetto consolare, dal 3 settembre al l O dicembre; BOLASCO Vincenzo, addetto consolare, dal 5 settembre; CARDUCCI ARTENISIO Ludovico, SAVORGNAN Emilio, volontari, dal 3 novembre; PATUELLI Raffaello, addetto stampa di 2a classe, dal l o luglio.

UFFICIO STUDI E DocuMENTAZIONE ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA

Capo ufficio: SCARPA Gino, console generale di 2a classe.

Consulente storico: ToscANO Mario, professore ordinario di Storia dei trattati e politica internazionale all'Università di Cagliari.

Studi e Documentazione

Segretari: VAGNETTI Leonida, ispettore generale per i servizi tecnici; FLAMINI Pietro, vice ispettore per i servizi tecnici.

Archivio Storico

Incaricato della direzione: MoSCATI Ruggero, direttore di l a classe negli Archivi di Stato.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

UFFICIO TRATTATI E ATTI2

Capo ufficio: TELESIO DI TORITTO Giuseppe, consigliere di legazione.

Segretario: PAOLINI Remo, addetto consolare, dal 5 settembre.

UFFICIO 0.N.U.3

Capo ufficio: CAROSI Mario, console generale di l a classe, dal l o settembre.

Segretari: STRANEO Carlo Alberto, primo segretario di legazione di la classe, dal l o settembre; DE REGE THESAURO DI DONATO Francesco, console di 3a classe, dal l O settembre.

SERVIZIO ECONOMICO TRATTATO

Capo del servizio: BERlO Alberto, ministro plenipotenziario di 2a classe, dal l O luglio di l a classe, fino al 14 agosto; CARUSO Casto, ministro plenipotenziario di 2a classe, dal 16 ottobre.

2 Con o.d.s. n. 25 D.G. Pers. A.G. Uff. I del 18 novembe 1948 l'Ufficio Trattati e Atti va a costituire l'Ufficio I del nuovo Servizio Affari Generali. 3 Istituito con o.d.s. n. 17 D.G. Pers. A.G. Uff. I del 7 agosto 1948 a decorrere dal 18 settembre. Per le competenze vedi nota 6. Con o.d.s. n. 25 D.G. Pers. A.G. Uff. I del 18 novembre 1948 l'Ufficio

O.N.U. va a costituire l'Ufficio II del nuovo Servizio Affari Generali.

Addetti al servlZ!o: LANZARA Giuseppe, console generale di la classe, fino al 24 novembre; ScHTNINÀ DI S. ELIA Emanuele, console generale di 2a classe, dall' 11 maggio; SPINELLI Pier Pasquale, primo segretario di legazione di 2a classe, dal 16 novembre; SANFELICE Antonio, primo segretario di legazione di 2a classe, fino al 22 dicembre; TRABALZA Folco, console di 3a classe, dal 13 dicembre; BENUZZI Felice, addetto consolare; GALLUPPI Enrico, volontario, dal 28 dicembre addetto consolare, dal l a luglio; RESTIVO Antonino, BILANCIONI Giulio, volontari, dal 3 novembre.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: ZOPPI Vittorio, ministro plenipotenziario di l a classe, fino al 30 maggio; GuiDOTTI Gastone, ministro plenipotenziario di 2a classe, dal l o luglio.

Vice direttori generali: SOARDI DI S. ANTONINO Carlo Andrea, CONTI Mario, consiglieri di legazione.

Segretari: COTTAFAVI Antonio, consigliere di legazione; ToscANI MILLO Antonio, console di 2a classe, fino al_ 31 luglio; LUCIOLLI Giovanni, console di 2a classe, dal 16 agosto; MARRAS Raffaele, volontario, dal 3 novembre.

UFFICIO I

Gran Bretagna, Paesi del Commonwealth, Medio Oriente

Capo ufficio: ROBERTI Guerino, consigliere di legazione.

Segretari: MARIENI Alessandro, primo segretario di legazione di 2a classe, fino al 17 ottobre; FABBRICOTTI Fabrizio, console di 3a classe, fino al 30 giugno; PIZZIRANI Guglielmo, vice console di l a classe, dal 3 settembre.

UFFICIO II

Francia, Spagna, Portogallo, Andorra, colonie francesi, spagnole e portoghesi

Capo uftìcio: SJLVESTRELLI Luigi, primo segretario di legazione di l a classe, fino al 28 luglio.

Segretari: EMo CAPODILISTA Gabriele, primo segretario di legazione di 23 classe, fino al 14 settembre; SOGNO RATA DEL VALLTNO Edgardo, addetto consolare, dal lo luglio; VALFRÈ DI BoNZO Paolo, volontario, dal 3 novembre.

UFFICIO III

Stati del continente americano (escluso il Canada)

Capo ufficio: ScAGLIONE Roberto, consigliere di legazione.

Segretari: SENSI Federico, console di 2a classe; TEDESCHI Mario, vice console di 2a classe, dall' 11 settembre.

UFFICIO IV

U.R.S.S., Europa danubiana e balcanica, Turchia

Capo ufficio: Lo FARO Francesco, primo segretario di legazione di la classe.

Segretari: RoMANELLI Renzo Luigi, console di 3a classe; FUMAROLA DI PORTOSELVAGGIO Angelo Antonio, volontario, dal 28 dicembre addetto consolare, dal l o luglio; CAVAGLIERI Alberto, volontario, dal 3 novembre; DE SANTO Demetrio, commissario tecnico per l'Oriente di l a classe.

UFFICIO V

Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Danimarca, Finlandia, Germania Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Svizzera

Capo ufficio: MAZIO Aldo Maria, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretari: GHENZI Giovanni, console di 2a classe, fino al 13 agosto; FALCHI Silvio, console di 2a classe; PASCARELLI Elio, volontario, dal 3 novembre.

UFFICIO VI

Cina, Giappone, Siam, Filippine

Capo ufficio: SIMONE Nicola, console di la classe.

Segretario: N.N.

UFFICIO VII

Santa Sede

Capo ufficio: SOARDI DI S. ANTONINO Carlo Andrea, consigliere di legazione. Segretario: BRIGIDI Giuseppe, console di 2a classe, dal l o settembre.

UFFICIO VIII

Prigionieri di guerra, internati civili, rifugiati, questioni varie

Capo ufficio: ZAMBONI Guelfo, primo segretario di legazione di l a classe, fino al 5 settembre; Bosio Giovanni Jack, console generale di 2a classe, dal 6 settembre.

Segretari: MARTINA Gian Luigi, console di l a classe; BAISTROCCHI Ettore, primo segretario di legazione di l a classe, dal 22 ottobre; CASTELLANI Germano, console di 2a classe, fino al 20 ottobre; CuSANI Giovanni, vice ispettore per i servizi tecnici.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: GRAZZI Umberto, ministro plenipotenziario di l a classe.

Direttore generale aggiunto: LANZA D'AJETA Blasco, ministro plenipotenziario di 2a classe.

Vice direttore generale: PRATO Eugenio, primo segretario di legazione di la classe.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: CORTESE Paolo, consigliere, dal 16 settembre; ToFFOLO Giovanni Battista, console di la classe; ENEA Giuseppe, addetto commerciale di 2a classe, fino al 30 giugno.

UFFICIO l

Questioni di carattere generale, Stati transoceanici, Estremo Oriente

Capo ufficio: BRUGNOLI Alberto, console di 2a classe, dal 18 dicembre primo segretario di legazione di 2a classe.

Segretari: BEHMANN Norberto, console di 3a classe, fino al 13 giugno; SoRo Diego, console di 3a classe; Rossi Mario Franco, vice console di P classe, dall'l l settembre; LENZI Alfredo, addetto commerciale di 2a classe; PIOPPA Roberto, assistente addetto commerciale di la classe.

UFFICIO II

Stati del/ 'Europa occidentale e colonie, possedimenti britannici

Capo ufficio: PRATO Eugenio, primo segretario di legazione di la classe; GABRICI Tristano, primo segretario di legazione di la classe, dal 15 maggio.

Segretario: BozziNI Uberto, volontario, dal 3 novembre.

UFFICIO III

Stati dell'Europa orientale, Vicino Oriente

Capo ufficio: NoTARANGELI Tommaso, consigliere commerciale di 2a classe.

Segretari: FRANZÌ Mario, console di 3a classe; LIBOHOVA Ali Neki, vice console di la classe, dal lo settembre console di 3a classe, fino al l O settembre; CANEVARO DI CASTELVARI E ZoAGLI Raffaele, vice console di la classe, dal 18 dicembre console di 3a classe; D 'ORLANDI Giovanni, vice console di 2a classe, dal l o luglio:, GIANCOLA Raffaello, addetto commerciale di 2a classe, fino al l O ottobre.

UFFICIO IV

Questioni economicofìnanziarie derivanti dalle clausole del! 'armistizio, questioni attinenti al trattato di pace

Capo ufficio: CoLONNA Guido, primo segretario di legazione di 2a classe; CARACCIOLO DI CASTAGNETO Filippo, primo segretario di legazione di 2a classe, dal l o luglio.

Segretari: MILESI FERRETTI Gian Luigi, console di 2a classe, dal 15 settembre; TRINCHIERI Alfredo, console di 3a classe; COLUCCI Bruno, vice console di 2a classe, dal 18 dicembre vice console di la classe, dall' 11 settembre.

UFFICIO V4

Capo ufficio: DE LUIGI Pier Giuliano, console di 2a classe, dal l o dicembre.

Segretari: BACCI DI CAPACI Vittorio, vice console di la classe, dal l o settembre console di 3a classe, dal 2 giugno; COTTAFAVI Luigi, volontario, dal 3 novembre.

DIREZIONE GENERALE DELL'EMIGRAZIONE

Direttore generale: TOMMASINI Mario, ispettore generale per i servizi tecmcr, reggente; VroAu Luigi, ministro plenipotenziario di la classe, dal l O settembre.

4 Istituto con o.d.s. n. 17 D.G. Pers. A.G. Uff. I del 7 agosto 1948 a decorrere dal 18 settembre, l'Ufficio tratterà le questioni attualmente di competenza dell'Ufficio I della stessa Direzione Generale, inerenti alla Gran Bretagna, al Commonwealth (eccettuato il Canada), all'Egitto e ai paesi del Medio Oriente.

Vice direttore generale: FERRERO Andrea, primo segretario di legazione di l a classe, fino al 15 novembre; CASTRONUovo Manlio, primo segretario di legazione di la classe, dal 16 novembre.

Segretari: ASINARI SIGRAY Luigi Gabriele, console di 2a classe, fino al 15 dicembre; VALLE Antonio, vice ispettore per i servizi tecnici; TALLI Roberto, segretario per i servizi tecnici, dal 18 dicembre vice ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO I

Emigrazione e collettività in Gran Bretagna, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia, Principato di Monaco, Spagna, Portogallo, Gibilterra, Africa, Palestina, Siria, Libano, Iraq, Transgiordania, Arabia Saudita, Yemen, Aden, Malta, Cipro.

Capo ufficio: MANSI Stefano, console di 3a classe.

Segretari: ORSINI BARONI Carlo Andrea, volontario, dal 28 dicembre addetto consolare, dal l o luglio; RENGANESCHI Vittorio, ispettore capo per i servizi tecnici, fino al 14 maggio; PIRODDI Mario, ispettore capo per i servizi tecnici, fino al 12 agosto.

UFFICIO II

Emigrazione e collettività in tutta l 'Europa non di competenza del! 'Ufficio I, in Turchia e nelle regioni asiatiche dell'U.R.S.S.

Capo ufficio: AMBROSI Giovanni Battista, console di l a classe.

Segretario: CERCHIONE Roberto, vice console di 2a classe, dal 18 dicembre v1ce console di l a classe, dal 3 settembre.

UFFICIO III

Emigrazione e collettività nel Centro e Sud America

Capo ufficio: LEONINI Camillo, console di l a classe.

Segretari: DE FERRARI Giovanni Paolo, console di 2a classe, dal 15 ottobre; OuviERI Luciano, vice console di 2a classe, dall'Il settembre; TORNETTA Vincenzo, volontario, dal 3 novembre; MARCHIONI Pietro, ispettore superiore per i servizi tecnici, fino al 22 settembre; MANCA Elio, ispettore superiore per i servizi tecnici, fino al l o agosto; BIFULCO Vittorio, ispettore capo per i servizi tecnici.

UFFICIO IV

Emigrazione e collettività negli Stati Uniti, Canada, Alaska, Nuova Zelanda, Australia, Isole del Pacifico e regioni dell'Asia non di competenza di altri uffici

Capo ufficio: SETTI Giuseppe, primo segretario di legazione di 2a classe.

Segretari: Pizzun Federico, CoRRADINI Giancarlo, volontari, dal 3 novembre.

DIREZIONE GENERALE DELLE RELAZIONI CULTURALI

Direttore generale: TALAMO ATENOLFI BRANCACCIO Giuseppe, ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice direttore generale: ORLANDINI Gustavo, console generale di 2a classe.

Segretario: Lo Russo ATTOMA Nicola, addetto stampa di 3a classe, dal l o agosto.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: Dr GIURA Giovanni, ministro pienipotenziario di 2a classe; SALLIER DE LA TouR CoRIO Paolo, consigliere di legazione; VATTANI Mario, console di l a classe, fino al 22 maggio.

UFFICIO l

Affari generali

Capo ufficio: Muzi FALCONI Filippo, primo segretario di legazione di 2a classe, dal 17 dicembre primo segretario di legazione di l a classe.

Segretari: FARINACCI Franco, console di 2a classe, dai 30 settembre; STADERINI Ettore, console di 2a classe; MININNI Marcello, vice console di l a classe, dal l o settembre console di 3a classe; NATALE Fernando, volontario, dai 28 dicembre addetto consolare, dal lo luglio; CORSI Fernando, ispettore capo per i servizi tecnici; DE MANDATO Mario, addetto stampa di 3a classe, dal 25 giugno.

UFFICIO II

Istituti di cultura

Capo ufficio: BIANCONI Alberto, console generale di 2a classe, dal l O luglio console generale di l a classe, fino al 20 settembre.

Segretario: CABALZAR Ferruccio Guido, addetto stampa di 3a classe, dal 5 luglio.

UFFICIO III

Scuole e collegi della Fondazione figli italiani all'estero

Capo ufficio: MALASPINA DI CARBONARA E DI VOLPEDO Folchetto, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretario: MASOTTI Pier Marcello, addetto consolare, dall'l l settembre.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DEGLI AFFARI GENERALP

Direttore generale: BALDONI Corrado, ministro plenipotenziario di 2a classe; BERlO Alberto, ministro plenipotenziario di l a classe, dal 15 agosto.

Vice direttore generale: 0TTAVIANI Luigi, ministro plenipotenziario di 2a classe, dal lo luglio.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: BIANCONI Alberto, console generale di la classe, dal 21 settembre; MoROZZO DELLA RoccA Antonino, console di 2a classe, fino al 2 dicembre; LUCIOLLI Giovanni, console di 2a classe; GHEZZI MoRGALANTI Pietro, vice console di 2a classe, dall'l l settembre; FRANCISCI DI BASCHI Marco, volontario, dal 3 novembre; EMILIANI Luigi, commissario consolare di l a classe.

UFFICIO I

Personale di gruppo A

Capo ufficio: LUCIOLLI Mario, console generale di 2a classe, fino al 31 ottobre; PERRERO Andrea, primo segretario di l a classe, dal 17 novembre.

Segretari: PROFILI Giacomo, console di 2a classe; Russo Augusto, console di 2a classe, dal 15 dicembre; FRAGNITO Giorgio, console di 2a classe; POMPEI Gianfranco, console di 2a classe, fino al 17 novembre.

5 Con o.d.s. n. 25 del 18 novembre 1948 la denominazione è modificata in Direzione generale del personale c del!' amministrazione interna.

UFFICIO Il

Personale di gruppo B e C, avventizio, locale, subalterno e salariato

Capo ufficio: SrRCANA Leone, console generale di 2a classe.

Segretari: ZUGARO Folco, vice console di la classe, dal 18 dicembre console di 3a classe; RICCIULLI Pasquale, volontario, dal l o luglio al 12 dicembre.

UFFICIO III

Sedi demaniali e intendenza

Capo ufficio: MoNTESI Giuseppe, console generale di l a classe.

Segretario: FossATI Mario, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi, Cassa

Capo ufficio: TURCATO U go, console generale di l a classe.

Segretari: BERTUCCIOLT Romolo, console generale di 2a classe; STEFENELLI Ferruccio, console di la classe, dal 15 settembre; BaccHETTO Domenico, vice console di 2a classe, dal 16 novembre; CERACCHI Giuseppe, commissario consolare di la classe; LEONINI PIGNOTTI Augusto, commissario consolare di 2a classe, fino al 19 agosto; BLANDI Silvio, ispettore superiore per i servizi tecnici; BARILLARI Michele, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO V

Corrispondenza, Servizio corrieri diplomatici, Viaggi del personale

Capo ufficio: NATALI Umberto, console generale di l a classe.

Segretari: CHASTEL Roberto, console di 2a classe; ROTA Armando, ispettore per servizi tecnici, fino al 17 maggio.

UFFICIO VI

Cifra e crittografico

Capo ufficio: 0TTAVIANI Luigi, ministro plenipotenziario di 23 classe, fino al 30 giugno; RoMIZI Gino, console di l a classe, dal 2 luglio.

Segretari: BERNI CANANI Ugo, console di 2a classe; CAMPANELLA Francesco Paolo, console di 3a classe; CRESCINI Adolfo, addetto consolare, dal 25 novembre; SALLIER DE LA TouR Carlo, CoRTESE Federico, ispettori per i servizi tecnici; PoLLICI Dante, commissario tecnico per l 'Oriente di 4a classe, fino al 29 novembre.

SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI6

Capo servtzto: DE Asns Giovanni, ministro plenipotenziario di 2a classe, dal 10 luglio ministro plenipotenziario di P classe.

UFFICIO l

Nazioni Unite

Capo ufficio: N.N.

Segretario: MILESI FERRETTI Gian Luigi, console di 2a classe.

UFFICIO II

Istituti internazionali, Congressi, Conferenze

Capo ufficio: PINTO Pasquale, console di la classe, fino al 13 giugno.

Segretario: MANFREDI Vittoriano, console di 2a classe, fino al 19 maggio.

6 Soppresso con o.d.s. n. 17 D.G. Pers. A.G. Uff. I del 7 agosto 1948 a decorrere dal 18 settembre. La trattazione delle questioni di competenza del Servizio verrà ripartita come segue: alla D.G.A.E. -Uff. I le questioni inerenti ali 'Unione postale universale, alle telecomunicazioni, alle conferenze ferroviarie e all'I.C.A.O.; all'Uff. IV le questioni inerenti al Consiglio economico e sociale dell'O.N.U., alla

F.A.O. e all'I.I.O.; alla D.G.R.C. -Uff. I le questioni inerenti all'Organizzazione mondiale della sanità, agli assistenti sociali dell'O.N.U. e agli sports; alla D.G. Emigr. le questioni inerenti all'Organizzazione internazionale del lavoro; all'Ufficio O.N.U. tutte le questioni concernenti l'Organizzazione delle Nazioni Unite, escluse quelle specificatamente assegnate ad altri uffici.

SERVIZIO AFFARI PRIVATI

Capo servizio: PERVAN Edoardo, console generale di la classe; LANZARA Giuseppe, console generale di la classe, dal 25 novembre.

UFFICIO I

Cittadinanza, Stato civile, Servizio militare

Capo ufficio: VALERIANI Valerio, console generale di 2a classe, fino al 15 luglio; FORMICHELLA Giovanni, console di la classe, dal l o settembre.

Segretario: GRANDINETTI Eugenio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

UFFICIO II

Tutela diritti ed interessi patrimoniali, Assistenza consolare, Spedalità e rimpatri, Ricerche e informazioni

Capo ufficio: GIURATO Giovanni, console di l a classe.

Segretario: CORDERO or MONTEZEMOLO Vittorio, volontario, dal 28 dicembre addetto consolare, dal l o luglio.

UFFICIO III

Diritti di famiglia, Atti tra vivi, Successioni, Assistenza giudiziaria

Capo ufficio: MAURO Sestino, console di l a classe. Segretario: MANCA Elio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DELLA REPUBBLICA ITALIANA ALL'ESTERO (8 maggio -31 dicembre 1948)

AFGHANISTAN

Kabul -CALISSE Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ARABIA SAUDITA

Gedda -ZAPPI Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ARGENTINA

Buenos Aires -ARPESANI Giustino, ambasciatore; CASARDJ Alberico, consigliere; THEooou Livio, primo segretario; PLAJA Eugenio, secondo segretario.

AUSTRIA

Vienna -CosMELLI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE NOVELLIS Gennaro, primo segretario; PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Girolamo, secondo segretario; SEBASTIANI Lucio, terzo segretario.

BELGIO

Bruxelles -DIANA Pasquale, ambasciatore; VENTURINI Antonio, consigliere; ALOISI DE LARDEREL Folco, primo segretario.

BOLIVIA

La Paz -GIARDINI Renato, consigliere, incaricato d'affari ad interim.

BRASILE

Rio de Janeiro -MARTIN! Mario Augusto, ambasciatore; BORGA Guido, mm1stro consigliere; BOMBASSE! FRASCANI DE VETTOR Giorgio, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, primo segretario; MACCOTTA Giuseppe Walter, secondo segretario.

BULGARIA

Sofia -GUARNASCHELLI Giovan Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SoLARI Pietro, primo segretario; TERRUZZI Giulio, secondo segretario.

CANADA

Ottawa -FECIA DI CossATO Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 22 settembre; Dr STEFANO Mario, ambasciatore, dal l o novembre; MAJOLI Mario, primo segretario, dal lo novembre consigliere.

CECOSLOVACCHIA

Praga -TACOLI Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANNI D'ARCHIRAFI Francesco Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 18 novembre; FRANCO Fabrizio, primo segretario.

CILE

Santiago -FORNARI Giovanni, ambasciatore; RicciO Luigi, consigliere; VENTURINI Roberto, primo segretario.

CINA

Nanchino -FENOALTEA Sergio, ambasciatore; CrPPICO Tristram, consigliere; MrzzAN Ezio, primo segretario; FARACE Alessandro, secondo segretario, fino al 22 dicembre.

COLOMBIA

Bogotà -CASSINIS Angiolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 25 agosto; SEcco SuARDO Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 25 agosto.

COSTARICA

San José -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario 1 .

CUBA

L 'Avana -FECIA DI CosSATO Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 ottobre2; DE FERRARI Giovanni Paolo, primo segretario; SANFELICE DI MONTEFORTE Antonio, primo segretario, dal 23 dicembre.

DANIMARCA

Copenaghen -CARISSIMO Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PESCATORI Federico, primo segretario.

DOMINICANA (Repubblica)

Ciudad Trujillo -Rossi LONGHI Gastone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ECUADOR

Quito -PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

EGITTO

Il Cairo -FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARCHI Pio Antonio, primo segretario; DE STROBEL DI FRATTA Maurizio, secondo segretario; BIONDI MoRRA DI SAN MARTINO Goffredo, terzo segretario.

1 Residente a Guatemala. 2 Accreditato anche presso la Repubblica di Haiti.

EL SALVADOR

San Salvador -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro pieni

.. l

potenziano .

FILIPPINE

Mani/a -STRIGARI Vittorio, incaricato d'affari.

FINLANDIA

Helsinki -RoNCALLI DI MONTORIO Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoNTARINI Giuseppe, primo segretario.

FRANCIA

Parigi -QuARONI Pietro, ambasciatore; GIUSTINIANI Raimondo, consigliere; CAVALLETTI Francesco, primo segretario; DE CLEMENTI Alberto, primo segretario, dal 22 luglio; PIERANTONI Aldo, secondo segretario; MATACOTTA Dante, secondo segretario, dal 29 giugno; MACCAFERRI Franco, terzo segretario; lEZZI Alberto, quarto segretario.

GIAPPONE

Tokyo -REVEDIN DI SAN MARTINO Giovanni, capo della missione diplomatica italiana presso il comando alleato del Pacifico; RuBINO Eugenio, vice capo della missione diplomatica.

GRAN BRETAGNA

Londra -GALLARATI ScoTTI Tommaso, ambasciatore; ANZILOTTI Enrico, consigliere; PAVERI FONTANA DI FONTANA PRADOSA Alberto, primo segretario; MONTANARI Franco, secondo segretario; WINSPEARE GUICCIARDI Vittorio, terzo segretario; MANASSEI Alessandro, quarto segretario; AILLAUD Enrico, quinto segretario.

GRECIA

Atene -PRINA RICOTTI Sidney, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MACCHI DI CELLERE Francesco, primo segretario, fino al 31 ottobre; MARIENI Alessandro, primo segretario, dal 18 ottobre; VoLPE Arrigo, secondo segretario, dal 3 novembre.

GUATEMALA

Guatemala -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario3; CAPECE MINUTOLO DI BUGNANO Alessandro, primo segretario.

HAITI

Porto Principe -FECIA DI CossATO Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 ottobre; DE FERRARI Giovanni Paolo, primo segretario4 .

HONDURAS

Tegucigalpa -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario1.

INDIA New Delhi -CARROBIO DI CARROBIO Renzo, incaricato d'affari.

IRAN

Teheran -Rossr LONGHI Alberto, ambasciatore; GUASTONE BELCREDI Enrico, primo segretario.

IRLANDA

Dublino -BABuscro Rizzo Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PAuwccr Mario, primo segretario.

ISLANDA Reykiavzk -RULLI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario5 .

3 Accreditato anche presso le repubbliche di El Salvador, Honduras, Nicaragua e Costarica. 4 Residenti a L'Avana.

Residente ad Osio.

JUGOSLAVIA

Belgrado -MARTINO Enrico, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; TASSONI EsTENSE Alessandro, primo segretario; 0RLANDI CaNTUCCI Corrado, secondo segretario; MoscA Ugo, terzo segretario.

LIBANO

Beirut -ALESSANDRINI Adolfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARCHIORI Carlo, primo segretario.

LUSSEMBURGO Lussemburgo -FoRMENTINI Omero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Città del Messico -PETRUCCI Luigi, ambasciatore; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, primo segretario.

NICARAGUA Managua -ZANOTTI BIANCO Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario1 .

NORVEGIA

Osio -RULLI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario6; GAETANI DELL'AQUILA o'ARAGONA Massimo, primo segretario, fino al 31 dicembre.

PAESI BASSI

L 'Aja -BOMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANTINORI Orazio, primo segretario.

PAKISTAN

Karachi -AsSETTATI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal IO agosto.

6 Accreditato anche presso la Repubblica di Islanda.

PANAMA

Panama -MARIANI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario. PARAGUAY

Assunzione -FERRANTE DI RUFFANO Agostino, inviato straordinario e ministro pienipotenziano.

PERÙ

Lima -CiccoNARDI Vincenzo, ambasciatore; SPALAZZI Giorgio, primo segretario.

POLONIA

Varsavia -DONINI Ambrogio, ambasciatore, fino al 21 maggio; DE AsTIS Giovanni, ambasciatore, dal 14 dicembre; FERRETTI Raffaele, consigliere; Ducci Roberto, primo segretario; TORTORICI Pietro Quirino, secondo segretario.

PORTOGALLO

Lisbona -DE PAous Pietro, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; DE CLEMENTE Alberto, primo segretario, fino al 21 luglio; SABETTA Luigi, primo segretario.

ROMANIA

Bucarest -SCAMMACCA Michele, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; CASTRONUOVO Manlio, primo segretario, fino al 15 novembre; REGARD Cesare, secondo segretario, dall' 11 novembre primo segretario.

SANTA SEDE

Roma -MELI LUPI DI SORAGNA Antonio, ambasciatore; SILJ DI SANT'ANDREA D'UssiTA Francesco, consigliere; MARINUCCI DE REGUARDATI Costanzo, secondo segretario.

SIAM

Bangkok -Bovo Goffredo, incaricato d'affari.

SIRIA

Damasco -CoRTESE Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FIGA-ROLO DI GROPELLO Adalberto, primo segretario.

SPAGNA

Madrid-VANNI D"ARCHIRAFI Francesco Paolo, incaricato d'affari, fino al 20 ottobre; CAPOMAZZA DI CAMPOLATTARO Benedetto, consigliere; CITTADINI CESI Gian Gaspare, primo segretario, dal 20 ottobre; GASPARINI Carlo, secondo segretario.

STATI UNITI

Washington -TARCHIANI Alberto, ambasciatore; MASCTA Luciano, consigliere con funzioni di osservatore presso l'O.N.U.; Dr STEFANO Mario, consigliere, fino al 31 ottobre; LucroLLI Mario, consigliere, dal l o novembre; ORTONA Egidio, primo segretario; BoUNous Franco, primo segretario, dal 30 luglio; GABRICI Tristano, secondo segretario, fino al 14 maggio; CATALANO DI MELILLI Felice, secondo segretario, dal l 0 luglio; P ANSA CEDRONIO Paolo, terzo segretario; GUAZZARONI Cesidio, quarto segretario.

SUD AFRICA

Pretoria -JANNELLI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRILLO Remigio Danilo, primo segretario.

SVEZIA

Stacco/ma -MIGONE Bartolomeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CITTADINI CESI Gian Gaspare, primo segretario, fino al 19 ottobre; EMO CAPODILISTA Gabriele, primo segretario, dal 15 settembre.

SVIZZERA

Berna -REALE Egidio, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; PLETTI Mario, primo segretario; PRUNAS Pasquale, primo segretario, dal 19 giugno; Grauou Carlo Enrico, secondo segretario, fino al 19 dicembre; MoRozzo DELLA RoccA Antonino, secondo segretario, dal 3 dicembre; NuTr Giampiero, terzo segretario.

TURCHIA

Ankara -PRUNAS Renato, ambasciatore; CORRIAS Angelino, consigliere; LANZA Michele, primo segretario; PASCUCCI RIGHI Giulio, secondo segretario, fino al 31 ottobre; MANCA DI VILLAHERMOSA E S. CROCE Enrico, secondo segretario, dal 4 novembre.

UNGHERIA

Budapest -BENZONI DI BALSAMO Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELLIA Franco, primo segretario; FABIANI Oberto, secondo segretario.

U.R.S.S.

Mosca -BROSIO Manlio, ambasciatore; ZAMBONI Guelfo, consigliere, dal 27 ottobre; NAVARRINI Guido, primo segretario; LoNr Aldo, secondo segretario, dal 25 agosto.

URUGUAY

Montevideo -ERRERA Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TACOLI Alfonso, ambasciatore, dal 6 dicembre; MoscATO Niccolò, primo segretario.

VENEZUELA

Caracas -SEcco SuARDO Dino, inviato straordinario e mtmstro plenipotenziario, fino al 24 agosto; CASSINIS Angiolo, ambasciatore, dal 26 agosto; SAVORGNAN Alessandro, primo segretario.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA (8 maggio -31 dicembre 1948jl

Afghanistan -AKRAM Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OSMAN AMIRI Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 26 giugno; IBRAHIM Mohammed, primo segretario.

Argentina -OcAMPO GIMENEZ Rafael, ambasciatore; PAULSEN Olinto Alberto, primo consigliere, dal 12 luglio; PELUFFO Antonio R., secondo consigliere, dal 30 settembre; FERNANDEZ Carlos Alberto, secondo consigliere; SCELSO Lucio E., consigliere; NEGRE Julio, primo segretario; CASTELLS Luis, primo segretario; PANNO Jorge A., primo segretario; ZAMBRUNO Maria Elena, secondo segretario; Ouvo GALLO Luis B., secondo segretario; ALVAREZ DE ToLEDO Jose Maria, terzo segretario; 0TERO Juan, terzo segretario; PEYLOUBET Enrique Ricardo, terzo segretario, dal 25 maggio; CoMOLLI Guido, consigliere economico; ESPANA Adolfo Raul, consigliere economico, dal 21 luglio.

Austria -SCHWARZENBERG Johannes E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VEROSTA Stephan, consigliere, dal l o dicembre; BuRESCH Eugen, segretario; HARTL Karl, segretario.

Belgio -MoTTE Andre, ambasciatore; DE RIDDER Frédéric, consigliere; DE ROMRÉE DE VICHENET Henri, consigliere per gli affari economici.

1 Dati tratti da MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI. CERIMONIALE, Ambasciate e legazioni estere in italia (pubblicazione periodica). Per i titolari di sede la data riportata è quella di presentazione delle lettere credenziali.

Bolivia -SAAVEDRA SUAREZ José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; QUINTANILLA Eduardo , primo segretario.

Brasile-DE MORAES BARROS Pedro, ambasciatore; GRACIE LAMPREIA Joào, secondo segretario; GURGEL VALENTE Mozart, secondo segretario; MOREIRA DE MELLO Mellilo, secondo segretario, dal 23 ottobre; VIANNA DE CARVALHO Victorino, terzo segretario.

Bulgaria -BRATANOV Dimitr, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TARABANOV Milco Janev, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario, dal 31 luglio; IVANOV Stoiko, consigliere; DIMITROV Christo Gheorghiev, primo segretario, dal 17 luglio; NENOV Dragomir N., secondo segretario; BELTCHEV Ivan, terzo segretario; PETROV-MEVORACH Valery, terzo segretario.

Canada -DESY Jean, ambasciatore; LE MESURIER CARTER Thomas, secondo segretario; SMITH R.G.C., segretario commerciale, dal 14 ottobre.

Cecoslovacchia -PAULINY-T6TH Jan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MATOUSEK Miloslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 29 dicembre; PACÀK Milos, consigliere, dal 14 luglio; PELNÀR Joset~ primo segretario; BARTOVSKY Emil, primo segretario; RUPRICH Josef, primo segretario.

Cile -ARANCIBIA LASO Hector, ambasciatore; RIOSECO ESPINOSA Miguel, consigliere; SANTANDREU Heman, primo segretario, dal 31 agosto; LAGOS CARMONA Guillermo, segretario.

Cina -TsUNE-CHI Yii, ambasciatore; SHANG-CHUNG Kao, consigliere; CHIA-YUNG Chang, secondo segretario; YouNG SoN Yen, secondo segretario; TCHE JEN Ki, terzo segretario; TCHOU YIN, consigliere giuridico.

Colombia -FERNANDEZ DE SOTO Absalon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; URIBE MISAS Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 26 giugno; CAMACHO MoNTOYA Guillermo, primo segretario; CARDONA JARAMILLO Alberto, secondo segretario.

Cuba -DE BLANCK Guillermo, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; PRisco PoRTO Antonio, primo segretario, dall' 11 novembre.

Danimarca -MOHR Otto Cari, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BuLL Tage, ministro consigliere.

Dominicana (Repubblica) -PINA BARINAS Cesar, inviato straordinario e mmrstro plenipotenziario; ALMANZAR Jose Henriquez, primo segretario; PARRA DE Los REYES Juan, primo segretario.

Ecuador -JACOME Rodrigo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARTETA Carlos Alberto, consigliere.

Egitto -RAHMAN HAKKI BEY Abdul, inviato straordinario e mmrstro plenipotenziario; HASSAN DARWICHE Ali, primo segretario; GHALI Ibrahim Amin, secondo segretario; FAHIM Amin, terzo segretario; RAcHID Mahmoud, terzo segretario; CHEDID Mohamed Mohamed, segretario commerciale, dal 13 settembre.

Filippine -IMPERIAL Domingo, inviato straordinario e mmrstro plenipotenziario, dal 31 luglio; MALOLES Octavio L., primo segretario, dal 23 giugno; BUENCAMINO Felipe, secondo segretario, dal 23 giugno.

Finlandia -HOLMA Harri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AHTILUOTO Lauri, segretario.

Francia -FOUQUES-DUPARC Jacques, ambasciatore; DE CouRCEL Geoffroy, primo consigliere; SEBILLEAU Pierre, secondo consigliere; TORRES Charles, primo segretario; FoURIER-RUELLE René, secondo segretario; HuGUES Jean, consigliere commerciale; VIErLLEFOND René, consigliere culturale; DE SEGUIN Jean, ministro plenipotenziario, consulente per i beni dissequestrati.

Gran Bretagna-MALLET Victor A. L., ambasciatore; WARD J.G., BRAINE W.H., consiglieri; WILLIAMS M.S., REEVES J.P., MAY J., HANKEY H.A.A., HANNAFORD G.G., McEWEN I.H.P., ADAMS M.C., TOOBY F.W., primi segretari; PILCHER J., primo segretario, dal 23 settembre; MooRE A.R., BoYD J.G., SILVERWOOD-COPE C.L., HOWARD E.B.C., HENDERSON C.H., MAXWELL W.N.R., VERSCHOYLE D.H., TATE O.J., TROUNSON A.D., LAPTHORNE Enid, secondi segretari; BUSHELL J.C.W., secondo segretario, dal 24 novembre; BENDALL D.V, OLIVER E., GLOVER T.W., DAWSON-MORAY Edward Bruce, ADAMS F.G., terzi segretari; DARWELL R.G.M., ter~:o segretario, dal 15 luglio; OLIVER'S Edward, terzo segretario, dal 16 settembre; RoLO C.F., terzo segretario, dal 24 novembre; EMPSON C., ministro commerciale.

Grecia -CAPSALIS Dimitri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario:. VATIKIOTTY Constantin, ministro consigliere; HIMARIOS Constantin, primo segretario.

Guatemala -ARRIOLA Jorge Luis, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SoLARES Enrique, primo segretario, dal l o ottobre.

Haiti -LANOIX Franck, consigliere, incaricato d'affari, dal 6 settembre; SAM Max D., segretario.

India -MANI Rangiah Subra, incaricato d'affari, dal 25 gennaio; HERISHCHANDRA BAHADUR Maharaj Rana, secondo segretario, dal 4 marzo.

Iran -PAKREVAN Fathoullah, ambasciatore; ADLE TABATABAI Morteza, segretario.

Irlanda -MACWHITE Michael, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; O'BYRNE Patrick Joseph, segretario, dall' 11 novembre.

Islanda -BENEDIKTSSON Petur, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Jugoslavia -lVEKOVIC Mladen, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; IVANCEVIC Rafo, ministro plenipotenziario consulente per le restituzioni; JANHUBA Rudolf, consigliere; JovANOVIC Milos, consigliere; MANDIC Nikola, secondo segretario; NERANDZIC Petar, secondo segretario; JoVANovrc Vaso, secondo segretario; VELJACIC Cedomil, terzo segretario; RUBINJONI Branko, terzo segretario, dal 21 maggio; BABIC Zvonimir, consigliere commerciale, dal 6 settembre; DEFRANCESKI Josip, consigliere stampa.

Libano -KHOURY Emilio, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario, dall' Il settembre; BANNA Mahmoud, primo segretario, dal 14 settembre.

Messico -ARMENDARIZ DEL CASTILLO Mariano, ambasciatore; LARIS CASILLAS José Luis, terzo segretario; Rurz G. Wulfrano, consigliere commerciale.

Monaco -MAUGRAS Roger , inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -FAY Hans, inviato straordinario e mtmstro plenipotenziario; BENTZON Sigurd, ministro consigliere; ORVIN Fredrik, primo segretario.

Paesi Bassi -DE BYLANDT Willem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LYNDEN R.B., primo segretario; DE WAAL H.W.R., segretario commerciale; VAN WALEN Willem, secondo segretario commerciale.

Panama -BRIN Ernesto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MORALES Juan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 29 dicembre; DIAZ Rogelio, primo segretario; VALLARINO Rafael, segretario, dal 25 settembre.

Paraguay -Lo FRUSCIO Silvio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; O'LEARY Juan Emil, primo segretario.

Perù -RIVERA SCHREIBER Ricardo, ambasciatore; LANATA CoUDY Luis F., mtm

stro consigliere; VEGAS SEMINARIO Francisco, primo segretario; SosA PARDO DE ZELA Mario, primo segretario; MACHIAVELLO Palmiro, ministro plenipotenziario.

Polonia -0STROWSKI Adam, ambasciatore; WYSZYNSKI Witold, consigliere; MARKOWSKI Eugeniusz, primo segretario, dal 7 giugno; BuRKAcKI lgnacy, secondo segretario; STROYNOWSKI Juliusz, secondo segretario, dal 15 settembre; PIEKAREC Wincenty, consigliere commerciale, dal 13 ottobre.

Portogallo -DE CALHEIROS E MENEZES Francisco, inviato straordinario e mmtstro plenipotenziario; BACELAR MACHADO Eduardo Alberto; primo segretario.

Romania -CIOROIU Nicolae, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEVIN Mihai, ministro consigliere; UNGUREANU Mircea, secondo segretario; DINULESCU Nicolae, consigliere stampa, dal 7 luglio.

Santa Sede -BoRGONGINT DucA Francesco, arcivescovo titolare di Eraclea, nunzio apostolico; RIGHI LAMBERTINT Egano, ALIBRANDI Gaetano, uditori.

Spagna -DE SANGRONIZ Y CASTRO José Antonio, ambasciatore; DE RANERO Y RoDRIGUEZ Juan Felipe, ministro consigliere; ALCOVER Y SuREDA José Felipe, primo segretario; PONCE DE LEON Mario, primo segretario; BARNACH-CALBO' Y GINESTA Ernesto, secondo segretario; GONZALES-CAMPO DAL RE José Carlos, secondo segretario; MUNOZ SECA YDE ARrzA Alfonso, secondo segretario, dal l Osettembre; ScHWARTZ Y DrAZ FLORES Juan, consigliere per gli affari economici, dal 4 dicembre.

Stati Uniti -DUNN James Clement, ambasciatore; BYINGTON Homer M. jr., ministro consigliere; WALMSLEY Walter N. jr., consigliere per gli affari economici; ANDERSON Orville C., PAGE Edward jr., COTTAM Howard R., BLACK Myron L., primi segretari; WINSOR IVES J., primo segretario, dal 22 maggio; BLAKE M. Williams, MEIN John Gordon, RHODES Harold H., SNYDER Byron B., HAMMOND B. Miles, GIBSON William G., GREENE Joseph N. jr., McFADDEN William A., KNIGHT William E., secondi segretari; PAPPANO Albert E., secondo segretario, dal 19 giugno; RrcE Maurice S., secondo segretario, dal 16 ottobre; FIDEL E. Allen, MIRICK Susannah, BRANO Robert A., terzi segretari; LOORAM Matthew J. jr., terzo segretario, dall' 11 agosto.

Sud Africa (Unione del) -THERON François Henri, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; KrRSTEN Robert, primo segretario; VILJOEN A.J.F., secondo segretario, dal l o giugno; DE VILLIERS I.F.A., terzo segretario; MARÈ A. S., terzo segretario; LAMBOOY Bartholomeus, segretario commerciale; HANRETTE Wilfred E., segretario commerciale aggiunto, dal 27 agosto.

Svezia -GONTHER Christian, inviato straordinario e mtmstro plenipotenziario; GRONWALL Tage Holm Fredrik, consigliere; FAGRAEUS Gunnar, segretario.

Svizzera -DE WECK René, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RrTTER Paul G., consigliere; PARODI André, consigliere; SULZER Robert, secondo segretario; JANNER Antonino, secondo segretario; DESLEX Edmond Robert, segretario.

Turchia -ERKIN Feridun C., _aml><ls.<:J~tQf~,'\YDUR Huseyin Ragip, ambas_ci.atore, dal 14 ottobre; TEBELEN Mennan, consigliere; YoLGA Namik, primo segretario; TUNALIGIL Danis, primo segretario; TuLUY Turan, secondo segretario; ÒZKOL Mazhar, consigliere commerciale, dal 6 dicembre.

Ungheria -VEucs Liszl6, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SzEKERES Georges, consigliere, dal 23 luglio; GAL Irnre, consigliere; PboòR Ladislao, primo consigliere; FoRBATH Guido, primo segretario; EsTERHAZY Andrea, primo segretario; MAGORI-VARGA Erzsebet, segretario, dal 14 settembre.

U.R.S.S. -KOSTYLEV Mikhail, ambasciatore; MARTYNOV lvan, consigliere; TCHERKASSOV Mikhail, consigliere, dal 5 novembre; GoRCHKOV Nikholai, DouLIAN Gaik, primi segretari; PRIVALOV Petr, PIROJNIKOV Lorents, BOJANOV Alexandre, secondi segretari; CHOUNINE Victor, BoGUEMSKI Gueorgui, POKROVSKI Alexei, terzi segretari; RoGov Mikhail, terzo segretario, dall' 11 maggio; KAMENSKII Vassili, rappresentante commerciale; SNEJKO lvan, sostituto rappresentante commerciale; SALIMOVSKI Vladimir, vice rappresentante commerciale, dal 24 dicembre.

Uruguay -GIAMBRUNO Cyro, ambasciatore, dal 31 luglio; HERRERA-MENDEZ Horacio, segretario; AVEGNO ILLA Emilio J., segretario.

Venezuela -MONSANTO Luis Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PAZ CASTILLO Fernando, ambasciatore, dal 26 giugno; GALLEGOS MEDINA Rafael, consigliere; VILLANUEVA Manuel, primo segretario; LECUNA Juan Vicente, secondo segretario; CARMONA Ramon, consigliere commerciale, dal 6 luglio.